DJ Vortex – DJ chart dicembre 1995

DJ Vortex, DiscoiD, dicembre 1995

DJ: DJ Vortex
Fonte: DiscoiD
Data: dicembre 1995

1) Paul van Dyk – Seven Ways
“Seven Ways” è il secondo dei due album che van Dyk destina alla MFS di Mark Reeder, considerata una delle etichette capostipiti della trance. Co-prodotto con l’australiano trapiantato in Germania Johnny Klimek, è saldamente ancorato alla formula progressive house britannica (e ciò spiegherebbe la ragione del titolo di uno dei brani, “The Greatness Of Britain”) ma dilatata e velocizzata dai 120 ai 150 bpm. «Ho fissato l’obiettivo molto in alto per ogni traccia ed ho cercato di ottenere un disco che rispecchiasse il 100% delle mie possibilità» rivela l’artista in un’intervista a cura di Pia Hohnhaus pubblicata su Raveline a febbraio 1996, circa un mese prima dell’uscita dell’LP. «Non è stato facile lavorare a questo album, volevo che ogni idea giungesse all’ascoltatore nel miglior modo possibile, è stato senza dubbio il progetto più importante ed impegnativo che abbia realizzato sinora». L’impostazione prevede dunque cascate melodiche cristalline su pendii ritmici (“I Can’t Feel It”, “I Like It”, “Words”), irrefrenabili pulsazioni deep lanciate sull’ottovolante (“Heaven”, “Come (And Get It)”, entrambe decorate dalla voce di Natascha Seidel, ex moglie dell’artista) e ghirigori sognanti (“Seven Ways”). La prima tiratura sul doppio vinile conta solo sette brani che diventano undici nella versione su CD, supporto quest’ultimo a cui è relegato “Forbidden Fruit” basato, come dichiara lo stesso autore attraverso i crediti, “su un’idea di Bernard Sumner, Johnny Marr e Karl Bartos” e diventato un singolo di successo l’anno dopo grazie a nuove versioni.

Paul van Dyk, 1996
Paul van Dyk in una foto risalente al 1995

Nella succitata intervista della Hohnhaus il DJ tedesco coglie l’occasione per svelare il motivo del titolo dell’album: «Quando ero piccolo mia nonna mi raccontò una storia in cui venivano fornite sette diverse soluzioni per ogni problema. Solo una di queste era corretta però. In “Seven Ways” ho cercato di tradurre musicalmente quella sorta di misticismo. L’album è frutto di un’analisi introspettiva che intendo trasmettere attraverso la musica. In “Beautiful Place” (finita nel doppio CD in edizione limitata, nda), ad esempio, descrivo un luogo immaginario in cui mi piacerebbe trovarmi». Un disco maturo e personale quindi, frutto di un laborioso lavoro che tiene impegnato l’artista sin dalla primavera del 1995. «Ho sviluppato le prime idee a casa, poi è entrato in gioco Klimek con cui ho finalizzato il tutto nel suo studio, portando lì pure alcuni dei miei strumenti usati per le demo» spiega ancora l’artista. Su Raveline si parla anche di un nuovo album interamente composto da remix di canzoni indie pop: «penso sia interessante portare la musica di altri campi nell’area elettronica. Mi piace l’indie e vorrei colpire emotivamente il pubblico allo stesso modo ma usando strumenti differenti». Nel futuro di van Dyk si scorgeranno presto nuove dinamiche e fusioni stilistiche che lo porteranno ad essere celebrato come idolo da immense platee come raccontiamo qui, e a posteriori “Seven Ways” diventa il punto di raccordo tra le due fasi della sua carriera alla stregua di una dieresi.

2) Cygnus X – Kinderlied
I classici del repertorio di Cygnus X restano “Superstring” del 1993, composto con Ralf Hildenbeutel, e “The Orange Theme” del 1994. Per Matthias Hoffmann non è stato facile e possibile eguagliare quei sorprendenti risultati nonostante la vena creativa particolarmente ispirata che, tra le altre cose, genera “Kinderlied”. Pubblicato sempre dalla Eye Q Records, il brano è diviso in due parti: la prima, lunga poco più di una manciata di minuti, scorre su atmosfere sulfuree sorrette dalla battuta filo breakbeat ed una nenia orrorifica canticchiata in tedesco da quella che parrebbe una bambina, la Dana ringraziata in copertina; la seconda prende le mosse da ciò che resta di quella sorta di intro (la kinderlied – canzone per bambini per l’appunto) e centrifuga tutto a 138 bpm, sequenziando più strati armonici che nel break si dissolvono in una cortina fumogena. Sul lato b è inciso “Turn Around” scritto dal citato Hildenbeutel, un altro guizzo ascendente verso il cielo segnato da profondi intrecci melodici issati da incandescenti funi ritmiche.

3) Nihilist – Hermit
Dietro Nihilist opera il compositore italo tedesco Tiziano Cerrone, dedito ad ibridazioni nate sull’asse trance/ambient/acid. Il suo album d’esordio, “Sibyl And Her Prophecies” del 1994, segue il filone degli Air Liquide ed “Hermit”, degno continuum, insiste sulle medesime coordinate. Il 7″ in edizione limitata contemplato da Vortex nella classifica trova alloggio nel box set a cui è annesso il CD e contiene due pezzi, “World In A Shell” e “Birds Are Singing…” in cui l’autore mescola stili e genera nuovi contrasti. Dopo l’uscita del disco Nihilist sparisce inspiegabilmente nel nulla.

4) ? – ?
Non è stato possibile identificare il brano in questione. Tra 1995 e 1996 però ad utilizzare lo pseudonimo Elements è Franco Falsini (intervistato qui) che incide un 12″ per la milanese Dangerous intitolato “After Hours Links” in cui tuttavia non c’è nessun pezzo intitolato “Collective”. Un errore? O forse una traccia mai data ufficialmente alle stampe?

5) Walter One vs. Paolo Beat – Starjam Angels EP
Prodotto da Walter ‘Walter One’ Severini e Paolo Maria Gambarelli alias Paolo Beat, questo EP muove i passi su melodie innestate dentro una ridente marcetta bassolevaristica (“Angels”), e poi prosegue con prog trance intrisa di darkismi (“One-Beat”) e celestiali arpeggi illuminati da luci stroboscopiche (“L’Alba Dei Robot”). Il discorso continua nel simile “Starjam Trantor EP” edito successivamente dalla medesima etichetta, la Primoquarto Records. Poco tempo dopo Walter One imbocca il sentiero della musica hardcore/gabber militando tra le fila dell’olandese Mokum Records che pubblica parecchi suoi brani, da “Face To Face” a “Live In Hell” passando per “Fucking Artcore – Trantor III” in coppia coi gemelli Scaccia aka The Twins Artcore, e “The Quantum Theory” con Hybridonhard uscito nel 2013, anno della sua prematura dipartita.

6) Maurizio Testi – Blue Dream (Gianni Parrini Remix)
“Blue Dream”, registrato e mixato presso lo Studio Blu di Trieste, è uno delle migliaia di titoli che tra 1994 e 1996 invadono il mercato discografico nostrano mosso da soluzioni strumentali portate al successo mondiale da Robert Miles con “Children” di cui parliamo qui. Il brano assembla tutti gli elementi tipici della progressive mediterranea di quel periodo (il suono della campana, la melodia eseguita al pianoforte, tappeti sognanti, etc) e forse proprio per questo fatica ad uscire dall’anonimato. Il remix di Gianni Parrini, tra i teorizzatori della cosiddetta dream music, concede più brio grazie ad inserti breakbeat ed incastri melodici che si rincorrono lungo la stesura. A stampare il 12″ è la In Lite, una delle sublabel del gruppo modenese Alabianca che in catalogo vanta piccoli classici della corrente progressive italiana, su tutti “Android” di 2 Culture In A Room eternato per i fan da un remix di Gigi D’Agostino.

7) Sven Fade vs. S-Dyz – More Traxx EP
In scia all’esplosivo successo raccolto da Emmanuel Top coi suoi Attack Records, tanti europei si buttano a capofitto nella acid progressive proprio come Sven Fade ed S-Dyz con questo extended play stampato dalla tedesca SB Records. Cinque i brani racchiusi all’interno, tutti accomunati dal minimalismo graffiato dalla TB-303 e puntellato da solide percussioni. Uno di essi, “World Without Warning”, diventa un must nei set di Francesco Zappalà. A caricarlo su YouTube il 15 agosto 2013 è proprio il noto DJ italiano che coglie l’occasione per ringraziare Andrea Benedetti e Paolo Zerla: «erano loro a rifornirmi chicche così» si legge tra i commenti.

8) The Mackenzie – Vinyl Maniacs
The Mackenzie è un gruppo belga messo su alla fine degli anni Ottanta quando la new beat lascia il passo ad house e techno. Svariati i 12″ pubblicati, prevalentemente su Mackenzie Records, tra cui proprio “Vinyl Maniacs”. Sul lato a c’è “Is What You Are” che gioca sull’ossessività di un breve hook vocale ripetuto per l’intera stesura, sul b “Fly 909” abbracciato in modo più deciso agli ipnotismi della (hard)trance sullo sfondo di atmosfere malinconiche e glaciali. Nella seconda metà degli anni Novanta i Mackenzie si fanno notare a livello europeo con pezzi come “I Am Free” (che vanta il remix del compianto Marino Stephano dei C.M.), “Alive”, “Falling In Love” ed “Innocence”, tutti interpretati dalla cantante Jessy e raccolti nell’album “Angel” del 1999, canonizzato e promosso a pieni voti dal movimento eurotrance.

