Negozi di dischi del passato: Newstyle a Lecce

sticker su copertina
Vecchi dischi della collezione di Paolo, affezionato cliente di Newstyle. In alto si intravedono un 12″ della UMM, “Bla Bla Bla” di Gigi D’Agostino ed un 12″ della W/BXR, sotto invece “I Wanna Mmm…” di The Lawyer e “Shine On Me” di Gayà con lo sticker del negozio

Giosuè Impellizzeri ripercorre la storia di Newstyle col titolare Vito Forcignanò

Quando apre i battenti il negozio a Lecce, al 4A di Via Braccio Martello? E quali motivi ti spronarono a lavorare nel mondo della musica?
Inaugurammo nel dicembre del 1992. Ripensare al Newstyle anzi, “alla” Newstyle così come dicevano i tantissimi amici salentini utilizzando la declinazione al femminile, non posso fare a meno di raccontare un po’ di me stesso e le ragioni che mi portarono ad aprire quell’attività. Un ruolo da principale protagonista, ça va sans dire, lo ebbe la mia passione per la musica dance nelle varie diramazioni. Fui catturato, nei primi festini tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, dalle sonorità e dall’energia di pezzi come “Born To Be Alive” di Patrick Hernandez, “Don’t Let Me Be Misunderstood” dei Santa Esmeralda ed “Enola Gay” degli O.M.D., solo per citarne alcuni, proseguendo con tutta l’italo disco e il synth pop e rimanendo letteralmente folgorato dai Depeche Mode. Poi i primi balli in discoteca durante l’house music revolution con Joe Smooth, Todd Terry, Frankie Knuckles, Kraze…ed ancora l’italo house, l’hi NRG italiana e la prima techno. Durante l’adolescenza dedicavo tantissimo tempo ad ascoltare e registrare (su musicassetta ovviamente) programmi radiofonici. Seppur sia salentino d’adozione, sono nato e vissuto a Milano sino al 1990 quindi le emittenti lombarde, e più in generale del Nord Italia, ebbero un grande ascendente su di me. Fondamentale fu Radio DeeJay e in particolare il programma DeeJay Time dal quale ho attinto, sin dal 1986, parecchie novità in uscita, senza dimenticare tante altre stazioni storiche come Radio Milano International col compianto DJ Leopardo, predecessore ed ispiratore di Albertino, RTL 102.5 con le dirette del sabato sera, Italia Network ed altre radio locali sconosciute al sud e probabilmente estinte. La mia prima consolle domestica era composta da due giradischi Technics SL-BD22 (a cinghia e con pitch a rotellina) ed un mixer Davoli da 19″. I primi dischi invece li ho acquistati nel 1989, all’età di diciannove anni. Tra quelli figuravano “Just Keep Rockin'” di Double Trouble & Rebel MC, “Relax Your Body” di D.F.X., “Get Busy” di Mr. Lee, l’album “Pump Up The Jam” dei Technotronic ed “Hysteria” di Amnesia. Era il periodo in cui esplose l’hip house e la new beat finiva la sua corsa. Molti di quei dischi li comprai da Wimpy Music, noto negozio in Viale Monza, a Milano, a pochi passi dall’attività di ristorazione dei miei genitori. Dopo aver conseguito il diploma, nel 1990 mi trasferii a Lecce e mi iscrissi all’Università ripercorrendo quasi in senso inverso il cammino da immigrato che mio padre Rosario, originario di San Cesario di Lecce, fece negli anni Sessanta trasferendosi al nord. Nel “periodo sabbatico” post diploma, tra la fine del ’90 e i primi del ’91, frequentai parecchi party casalinghi disseminati in provincia, autentico lascito delle festicciole organizzate nei decenni precedenti, prendendo coscienza dello sviluppo che stesse vivendo la figura del DJ. Scoccò così una prima scintilla legata alle potenzialità di mercato di quello che per me come per tanti altri era solo un fantastico hobby. Un garage, un terrazzo, un corner di un ristorante, un canneto di un bar sulla spiaggia: in ogni possibile angolo poteva trovarsi una consolle ed aria di festa e divertimento. A luglio del ’91 partii per il militare rimandando gli studi a servizio di leva conseguito. Da lì a breve l’imprevedibilità della vita però bussò alla porta della mia famiglia, e la prematura scomparsa di mia madre, proprio mentre espletavo il servizio militare, creò un dolore indescrivibile che solo la musica che usciva dal mio walkman fu capace di lenire. Terminata la naja, a luglio 1992, meditai sul mio futuro: incamminarsi per il percorso studentesco o intraprendere un’avventura partendo dall’idea ambiziosa ma rischiosa di aprire un negozio per DJ? Adesso, ai tempi della globalizzazione con internet e multinazionali che hanno cambiato (secondo me in peggio) le regole del mercato del lavoro e della distribuzione e vendita di beni, chiunque sarebbe scoraggiato ad aprire una propria attività, soprattutto di rivendita, ma chi ha una certa età sa bene che la situazione commerciale e distributiva di quegli anni era florida e votata agli acquisti presso piccole realtà individuali e di quartiere. Davvero nulla faceva presagire, neanche lontanamente, che il mondo sarebbe cambiato così tanto nel giro di qualche lustro. Fino ai primi anni Novanta aprire un’attività commerciale propria era qualcosa di ambito ed agognato, e chi aveva idee e capacità economiche per realizzarle poteva ritenersi fortunato. Per questo non posso non ringraziare mio padre per tutto l’aiuto e i sacrifici compiuti affinché il progetto si realizzasse. Uno degli aspetti più complessi fu proprio convincerlo della validità della mia idea, ma per fortuna riuscii a spuntarla. Altrettanto problematico fu trovare l’ubicazione. Al contrario di oggi nel 1992 a Lecce (come presumo nel resto d’Italia) era davvero arduo trovare un vano negozio libero, sia in centro che in periferia. La fortuna volle che in via Braccio Martello, in piena zona Piazza Mazzini, ci fosse un posto sfitto composto da una superficie al pian terreno relativamente piccola, di 25 metri quadri, presumibilmente poco appetibile per le attività dell’epoca. Al piano inferiore però c’erano ben altri 140 metri quadri sfruttabili ad uso commerciale, e ciò mi convinse che quello fosse il posto perfetto. Dopo essermi accordato per l’affitto, inaugurai solo sul piano superiore ma non in pompa magna e senza ricorrere neanche alla pubblicità. Era il 16 dicembre del 1992. Ricordo ancora il primo cliente che varcò la soglia e il primo disco che vendetti, “Don’t You Want Me” di Felix (di cui parliamo dettagliatamente qui, nda). Aprii il seminterrato al pubblico qualche mese più tardi, precisamente ad aprile del 1993.

