In un certo tipo di discografia, almeno quella più schiettamente commerciale, si usava riempire il lato B dei singoli con brani che avevano meno appeal e potenzialità rispetto a quelli del lato A, almeno secondo i parametri dei dirigenti discografici. In un passato ancora più remoto si ricorreva alla versione strumentale per minimizzare costi e velocizzare tempi di commercializzazione, e in alcuni casi ci si poteva persino imbattere nella fotocopia del brano inciso sul lato A, per evitare di lasciare la facciata vuota che avrebbe potuto creare insofferenza e dare all’acquirente un possibile appiglio per esigere un prezzo ribassato. Talvolta però, a dispetto di ogni pianificazione di marketing e previsione manageriale, ad ottenere successo sono stati proprio quei brani relegati ai lati B, incisi come banali riempitivi.
È accaduta una cosa simile a “Want Love” di Hysteric Ego, progetto britannico nato nel 1996 dalla mente di Rob White affiancato da Craig Campbell. «Il nome lo coniai una notte mentre partecipavo ad un afterhour al Betty Ford Clinic, a Londra, ed indossavo una tshirt della Hysteric Glamour, un brand di abbigliamento londinese» racconta oggi White. «Un vecchio amico che conosceva i miei trascorsi da produttore si avvicinò e mi chiese a cosa stessi lavorando. La prima parola che uscì dalla mia bocca fu, inconsapevolmente, Hysteric Ego, probabilmente perché dal soffitto del locale pendevano dei palloncini con su scritto “gonfia il tuo ego”». White ancora non sa che quell’alias, nato estemporaneamente incrociando il nome di un marchio di abbigliamento con quello di un ironico invito, gli riserverà ben più di qualche soddisfazione. L’artista ha già maturato alcune esperienze in ambito discografico in un progetto chiamato Whyte che tra 1990 e 1994 piazza sul mercato tre singoli ma poco fortunati, “Purple Haze”, “Promises” e “Bar-hoo”. Le prospettive però sono destinate a cambiare.
Nel 1996 White appronta due nuovi brani e battezza il moniker Hysteric Ego creando la Ego Records, una label fittizia messa su con l’unico scopo di far circolare quella musica tra i DJ. Il 12″, marchiato come promo, include due brani, “Quixotic” sul lato A e “Want Love” sul B. «Se non avessi stampato quei promo (diffusi con due numeri di catalogo, 00 e 001, nda), la WEA del gruppo Warner non mi avrebbe mai scoperto. “Want Love” era suonatissimo nei club tanto da attirare l’attenzione di una multinazionale che decise di ripubblicarlo, commissionarne due remix agli Itchy & Scratchy e ai Brother Grim e realizzare persino un videoclip (diretto da un italiano, il parmense Alex Orlowski, che qualche anno prima realizza quello di “Just Get Up And Dance” di Afrika Bambaataa, nda). Per il pezzo usai un Akai MPC60 Mk1, un Korg M1, un Roland Juno-106 e un Akai S1100 con cui campionai un frammento della ritmica di “The Bomb! (These Sounds Fall Into My Mind)” di Bucketheads e il vocal di un brano di Colonel Abrams di cui non ricordo più il titolo e che ricantai personalmente nella versione destinata alla WEA. Impiegai appena quattro ore per completare “Want Love” e, ad onor del vero, il brano nacque per un errore di programmazione del mio MPC60. Mentre copiavo la partitura del basso da una sezione all’altra infatti, sbagliai a calcolare la durata e mi ritrovai con l’organo dell’M1 che suonava tre note prima della ritmica. Incredibilmente fu proprio quell’errore a diventare l’elemento caratterizzante». Il successo che nasce dall’errore è qualcosa che in quegli anni avviene molto più spesso di quanto si possa credere (si veda ad esempio il caso di Adamski trattato qui), e rivela come la casualità (e quindi la genuinità) talvolta possa rendere molto di più della pianificazione strategica a tavolino.