9) Y.A.Z. – Sulphureous
Prima e probabilmente unica uscita su YAZ, “Sulphureous” segna il debutto di Y.A.Z., progetto condiviso da Yezzy Wagner, Alex Silvi (quello di “Atomic”) e Paolo ‘Zerla’ Zerletti. “Sulphureous-Y” e “Sulphureous-W” cullano l’ascoltatore con soavi armonie nonostante i marcianti bpm, esplorando quel meandro stilistico in Italia definito dream music. Nel 1997 Wagner, Silvi e Zerletti incidono un secondo disco come Y.A.Z. (oggi particolarmente quotato sul mercato del collezionismo) mescolando approssimativamente gli stessi ingredienti. A produrlo è Gianni Parrini su Heroes Records, una delle etichette del pool Total Dance Network.

10) Josh Wink – Just A Track
Il 1995 è campale per Wink visto che incide spiazzanti hit mondiali, “I’m Ready” firmato Size 9, rilevato dalla VC Recordings del gruppo Virgin, ma soprattutto “Don’t Laugh” ed “Higher State Of Consciousness”, entrambe al centro di polemiche per presunti plagi ai danni, rispettivamente, di “Losing Control” di DBX alias Daniel Bell e “Twinker” degli Shrill. Bell rincarerà la dose anni dopo quando su Ovum Recordings esce “Superfreak (Freak)” che definisce, senza mezze misure, un remix/remake della sua “Beat Phreak” (Peacefrog Records, 1994), evidenziando altresì che pure il titolo avrebbe relazione con un altro brano del proprio repertorio, “Super Phreak” (contenuto in “Alien EP”, Peacefrog Records, 1993). Diatribe a parte, per il DJ nativo di Philadelphia è un momento galvanizzante ma Vortex, quasi a dispetto di tutto quel che avviene, sceglie uno dei brani meno noti della sua discografia. “Just A Track” gravita su un (piuttosto banale) telaio ritmico usato come base di lavoro per giocare con le frequenze di un suono lasciato scorrere sull’ottava anche in modalità glissando che finisce col corrodersi e dematerializzarsi. Per disporre della traccia in questione bisogna procurarsi il secondo volume di “Trance Atlantic”, compilation britannica che raduna artisti del calibro di Blake Baxter, Frankie Bones, Lenny Dee, Paul Johnson, Felix Da Housecat, Green Velvet e Mike Dunn.

(Giosuè Impellizzeri)

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Age Of Love – The Age Of Love (DiKi Records)

Age Of Love - The Age Of Love

I dibattiti sulla genesi di vari generi musicali infiammano costantemente gli animi degli appassionati, specialmente ai tempi dei social network. Su house e techno le teorie si sprecano ed aumentano di volta in volta per mano di chi cerca a tutti i costi la retrodatazione forse ambendo ad uno scoop giornalistico. Il discorso riguarda pure la trance le cui origini vengono solitamente ricondotte ad una triade di brani: “What Time Is Love?” dei britannici KLF (col sottotitolo Pure Trance 1 esplicitato in copertina), “We Came In Peace” dei tedeschi Dance 2 Trance e “The Age Of Love” degli italiani Age Of Love. Da qualche anno a questa parte qualcuno tende ad aggiungerne pure un quarto, prodotto in Italia nonostante il titolo in lingua teutonica, “Neue Dimensionen” di Techno Bert di cui parliamo qui. A livello di nomenclatura invece, se da un lato DJ Dag, qua, pare rivendicarne la paternità, dall’altro c’è chi attribuirebbe il merito a Klaus Schulze con l’album “En=Trance” del 1988 o a Chris & Cosey con “Trance” del 1982 (a cui nel 1985 si aggiunge “Technø Primitiv”, a rimarcare un certo senso di preveggenza su musiche future). Annoverando nell’indagine anche quei pezzi che parrebbero proto trance (come alcuni dei Delerium, nati da una costola dei Front Line Assembly, o il raro “Trance” del compianto Angus MacLise, 1987) si finirebbe però col perdere la bussola ed anche il senso della ricerca stessa. Scovare similitudini a posteriori non proverebbe granché visto che tutta la musica è costruita su continui rimandi a cose preesistenti. È fuor di dubbio comunque allacciare i primordi e l’innesco della trance a soluzioni armoniche e melodiche che diventano il nucleo della composizione, propellente ideale per imprimere una spinta nonché quid perfetto per differenziare quel filone stilistico da altri nati poco prima come house e techno. Tra la fine degli anni Ottanta e i primissimi Novanta però le categorizzazioni non esistono ancora, le nuove musiche che si sviluppano tra Stati Uniti ed Europa appartengono ad un substrato culturale che assimila di tutto.

La trance di quel periodo è figlia della techno europea che punta a cullare l’emozionalità e non solo a soddisfare le esigenze del movimento, limitando gli elementi più aggressivi tipici della rave music a favore di impalcature armonico e melodiche intrise di retaggi new age, ambient e suoni tipici delle sonorizzazioni. “Musica per mente e spirito” dirà più di qualcuno tempo dopo. “The Age Of Love” sposa esattamente questo concept. La Flying Mix, incisa sulla Vocal Side (a cui si sommano altre due versioni annesse alla Deep Side, la New Age Mix e la Boeing Mix, derivate dalla stessa idea, oltre ad una più stringata Radio Version) è un sogno lungo poco meno di sei minuti in cui ghirigori paradisiaci ammorbidiscono il martellio della cassa in quattro. Un sinuoso arpeggio si somma ad un breve inserto vocale sinora attribuito, persino da fonti considerate attendibili come Wikipedia e Discogs, a Karen Mulder, celebre modella olandese, ma come si vedrà più avanti il suo coinvolgimento risulta totalmente infondato. Una voce maschile più roca poi fa da contraltare alla prima. È quella di Giuseppe Chierchia che il grande pubblico conosce come Pino D’Angiò, finito negli annali per la hit del 1980 “Ma Quale Idea”, trainata da un caratteristico disegno di basso ispirato da “Ain’t No Stoppin’ Us Now” di McFadden & Whitehead di poco tempo prima. Ad orchestrare tutto in “The Age Of Love” è un musicista italiano residente in Francia, Bruno Sanchioni. A pubblicare il disco nel 1990, sia su 12″ che 7″, è invece un’etichetta belga, la DiKi Records di Roger Samyn, nata nel retrobottega del suo negozio di dischi, il Disco King di Mouscron a cui il nome stesso fa riferimento (DiKi è l’acronimo di Disco King). Nel 1990 però non succede niente. Una manciata appena di licenze (in Francia e in Germania, rispettivamente su Airplay Records e ZYX Records che infilano il pezzo in qualche compilation sperando di rientrare almeno nei costi) lascerebbero supporre un flop discografico.

01) Age Of Love - The Age Of Love (J&S Remix)
La copertina che accompagna i remix di “The Age Of Love” realizzati da Jam & Spoon e pubblicati nel 1992

Bisogna attendere due anni affinché la situazione si ribalti completamente e ciò avviene per merito di un remix ad opera di un duo tedesco formatosi a Francoforte nel ’91, Jam & Spoon. La loro Watch Out For Stella Club Mix rimette tutto in discussione attraverso una schematizzazione diversa degli elementi di partenza che esalta il potere ipnotico della versione originale raggiungendo esiti virtuosistici inaspettati. Da quel momento per “The Age Of Love” cambia davvero tutto. «Ricevemmo la proposta di remix da un’etichetta britannica, la React» rammenta oggi Jam El Mar. «Per me la versione originale era già un successo e nei club specializzati di Francoforte la suonavano tutti. Ricordo quando Mark (Spoon, nda) entrò in studio dicendo “hey, allora dobbiamo remixare “The Age Of Love!”. Gli risposi “diavolo, è proprio così!”. Ci vollero appena due giorni per completare il lavoro, eravamo in una fase particolarmente creativa ed ispirata, trovammo il giusto flow, cosa che purtroppo non avveniva molto spesso. Ricostruimmo la sequenza originale con uno Yamaha TX802 ed un campionatore Akai S1000, i suoni sognanti erano di un Oberheim Xpander, i cori nel break di un E-mu Proteus mentre il pad di un Roland D-50. Alla Watch Out For Stella Club Mix aggiungemmo una seconda versione, la Sign Of The Time Mix in battuta spezzata che era una sorta di Dub Mix, per usare un termine in voga ai tempi. I diritti, negli anni, sono transitati attraverso diverse etichette e sono abbastanza sicuro che siano state vendute oltre 500.000 copie, magari anche di più, ma non ho certezze in tal senso. Il compenso per il remix fu pari a 1000 sterline e non sapemmo nient’altro dopo averlo consegnato. Purtroppo non ho mai avuto occasione di incontrare Sanchioni e Chierchia nonostante abbia suonato spesso in Belgio. Credo che abbiano apprezzato la nostra versione perché ci proposero di produrre un intero album di Age Of Love, progetto che non andò in porto perché eravamo già impegnati con l’LP di Jam & Spoon. “The Age Of Love” resta senza dubbio uno dei primi brani trance della storia, diventato una specie di modello per tante produzioni successive. La scena techno si è legata maggiormente al remix (in questi anni ho sentito suonarlo più volte da Nina Kraviz) e sono felice quanto onorato di aver messo le mani insieme a Mark su un pezzo di tale fattura, ma non dovremmo dimenticare ciò che fecero Sanchioni e Chierchia: senza la versione originale non ci sarebbe mai stato il nostro remix».

