Negozi di dischi del passato: Dee Jay Doc a Ponsacco

Giosuè Impellizzeri ripercorre la storia del Dee Jay Doc col titolare Paolo Bova

Quando apristi il negozio?
Era il dicembre del 1990. A seguito di problemi fisici causati dal lavoro in un supermercato, fui costretto a cambiare attività e quindi, essendo anche un DJ, decisi di aprire un negozio di dischi, del resto quello era il mio mondo.

01 - Dee Jay Doc esterna
L’ingresso del Dee Jay Doc in via Nazario Saurio, a Ponsacco

Perché optasti per il nome Dee Jay Doc?
L’idea giunse dopo aver visto la copertina di una compilation sulla quale si faceva riferimento ad un Doctor Dance. Da lì la scelta di usare la parola “Doc” abbinata a Dee Jay.

Che tipo di investimento economico era necessario ai tempi per avviare un’attività di quel tipo?
L’investimento era prettamente strutturale e comprendeva arredamento, scaffalatura, insegne, accessori e prime forniture di dischi da pagare in contrassegno. Se non ricordo male, il totale di tutto ciò si aggirava intorno ai 25 milioni di lire.

Nelle immediate vicinanze c’erano altri negozi di dischi come il tuo?
A Pontedera solo un piccolo negozio trattava dischi mix. Io però aprii a Ponsacco, a circa tre chilometri di distanza, con l’intento di fare le cose in grande.

02 - punto ascolto e folder CD
Sopra un punto ascolto, sotto l’assortimento in formato CD

Come era organizzato il punto vendita?
A disposizione c’erano circa 60 m² più il magazzino. Inizialmente allestii un bancone con vari punti ascolto (quattro, se la memoria non mi inganna) provvisti di piatti e cuffie. In seguito ad un ridimensionamento del locale però l’aspetto mutò avvicinandosi a quello dei DJ point britannici con sei/otto punti ascolto davanti ad un bancone lungo circa dieci metri. Dietro c’erano espositori a cascata sempre in stile british (ed infatti comprai i materiali a Londra perché in Italia non erano disponibili) e varie vetrine destinate agli accessori per DJ come testine, mixer, diffusori, flight case ed altro ancora.

Che generi musicali trattavi con particolare attenzione?
Mi specializzai subito nella vendita di house music che, in quel momento, era il genere che stava prendendo piede, e nel contempo trattavo anche cataloghi nazionali ed internazionali di CD e musicassette che però abbandonai poco dopo. Le mie attenzioni maggiori erano riservate ai prodotti all’epoca definiti “underground”, a prescindere dall’indirizzo stilistico.

Quanti dischi vendevi mediamente a settimana?
Ad inizio attività intorno ai 1500 dischi settimanali ma in seguito arrivai a toccare la soglia di ben 5000 pezzi.

03 - scatti interno (1992-1993)
Altri scatti del Dee Jay Doc risalenti al 1992 e 1993: sopra a sinistra si scorgono, tra gli altri, “Passion” di Gat Decor, “Feel It” degli FPI Project, “Love Breakdown” di Rozalla e il remix di “Pacific Symphony” dei Transformer 2, a destra “Feel The Rhythm” di Jinny, “I’m Every Woman” di Whitney Houston, “Qui Sème Le Vent Récolte Le Tempo” di MC Solaar e “In Nomine Patris” degli Atahualpa, sotto invece le t-shirt con il logo del negozio

Vendevi anche per corrispondenza?
Sì, iniziai circa due anni dopo l’apertura, facilitato dal fatto che fossi fornitore dei vari DJ dell’Insomnia ed avessi molte esclusive in area techno/progressive (credo di essere stato il primo a trattare questo genere in Toscana). Molti DJ mi contattavano per acquistare titoli che avevano ascoltato nei set dei vari DJ del locale e che, il più delle volte, erano esclusive ottenute grazie ad una succursale a Londra. Pertanto, in virtù di ciò, avevo clienti provenienti da tutta Italia ed anche dall’estero, come Svizzera ed Austria, dove i famosi DJ dell’Insomnia erano davvero seguitissimi.

Quali furono i bestseller?
Sono state molte le esclusive di successo, alcune divenute vere e proprie hit anche a livello commerciale. In presenza di titoli d’importazione che giudicavo forti, avevo l’abitudine di proporre a varie etichette italiane l’acquisto di licenze. Qualche esempio? “Such A Feeling” dei Bizarre Inc, “Funk & Drive” di K&M, “One Kiss” di Pacha, “Funkatarium” di Jump ed altri ancora. Parlando di bestseller però, non posso non citare anche quei dischi che ho venduto in quantità elevata di artisti come Emmanuel Top, Robert Miles, Speedy J e Discorosso. Ognuno superava le 150/180 copie.