“Want Love” inizia a circolare in Italia in estate ma il suo successo si protrae sino ad autunno inoltrato. Vende centinaia di migliaia di copie (si stima oltre un milione in tutto il mondo), viene trasmesso anche dalle radio e finisce in un numero abissale di compilation tra cui quella del Festivalbar mixata da Lino Lodi e Stefano Mango edita proprio dalla WEA. «Non so come funzionino le licenze in Italia ma ricordo che quando “Want Love” girava ancora in formato promo su Ego Records, gli Express Of Sound (il citato Stefano Mango e Gianni Coletti, nda) realizzarono una cover intitolandola “Real Vibration” ma senza chiedermi alcuna autorizzazione. Fu la WEA poi a regolarizzare la situazione (per le licenze estere il brano diventa infatti “Real Vibration (Want Love)”, nda) e nella compilation “The Annual II” del Ministry Of Sound, mixata da Pete Tong e Boy George, figurarono entrambe, sia la mia che quella degli italiani». Se gli Express Of Sound realizzano una cover, altri compositori del Bel Paese si cimentano in veri e propri cloni come “Disco Blu” e “Disco Rouge”, peraltro licenziati anche oltre i confini. «Avrei preferito essere contattato ma visto che lo hanno fatto a mia insaputa li considero solo “produttori ladri”».
Nel frattempo White inietta ulteriori energie nella Ego Records e pubblica un nuovo 12″ che include una cover (dichiarata nei credit) di “Found Love” degli italiani Double Dee a cui seguono “Don’t Stop / Ministry Of Love“. Quest’ultimo viene scelto dalla WEA come follow-up di “Want Love” ma, seppur lo stile fosse molto simile incluso il caratteristico giro di organo e ci fosse un remix di Tall Paul, i risultati sono assai diversi. White ci riprova nel 1998 con “Time To Get Back”, anche questo pubblicato inizialmente in promo su Ego Records, che la WEA fa remixare dai Ruff Driverz e dagli Spacedust, entrambi team popolari oltremanica, ma senza ottenere riscontri rilevanti.
«Con “Ministry Of Love” forse sbagliai completamente, in “Time To Get Back” (trainato da elementi rock e dal vocal sample preso da un live in cui i Kiss eseguono “Hotter Than Hell”, lo stesso usato, tra gli altri, dagli N-Joi in “Adrenalin”, dagli L.A. Style in “I’m Raving”, da R.A.F. in “We Gonna Get”, dai Classic Men in “We’re Gonna Get This Place” e da Mauro Picotto nella popolare “Iguana”, nda) sperimentai di più cercando di mischiare vari stili visto che in quel periodo la house stava frammentandosi in svariati sottogeneri come speed garage, deep house, tech house o progressive house. Col senno di poi e con la maggiore esperienza maturata negli anni, ammetto che non fu l’approccio giusto ma in fin dei conti era qualcosa di completamente naturale e privo di forzature. Nella musica non c’è qualcosa di giusto o sbagliato, si tratta solo di interpretazioni differenti. Magari il pubblico non apprezza ciò che fai adesso ma cambia radicalmente opinione il mese dopo. Direi che nell’ambito dell’industria musicale il 99% della riuscita di un pezzo è rappresentato dalla fortuna. Bisogna saper intravedere l’opportunità e coglierla in tempo».
Nel ’98 la WEA supporta ancora Hysteric Ego pubblicando “Can’t Let Go” col remix di Matt Darey (quell’anno all’opera su “El Niño” di Agnelli & Nelson), ma è l’ultima chance offerta a White. A riportare il suo nome all’attenzione generale nel 2013 è il remake di “Want Love” a firma Crazibiza e Jerome Robins. Il britannico inizia così a riutilizzare il marchio Hysteric Ego con più regolarità. «Ho inciso svariate tracce negli ultimi anni (come “I Cant Find No Love” del 2012, che include qualche citazione di “Want Love”, nda) ma nulla che abbia riscosso successo. Al momento sto lavorando ad un album che pubblicherò col mio nome anagrafico, Robert Courtois, ma non sarà dance bensì orientato al pop, in stile Ed Sheeran, con cui mi sto mettendo alla prova come cantautore. Di tanto in tanto però pubblico ancora qualcosa come Hysteric Ego, dipende dal tipo di sound e se adattabile a quel progetto.
Adesso il mio ricordo degli anni Novanta è un po’ sfuocato, lo rammento come un periodo con alti e bassi, in cui ascoltavo musica di tutti i tipi, da Beethoven a Mose Allison. Citare brani che mi sono rimasti nel cuore è veramente difficile perché tutto è legato alle emozioni che particolari canzoni ti fanno provare. Sono un patito del vinile, non c’è nulla che amo di più di stare seduto in una stanza ed ascoltare i crepitii che anticipano l’inizio di un pezzo. È qualcosa di fortemente emotivo e tattile che non sono riuscito a sostituire con niente». (Giosuè Impellizzeri)
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