Dalle risicate licenze del 1990 si passa a decine di richieste provenienti da tutta Europa e persino dagli Stati Uniti. Ad accaparrarsi i diritti per l’Italia è la milanese Dig It International che ristampa il brano nel ’92 su una delle sue tante etichette, la S.O.B. (Sound Of The Bomb). Una nuova tornata di remix giunge nel 1997 quando arrivano le versioni di Paul van Dyk, Secret Knowledge, Baby Doc ed Emmanuel Top a cui ne seguono altre ancora, nel ’98, realizzate da Brainbug e Johnny Vicious. Ma la lista diventa interminabile se si estende la ricerca al nuovo millennio con ulteriori remix di Marco V, Mr. Sam & Fred Baker, Marc Et Claude, Cosmic Gate, Wrecked Angle, Abel Ramos & Matt Correa, Manu Kenton, Koen Groeneveld, Wippenberg, Franco Maldini, Manuel De La Mare, Tempered DJ’s, Sub Scape, Syndaesia, Ed Solo, David Forbes, Solomun ed altri ancora, non sempre ufficiali. Appare palese dunque che a poco più di trent’anni dalla pubblicazione, “The Age Of Love” si sia trasformato in un autentico evergreen, proposto ed apprezzato anche da DJ di una generazione diversa rispetto a quella che lo vede giungere nei negozi di dischi per la prima volta.

02) cartolina usata da Patrick Gypen
La cartolina sacra a cui Patrick Gypen si ispira per realizzare la copertina di “The Age Of Love”

Allo stesso modo pure la copertina, legata all’iconografia sacra, è diventata un elemento distintivo. A realizzarla è Patrick Gypen che, contattato per l’occasione, racconta: «Sono cresciuto in una famiglia cattolica con una solida educazione religiosa. Nella mia stanza c’era una piccola statua della Madonna che mia madre mi portò da Lourdes. Durante il giorno “assorbiva” la luce solare per rilasciarla durante le ore notturne attraverso un bagliore verdastro, simile a quello delle lucciole. La Madonna è il simbolo dell’amore così mi parve adeguato usare la sua immagine quando, anni dopo, dovetti elaborare la copertina per un brano chiamato “The Age Of Love”. Ho iniziato a curare il design di copertine di dischi sin dai primi anni Settanta. Intorno alla metà del decennio successivo lavoravo per case discografiche belghe ed olandesi come Indisc, USA Import Records, ARS Records, Sony, EMI, R&S, DiKi Records e parecchie altre che sorsero in Belgio durante l’epopea della new beat, dal 1988 in poi. Il mio lavoro subì una drastica accelerazione dopo aver acquistato un Apple Macintosh SE/30, nel 1989, con cui finalmente potevo creare un’intera copertina (artwork vettoriale, scritte coi caratteri da me disegnati, logo ed altro ancora) senza più ricorrere all’intervento di chi eseguiva fotocomposizione o di studi specializzati in repro, ossia il processo di copia di documenti o immagini su diversi supporti. Il disegno veniva salvato su un floppy disc per poi essere trasferito direttamente su pellicola usando PostScript abbinato ad una Linotronic o una Compugraphic. Se la musica poteva essere registrata digitalmente usando computer, drum machine e campionatori, altrettanto avveniva sul fronte grafico con le copertine prodotte completamente in digitale utilizzando beta software della Adobe come Illustrator 88 e Separator. La maggior parte delle copertine che ho realizzato però le feci senza aver ascoltato il brano, e questo avvenne anche per “The Age Of Love”. Roger Samyn ai tempi era un frequentatore abituale della USA Import Records, ad Anversa, aveva stretto una partnership per importare dischi dagli Stati Uniti. Le consegne avvenivano ogni giovedì, giorno in cui il materiale proveniente d’oltreoceano veniva sdoganato. In pratica José Pascual, proprietario del negozio USA Import, Dieter Hessel di Music Man a Gand e Samyn col suo Disko King a Mouscron, si aggiudicavano singoli ed album poco reperibili in Belgio dividendosi le spese di spedizione. Mentre ascoltavano i dischi che avevano ordinato io, da DJ, sceglievo quelli che a mio parere erano i migliori per poterli proporre nei locali in cui suonavo. Sia l’appartamento in cui vivevo che lo studio in cui lavoravo erano ubicati nello stesso stabile del negozio di dischi ma al piano superiore, quindi il rapporto coi clienti era ottimo e veloce. Gran parte delle commissioni per le nuove copertine giungevano il giovedì proprio come avvenne per “The Age Of Love” ed altre che realizzai per la DiKi Records tra cui “Baby Phibes” di Dr. Phibes ed “Acid Rock” di Rhythm Device. Quella di “The Age Of Love” però, per me, resta particolarmente speciale.

03) alcune copertine di patrick Gypen
Alcune copertine firmate da Gypen tra la seconda metà degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta

Da quando comprai il Macintosh SE/30 entrai a far parte di TypeLab, un consorzio di designer di caratteri tipografici che si poneva l’obiettivo di rompere il monopolio detenuto dai grandi produttori come Linotype, Monotype ed altri principali fornitori di font grafici. Nel nostro gruppo c’erano anche famosi designer del calibro di Martin Majoor ed Erik Spiekermann oltre ad alcuni “rivoluzionari” come Neville Brody ed io stesso. Brody era il designer che si occupava di due rinomate riviste di tendenza britanniche, The Face ed Arena. Mi ha ispirato moltissimo usando Illustrator 88 come strumento di progettazione di lettere vettoriali, nella realizzazione dei caratteri che destinai prima ad “Elle Et Moi” di Max Berlin e poi a “Pump Up The Jam” dei Technotronic, oltre a tanti altri giunti in seguito. Nel momento in cui questi caratteri divennero originali e disponibili in PostScript, usati su piattaforma Macintosh, cercammo di trovare la possibilità di distribuirli e venderli. Nonostante fossi solo un piccolo novizio nel campo dei software, riuscii a diventare beta tester e consulente per Adobe, azienda con la quale stavo instaurando uno stretto rapporto di collaborazione. Esattamente una settimana prima di avere da Samyn la richiesta di progettare la copertina di “The Age Of Love”, Adobe mi inviò cinque floppy contenenti la versione alpha di Photoshop. Quel giorno ricevetti anche il prototipo di uno scanner a colori da una società di Anversa con cui collaboravo in veste di beta tester, la Agfa-Gevaert. Ero ansioso di provare entrambe le allettanti novità il più presto possibile. L’impostazione dello scanner mi portò via parecchio tempo ed energie. Bisognava collegarlo usando un’interfaccia SCSI e per farlo funzionare correttamente impiegai più di una giornata. Per testarlo cercai nel mio studio un’immagine adatta e, tra varie cose, saltò fuori una cartolina con la Madonna e il cuore in fiamme. Era stampata a colori su un vecchio cartoncino che misurava 7 x 11 centimetri, destinata a commemorare la prima comunione di qualcuno. Una volta scannerizzata in 72DPI (il massimo della risoluzione che poteva raggiungere quello scanner) memorizzai il file su un floppy e passai all’installazione di Photoshop. Prima di tutto dovetti fare spazio sull’hard disk cancellando 40 MB e riversandone il contenuto su altri floppy da 1.44 MB. A quel punto ero pronto per installare il software ed imparare ad usarlo. Lo schermo quadrato del Macintosh SE/30 era di 23 centimetri, in bianco e nero ovviamente. La colorazione dell’immagine avveniva attraverso colori definiti in parte dall’RGB e dalla scala di grigi, senza poter contare su prove poiché non erano ancora disponibili stampanti a colori. Sul sistema Apple 6.0 purtroppo la versione alpha di Photoshop andava in crash ogni dieci minuti ma mi impegnai al massimo affinché la copertina di quel disco fosse realizzata nel migliore dei modi. La scritta bianca mostra i pixel sulle lettere perché Photoshop non riusciva a smussare i caratteri vettoriali. Dopo aver modificato l’immagine ed aver disegnato un nuovo cuore, aprii il file con Illustrator, lo ingrandii ed aggiunsi il titolo in rosso. L’unico software con cui ai tempi potevo separare i colori dell’immagine era Separator, sempre di Adobe, che però funzionava solo coi file generati da Illustrator 88. Prima di quel momento non avevo mai provato ad inserire un’immagine a colori basata su pixel su una pagina vettoriale per poi separare i colori da RGB a CMYK (necessari per la stampa) su quattro differenti pellicole. A lavoro ultimato, mettemmo al sicuro il file su un hard disc (con un salvataggio che richiese quindici minuti!) e poi mandammo il fronte della copertina, su un floppy da 1.44 MB, all’unica azienda che in Belgio aveva un typesetter PostScript. Giunse a destinazione oltre l’orario di lavoro ma un mio amico che gestiva quel posto decise di avviare comunque il processo di imaging, intorno alle otto della sera. Verso mezzanotte ricevetti la sua telefonata: il Raster Image Processor, apparecchio che serviva a trasformare i vettori e i pixel dell’immagine e convertire i colori RGB in CMYK, stava lavorando alacremente ed era evidente dalla luce lampeggiante sul Mac, ma l’immagine finale non si vedeva ancora. Solo la mattina dopo i quattro file erano finalmente pronti per lo sviluppo. A quel punto il mio amico tipografo mi chiese come diamine fossi riuscito a combinare file a colori basati su pixel a tipografie vettoriali, fondendo il tutto in un file. Per lui si trattò di una “repro revolution” ed aveva ragione. Felice che quell’esperimento fosse andato a buon fine, iniziai ad usare frammenti della copertina frontale e fare nuovi disegni in Photoshop, passandoli in Illustrator 88 per aggiungere i titoli delle tracce e le info di produzione. Una volta ottenute le separazioni dei colori, mancava un’ultima operazione prima di consegnare tutto all’azienda che avrebbe stampato le copertine. Gli studi dattilografici avevano un formato standard per le immagini su carta fotografica o pellicola. Le dimensioni delle copertine degli LP e dei 12″ erano di 31,5 x 31,5 centimetri, con un ulteriore margine di 0,3 centimetri su tutti i lati e 0,5 per la costola laterale. Il formato massimo della pagina era di 27,9 centimetri, non sufficienti. Per ovviare al problema realizzai molte copertine con un bordo bianco, oltre a comprare una camera repro con cui poter ingrandire le immagini e riprodurle autonomamente su una pellicola nella camera oscura. Erano anni in cui tutto stava cambiando nel settore della grafica e, in seguito a pure coincidenze, nel mio studio giunsero tutti gli strumenti che mi consentirono di aderire immediatamente a quella rivoluzione in atto. Visto il pionierismo nel settore, fui immediatamente assunto come consulente e sviluppatore da Adobe, Apple, Agfa-Gevaert, Mannesmann Scangraphic, Compugraphic ed altre grandi aziende specializzate in quel ramo. Dall’uscita di “The Age Of Love” sono trascorsi ormai più di trent’anni ma ritengo che sia il brano che la copertina restino più attuali che mai. In circolazione sono finite anche versioni grafiche realizzate da altri ma penso che nessuna riesca ad eguagliare o battere l’originale. Quell’immagine era pura, evolutiva, emozionale, sognante, sensuale, calda, astratta, ispirata, religiosa e controversa, tutto allo stesso tempo. Per tale ragione non cambierei nulla di essa».

