UMM, un’avventura memorabile

Block - Block
“Block” di Block, primo disco pubblicato dalla Flying Records nel 1988

Napoli, 1988: la Flying Records, con la sede al 25 di Via Santo Strato, a Posillipo, pubblica “Block” dell’artista omonimo, un brano a metà strada tra house e hip hop sul modello marrsiano proveniente dal catalogo della britannica Vinyl Solution e prodotto da Jonathan Saul Kane. È il primo tassello di un’incredibile avventura imprenditoriale che durerà circa un decennio e lascerà un profondo solco del proprio passaggio nella scena musicale italiana e non solo. Fondata da Flavio Rossi e Angelo Tardio, la società in accomandita semplice Flying Records opera inizialmente come distributore, importando musica dall’estero e ripubblicando in Italia alcuni titoli stranieri per cui nutre interesse, le “licenze”, allora strategiche e determinanti perché in grado, da un lato, di garantire prestigio, dall’altro, potenziali riscontri economici importanti. Il team della Flying Records brillerà presto sotto questo profilo rivelandosi scaltro nell’individuare con tempismo musica e artisti nuovi su cui scommettere e trasformare il tutto in opportunità di crescita. È il caso di “Let’s Play House” dei Kraze, giunto dopo la hit “The Party”, “Let There Be House” di Deskee, “Wiggle It” dei 2 In A Room e “3 Feet High And Rising”, primo album dei De La Soul. L’attività poi si consolida attraverso la produzione di musica inedita di artisti messi sotto contratto come Joy Salinas, Dino Lenny e Digital Boy, di cui parliamo rispettivamente qui, qui e qui: in breve Flying Records diventa una sorta di polo industriale, organizzato sul modello di grandi realtà estere e mosso da una vocazione che intreccia imprenditoria e creatività.

Tardio nel deposito Flying Records di Posillipo (intro)
Angelo Tardio nella prima sede della Flying Records a Posillipo (1989 circa)

I tempi per la musica da discoteca sono propizi, il mercato è letteralmente invaso da produzioni house e techno e i numeri lasciano intravedere un più che roseo futuro. Ciò permette la nascita e la proliferazione di un numero indefinito di etichette messe nella condizione di poter esprimere il proprio potenziale anche senza cercare necessariamente il consenso del grande pubblico. Questo avviene in virtù della fitta rete di DJ sparsi nel mondo disposti a supportare quel tessuto connettivo che si autoalimenta grazie a continue novità, nomi nuovi e inedite traiettorie stilistiche. La musica underground brulica nel sottosuolo e non ha affatto bisogno di essere gestita come quella delle multinazionali con ingenti investimenti in attività promozionali, tournée nazionali e internazionali o costosi videoclip. Gran parte dei mix è priva persino della copertina, rimpiazzata da generiche bianche o nere col buco centrale, economiche ma pratiche perché consentono ai DJ di consultare istantaneamente i titoli. In buona sostanza si tratta di musica che nasce e vive di passione, senza sovrastrutture legate al divismo da stadio pop/rock, immessa sul mercato talvolta macinando poche centinaia di copie ma a volte svariate migliaia, a seconda di particolari condizioni. Nella maggior parte dei casi, inoltre, il nome degli autori è celato dietro alter ego di fantasia, totalmente anonimi, e questo rende il tutto ancora più viscerale perché disconnesso da fidelizzazioni di sorta, ma del resto la storia di generi come house e techno è ancora agli inizi e sono davvero pochi gli artisti a vantare repertori discografici di rilievo. Proprio in questa dimensione nel 1991, tra le mura della Flying Records, nasce UMM, acronimo di Underground Music Movement, l’etichetta che Angelo Tardio, ex DJ in discoteca, nelle radio private e con qualche esperienza sul piccolo schermo, crea con lo scopo di dare voce alla musica che più gli piace, non tenendo conto delle classifiche, delle esigenze e delle richieste del mercato mainstream, coperte invece dal brand omonimo del gruppo campano, Flying Records per l’appunto.

UR feat. Yolanda
“Living For The Nite” di Underground Resistance Feat. Yolanda, prima licenza messa a segno da UMM nel 1991

1991, fiammata rave
A tagliare il nastro inaugurale della UMM è un disco prodotto tra Perugia e Londra dai D.B.M., apparente duo formato da Kurt D.J. e Giulio Benedetti. Il brano si intitola “Real Dream” e pesca a piene mani dal repertorio ravey, con spezzettamenti ritmici breakbeat, voci campionate, pianate e qualche stab ad acuire la tensione. Simili le coordinate entro cui è inscritto “The Voice Of Rave” del progetto omonimo dietro cui armeggia il ligure Luca Pretolesi, giunto da poco alla Flying Records come Digital Boy. In rilievo uno dei pezzi sul lato b, “Raveology”, dove pulsa un groviglio di ritmo e bassline rivelando la sua potenza insieme a voci gutturali, probabilmente quelle dell’MC di Pretolesi stesso, l’americano Ronnie Lee, il futuro Ronny Money ed MC Rage di cui parliamo qui. Dopo una doppietta italiana sul piatto arriva la prima licenza messa a segno da Angelo Tardio, “Living For The Nite” degli Underground Resistance, un disco proveniente da Detroit dalle matrici house interpretato vocalmente da Yolanda Reynolds che riporta ai grandi successi ottenuti pochi anni prima da Kevin Saunderson e Paris Grey come Inner City. Tra i remix pubblicati a distanza di qualche settimana, oltre alla Deep In The Nite Mix approntata dallo stesso Tardio sotto l’alias Funk Master Sweat, due sono firmati da Digital Boy che così ripaga quello che gli Underground Resistance realizzano per la sua “This Is Mutha F**ker!”. Detroit è una parola di riferimento per chi ai tempi opera in ambito house/techno come Ivan Iacobucci, da Bologna: il suo EP, intitolato “Detroit 909” e firmato KGB, è un anello di congiunzione tra l’italo house sognante e più agitate partiture ritmiche. Alla delicatezza della title track si contrappone la ruvida “Scream (Wake Up!)” che riagguanta il mood rotolante di “Theme From S-Express” di S’Express con un graffiante vocal (di A Bitch Named Johanna?), e la percussiva “Bondage” sul lato b, con slanci technoidi. Chiari riferimenti al modello della musica rave si incontrano anche nell’EP di Tony Carrasco intitolato, per l’appunto, “Selections From The Rave”: il DJ newyorkese, con esperienze maturate al mitico Studio 54, mette a segno pezzi di estrazione eterogenea, dalla sinuosa “Trip City” alla rilassata “Funky-Ology” passando per l’ossessiva “Time Bomb (I Can’ttt Wait)” e la deliziosa “Swiss Chocolate” scritta insieme al sassofonista Nicola Calgari con cui continua a collaborare per “The System” di The Faust, a cui mette mano anche Andrea Panigada. Maggiormente proiettato nel cosmo technoide, il disco vede l’inserimento di parti rappate di Fausto Guio, da Brooklyn, seppur il suo nome non figuri tra i crediti. Il medesimo team appronterà nel Bips Studio di Milano un secondo disco che UMM pubblica nel corso dell’anno, “Buckwild”.

A metà strada tra house e techno è anche “Angel Of Love” di Jo Smith, cantante britannica diventata nota anni dopo interpretando pezzi eurodance (su tutti “Wonder” di Cerla & Moratto) per l’occasione prodotta da Paolo Casa col supporto del citato Elvio Moratto e Fulvio Zafret e remixata a Roma da Luca Cucchetti. Viene proprio dalla Capitale “Secret Doctrine” di The True Underground Sound Of Rome Featuring Stefano Di Carlo, collettivo fondato da Chicco Furlotti e animato dai DJ Leo Young e il compianto Mauro Tannino. Messo inizialmente in circolazione dalla Male Productions in formato promozionale, viene ripubblicato da UMM con l’ambizione di diffonderlo più capillarmente oltremanica e oltreoceano. Proviene giusto dagli States “These Are My People” dei Members Of The House, un disco house/garage partito dalla Shockwave Records (la stessa sulla quale, poco tempo dopo, debuttano i mitologici Drexciya con “Deep Sea Dweller”) e prodotto dagli Underground Resistance, lieti di riapparire sulla label di Tardio a poca distanza da “Living For The Nite”. Torna pure Iacobucci, questa volta come DJ Ivan, con “All Night” prodotta insieme a Enrico Mantini, a cui fa seguito “Your Body” con cui Iacobucci stringe la collaborazione con Nicola Dragani e Andrea Cosma. Seppur ascritto ancora a quella (club) house italica, riscaldata da fiati ed eterei pad, in “Carbonized (You Gotta Put Me On)” vibrano linee ruvide che lambiscono l’acid, contestualmente a balbettanti frammenti vocali. A produrlo, dietro il nome Aspro Marinetti, è il torinese Stefano Righi meglio noto come Johnson Righeira e passato alla storia con l’amico Stefano Rota coi Righeira. A bazzicare contemporaneamente house e techno è pure Emanuele Luzzi alias Onirico col suo “Stolen Moments” a cui abbiamo dedicato qui un ampio approfondimento. Tra i più ricercati del catalogo, l’EP è stato ristampato un paio di volte, l’ultima nel 2022. Le porte di UMM si aprono anche per Lino Lodi e Stefano Mango che nel loro S.MA.L.L. Studio di Maniago, in provincia di Pordenone, assemblano “Check It Out” di Eighteenhours, avvalendosi di un remixer d’eccezione, Mr. Marvin, che cura le due versioni dai toni sensuali sul lato b. Lodi e Mango proseguiranno la carriera prediligendo un suono crossover (Face The Bass, Pan Position, Express Of Sound tra i loro act più noti) e lasciando nel dimenticatoio Eighteenhours. Dal Veneto arrivano i fratelli Gianni e Paolo Visnadi con “NOFutureNOPast”, quasi un mini album tante le tracce racchiuse all’interno, ben sei, con divagazioni tribaleggianti (“Hunts Up”), luccichii trance (“Asaid Asaid”), affondi downtempo (“Dreams”, “The Good Place”). Romana invece la provenienza del disco dei G.M. (G per Giancarlino – Battafarano, M per Micioni – i fratelli Pietro e Paolo), un quattro tracce da cui emergono l’estatica “L.O.V.E. Ambient” e “You Got Your Love” in cui fa capolino la voce di Giulia Puzzo alias Julie P., pure lei dalla Città Eterna. La prima annata di UMM, dunque, rivela un’attività tentacolare: Tardio ha le idee chiare su che musica investire denaro e risorse, sia quella importata dall’estero, sia quella prodotta entro i confini nazionali, e questo ribalta la sua posizione da sfegatato esterofilo emersa ai tempi di Musical Soup su Telepartenope nel 1981, quando poco più che ventenne viene definito “Il Mister Fantasy del Vesuvio” paragonato a Carlo Massarini e passa in tv i pezzi di Adam And The Ants e di altri gruppi new wave britannici.

1992-1993, esplosione underground
I fratelli Visnadi dimostrano di avere un mucchio di frecce al proprio arco e tirano fuori un altro EP da sei tracce che firmano CYB, “Snake Bit”, trainato dal brano omonimo, una serpentina ipnotica spinta a lambire il bleep e l’acid. Poi stab nervosi (“Ovverture”), un’altra scorribanda all’interno di un suono gommoso ed elastico (“Five”) e una visione deep house velocizzata (“Unisound”). Spietata techno hooveristica si ritrova in “Fury” degli Underground Resistance, un’altra licenza tratta dal catalogo dell’etichetta detroitiana che sul lato b vede l’altrettanto ciclonica “Cyclone”. Provenienti dall’estero sono pure “Endangered Music” di Endangered Species, un disco particolare ai confini tra jazzdance e deep house partito dalla britannica V4 Visions, e “Strong To Survive / Fuck You Up” di Blake Baxter, originariamente sulla Incognito di Detroit. Completamente italiana invece la produzione di “Desafinado” a firma Rhythm 3 Request, team veneto in cui figurano Paolo Verlanzi e Vic Palminteri che nello Yellow Studio di Jesolo approntano un dolciastro anthem italo house issato su un pattern tribaleggiante, forse ispirato da “Koro-Koro” di No Smoke. Romana invece la produzione del primo volume di Progetto Tribale, nuova avventura di Giancarlino Battafarano e dei fratelli Micioni alle prese con un sound che, come annuncia il nome stesso, attinge a piene mani dalla musica africana. È sufficiente ascoltare “Tribal Makossa” per capire quanto fossero in ritardo coloro che, almeno dieci anni più tardi, si sono illusi di aver creato la corrente tribal house. Suadenti fiati si rincorrono in “Don’t You Ever Stop” di Tranquil, act one shot del newyorkese ma di chiare origini italiane Dino “Blade” Bellafiore. Sul lato b “Smoke Signals” remixata da un altro statunitense figlio di immigrati italiani, Ralph D’Agostino noto come Ralphie Dee. Sono rave techno, con flessioni breaks e urla da stadio, sia le matrici di “F.U.C.K.” di M.A.S.E.R., un’altra produzione proveniente dalla Capitale a cui mette mano pure il compianto Stefano Facchielli alias D. Rad, sia quelle di “Elevator EP” dei Noisee Boyz, da cui si ergono bene pezzi come “Most Illogical” o “Quadra Wave”, ricolmi di suoni a onda quadra collocati in stesure cervellotiche. I Visnadi riappaiono con la dream house di “Don’t Make Me Wait” di EDN a cui segue “Chrystol Dance” di Nu-World, pezzo venato di funk con un sample all’interno tratto da “Crystal World” dei Crystal Grass e preso in licenza dalla Tom-Tom Club d’oltremanica. Verlanzi e soci ritornano col secondo disco di Rhythm 3 Request, “Form The Pages Of Our Mind” (ma è plausibile che per un refuso il “from” sia diventato “form”), un EP in c’è dolcezza (“Feel The Rhythm”, “Delicious”) ma anche energia percussiva (“Back Frog”). Secondo atto per i capitolini Progetto Tribale intitolato, semplicemente, “Volume 2”, ed è spiccatamente tribaleggiante anche la vena di “Baa. Daa. Laa.” degli A.T.S., (acronimo di African Tribal System) dietro cui si celano i fratelli Maurizio e Michele Divito e Antonio Ursi. A distanza di qualche mese il brano riappare attraverso un paio di remix dei Visnadi. Più aderente al suono soffuso e “foggy” tipico della house prodotta in quel periodo per i club sono i sei pezzi racchiusi nel “Volume 1” dei Transitive Elements, nome che tiene insieme l’asse creativo di Argentino Mazzarulli ed Enrico Mantini. Su tutti spicca la radiosità di “Octivation (Zone Dub)”, ripescata nel 2017 nel secondo volume della compilation olandese “Welcome To Paradise”, e “Artico”, un metti e togli tra ritmo e vocalità. L’utilizzo delle percussioni afro è predominante anche in “Let The Bongos Sing” degli Home-Grown (Miles Morgan e Sean Casey), proveniente dalla Tomato Records. Giunge d’oltralpe (dall’olandese Natural Records) pure “Pot Of Gold” dei Chestnut, house solidificata intorno a slanciate vene percussive e rivista in più remix tra cui quello di Frank De Wulf. È il primo doppio mix per la UMM.

L’attenzione che Angelo Tardio riserva alla sua etichetta è tangibile. Perennemente intento ad ascoltare musica nuova proveniente da ogni angolo del globo, individua un nuovo gruppo britannico, i Lionrock, prodotti dal DJ Justin Robertson, che vuole su UMM con “Roots ‘N’ Culture (Part 1)” e “Lionrock”, per l’appunto, e a ruota “Set Me Free” dei Nightmares On Wax, proveniente dal catalogo Warp Records, e “Life / This” dei Tribal Technology / MAD @ Chris (questi ultimi col supporto vocale di Tori Amos), individuati in una raccolta della t:me di Nottingham. Ralphie Dee & Dino Blade nuovamente in azione con “Calypso Interlude”, altra parentesi aperta sulle infinite potenzialità offerte dalla combinazione tra house e afrobeat. Il brano verrà ripescato l’anno seguente con due remix provenienti dai Paesi Bassi, uno di Maarten van der Vleuten alias DJ G-Spot, l’altro di Hole In One, spinto dal successo di “X-Paradise”. Come un autentico fiume in piena, la UMM intercetta “Nush” dei debuttanti Nush (Danny Harrison e Danny Matlock) e “Samba” con cui Todd Terry avvia un nuovo act, House Of Gypsies. Il DJ newyorkese, tra i guru della house, riappare poco dopo con “Can You Feel It” di CLS, pubblicato prima su un doppio e poi su un singolo destinato ai remix di Giuseppe ‘MAN-D.A.’ Manda, ai tempi venditore per Flying Records, e i Fresh n’ Funk ovvero Carmine Tortora (partner in crime di Tardio nel progetto Kwanzaa Posse) e Roberto Masi dei Blast.

Visnadi - Four Journeys
La copertina di “Four Journeys” dei Visnadi

Tardio continua a credere nelle facoltà compositive dei Visnadi pubblicando “Four Journeys” (all’interno pure una traccia dai riflessi techno prodotta con Floriano Fusato, “Transpassage”), supporta Maurizio Verbeni con “Pump The Voice”, scandito da un esotico xilofono, e il team dei Submission (Ivan Iacobucci, Ennio Carusillo e Sergio Macciocu) che per la loro prima (e unica) apparizione sfoderano un piacevolissimo pezzo garage, “Trouble”. Altrettanto convincente l’esordio degli Statement (tra gli autori i DJ Fernando Opera e Patrizio Squeglia, ai tempi grafico per Flying Records) con “Our Concept”, in cui i confini tra house music, jazz e funk diventano labili. Un altro colpaccio messo a segno da Tardio è rappresentato da “Work In Progress EP” dei britannici Rejuvination (Glenn Gibbons e Jim Muotune), preso in licenza dalla neonata Soma. È il cinquantesimo mix dell’etichetta partenopea. A seguire arriva “Naked” di Alessandro Tognetti, inciso nel Bass Recording Studio di Alex Neri e Marco Baroni. Il brano galleggia sulle classiche atmosfere della italo (deep) house di quel periodo. A spiccare è la Carol Version, scandita da un sax e una suadente voce femminile erroneamente scambiata per quella di Carolina Damas, la venezuelana diventata nota qualche anno prima per “Sueño Latino”. A sgombrare ogni dubbio è lo stesso Tognetti in questa intervista: «La voce era tratta da un’acappella inglese. Optammo per Carol Version perché, banalmente, in quel periodo la mia fidanzata si chiamava Carol». Tardio è sempre sul pezzo: dalla britannica Guerilla prende in licenza “Land Of Oz” degli Spooky e dalla newyorkese One Records “The Conversation” degli Orchestra 7 prodotto da un vero fuoriclasse della house d’oltreoceano, Roger Sanchez. Il materiale accumulato è talmente tanto da riempire una compilation, edita sia su doppio vinile in formato gatefold che CD, intitolata “The Remixes”. All’interno, come è facile presumere dal titolo, solo remix, da Progetto Tribale a KGB e Visnadi passando per House Of Gypsies, Underground Resistance Feat. Yolanda e Blake Baxter. In copertina, sulla vista aerea della costa campana, si rinviene un messaggio in cui Tardio alias Funk Master Sweat prima spiega le motivazioni che lo hanno spinto a creare un’etichetta non disposta a sposare le classiche leggi commerciali e poi rimarca come il termine “underground” sia finito con l’identificare altro nel mercato generalista, in netto contrasto coi dettami di UMM. Per l’occasione promette di restare fedele al credo di partenza e lo dimostra subito mandando in stampa “Dreams EP” di The Neverending Dreams, team di produzione in cui, tra gli altri, spicca il nome del compianto Costantino “Mixmaster” Padovano, “Don’t Give Up” degli Statement, “The Ultimate Result” di Enrico Mantini e “Solution EP Vol. 1” di Stefano Noferini registrato, analogamente a “Naked” di Tognetti, presso lo studio di Neri e Baroni in provincia di La Spezia, da dove proviene pure “Good Time” dei Mantras.