Al punto vendita di Lecce viene successivamente affiancato quello di Maglie, in Via Capece. Perché un secondo negozio?
Aprimmo la sede di Maglie a maggio 1995. Fu una scelta conservativa ed espansionistica perché una buona fetta della nostra clientela proveniva anche dal sud Salento e per evitare che la concorrenza ci privasse di una sensibile parte di mercato, decidemmo di impiantare una filiale lì affidandone la gestione a mio fratello Dario. Il negozio fu allestito con non pochi sacrifici, rifacemmo la pavimentazione e i serramenti per avere lo stesso appeal e stile del punto vendita di Lecce, arredamento, loghi ed insegna compresa. Pure l’affitto, essendo in zona centralissima, era equiparabile a quello della sede principale. Lo chiudemmo alla fine di agosto del 2003 ed ebbe un ruolo importantissimo e fondamentale sino a quando è durata la “febbre del vinile”.

Newstyle
Il logo di Newstyle

Perché optasti per il nome Newstyle?
Derivò da una ragione sentimentale e nel contempo tecnica. Quella sentimentale era legata al sample dei Beastie Boys tratto da “It’s The New Style”, utilizzato spesso nelle intro delle musicassette a fine anni Ottanta da tanti DJ e riproposto dai Datura in un pezzo del 1991 che mi piaceva molto, “Nu Style”; quella tecnica era connessa invece al nome neutro: in caso di cambiamento di articoli trattati, avrei continuato ad utilizzare lo stesso marchio senza cambiare intestazione. Certo, DJ World o DJ Zone sarebbero stati più accattivanti ma mi sarei precluso la possibilità di espandermi verso altre tipologie merceologiche come difatti avvenne in seguito. Fu pertanto una scelta cautelativa ma che nel complesso ha portato fortuna e non solo perché new style, per definizione, è anche sinonimo di qualcosa di nuovo, un mezzo differente di approcciarsi al pubblico. È stato, per appeal estetico ed embrione di “brand” se vogliamo, qualcosa che provava a distinguersi dalle realtà commerciali dell’epoca. La busta, l’insegna, l’arredamento, gli adesivi, i colori sociali del giallo e del nero hanno fatto tendenza, e tuttora mi sento chiamare Vito Newstyle da molti ex clienti e non.

Che investimento economico era necessario ai tempi per avviare un’attività di quel tipo?
Non posso specificare con precisione le cifre investite all’epoca ma lo sforzo economico, sommato alle energie spese per aprire il negozio di Maglie, fu veramente notevole. L’intenzione era quella di avere sin da subito un appeal professionale, accattivante e facilmente riconoscibile al pubblico. Come già accennato, non tralasciammo i dettagli estetici per ottenere riconoscibilità ed uniformità nel marchio. Mobilia personalizzata, vetrine, materiale pubblicitario come adesivi per vinile, adesivi per copertine, per flight case, gadget, buste personalizzate, davvero niente fu lasciato al caso. Ogni particolare, dai pomelli gialli delle vetrine nere al controsoffitto in doghe alternate gialle e nere, era studiato per far immergere il cliente in una realtà completamente nuova, appetibile e ben definita.