C’erano DJ particolarmente noti a frequentare il negozio?
Erano moltissimi, soprattutto in ambito techno. Da Francesco Farfa a Mario Più, da Miki Il Delfino a Leo Mas passando per Gianni Bini, Alex Neri e davvero tanti altri. Avevo un casellario con cui riservavo il primo ascolto di dischi rari e promozionali a tutti i clienti assidui, erano circa cinquanta nomi che settimanalmente passavano da me per fare acquisti.

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Alcuni volti noti immortalati da Dee Jay Doc: Alex Neri, Alessandro ‘Blade’ Staderini dei Jestofunk, Bruno Bolla, Olga De Souza – frontwoman del progetto Corona, Francesco Farfa, Gabry Fasano, Gianni Bini, Ivan Iacobucci, Kenny Carpenter e Leo Mas

Quale fu la richiesta più stramba che ricordi?
Sono state così tante che ho perso il conto. Indimenticabile la caccia a “My Body And Soul” di Marvin Gardens (di cui parliamo qui, nda) che qualche DJ trovò sugli scaffali delle mie giacenze e trasformò in una hit. Recuperare altre copie fu una vera impresa, dovetti scartabellare migliaia di dischi nel magazzino! Ricordo anche di un’esclusiva di “So Hard” dei Pet Shop Boys remixato da David Morales di cui esistevano solo venti copie. Dopo averne data una a Mauro Ferrucci seguì un’autentica invasione di persone che lo chiedevano, ma io ne avevo appena cinque. Analoga la storia di “Thrill Me”, un doppio promozionale dei Simply Red che creò scompiglio tra i top DJ house dell’epoca, e potrei citare ancora molti altri casi.

Quante novità settimanali arrivavano mediamente?
È difficile dirlo: tra titoli commerciali, house e techno, credo si viaggiasse intorno alle 300/400 novità settimanali.

Seguivi un metodo per selezionare la merce da acquistare dai distributori? Ti fidavi dei suggerimenti di qualche venditore?
Ogni lunedì mattina mi recavo dai grossisti di Milano per essere in prima linea all’arrivo del materiale d’importazione proveniente da Regno Unito e Stati Uniti. Inoltre, come accennavo prima, a Londra avevo un ufficio in cui una persona racimolava esclusive e promozionali sia nei vari negozi della capitale inglese (coi quali peraltro collaboravo facendo scambi), sia direttamente dalle etichette. Era importantissimo disporre di titoli in esclusiva, soprattutto per prodotti techno/progressive dovendo rifornire costantemente DJ ed appassionati che gravitavano intorno ai vari locali della zona (Insomnia, Jaiss, Imperiale etc.). Ad affiancarmi in negozio erano due collaboratori, entrambi DJ, che testavano i dischi in discoteca, ma comunque ero sempre in stretto contatto coi miei clienti che mi tenevano aggiornato sui titoli che riuscivano a garantire maggiore resa sulla pista. Poi, senza presunzione, probabilmente fu anche l’esperienza maturata come DJ e produttore a permettermi di individuare titoli forti sin dal primo ascolto, cosa particolarmente importante perché in caso di eventuali riordini dovevi essere scaltro e veloce per non perdere le quantità necessarie. Per fortuna godevo di un trattamento di riguardo grazie al buon rapporto coi distributori ai quali, come già detto, davo spesso suggerimenti per le licenze.

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Altri DJ che ai tempi comprano dischi da Dee Jay Doc: Lil’ Louis, Mario Più, Mauro Ferrucci, Miki Il Delfino, Nick Hussey, Paolo Martini, Ralf, il compianto Roby J, Stefano Bratti e Stefano Noferini


Quanto influiva il supporto di un network radiofonico o di un DJ “di grido” sul rendimento di un disco?
Moltissimo. Ho avuto la fortuna di collaborare con Italia Network per la compilazione delle classifiche e facevo anche fornitura di dischi alla radio, quindi sapevo in anteprima quali fossero i titoli “hot” che poi sarebbero stati richiesti dai clienti. I pezzi più suonati nei locali techno senza dubbio erano tra i più ambiti in assoluto ed io mi organizzavo per tempo, al fine di accontentare tutte le richieste. A volte, proprio grazie al supporto di DJ importanti, persino dischi “improbabili” potevano diventare vere e proprie hit.