Alex Party - Alex Party
“Alex Party” del progetto omonimo, diventato popolare col titolo “Read My Lips”

Macinando più pubblicazioni al mese, UMM inizia a ritagliarsi un posto di assoluto rilievo tra le etichette house che contano a livello internazionale, e si accaparra altre licenze di pregio, come “Schmoo” degli Spooky (con remix degli Underworld sul lato b), “More Than Just A Dance” di Phantasia alias DJ Pierre, “This Some Bad Weed” dei Soundcraft, “Every Now And Then” di Ralph Falcon e “House Ala Carte” di Jovonn, che di fatto la pongono su un piedistallo e la elevano dal classico fare discografico italiano. La vocazione internazionale è palese, la direzione di Tardio non lascia adito a dubbi di sorta ma senza tradire un certo made in Italy, come quello dei Gradiva con cui i Visnadi allacciano i rapporti col DJ Alex Natale e tirano fuori “To The Funky Beat” che preannuncia lo stile di Alex Party, giunto poco dopo col brano omonimo in cui trovano alloggio uno stralcio vocale preso da “Read My Lips” dei DSK, già riciclato un paio di anni prima dai People In Town, e quello di “Weekend” dei Class Action, coverizzato con successo da Todd Terry nel 1988. Il brano esploderà nel Regno Unito nel 1994 col titolo “Read My Lips”. I Visnadi incidono nuove versioni di “Hunt’s Up” con suoni più elettronici (Christian Zingales, in “Techno”, descrive la Trance Mix come «una psicotica cattedrale sintetica lanciata ad alta velocità verso il nulla dove risuonano a grande effetto le mortali spirali da caduta libera di uno dei sample vocali più letali della storia, quello di “Scream For Daddy” di Ish già usato dagli S-Express in “Theme From S-Express”») e “Moovin’ Groovin'” con cui calano il sipario su EDN. Da Roma si fanno risentire i Progetto Tribale (Giancarlino, D. Rad e i fratelli Micioni) col “Volume 3”, l’ultimo destinato a UMM (il quarto finisce l’anno dopo nel catalogo D:vision). Nel brano di chiusura, “Tribal Thanx”, tributo downtempo a tanti miti della musica, c’è la voce di Marina Restuccia, ai tempi attiva come Jamie Dee e da lì a breve proiettata nella carriera pop come Marina Rei.

Fortemente determinato a proseguire con lo stesso passo, Tardio continua a iniettare linfa vitale nei circuiti della sua etichetta bilanciando produzioni nostrane ad altre importate dall’estero. In rapida sequenza escono “I Know You Can Hear Me”, unica apparizione dei The Miners (Giancarlino, Marco Scocchi e D. Rad), “Pleasures’ EP” dei 2 Guys (apparizione one shot dei Visnadi) trainata dalla estatica “Deep Blue Night”, “The Anixus EP” degli Anixus, richiestissimo sul mercato dell’usato e ristampato pochi anni fa, e “I Want You Now” dei Global Cut (Massimiliano Rovelli, Mimmo Mennito, dipendente Flying Records nel settore import, e Giampiero Mendola). D’oltralpe giungono invece il secondo volume di “Wildtrax” di Wildchild (che un paio di anni dopo spopola con “Renegade Master”), e “I Can’t Get No Sleep” dei Masters At Work Featuring India, originariamente sulla Cutting Records dei fratelli Aldo e Amado Marin e potenziato dal remix di Marc ‘MK’ Kinchen. L’interesse nutrito per la musica di Vega e Gonzalez convince a rilevare anche il loro primo LP intitolato, semplicemente, “The Album”. All’interno pezzi come “Can’t Stop The Rhythm”, “All That” e “The Buff Dance”. Il tutto viene pubblicato sia su vinile (doppio) che CD, scelta condivisa pure per “Gargantuan”, l’album degli Spooky. Doppia è altresì la compilation “Tribute – DJ Collection Vol. 2”, tratta dal catalogo della Hi-Bias Records, riempita con dodici tracce in perenne bilico tra deep house e garage. Dall’etichetta canadese giunge anche “Love Attack” di Groove Sector, progetto del DJ italo svizzero Stéphane Stillavato meglio noto come Willow. “Syxtrax” è un EP che, come promette il titolo, contiene sei tracce erranti tra progressive, trance e techno. A produrle gli infaticabili fratelli mestrini Visnadi che per l’occasione rispolverano il loro progetto più technofilo, CYB. Giungono da Cassino invece, in provincia di Frosinone, i tre amici (Claudio Coccoluto, Savino Martinez e Dino Lenny) che approntano “Friend”. Per l’occasione si fanno chiamare HWW, acronimo di House Without Windows ironizzando sul fatto che il loro studio amatoriale sia talmente piccolo da essere privo di finestre. È un periodo particolarmente florido per i DJ italiani che, sparsi un po’ in tutto lo Stivale, mettono su piccoli studi di registrazione facilitati da prezzi più accessibili delle strumentazioni, alcune tecnologicamente quasi obsolete ma perfette per le nuove forme della musica dance. Da Bologna arrivano i due volumi di “The Grunge EP” degli Underground Ghosts (Ivan Iacobucci e Nick Dragani), da Jesolo “Keep The Children Free”, ultima apparizione per i Rhythm 3 Request probabilmente ispirati dall’ipnotismo di “Plastic Dreams” di Jaydee di cui parliamo dettagliatamente qui, da Palermo i cugini Dario e Mario Caminita con “I Can’t Quite Understand / So Good” di Klaiff, da Pescara Enrico Mantini che, affiancato da Marco Fioritoni, appronta le quattro tracce per il secondo volume di Transitive Elements. Ultima volta su UMM pure per gli Statement con “C’Mon And Get It!”, con un sample carpito a “I Got My Mind Made Up” degli Instant Funk, a cui fa seguito “The Land Of Flux” di 3 Of Us, team perugino che destina tutti i lavori successivi alla SVR – Seven Valley Records. Il brano attinge a piene mani da “Fluxland” dell’omonimo artista olandese (Ramon Roelofs, meglio noto come Charly Lownoise) e conoscerà un successo generalista attraverso un’altra cover messa a segno dagli XL, edita dalla Reflex Records nel 1994.

Fathers Of Sound - Revelation
“Revelation” dei Fathers Of Sound

Tardio non perde mai di vista il mercato estero: dalla Vibe Music di Chicago prende “Strawberry” di Georgie Porgie, impreziosita dai remix di Maurice Joshua e degli UBQ Project (Aaron Smith e Terry Hunter), dalla One Records di New York invece “I Need You” di Nu-Solution, progetto one shot di Roger Sanchez accompagnato dalla voce di Tonya Wynne che conta così tanti remix (tra cui quelli di Ralph Falcon, StoneBridge e del nostro Luca Colombo) da necessitare un doppio mix. Ralphie Dee & Dino Blade approntano il seguito di “Calypso Interlude” ovvero “Deranged EP”, un extended play in cui si intersecano varie traiettorie stilistiche, mentre Maurizio ‘Jazz Voice’ Verbeni inaugura Degression con “Doctor Jazz” in cui, prevedibilmente, scorrono partiture jazzate in un caleidoscopico puzzle di sample. Ai nastri di partenza ci sono i Fathers Of Sound (i toscani Gianni Bini e Fulvio Perniola affiancati da Paolino Bova intervistato qui) con “Revelation”, una traccia che sintetizza le atmosfere nebbiose della prog d’oltremanica con divagazioni detroitiane di UR o Kevin Saunderson. Il disco è un single sided che sul lato b accoglie un disegno inciso per esteso su tutta la facciata, un etched come si dice in gergo. Sono sempre i Fathers Of Sound a occuparsi della produzione sia di “I Can’t Forget You” di Anthony White, cantante originario di Philadelphia che vanta un’apparizione sulla Salsoul Records, “I Can’t Turn You Loose” del ’77, sia di “Inside Out”, brano che segna il debutto discografico di Stefano Noto, affermato DJ fiorentino. Con un flusso produttivo che non conosce soste ed esitazioni, in circa un biennio di attività UMM raggiunge un ambito traguardo, la centesima uscita. Per l’occasione Tardio appronta una raccolta intitolata, per l’appunto, “Cento”, che raduna brani inediti realizzati da artisti che gravitano intorno all’orbita della sua etichetta. Da Alex Neri e Stefano Noferini con “In Progress” a Ivan Iacobucci con “All Right”, da A.T.S. con “Kio Kisinza” a “Love” di MAN-D.A. passando per una nuova versione di “C’Mon And Get It” degli Statement, “Insanity” di Valez remixata dai Fathers Of Sound e “Tribal Acid” di Claudio ‘Cocodance’ Coccoluto. Il tutto viene riversato su doppio vinile e CD, suggellato da una copertina decorata con caratteri argentei in rilievo.

UMM è un marchio consolidato ma il suo fondatore non dorme sugli allori anzi, si pone sempre nuovi obiettivi da raggiungere e questo gli permette di incrementare il catalogo e allargare il roster artistico. Tra i nuovi arrivati ci sono Joy Kitikonti e Francesco Farfa, intervistati rispettivamente qui e qui, uniti come Hoyos Corya: il loro pezzo si intitola “Oyo” e segue la scia della prima ondata progressive toscana, quella che ibrida la house con elementi presi da techno e trance. Un nuovo act è pure quello di Enrico Mantini e Pietro De Rosa, Mood 2 Create, sviluppato su quattro tracce deep house quasi interamente strumentali, riscoperte dall’olandese 4 Lux di Gerd che le ristampa nel 2017. “Victim Of Obsession”, costruita sul campionamento vocale preso da “Set It Out” di Midway, viene pubblicata invece come The White Fluid. La creatività di Mantini è al diapason e poco dopo giunge “The Device EP” con altri cinque brani (tra cui “U Can Use It” e “I Will Be True”) che contribuiscono a definire il filone della house italiana da club dei primi anni Novanta. Non sono da meno Ivan Iacobucci e Nick Dragani che per il “Sea EP” s’inventano un altro pseudonimo, Nottambula, e i fratelli Visnadi che dal cilindro magico tirano fuori “Racing Tracks”, un brano che, come racconta Paolo Visnadi in questa intervista, «fu prodotto di getto, in un pomeriggio, con strumenti come il sintetizzatore Sequential Circuits Prophet-5, un campionatore Kurzweil, un processore di effetti Lexicon PCM 70 e un mixer Soundcraft TS24» aggiungendo che fu suonato dal vivo e tutta la sua struttura venne sviluppata interamente in tempo reale. Contraddistinto da rumori stradali che lanciano un parallelismo con “Autobahn” dei Kraftwerk, “Racing Tracks” viene illuminato di nuova luce nel 2013 da Maceo Plex che lo riedita nel suo “DJ-Kicks” su Studio !K7 per poi essere ristampato nel 2018 dalla romana Mr. Disc Organization. Sul fronte licenze, arrivano “Critical (If You Only Knew)” dei Wall Of Sound (John Ciafone e Lem Springsteen, meglio noti come Mood II Swing), tre nuove versioni di “Little Bullet” degli Spooky, dal citato album “Gargantuan”, “Can’t Stop The Rhythm” e i remix di “When You Touch Me” dei Masters At Work (finiti su un singolo, un doppio e un triplo in edizione limitata), “You Don’t Know” di The Hot Project, con un vocione in stile Louis Armstrong, e “Deep Inside” di Hardrive, una club hit internazionale prodotta da Little Louie Vega, cantata da Barbara Tucker e proveniente dal catalogo Strictly Rhythm poi affidata, per ulteriori tre versioni, ad Alex Natale e i Visnadi. Sono proprio loro ad approntare il nuovo Alex Party trainato da “Nu-Nu-Now” (contenente due brevi campionamenti vocali tratti da “Don’t Make Me Wait” dei Peech Boys e “Let No Man Put Asunder” delle First Choice), rampa di lancio per un suono che nell’arco di qualche anno riesce a conquistare il mainstream. Dal loro 77 Studio di Mestre esce pure “See On” di Roby Sartarelli alias Long Leg. Gianni Bini e Fulvio Perniola si occupano del nuovo di Anthony White, “Love Me Tonight” riproposto un paio di anni dopo con nuovi remix e contenente un campionamento dell’acappella di “Let Me Love You” di Imarri (poi usata dagli Shapeshifters in “Lola’s Theme”), e di “Insanity (The Essence)” di Valez, pregustato in anteprima in “Cento”, poi “Gosp” dei veneti L.W.S. guidati dal DJ Walterino, con un sample trovato in una compilation di musica gospel, e Argentino Mazzarulli che inaugura il moniker A.R.G.E.N.T.I.N.O. con “Keeping Depth EP”, riscaldato di continuo da influssi tribaleggianti. Menzione a parte per “Take You Right” dei Blast, progetto che batte bandiera siciliana portato avanti dal cantante Vito De Canzio alias V.D.C., il DJ Roberto Masi e il tecnico del suono Fabio Fiorentino, destinati a uscire presto dalle tenebre dell’underground.

Blast + CYB
Sopra “Crayzy Man” dei Blast, tra i primi successi internazionali di UMM, sotto “It’s Too Funky” dei CYB, scelto per inaugurare la UMM Progressive

1994/1995, consolidamento ed exploit: il doppio binario di UMM
Il grande boom mainstream dell’eurotechno, scoppiato tra 1991 e 1992, va progressivamente esaurendosi nel 1993. Il pubblico generalista, spesso influenzato dalle programmazioni dei network radiofonici, è in cerca di una nuova tendenza da seguire e la trova nella house music che torna quindi a fare crossover tra i club underground e le maxi discoteche, come avvenuto già alla fine degli anni Ottanta con l’invasione della cosiddetta “spaghetti house”. Un crescente numero di brani nati per un pubblico ristretto di DJ e amatori si ritrovano quindi nelle programmazioni delle radio e persino nelle classifiche di vendita. È il caso di “Crayzy Man” dei Blast che, dopo i tiepidi riscontri di “Take You Right”, vengono proiettati in una scena completamente diversa da quella di partenza. «Buona parte del merito nel successo di “Crayzy Man” va riconosciuto ai Fathers Of Sound che, con la loro F.O.S. In Progress, stravolsero l’originale dotandola di sonorità più aperte e tipiche della house internazionale» afferma il cantante del gruppo, Vito De Canzio, in questa intervista, aggiungendo che i toscani riuscirono a valorizzare le idee «portando il brano a un livello superiore, facendolo uscire dai confini della house da club e traghettandolo nel mondo commerciale con un appeal vendibile e radiofonico». Il successo è tale da richiedere un videoclip girato al Cretto di Burri, vicino ai ruderi di Gibellina: «era un paesaggio lunare reso ancora più alieno dalla fotografia del regista Emanuele Mascioni e dalle idee visionarie di Patrizio Squeglia. Poi ci fu la trovata della palla, un grosso globo dipinto di argento che molti ipotizzarono fosse stato inserito digitalmente in post produzione seppur in quel periodo di digitale c’era ancora ben poco. In realtà si trattò solo di una palla gonfiata spinta dal vento che soffiava quel giorno» conclude De Canzio. Uscito a fine febbraio, “Crayzy Man” conquista un’audience sempre più vasta ed eterogenea. Tra i supporter anche Albertino che, a metà aprile, vuole il brano nella DeeJay Parade settimanale dove resta per cinque settimane. Si fa avanti la multinazionale MCA che lo pubblica negli Stati Uniti e nel Regno Unito con altri remix tra cui quello di Junior Vasquez. Si tratta di uno dei primi dischi targati UMM a raccogliere risultati di questo tipo e, per la gioia delle casse della Flying Records, non l’ultimo. La vocazione di Tardio però non è cercare pezzi che facciano intenzionalmente gola ai programmatori delle radio anzi, per lui certi responsi sono completamente irrilevanti ai fini del leitmotiv della UMM che, per definizione, deve continuare a rappresentare il movimento della musica underground. Il caso vuole però che dopo “Crayzy Man” dei Blast giunga un altro brano capace di sparigliare le carte e incuriosire anche i DJ non specializzati, e a firmarlo sono i fratelli Visnadi nelle vesti di CYB. Il disco, come testimonia il titolo in copertina, nasce in virtù di due remix di “Now”, originariamente incluso in “Syxtrax”, ma ad avere la meglio è la traccia incisa sull’altro lato, “It’s Too Funky”, dove a fare da padrone è l’ipnotico riff di tastiera che corre su un ritmo serrato dal quale, come un geyser, erutta a più riprese un breve ma efficace hook vocale. Le richieste sono tante e giustificano la pubblicazione anche su CD, ai tempi formato secondario e quasi irrilevante per i DJ. Non è propriamente house però, piuttosto un ibrido che si spinge a lambire le sponde progressive e infatti Tardio per occasione vara una sorta di etichetta sussidiaria, la UMM Progressive, ma senza ricorrere a un nuovo logo e numerazione. L’unica indicazione, oltre a un layout grafico marginalmente modificato, è la presenza delle lettere PR accanto al catalogo, monogramma che si rinviene nelle quattro uscite successive: “Spice” di Timeless, ennesima incarnazione artistica dei Visnadi, “State Of Panic” di Sonar (Dino Lenny e Savino Martinez affiancati da Coccoluto come sound engineer nel solito HWW Studio), sviluppato sul campionamento di un pezzo senza titolo di Emmanuel Top uscito l’anno prima, “Context Control EP” dell’olandese Trance Induction e “1/2 Transphunk EP” dei francesi Motorbass. Italianissima invece la produzione di “Let Yourself Go” di L.W.S. Featuring Long Leg, un mosaico di sample afro e funky loopati su base house, e “Locomotive Vocale” dei Lineout, prodotto ancora da Walterino come remake dell’omonimo del compositore francese Hugues Le Bars, sincronizzato in uno spot televisivo del liquore Grand Marnier negli ultimi anni del decennio precedente. A “Crayzy Man” dei Blast UMM aggiunge ora un’altra hit internazionale, presa in licenza con assoluto tempismo dalla newyorkese Strictly Rhythm. Trattasi di “I Like To Move It” dei Reel 2 Real, progetto lanciato un paio di anni prima da Erick Morillo e Ralph Muniz che ora si afferma grazie a un brano, interpretato da Mark Quashie alias The Mad Stuntman, che incrocia house e raggamuffin. Supportato da un videoclip diretto da Craig K. McCall, “I Like To Move It” vende oltre un milione di copie in tutto il mondo e trova modo di eternarsi nel nuovo millennio col riadattamento per il film d’animazione “Madagascar”. Proveniente da un’altra etichetta newyorkese d’eccezione, la Easy Street, è “Get By” di Gayland che, per la pubblicazione in Italia, viene arricchita dai remix di Roberto ‘Hard Corey’ Corinaldesi e Paolo Martini. Importati dall’estero sono pure “Morel’s Grooves Pt. 5” di George Morel, “No Love Lost” di Ce Ce Rogers, “Fall Down / Freedom” dei Punchin’ e “The Frenzy Dance” dei Juzt 2 Brothers, pezzo prodotto dai fratelli Danny e Victor Vargas sulla falsariga di “I Like To Move It” dei Reel 2 Real e affidato, pochi mesi dopo, alle mani di Franco Moiraghi che realizza un incisivo remix. Prodotti “in casa” sono invece “People” dei Degression, il terzo volume (conclusivo) di Transitive Elements e “Ohh-D-Dub” di Frank Ozono, quest’ultimo ad opera dal team L.W.S. composto da Leonardo Bertoncello Brotto, Walterino Biasin e Stefano Amerio, prossimi a un exploit internazionale.

X-Static - I'm Standing
“I’m Standing”, il primo successo degli X-Static

A flirtare con le classifiche che contano sono pure i Visnadi che, insieme a Max Artusi e Ricky Stecca, creano un nuovo (ed ennesimo) progetto, X-Static. Il brano si intitola “I’m Standing”, è cantato da Cristina Dori e viene pubblicato oltremanica dalla Positiva insieme a vari remix tra cui quello dei Kamasutra, edito anche da UMM in un secondo 12″ col centrino viola. A innamorarsi del pezzo, con un pizzico dello stile di StoneBridge nella Velvet Mix e con una linea più aggressiva nella Heavy Organ Mix, sono tanti influenti DJ britannici tra cui Pete Tong, Judge Jules e Jeremy Healy. Percorso inverso, dalla Gran Bretagna all’Italia, per “Best Thing” di Miss Bliss, la DJ londinese Ayalah Bentovim meglio nota come Sister Bliss da lì a breve nella formazione dei Faithless. L’unica versione solcata sul disco, col solito logo inciso sul lato b, è realizzata dai Fathers Of Sound. A seguire, dai Paesi Bassi, c’è “Pepper” di Speedy J, diventato popolare dalle nostre parti per “Pullover” e “Something For Your Mind”, alle prese con un suono più trancey e warpiano, e infatti l’etichetta è UMM Progressive. Sospinta verso lidi simili è anche la raccolta in limited edition, edita su CD e triplo vinile, “UMM In Progress”, selezionata da Francesco Zappalà. All’interno diverse gemme che il DJ promuove nel suo Virtual Sound, da “Heaven” di Moby a “Flex” dei Bandulu, da “Joy” di Quadripart a “Electronique (Live At The Casino Montreux)” di Pink Elln & Atom Heart passando per l’esclusiva “Slave To The Moon” dei Visnadi, “(RE:EVOLUTION) Live At The Warfield” degli Shamen, “State Of Panic” di Sonar e un paio di sue stesse produzioni, “Free Brain” di Virtual Age e “Raggamountain” di The Kosmik Twins, prodotte rispettivamente con Ferdinando ‘Mr. Ferdy’ Colloca e Biagio ‘Baby B’ Lana. Il package è impreziosito dalle fotografie di Emanuele Mascioni effettuate su una scultura di Patrizio Squeglia, “Ettore & Andromeda”, perfettamente calata nel contesto del “suono virtuale” a cui si fa riferimento in copertina. Il Code 1 lascia ipotizzare un seguito che però non arriverà mai.