C’erano altri negozi di dischi come il tuo nella stessa città?
La lacunosa offerta, sia in città che in provincia, rapportata alla crescente richiesta di dischi mix per me fu un forte incentivo ad aprire Newstyle. In tutta la provincia di Lecce non esisteva un negozio completamente dedicato ai disc jockey. Vi erano due o tre negozi di dischi generici che trattavano il settore dei cosiddetti “mix” (giusto una manciata sparsi qua e là) ma senza cognizione di causa, spesso dettati più da arrivi casuali o rilevati dalle classifiche (all’epoca assai influenti) che da scelte ponderate. Talvolta lo stesso venditore tendeva più ad imporre il proprio gusto che assecondare le esigenze del cliente. Totalmente o quasi assenti le strumentazioni e gli accessori relegati solitamente ai negozi di strumenti musicali. Dopo la nostra apertura sorsero altre realtà simili (la virtù insegna che copiare è una forma d’arte!) tra cui un Match Music Store, favorito da tanto supporto pubblicitario a livello nazionale ma a cui, con orgoglio e sacrificio, sono riuscito a resistere. Chiuse pochi anni dopo l’apertura.

disco con adesivo
L’adesivo personalizzato per l’etichetta centrale del disco

Come era organizzato il punto d’ascolto nel negozio di Lecce?
Quello principale contava su un mixer da 19″, due immancabili Technics SL-1210 ed amplificazione Outline Digital 400+400 watt. Al centro della sala, nel piano interrato, vi erano inoltre quattro giradischi Gemini entry level a cinghia completi di amplificatore per cuffia allestiti come punti di ascolto indipendenti.

Che generi musicali trattavate? E quali erano i più richiesti?
A fare da padrone tra i generi più venduti è stato ovviamente il mainstream, quello coi cavalli da battaglia del momento. Le hit “commerciali” erano immancabili e le richieste davvero fortissime. C’erano la novità della settimana, le hit consolidate ma anche svariati outsider che riuscirono a conquistarsi una fetta di mercato. Grandissimo spazio lo aveva pure il revival, perlopiù inciso su dischi multitraccia talvolta privi di licenza ufficiale. Quindi, in linea di massima, si vendeva di tutto, sia italiano che d’importazione, dalla dance più cheesy alla house/underground passando per la techno, l’acid jazz, il downbeat e il revival.

Quanti dischi vendevate mediamente in una settimana?
La settimana di apertura partimmo con poco meno di trenta dischi ma di giorno in giorno fu un crescendo continuo. Il periodo migliore è stato quello compreso tra 1993 e 1997 in cui vendemmo oltre seicento dischi a settimana, praticamente cento al giorno di media. Da quel momento in poi ci fu un lento calo fisiologico dovuto sia alla concorrenza, sia alla disaffezione verso la pratica del DJing. Dal lunedì al giovedì si vendevano circa cinquanta dischi al giorno, il venerdì ma soprattutto il sabato il negozio diventava una sorta di supermercato e pullulava di persone che facevano man bassa di dischi e si recavano direttamente alla cassa senza neanche ascoltarli, essendo la consolle e i punti d’ascolto costantemente occupati. Chi ha conosciuto Newstyle a fine anni Novanta o addirittura dal 2000 in avanti non ha minimamente idea di ciò che sia stato negli anni d’oro appena descritti, quando circolavano cifre pazzesche.

Vendevate anche per corrispondenza?
No, nessuna spedizione a distanza semplicemente perché ai tempi era una prassi scarsamente usata, soprattutto spedire dal sud verso sud. Si è andata sviluppando perlopiù tramite realtà come Disco Inn e Disco Più spinte da pubblicità sulle riviste specializzate. La tendenza semmai era appunto spedire dal settentrione verso meridione. Tuttavia alcuni DJ acquistavano per corrispondenza reperibilissima musica commerciale causa l’atavica ed errata convinzione che al nord i dischi uscissero un mese prima rispetto al sud. Discorso diverso per promo ed import dove il proprio gusto e le proprie capacità economiche potevano richiedere un impegno non facilmente gestibile. Molti clienti hanno ignorato per anni che i fornitori fossero praticamente gli stessi per tutti i negozi di dischi sparsi in Italia. La differenza, in merito ai promo o alle chicche d’importazione, stava nel rapporto che si creava col negoziante. Vendere l’import (che per noi esercenti voleva dire acquistare materiale senza possibilità di resa al distributore) era assai rischioso, a meno che non si trattasse di hit affermate e consolidate. Ogni disco invenduto rappresentava una perdita mostruosa che per essere ripagata richiedeva la vendita di tre o quattro copie andate a buon fine. Talvolta venivano clienti sporadici che magari passavano una manciata di volte all’anno ma pretendevano ugualmente di trovare tutto il catalogo Azuli piuttosto che quello di Nite Grooves o di Tribal America, giusto per citare qualche etichetta blasonata ai tempi. Non funzionava così e molti non lo hanno mai capito. Un conto era vendere David Morales licenziato su D:vision, sempre disponibile e facilmente rifornibile, un altro era pretendere di trovare un titolo d’importazione magari uscito un mese prima. Coloro che invece costruirono con noi un rapporto fiduciario, fatto di preordini o semplici richieste, hanno sempre avuto la loro copia da parte e difficilmente non ho accontentato qualcuno.