È capitato di vendere tante copie di un disco proprio in virtù dell’appoggio pubblicitario di qualcuno?
Sì, è accaduto molte volte. Uno fu “Strange” di Interfront, un disco molto semplice e banale scovato tra le rimanenze di un grossista. Ne comprai circa 300 copie e grazie alla spinta dei DJ toscani le vendetti tutte in pochissimo tempo.

Quale invece quello che per il tuo gusto personale avrebbe meritato di più e che invece maturò vendite insoddisfacenti?
Anche in questo caso potrei stilare una lista interminabile ma su tutti metterei il remix che Roger Sanchez realizzò per “Don’t Go Breaking My Heart” di Elton John & RuPaul: a me piaceva tanto ma vendette pochissimo.

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Ultima carrellata sui volti che frequentavano il negozio di Paolo Bova a Ponsacco: Alessandro Tognetti, Andrea Giuditta, Charlie Hall degli Spiral Tribe, Daniele Gas (che gioca con la copertina di “Pium Paum (Vipula Vapula)” di Anna Falchi di cui parliamo qui), Enrico Delaiti, Franchino, Joy Kitikonti, Killer Faber, Luca Masini, Mr. Marvin, il compianto Riccardo Cioni, Simone Fabbroni, Stefano Noto, Valez e Francesco Zappalà, quest’ultimo ritratto insieme allo stesso Bova


Alcuni negozi di dischi sono stati pure la culla di produzioni discografiche e di etichette. È proprio il caso del Dee Jay Doc al cui interno germogliano, a metà anni Novanta, quattro label. Con quali motivazioni e finalità le fondasti?
Tutto nacque dalla mia voglia di creare e dalla fortuna di poter confrontarmi con tanti produttori coi quali avevo stretto rapporti di lavoro e di amicizia. Dietro le mie prime produzioni non c’erano grandi ambizioni e velleità ma col tempo ho imparato ad investire, anche economicamente, sui progetti più concreti. La visibilità che riuscivo a garantire a ciò che facevamo in studio ha influito positivamente sull’evoluzione dell’idea e contribuì ad ampliare il regime produttivo. Questo avvenne anche grazie alle collaborazioni instaurate con negozi londinesi e coi top producer britannici che prestavano molta attenzione ai prodotti che giungevano dalle mie etichette.

Le tue etichette, ossia Tuscania Movement, Noise From West Records, Nut In Bag Records e Minus 8 Records, abbracciavano un range musicale piuttosto vario, dalla house alla progressive trance. Puoi raccontare qualcosa in merito su ognuna di esse?
La Tuscania Movement è diretta discendente di un progetto che creai con Gianni Bini (intervistato qui, nda) e che giunse sul mercato proprio con quel nome nel ’93 attraverso la Informal Records di Andrea Gemolotto, Leo Mas e Fabrice. L’attività prese presto il largo grazie a successi e remix vari, ma l’impegno col negozio mi obbligò a lasciare tutto nelle mani di Gianni e Fulvio Perniola che cambiarono nome dando avvio ai Fathers Of Sound. Un paio di anni più tardi chiamai l’etichetta Tuscania Movement proprio in ricordo di quella esperienza e perché, di fatto, rispecchiava il sound house prodotto qui in Toscana. La Noise From West Records era invece di matrice techno e il nome sembrò più che appropriato per la nostra collocazione geografica. La Nut In Bag Records era destinata a progetti “ibridi” ed infine la Minus 8 Records raccoglieva brani con bpm molto bassi, destinati ai DJ che solitamente si occupavano del warm up nei locali. Dopo la chiusura del negozio creai la Beside Music per la gestione editoriale e del catalogo.

06 - T-Move Experience - Running In Real Time
“Running In Real Time” dei T-Move Experience, uno dei brani di punta del catalogo Tuscania Movement

“Running In Real Time” dei T-Move Experience, uno dei progetti che condividi con Stefano Marinari e di cui parliamo qui, resta senza dubbio uno dei capisaldi della tua discografia. Ad interpretare il brano, cover dell’omonimo dei Passport, è la fittizia Jody Moore, personaggio dietro cui si cela la voce di Giada Masoni e l’immagine di Stefania Di Stefano che da lì a breve inizia ad affiancare Mario Più come More. Perché in Italia si continuava ad alimentare il cosiddetto segmento delle “ghost singer”? Cosa ne pensi a riguardo di tale modus operandi (analizzato in questa inchiesta) e cosa rispondi a chi, a distanza di qualche decennio, accusa tanti produttori di essersi presi gioco dei propri fan?
Era una pratica ancora abituale in quegli anni. Molte voci erano di turnisti e turniste che non volevano o non potevano, per motivi contrattuali, prestare l’immagine a più etichette. Fondamentalmente nessun produttore si poneva il problema, l’importante era “macinare” produzioni. I featuring si usavano spesso per i prodotti house in cui le parti vocali arrivavano prevalentemente dall’estero e quindi non erano legate a particolari vincoli, ma in Italia ognuno era geloso delle proprie “voci” e per questa ragione circolavano stringenti contratti di esclusiva che non sempre appagavano gli artisti. Credo che gli stimoli fossero comunque talmente forti da andare oltre ogni polemica, e i quesiti legati al dietro le quinte alla fine non hanno fatto altro che accrescere ulteriormente l’interesse intorno ai brani e ai progetti coinvolti.