Nella scia della trance che va diffondendosi sempre più capillarmente in Europa si inseriscono i trevigiani Attraction col brano omonimo mentre decisamente più house oriented sono “Tossin’ N Turnin'” di Darryl Pandy, “Nadir” di Mark Ray Featuring Natalie Mundy, “New York Express” di Hardhead (un’altra “mina” presa dalla Strictly Rhythm e prodotta da Armand Van Helden) e “No Pay Day”, secondo e ultimo brano di Gayland riproposto in seguito coi remix di Paolo Martini e Roberto ‘Hard Corey’ Corinaldesi. In mezzo a queste licenze estere c’è anche un made in Italy, “I’m A Bitch”, con cui il team degli L.W.S. fa il giro d’Europa. Ispirato dall’omonimo di quattro anni prima di A Bitch Named Johanna uscito sulla statunitense Project X Records, Biasin, Bertoncello Brotto e Amerio coniano un progetto ex novo chiamato Olga. La versione principale è la House Nation Mix (un nome-tributo per uno dei capisaldi della house chicagoana, “House Nation” di The House Master Boyz And The Rude Boy Of House, Dance Mania, 1986), in cui i vocal di Johanna Jimenez troneggiano su una trascinante base venata da un suono portante simile a quello di un organo, allora particolarmente in auge nei club. «Partimmo proprio dall’acappella di A Bitch Named Johanna a cui sovrapponemmo un groove ritmico e un basso» spiega Biasin in questa intervista. «Optammo per Olga perché ci sembrò un nome adatto a rappresentare la prostituta (bitch, nda) di cui si parlava nel testo. Visto il successo ottenuto anche nel mainstream, affidammo l’immagine del progetto a un’amica, Simona Sessa, che portò “I’m A Bitch” in tutte le discoteche italiane» (e che finisce sulla copertina del singolo pubblicato da UMM oltremanica, nda). Sull’onda dell’entusiasmo, Biasin e soci affidano a UMM un’altra loro produzione, “Afrikaans’ Holiday” di Afrikaans, a metà strada tra house e progressive trance, che fatica però a uscire dall’anonimato. Di tutt’altro regime invece l’andamento dei Reel 2 Real che, dopo i remix di “I Like To Move It” a firma Alex Party, riappaiono sull’etichetta campana con un nuovo brano, “Go On Move”, che in realtà tanto nuovo non è. La prima versione circola dal 1993 su Strictly Rhythm ma è con la Erick ‘More’ 94 Vocal Mix che Morillo riesce a fornire il giusto follow-up ad “I Like To Move It”, escludendo le parti funkeggianti a favore di una linea melodica che fa il verso al precedente e una parte vocale più estesa interpretata da Mad Stuntman. Accompagnato da un videoclip e reintitolato “Go On Move ’94”, il pezzo diventa un successo estivo. Le versioni a disposizione sono tante al punto da spingere UMM a pubblicarle su due mix, il primo col centrino bianco, il secondo nero. A separarle, nel catalogo in costante crescita, è “Just A Little Bit Higher” di Johnny Vicious.

adv Reel 2 Real
L’advertising che nell’autunno ’94 annuncia l’uscita dell’album dei Reel 2 Real su UMM

Dino Lenny e Savino Martinez firmano un nuovo UMM Progressive, “No More Mind Games” di B.O.D., in linea col suono di etichette britanniche come Platipus e Hooj Choons. Dallo scrigno Strictly Rhythm Tardio prende “Congo” che David Morales firma The Boss, un susseguirsi di ritmi latini intrecciati a pianate e organi, e “Las Mujeres (The Women)” di Fiasco, pure questo nato sul crocevia tra house music e percussioni latino americane. Con “The Bang EP” Roberto Carbonero, Marcello Salerno e Roberto Corinaldesi danno avvio al progetto U.S.E., acronimo di Underground Sound Evolution. Come “contorno”, Tardio rileva un altro paio di licenze, “La Fiesta” di The Spanish Society, dalla “solita” Strictly Rhythm, e “Dub It / Set Me Free” di Coco Steel & Lovebomb dalla britannica Warp Records. Ad affiancarle i due remix di “Te Ame Con Salsa” di Hildelgard (il primo realizzato da Carmine ‘KeyB’ Tortora e Beppe ‘MAN-D.A.’ Manda, il secondo da Robert Passera che pochi anni prima incide un piccolo cult, “Neue Dimensionen” di Techno Bert di cui parliamo dettagliatamente qui) e quello di “Love Me Or Leave Me” di Armante a firma Fathers Of Sound. In autunno è tempo di un nuovo Reel 2 Real, “Can You Feel It?”, costruito da Morillo ancora sullo schema di “I Like To Move It” e ripubblicato da UMM su due mix, attigui nel catalogo e con un punto in comune, la presenza su entrambi della Erick ‘More’ Club Mix, quella che si sente in radio. Il resto spazia nelle sfaccettature house coi remix di Roger Sanchez, DJ Duke e Jules & Skins sino a toccare, inaspettatamente, l’eurodance con la versione dei Factory Team in uno stile simile a quello dei bortolottiani Cappella mashuppato al telaio ritmico che il team veronese appronta in quei mesi per “Only Saw Today / Instant Karma” e “Sweet Music” del britannico Amos. “Can You Feel It?” è uno dei singoli estratti da “Move It!”, il primo album dei Reel 2 Real che la UMM si aggiudica per l’Italia pubblicandolo su doppio vinile, CD e cassetta. Ispirato proprio al suono dei Reel 2 Real è “I’m A Real Sex Maniac” di Dick, racchiuso in un’ironica copertina (doppiata su un adesivo allegato) che rimanda alle illustrazioni dei test psicologici e tematicamente collegato a Olga da riferimenti sessuali. A produrlo ancora gli L.W.S. con risultati apprezzabili in tutta Europa. Le licenze continuano a iniettare linfa vitale nei circuiti della UMM, seppur non sempre con l’appoggio dei DJ e della critica. Dalla britannica Zoom Records di Billy Nasty e David Wesson arriva “Throwing Caution To The Wind” dei Sourmash, con spinte goane, mentre dall’olandese NANADA Music l’EP di Ethics, trainato dal brano “La Luna” che vivrà una seconda vita a distanza di circa un anno. Passato praticamente inosservato è pure “The New Wave”, tratto dal catalogo della scozzese Soma, contenente tre pezzi (più un edit di uno di essi) di matrice techno (“The New Wave”, “Assault”, “Alive (New Wave Final Mix)”) messi a punto da un esordiente duo francese, i Daft Punk.

Alex Party - Don't Give Me Your Life
“Don’t Give Me Your Life”, una sonora conferma per gli Alex Party

Dopo i remix di “Gosp” di L.W.S. e “Joy” di Quadripart (quest’ultimo in formato doppio), arriva il nuovo degli Alex Party, “Don’t Give Me Your Life”, che ricalca alcuni elementi di “Nu-Nu-Now” (dal precedente “Alex Party 2”) amplificandone la portata pop grazie a una parte vocale interpretata da Robin Campbell alias Shanie. L’effetto è esplosivo e tra i primi a “capitolare” ci sono i britannici: come certificato da BPI (British Phonographic Industry), il brano diventa disco d’oro con 400.000 copie vendute oltremanica. Un gradito ritorno è anche quello dei Blast con “The Princes Of The Night”: a fare la differenza è ancora il remix dei Fathers Of Sound intitolato F.O.S. In Progress, ma le versioni sono tante (incluse quelle di JX e Red Jerry) da occupare due 12″, venduti separatamente e con copertine di colore differente. Bini e Perniola, infaticabili, trovano il tempo per approntare sia “Keep Looking Up” di Rhona Johnson, un pezzo garage portato al Midem di Cannes a inizio ’95, e “Want Me, Love Me”, brano di debutto di una giovane newyorkese di origini italiane che si affermerà nel mondo del piccolo e grande schermo, Justine Mattera. Reduce dal successo britannico di “Cocaine” del ’91, Dino Lenny sposta la sua attenzione verso scenari trance e progressive. Con una mano riattiva, per l’ultima volta, Sonar mediante “Mellow Monday”, lasciandosi affiancare dai fidi Martinez e Coccoluto, con l’altra inaugura S.O.P. con “Esta Buena”. S.O.P. e il citato B.O.D. sono collegati non solo dalla tipologia sonora ma anche da un’ironica linea concettuale promossa dall’artista cassinese: S.O.P. è l’acronimo di Sister Of ♀ (Pussy), B.O.D. di “Brothers Of ♂ (Dick). Si trincerano dietro una sigla pure Pietro De Rosa ed Enrico Mantini che raccolgono tre tracce (tra cui “Use It (… To Eliminate You)”) in un EP firmato DM Construction. In solitaria Mantini realizza invece “What U Want” con la voce di Cameron Borrelli alias X Woman, ristampato proprio di recente su Purism. Batte bandiera olandese “Yell Song” di Clusia Fortal, attorcigliato a suoni forse un po’ datati, e arriva un nuovo singolo dei Reel 2 Real, “Raise Your Hands”, simile ai precedenti ma con minori potenzialità commerciali, ottenuto rimaneggiando “Asuca” che Morillo firma R.A.W. l’anno prima sempre su Strictly Rhythm. Un’altra licenza di indiscusso valore è rappresentata da “Jumpin'” di Todd Terry, incisa su un single sided e con campionamenti presi da “Bostich” degli Yello e “Keep On Jumpin'” dei Musique, brano che l’americano coverizzerà pochi anni dopo con le voci di Martha Wash e Jocelyn Brown.

depliant merchandise
Uno dei primi depliant del merchandise griffato UMM

Su CD arriva “Mixes Collected”, una pregevole raccolta dei Visnadi a cui segue il “Conception EP” degli Alito, progetto one shot romano animato da Massimo Berardi (intervistato qui) e Luca Cucchetti a cui si affianca, per “Take Control”, Paolo Zerla. Colorito da una sezione con un’armonica a bocca è “Everybody Clap Yo Hands”, da “Voices Of Faith EP” di Victor Simonelli, tribaleggiante la linea portante di “Higher (Feel It)”, ultimo pezzo che Erick Morillo firma R.A.W., in bilico tra garage e un suono più ruvido le versioni di “House Music” di MAN-D.A. & Keyb T., proteso in modo chiaro verso la trance è l’EP degli Upgrade One Point Two. Tra le voci più emozionanti della house a stelle e strisce, Ce Ce Rogers approda sull’etichetta napoletana con “Come Together”, Michele Violante e Paolo Martini si uniscono come Old Skool, Alessandra Argentino esordisce con “Work This Pussy” (prodotto da Roberto Ferrante e Vincenzo Bottiglieri e pubblicato anche su CD singolo) che fa il verso alle liriche piccanti di Olga, Paolo Martini, Michele Violante e Roberto Corinaldesi si occupano di “We Got A Love” sviluppata da un’idea di Major Healey, cantata da Sabrynaah Pope e poi data in pasto ai Fathers Of Sound e Alex Neri, Erick Morillo remixa “Them Girls Them Girls” dei pupazzi Zig + Zag facendone quasi un nuovo Reel 2 Real che, nel contempo, riappaiono col quinto singolo estratto da “Move It!”, “Conway”, giunto sul mercato attraverso una miriade di versioni tra cui quelle di Armand Van Helden e dei CYB che UMM pubblicherà in un secondo 12″ nei primi mesi del 1995. L’ottima reputazione dell’etichetta sortisce continue attenzioni internazionali anche in virtù di una ricca linea di abbigliamento e merchandising promossa a partire dal 1993 attraverso semplici depliant inseriti nelle copertine dei dischi. La ricetta pare semplice ma non è facilmente replicabile: «prendiamo ritmi house, li speziamo con melodie italiane e serviamo caldo il risultato» dichiara ironicamente lo schivo Angelo Tardio a David Stansfield di Billboard in un articolo pubblicato il 2 luglio ’94, uno dei pochi in cui è possibile ritrovare le sue testimonianze di allora. E aggiunge: «abbiamo dato in licenza “Crayzy Man” dei Blast a un’etichetta del Regno Unito e ora il pezzo è praticamente in tutte le classifiche d’oltremanica. Ci sono grandi piani anche per i Fathers Of Sound, artefici della versione di punta di “Crayzy Man”. Alla luce di questi strepitosi risultati mi sento di dire che il 1994 sia stato l’anno migliore per la dance targata Flying Records».

The Bucketheads - The Bomb EP
The Bucketheads, successo di proporzioni planetarie portato in Italia da UMM

Diventata con merito un avamposto italiano della house music, la UMM inizia il 1995 tagliando il traguardo delle duecento pubblicazioni e confermando il suo ruolo primario nel segmento underground, tag identificativa di un genere-contenitore che va dalla garage alle dub strumentali dai suoni ombrosi. Arrivano “Mayo” dei Flying Squad (Fabio Locati e Salvo Doria), tra saliscendi di conga afro e striature progressive, “Dance Now” di Franco Moiraghi Feat. Amnesia, dove emerge un canto spiritual, “Swing & Move” di Orbiting Eskimo Dance Society, prodotto da Craig Bevan e remixato dal team degli L.W.S., e “Delicious Poem” dei Delicious Inc. (Nello Nicita, Jamie Lewis, Jose Orellana e René S.) al lavoro sul ritaglio ritmico preso dal brano di Bucketheads edito qualche mese prima sulla newyorkese Henry Street Music di cui si parlerà più avanti. I Visnadi propongono il nuovo CYB, “Come On Boy”, ipnotica marcetta pubblicata anche su CD che non divide nulla con l’omonimo dei modenesi DJ H. Feat. Stefy di qualche anno prima a eccezione del titolo e dell’hook vocale, e un’apprezzata licenza è “Just Can’t Take It” di Reggie Rough Feat. Annette Taylor impreziosita dal remix dei Fathers Of Sound seppur a funzionare di più sia la Club Mix di Joey Moskowitz, già presente nella prima tiratura su E Legal. Aria di remix pure per “Don’t Give Me Your Life” degli Alex Party, ritoccata tra gli altri da Dancing Divaz, ai tempi una sorta di “re Mida” della house d’oltremanica. Dalla Planet Blue arriva “Jungle Dreams” dei Naked Souls e dalla citata Henry Street Music di Johnny “D” De Mairo “The Bomb EP” del citato Bucketheads, progetto di Kenny “Dope” Gonzalez. L’impulso creativo di uno dei due brani inclusi, “These Sounds Fall Into My Mind”, viene espresso mediante il magistrale uso di un sample preso da “Street Player” dei Chicago, e diventa presto una smash hit di dimensioni planetarie, con relativo videoclip a basso costo diretto da Guy Ritchie e Alex De Rakoff girato nel centro di Londra con una super8. Il successo è tale da rendere quasi inutile la presenza del brano finito sul lato b, “I Wanna Know”, pure questo ispirato da un pezzo del passato, “Motivation” degli Atmosfear.

Salerno, Carbonero e Corinaldesi con una mano danno alle stampe il secondo U.S.E. intitolato “Bad Boy”, con l’altra approntano “Danger Zone” di Dangerous Society, Justine Mattera ritorna con “Be Sexy”, ancora prodotto dai Fathers Of Sound ormai consacrati a livello internazionale (nel ’96 mixeranno uno dei volumi della saga “Renaissance”) e riappare pure Ce Ce Rogers con nuove versioni di “Come Together”, preso in licenza dall’americana Groove On di George Morel. Tra i remix, usciti anche all’estero, quello degli L.W.S. e dei New Wave Explorers (Mario Conte e Patrizio Squeglia). Arrivano da oltre i nostri confini la doppia a-side “Juice / The Way” dei portoghesi A. Paul e J Daniel, “Love” di Quadripart (sormontato dal campionamento di “The Visitors” di Gino Soccio) e “The Tribal Recordings” di Kuyoe’s Children in origine su Nervous Records da cui emerge l’afro house di “Mosquito Drums”. Made in Lazio invece “Play House” di Sohante Feat. B.S.J., un pezzo senza troppe pretese prodotto da Claudio Coccoluto, remixato da Dino Lenny e sui mettono le mani pure Enrico ‘BSJ’ Ferrari e Sante Pucello, quest’ultimo trasformatosi da lì a breve in Santos. I Visnadi, nel frattempo, riportano in vita per l’ultima volta il progetto Cool Jack inizialmente coprodotto con Angelino Albanese, partito nel ’92 con “Just Come” e proseguito l’anno dopo con “Try The Feeling” con la voce di Tom Hooker. È proprio il cantante americano, noto per aver interpretato alcuni brani di successo di Den Harrow, a occuparsi di “Get Me Going”. Tra le tante versioni anche il remix degli onnipresenti L.W.S. e di Walterino. Sono sempre i Visnadi a produrre, insieme a un certo Gianfri DJ, il nuovo Gradiva intitolato “I Gotta Know”, una sorta di Alex Party ma con meno potenzialità di airplay radiofonico. Coccoluto e Martinez invece si ribattezzano ironicamente Mimì E Cocò per “Bandit”, una traccia animata dalle percussioni e vari campionamenti funk/disco. Marchiate col catalogo Progressive sono le uscite di Xyrex (Franco Canneto, Enrico Aprico e David Rossato sotto la guida di Zenith), “Heaven” dei già citati New Wave Explorers, “Volume 1” di Esoteric Society (Floriano Fusato, Emanuele Vola e Alberto Guerretta), i remix di “Traum” di Positive & Gianni Parrini, “Los Parajso De Los Locos” di Mediterraneo Feat. Franchino (prodotto da David Togni e Alessandro Del Fabbro con remix annesso di Mario Più) e “You Got To Be There” del team iberico Kadoc. Batte bandiera portoghese invece “Work In Progress” di L.L. Project (Luís Leite e il noto Rui Da Silva) a cui seguono “A Lollipop For You” di Dick, poco fortunato follow-up di “I’m A Real Sex Maniac”, “Justify” dei Bound Beat, “Let Me In” degli Old Skool, “Come Together” dei Double FM, “Don’t Give A Damn” di Vena, “Inner Waterfall” di Positive Shah, “Back To Roots” dei Delicious Inc., “20 Hz” di Channel 3 e diverse licenze estere, “God’s An Astronaut” dei Blunt Funkers (con remix di StoneBridge & Nick Nice), “Black, Sinister, Science EP” dei Kings Of Tomorrow, “Mad House (Volume 1)” di Charlie Casanova trainato da “You Can Have It”, suonatissima nei club house d’oltreoceano, “The Dynamic Cutz Vol. 2” di Johan S., “Dance With Me” di Latin Impact e “Can U Feel It” di The Squad, progetto nato a Miami dalla collaborazione tra il nativo George Acosta e l’italiano, ma trapiantato in Florida, Chicco Secci. Prodotto da Mousse T. per la Peppermint Jam e avvalorato dal remix di StoneBridge & Nick Nice e da una versione di Bini e Perniola, “We’ve Got Love” di Ve Ve Brown è annunciata come una potenziale hit ma nonostante gli ottimi presupposti non riesce a scavalcare la palizzata dell’underground.

