Discommenti (aprile 2024)

Legowelt - The Sad Life Of An Instagram DJ

Legowelt – The Sad Life Of An Instagram DJ (Selvamancer)
Titolo decisamente sarcastico e pungente per questo nuovo EP che Danny Wolfers firma col suo moniker più noto e con cui anticipa l’arrivo di un LP destinato alla statunitense L.I.E.S. Records di Ron Morelli. L’eroe olandese imprime in cinque tracce tutta la sua verve creativa flirtando con l’electro e la techno, lanciando prima rasoiate filo acide in “Alpha Juno Storm Watch” e “Soundblaster Pro Tripper” per poi immergersi in spettrali acque lacustri popolate da qualche mitologica creatura sottomarina sopravvissuta alle ere geologiche (“Kawai K4 Acid Spring”) e saltellare al ritmo di pattern a metà strada tra il jack di Chicago e la raw techno scarnificata degli Unit Moebius (“No One Wants To Buy My NFT”). Chiude la title track, dove traiettorie melodiche dal retrogusto cinematografico sposano flessuosi incastri ritmici. A pubblicare il 12″ è l’iberica Selvamancer, che proprio di recente ha messo in circolazione uno stuzzicante EP di Gesloten Cirkel.

Terror - Data Surfer EP

T/Error – Data Surfer EP (New Interplanetary Melodies/Kuro Jam Recordings)
A distanza di qualche anno dal progetto “Kimera Mendax” di cui abbiamo dettagliatamente parlato qui, New Interplanetary Melodies e Kuro Jam Recordings tornano in partnership per sviluppare una nuova ed emozionante sound experience. Questa volta il fumetto, la cui uscita è attesa per il prossimo autunno, s’intitola “Data Surfer”, proprio come l’EP che lo preannuncia nel migliore dei modi possibili. La musica di T/Error paga il tributo alla più viscerale tradizione electro/techno di Detroit, con continui rimandi e omaggi al suono abrasivo e fiammeggiante di Drexciya e Underground Resistance, un sound che, nonostante abbia sulle spalle oltre trent’anni, continua a fornire il mood giusto per immaginare il mondo del futuro diventando alfiere della longevità, contrapposta alla caducità della maggior parte delle produzioni contemporanee. Di questo disco, arricchito dall’inserto illustrato di Mattia De Iulis e dalle grafiche di Enrico Carnevale e nei negozi dallo scorso 4 aprile, si possono spendere solo parole di elogio. Tracce come “Data Surfer” e “Last Brute In The Firmament” rappresentano la soundtrack perfetta per sogni e utopie/distopie sci-fi, sganciate dai rassicuranti elementi da song structure, segnate da geometrismi ritmici e immerse in severe soluzioni armoniche. Spazio anche a varchi IDM (“Redundant Flux Form”) e galleggiamenti spaziali (“Minimum Lenght”), finalizzati ad allargare ulteriormente l’atto compositivo. Riservati al formato digitale sono ulteriori tre pezzi, “Shadows”, “From The Deep” e “Space Time Coordinates” con cui l’artista capitolino s’imbarca su rotte interspaziali, forse immaginando di trovarsi a bordo di una navicella in cerca di nuovi pianeti alternativi alla Terra su cui poter vivere. Alla fine sarà necessario tirare un sospiro per allentare la tensione accumulata.

