Mauro Picotto – Vita Da DJ – From Heart To Techno

Mauro Picotto - Vita Da DJEra inevitabile che uno come Picotto, prima o poi, scrivesse un libro. Chi come lui può vantare una carriera pluriventennale alle spalle e migliaia di aneddoti, se lo può permettere. Di Vita Da DJ (col sottotitolo From Heart To Techno, omonimo del nuovo album uscito da pochi giorni e qui presente col CD sampler allegato) vale la pena subito evidenziare una caratteristica: non è pedante o lagnoso, l’autore dimostra di non essere affetto da kainotetofobia, non snocciola soliti luoghi comuni, frasi demagogiche e sterili apologie del passato ai danni di tecnologia demoralizzatrice e cose simili. O meglio, Picotto non manca di chiarire la sua posizione in più punti, come quando dice «sono fiero di essere nato e cresciuto col vinile ma non disdegno la comodità di usare il Traktor perché mi alleggerisce il bagaglio da viaggio» ma pone l’accento anche su questioni che probabilmente meritano più rilievo, soprattutto oggi, come quella dei «soliti intrallazzi di organizzatori, DJ e promoter influenti che decretano il talento sulla carta dei nuovi arrivi». Motivo per cui, talvolta, si fatica davvero tanto a scorgere le qualità e i meriti che rendono “top” certi “DJ”.

Essendo un’autobiografia, è ovvio che l’autore apra l’album dei ricordi tratteggiando la sua infanzia trascorsa a Cavour, un paesino di circa seimila abitanti nella provincia di Torino, e le fasi del suo avvicinamento alla musica elettronica, al clubbing e al DJing. La gavetta (indispensabile, lo rimarca bene) con un mixer Amtron a tre canali in kit di montaggio ed un piatto privo di pitch, le prime serate in compagnia del fratello Valter che si occupa delle luci, i tempi in cui fare il DJ è considerata un’attività senza futuro ed alla stregua di un passatempo. Poi la passione per lo scratch, la vittoria della Walky Cup Competition nel 1989 (in questa clip c’è Linus che intervista Mauro e Fabietto Cataneo, il futuro X-Form), i primi strumenti dell’home studio (Roland S-330, Roland S-550, Akai S1100, pilotati dal Notator installato su computer Atari) e l’avventura con la Media Records di Gianfranco Bortolotti che lo introduce ufficialmente alla produzione discografica.

Ad onor del vero il primo disco Picotto lo incide per la Discomagic di Severo Lombardoni nel 1990, all’indomani della vittoria della citata Walky Cup. Si intitola “Pump The Scratch” ed è firmato D.J. Pic 8 ma, come ci rivela ai tempi di Decadance Appendix, «di mio, in “Pump The Scratch”, c’erano solo gli scratch, il lavoro fu curato interamente da Francesco Caudullo (Madaski) degli Africa Unite ma fu utilizzato il mio nome visto che poco tempo prima avevo vinto la Walky Cup su Italia 1, e quindi si pensò di sfruttare la pubblicità derivata. Per tale motivo non lo considero un mio brano, al contrario di “We Gonna Get” scelto dalla Media Records come follow-up del progetto R.A.F., l’anno seguente, nel 1991».

Altra tematica affrontata nel libro è quella del ghost producer che, contrariamente a ciò che molti oggi pensano, è un ruolo inventato decenni fa. Infatti Picotto, proprio in relazione alle sue prime esperienze da produttore, ricorda che «ai tempi i dischi si facevano per gli altri. Quando firmai il contratto come R.A.F. la cosa mi disturbava ma mi ero fatto convincere che i produttori stavano da una parte e l’immagine artistica dall’altra. Produrre un brano dove tu raccogli frutti ma sarà un altro a goderne la gloria lasciava un vuoto». A Picotto, è evidente, il ruolo di ghost producer stava piuttosto stretto, ed infatti dopo qualche anno, periodo in cui affina la tecnica e le conoscenze in studio di registrazione, debutta col suo vero nome, prima “customizzando” il vecchio R.A.F. in R.A.F. by Picotto e poi lanciandosi con le coordinate anagrafiche verso risultati incredibili, soprattutto in relazione al fatto che non ci fosse internet e tutta la guerrilla marketing odierna. Picotto è ad oggi l’italiano che ha raggiunto la posizione più alta nella Top 100 DJs di DJ Mag: ottavo, nel 2001 (quando non esistevano ancora i social network).

Il “lizard man” prosegue il racconto, parlando di BXR, un’etichetta che ha lasciato il segno perché riuscì nella difficile impresa di creare uno standard a cui in tantissimi si ispirarono spesso dimostrandosi solo ordinari epigoni, imponendo prima la mediterranean progressive e poi la supertechno. Quando parla del post BXR invece, rivela vicissitudini che portarono qualche intoppo, come il fallimento della Prime Distribution che vanificò gli sforzi profusi con “Alchemist EP” («vendette oltre dodicimila copie e fece numerose licenze ma perdemmo tutto, oltre quarantamila sterline»). Il destino vuole che anche per Alchemy, etichetta che Picotto fonda in quel periodo con Riccardo Ferri, qualcosa non giri subito per il verso giusto, giacché la CPL Distribution chiude battenti pochi mesi dopo la firma del contratto. Ma trovano la forza di ripartire, sempre e comunque.

Il racconto del DJ non è mai appesantito da troppi dettagli tecnici che potrebbero rivelarsi noiosi. La sua è una storia che si legge con piacere, in modo scorrevole e lineare, tanto che in certi momenti pare quasi di averlo accanto, soprattutto quando narra le disavventure aeree e le avventure all’estero, ai quattro angoli del pianeta, non tralasciando neanche dettagli personali sulla famiglia. Insomma, un Picotto a tutto tondo che si rivela non solo come DJ ed artista ma anche come uomo, con un cuore che palpita per gli affetti e che poi accelera le pulsazioni per seguire i BPM della techno. (Giosuè Impellizzeri)

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