Afrika Bambaataa - Pupunanny
La copertina di “Pupunanny” di Afrika Bambaataa (DFC, 1994), best seller da Newstyle

Quali sono stati i best seller di Newstyle?
Per rispondere a questa domanda faccio appello ad appunti dettagliati, rigorosamente battuti a macchina da scrivere, in cui segnavo i titoli degli arrivi settimanali, quantità di vendite e rimanenze. Tra i best seller alcune delle hit dance ancora in voga come “The Rhythm Of The Night” di Corona o “Children” di Robert Miles (di cui parliamo rispettivamente qui e qui, nda), ma al primo posto, con ben 175 copie vendute, c’è “Pupunanny” di Afrika Bambaataa.

C’erano DJ noti che frequentavano Newstyle? Ad essi erano riservati trattamenti particolari o margini di sconto?
Un passaggio all’interno del mio negozio lo hanno fatto tutti, dagli amatori ai dilettanti, dai DJ delle festicciole ai professionisti più o meno noti della provincia, sia di Lecce ma anche del brindisino e del tarantino. Alcuni erano assidui, altri un po’ meno, ma sempre col massimo della trasparenza e reciproco rispetto. Dopo i successi iniziali dei primissimi mesi di attività vennero a farmi visita alcuni DJ “noti” ma non per fare acquisti. Ascoltarono pochissimi dischi facendomi presente che si rifornissero da altre parti, nel barese o per corrispondenza. Nei venti anni successivi non si sono più fatti rivedere. Probabilmente si trattò di una reazione dettata dall’invidia ma va bene così, non si può piacere a tutti. Ho cercato di assumere un comportamento omogeneo e corretto verso la clientela, che fosse un semplice amatore o un grosso acquirente. Spesso e volentieri, dal semplice rapporto negoziante-cliente, con molti frequentatori si passava al livello successivo di profonda conoscenza se non di amicizia ed era pratica comune, quando il tempo lo permetteva, di concederci una pausa al bar per una consumazione conviviale. Da Newstyle inoltre il costo dei dischi è stato sempre competitivo, per anni sono riuscito a contenere il prezzo del mix italiano nelle 10.000 lire quando da altre parti costava già 11.000 o 12.000. Per la scontistica si faceva quel che si poteva, più che altro si effettuava un po’ di credito, anche troppo direi (risate).

Quale fu la richiesta più stramba, particolare o assurda avanzata da un cliente?
C’era chi credeva che nascondessi qualche “bomba” da parte destinata a presunti DJ più meritevoli, e ripensare a questa cosa adesso mi crea ancora ilarità. Capitava pure di imbattersi in clienti in cerca di versioni ascoltate in radio introvabili su vinile, sicuramente frutto di remix, edit o mash-up. Un tizio invece si lamentò del fatto che, a suo parere, in radio i mix “suonassero” meglio rispetto a quelli del negozio, ignaro che negli studi radiofonici fossero in uso processori del suono per migliorare il segnale ed enfatizzarlo.

Quante novità settimanali arrivavano mediamente? Seguivi un metodo per filtrare e selezionare la merce da acquistare?
Le novità giungevano quasi quotidianamente, dal lunedì fino al carico last minute del sabato. La lista delle nuove uscite ci perveniva via fax ed adottavo un filtraggio (applicato sia ai mix italiani che stranieri) secondo l’etichetta, l’artista e l’eventuale notorietà del brano. È capitato per esempio di ordinare ben cento copie di un 12″, praticamente un collo intero, e terminarlo nel giro di cinque giorni appena, e se non sbaglio ciò avvenne con “Brothers In The Space” di Aladino, nell’autunno del 1993.