Paradossalmente i meno disposti a parlare di “The Age Of Love” sono gli autori. Sanchioni, da sempre restio a farsi intervistare (questa può considerarsi decisamente un’eccezione) non ha mai risposto ai nostri ripetuti inviti di rilasciare qualche dichiarazione. Chierchia invece rivela qualcosa nell’intervista di Alessandro Dell’Orto pubblicata il 27 agosto 2011 su Libero, in cui si definisce, senza mezze misure, «l’inventore della musica tecno trance», parlando della bozza iniziale di “The Age Of Love”, piuttosto ingenerosamente, come «una specie di jingle assurdo». «Presi un microfono ripetendo cose a vanvera tipo “come on” ed aggiunsi suoni per riempire. Dopo qualche mese l’amico mi spedì un CD con “The Age Of Love” che ha venduto quattro milioni di copie ed è il brano di riferimento per chi ascolta questa musica, presente in quattrocento compilation. Ho inventato qualcosa e non so cosa!». Diverse le inesattezze e le informazioni fuorvianti a partire dalle parti vocali col “come on”, scritte ed interpretate precedentemente da una giovane cantante, alla cronologia degli eventi: ci vollero almeno due anni prima che “The Age Of Love” diventasse una hit, e ciò avvenne grazie al remix realizzato in Germania da Jam & Spoon. Da tali dichiarazioni si evincerebbe inoltre che Chierchia abbia contribuito anche alla scrittura della base musicale ma documenti ufficiali recuperati recentemente dagli archivi della DiKi Records lo sconfesserebbero in toto, attribuendogli unicamente la paternità del testo del brano, depositato in SABAM ad aprile del 1990 e in quell’occasione definito “rap dance”. Chierchia rincara ulteriormente la dose nell’intervista curata da Stefano Di Trapani alias Demented Burrocacao e pubblicata da Vice il 26 maggio 2016: «Ero in Belgio a casa di un amico, un grande editore franco-belga, Philippe De Keukeleire, che mi disse: “Dai vieni in studio, ho una base musicale e vorrei che la sentissi, magari se ne fa qualcosa”. Era davvero oscena, insopportabile, orrenda, una batteria tutta di piatti e bordo rullante, senza corpo, un basso senza capo né coda, una tastiera che gemeva in sottofondo come una gallina muta con le coliche. Un vero incidente musicale! Non sapevo che fare. Suonai una sequenza ripetuta all’infinito, cambiai tutti i pad e mi inventai un testo a vanvera, in inglese, lì in piedi di fronte al microfono, tanto per fare qualcosa. Poi uscii dallo studio e dissi al mio amico: “Fanne quello che vuoi, ma non metterci il mio nome sopra, abbi pietà! Mi raccomando”. Dopo sei mesi era il primo successo mondiale di un nuovo genere musicale, ma nonostante io risulti come autore, ancora mi gratto la testa e non capisco. Non so cosa fosse. Si racconta che Fleming scoprì la penicillina più o meno nello stesso modo… Da morire dal ridere». Polemiche a parte su chi abbia fatto cosa, da queste testimonianze e pure da quelle che seguono emerge come la genesi di “The Age Of Love” sia stata letteralmente casuale, imprevedibile, priva di una regia e frutto di un impeto creativo giunto da chissà dove. Se Chierchia e Sanchioni però si defilano, preferendo parlare poco e nulla di quell’episodio o aggiungendo, come si è visto, dettagli poco circostanziati ed oggetto di possibili smentite, di tutt’altro avviso è Jean-François Samyn, figlio del compianto Roger Samyn della DiKi Records, ben lieto di ripercorrere una fase della sua vita, forse la più emozionante.

La testimonianza di Jean-François Samyn della DiKi Records

04) Disco King al 56 di Rue du Christ, Mouscron
Una foto scattata negli anni Ottanta al negozio Disco King, ai tempi al 56 di Rue du Christ a Mouscron

Come parte l’avventura del Disco King?
All’inizio degli anni Settanta papà, un vero appassionato di musica, aprì un piccolo locale a Mouscron, nel sud del Belgio, ai confini con la Francia. Qualche anno più tardi affiancò a quell’attività un piccolo negozio di dischi specializzato in importazioni dagli Stati Uniti e Regno Unito. Si chiamava Disco King e si trovava al 56 di Rue du Christ, sempre a Mouscron. A spingerlo in quell’avventura fu la necessità di comprare dischi per il suo locale ed allora non era affatto semplice trovare un rivenditore che trattasse un certo tipo di musica. Nel corso del tempo entrò in contatto con altri titolari di rinomati negozi di dischi e grossisti come Hessel Tieter della Music Man, José Pascual di USA Import, Renaat Vandepapeliere di R&S Records e Laurent Vanmeerhaeghe della Big Time. Quello del mercato discografico era un universo nuovo e molto emozionante e non ci volle molto tempo prima che papà abbinasse alla vendita anche la produzione di musica.

Il passo successivo fu quindi la produzione discografica?
Esattamente. Iniziò nel 1982 con “Why Can’t We Live Together…” di Mike Anthony, su Ca$h Records, a cui l’anno dopo seguirono “Beats Of Love” di Nacht Und Nebel, “La Vie En Rose” di Martinique ed “Ha Chica” di Tony McKenzie. Avevo solo diciotto anni ed andavo ancora a scuola, ma ogni weekend frequentavo le discoteche, orgoglioso del lavoro che svolgeva il mio papà. Tempo dopo, quando iniziò a farsi strada la musica new beat, conoscemmo per caso Bruno Sanchioni, un giovane e sconosciuto musicista nato in Italia ma residente a Roubaix, molto appassionato e motivato. Era alla ricerca di un produttore e così firmammo presto il primo accordo, il 7 marzo 1988, a cui pochi mesi più tardi, precisamente il 12 ottobre, se ne aggiunse un secondo che riguardava il progetto Dr. Phibes. Il contratto non prevedeva un termine, eravamo certi che stesse arrivando il grande successo. Grazie al supporto del negozio fu facile accedere a tutti i nuovi arrivi dagli Stati Uniti e dall’Europa e scoprire prima di altri le nuove tendenze sonore. Poi, per fortuna, la new beat era un genere piuttosto facile da comporre se paragonato alle canzoni delle grosse band americane o britanniche. Mio padre mi diede l’opportunità di impratichirmi e vendere dischi nel negozio durante il weekend ma per me, come del resto per chiunque amasse la musica, quello non era affatto un lavoro bensì puro piacere. Non avevo alcuna voce in capitolo sulle produzioni ma mi era concesso dare qualche giudizio. Sanchioni, dunque, iniziò ad incidere dischi con mio padre nel 1988 ma i risultati non furono immediati. Cercai di dargli qualche consiglio facendo leva sulla mia visione da giovane clubber. Lui accolse di buon grado i suggerimenti al fine di ottenere i suoni giusti dalle grandiose macchine di cui disponeva in studio (Korg, Ensoniq, Roland, Akai) ed iniziò ad usare qualche sample. Qualche mese più tardi mi fece ascoltare una nuova traccia incisa su cassetta chiedendomi cosa ne pensassi. Fui completamente rapito da quei suoni e corsi a dirlo a mio padre. Finalmente un pezzo forte! Era “Acid Story”, secondo singolo di Dr. Phibes. L’entusiasmo crebbe ulteriormente quando mi chiesero di metter su un gruppo per far fronte alle live performance nei club visto che la new beat stava diventando un fenomeno di grossa portata nelle discoteche. “Acid Story” fu un autentico successo ed aprì un periodo rigoglioso della DiKi Records dopo qualche singolo non particolarmente fortunato (“Noise Gate” di Chico Crew, “”Vachillia” …6?” di Dr. Phibes ed “Hardcore Movies” di Doc And Co, tutti orchestrati da Sanchioni, nda). Durante il periodo dorato della new beat, io, Sanchioni e i ragazzi coinvolti nei progetti Dr. Phibes e Bazz facemmo davvero un mucchio di live, ogni weekend in una discoteca diversa. A quel periodo sono legati tantissimi ricordi ed incontri. Appena due anni più tardi però un nuovo genere musicale si profilò all’orizzonte, la techno. Pezzi come quelli degli Inner City di Kevin Saunderson fecero da apripista e in breve fummo letteralmente sommersi da un numero abissale di etichette e brani provenienti da ogni parte del mondo. Non bastò più mettere insieme una serie di sample ma fu necessario cercare anche parti vocali e Sanchioni a quel punto parve un po’ in preda al panico.