Alex Party - Wrap Me Up
“Wrap Me Up”, la hit estiva degli Alex Party

Osannato dalle radio sparse per il globo (in particolare quelle italiane, britanniche, francesi, spagnole e australiane) è invece “Wrap Me Up” con cui gli Alex Party toccano uno dei punti più alti della carriera. Il brano, doverosamente accompagnato da un videoclip, è una sorta di modernizzazione della vecchia italo house di fine anni Ottanta, con pianoforti in evidenza ma senza uso e abuso di campionamenti a favore di una parte vocale cantata ancora da Shanie che lo colloca, di fatto, in contesti eurodance. Tra i successi estivi made in UMM, oltre a The Bucketheads in licenza dagli States, anche il nuovo dei Blast, “Sex And Infidelity”. Sul lato b compare il remix dei Ti.Pi.Cal. ma a fare la differenza è la versione confezionata in Svezia dagli infaticabili StoneBridge & Nick Nice. Per una curiosa coincidenza Alex Party, The Bucketheads e Blast appaiono consecutivamente nella tracklist del secondo volume della “Alba” di Albertino, tra i bestseller italiani della stagione nel settore compilation. Non sottraendosi proprio al redditizio mondo di quel comparto, la UMM pubblica su CD e cassetta “The Bomb Collection”, una raccolta house con tracce prevalentemente tratte dal catalogo (tra le eccezioni “Dance Your Funky” di Pagany Feat. Shaneen e “Planet Funk” di Alex Neri). Il tutto mixato da Paolo Martini. Dopo circa due anni riappare “I Can’t Get No Sleep” dei Masters At Work Featuring India: sul precedente i remix erano di Mark “MK” Kinchen, adesso sono firmati da James Preston e David Morales. Analogamente a quanto avvenuto sullo UMM 072, anche in questo caso la logo side è occupata dal simbolo della Cutting Records da cui, per l’appunto, il brano è preso in licenza. Ulteriori versioni vengono solcate su un secondo mix. Importato dall’estero è anche “It Must Be Love” di Club Freaks interpretato da Angel Williams che, peraltro, firma come artista la versione originale su Herbal House Records. A contraddistinguere la stampa italiana sono due remix dei Kamasutra (Alex Neri, Marco Baroni e Mr. Muzak). Con un frammento preso da “Atom-B” di Atomizer, gli italiani S-Naked costruiscono la loro “Now I Know”. Ad armeggiare dietro le quinte sono Daniele Tignino, Riccardo Piparo e Vincenzo Callea, meglio noti come Ti.Pi.Cal., che orchestrano il tutto su una voce che ricorda quella di VDC dei Blast. Progetto nuovo di zecca è pure quello di Gianmarco Silvi, Mimmo Turone e Monia Piazzi, The Grind Company, che consuma la sua unica apparizione col poco noto “When We Grind” scandito da una voce maschile suadente e ammiccante in stile “Men Adore…” dei Fierce Child. Scarsi riscontri per “Just A Groove” di Geetraxx, prodotto a Milano presso il Gianburrasca Studio di Marcello Catalano, intervistato qui, insieme a Walter Bassani. Sul lato b il remix di un certo Alex Gee, salernitano che lavora nel capoluogo lombardo come promoter per la Flying Records e destinato a una rosea carriera con le sue coordinate anagrafiche, Alex Gaudino.

In autunno è tempo del nuovo The Bucketheads che però non riesce a replicare i fasti del precedente. “Come And Be Gone” si muove su coordinate simili, un metti e togli di sample disco/funk su telai house, ma è privo del quid che potrebbe trasformarlo in una hit trasversale. Sul lato b c’è un remix di “These Sounds Fall Into My Mind”, a onor del vero più simile a un re-edit piuttosto che a un remix. Un altro one shot nato e morto su UMM è 123 Prospect: con un occhio allo stile dei morilliani Reel 2 Real, Ciro ‘DJ Bubu’ Sasso e Martin ‘Monster’ Aurelio approntano “Get Loose” con l’intervento vocale di David Lavoy. Insieme a nuove licenze messe a segno da Tardio, “El Cojo” di Boriqua Brothas, “The Thing I Like” di Aaliyah coi remix di Paul Gotel e “Love Rendez Vous” degli M People, arrivano “Heroes” di Gianni Parrini Feat. Principe Maurice (cover del classico di David Bowie), “Neid” di DJ Ginger, il primo volume di “Save The Planet” dei Divine Dance Experience, “Revenge” di Kriminal Elements, il secondo volume di Esoteric Society e nuove versioni di “My House / No More Mind Games” di B.O.D. (tutti su UMM Progressive), i remix di “We Got A Love” di Violante Project e di “Wrap Me Up” degli Alex Party e “Blow” di Ricky Soul Machine & Jackmaster Pez, un doppio mix a cui abbiamo dedicato un articolo qui e impreziosito da una versione di Johnny Vicious. Tocca poi a “Don’t You Want My Love / Disco Boom” di Mauro MBS, un altro collage sampledelico (assemblato con Albino Barbero nel suo Rockhattle Studio di Cavallirio, in provincia di Novara) che attinge a piene mani dall’immenso campionario disco funk degli anni Settanta, “You Can’t Touch” di The Tribute, un single sided realizzato in Svizzera da Dario Mancini alias Djaimin intervistato qui, e “The World Around”, traccia con cui Roberto Carbonero, Marcello Salerno e Roberto Corinaldesi chiudono la trilogia di U.S.E. partita circa un anno prima.

Moiraghi - Feel My Body
“Feel My Body” di Moiraghi Feat. Amnesia garantisce ottimi riscontri nell’autunno ’95

Menzione a parte merita “Feel My Body” di Frank ‘O’ Moiraghi Feat. Amnesia, un pezzo edificato come una specie di mash-up tra la base di “Utopia – Me Giorgio” di Giorgio Moroder e i ritagli vocali di “Feel My Body” di Talena Mix. Il successo, supportato adeguatamente da un videoclip, abbraccia prima i club e poi le discoteche generaliste. Pensata come etichetta destinata ai DJ, la UMM convoglia la quasi totalità delle sue pubblicazioni su 12″ ma di tanto in tanto concedendo spazio anche a qualche raccolta come “100% Rendimento Compilation”: il primo volume esce in autunno, prevede la pubblicazione sia su CD che cassetta, e raccoglie sedici tracce selezionate da Christian Hornbostel (intervistato qui) ed estratte dall’omonimo programma in onda su Radio Italia Network. Pochi mesi dopo è la volta del secondo volume la cui tracklist accoglie (prevedibilmente) alcune tracce del catalogo UMM. Sull’onda di “Feel My Body” Franco Moiraghi e Marco Dalle Luche realizzano “Listen To The Rhythm” come Manumission ma con risultati diversi. Alessandra Argentino torna (per l’ultima volta) sulla label campana con “Love 2 Love”, ancora prodotta da Roberto Ferrante e Vincenzo Bottiglieri e contando su un remixer come Don Carlos che con “Alone”, di cui parliamo qui, aveva dato una nuova spinta alla house nostrana a inizio decennio, Positive Shah sgancia il suo “The Shah EP” su due dischi di cui uno single sided, Violante e Corinaldesi si reinventano come VHC e il pezzo “You” che vola sulle ali della garage più sognante, i Visnadi (all’opera su uno dei remix della rediviva “Deep Inside” di Hardrive) e Massimo Zennaro dei Fishbone Beat e Paraje, intervistato qui, confezionano “No Smoking” come Ashman. Sono sempre i Visnadi, in compagnia di Roberto ‘Long Leg’ Sartarelli e la cantante Cristina Dori, ad approntare il nuovo X-Static, “Move Me Up” di cui parliamo qui, pensato per replicare i fasti di “I’m Standing” ma con risultati meno dirompenti sul fronte internazionale, analogamente a quanto accade a “Lick It Up” di Olga, questa volta realizzato dal team L.W.S. con Johanna Jimenez giunta appositamente in Italia dagli States. Successo quasi esclusivamente italiano è anche quello raccolto da “I Try” degli Activa, team di produzione in cui figurano Andy Mathee, Paolo Reverdy, Gino Cavazzana e Gabriele Pastori. La voce è di Kimberly Lawson mentre il remix di Alex Gee (Alex Gaudino). Durante l’ultimo scorcio del ’95, tra gli anni maggiormente prolifici per UMM, escono “It’s Time To Come” dei CYB, che un po’ ricorda “Petal” dei Wubble-U, “Eau De Chanté” dei Delicious Inc., “Atmosphere” di House Culture che Marcello Salerno produce con Moreno Pezzolato, “Sam Traxx EP” di Sam Traxx alias Samuel Paganini, “The Lion And Other Stories” dei Visnadi, “A Forest” degli L.W.S. (cover dell’omonimo dei Cure) e “I Wanna See You Jumpin’ Around” ancora degli L.W.S. ma pubblicato a nome Jack Romer, l’ennesimo dei nom de plume coniati col fine di eludere l’inflazione. Il 1995 è l’anno in cui UMM pubblica più dischi in assoluto, circa un centinaio. La Flying Records ormai è un colosso internazionale con filiali in due Paesi chiave del business discografico, Regno Unito e Stati Uniti e, come afferma Angelo Tardio in un articolo di Mark Dezzani pubblicato da Billboard l’1 luglio, «rappresentiamo la più piccola major e la più grande indipendente ma, a parte le infrastrutture, siamo consapevoli che sia la musica a muovere il mercato». Gli esordi ormai sono lontani, la società conta su un efficiente ramo distributivo e un poderoso parco clienti, tuttavia la situazione sta per ribaltarsi radicalmente.

Future Traxx Vol. 1
Con “Future Traxx Vol. 1” la UMM raggiunge la pubblicazione numero 300

1996, il vento sta cambiando
Con occhiate decise al fortunato stile dei siculi Blast, i The Groovers (Roberto Bajotti e Antonello Ferrari) assemblano “Ride On The Power” avvalendosi della voce di Wayne Lewis, Gianni Parrini invece, spalleggiato da Floriano Fusato, riempie un doppio mix con quattro versioni di “Cosmopolis” oltre a compilare e mixare il terzo volume di “Trance & Progressive”, compilation su CD e cassetta. In copertina una rielaborazione futuristica dell’uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci. UMM raggiunge quindi l’uscita numero 300, “Future Traxx Vol. 1”, compilation edita su triplo vinile, CD e cassetta che, fedele al titolo, raccoglie e anticipa alcune delle pubblicazioni imminenti e future. Un’approfondita lettura dei crediti rivela un importante cambiamento dietro le quinte: Angelo Tardio abbandona la Flying Records lasciando le redini della UMM nelle mani di due nuovi A&R, Giuseppe Manda e Maurizio Clemente. Accanto a loro Paolo D’Alessandro opera nel ruolo di international business affair manager. Frammisto tra trance e progressive è “Dream To The Beat” di I.D.C.C., neo progetto attivato da Floriano Fusato e Gianni Parrini col contributo vocale di Who alias Dr. Felix. Su UMM Progressive confluiscono anche “Tinnitus” di Timelock alias Marcel Franke, “Pianosphera” di DJ Ginger, in chiave smaccatamente dream, “Friends” dei F.E.N., l’EP di Mediterraneo Feat. Franchino, contenente pezzi osannati dai “guerrieri” della progressive toscana come “Viaje” e “C’era Una Volta”, “The Nighttrain” degli spagnoli Kadoc, diventato un successo mainstream, “Age Of White” di Spiritualist, il secondo volume di “Save The Planet” dei Divine Dance Experience (Sergio Datta, Maurizio De Stefani e Michele Generale), le cui vendite vengono alimentate da un paio di tracce finite nell’airplay radiofonico come “To The Piano” (con un innesto melodico ispirato da “Fantasia” di Cosmic Baby) e “To The Rhythm”, e “Bassline” di S.O.P., ennesima produzione generata nell’HWW Studio a Cassino da Dino Lenny, Claudio Coccoluto e Savino Martinez. Una delle prime hit house dell’anno è “Deep In You” di Tanya Louise, pezzo in circolazione sin dal 1994 ma che adesso trova modo di affermarsi grazie al remix di StoneBridge usato per sincronizzare il videoclip. Le versioni a disposizione sono così tante da riempire un doppio e un singolo.

L’attività sul fronte licenze, determinante per l’etichetta, viene debitamente tenuta in vita: arrivano “Do It / It’s Gone / Ball Chains” di Glenn Underground, “I’m So Grateful” dei Kings Of Tomorrow (un doppio che raduna remix prestigiosi di Angel Moraes, Matthias Heilbronn e Joey Negro), “I’ll Take You To Love” di Naked Music NYC, “Treat Me Right” di Temple Of The Groove, anche questo in doppio mix, “Shout-N-Out” dei Lood, triumvirato tra Little Louie Vega e i Mood II Swing, e “In Your Soul” dei Latino Circus. Tra i made in Italy, invece, “Talking About” di Male Force, i remix di “Crayzy Man” dei Blast a firma Kamasutra, l’EP di Roberto Masi e Fabio Fiorentino, “Jam Experience Part 1 EP” di Walterino 4 L.W.S., “One Night” di Saxation, “Odissey” di Mell Ground, “Free Your Mind” dei Funkcyde e “Hold On” di House Tribute. La mole del materiale, come è facile presumere dal numero dei titoli elencati, è ancora tanta, UMM mette sul mercato più dischi al mese ma qualcosa sta iniziando a cambiare. In primis c’è da considerare l’ondata progressive che domina il mercato italiano e conquista la priorità. Il successo di “Children” di Robert Miles, di cui parliamo qui, apre di fatto una tendenza che finisce col penalizzare la house music, specialmente quella sul versante garage. Gli effetti non tardano a palesarsi: Frank ‘O Moiraghi prova a bissare “Feel My Body” con “Baby Hold Me”, attingendo gli elementi vocali ancora da “Feel My Body” di Talena Mix, ma non riuscendoci, e obiettivi falliti sono pure quelli dei The Groovers con “You’re My Woman” e di Tanya Louise con “Lovely Day”, pubblicata speranzosamente anche su CD. Giungono nuove versioni di “Read My Lips” degli Alex Party che aiutano a tenere alte le quotazioni del brand sul mercato internazionale ma con poca presa su quello domestico rapito, per l’appunto, dalle formule della dream progressive. Vale davvero la pena ricordare però che i Visnadi, nel frattempo, spopolano con “Don’t Stop Movin'” di Livin’ Joy, progetto partito nel ’94 con “Dreamer” che macina oltre un milione di copie oltremanica ma viene snobbato in Italia, con la voce di Janice Robinson poi sostituita da Tameka Starr e sotto la guida della Undiscovered che, tra i fondatori, annovera Angelo Tardio, ex honcho della UMM.

Sunset People - Dreaming Ain't Enough
“Dreaming Ain’t Enough” dei Sunset People è l’unico UMM a essere pubblicato in formato 10″

Dall’estero Manda e Clemente prendono in licenza “Where Love Lives” di Alison Limerick, con remix di Dancing Divaz, David Morales, Frankie Knuckles, Romanthony e i Perfecto di Paul Oakenfold, “Final” degli Hustlers Convention (meglio noti come Full Intention), “I Love You” di Vicky Martin, “Dreaming Ain’t Enough” dei Sunset People (Andrew “Doc” Livingstone, Victor Simonelli, l’unico del catalogo a essere solcato in formato 10″), “I Wanna Live 4 U” dei Rhythm Of Soul, “Alright Now” di Soul Symphony, “Theme From Circus” di Energy Factor alias Ralphi Rosario e “Love Commandments” di Gisele Jackson che troverà successo l’anno dopo col futuro remix speed garage dei Loop Da Loop. Grandi energie vengono spese per assemblare “Feel The Light” di The Family Presents A Tony Humphries Project, pubblicato anche su CD singolo e anticipato da un doppio promo con vari remix tra cui quelli di Victor Simonelli e Oscar G dei Murk. Confinati ai club restano “Move On Your Body” del trevigiano Lys, “Don’t You Know” del napoletano Corvino Traxx, prodotto insieme a Marco Carola, e “Gimme Love” dei Kasto, nuova incarnazione dei siculi Ti.Pi.Cal. con la voce di John Biancale. I New Wave Explorers si fanno risentire per l’ultima volta con “Whatever”, garage di ottima fattura meritevole di raccogliere più frutti, e un discorso simile spetta anche a “2 Be Free” di Funk Revelation, neo act messo su dai cugini Frank e Max Minoia reduci dall’exploit internazionale ottenuto con Joy Salinas nei primi anni Novanta di cui parliamo qui. In scia arrivano i remix di “Back Home” di Joe Smooth realizzati da Tommy Musto, “Never Again” di The Groove Master, “Be Yourself” di Sawaya, “Do You Want It” di The Sound Of One (alias Lenny Fontana), “4 Your Love” di House Of Taste, “Good Tymz” di Romanthony, “National Groove EP” di Luis Radio & Studio 32 e “Assassin” di Martini, rivisitazione del brano scritto da Peter Nashel per lo spot del noto drink. A firmare le due versioni sono Junior Vasquez e Joe T. Vannelli con la voce di Justine Mattera. Riservata al solo CD la compilation “The Best Of The Best” che setaccia il catalogo raccogliendo poco più di una decina di tracce con particolare predilezione per conclamati successi internazionali come Alex Party, Blast e X-Static. In alcune copie finisce la LSC – Levi’s Stretch Cash, tessera che permette di accedere a iniziative nelle jeanserie del noto marchio statunitense, lo stesso che due anni dopo coinvolge numerosi DJ italiani (da Francesco Farfa a Massimino Lippoli, da Leo Mas a MBG, da Mario Scalambrin a Joe T. Vannelli passando per Francesco Zappalà, Leo Sound, Tony Cosa, Lisa Alison, Killer Faber, Alex Neri, Gigi D’Agostino, Massimo Cominotto e altri ancora) in un’iniziativa legata al modello 417.

CYB - I Love You Darling
“I Love You Darling” dei CYB, un discreto successo commerciale

1997, la disfatta
Nei primi mesi del ’97 la dream progressive, che ha tenuto banco per tutto l’anno precedente, inizia a perdere quota. Il mercato italiano è saturato da prodotti simili o smaccatamente uguali (difficile tenere il conto esatto dei cloni usciti di “Children”) e questo determina anche la veloce parabola discendente di un movimento nato nei club e lontano dalle classifiche di vendita, dalle radio e dal pubblico generalista. Tuttavia l’eclissi non è repentina, nel primo scorcio dell’anno funzionano ancora tracce strumentali o quasi, come “I Love You Darling” di CYB, progetto che i Visnadi riportano per la penultima volta nei negozi con la complicità di Ottorino ‘Ottomix’ Menardi. Convogliato prevedibilmente sul tentacolo Progressive e anche in formato CD, il pezzo, non pretenzioso e forse fin troppo cheesy per apparire su UMM, conquista il favore di Albertino che lo inserisce nella compilation “DeeJay Parade” tornata dopo la pausa occupata dai sei volumi “Alba” usciti tra ’95 e ’96. UMM Progressive pure per il terzo e ultimo volume di Esoteric Society, curato da Floriano Fusato, e per “The Grid EP” degli Upuaut (Steve Battarra e Andrea Bracconi). Solcato su un 12″ rosso è “Desire” di The 3angle, ennesimo progetto proveniente dal team palermitano di Tignino, Piparo e Callea che, nel frattempo, mantengono vivo Ti.Pi.Cal. inaugurando una nuova fase della carriera con la cantante Kimara Lawson.

Alex Party - Simple Things
Con “Simple Things” gli Alex Party non riescono a ripetere il successo dei precedenti

In primavera tornano gli Alex Party: “Simple Things”, cantato ancora da Shanie, riparte lì dove era finita “Wrap Me Up” circa due anni prima ma, forse a causa di un ritornello non efficace, risulta incapace di garantire gli stessi risultati e a poco servono i due remix incisi sul lato b realizzati oltremanica dai Rhythm Masters. Prodotto a Londra da Cricco Castelli è “Time’s Gonna Work” di Lorraine Lowe mentre arriva dagli States “Love Tight” di Victor “Overdose” Sanchez. Assemblato in Liguria da Miki Talarico è “Gost” di Future Bass, dalla Campania giungono “Please Come” di Money System, “Itaparica” di Wigwam e “Test Pressing EP” di The Quartet prodotta da Salvatore Oppio e Salvatore Trinchillo. Su UMM Progressive tocca a “Vibrations” di D.S.P., “Orange” di Lys e “Racing Tracks ’97” dei CYB. Prodotto da Nick Morris e Jamie Lewis al B.S.S. Studio di Messina è “Paradise People” di N.J.P., Daniele Danieli ed Enrico Santacatterina si occupano di “Hold Me Back” di Rosa Garett, Oscar B. & Fabio “Red” Faltoni firmano “Don’t Stop” e i siciliani Tignino, Piparo e Callea tirano fuori dal loro Entroterra Studio “Message Of Love” di S-Naked.