Quanto influiva sul rendimento di un disco il supporto di un network radiofonico o di un DJ “di grido”?
Il passaggio radiofonico era fondamentale per le vendite. Le emittenti, sia locali che nazionali, influenzavano parecchio le scelte del pubblico ma nonostante ciò notai tanto buon gusto emergere da parte della mia clientela, comunque orientata sempre ad un genere di musica “passabile” nelle realtà locali delle feste salentine. Non mancarono tantissimi acquirenti che rimasero fermi invece alle proprie scelte stilistiche, stazionando su generi ben definiti ed esclusivi come techno, trance ed house, indipendentemente dalla promozione radiofonica.

C’è stato un momento in cui hai avuto l’impressione che il trend di vendite ed interesse si stesse invertendo?
Quando il mainstream radiofonico comprese le potenzialità del fenomeno dance, tutto si trasformò in un carrozzone che vendeva “fumo”, finalizzato quasi esclusivamente a realizzare facili guadagni. Dal 1995 in poi la qualità calò a picco nella dance commerciale e, nonostante i passaggi radiofonici, le vendite risultarono ben poco convincenti rispetto al più vicino passato. Il declino di quegli anni bui complicò le cose e la house pian piano soppiantò l’eurodance. Dalla fine degli anni Novanta in poi proposi cose più “morbide” e “mature” dal profumo house o progressive house e tendenzialmente meno dance, nonostante i grandi successi di Gala e di altri artisti simili. Dal 1999 Eiffel 65 e Gigi D’Agostino diedero nuovo impulsi su vasta scala ma ormai il declino era iniziato e nel successivo quadriennio, più che proporre e far ascoltare personalmente i dischi, era il cliente ad optare per il self listening senza più richiedere quindi il mio supporto. Vista la situazione, iniziai a dedicare più tempo ad attività parallele ed economicamente più redditizie che erano sorte nel negozio.

Alcuni negozi di dischi sono stati pure la culla di produzioni discografiche e conseguentemente di etichette. In tal senso avevi preventivato qualcosa di simile? Ricordo che nel piano interrato c’era una piccola stanza in cui ti dilettavi a comporre…
In fondo al piano inferiore del negozio c’era una stanzetta che, oltre ad essere la base operativa per banali pratiche amministrative, era anche uno studio di registrazione. Allestito sulla base di nozioni empiriche e scopiazzate da riviste, inizialmente era composto da un mixer Roland a 16 canali, un computer Atari ST-1040 (poi sostituito da un PC), un sintetizzatore Roland JD-800, una batteria elettronica Roland R-8 MKII, un campionatore Roland DJ-70, un MIDI patchbay sempre Roland, due diffusori Arbour Indiana Line, un sub ed un microfono Sennheiser, oltre ad un buon trattamento di fonoassorbenza sulle pareti. A ciò si aggiunse una consolle con mixer Outline 405 con cui, per molti anni, ho realizzato la “cassettina del mese” venduta a 10.000 lire, eredità delle cassette vendute illegalmente nel retro delle consolle di tutte le discoteche. Quello studio rappresenta la nota dolceamara del Newstyle. Da autodidatta, mi buttai nel mondo della produzione imparando più dalla pratica che dalla teoria visto che i manuali non erano facilmente reperibili e non c’era nessuno a spiegarti i concetti di MIDI, di sintesi, di campionamento o di sound design. I primi anni Novanta mi videro impegnato ore ed ore nell’attività di vendita a stretto contatto col pubblico e ciò non mi lasciò sufficienti energie per sviluppare qualche brillante idea e tantomeno il tempo da dedicare alla produzione discografica. A ciò si aggiunse qualche intoppo tecnico, problemi col mixer (ne ho bruciati tre!) e coi primi hard disk con la conseguente perdita di dati. Mi ritrovai a metà degli anni Duemila con poca voglia e poche idee. Oltre a qualche lavoro di broadcasting, montaggio e jingle per conto terzi, le produzioni sono state veramente poche. Il cassetto era pieno di progetti ma sono rimasti tutti lì, nel cassetto dei sogni.

Vito Forcignano col vinile di Why
Un recentissimo scatto di Vito Forcignanò con “Why?” di Al Tarf – Melody