05) Sanchioni e Roger Samyn nel primo studio della DiKi Records (al n. 56)
Bruno Sanchioni e Roger Samyn nel primo studio della DiKi Records,1988 circa

Come affrontaste quella nuova fase stilistica che avrebbe interessato e coinvolto gran parte d’Europa?
Il negozio di dischi continuava a raccogliere enorme successo. Un numero sempre più corposo di DJ, anche molto popolari, veniva al Disco King a fare acquisti e ciò avviò una sorta di competizione coi semplici appassionati che cercavano a tutti i costi di mettere le mani sulle rarità destinate prevalentemente ai professionisti della consolle. Nel periodo in cui la new beat lasciò spazio alla techno arrivò Emmanuel Top. Ricordo come se fosse ieri il momento in cui lo incontrai per la prima volta. Quando varcò la soglia d’ingresso del negozio provai una strana sensazione, sentii qualcosa di positivo nella sua presenza. Mi chiese se avessimo “Rhyme Fighter” di Mellow Man Ace e “The House Of God” di DHS e gli risposi «certo!». Rimase quasi senza parole. «Finalmente, cerco questi titoli da settimane ma senza risultato!» disse. A quel punto gli domandai se avesse mai sentito parlare del nostro negozio. «No, ma ho visto Jean Vanesse, DJ del Fifty Five a Kuurne (oggi CEO della N.E.W.S. di Gand) andare in un altro negozio di dischi a Menin, il Disco Smash, e a quel punto lo ho seguito con la mia auto perché ero certo che stesse facendo il giro degli store in cerca di novità da proporre durante il weekend». Il nostro era un negozio piccolo ma altamente specializzato, proprio quello che stava cercando. Fu l’inizio di un vero rapporto di amicizia. Emmanuel Top rimase un cliente abituale del Disco King per circa un anno. Poi decise di investire del denaro nell’acquisto di vari sintetizzatori e fare coppia fissa in studio con Bruno. In quello stesso anno, il 1990, Sanchioni incontrò pure Gregory Dewindt (Master Techno, Total Groove, Deee Maestro etc) ed insieme realizzarono i singoli “1990 Is Our Space” e “Waresnare” di Dr. Phibes. Per l’occasione Gregory utilizzò due pseudonimi, Gregg Jones e Teddy Jones. L’arrivo di Emmanuel Top, di fatto diventato co-autore con Sanchioni, lasciò deluso Dewindt che a quel punto cercò nuove strade e firmò un contratto con la Sarema. Tuttavia grazie ai buoni contatti stretti con Rabah Djafer, manager della società francese, collaborammo ancora in occasione di alcuni dischi di Master Techno. Nel ’93 inoltre Dewindt incise per la DiKi Records “Pacific” di Pacific Trance a cui fece seguito, due anni dopo, “Jesus Trip” sulla sublabel X-Stream realizzato con Philippe Toutlemonde alias Phi-Phi (intervistato qui, nda), ai tempi uno dei DJ più famosi in Belgio in virtù dei dischi pubblicati su Bonzai. Grazie al successo e alla notorietà raggiunta sia col negozio che con le produzioni discografiche, ci trasferimmo in una sede più grande, sempre nella stessa via ma al numero civico 101. Lì avremmo avuto più spazio per lo studio e per la sala ascolto, allestita con una serie di Technics SL-1200 messi a disposizione dei clienti. Quel trasferimento alimenterà ulteriormente l’incredibile successo della DiKi Records.

06) Bruno Sanchioni e lo studio della DiKi (1991)
Sopra Sanchioni nel secondo studio della DiKi Records, sotto uno scatto che immortala alcuni degli strumenti utilizzati nel medesimo studio (1991)

Nel post new beat la Diki Records pubblica un disco seminale per la trance, “The Age Of Love”. Cosa ricordi in merito?
All’inizio del 1990 il negozio era ancora al numero 56 di Rue du Christ e Sanchioni lavorava in studio da solo. Quando non c’erano clienti, aprivo le porte della sala e lo sentivo suonare. A lui piaceva molto comporre ad alto volume e ciò mi diede la possibilità di sentire la costruzione di quel pezzo dall’inizio alla fine. L’ultimo suo successo, “Te Quiero” di Pedro Ramon, portato nei club con tantissimi live show, ormai era alle spalle e Bruno iniziò ad annoiarsi perché non riusciva a realizzare nuove tracce con vocal inediti e di pregio. Nella nostra zona era davvero difficile trovare cantanti capaci di interpretare testi in inglese senza tradire l’accento francese. In quel periodo stava lavorando ad una traccia strumentale che, pur essendo ancora allo stato di demo, prometteva piuttosto bene. All’interno aveva piazzato alcuni sample ed effetti tra cui il rumore di un aereo (e ciò spiega la ragione del nome di due versioni, Flying Mix e Boeing Mix, nda), l’ansimare di un orgasmo femminile ed un campionamento vocale preso da “Native House” di MTS And RTT uscito sulla Trax Records di Chicago che a sua volta includeva un frammento di “Native Love (Step By Step)'” di Divine che usò come bassline. I rullanti invece erano influenzati da “Work That Mutha Fucker” di Steve Poindexter. Quando creò il primo loop gli dissi immediatamente che fosse un punto di partenza interessante, e lo spronai a continuare. Se da un lato era entusiasta, dall’altro però si mostrava frustrato perché non riusciva a disporre dei vocal che desiderava. Arrivò persino a noleggiare alcune videocassette con la speranza di carpire qualche buon campionamento. Le voci presenti in “House Of Pax” di Bazz che recitano “je suis venu en paix”, ad esempio, le prese dalla versione francese del film “Dark Angel”. Lascio a voi immaginare da che tipo di pellicole trasse i gemiti che si sentono in “The Age Of Love”. Non soddisfatto del tutto dal risultato, continuava a chiedere a mio padre di procurargli dei vocal da utilizzare. Lui si convinse dopo aver fatto ascoltare quella demo ad amici e clienti del negozio che avevano espresso, all’unanimità, reazioni assolutamente positive. Il bassline, effettivamente, era irresistibile. In quel periodo girava un pezzo, diventato parecchio popolare, con un sample che recitava “waouw, c’mon, waouw”, ossia “Yaaaaaaaaaah” di D-Shake. A Bruno (ma anche a me) piaceva molto quella traccia e un giorno, ascoltandola, mi disse che ciò che occorreva alla sua nuova demo fosse proprio un sample tipo “c’mon”, magari cantato da una donna.

07) Age of Love deposito Sabam
La ricevuta della SABAM relativa al deposito di “The Age Of Love” (13 aprile 1990). Il genere musicale del brano è indicato come “Rap Dance”

08) Valerie Honore
Una recente foto di Valérie Honoré, voce femminile di “The Age Of Love” da anni attribuita erroneamente alla modella olandese Karen Mulder

Quel sample arriva e la ragazza che lo interpreta viene spacciata su internet come Karen Mulder, vero?
Già. Da anni sul web si parla di un presunto incontro con la Mulder, invitata nel nostro studio per occuparsi di una piccola parte vocale in “The Age Of Love” ma tutto ciò è solo frutto della spiccata fantasia di qualcuno. Le cose andarono in modo molto diverso, la modella olandese non ha mai messo piede alla DiKi Records e tantomeno cantato per quel disco e spero che questo articolo / intervista, attraverso cui rivelo per la prima volta tale retroscena, possa servire a fare chiarezza. La voce femminile che si sente in “The Age Of Love” è di Valérie Honoré che oggi vive vicino Lille, in Francia. Ai tempi aveva diciannove anni e un pomeriggio Sanchioni le chiese, quando eravamo ancora al 56 di Rue du Christ, se le andasse di ballare sul palco in occasione dei live di Pedro Ramon. Accettò. Poche settimane più tardi, mentre rientravano da una serie di serate in alcuni club parigini, Bruno le disse che stava cercando voci femminili per le sue nuove produzioni e le propose di fare una prova in studio. Avrebbe dovuto cantare solo una breve parte, tipo i versi in francese in “Fade To Grey” dei Visage per intenderci. Valérie annuì. Una volta giunti in studio Sanchioni le fece ascoltare la base e lei rimase piuttosto spiazzata visto che niente di quel pezzo somigliava ai Visage. Tuttavia non si tirò indietro e scrisse un paio di frasi in inglese: “Come on dance with me, move your body you like the beat”. Bruno campionò la voce e nell’arco di due/tre ore la piazzò nel brano ma Valérie, stanca, ormai era andata via. Pochi mesi più tardi lei incontrò in un bar della città Stéphane Pauwels, ai tempi DJ ed oggi impegnato in tv in programmi sportivi. Andarono insieme in una discoteca e lì ascoltò per la prima volta il brano con la sua voce. Era rattristata dal fatto che Bruno non l’avesse più contattata per informarla sullo sviluppo della vicenda e per ringraziarla. Comunque non tornò alla DiKi Records e non avanzò mai alcuna pretesa, ormai era occupata da un altro lavoro. Stanco di assistere alla continua diffusione su internet di informazioni completamente infondate, tempo fa mi misi alla ricerca di questa misteriosa cantante contattando pure Sanchioni ed alcuni vecchi DJ e clienti del negozio ma purtroppo senza successo. L’unica informazione che ottenni era il suo nome, Valérie. Complice quest’intervista, adesso sono riuscito ad entrare in contatto con lei attraverso Facebook e qualche settimana fa mi ha finalmente raccontato dettagliatamente come andarono le cose nel 1990. Valérie si occupa di artigianato dal 1998, oggi lavora come tappezziera e decoratrice ed è mamma di un bellissimo bambino di dieci anni. Il cerchio si è finalmente chiuso. Mi impegnerò affinché il suo nome e il testo originale che scrisse vengano riportati sulle copertine delle prossime ristampe di “The Age Of Love”.