X-Static - True Love
“True Love” di X-Static tira il sipario sulla UMM di casa Flying Records

Sebbene il seguito di “Deep In You” non centri l’obiettivo, UMM pubblica il primo e unico LP di Tanya Louise intitolato, banalmente, “The Album”. Dal lavoro edito su triplo vinile in edizione limitata e in CD, viene estratto anche un singolo, “Tougher”, scritto insieme a Joe Smooth. Limitato a una tiratura su white label è il disco di Key Dopa Feat. Adri, prodotto da Giancarlo Chieco e Donato Settanni, incapace di uscire dall’anonimato. A passare inosservato è pure il nuovo X-Static intitolato “True Love”, prodotto dai Visnadi e Ricky Stecca con evidenti rimandi ad Alex Party e cantato dalla triestina Federica Micheli, già voce per alcune produzioni uscite dal Palace Recording Studio di Andrea Gemolotto come “Automatik Sex” ed “Elektro Woman” di Einstein Doctor DJ, intervistato qui, ed “Eins, Zwei, Polizei” di Mo-Do. È l’ultimo disco che la Flying Records pubblica su UMM: la struttura napoletana, dopo aver vissuto anni memorabili, non riesce a risolvere le criticità gestionali e finanziarie e fallisce schiacciata dai debiti. Ma la storia della UMM non è ancora finita.

grafico uscite UMM
Un grafico che mostra l’attività della UMM dal 1991 al 1997 in relazione al numero di pubblicazioni annue. L’apice nel 1995 quando sul mercato arrivano circa 100 uscite nell’arco di 12 mesi
Abduction - Proud Mary
Con “Proud Mary” di Abduction la Media Records riavvia la UMM nell’autunno ’98

Marchio uguale mood diverso, la UMM del post Flying Records
Brescia, 1998: dopo aver acquisito i diritti per l’utilizzo in ambito discografico, la Media Records di Gianfranco Bortolotti rilancia il marchio UMM. Così, in autunno, il brand nato sette anni prima torna nei negozi di dischi con “Proud Mary” di Abduction, progetto curato da Mario Più e Mauro Picotto. Il brano gira su campionamenti tratti dall’omonimo dei Creedence Clearwater Revival scritto da John Fogerty e annovera una versione di Enrico Rossi e Stefano D’Andrea. Sotto il profilo grafico, l’etichetta si ripresenta con un logo simile a quello originale ma abbinato a immagini dell’iconografia religiosa, in quel periodo usate da Bortolotti per declinare alcuni advertising della Media Records. Sui dischi invece le diciture “this side” e “that side” vengono sostituite da “Jesus Icon” e “Apostles Icon”. Nel 1999 seguono “Keep On” degli House Breaker (Luca Lento, Roberto Terranova e Vincenzo Callea) in scia al cosiddetto french touch che prende piede nel mainstream, e “For Your Love” di Jim De Vitt, arrangiato da Raf Marchesini e Paolo Sandrini. Poi una nuova e lunga pausa sino al 2001, quando la direzione artistica viene affidata a Enrico Ferrari alias Barry Saint Just, reduce dal successo internazionale di “You See The Trouble With Me” di Black Legend. Per Ferrari si tratta di una sorta di ritorno su UMM, per la quale nel 1995 ha già inciso “Play House” di Sohante, insieme ai ragazzi dell’HWW Studio (Coccoluto, Martinez, Lenny). Con Angelo ‘Fun-K’ Raggi realizza “Everybody Everywhere” e “That’s A Trip” di Elephant & Shepherd a cui collabora il tastierista Gianni Abruzzese. Sul fronte remix i due ritoccano “New School Fusion” dei Rhythmcentric, un pezzo preso in licenza dagli States prodotto da DJ Foxx e DJ Sensé che sul lato a annovera due versioni dei Basement Boys. In solitaria invece “Electro Y.A.M.”, che celebra il vibe tribaleggiante degli anni migliori della UMM. Il 2002 è una delle annate più prolifiche del nuovo corso, seppur il cambio di passo rispetto ai tempi più rosei della Flying Records sia ben più che evidente. Arrivano “Shake Da Shake” di Furilla, “No Reason” dei Mambana (con remix di Axwell), “Kiss Me More” di CRW Feat. Veronika, “My Heart” dei redivivi 49ers, “Blow Your Mind (I Am The Woman)” di LP Project alias Lisa Pin-Up, “I Want Your Sex” di Soho Boy, cover dell’omonimo di George Michael prodotto da DJ Pagano con la voce di Alessandro Perrone, “To Me / Time Flies” di Masters, i remix di “Like I Love You” di Justin Timberlake a firma Deep Dish e Basement Jaxx, “Macumba / Voodoo” di Dogon Tribe e “On The Road” di Funky Punk, rimaneggiamento di “On The Road Again” degli spagnoli Barrabas.

Il mercato discografico dei 12″ destinati ai DJ sta per entrare nella crisi più nera, da un lato alimentata dalla diffusione della pirateria informatica e dei software peer-to-peer, dall’altro dai nuovi sistemi messi a disposizione dalle aziende come CDJ più performanti e sistemi digitali tipo Final Scratch. Il disco in vinile non è più l’unico supporto adoperabile dai DJ e questo rivoluziona irreversibilmente il comparto incidendo negativamente sulle vendite che crollano in modo verticale. Le conseguenze emergono presto, con moria generalizzata di etichette indipendenti e chiusura di distributori. Nessuno esce indenne dalla digital storm, neppure le realtà più consolidate come la Media Records costretta a ridurre progressivamente il numero di pubblicazioni annue. Nel 2003 su UMM è la volta di “Good Enough” di Fabio M, “I Won’t Be Waiting” e “Make A Move” di Furilla (la Plastic Dub Mix viene messa in moto dal campionamento di “Lost Angeles” di Giorgio Moroder), “Talk 2 Me” dei K-Klass, “Move Your Feet” dei Junior Senior potenziata dal remix dei Filur, “Get Set” di Masters, le versioni di Furilla di “Let The Sunshine In” dei 49ers, “Number One” di The Cat & Mr Cool e “Gipsy” dei tedeschi Gipsy, ripubblicata anche con remix di Robbie Rivera. Seppur il marchio resti lo stesso, appare evidente una discontinuità col passato, non tanto per la quantità di pubblicazioni la cui soglia viene erosa dalle ragioni economiche legate al mercato non più ricettivo come quello degli anni Novanta, quanto al mood profondamente differente. La UMM rinata a Brescia nel ’98 appare radicalmente diversa rispetto a quella partorita a Napoli nel ’91. Un’operatività portata avanti a fasi alterne sommata a un non chiaro obiettivo finisce con lo smontare l’apparato originario. All’etichetta ripartita in Lombardia manca dunque la visione, la ricerca e soprattutto l’incubazione di nuovi talenti. Tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila la casa discografica bortolottiana punta quasi tutto su BXR che garantisce risultati di assoluto pregio, così come raccontiamo qui, e probabilmente è anche ciò a determinare un livello di attenzione ridotto per UMM e un’altra storica etichetta house nata tra le sue mura, Heartbeat, a cui abbiamo dedicato qui una monografia, entrambe protagoniste di una parabola in costante flessione. Qualche stimolo in più viene destinato alla Shibuya Records partita nel 2000 e affidata ad Alberto Casella, intervistato qui, sulla quale “atterrano” nomi come Bob Sinclar e Celeda, ma pure quello si rivelerà essere un fuoco di paglia.

La corsa di UMM riprende nel 2004 con “My Mood” ed “Anything Is Mother” di Furilla, “Just Fuck” di Tom Neville, “Essential” di Fabrizio Rubessi, “Fast Driving / Helium” dei finnici Dallas Superstars e “Slip Away” di Mohito Feat. Howard Jones con remix di Steve Angello. La discografia è claudicante e si sta impantanando, Bortolotti ha lasciato la direzione della casa discografica a Filippo Pardini e non c’è più tanta pianificazione o strategia. Alla manciata di uscite anonime del 2005, “You And I” di Junior Brasco e “Fuck Me” di Greg Access & Pawel Labrentz, segue nel 2006 “2K6 EP” di Club House, edificato sulle cover di “Speed Of Sound” e “Don’t Stand So Close To Me” rispettivamente dei Coldplay e dei Police, e nel 2007 una doppia compilation su CD banalmente intitolata “Best Of UMM” che fruga nel catalogo mettendo insieme classici di un passato ormai remoto e nuovi remix usciti poco tempo prima come quello di “Now” dei CYB realizzato dai Cosmic Gate e quello di “I’m Standing” di X-Static approntato da Francesco Diaz. Nel frattempo il brand UMM passa ancora di mano e viene utilizzato dal team della filiale britannica della Media Records diretto da Pete Pritchard e David Louca che lo usa per marchiare una serie di pubblicazioni tipo “Be Free With Your Love” di Miami Dub Machine, “Jus Luv Bass” di Deepgroove, “Moonlight Party” di Fonzerelli e “What You Gonna Do?” di Jonathan Ulysses, musicalmente agli antipodi di quello che erano i contenuti dell’etichetta diretta da Tardio.

UMM last logo
Il logo UMM che accompagna l’ultimo tentativo di rilancio

A gennaio del 2017, dopo dieci anni di silenzio, Gianfranco Bortolotti “riaccende” la fiammella di UMM: nei negozi arrivano due 12″, “Eighteen EP” di Ten Words e “Snow In The Desert EP” di Joy Kitikonti, entrambi annessi alla corrente della “bigroom techno”. Gli scarsi riscontri convincono a tirare i remi in barca e rivedere la strategia per rispondere meglio a un mercato dinamico e in perenne evoluzione e ripartire, questa volta solo in digitale, nel 2018 con un nuovo A&R, Marco Dionigi. «La UMM cambia veste e rotta, del resto sono stato chiamato proprio per cambiare tutte le carte in tavola» afferma il DJ veneto in un comunicato stampa diffuso in Rete. «Bortolotti mi ha interpellato perché voleva dare a UMM una nuova identità. Proprio come me, lui non ama guardare al passato: è un visionario come lo sono io, ed è rimasto molto colpito dalle produzioni nu disco. Mi ha chiesto quindi di prendere in mano la label e costruirci sopra una nuova realtà musicale che mantenga però la posizione di fare musica d’avanguardia e puro clubbing sound». Per l’occasione Dionigi aggiunge che punterà su vari artisti senza dimenticare demo, sia italiane che estere, ma alla fine otto delle nove uscite finite negli store sono firmate da lui. Il sipario si chiude a maggio del 2019 col “Deeper EP” del salernitano Francesco Romano.

La testimonianza di Angelo Tardio

Tardio @ Flying Posillipo
Tardio intento ad ascoltare dischi nella prima sede della Flying Records a Posillipo (1989 circa)

Cosa ricordi dei primi anni di attività della Flying Records?
A Posillipo eravamo in due garage attigui, in uno allestimmo l’ufficio, nell’altro, più simile a uno scantinato, la parte amministrativa. Cominciammo in sordina comprando dischi dai distributori milanesi tipo New Music International, Non Stop, Discomagic e Giucar e vendendo limitatamente ai confini regionali della Campania. Poi, circa un anno dopo, convinti delle nostre capacità, pensammo di espanderci e a quel punto tirai dentro Mario Nicoletti che divenne una persona chiave per l’azienda. Avevamo voglia di crescere e l’ambizione non ci mancava ma non era sufficiente, essere meridionali e nuovi nel settore purtroppo giocò a nostro svantaggio. Tanti negozianti del nord ci chiudevano il telefono in faccia ma, a conti fatti, fu proprio questo atteggiamento a spronarci ulteriormente. Cominciammo a prendere le prime licenze dall’estero e poi a stampare produzioni italiane, anche di successo. Nell’arco di poco tempo proprio quelli che quando dall’altra parte della cornetta sentivano nominare la Flying Records riappendevano il ricevitore senza neanche salutare furono costretti a ricredersi e a fare ordini da noi. Ricordo ancora quando importammo “Bad” di Michael Jackson dal Canada, con copertina in formato gatefold non ancora disponibile in Italia: ne vendemmo migliaia! La Sony, che in quel periodo acquisì la Epic, ci accusò di rovinare il suo fatturato. Insomma, la Flying Records dei primi tempi era un luogo in cui si faceva ricerca continua, con una predilezione per le cose più appetibili che potevano trovare un consenso nel mercato italiano.

Quali motivi ti spinsero a creare la UMM nel 1991?
Mi nutro di musica da sempre e negli anni Settanta ho fatto anche il DJ. Rock, soul, jazz, synth pop, new wave, dub, house, techno, breakbeat, trance, ambient, l’unica distinzione che ho sempre fatto è quella tra musica bella e brutta. Rincorrere le cose commerciali non era ciò che sognavo di fare e, sentendo crescere in me un impulso creativo, avvertii presto l’esigenza di creare qualcosa di completamente mio e di cui avrei potuto sentirmi diretto artefice. La UMM fu il risultato.

UMM Alter
Il fuoristrada Alter, uno dei modelli più noti della casa automobilistica portoghese UMM

Ricordi qualcosa sulla creazione del nome e del logo?
Per l’occasione svelo un dettaglio che non avevo mai raccontato prima di questo momento: il nome dell’etichetta nacque su suggerimento del mio socio di allora, Flavio Rossi, che era un patito di auto fuoristrada. Tra le sue preferite c’era la portoghese UMM (acronimo di União Metalo Mecânica, nda) e lanciò l’idea di usare la medesima sigla. A quel punto studiai un nuovo significato da attribuire alle tre lettere, in linea con quanto avessi in mente. Non mi interessava nulla delle classifiche, avevo semplicemente il desiderio di selezionare la musica che più mi piaceva, anche a rischio di vendere pochissime copie. L’accordo stretto con Rossi prevedeva che nessuno, tranne me, avrebbe dovuto e potuto sindacare sulle scelte legate a UMM. Per quanto riguarda il logo invece, ci pensò Patrizio Squeglia, amico con cui collaboravo sin dal 1983, anno in cui realizzò la copertina del primo disco che produssi, “Come On Closer” di Pineapples Featuring Douglas Roop. Lui creava idee, io vagliavo e proponevo eventuali alternative. In merito al logotipo, ricordo che optammo per un font mai più usato da nessuno in seguito, per quanto concerne il logo invece, la scelta cadde su un globo contraddistinto da una sorta di rete, quasi una connessione internet primordiale, la rappresentazione grafica del movimento della musica underground irradiato sul pianeta.

Cosa ti torna in mente ripensando ai primi mesi di UMM?
Il destino volle che proprio mentre nasceva UMM vivessi un periodo assai doloroso della mia vita dovuto alla malattia e alla prematura morte di mio padre. Per qualche mese fui costretto quindi a trascurare un po’ il lavoro e infatti le prime uscite su UMM furono il frutto di scelte condivise, al 70% mie e al 30% di altri, tra venditori e referenti della sede britannica della Flying Records che aveva aperto da poco a Londra. Alcune pubblicazioni, come “Detroit 909” di K.G.B. ad esempio, vennero pubblicate prima oltremanica e a testimonianza c’è anche il numero di catalogo diverso, 003, che divenne 004 per l’Italia. “Powerful” di Fighting 4 uscì su UMM solo nel Regno Unito, da noi fu deciso di convogliarlo su etichetta Flying Records. Lo 001, “Real Dream” dei D.B.M., venne scelto da Flavio Rossi dopo averlo fatto sentire ai venditori, lo 005 invece uscì solo in white label ed era di Shamal, progetto dietro cui operava il team siciliano formato da Daniele Tignino, Riccardo Piparo e Vincenzo Callea (con quella ragione sociale nel 1992 firmeranno “Freedom Party” per la milanese Palmares Records, nda). A volte stampavamo qualche centinaio di copie per capire se il progetto potesse funzionare o meno e quindi vagliavamo se proseguire con la pubblicazione ufficiale. La Flying Records dei primi anni Novanta contava su un team di circa una settantina di persone sparse tra Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti (fra le quali il promoter Claudio Arillotta, intervistato qui, nda), e visto l’importante ruolo che giocava allora la scena britannica, alcune decisioni erano determinate da chi operava a Londra e aveva il polso della situazione. Dopo aver avuto il tempo di organizzarmi però, ebbi il pieno controllo di UMM, etichetta che ho concepito in modo diverso dalle classiche, soprattutto quelle italiane. Per rimarcarlo decisi di sostituire il lato A e B con le indicazioni This Side e That Side. Non volevo seguire il modello della discografia tradizionale abituata a solcare sul lato A il pezzo forte e relegare al B il resto, per me non esisteva quella suddivisione.

Nel corso degli anni alcuni numeri del catalogo sono stati saltati, tra cui il 200. Errori o “buchi” intenzionali?
Difficile dare una spiegazione dopo così tanto tempo. Poteva trattarsi di white label a cui assegnammo il numero di catalogo e poi decidemmo di non pubblicare per qualche ragione, ma anche di banale casualità dovuta alla miriade di vorticosi avvenimenti di allora. In alcuni periodi UMM ha immesso sul mercato più di dieci uscite al mese quindi è legittimo pensare a qualche svista.

Conservi una copia di tutti gli UMM?
No, nemmeno uno. Del resto non ho avuto l’accortezza di conservare neanche una t-shirt o le mie produzioni tipo Kwanzaa Posse.

C’è un brano che avresti voluto prendere in licenza per UMM ma al quale, a causa di accordi non andati in porto, hai dovuto rinunciare?
Certo, più di uno. Il primo che mi viene in mente è “Plastic Dreams” di Jaydee (intervistato qui, nda), originariamente su R&S Records: feci di tutto per averlo ma Giacomo Maiolini offrì una cifra spropositata accaparrandoselo per la sua Downtown. Non mi sono mai piaciute le aste ma quella volta forse avrei fatto meglio a gareggiare, è una spina che mi è rimasta nel fianco. Un altro titolo è legato ancora al gruppo R&S Records di Renaat Vandepapeliere, “Selected Ambient Works 85-92” di Aphex Twin, che però uscì sulla sublabel Apollo. In quel caso non c’entrava il denaro bensì la precisa scelta, di Vandepapeliere, di non licenziarlo a nessuno per mantenere il completo controllo dell’opera. Potrei citarne anche un terzo, “Some Lovin'” dei Liberty City, progetto dei Murk e rilevato per l’Italia dalla D:vision Records. Tuttavia riuscii a coinvolgere ugualmente Oscar Gaetan e Ralph Falcon che vennero nello studio della Flying Records per registrare il remix di “Musika”, un singolo del mio progetto Kwanzaa Posse uscito nel 1993. Proprio in quello studio, allestito sul progetto acustico di Robert Quested ed equipaggiato con un magnifico mixer Amek Angela, qualche tempo dopo giunse Todd Terry e mi fece ascoltare in anteprima “Jumpin'” che presi all’istante per UMM.

Qual è stata la licenza più complicata da acquisire?
Senza ombra di dubbio “I Like To Move It” dei Reel 2 Real, ma non a causa di ragioni economiche come qualcuno potrebbe pensare, visto che ero in ottimi rapporti con Mark Finkelstein della Strictly Rhythm e questo mi metteva peraltro su una corsia preferenziale rispetto ai competitor. Le problematiche sorsero invece con Erick Morillo che impose una lunga serie di condizioni a cui dovetti sottostare, ma ero talmente convinto delle potenzialità del pezzo da non arrendermi di fronte a tutte quelle difficoltà.

Daft Punk + Blake Baxter
Daft Punk e Blake Baxter, tra le pubblicazioni meno fortunate della UMM

Tra le svariate decine di artisti sbarcati nel nostro Paese attraverso UMM ci sono stati anche i Daft Punk: come ricordi “The New Wave”, ormai diventato un cult sul mercato del collezionismo?
Ascoltai un promozionale a Miami che mi fecero sentire gli amici della Soma, etichetta per cui nutrivo molto rispetto e che pubblicò la musica del duo francese prima di essere messo sotto contratto dalla Virgin. La sensazione che provai dopo aver ascoltato “The New Wave”, “Assault” ed “Alive” fu simile a quella che generò in me l’anno prima “Racing Tracks” dei Visnadi. Era musica che viaggiava su un suono diverso, non paragonabile a nient’altro in circolazione ai tempi. Rimasi fortemente affascinato da quel disco e, da supporter del suono fuori dai canoni tradizionali, lo volli nel catalogo UMM nonostante in Flying Records non piacesse praticamente a nessuno, tranne a me e a Patrizio Squeglia. I risultati purtroppo furono impietosi, vendette forse un centinaio di copie e i resi finirono al macero. Non avevo certamente la pretesa di vederlo in cima alle classifiche di vendita ma ero convinto che, in virtù di quanto fatto sino a quel momento, ci saremmo potuti permettere di pubblicare anche pezzi così particolari ma i fatti non mi diedero ragione. “The New Wave” dei Daft Punk, a malincuore, resta uno dei più grandi flop targati UMM.