Qualche produzione discografica la hai comunque incisa, come “Why?” di Al Tarf – Melody, oggi ben quotata sul mercato collezionistico, ed un paio di 12″ firmati Bass Club per la milanese Masters Of Funck (gruppo Hitland). Potresti raccontare, anche dettagliatamente, i retroscena di queste pubblicazioni?
“Why?” venne finalizzato partendo da un’idea di Adriano Urso, un amico che conobbi nel 1993 ad Andrano, un piccolo paesino in provincia di Lecce. Adriano veniva spesso a trovarmi in negozio ed un giorno imprecisato del 1997 si presentò con un interessante arrangiamento eseguito live fatto da piano e voce. Convinti che fosse un buon punto d’inizio, ci mettemmo al lavoro. All’attrezzatura prima descritta si aggiunse una tastiera Korg 01/W da cui prendemmo il pianoforte ed altri suoni tra cui pad ed effetti vari. Sul 12″ finirono tre versioni, la Radio Version, la Power Version e la Dream Version. Nella Radio Version, praticamente l’Original Mix nata dall’idea iniziale, compare uno stupendo giro di pianoforte che rappresentava l’elemento portante, oltre al testo cantato dallo stesso Adriano. Il suono del basso in levare invece fu programmato da me sulla Roland JD-800 in stile dream progressive. L’arrangiamento e i suoni della Power Version, caratterizzata da un sintetizzatore tipicamente eurodance, vennero curati principalmente da me, ed infine la Dream Version fu il risultato della fusione delle idee di entrambi. Di questa ultima versione rammento ancora l’automazione su Cubase dei volumi delle due voci del pizzicato che si alternano. Al tutto si aggiunse l’aiuto prezioso di Alberto Costantini che si occupò, nel suo studio più attrezzato, della registrazione della parte vocale, dell’effettistica post primo mixaggio e della masterizzazione finale che per ovvie ragioni tecniche non potevo realizzare nel mio studiolo. Dopo averla incisa su DAT, mandammo la traccia alle principali etichette italiane che all’epoca si occupavano di dance ma a mio avviso la snobbarono in quanto la dream progressive stava ormai tramontando dopo i grandi fasti del 1996. A quel punto Adriano decise di autofinanziarsi e stampare un certo numero di copie del disco da solo, con notevoli sacrifici. Creò quindi una sua etichetta, la DBS, ma senza contare sul supporto di nessuna distribuzione. Io non contribuii al finanziamento economico, non per mancanza di fiducia nel progetto e nel brano stesso ma perché stavo iniziando a rivolgere i miei investimenti verso altri settori merceologici come quello della vendita di videogiochi domestici che, da lì a poco, presero il posto dei dischi nella mia attività lavorativa. Riascoltare “Why?” mi rende veramente soddisfatto del lavoro svolto insieme ad Adriano ed Alberto. Il disco suona bene, gira su un testo non banale e chiaramente poetico e spero che il suo “successo” su Discogs non sia legato esclusivamente alla rarità ma anche alla qualità. Chi ha amato l’eurodance in voga a metà degli anni Novanta non potrà fare a meno che collegarlo al filone dream traendone giudizi positivi.
Nel progetto Bass Club, dal tiro funky house, invece ho ricoperto un ruolo più marginale legato perlopiù all’assistenza tecnica come supervisore di studio e mixaggio. A tal proposito lascio quindi la parola all’amico ed autore Daniele Miglietta: Iniziai a creare musica a sedici anni, nel 1990, quando ebbi l’opportunità di utilizzare per la prima volta un software per la composizione su piattaforma Amiga. Cominciai creando pezzi house/techno sfruttando le limitate potenzialità di campionamento del computer. Il progetto Bass Club nacque nel 1996, anno in cui il mio gusto musicale si spinse verso sonorità house/funk. La collaborazione con Vito Forcignanò però ebbe inizio già nel 1994 quando mi poggiavo al suo piccolo studio di registrazione allestito all’interno di Newstyle. La prima produzione fu “I’ve Got To Know”, pubblicata nel ’97 dalla Masters Of Funck e basata su sonorità disco/funk anni Settanta rielaborate in chiave house. Ai tempi il modo di produrre musica era strettamente legato alla tecnologia e non si poteva ancora usare il computer come registratore multitraccia. Il PC fungeva da semplice sequencer MIDI per gli strumenti musicali, tutti i suoni venivano miscelati attraverso un banco mixer analogico e registrati su supporto magnetico digitale, il DAT. Per l’incisione del basso elettrico mi rivolsi all’amico Andrea Colella. Realizzare “I’ve Got To Know” non fu semplice: tutti i suoni della drum machine Roland R-8 MKII, delle sequenze ritmiche, dei loop di chitarra e basso e delle voci erano stipati nella memoria di un campionatore Roland DJ-70 che, seppur dotato di espansione di 2MB di RAM, non era sufficiente. Ricordo ancora il mio sconforto nel capire che non sarei riuscito a fare quello che volevo dopo tanto lavoro. Fortunatamente dopo pochi giorni Vito riuscì a procurarsi un secondo Roland DJ-70 e non credevo ai miei occhi, avevo a disposizione “ben” 4 MB di memoria! Ascoltando l’Extended Mix si può immediatamente riconoscere un sample proveniente da un favoloso brano di Hamilton Bohannon mentre il groove ricorda molto le sonorità disco. La Rewind Mix invece strizzava l’occhio alle sonorità trip hop ma anche all’house più deep. In quella versione cercai di sfruttare appieno le capacità del Roland DJ-70 filtrando i campioni e facendoli suonare pure in reverse. Il secondo 12″ di Bass Club, ancora pubblicato dalla Masters Of Funck, giunse nel 1999, periodo in cui ormai i computer potevano essere impiegati ampiamente anche come sampler agevolando enormemente il lavoro di produzione e di mixaggio. Così realizzai “You Get The Power Of Love” ed affidai nuovamente le parti di basso ad Andrea Colella. In quella traccia utilizzai in modo intensivo la Yamaha CS1x, strumento che si prestava molto bene alle sonorità electrofunk che volevo inserire all’interno. A differenza del precedente però, non feci leva su nessun campionamento illustre ma cercai di costruire un groove tipicamente anni Settanta con l’uso di suoni che richiamavano l’organo Hammond, il Clavinet e tutti i sintetizzatori analogici old school. In seguito abbandonai il progetto Bass Club per lavorare ad altri come Cuban Dance Affair, Afrobeat, Danny Manetti e Black Zone Ensemble con cui ho pubblicato diversi singoli e due album.