Tra ’96 e ’97 le tue etichette si uniscono in una partnership con la Media Records che ne cura il marketing: come nasce la sinergia col gruppo bresciano di Gianfranco Bortolotti?
Tutto iniziò durante un pranzo con Gianfranco Bortolotti e Diego Leoni, su invito di Mario Più che aveva da poco iniziato a collaborare con la Media Records. Forte dei numeri che stavo facendo con le mie etichette (si parla di 10.000, 15.000 e 20.000 copie a titolo), non fu difficile arrivare ad un accordo. L’affare era vantaggioso per entrambe le parti, considerando che da quel momento la Media Records avrebbe incassato anche i diritti editoriali del mio catalogo. Il punto di forza di quella partnership fu sicuramente l’intesa stretta dal primo contatto e la condivisione di progetti per il futuro che ai tempi includeva l’espansione al mondo digitale, settore in cui la Media Records era già preparata e particolarmente avanti rispetto ad altri competitor.

07 - busta 1998
Una busta del Dee Jay Doc risalente al 1998, quando il negozio si trasferisce da Ponsacco alla vicina Pontedera

Torniamo a parlare del negozio: quando iniziano a calare le vendite e il fatturato?
I primi problemi sorsero nel 1998, dopo la chiusura amministrativa di vari locali techno in Toscana. I centocinquanta/duecento clienti fissi divennero improvvisamente cinquanta/sessanta. Purtroppo la mia struttura era tarata per un certo volume di affari visto che contava sul negozio a Ponsacco (trasferito proprio nel 1998 a Pontedera, in Via Montanara 13/15), l’ufficio a Londra, quattro dipendenti, lo studio di registrazione, affitti ed altro. Il fatturato calò del 60% circa ma purtroppo le spese rimasero invariate. Dopo un paio di anni di sofferenza chiusi i battenti.

Fu una decisione sofferta porre fine all’avventura del Dee Jay Doc?
Non immagini quanto! Misi un cartello sulla saracinesca con su scritto “chiuso per ferie” ma sapendo che in realtà non avrei più riaperto. Per un anno mi dedicai ad altri lavori trasferendomi all’estero ed interrompendo ogni contatto che avevo col mondo della musica per evitare il continuo sentimento di rammarico. Tutto quello che creai in circa dieci anni si era disintegrato in un solo colpo.

Ci fu qualcosa in particolare ad innescare il processo di disaffezione del pubblico nei confronti dei dischi?
Per quanto riguarda il caso specifico del mio negozio, senza dubbio ad invertire la tendenza fu lo stop delle più importanti discoteche toscane che, di conseguenza, ridusse l’intero indotto degli appassionati. Ho solo sfiorato l’avvento del digitale che, dopo il 2000, ha inferto il colpo di grazia al comparto della vendita dei dischi in vinile.

Riusciresti ad indicare, in termini economici, l’annata più fortunata e quella meno?
Il 1993 sicuramente fu l’anno più redditizio. Il peggiore invece il 1998 visto che, come dicevo prima, segnò un crollo verticale del fatturato.

Pensi che in futuro ci sarà ancora spazio per i negozi “fisici” di dischi?
Certo, è possibile, ma chiaramente con criteri assai diversi rispetto al passato. Importantissimi risulteranno il grado di competenza e l’esperienza di chi potrà dedicarsi ad uno dei mestieri più belli di sempre. Il cliente percepisce tutto questo e viene conquistato dal suo “consigliere”.

Cosa c’è adesso al posto del Dee Jay Doc, al 49 di via Nazario Saurio a Ponsacco?
Lo studio di un commercialista.

Quali sono le prime cose che ti vengono in mente ripensando al tuo negozio di dischi?
Le notti insonni durante l’attività e la stima che hanno riposto in me i clienti, senza dimenticare i pomeriggi passati insieme a centinaia di artisti: ricordi indelebili della mia vita.

(Giosuè Impellizzeri)

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