Che responsi sortirono invece le uscite degli Underground Resistance e di Blake Baxter del 1991?
Le licenze degli Underground Resistance andarono decisamente meglio rispetto a quella dei Daft Punk, complice il momento d’oro che viveva la musica dei rave. In numeri, credo viaggiassero dalle duemila alle tremila copie, non di più. Di “Strong To Survive / Fuck You Up” di Blake Baxter invece ne vendemmo poche centinaia. Con Jeff Mills e Mike Banks, incontrati al New Music Seminar a New York (come raccontato qui, nda) dove parlammo a lungo di musica, c’era stima e rispetto reciproci. Ai tempi tante cose nascevano così, in modo spontaneo, senza sovrastrutture o pianificazioni a tavolino ma per puro amore nei confronti di ciò che si stava facendo. Credo che gli Underground Resistance capirono subito che dall’altra parte ci fosse un amante della musica e non qualcuno che volesse speculare sulla loro creatività.

Quali sono stati i bestseller del catalogo UMM?
Per quanto riguarda le produzioni italiane, senza dubbio “Alex Party”, successivamente nota come “Read My Lips”, “Don’t Give Me Your Life” e “Wrap Me Up” degli Alex Party e “I’m Standing” degli X-Static. Pure “Crayzy Man” dei Blast (di cui parliamo qui, nda) raccolse ottimi risultati e pochi mesi dopo lo seguì “I’m A Bitch” di Olga (di cui parliamo qui, nda): il successo fu tale da richiedere la presenza di una ragazza a cui affidare l’immagine del progetto e che tenne centinaia di serate nelle discoteche. Sul fronte licenze invece, i primi che mi vengono in mente sono “These Sounds Fall Into My Mind” di Bucketheads, “I Like To Move It” dei Reel 2 Real, “Jumpin” di Todd Terry e “Deep Inside” di Hardrive, successi conclamati ovunque.

Quale invece il meno fortunato e che, a tuo avviso, avrebbe meritato di più?
“NOFutureNOPast” dei Visnadi, uscito nel ’91, un disco bellissimo, seminale per tante idee racchiuse all’interno, da cui fu estratto “Hunt’s Up” in varie versioni tra cui la memorabile Live Mix registrata in presa diretta con improvvisazioni stranianti, analogamente a quelle che i Visnadi riproposero in “Racing Tracks”, altro pezzo alieno incompreso soprattutto qui in Italia. Solamente venti anni più tardi (2013) se ne iniziò a parlare, grazie a Maceo Plex che ne fece un edit per il suo “DJ-Kicks”, e Richie Hawtin e Ricardo Villalobos che lo hanno ripetutamente inserito nei loro set e questo mi ha gratificato, seppur con immenso ritardo. Non ho rimpianti comunque, sono sempre stato convinto delle mie scelte e l’obiettivo di UMM non era certamente quello di muovere grandi numeri seppur in qualche caso ciò sia avvenuto.

Quanto incideva UMM sul fatturato della Flying Records? Ci sono state annate più floride di altre?
Quando mollai la società, a fine ’95, Flying Records fatturava 43 miliardi di lire annui di cui una quindicina provenienti da UMM. Gli anni d’oro furono quelli compresi tra 1992 e 1995 e a farmelo capire sono stati anche i negozi di dischi più importanti del mondo, sparsi tra Londra, New York e Miami, che destinavano uno scaffale esclusivamente alle uscite UMM. Per me fu davvero appagante.

Nel 1994, con un disco dei CYB, si apre il sentiero parallelo della UMM Progressive. Fu la necessità di trovare un più corretto incasellamento stilistico a spronarti nel creare una variazione del brand?
Esattamente: decisi di avviare UMM Progressive per raccogliere quei brani che finivano in territori differenti dalla house. Da divoratore di musica globale, non accettavo di rinchiudermi in un solo genere o pormi confini di sorta ma piuttosto avevo l’ardente desiderio di abbracciare qualsiasi cosa mi piacesse, che fosse di matrice house o techno. Forse avrei dovuto varare UMM Progressive già l’anno prima, quando pubblicai diversi brani e l’album degli Spooky, dal catalogo della Guerilla di William Orbit. Apprezzavo molto quel nuovo filone, progressive per l’appunto, che nasceva nel Regno Unito e in cui confluivano elementi house, breakbeat, techno, ambient e trance. Poi è capitato che, tra i tanti, ci fossero pure pezzi più commerciali finiti nelle programmazioni radiofoniche e nelle compilation dance, come “It’s Too Funky” dei CYB, ma non fu un’operazione intenzionale anzi, mi stupii nel trovare allineati i gusti del mercato generalista coi miei.

UjaMM'n
Il logo della UjaMM’n

In quello stesso anno, il 1994, tra le mura della Flying Records nasce la UjaMM’n, a posteriori considerata una sublabel o comunque un’etichetta vicina a UMM viste le spiccate analogie del logo. In realtà però di similitudini sul fronte musicale, almeno nel primo periodo, ne correvano ben poche. Esisteva una relazione tra le due?
Flying Records era diventata un ombrello di una moltitudine di generi, incluso l’hip hop (dopo i De La Soul rinsaldammo la partnership con la Tommy Boy e portammo in Italia Naughty By Nature e Queen Latifah), il rock e la musica italiana. UjaMM’n, da pronunciare youjammin’, nacque per coprire il segmento soul, new jazz e fusion, e fu affidata al compianto Francesco Diana che mi teneva aggiornato facendomi puntualmente ascoltare tutto ciò su cui lavorava. Le analogie del logo a cui ti riferisci servivano, banalmente, a far capire che fosse un “satellite” della Flying Records. In assenza di uno strumento potentissimo come internet, ci si ingegnava in altri modi per lanciare messaggi agli acquirenti.

L’attività di UMM ti ha messo in contatto con centinaia di persone, tra musicisti, DJ e case discografiche. Quali sono i nomi che riaffiorano nella tua memoria ripensando a questa avventura?
I fratelli Gianni e Paolo Visnadi, tra coloro che hanno inciso più dischi in assoluto per UMM, da quelli rimasti nell’underground ad altri diventati hit planetarie. Ci conoscemmo nei primi anni Novanta discutendo di artisti che nulla avevano da spartire con la dance come Steve Reich e Brian Eno. Mi dissero che avevano proposto invano i loro pezzi a diverse case discografiche e dopo averne ascoltati alcuni capii immediatamente che fossero cose di spessore, ignorate dagli altri perché incapaci di comprenderne le potenzialità. Pubblicare i loro primi dischi per me fu una scelta coraggiosa, di pancia direi, perché si trattava di musica apparentemente senza mercato, specialmente per l’Italia. Fortunatamente potevo contare su un valido supporto distributivo giacché Flying Records, nel frattempo, aveva consolidato la propria attività e l’apertura di una filiale a Londra e poi una a New York, a Broadway, condividendo lo stesso stabile della Irma, mi aprì le porte del mondo intero. Il nostro rapporto si rinsaldò ulteriormente con “Four Journeys” e “Hunt’s Up”. Dopo aver messo in circolazione quei pezzi iniziò un vero e proprio pellegrinaggio da parte di tantissimi che ambivano a vedere la propria musica stampata su UMM compresi futuri grandi DJ di fama mondiale. Altri due amici con cui ho condiviso il percorso stringendo una relazione duratura sono stati Gianni Bini e Fulvio Perniola ossia i Fathers Of Sound. “Revelation”, del 1993, resta uno dei miei preferiti del catalogo. Quando me lo fecero ascoltare per la prima volta impazzii letteralmente al punto da non chiedere di approntare nuove versioni, quella era sufficiente e infatti il disco era un single sided, inciso solo da un lato, sull’altro c’era una favolosa serigrafia. Al brano è legato anche il ricordo di una UMM Night presso il Warsaw Ballroom di Miami, dove c’erano almeno duemila persone e non si riusciva neanche a camminare. Bini e Perniola aprirono il set proprio con “Revelation” e lasciarono il segno in un locale house per eccellenza, paragonabile al Warehouse di Chicago, mi viene ancora la pelle d’oca a ripensarci. Il resto lo fece un formidabile sound system. Tra i referenti di case discografiche mi tornano in mente i fratelli Marin della Cutting Records da cui presi in licenza il primo album dei Masters At Work: rimasero sorpresi quando si resero conto che stesse vendendo più la stampa italiana di quella americana! Esterrefatto fu pure il citato Finkelstein della Strictly Rhythm nel momento in cui sentì la Heavy Weather Mix di “Deep Inside” di Hardrive che commissionai ai Visnadi. Menzionerei infine Francesco Zappalà per la spettacolare raccolta “UMM In Progress – Code 1” accompagnata da una copertina altrettanto speciale, che immortalava una scultura futuristica realizzata da Patrizio Squeglia allestita in un cubo di vetro. Spero che qualcuno sia riuscito a salvarla dopo la chiusura della Flying Records.

Kwanzaa Posse
Sopra Tardio in consolle, sotto le copertine dei tre 12″ di Kwanzaa Posse usciti tra ’91 e ’93 e impreziositi dai remix di Jam El Mar & Mark Spoon, Massive Attack e Murk

Oltre a ricoprire ruolo di A&R, in quegli anni operavi anche in studio di registrazione come Funk Master Sweat e nel team Kwanzaa Posse. Quali sono i tuoi ricordi più belli legati a questi progetti?
Come Funk Master Sweat firmai diversi remix principalmente per dischi licenziati o prodotti dalla Flying Records come “Feel It” di Adonte, “Soul Magic” di YBU, “Friends” di Amii Stewart e “Living For The Night” di Underground Resistance Featuring Yolanda. Con quello pseudonimo produssi anche delle tracce tra cui “House Of Latin” e “Detroit” finite in un EP in cui ospitammo i KCC (Keith Franklin, Cisco Ferreira e Colin McBean, nda). Kwanzaa Posse invece nacque per dare sfogo a un’altra mia esigenza, miscelare gli stili che programmavo come DJ nel 1976 ovvero disco, rock, funk e tanta musica nera. Sostanzialmente una maniera con cui creare la musica che più mi piaceva senza dover sottostare agli obblighi di mercato, proprio come stavo facendo in parallelo per UMM. Alla base di Kwanzaa Posse (il termine “kwanzaa” lo presi in prestito dal vocabolario Swahili e significa “primizie”) c’era un melting pot di stili, musiche, culture e sonorità, un mix eterogeneo ma ragionato che rappresentava più che bene il mio lato artistico. Ad aiutarmi in studio furono Carmine ‘KeyB’ Tortora, musicista napoletano che conosceva benissimo jazz, funk, folk e musica africana in genere, ed Enzo ‘Soul Fingers’ Rizzo, ingegnere del suono che mise a disposizione la sua esperienza per ottenere il meglio di quel distillato sonoro. Debuttammo nel 1991 con “Wicked Funk”, brano a metà strada tra acid jazz, afro e funk contenente un campionamento (autorizzato, ci tengo a sottolinearlo) di “Sorrow Tears And Blood” di Fela Kuti. Tra i remix quello dei tedeschi Jam El Mar e Mark Spoon: incontrai Mark al New Music Seminar di New York e gli feci sentire il pezzo in albergo, seppur fosse poco più di una demo. Con la sua classica giovialità ed esuberanza, mi disse subito che lo avrebbe voluto pubblicare su Logic Records, etichetta per cui ai tempi ricopriva ruolo di A&R. Ma non era tutto: la traccia gli piacque al punto da volerne fare un remix insieme al suo amico Jam El Mar con cui stava lavorando a un album, “Breaks Unit 1”, e con cui avrebbero dato avvio al progetto Jam & Spoon. “Wicked Funk” vendette diverse migliaia di copie ma ad oggi non è mai stato ristampato. Girava a 104 bpm e questo lo rese assai coraggioso visto che era il periodo in cui la maggior parte dei produttori si lanciava a capofitto nella techno a velocità elevate. Gli ottimi riscontri ci fecero guadagnare parecchie richieste come remixer, specialmente per la Francia. Mettemmo le mani su “Qui Sème Le Vent Récolte Le Tempo” di MC Solaar, “Didi” di Khaled, “Vive Ma Liberté” di Arno, “Maman” di Nina Morato, “Voilà, Voilà…” di Taha, “Sexe Faible” di Jérôme Dahan, “C’est Déjà Ça” di Alain Souchon e diversi brani per la band Les Negresses Vertes che vinsero il disco d’oro e oggi sono considerati evergreen. Nel 1992 mi occupai anche del singolo di debutto dei 99 Posse, “Dì Original Trappavasciamuffin Stailì”, contenente “Rafaniello” e “Salario Garantito”, con cui tagliammo il nastro inaugurale della Crime Squad, l’etichetta hip hop della Flying Records sulla quale poi debuttarono gli Articolo 31, i Sangue Misto, DJ Flash, i Sottotono e tanti altri. A seguire i remix di “Curre Curre Guagliò” ancora dei 99 Posse, “Here Comes Bo Diddley” di Edoardo Bennato & Bo Diddley, “Qui Gatta Ci Cova” di Tullio De Piscopo, “New State” degli scozzesi Hue & Cry, “Señor Matanza” dei Mano Negra e altri ancora. Nel 1994, proprio per i Mano Negra e sempre sotto il moniker Kwanzaa Posse, produssi “Casa Babylon”, l’ultimo album prima del loro scioglimento. Manu Chao, entusiasta del risultato, tornò a Napoli e insieme realizzammo in circa un mese l’album “Radio Bemba”, di cui conservo ancora il master, che però non venne mai pubblicato. Parte di quel lavoro fu riciclato molti anni più tardi in “Radio Bemba Sound System” da cui fummo omessi dai crediti perché, a parere del francese, i pezzi furono completamente trasformati. Nel frattempo Kwanzaa Posse era andato avanti con altri due singoli, “African Vibrations” del 1992, che tra i remix annoverava quelli di MBG e dei Massive Attack realizzato a Napoli, e “Musika” del 1993, impreziosito dalle versioni dei Visnadi e, come dicevo qualche riga sopra, dei Murk.

fax David Byrne
Il fax spedito a Tardio da David Byrne il 21 maggio 1996

A differenza di UMM, Kwanzaa Posse era un progetto di mia proprietà e libero da oneri contrattuali e che potei proseguire anche dopo aver abbandonato la Flying Records. Nel 1996 infatti remixammo “Senza Rimorso” di Zucchero, “Memobox” degli Üstmamò ma soprattutto producemmo il primo album dei King Chango per la Luaka Bop, l’etichetta di David Byrne dei Talking Heads. Conservo ancora il fax che David mi mandò nella primavera di quell’anno. In seguito ci dedicammo alle colonne sonore e musica destinata alle sonorizzazioni televisive. “Visions”, ad esempio, fu utilizzata per circa quattro anni come sigla di testa e coda di un programma di moda della Rai, Oltremoda.

Nel 1996 abbandoni la Flying Records e stringi una collaborazione con la Time Records creando tre nuove etichette, Suntune, Sunlite e Moonlite, che si ritagliano presto spazio nello scenario discografico. A fortunate licenze (“Keep Pushin'” di Boris Dlugosch, “Fever” di Djaimin & Djaybee, “Get Up (Everybody)” di Byron Stingily, “Are You Ready For Some More?” dei Reel 2 Real, “U” di Scot Project, “Guitara Del Cielo” di Barcelona 2000 intervistato qui, “The Lost City” di Graham Gold) si sommano vari made in Italy (“Be (What U Wanna Be)” degli Activa, “Zoe” di Paganini Traxx, “Journey # One” di Nu-Bass alias Bini & Perniola, “The Deep” di Val Weller, “Live EP” di Walterino, “Ye, Ye” di Tribal FM) che, di fatto, innestano su quella triade di marchi bresciani parte dell’aura della UMM. Quali ragioni ti portarono via dalla casa discografica napoletana e come mai, nonostante i rincuoranti risultati, il sodalizio col gruppo guidato da Giacomo Maiolini durò appena un biennio?
Lasciai la Flying Records poiché in netto disaccordo con la politica gestionale del mio socio. Nel primo quinquennio degli anni Novanta l’azienda crebbe in maniera esponenziale, ci eravamo trasferiti da Posillipo ad Agnano, in via Raffaele Ruggiero, dove rilevammo un’immensa parte industriale destinata al deposito, allo studio a cui facevo prima riferimento, agli uffici dell’amministrazione, e al reparto publishing con la società editoriale Blue Flower. Senza ovviamente dimenticare la nascita delle filiali a Milano, in Via Mecenate, a Londra e a New York. Flying Records era diventata una S.p.A. ma poiché socio di minoranza, alla fine si faceva sempre quello che volevano loro. La goccia che fece traboccare il vaso fu il rifiuto di un’allettante proposta da quattro miliardi di lire avanzata da un’importante compagnia discografica olandese intenzionata a rilevare la proprietà. Per principio decisi di andare via, senza prendere un solo centesimo e vedendo tristemente polverizzarsi tutto il mio lavoro nell’arco di pochissimo tempo. A quel punto Maiolini, che mi conosceva già, mi propose di continuare a fare con lui ciò che avevo fatto con UMM. Sulla carta avevo la massima libertà e per circa un anno effettivamente fu così e credo che i risultati si siano visti. Suntune era quella che avrebbe raccolto l’eredità di UMM, Sunlite fu ideata per le ricette più pop e Moonlite l’equivalente della UMM Progressive, destinata quindi a prodotti di matrice trance/techno come ad esempio “Zoe” di Paganini Traxx, un pezzo in stile Underworld che raccolse grande successo all’estero, specialmente nel Regno Unito dove fu ripubblicato da una delle etichette dance della Sony. Il primo anno in Time lo ricordo pieno di passione, diedi anima e cuore a quel progetto per farlo funzionare sottraendo anche energie necessarie ad Undiscovered, etichetta che avevo creato nel ’94. Dopo la prima fase, incoraggiante direi, iniziarono però gli screzi con Maiolini e intuii che non ci fosse la sensibilità per capire che i progetti di successo si costruiscono col tempo, necessario per creare profilo, direzione e personalità. Del resto i primi dischi della UMM vendettero poche centinaia di copie ma a Brescia non avevano nessuna intenzione di attendere anzi, pretendevano tutto e subito. Lì non trovai nessuno spirito da musicofilo ma solo conti da ragioniere. Dopo il mio abbandono Suntune, Sunlite e Moonlite finirono nell’oblio ma Maiolini creò subito un marchio nuovo per proseguire su un percorso simile, Rise, che affidò, ironia della sorte, ancora a un ex dipendente della Flying Records, Alex Gaudino.

Poco fa parlavi della Undiscovered, etichetta nata nel 1994 sull’asse Napoli-Londra dalla sinergia tra te, Angelo Bernardo, Mario Nicoletti e Doug Osborne e trainata dai successi dei Livin’ Joy a partire da “Dreamer”, presto approdata a Top Of The Pops. Perché creasti una realtà parallela mentre eri ancora impegnato con la Flying Records?
I motivi erano i medesimi che mi spinsero a mollare tutto alla fine del 1995. Io puntavo alla sostanza, a coltivare nuovi talenti, a sinergie che avrebbero rivelato i frutti sulle lunghe distanze, Rossi invece spingeva per aumentare il volume di produttività delle compilation e investiva centinaia di milioni di lire in spot televisivi, su imitazione dei classici discografici milanesi e dell’Italia settentrionale in genere. Insomma, nell’aria si respirava già un certo malessere e così cercai di creare un’alternativa in caso di rottura. Ad aprire il catalogo di Undiscovered fu il promo di “Dreamer” dei Livin’ Joy che generò un risultato spiazzante, tutte le grandi compagnie avanzarono delle offerte ma alla fine scegliemmo la MCA dove lavorava una persona che stimavo molto, Steve Wolf, che a sua volta era amico stretto di Pete Tong. Come certificato da BPI, “Dreamer” ha conquistato un disco di platino, uno d’oro e uno d’argento pari a un milione e duecentomila copie vendute solo sul territorio britannico, ma ciò non fu sufficiente a destare l’interesse degli addetti ai lavori italiani che lo ignorarono, forse perché troppo distante dai loro gusti. A remare contro fu anche la totale assenza di promozione, io non potevo certamente sbilanciarmi perché lavoravo ancora in Flying Records. Qualcosa cambiò due anni dopo con “Don’t Stop Movin'”, disco d’oro nel Regno Unito con quattrocentomila copie vendute e arrivato in Italia grazie alla Zac Records che, nel frattempo, aveva stretto una partnership di esclusiva con MCA.