Torniamo a parlare del negozio: quando iniziano a calare in modo sensibile le vendite e il fatturato?
Le vendite subirono un leggero calo fisiologico tra 1996 e 1997. Da quel momento in poi fu un declino lento ma costante che purtroppo continuò anche quando rimasi l’unico a vendere dischi per DJ a Lecce, dopo la chiusura di tutta la concorrenza.

busta Newstyle (fine anni '90)
La busta di Newstyle risalente alla fine degli anni Novanta, quando il negozio vende anche videogiochi e non più solo dischi ed attrezzature per DJ

A tuo parere ci fu qualcosa ad innescare il processo di disaffezione del pubblico nei confronti dei dischi?
Le ragioni furono multiple. La prima ondata di disaffezione per me venne influenzata da regolamentazioni di carattere pubblico-amministrativo. Mi spiego meglio: come raccontavo prima, l’enorme numero di party non ufficiali fu il primo indizio che mi fece intravedere, agli inizi degli anni Novanta, un potenziale mercato per la diffusione e vendita dei dischi per DJ. Nella seconda metà del decennio però iniziò una feroce ma lecita caccia alle feste abusive. Partivano task force capitanate dalla SIAE con carabinieri al seguito che generarono sequestri di attrezzature, multe salate e denunce varie. Per quanto idilliaca e romantica, la situazione dei piccoli party organizzati nei garage e nelle ville con ingresso a 5000 lire o con consumazione obbligatoria, non poteva più reggere per tutta una serie di problematiche, quelle di sicurezza in primis. Di conseguenza tantissimi DJ che ammortizzavano le spese dei dischi con gli introiti di quelle feste decisero di mollare. Ciò creò subito un vuoto, sia nel comparto dei dischi che in quello delle attrezzature. Le uniche occasioni per esibirsi restavano legate ai locali ufficiali che però nella provincia di Lecce si contavano sulle dita di una mano. La seconda ragione della disaffezione invece è legata ad un calo di interesse generale per la musica avvenuto nella prima metà degli anni Duemila, quando altri media, come i videogiochi domestici (PlayStation ed affini) presero il sopravvento riuscendo a conquistare i giovani.

Ad inizio nuovo millennio gran parte dello spazio nel piano interrato di Newstyle fu occupato da vari PC destinati ad essere utilizzati con scopi ludici (videogame in modalità multiplayer tramite rete LAN) o per connessioni internet, ai tempi ancora scarsamente diffuse nelle case. La tua scelta, analoga a quella di un altro importante negozio di dischi di cui si parla qui, il Rebel Grooves di Anversa nato dalle ceneri del Blitz, lì dove nacque la Bonzai Records, mirava forse a bilanciare le perdite nel settore della musica?
Iniziai a vendere videogiochi già nel 1997 proprio per contrastare il calo di vendite dei dischi e degli accessori legati al DJing. Nel 2001, dedicando sempre più tempo al fenomeno dei videogame, ebbi l’intuizione di creare una LAN, in principio composta da quattro PC collegati in Rete, ed offrire al pubblico l’opportunità di navigare e giocare in multiplayer che allora era un termine semisconosciuto. Nell’arco di pochi anni il numero dei PC si moltiplicò sensibilmente ed arrivai a metterne ben diciotto a disposizione. Frequentato in prevalenza da adolescenti e studenti universitari, Newstyle continuava ad essere sempre pieno, sia di mattina che di pomeriggio, seppur per ragioni diverse rispetto a quelle dell’inizio. È stato così sino al 2010. Poi gli effetti della crisi finanziaria e della new economy, che hanno spinto il cliente sempre più verso l’home demand di merci e servizi, si fecero sentire pesantemente, sia nell’ambito della LAN che nella vendita al dettaglio di videogiochi.