Quando entra in gioco invece Giuseppe Chierchia?
Nel periodo in cui Sanchioni lavorava alla base di “The Age Of Love” mio padre iniziò a pubblicare alcuni brani, come “Baby Phibes” di Dr. Phibes, “The Right Song” di Neal Fox e il citato “Te Quiero” di Pedro Ramon, in cooperazione con Philippe De Keukeleire dell’Alpina Records e Carrera Records. Philippe era il figlio di Marcel De Keukeleire, produttore di una canzone arcinota, “La Danse Des Canards” di J.J. Lionel (nota in Italia come “Il Ballo Del Qua Qua”, ricantata da Romina Power, nda). Sapendo che Sanchioni fosse alla disperata ricerca di un/una cantante, mio padre chiese aiuto a lui. Il caso volle che quel giorno De Keukeleire stesse insieme ad un cantante italiano, Giuseppe Chierchia meglio noto come Pino D’Angiò, andato a trovarlo visto che erano buoni amici. Mezz’ora dopo Chierchia era già nel nostro studio intento a registrare i vocal giacché la parte strumentale era stata già completata. Mio padre e Bruno decisero di intitolare il pezzo “The Age Of Love” ispirati dal sample proveniente da “Native Love (Step By Step)” prodotto da Bobby Orlando. Chierchia, a sua volta, si lasciò trasportare dal titolo per scrivere un testo e registrarlo in poche ore. Quel giorno Sanchioni era decisamente felice visto che in studio si trovava con un altro italiano con cui divertirsi e farsi un sacco di risate. Quando la partitura fu completata, venne depositata in SABAM ma con un errore: il passaggio vocale “you like the beat” fu sostituito da “your life is beat”. Non fu una cosa intenzionale però. Chierchia non aveva mai incontrato Valérie Honoré, le rispettive parti furono registrate in momenti differenti e poiché nessuno si era preoccupato di annotare il testo di quel breve inserto vocale inciso come prova, vennero trascritte le parole che sembrava fossero state pronunciate da Valérie in quei pochi secondi. Le quattro versioni furono completate e mandate in stampa poche settimane più tardi ma il successo non giunse subito, seppur tutte le copie della prima tiratura vennero vendute presto. Due anni dopo, a pochi giorni dalla fine del Midem, Hessel Tieter della Music Man disse a mio padre che fu un vero peccato che non fosse a Cannes perché Thomas Foley della britannica React era alla ricerca di un referente della DiKi Records per un pezzo del catalogo chiamato “The Age Of Love”. Rimanemmo parecchio sorpresi visto che si trattava di una vecchia produzione.

09) Sanchioni e Chierchia (1990), la partitura di AOL
Nella foto sopra Bruno Sanchioni e Giuseppe Chierchia immortalati in studio nel marzo 1990, sotto la partitura depositata in SABAM in cui si rinviene anche il testo scritto ed interpretato precedentemente da Valérie Honoré parzialmente modificato

Nel frattempo su DiKi Records erano usciti tanti altri brani.
Sì, esattamente, avevamo pubblicato parecchie tracce composte da Sanchioni ed Emmanuel Top, intuendo che l’arrivo di quest’ultimo rappresentasse una grande spinta motivazionale per Bruno. Al fine di alimentare quella fertilità creativa, acquistammo nuovi strumenti per lo studio come una Roland TB-303 ed una Roland TR-909. Emmanuel Top inoltre iniziò a suonare con regolarità in club come il Boccaccio, il Fifty Five e il Villa, tutti parecchio popolari in Belgio. A ciò si sommò la massiccia importazione di musica techno ed house dagli Stati Uniti, l’influenza di Chicago e Detroit per noi fu determinante. Si trattò di un periodo fantastico sotto tutti gli aspetti. Il primo vero grande successo per la DiKi Records, diventato un classico in Belgio, è stato “Cactus Rhythm” di Plexus, uscito nel ’91. Mentre ero intento a vendere dischi in negozio, Bruno ed Emmanuel componevano musica nello studio al piano superiore, alla perenne ricerca del giusto sound. In quel periodo lo stile di Frank De Wulf e della R&S Records era tra i più apprezzati e richiesti dai nostri clienti ma Emmanuel non riusciva ad ottenere suoni simili. Gli suggerii allora di prendere a modello “Mentasm” di Second Phase, e mettendo il disco sul piatto proposi di campionarlo ma riproducendo il sample al contrario, magari incrociandolo al “waouw” di “100% Of Disin’ You” di Armando, a sua volta preso da “My Loleatta” di Ellis-D che rimaneggiava la voce di Loleatta Holloway. Mi guardò e poi corse su in studio. Qualche ora dopo tornò con un DAT che suonai in negozio alla presenza di parecchi clienti. Corsero in massa a chiedermi una copia di quel pezzo, fu pazzesco, ed Emmanuel mi fece l’occhiolino. Poche settimane più tardi divenne un successo.

Come già detto, Sanchioni realizza parecchie produzioni per la DiKi Records prima di “The Age Of Love”. Uno dei suoi progetti più popolari resta il menzionato Dr. Phibes che fece da ponte tra la new beat e la house/techno. Come reagì il pubblico quando iniziarono a diffondersi le varie forme di “neo dance” nella seconda metà degli anni Ottanta?
Prima del celebre “The Age Of Love”, Sanchioni fece centro con Dr. Phibes e Bazz, ma anche Pedro Ramon andò discretamente. “Te Quiero”, del 1989, era ispirato in modo piuttosto chiaro dall’italiana “Sueño Latino” e riscosse particolari consensi in radio, oltre ad essere il primo brano che licenziammo alla britannica Network Records del gruppo Kool Kat. “Acid Story” di Dr. Phibes e “The Drop Deal” di Bazz rappresentarono perfettamente Bruno e la sua band durante il periodo new beat, con particolari riscontri in Belgio e Francia. Il pubblico andava in visibilio quando sul palco si esibivano gruppi new beat, abbigliati in modo speciale con grandi smile e loghi in metallo di brand automobilistici come Mercedes o Volkswagen. Se ai tempi possedevi un’automobile di quelle case produttrici dovevi stare attento a non farti rubare i simboli attaccati alla carrozzeria! Per andare in alcune discoteche allora bisognava quasi travestirsi. I brani di Dr. Phibes e Bazz erano sempre mixati con “The Sound Of C…” dei Confetti’s alla fine delle serate presso l’Amnesia di Ibiza. In quegli anni si svolsero eventi grossissimi con tanti gruppi new beat e a volte, grazie al successo che ci portava in cima alle hit parade, l’accoglienza riservata fu esagerata. I produttori di quella musica erano considerati quasi delle star. Per quanto riguarda altri brani, il successo fu meno evidente anche perché, in assenza di internet, per farti conoscere all’estero era necessario chiudere accordi di licenze con altre case discografiche al fine di contare su una distribuzione capillare dei propri prodotti. La concorrenza era spietata e non mancavano favoritismi verso talune etichette. Adesso le cose sono completamente differenti e ci rende felici ricevere messaggi da fan sparsi in tutto il mondo che si congratulano per la musica che abbiamo pubblicato trenta (ed oltre) anni fa. Per la DiKi Records fu importante far parte del movimento new beat a cui si può ricondurre l’inizio della dance elettronica. Durò pochi anni ma decisamente intensi. Nel 1990 l’arrivo della techno in Europa rese il tutto ancora più intrigante.

10) i Dr Phibes nella formazione live (a sinistra c'è Gianni Battistel, morto a novembre 2020)
Una foto promozionale di Dr. Phibes: al centro Bruno Sanchioni affiancato da due personaggi che lo aiutano a portare il progetto nella dimensione live nelle discoteche quando imperversa la musica new beat a fine anni Ottanta. A sinistra Gianni Battistel, morto a novembre 2020

Ritieni quindi che la musica new beat possa essere considerata un punto di inizio per la techno e trance europea?
Senza ombra di dubbio la new beat è parte integrante dell’avvio della dance continentale ma a mio avviso quel fenomeno iniziò poco tempo prima, sempre in Belgio, con la cosiddetta AB Music proposta presso l’Ancienne Belgique, un locale a Bruxelles in cui i brani registrati a 45 giri venivano suonati a 33 giri ma aumentati a +8 col pitch del giradischi. Nello stesso periodo in cui imperversava la musica new beat circolavano grosse hit uscite dai confini britannici, tedeschi e statunitensi come “Jesus Loves The Acid” di Ecstasy Club, “Monkey Say, Monkey Do” di WestBam e “The Party” di Kraze. La musica, rispetto ad oggi, era consumata in modo radicalmente differente. Era impensabile restare a casa ed accontentarsi di sentire la radio se cercavi certi pezzi, bisognava andare fisicamente nei negozi di dischi specializzati per comprare particolari generi.