BPI Certificazioni
Le certificazioni BPI (British Phonographic Industry) relative alle vendite oltremanica di “Dreamer” e “Don’t Stop Movin'” dei Livin’ Joy. Si rinviene anche un dato più recente legato a “Don’t Give Me Your Life” degli Alex Party, disco d’oro con 400.000 copie all’attivo

In modo inversamente proporzionale rispetto alle tue interviste e dichiarazioni, tra cui quelle affidate a Billboard e Rossella Rambaldi, UMM ha vantato svariate decine di pubblicazioni annue toccando l’apice nel 1995 quando ne escono circa un centinaio: ritieni di aver peccato di troppa prolificità?
Nel 1995 sapevo che sarei andato via ma ritardai al massimo quella decisione perché nutrivo un vero affetto e amore per UMM. Conscio che la fine fosse comunque vicina, diedi fondo alle energie e il risultato fu avere così tante uscite. Sulle scelte, dunque, non ho rimpianti e rifarei tutto, sulla capacità di gestione, per tutelare il marchio ad esempio, col senno di poi mi sarei sicuramente dato più da fare visto ciò che avvenne dopo il mio abbandono.

Tra ’96 e ’97 la UMM viene guidata da Giuseppe Manda e Maurizio Clemente, dal ’98 in avanti riparte invece sotto l’egida della Media Records: che idea ti sei fatto su quelle fasi?
Sarò schietto: per me tutto quello che è uscito su UMM dal 1996 in avanti non rifletteva più il concept originale, dal logo alla musica. L’unico elemento comune nella gestione Manda/Clemente fu rappresentato da quei progetti che avevo già approntato io e che attendevano solo di essere pubblicati, per il resto mi sembra che ad avere la meglio fosse un riflesso commerciale, aumentato in modo sensibile negli anni a seguire.

UMD
Il logo dell’etichetta milanese UMD

Nel 1993 la milanese Dig It International lancia una nuova etichetta house, la UMD, acronimo di Underground Music Department: era una chiara risposta a UMM?
Più che risposta la definirei uno scimmiottamento totale, al 100%. Si trattò di un progetto partorito dalla tipica scuola milanese che puntava solo al mercato, pensando di poter sfruttare nomi e slogan per raggiungere velocemente i consensi del pubblico, un tipo di ideologia e approccio che non mi appartiene.

Nei primi anni Novanta il termine “underground” finisce con l’identificare un macro genere in cui confluisce un ampio range di house music, dalla solare garage con la vocalità in primo piano a soluzioni che privilegiano il ritmo e suoni più scuri e dub. Credi che a ispirare questo tipo di utilizzo del termine in Italia sia stata anche la UMM?
Il contributo offerto da UMM per collegare quella parola a un genere è sicuramente stato fondamentale. Come ho detto più volte, non ho mai pensato di soddisfare le esigenze commerciali o compiacere il mercato. Il mio intento era, semplicemente, far sentire alla gente quello che io reputavo valido perché in quel momento storico c’era tantissima musica interessante in circolazione. Non ho mai attuato strategie di marketing sotto il profilo di nomi e nomenclature, ho preferito rimarcare il valore che c’era dietro l’underground con la musica stessa e non con le parole come invece hanno fatto altri.

Ad aiutare la diffusione del marchio UMM è stato anche il comparto del merchandising, iniziato in Flying Records e poi proseguito con l’acquisizione da parte della società Moda&Musica dei fratelli Pasquale e Gennaro Cristillo. Che ricordi hai in merito?
L’idea sorse nel 1993 quando stampammo cento t-shirt destinate esclusivamente ai DJ e produttori con cui lavoravamo, dai Visnadi ai Fathers Of Sound passando per Claudio Coccoluto, DJ Pippi e David Morales. Le mandammo anche ai De La Soul visto che fummo noi a licenziare in Italia il loro primo album, “3 Feet High And Rising”, che nel 1989 vendette circa 45.000 copie facendoci guadagnare la stima incondizionata di Tom Silverman della Tommy Boy. L’iniziativa doveva finire lì ma il riscontro fu pazzesco e le richieste crebbero smisuratamente. Alle t-shirt abbinammo bomber, slipmat e borse portadischi ma non volevo separare il merchandising dalla musica, per me non doveva essere il mercato a dirci cosa fare bensì l’esatto opposto. Non mi piaceva l’idea, ad esempio, di inondare i negozi con decine di modelli diversi, era una strategia che non combaciava più con la natura della UMM. Quando Flying Records fallì, nel 1997, i diritti per lo sfruttamento del marchio UMM nel campo dell’abbigliamento, analogamente a quelli discografici passati nelle mani della Media Records, vennero ceduti ad una società campana che diede subito un segno di discontinuità col passato non usando più il font originale. Col rispetto per ciò che hanno fatto i Cristillo prendo però doverosamente le distanze: quella non era certamente la UMM e rimasi indignato per quanto venne riportato dopo la prematura scomparsa di Gennaro sia su Il Mattino, quando venne definito “il fondatore della storica etichetta discografica UMM”, sia su Caserta News che invece ne parlava come “l’ideatore del marchio UMM”.

Quanto Angelo Tardio c’è stato nella UMM?
Tolte alcune delle prime uscite del 1991 che scelsero altri per motivi prima esposti, UMM è stata al 100% mia tra 1992 e 1995. Ero pronto a raccogliere idee e suggerimenti ovviamente, ma a decidere sono stato sempre e solo io.

Se ipoteticamente domani potessi tornare alla guida della UMM, quali sono i brani o gli artisti che pubblicheresti?
Mi piace molto la musica di Henrik Schwarz e Dino Lenny, ma anche le cose più recenti che Paolo Visnadi ha realizzato con Matteo Bruscagin. Visto il fortissimo rigurgito degli anni Novanta che viviamo, tornerei dalle persone con cui ho instaurato un maggiore feeling e intesa proponendo di creare degli edit di alcuni pezzi pubblicati in passato per valorizzare idee non sviluppate a dovere. Inoltre, visto l’amore che nutro per il dub, l’afro e il downbeat, probabilmente creerei una sublabel destinata a questi stili così come feci con UMM Progressive.

Nel 2019 Nick Gordon Brown ha scritto un articolo per il sito della Defected annoverando, tra etichette come Warp, XL Recordings, Soma, Ninja Tune, R&S Records e Kompakt, anche UMM: per quali ragioni credi sia riuscita a lasciare un solco tanto profondo del proprio passaggio?
Forse perché è stata pura, vera e non ha strizzato l’occhio a niente. Contava su un progetto grafico accattivante che procedeva di pari passo alla musica, e poggiava su una logica dell’essenzialità, legata alla musica stessa e non ad altro. La nostra era una missione genuina e artigianale, alimentata dalla passione e non da velleità economiche, e questa onestà alla fine ha dato i suoi frutti. La gente capisce quando qualcosa è sincera e fatta col cuore. Il marchio divenne potente e ad accorgersene furono anche grandi nomi di fama mondiale che fecero ulteriormente crescere la nostra credibilità. Uscire su UMM era “figo”, faceva curriculum, in un periodo in cui house music voleva dire rivoluzione. Oggi invece è un genere come tanti altri, tristemente inghiottito dalla globalizzazione.

Quali sono le tre parole con cui sintetizzeresti l’epopea della UMM?
Ricerca, connessione e unicità.


La testimonianza di Patrizio Squeglia

Patrizio Squeglia alla consolle del My Way di Napoli (1989)
Un giovane Patrizio Squeglia in consolle al My Way di Napoli nel 1989

Come e cosa ricordi del periodo in cui ti venne chiesto di approntare il logo di UMM?
È importante fare qualche premessa. Dal 1988 stavo vivendo un momento magico come DJ. Ero molto popolare nella nightclubbing cosiddetta underground, proponendo musica che mi piaceva senza mediazioni, come avevo fatto già in passato durante le prime esperienze nei club punk e new wave. Questo approccio a un certo tipo di suono non banale, poco pop e per nulla convenzionale, fece sì che la mia visione estetica dell’underground fosse ben chiara e soprattutto molto sentita, senza fare alcuno sforzo mentale per cercare di capire o interpretare cosa stesse per succedere in quegli anni perché io stesso stavo partecipando attivamente al cambiamento. Quando mi fu presentato il progetto della label dedicata alla musica che amavo e proponevo quindi fu abbastanza semplice arrivare a una soluzione efficace, anche perché stavo realizzando qualcosa che piaceva a me e a quelli come me, senza pressioni esterne che potessero condizionarmi nelle proposte. Altra premessa che ritengo importante riguarda il mio metodo di lavoro come creativo. Non so se sia un difetto o un pregio che mi porto dietro dagli studi artistici e che nemmeno i docenti dell’epoca riuscirono a cambiare: non ricorro a bozze o a schizzi cartacei e non realizzo prove materiali su un progetto grafico, ma penso continuamente alla soluzione finale senza stendere giù appunti. Quando nella mia mente visualizzo ciò che mi piace metto in opera il quasi definitivo, e anche con UMM successe esattamente la stessa cosa. Ricordo la pressione del CEO della Flying Records, Flavio Rossi, che giustamente reclamava qualcosa da vedere senza però ottenere nulla da me per il motivo descritto. Poi un giorno, in tarda mattinata, misi insieme tutto quello che avevo in testa e in un’oretta circa buttai giù il logo UMM compreso dell’icona a forma di globo. Unica bozza, unica opzione, lo guardai pochi minuti e senza esitazioni lo presentai esclamando «questo è il logo UMM, per me è giusto così» e dopo un breve silenzio Flavio Rossi e Angelo Tardio approvarono. Pensai subito di aver centrato l’obiettivo. Quelle tre lettere bold così severe e imponenti avevano la giusta intenzione rappresentativa del mondo clubbing che stava scrivendo la storia della musica underground, erano qualcosa di esteticamente massiccio e solido in linea con la musica che dovevano rappresentare.

Come annunciavi poche righe fa, per UMM realizzi, oltre al logotipo, anche un simbolo/logo globoidale, utilizzato principalmente per le logo side dei dischi ma poi finito anche sulle copertine, sia dei mix 12″ che dei CD e cassette. Cosa rappresentava esattamente?
Il globo composto da una griglia imperfetta, dai tratti irregolari e brush, faceva riferimento a quello che era il lato “oscuro e misterioso” del club, fatto da un suono sperimentale per un pubblico che voleva appunto sperimentare qualcosa di nuovo da costruire e vivere liberamente senza porsi limiti.

cataloghi merchandise UMM (1994 e 1996-97)
Altri cataloghi del merchandising UMM: a sinistra quello del ’94, a destra quello del ’96/’97

Quanto fu determinante, nel successo di UMM, la creazione del merchandising e dell’abbigliamento streetwear brandizzato?
Logo e produzioni UMM vivevano in simbiosi correndo sullo stesso binario, uno si nutriva e supportava l’altro e questo rese credibile sia la grafica che i progetti pubblicati. La copertina generica nera, così come la scelta del colore della label che cambiava in base alla produzione, non era mai casuale, c’era una scelta accurata in base al brano che doveva rappresentare. Se l’etichetta avesse improvvisamente pubblicato musica pop non credo che il logo avrebbe avuto lo stesso riscontro nel merchandising, per il semplice motivo che non sarebbe stato credibile, soprattutto in un segmento come quello del club e quando parlo di club non intendo la discoteca generica. Le prime t-shirt con il logo UMM sul fronte e il globo sul retro, rigorosamente in nero con stampa argento (colore identificativo del brand) furono solo cento. Riuscii a farle realizzare dopo aver battagliato contro lo scetticismo della presidenza Flying Records anche perché i pochi esemplari sarebbero andati tutti in regalo ai top DJ internazionali che ricevevano periodicamente i promo dalla nostra distribuzione, quindi non potevamo sapere quale sarebbe stata la reazione, soprattutto degli americani che in quegli anni erano già maestri nel merchandising. Un giorno, uno di questi DJ di cui però non ricordo il nome, ci chiamò chiedendo cosa fosse quella t-shirt trovata nella spedizione insieme ai promozionali (i famosi white label), mostrando molto apprezzamento. A quel punto capii che avevo dato vita a qualcosa che stava andando oltre le aspettative. La prima vera collezione, se così si può definire, la realizzai alla metà del 1993 e da lì in poi fu un crescendo senza freni. Ricordo camion pieni di merchandising UMM che partivano per tutto il Paese e mezzo mondo.

Quello di UMM diventa un marchio talmente crossover da finire anche in posti davvero lontani dall’universo sonoro originario, come a un concerto dei Lùnapop o sulla t-shirt del bassista di Vasco Rossi al Festivalbar 2001 mentre esegue “Stupido Hotel”. Il brand stava contagiando anche chi non aveva la benché minima di idea di cosa fosse originariamente?
Quando avvenne ciò il marchio era stato rilevato da una compagnia di abbigliamento. Credo però che entrambi i casi da te segnalati fossero solo ed esclusivamente operazioni commerciali e non certamente scelte artistiche.

Essendo un’etichetta destinata ai DJ, gran parte delle copertine del catalogo UMM era monocolore col buco centrale. Tuttavia, di tanto in tanto, alcune pubblicazioni venivano accompagnate da artwork creati appositamente, come avviene per “Four Journeys” ed “Hunt’s Up” dei Visnadi, “Syxtrax” e “Come On Boy” dei CYB, “I’m A Real Sex Maniac” di Dick, “The Princes Of The Night” dei Blast, “Be Sexy” di Justine, “Don’t Give Up” e “C’Mon And Get It!” degli Statement, “Wrap Me Up” degli Alex Party e “Heroes” di Gianni Parrini Feat. Principe Maurice giusto per citarne alcune. In base a quale criterio si decideva se dotare un disco di copertina o optare per quella generica?
Solitamente la personalizzazione della copertina era condizionata dagli accordi contrattuali con l’artista e ovviamente obbligata quando il progetto in questione era un album, ma non esisteva una logica precisa. Tra le tante che ho realizzato ricordo con piacere quelle per i Visnadi, sempre attentissimi alla grafica, ma anche “Be Sexy” della giovanissima Justine Mattera che sfiancammo durante lo shooting che la ritraeva come una bambola gonfiabile. Con lei rammento grandi risate e complicità.

UMM In Progress
La scultura Ettore & Andromeda realizzata da Squeglia finita sulla copertina di “UMM In Progress” (1994)

Particolarmente intrigante era anche la copertina di “UMM In Progress”, raccolta selezionata da Francesco Zappalà uscita nel 1994 che ospitava la foto di una tua scultura, Ettore & Andromeda. Esisteva forse qualche nesso con Ettore E Andromaca di Giorgio De Chirico?
No, non c’era alcun riferimento specifico a qualcosa, era una scultura surreale animata da due personaggi inventati che riportavano i nomi della mitologia ellenica, Ettore e Andromeda per l’appunto. Creai quell’opera in maniera istintiva cercando di sposarla col suono proposto da Francesco. La scultura, ahimè, andò distrutta durante un trasloco ma in compenso conservo sia l’LP e il CD che gli scatti originali.

In un’intervista che ti feci diversi anni fa affermasti che «la grafica è stata una componente essenziale della musica, in passato non esisteva la comunicazione e lo scambio globale di informazioni di oggi quindi la scelta di un disco era spesso stimolata in modo sensibile dall’immagine che lo accompagnava». In relazione a questo concetto, credi che il messaggio veicolato dalla musica contemporanea sia parzialmente depotenziato rispetto a quello del passato, in cui l’artwork era chiamato a svolgere un ruolo importante, oppure quel vuoto è stato colmato da altro? La musica senza immagini (stampate), insomma, è assimilata e percepita in modo differente?
Nonostante ci siano diversi creativi molto capaci e propositivi, l’immagine di copertina adesso non riesce più ad avere lo stesso valore di un tempo perché è ridotta ai minimi termini attraverso i quali è impossibile apprezzare né i dettagli né l’impegno profuso per realizzare la stessa opera. La comunicazione su un nuovo progetto oggi parte prima dai numeri e dagli algoritmi, poi arriva tutto il resto, inutile girarci intorno. È il bello e il brutto dell’evoluzione dell’essere umano, nulla di grave.

Oltre a curare lo stile di UMM, hai inciso anche diversi brani confluiti nel suo catalogo coi team di produzione Statement e New Wave Explorers: cosa rammenti in merito?
Ricordo l’assoluta libertà di fantasticare senza pressione, di mettere insieme idee, suoni e sensazioni, di tenere al primo posto la voglia di creare qualcosa che mi piacesse veramente e che sarei stato orgoglioso di proporre nei club. Di questo sarò sempre grato a tutta la Flying Records che mi ha permesso di cimentarmi nelle vesti di produttore.

Analogamente ad Angelo Tardio, anche tu lasci la Flying Records nel 1996 iniziando nuove collaborazioni a partire da quella con la bresciana Time. Quanto fu doloroso abbandonare una realtà in cui avevate profuso così tante energie? E, ancor di più, quanto fu duro assistere al suo progressivo declino?
La scelta di abbandonare la Flying Records fu molto difficile ma inevitabile. La presidenza si era circondata di figure che si vendevano come pseudo manager e cominciavano a soffocare quella che invece era stata la vera forza della compagnia ovvero la libertà artistica, il curiosare, proporre e sperimentare. Si cominciava a parlare di commerciale, di budget, di licenziamenti ed altro simile, insomma si stava delineando quella che voleva essere una vera e propria azienda strutturata ma senza avere né i mezzi e forse tantomeno le figure giuste per diventarlo. I miei timori erano fondati visto che, a poco più di un anno dall’addio, la Flying Records fallì. Il ricordo più amaro che ho è legato ai giorni immediatamente successivi alla chiusura: mi recai presso lo studio di registrazione adiacente l’azienda e con grande rammarico notai sulla strada, accantonati come spazzatura, una montagna di master, pellicole, bobine e stampe fotografiche di quello che un tempo era l’archivio produzione. Stiamo parlando quindi degli originali di Blast, Articolo 31, Alex Party, 99 Posse, Joy Salinas e tantissimi altri.

Dopo il fallimento della Flying Records, la UMM viene riavviata a più riprese dalla Media Records che, dal 1998, la affianca a nuove declinazioni grafiche. Che idea ti sei fatto di quei tentativi?
Che Gianfranco Bortolotti e Diego Leoni siano stati due protagonisti indiscussi della scena dance/house degli anni Novanta, e che la Media Records abbia un posto di rilievo nella storia della musica italiana è fuori discussione, ma entrambi non hanno mai avuto un buon rapporto con la scena underground. Difatti il primo tentativo di rilanciare la UMM sfumò velocemente e, in tutta sincerità, non mi spiego nemmeno perché ci abbiano riprovato a distanza di anni. La magia di UMM ha una data ben precisa di nascita e di fine, pensare di rifare qualcosa che ha avuto successo in un determinato arco di tempo e in circostanze e/o momenti storici che non possono ripetersi non ha alcun senso.

Fanzine Gigantic
La fanzine che Gigantic ha dedicato a UMM nel 2021

Nel 2021 la galleria d’arte milanese Gigantic ha pubblicato, nell’ambito del progetto Night Of The Fanzines, il volume “1991/96 Dal Logo Alla Musica” dedicato proprio a UMM. Un riconoscimento al merito per ciò che ha rappresentato l’etichetta, nel panorama internazionale, negli anni più floridi?
I ragazzi di Gigantic organizzano ogni anno una mostra dedicata al mondo della fanzine. Partecipare per me ha rappresentato una grande gratificazione, soprattutto per il supporto che dovevo usare, una fanzine artigianale e grezza, così come è sempre stato nello spirito di UMM, nulla di patinato insomma. Alla mostra prendono parte vari artisti che presentano contenuti diversi con un unico filo conduttore, la fanzine. È stato molto bello e divertente, il tutto coronato da un grande apprezzamento da parte del pubblico che, in tutta onestà, non mi aspettavo.

Che eredità lascia la UMM?
Nel mio caso è, ad esempio, essere invitati nel 2022 alla presentazione di un album di un collettivo della scena rap milanese, Make Rap Great Again, e scoprire dagli stessi protagonisti di essersi liberamente ispirati al progetto UMM per quelle che sono state le impostazioni grafiche della loro etichetta. Ma potrei citare anche un episodio del 2020, quando la Defected pubblicò un post su Instagram dedicato alle “leggendarie etichette dance”: tra Warp, XL Recordings, Junior Boy’s Own, Soma, R&S Records, Kompakt, Nervous, Nu Groove, Trax Records, D.J. International e altre ancora spiccava benissimo la UMM.