screensaver-login del periodo della Lan, logo ridisegnato
Screensaver/login dei computer di Newstyle nel periodo della LAN multiplayer. Il logo viene ridisegnato ex novo

Quando chiude New Style a Lecce?
Dal 2005 ormai ci occupavamo esclusivamente di vendita di videogiochi e consolle casalinghe e dell’area ricreativa del centro internet/LAN multiplayer. Il fatidico giorno arrivò il 31 dicembre 2012. Fu ovviamente una decisione maturata da mesi, eravamo in piena crisi economica e nonostante il 2008, il 2009 e parte del 2010 furono tutto sommato positivi, alla fine di quell’anno registrammo un sensibile calo delle presenze nella LAN sino a raggiungere preoccupanti cifre nel 2011 e 2012. La contrazione dei consumi e l’apertura di una multinazionale concorrente nelle vendite dei videogiochi proprio nei pressi del negozio ci diedero il colpo di grazia, non era più possibile sostenere l’elevato affitto e le spese di gestione. Chiudere Newstyle fu ovviamente una scelta molto sofferta, soprattutto dal punto di vista emotivo. Contraddistinta dalla struttura camaleontica del marchio che transitò dal mondo dei DJ a quello dei videogiochi, Newstyle la considero una “creatura” che si è evoluta per rimanere in vita quanto più tempo possibile. Abbassare definitivamente la saracinesca fu altrettanto duro dal punto di vista individuale perché, analogamente a tantissime altre persone, mi sono ritrovato a dover cercare un nuovo lavoro in un mondo sempre meno propenso ad offrire opportunità. Il destino di Newstyle, ma pure il mio e quello di mio fratello, è simile a quello di tante altre attività storiche italiane, talvolta centenarie, di aziende familiari costrette a dover chiudere battenti nell’ultimo ventennio.

Pensi che in futuro ci sarà ancora spazio per i negozi di dischi? La collocazione geografica potrebbe rivestire una valenza primaria in questo tipo di attività?
Newstyle era ubicato a Lecce, una città di circa 100.000 abitanti, non certamente paragonabile a Milano o Roma, e credo che la bellezza del fenomeno fu anche legata a questo. Oggi, quando sento parlare di negozi di dischi (qualche nostalgico mi ha persino invitato a riaprire Newstyle!), mi viene solo da sorridere. I sacrifici per mettere in piedi un’attività devono essere ripagati dagli incassi. Non si può pensare di aprire un punto vendita per hobby o farne la propria discoteca in cui esporre in vetrina o sui muri i propri gusti e le copie introvabili. Aprire un buco per vendere dieci dischi al giorno, in una realtà come quella salentina, non mi pare una grande prospettiva. Possono esistere casi in cui, ad esempio, il titolare dell’attività sia anche il proprietario delle mura del negozio: in tale eventualità una bella parte di costi sarebbero abbattuti e il gioco varrebbe la candela, accontentandosi di vendere una manciata di dischi al giorno e qualche gadget. Ma la realtà di un negozio di vendita al dettaglio, indipendentemente dalla classe merceologica trattata, è una cosa seria, e non vorrei passare per uno che voglia impartire lezioni di economia. Auguro tutto il meglio e lunga vita a chiunque voglia intraprendere questo tipo di attività o a chi la pratica già, ma i potenziali numeri di vendita sono veramente bassi e di conseguenza anche i margini di guadagno.

Cosa c’è adesso al posto dei negozi di Lecce e di Maglie?
A Lecce un’agenzia immobiliare, a Maglie non ne ho la più pallida idea.

Qual è la prima cosa che ti viene in mente ripensando a Newstyle?
Una bella fetta della mia vita, purtroppo fatta a pezzi ed ingoiata dalla tanto acclamata new economy, dal silenzio delle istituzioni che vedevano (e vedono ancora) chiudere ditte individuali ed aziende una dietro l’altra senza muovere un dito. Proprio quelle ditte ed aziende che rappresentavano la linfa vitale dell’occupazione ed una fonte enorme di introito fiscale che ha tanto giovato alle casse statali. Nel contempo però Newstyle mi fa sentire orgoglioso con la giusta dose di nostalgia nell’aver creato qualcosa di irripetibile che rimarrà scolpita per sempre nella mia memoria e di quella di tanti altri affezionati, clienti ed amici che non ci hanno mai dimenticati e a cui adesso rivolgo i miei più calorosi saluti e ringraziamenti.

(Giosuè Impellizzeri)

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Un pensiero su “Negozi di dischi del passato: Newstyle a Lecce

  1. WuuAaauuuuhhhh non posso crederci….. La prima foto è la mia collezione di dischi…. Ho anche la collezione dei vinili picture cioè serigrafati tutti appesi al muro, anche quelli la maggior parte acquistati da new style…… dire belli è poco! BELLISSIMI! by PaoloP.dj

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