Torniamo a parlare di “The Age Of Love”, uscita nel 1990 quando la trance è ancora una sorta di prototipo. Quante copie vennero vendute inizialmente?
Solitamente in quel periodo stampavamo dalle 1000 alle 2000 copie ad uscita. Recentemente ho ritrovato un vecchio documento in archivio relativo ad una ristampa avvenuta a settembre del 1990 del DIKI 47.12.12, “The Age Of Love” per l’appunto, pari a 720 copie. Insomma, fu un disco che ottenne consensi parecchio circoscritti nella fase iniziale e credo non si possa neanche parlare di successo nazionale. Reazioni più entusiasmanti riguardarono invece altri brani della DiKi Records come Plexus ad esempio, ma in passato era impossibile sapere immediatamente se la musica che pubblicavi stesse raccogliendo successo in altri Paesi, era necessario attendere. Capitava anche di scoprire che, a causa della poca disponibilità, qualcuno stampasse bootleg white label in forma del tutto illegale come avvenne oltremanica ad “Auto Shutter” di Plexus. Distribuire i propri prodotti a migliaia di chilometri di distanza era un problema ed ottenere informazioni dall’estero non era mica facile come oggi. Noi non ci accorgemmo dell’enorme potenziale di “The Age Of Love” ma soprattutto nessuno fu in grado di prevedere che quello sarebbe diventato uno dei più grandi classici trance di tutti i tempi.

Riguardo il remix di Jam & Spoon invece?
Ricordo esattamente quando lo ascoltai per la prima volta. Era estate ed eravamo nei pressi di un magazzino in Francia che usavamo per esportare dischi in Italia e in vari negozi del luogo. Mio padre mi chiamò e disse: «Jeff, ho appena ricevuto la cassetta col remix di “The Age Of Love”. Ascoltala in macchina e poi dimmi che ne pensi». La sentii in auto e rimasi subito sorpreso dalla parte ritmica, più marcata rispetto all’originale, ma soprattutto dall’intro: l’intensità dei suoni aumentava e fui costretto ad abbassare il volume per mantenere alta l’attenzione mentre guidavo. Mi domandai a cosa servisse quella strana costruzione ma pochi secondi dopo fu come immergersi in un sogno. Wow! La riascoltai diverse volte e quando tornai da mio padre gli dissi che sarebbe stata una hit, ne ero quasi certo. Se avessi potuto modificare qualcosa forse avrei cambiato lo stridio di suoni che si alzava prima dei fantastici cori ma lui mi incalzò dicendomi che fosse proprio quell’elemento a rendere fantastico il remix. Misi la cassetta in play più volte nel negozio, nel frattempo trasferitosi al numero 101, e tutti i clienti presenti mi chiesero il titolo. A quel punto mi convinsi definitivamente. Non ringrazierò mai abbastanza Jam & Spoon per il lavoro che fecero. Il destino ha voluto che proprio il giorno in cui Mark Spoon morì, sia nato uno dei miei figli. Il pensiero volò a lui, non lo dimenticherò mai. Credo che la loro versione resti ad oggi la migliore. Rappresentò un ottimo biglietto da visita sia per i DJ set nei club che le produzioni future. A commissionare il remix fu la React accaparrandosi la gestione di “The Age Of Love” in tutto il mondo ad eccezione di Benelux, Francia, Germania, Austria e Svizzera secondo un accordo sottoscritto il 6 aprile 1992. L’unica cosa che rimpiango è che i remix di “The Age Of Love” non siano mai stati pubblicati su DiKi Records. Sono sicuro che avrebbero garantito ulteriore prestigio alla label che, comunque sia andata, riuscì ugualmente a ritagliarsi un posto di rilievo con la sua musica e i propri artisti. Circa un anno più tardi fu eletta “label del mese” dal magazine tedesco Frontpage grazie alle produzioni di Joey Beltram (X-Buzz), Acid Kirk e Sebastian S. (Cyberpsychose), Kelli Hand (Etat Solide) ed Antoine Clamaran (GTD). Poi fu la volta di Luc Devriese che arrivò quando Emmanuel Top decise di continuare la carriera da indipendente fondando la Attack Records. La sua scelta mi rattristò parecchio perché prima di essere un compositore era un amico, ma forse è il destino di ogni artista cercare di riuscire a fare le cose senza l’aiuto altrui. Sanchioni, pur essendo appagato, lo seguì creando poco tempo dopo il progetto BBE a cui aderì pure Bruno Quartier. Riscossero un grandissimo successo ma fu inevitabile lavorare nuovamente insieme.

11) Bruno Quartier e Bruno Sanchioni Live come BBE 20-12-1996
Bruno Quartier (a sinistra) e Bruno Sanchioni (a destra) durante un live di BBE svoltosi il 20 dicembre 1996

“The Age Of Love” sarebbe stata completamente dimenticata senza la Watch Out For Stella Club Mix di Jam & Spoon?
Sono un estimatore della musica di Jam & Spoon. Tra i miei preferiti i due “Tripomatic Fairytales”, il remix di “Go” di Moby ed ovviamente le canzoni cantate da Plavka. In negozio vendemmo moltissimi dei loro dischi, “Tripomatic Fairytales 2001” divenne un autentico classico al Disco King. Sono fermamente convinto che “The Age Of Love” non avrebbe mai raccolto i sorprendenti risultati che tutti conoscono se non fosse stata supportata dai remix usciti nel corso degli anni. Durante la partnership con la React, sia mio padre che Thomas Foley hanno costantemente insistito che tutti i remixer si ispirassero alla versione originale di Sanchioni. A tal proposito ricordo che la React rifiutò il primo remix di Paul van Dyk perché troppo simile a quello di Jam & Spoon, chiedendone un secondo che contenesse più punti in comune con l’originale. Lui capì ma sapeva che sarebbe stato impossibile fare di meglio. Tutte le versioni successive, inclusa quella di Emmanuel Top, vennero composte e costruite col preciso intento di non assomigliare a quella di Jam & Spoon, era un obbligo da rispettare. A distanza di poco più di trent’anni, il remix maggiormente suonato nelle discoteche e nei grandi eventi resta quello di Jam & Spoon, nel frattempo diventato anche IL riferimento per nuove generazioni di artisti. Continuiamo tuttora a ricevere remix, fin troppi direi, ma tutti puntualmente simili. Ultimo, in ordine di apparizione, quello di Solomun, artista per cui nutro rispetto ma pure la sua reinterpretazione non si ispira affatto all’originale del 1990. Preferisco il lavoro svolto da Mr. Sam e Fred Baker che rivela una completa rivisitazione del brano ma comprendo che ormai, per un pubblico sempre più ampio, quella di Jam & Spoon sia considerata alla stregua della versione originale. Sarà difficile cambiare tale percezione. Per garantire la sopravvivenza del pezzo e spronare nuovi artisti a fare di meglio, siamo tuttora costretti a rifiutare moltissimi remix.

12) Jeff e il padre (199x)
Roger Samyn e il figlio Jeff nel Disco King intorno alla metà degli anni Novanta. In primo piano la copertina di “The Age Of Love” già considerato un classico

Ritieni che “The Age Of Love” possa essere considerato uno dei primi brani trance della storia?
Nei primi anni Novanta in circolazione c’erano tantissimi pezzi straordinari di svariati generi. Era un periodo favoloso e il meglio doveva ancora venire, ma in relazione al suo storico devo ammettere, con la massima umiltà, che possa essere uno dei brani ad aver dato avvio al movimento trance, oltre a restare uno dei migliori di quel filone. Quando cerco di ricordare altri pezzi trance che mi siano piaciuti, mi rendo conto che sono tutti posteriori a “The Age Of Love”. Non so per quanti anni ancora questo brano figurerà nei DJ set ma è innegabile che sia diventata parte integrante della storia della musica elettronica globale e riesca a parlare a più generazioni.

L’età dorata della musica solcata su vinile è ormai lontana ed irripetibile. Cosa ricordi dei migliori anni d’attività del Disco King?
Il Disco King che si trovava al 56 di Rue du Christ era a tutti gli effetti una “creatura” del mio papà, purtroppo scomparso prematuramente poco più di venti anni fa (il 9 dicembre 2000). Per tale ragione non posso indicare con certezza assoluta il periodo più redditizio e fortunato, ma per me quel negozio ha rappresentato l’inizio dell’avventura nell’universo della musica quindi lo ricordo con infinito affetto. Mio padre era felice come un pesce nell’acqua e i due anni che trascorsi lì dentro promisero tanti successi. Il Disco King che riaprì al 101 invece rappresentò un’autentica sfida per me, visto che fui io a convincere papà ad espanderci. Il mio obiettivo era entrare nella top 5 belga dei negozi di dischi e per giungere a quel risultato ci vollero anni. Ero alla costante ricerca di dischi esclusivi e i contatti diretti coi grossisti statunitensi ci aiutarono non poco ad attirare l’attenzione dei DJ dei locali più quotati che venivano a rifornirsi da noi.

13) Disco King (1996 circa)
La seconda sede del Disco King, al 101 di Rue du Christ, a Mouscron: a sinistra l’insegna esterna, a destra Jeff Samyn (1996 circa)

In questa intervista a firma Jacques De Size, pubblicata il 17 dicembre 2019 da Redbull, si legge che tra i vostri clienti ci fosse pure un italiano. Chi era?
Si trattava di un personaggio che comprava intere casse di dischi ed ascoltava i nuovi arrivi al telefono. Gli mandavo la lista delle novità ogni settimana, era davvero un grande fan. Sono riuscito a ritrovarlo proprio recentemente con l’aiuto di Google, si chiama Giuseppe Acquadro e vive ad Andorno Micca in provincia di Biella. Sembra che ora, come si legge in questo articolo, sia un personaggio piuttosto influente nel mondo del ciclismo. Ai tempi veniva a trovarci portando sempre una guantiera di pasticcini. Nel 1993, su DiKi Records, pubblicammo pure un suo disco, “Acid Illusion” di Jos Q And Niki Fox. “Dream Trance” di Acqua & Sphere invece finì sulla sublabel Hit The Beat, sempre nello stesso anno.