La testimonianza di Giuseppe Manda

Giuseppe Manda alla Flying Records 1991-1992
Giuseppe Manda negli uffici della Flying Records in una foto scattata tra 1991 e 1992

Come ricordi la tua avventura con la Flying Records?
Iniziai a lavorare in Flying Records quando era ancora una piccola distribuzione con gli uffici e magazzini allestiti in un garage di Posillipo. In quel momento per me iniziò un fantastico percorso professionale e personale, eravamo una squadra imbattibile e a confermarlo sono i tanti risultati ottenuti. Qualche tempo dopo ci spostammo in una nuova location ad Agnano dove, insieme a Mimmo Mennito, mi occupavo della vendita sul territorio nazionale delle produzioni Flying Records e della miriade di dischi import che arrivavano dall’estero. Da lì a breve giunse l’ennesima intuizione di Angelo Tardio che aprì un mondo: nasceva UMM, supportata da una forte distribuzione nazionale e internazionale e da uno straordinario apparato grafico concepito da Patrizio Squeglia.

Come si profilò per te, nel 1996, la possibilità di ricoprire il ruolo di A&R della UMM insieme a Maurizio Clemente?
L’uscita di Angelo Tardio dall’assetto societario lasciò un vuoto che necessitava di essere colmato. Poiché negli anni precedenti avevo già collaborato con UMM, la proprietà decise di affidare a me e Maurizio Clemente la direzione di quella label. La Flying Records iniziava però la sua fase calante e questo non facilitò sicuramente le cose nel nostro breve percorso alla guida di una delle etichette italiane più iconiche del panorama mondiale. A Tardio devo tantissimo, grazie a lui iniziai a remixare e produrre musica presso lo studio della Flying Records ed ebbi l’onore di mettere le mani su brani di artisti del calibro di Blake Baxter, Todd Terry, Juan Atkins e Underground Resistance.

The Family - Feel The Light
“Feel The Light” di The Family (1996)

Quali sono le produzioni UMM uscite durante la tua direzione artistica che ricordi con maggior piacere?
Senza dubbio “Feel The Light” di The Family, un progetto di Tony Humphries. Martellai tanto Maurizio Clemente per convincere il DJ statunitense e, dopo un po’ di tentennamenti iniziali, riuscimmo nell’intento. Non fu semplice organizzare la cosa, sia da parte mia che di Maurizio che gestiva il contatto diretto con l’artista. Programmammo tanti remix del brano affidandoli ad Oscar Gaetan, DJ Vibe, Victor Simonelli e allo stesso Humphries ma alcuni uscirono solo su un doppio promo che anticipò la pubblicazione ufficiale. Anche io ebbi l’onore di mettere le mani sul pezzo confezionando la Man-Da Dub. Viste tutte le energie spese però, mi aspettavo che l’iniziativa, così laboriosa, raccogliesse qualche risultato in più.

Rispetto alle annate precedenti, il numero delle pubblicazioni UMM si riduce in modo sensibile tra 1996 e 1997. Certe uscite vengono persino confinate al formato white label, come avviene ad una delle ultime, la 384. Come mai?
Il mercato iniziava a conoscere una netta flessione e la Flying Records non aveva più la forza economica del passato. Alcune uscite furono limitate ai white label per evitare spese inutili e rientrare nei costi di tante compilation andate male e investimenti pubblicitari fallimentari. La chiusura di Flying Records fu un colpo al cuore, seppur per noi dipendenti fosse prevista. Terminava l’era di un’azienda che aveva fatto storia non solo nella dance ma anche nel rock e nell’hip hop. Nel 1997 finiva quindi un ciclo irripetibile della mia vita e di coloro che, come me, diedero l’anima in quegli anni.

Hai avuto modo di seguire la UMM del post Flying Records?
Ad essere onesto ne so ben poco. Dopo il fallimento della Flying Records seppi che i diritti del marchio UMM vennero ceduti a due aziende, una che si occupava di abbigliamento e una intenzionata a proseguire l’iter discografico. Sono sempre stato convinto che il successo di UMM sia stato decretato da un insieme di fattori ma soprattutto dalla collaborazione di persone in grado di far girare nel verso giusto gli ingranaggi della macchina, ma non rinunciando al divertimento. Alla luce di ciò resto del parere che non basta riprodurre un marchio per attribuire la stessa valenza a un prodotto, per giunta non appartenente a un determinato periodo storico.

Onirico repress 2022
La copertina della ristampa più recente di “Stolen Moments” di Onirico (Back To Life, 2022)

In tempi recenti hai creato la Flash Forward e la Back To Life, due etichette nate con lo scopo di ripubblicare brani house/techno del passato tra cui “Stolen Moments” di Onirico (UMM, 1991). Il lavoro svolto per l’etichetta napoletana circa venticinque anni fa ti ha in qualche modo aiutato a gestire una casa discografica, seppur il contesto in cui operi oggi sia profondamente differente da quello del passato?
Sì, senza dubbio. L’esperienza in Flying Records mi ha arricchito di informazioni che mi sono servite nei progetti nati successivamente, a partire da quelli nati quando lavoravo in Karma Distribuzioni e poi quelli di Flash Forward e Back To Life, etichette che guardano artisticamente al passato ma con la consapevolezza che sia tutto totalmente cambiato.

C’è un aneddoto legato alla Flying Records che vorresti raccontare?
Certo, ed è antecedente al periodo in cui svolsi ruolo di A&R. Come ogni anno partimmo per il Midem di Cannes dove la Flying Records aveva solitamente uno stand. La sera, terminata la giornata di lavoro, ci spostavamo in gruppo per seguire i vari eventi organizzati. All’uscita di un locale, appena messe le chiavi nella serratura dell’auto, spuntarono all’improvviso almeno una ventina di poliziotti delle forze speciali armati di pistole, mitra e fucili e, tra mille urla in francese, ci ammanettarono e scaraventarono in diverse auto, così come solitamente fanno coi peggiori criminali. Fummo portati in una grande centrale di polizia e, senza alcuna spiegazione, ci ritrovammo tutti insieme in una megacella di detenzione. A quel punto la paura crebbe a dismisura e iniziammo a nutrire sospetti l’uno dell’altro. Si passava dalla risata isterica del compianto Francesco Diana, che lavorava per il reparto hip hop, ai pianti di un giovane Alessandro Massara, in quel periodo in forze al reparto rock e in seguito diventato presidente della Universal. Trascorremmo circa due ore da incubo terminate con le scuse della polizia che aveva preso un evidente abbaglio, probabilmente dovuto alla targa di una delle nostre auto. La frittata però era fatta, l’indomani tra i corridoi del Midem ci salutavano tutti col sorrisino e mimando il gesto delle manette. Ogni volta che ripenso a quella storia rido come un bambino ma nel contempo mi tornano in mente i momenti terribili di quando mi fecero sdraiare a terra a faccia in giù e mi ammanettarono, proprio come un malvivente.


La testimonianza di Maurizio Clemente

Maurizio Clemente WMC 97
Maurizio Clemente al Winter Music Conference di Miami nel 1997

Tra 1992 e 1994 avevi già lanciato alcune etichette, la Rena Records, la Zippy Records e la Nite Stuff, a cui si aggiunse poi la Equal Records: quanto fu determinante ciò per il ruolo ricoperto in UMM?
Nite Stuff e Zippy Records erano distribuite proprio dalla Flying Records e rappresentavano prove tangibili dei buoni risultati raggiunti. In virtù di questo mi fu offerto il ruolo di A&R insieme a Giuseppe Manda. Fu un’esperienza fantastica dirigere un’etichetta dal profilo così alto e rispettato nell’ambito della dance music internazionale.

Ci sono produzioni UMM uscite durante la tua direzione artistica che ricordi con maggior piacere?
È difficile ricordare i titoli visto che sono trascorsi più di venticinque anni ma sicuramente “Feel The Light” di The Family, progetto di Tony Humphries. Andando un po’ più indietro invece, citerei la compilation “House Underground United” pubblicata nel ’94 su Nite Stuff e che lanciammo in occasione del SIB/Nightwave di Rimini.

Quali invece quelle da cui ti aspettavi risultati migliori?
Su tutti “We Got A Love” di Martini & Hardcorey con la voce di Sabrynaah Pope e remixata, tra gli altri, dai Fathers Of Sound, artefici di un suono che mi piaceva moltissimo.

Rispetto alle annate precedenti, il numero delle pubblicazioni UMM si riduce in modo sensibile tra 1996 e 1997. Alcuni numeri del catalogo sono saltati e certe pubblicazioni diffuse solo in formato white label: come mai?
Negli ultimi tempi puntavamo ai white label sia per risparmiare sul packaging, sia per stampare solo sul venduto. L’aria che si respirava in Flying Records in quel periodo era carica di tristezza, eravamo un team coeso ma sapevamo che le cose non stessero andando per il verso giusto. La maggior parte di noi attribuiva la debacle all’apertura degli uffici all’estero.

adv tour estivo '98
L’adv del tour estivo UMM nell’estate ’98

Nell’estate del 1998, poco prima che la Media Records rilanciasse il marchio, si tenne un tour della UMM in vari locali come l’Echoes, il Momà, l’Aqua Disco Village, il Sottovento e il Fabula con vari DJ tra cui Luca Fares, Lello Mascolo e il compianto Ricci: chi lo organizzò?
Si trattava di una tournée ideata per sensibilizzare i club. La organizzammo facendo leva sui miei contatti di allora intrecciati a quelli messi a disposizione dalla Media Records.

Nell’autunno di quell’anno l’etichetta di Gianfranco Bortolotti rimette sul mercato il marchio UMM. Hai avuto modo di seguire quella fase?
Sono a conoscenza dei vari tentativi nati con l’obiettivo di rilanciare UMM ma nessuno di essi mi sembra abbia dato i risultati sperati.

Che eredità lascia la UMM?
UMM nacque e si sviluppò in un periodo storico in cui le distribuzioni italiane erano in diretta competizione con gli Stati Uniti e riuscirono, con astuzia, a ritagliarsi grosse fette di mercato. A oggi, a detta di tutti, UMM resta l’etichetta italiana all’altezza di colossi d’oltreoceano come Nervous Records e Strictly Rhythm.

(Giosuè Impellizzeri)

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Francesco Farfa – DJ chart marzo 1998

Francesco Farfa, DiscoiD marzo 1998



DJ: Francesco Farfa
Fonte: DiscoiD
Data: marzo 1998

1) Basic Implant – Reform EP Vol. 1
Prodotto dal tedesco Sven Dedek e pubblicato dall’allora debuttante Touch Tone Recordings, l’EP in questione raccoglie tre tracce di techno minimale, intagliata nei loop che grondano energia e sudore specialmente in riferimento a “Evoke”, tool agghindato da tutta una serie di micro percussioni e tom impazziti. Medesima metodologia di elaborazione per “Feinrasur”, intricato groviglio di loopismi millsiani. Più rilassata invece risulta essere “Meek Deep”, dove la circolarità e la ripetizione ossessiva viene sostituita da immersioni dub e deep per l’appunto, seppur resti intatto l’ipnotico minimalismo, indiscusso fil rouge del disco a cui, poco tempo dopo, segue il secondo volume.

2) Jammin’ Unit – Deaf Dub And Blind
Archiviate le prime fibrillanti scorribande acid sparse su Structure, DJ.Ungle Fever e Force Inc. Music Works, Cem Oral degli Air Liquide si rimette in discussione apportando significative variazioni alla sua tavolozza stilistica, emerse già nel primo album “Jammin’ Unit Discovers Chemical Dub” del 1995. “Deaf, Dub And Blind” rappresenta la prosecuzione di quel modo personale di intendere la techno che poi non è più solo techno, perché intersecata di volta in volta a riferimenti diversi. Sul doppio vinile c’è spazio per ben tredici tracce che diventano quattordici sul CD (con l’aggiunta di “The Remoteman” affogata nelle irregolarità ritmiche) in cui l’autore fa sfoggio del suo eclettismo: da partiture dub (“Dub Is In The Air”, “Thirst At Dawn”) a deviazioni filo reggae (“32° In The Shade”, “Over The Jordan”) passando per cyberbeat in slow motion (“Blind Television”), punteggiature minimali (“Handbagdub”) ed effervescenti scheletrismi ottenuti con una TR-808 (“Life On The Balkon”). Il doppio LP, pubblicato dalla britannica Blue Planet Recordings, è piuttosto raro e costoso per l’odierno mercato collezionistico.

3) Danny Tenaglia – Elements
Primo singolo estratto dall’album “Tourism”, “Elements” è uno dei pezzi con cui Tenaglia spopola nei club di tutto il mondo alla fine degli anni Novanta e che lo aiuta ad affrancarsi discograficamente dopo tanti lavori rimasti ad appannaggio dei soli DJ specializzati, da Deep State a The King Street Crew, da Soulboy ad Hambone passando per Code 718. Il doppio mix su Twisted America, commercializzato a fine ’97, conta due versioni, The DTour e The Chant (con un frammento vocale preso da “Hills Of Katmandu” di Tantra, arrangiato da Celso Valli), dalle quali emerge un suono intriso di tribalismi e sviluppi inattesi che mettono in crisi chi ai tempi pensa alla house music come genere esclusivamente antitetico alla techno. In aggiunta ci sono tre tool tra cui un’acappella usata a più riprese in svariati contesti. Tenaglia toccherà il cielo con un dito nel corso del ’98 grazie a un altro pezzo tratto da “Tourism”, “Music Is The Answer (Dancin’ And Prancin’)”, accompagnato dalla voce di Celeda.

4) Marco Dionigi – No Sense
“No Sense” è uno dei tre pezzi che il prolifico Dionigi inserisce in “Box Position”, EP edito da un’etichetta diretta in quel periodo da lui stesso, la Tube, caratterizzata da un logo e un nome che suonano come tributo alla copertina di “Tubular Bells” di Mike Oldfield. Ai tempi Dionigi inventa il proprio stile miscelando influenze più disparate e attualizzando quella che una volta veniva gergalmente chiamata “afro”, ma non curandosi però di ideare un nome che potesse, in qualche maniera, identificarlo. «La domanda peggiore che potessero farmi allora era quella di definire la mia musica, non sapevo mai cosa rispondere» racconta in questa intervista qualche anno fa. «Poteva essere una continuazione della cosiddetta afro anche se per stile, comprensibilmente, eravamo su un altro pianeta».

5) Lexicon – The Lessons
Quello dei Lexicon (Len Faki e Jon Silva) è un suono che nella seconda metà degli anni Novanta affonda le radici in territori meticci, con un approccio che cerca di andare oltre la convenzionalità. Questo si apprezza particolarmente in “The Lessons”, il primo dei due album che i tedeschi realizzano tra ’97 e ’98 per la Plastic City: “The Question” e “Kolt Silvers (Rolling Jeep Mix)” incrociano minimalismo techno a rotondità house, “Sexy Thang” tira fuori una chitarra in loop stile french touch su un frammento vocale balbettante, “Superstar” e “Phrunky” sparigliano le carte con innesti breaks e venature funkeggianti, “The Life Saver” è disco trafitta e velocizzata, “The Ryker” sposta il baricentro verso sponde electro cibernetiche con uncinate acide, “Summer Madness” centrifuga suoni acustici a digitali in una spirale sampledelica e psichedelica. Sul CD trovano spazio altre tre tracce (“Funk Corner”, “Placenta” e “Jazz Field”, oltre a una versione differente di “Sexy Thang”, più disco funk oriented) che sfondano ulteriormente le paratie tra i generi.

6) Joe Smooth – Disco Acid EP
Non è specificato ma è presumibile che Farfa facesse riferimento al primo volume della saga Disco Acid uscito a fine ’97 sulla londinese Nepenta. Quattro le tracce incluse al suo interno tra cui, è bene chiarirlo, non si scorge alcun riferimento acid al contrario di quelli disco, sfoggiati con disinvoltura in “Come On Everybody”, take di “Everybody Dance” dei Bumblebee Unlimited giocato coi filtri e spezzettato in tessere shakerate come fa un bartender con gli ingredienti di un cocktail. Ai due cuscini garage (“Oxygen” e “Change”), con melodie pianistiche in primo piano e tenere sofficità deep, si somma infine “Universal Nation”, tappeto ritmico venato di percussioni sul quale l’autore posa il celebre discorso di Martin Luther King. Passato alla storia per “Promised Land” del 1987, intorno alla metà degli anni Novanta Smooth registra comparsate su etichette italiane come UMM, V.O.T.U. e la Active Bass Music di Claudio Donato con cui stringe tra l’altro un rapporto di collaborazione. Nel contempo va avanti coi Disco Acid sino al 2004, quando affida il quinto e ultimo volume alla Trax Records di Chicago sulla quale torna dopo circa dieci anni di assenza.

7) Girl Eats Boy – Cool Disco (Remix)
Dietro Girl Eats Boy opera Lol Hammond, produttore che tra le altre cose vanta una collaborazione con Charlie Hall degli Spiral Tribe marchiata Drum Club e sviluppata attraverso tre album e parecchi singoli (su tutti “U Make Me Feel So Good” e “Sound System” remixata dal nostro Coccoluto). Come solista parte nel ’97 col supporto della Hydrogen Dukebox che manda in stampa prima “Thrilled By Velocity & Distortion” e poi “Comin’ In Loaded” da cui viene estratta “Cool Disco”, una specie di mix tra Propellerheads e Chemical Brothers. I tre remix solcati sul 12″ puntano più alla ballabilità, soprattutto quello dei System 7 dove un metti e togli strumentale fa quadrato intorno al breve messaggio vocale che ripete il titolo. Spassionato chemical beat nella reinterpretazione dei Chamber mentre gli A1 People ne ricavano qualcosa che suona come una sorta di house mutante con granulosità e rastremature electroidi.

8) Beroshima – Deebeephunky
“Deebeephunky” è uno dei primi dischi che Frank Müller destina alla sua nuova etichetta, la Müller Records, fondata dopo la chiusura della Acid Orange. Mollati gli istinti animaleschi dell’acid più tagliente e sfibrante, il berlinese si lancia in una techno muscolare e ricca di passaggi armonici e variazioni ritmiche da cui si innalzano cortine fumogene proprio come in “Deebeephunky (Just Money Is Honey)”, con astrattismi sullo sfondo a iniettare ulteriori vampate di energia. Effetti zigzaganti in reverse guidano “The Prisoner” mentre una sega circolare arroventata taglia come burro la massicciata di beat di “Seduction”. Nel nuovo millennio Beroshima virerà verso un suono con porzioni maggiori di melodia e riferimenti EBM per poi tornare alla techno con movenze dubbeggianti in tandem con l’amico Ulrich Schnauss.

9) Mr. Message – Let Me Take “U” Up
Uscita allo scoperto nell’autunno del 1997, Audio Esperanto è la piccola etichetta nata dalla sinergia tra Francesco Farfa e la Media Records. «Bortolotti creò una squadra di DJ molto ampia, schierata come l’Invincibile Armata spagnola, e aveva tutte le potenzialità per realizzare un grande progetto alternativo aggiungendolo ai numerosi successi collezionati negli anni passati» racconta Farfa in questa intervista. «Sia a lui che al socio Mauro Picotto piacque l’idea di Audio Esperanto perché spiccatamente alternativa a tutto ciò che girava in Media Records in quel periodo, e così iniziai a collaborare con loro». “Let Me Take “U” Up” è il brano con cui il DJ toscano, trincerato dietro lo pseudonimo Mr. Message, dà quindi avvio al progetto mettendo subito nero su bianco le sue intenzioni. Tre le versioni: la Long Train Mix, sul lato a, brulica di suoni prog techno marciando sotto un cielo plumbeo e scenari distopici tratteggiati da un break sospeso in atmosfere bladerunneriane. Sull’altro lato la Catch On Mix, in battuta spezzata con un pizzico di sound à la Fluke e scratch nell’alveo ritmico, e la Smile Vibe Mix, che chiude con evoluzioni tipiche del cosiddetto “sound of Tirreno” di cui Farfa viene ricordato tra gli iniziatori insieme a Miki Il Delfino. Con la ripubblicazione in Germania, “Let Me Take “U” Up” viene ulteriormente riletta in un remix da Toni Rios e WJ Henze in cui vanno dispersi però i caratteri originali a favore di una formula più generalista.

10) Freak Alliance – Mono Culture
Freak Alliance è solo una delle ragioni sociali con cui Klaus Krumme e Frank Thelen firmano musica negli anni Novanta. La loro techno è rocciosa, granitica, ritmicamente monolitica e geometrica come rivela “Reliance”. “Mono Culture” è una corsa su un rettilineo col pedale dell’acceleratore pigiato a fondo, “Outland” gioca coi doppiaggi incrociati dei suoni su una base saltellante. Il tutto sulla Overdrive di Andy Dux che crede nei Freak Alliance al punto da pubblicare anche un album su CD, “Division 1”, in cui gli autori esplorano vie meno danzerecce ai confini con l’ambient.

(Giosuè Impellizzeri)

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