Cosa rammenti con maggior piacere della DiKi Records degli anni Novanta?
Come ho detto precedentemente, le produzioni discografiche erano gestite da mio padre. Dopo che Bruno Sanchioni ed Emmanuel Top mollarono per iniziare un nuovo corso da indipendenti, l’atmosfera cambiò. Ci sentimmo come orfani ed iniziammo a stringere rapporti con altri artisti che avevano già sentito parlare di noi. Cominciammo pure a prendere in licenza pezzi che funzionavano bene nelle discoteche ed essere un assiduo frequentatore di locali mi aiutò non poco ad individuare su quali brani scommettere ed investire denaro. Nel 1992 venne a trovarci in negozio Luc Devriese che lavorava al leggendario Boccaccio, e con lui instaurammo subito un ottimo rapporto. Era l’inizio della sua nuova avventura artistica dopo decine di pubblicazioni precedenti sulla Target Records. Aveva uno studio di registrazione a Gand e mi chiese qualche idea per creare brani forti. Insieme abbiamo prodotto diversi successi come “Acid Creak” di Spokesman, “Midnight In New York” di Michael Sanctorum, “Wake Up”, “Breath Of Life” ed “Emotive Skin” di Trance Team, “Spring Of Life” di Brainwave, “Just A Little Bit Of Love” di Bruce Bap’s ed altri ancora. A partire dal 1992/1993 tutto avvenne in maniera molto spontanea e naturale. Tanti DJ, compositori ed artisti si avvicinarono a noi contribuendo a scrivere la storia della DiKi Records. Erano tutti entusiasti di pubblicare la propria musica sulla nostra etichetta e alla fine ciò che ha decretato il successo della label fu, a mio avviso, la grande diversità di artisti e stili. Rammento davvero tantissimi aneddoti. Il primo riguarda “Rio” di DJ M.D.: dopo aver ascoltato il demo cercai di convincere mio padre a non pubblicare quel brano perché non mi piaceva affatto. Lui però non seguì il mio consiglio facendolo uscire sulla sublabel Porshe Records e fece bene perché nell’arco di poche settimane “Rio” divenne richiestissimo, diventando uno dei migliori successi della DiKi Records per vendite e numero di compilation in Belgio e Francia. Rimasi veramente sbalordito. Il secondo aneddoto è legato all’Italia visto che concerne “Children” di Robert Miles. Fummo i primi ad inserirlo in una compilation su CD, “Welcome To The Club”, ma ingenuamente non pensammo di assicurarci l’esclusiva. Roberto Concina ci confidò, in occasione di un evento svoltosi a dicembre del ’95 per celebrare il compleanno della DiKi Records, di essere stato ingaggiato per la prima volta all’estero proprio grazie a noi. Non essere stato lungimirante a sufficienza sulla sua “Children” (di cui parliamo qui, nda), da lì a poco diventata un successo mondiale, resta uno dei più grandi rimpianti che mi porto dietro. Il terzo aneddoto è legato a “Traky” di People Of Cactus: fui svegliato nel cuore della notte da un tale che stava sentendo musica ad altissimo volume in auto e che, fermatosi per far scendere o salire qualcuno proprio sotto casa mia, aprì la portiera. Il suono era talmente forte da destarmi immediatamente dal sonno. Non ci fu verso di riaddormentarmi e di far uscire quella melodia dalla mia testa. Il giorno dopo cercai il titolo (“Tracky” dei Formic, tratto dall’EP “Trick Tracks” su Formic Records, 1995, nda) e contattai il produttore mostrando l’intenzione di prenderlo in licenza e farlo remixare da Emmanuel Top. Non era interessato a quel tipo di accordo ma disposto a cederlo del tutto. A quel punto divenni compositore della traccia con Bruno Sanchioni e “Traky” si trasformò in una hit, proposta in tutte le discoteche del Belgio tra la fine del 1998 e i primi mesi del 1999. Perché People Of Cactus? Semplicemente per creare una sorta di connessione con “Cactus Rhythm” di Plexus, che realizzai anni prima con Sanchioni ed Emmanuel Top. Cercavo un modo per spiegare alla gente che fossimo sempre noi e così optai per quello pseudonimo, sicuro che i fan più attenti avrebbero afferrato. L’ultimo aneddoto, infine, riguarda l’artista scozzese Stephen Brown che doveva esibirsi in un DJ set il 17 dicembre 1999 in occasione di un’altra festa di compleanno della DiKi Records. L’evento fu organizzato presso La Bush, una delle più grandi discoteche in Belgio che era davvero pienissima. Il clima era perfetto e il pubblico eccitatissimo. Brown non immaginava affatto di essere così popolare e mi chiese di suggerirgli qualcosa per il suo programma di quella sera, sostenendo di essere abituato a suonare in un piccolo club ad Edinburgo e che non volesse rischiare di deludere tutta quella gente accorsa lì per lui. Quando mise la sua “My Drums”, pubblicata pochi mesi prima su DiKi Records, la discoteca sembrò esplodere.

14) Mikka (02 04 1973 - 13 12 2001)
Mikka, collaboratore del Disco King, prematuramente scomparso a dicembre del 2001

Tutto però è cambiato da quei tempi.
Oggi è semplicemente impossibile generare i numeri discografici degli anni Ottanta o Novanta. Esisteva un sistema che contava su negozi di dischi, discoteche e pubblicazioni discografiche: se volevi essere aggiornato dovevi necessariamente acquistare dischi ma per sapere quali comprare andavi nei locali cercando di “estorcere” i titoli al DJ oppure rimanendo appiccicato alla consolle sperando di poterli scovare da solo mentre giravano sui piatti. Insomma, un autentico circolo virtuoso che sosteneva l’intero comparto. Quando organizzavamo gli eventi speciali poi, il giorno dopo in centinaia si riversavano nel negozio chiedendo di comprare gli stessi dischi che aveva messo il DJ la notte precedente. Per timore di non trovarli, alcuni ragazzi arrivavano ad aspettare l’apertura fuori, non rientrando neppure a casa per dormire. C’era pure chi acquistava le cassette dai DJ e poi ce le portava chiedendo di ascoltarle per scovare tutti i titoli e comprarli. Al fine di smaltire la ressa che si creava ogni volta, feci installare parecchi giradischi dotati di cuffia in modo tale che ognuno potesse fare da sé. C’era però un rovescio della medaglia, in quel modo la gente maneggiava una grande quantità di materiale talvolta danneggiando qualche copia, ma non era un problema visto che vendevamo più di mille dischi a settimana. Adesso invece è tutto diverso. Puoi ascoltare musica con un semplice clic del mouse e quando compri un disco arriva intonso, ancora avvolto nel cellophane. Non credo che il nostro negozio avrebbe ancora ragione di esistere, almeno secondo la vecchia tradizione di vendere musica. Mi capita di entrare in qualche record store ma, in tutta onestà, non ho mai trovato la stessa atmosfera di quegli anni. Il 2000 e il 2001 sono stati decisamente difficili per me. Nel 2000 un infarto ha ucciso mio padre, a soli 58 anni, e nel 2001 è toccato pure al mio amico Mikka, collaboratore di lunga data del Disco King, amato dai clienti e particolarmente influente pure sulla musica che producevamo. Una malattia rara se lo è portato via ad appena 29 anni. Per me fu un vero shock nonché l’inizio della fine di questa meravigliosa avventura nel mondo della musica. Il clima lavorativo cambiò, non mi interessava più essere al top e la crisi del mercato discografico innescò la chiusura di tanti negozi di dischi. Temevo per il futuro del Disco King ed interruppi il lavoro da produttore. Se non ricordo male, le ultime uscite che misi in circolazione furono quelle di Alex Peace, Doug Van Zant e Robert Armani, tra 2004 e 2005. A quel punto avviai un impianto di pressaggio dischi chiamato Vinylium, sebbene l’epoca del digitale fosse vicinissima. Ero certo che il disco sarebbe sopravvissuto a quella tempesta.

Com’è andata con Vinylium?
L’attività è partita nel 2007 e in quel momento trasformai in realtà un sogno di mio padre. La vita però è imprevedibile ed appena due anni più tardi toccò a me vivere qualcosa di terribile. Iniziai ad avere qualche dolore e dopo essermi sottoposto ad una serie di esami medici mi diagnosticarono un tumore al midollo osseo. Per ovvie ragioni ho dovuto accantonare tutto. Il negozio è stato venduto mentre la fabbrica smantellata e il materiale esportato a Seul e destinato al mercato asiatico. È stato frustrante ma, dopo una lunga battaglia sostenuta dai progressi della medicina, sono riuscito a vincere la malattia. Vinylium è ripartito come servizio ed io lavoro come broker per la francese MPO che si occupa di stampaggio dischi. La proprietà della DiKi Records, incluso l’intero catalogo, è stata rilevata nel 2017 da un appassionato di musica che mi ha chiesto di continuare ad occuparmi di alcune pratiche, seppur a gestire il tutto sia la N.E.W.S., da contratto sino al 2021. Stiamo valutando la possibilità per un possibile ritorno sul mercato ma le regole del business sono radicalmente cambiate e quindi è necessario ponderare bene le scelte. Sono consapevole che tanti nostalgici vorrebbero rivivere certi momenti cult del passato ma i tempi sono cambiati e con essi anche i gusti, le preferenze e le attitudini delle generazioni più giovani. La voglia di tornare indietro nel tempo per recuperare emozioni perdute non riguarda soltanto la musica, ma bisogna andare avanti. Spero che le nuove generazioni possano divertirsi almeno quanto ci siamo divertiti noi. Sono certo che tante cose belle debbano ancora arrivare.

(Giosuè Impellizzeri)

Questo articolo è dedicato alla memoria di Roger Samyn (1942-2000)

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