Modula Feat Gino Saccio - Che È Stato

Modula Feat. Gino Saccio – Che È Stato? (Archeo Recordings)
Filippo Colonna Romano alias Modula è una new entry per l’etichetta fiorentina Archeo Recordings guidata da Manu Archeo (intervistato qui), che nell’ultimo decennio si è meritatamente ritagliata spazio grazie a un’incessante attività di recupero e valorizzazione di musiche oscure o dimenticate con una particolare predilezione nei confronti del sound balearico. Per l’occasione il musicista napoletano si lancia in un’ardita reinterpretazione di “Who Dunnit?” di Gino Soccio ironicamente ribattezzato Gino Saccio in copertina (era il pezzo che apriva il lato b dell’album “Face To Face” del 1982): mantenendo l’impronta funk disco, l’autore ne ricalibra la dinamica e ricostruisce le tessiture grazie all’apporto del chitarrista Daniele Sarpa, del bassista Mirko Grande e del batterista Pellegrino Snichelotto, a cui si aggiungono Rosario Esposito e Antonella Mauri che invece si occupano della nuova partitura vocale, in dialetto partenopeo. È sempre Pellegrino Snichelotto a rileggere ulteriormente il tutto attraverso un rework intitolato I Feel Glow, in cui l’impronta balearica assume contorni più delineati. A completamento del 7″, limitato alle 350 copie di cui 50 su vinile colorato, è l’artwork di Maurizio Schirò.

Rodion & Mammarella - Musica E Computer

Rodion & Mammarella – Musica E Computer (Slow Motion)
Un album che parte dalle sollecitazioni della prima computer music e che si sviluppa attraverso riferimenti al mondo delle library e a quello più ballereccio che ammica al Moroder metronomico e macchinico: si può sintetizzare così il contenuto di questo LP realizzato sull’asse creativo di Rodion e Fabrizio Mammarella e registrato presso il Museo del Synth Marchigiano. Suoni e ritmi provengono da strumenti come Crumar DS-2, Elka Synthex, Davoli Davolisint, Viscount R64, Eko Ritmo 20 ed Elka Drumstar 80, tutti cimeli che gli appassionati (quelli veri) conoscono più che bene e per i quali sarebbero disposti a fare anche qualche follia economica. Sono proprio queste macchine a ridurre la distanza tra passato e presente in un brillante percorso che trabocca di vitalità attraverso pastosi disegni di basso arpeggiati, vocoderizzazioni vocali e palpitanti griglie di batteria.

Max Skiba & Snax - Pushing My Button

Max Skiba & Snax – Pushing My Button (Skylax Records)
È davvero un piacere ritrovare in attività Maximilian Skiba, talento di cui si erano perse le tracce da un po’ di anni. Per l’occasione il polacco ricompatta la sinergia con Snax, con cui aveva già duettato nel 2010 per “One To Pray”, e riormeggia sull’etichetta francese di Hardrock Striker che pubblicò un suo EP nel 2009, inspiegabilmente passato quasi inosservato nonostante prodotto in modo eccelso. “Pushing My Button” riparte proprio da quelle atmosfere, affondando le radici in un’elegante disco funky house che, così come recitano le note promozionali, traccia magistrali parallelismi con classici senza tempo come “Kiss Me Again” dei Dinosaur o “Is It All Over My Face?” dei Loose Joints, e rende omaggio al passato iniettandoci dentro, con sapienza, un appeal moderno. Skiba, insomma, non si limita a scopiazzare o ritagliare l’ennesimo dei sample per parodiare l’osannato ieri ma cerca di lanciare un ponte tra epoche lontane facendo leva sulle proprie doti da musicista prendendo le debite distanze dai banali assemblatori di loop che affollano i tempi che viviamo. A “Pushing My Button” e “In Motion” si sommano i remix: a mettere le mani sul primo è Apollon Telefax che traghetta tutto verso sponde italo disco giocando con un forte richiamo a “Hold Me Back” di WestBam; al secondo invece ci pensa Maltitz che opta per un saliscendi balearico dai riflessi aciduli.

JP Energy - Strano EP

JP Energy – Strano EP (Sound Migration)
A pochi mesi dalla ristampa del “Mathama EP” (si legga Discommenti di settembre 2023), riaffiora un altro vecchio disco del repertorio di Gianpiero Pacetti alias JP Energy, originariamente pubblicato nel 1993 su Progressive Music Production. Lo “Strano EP”, allora realizzato con la produzione esecutiva di Francesco Zappalà e l’apporto del musicista Stefano Lanzini, ha retto magnificamente l’incedere dei decenni e si ripresenta col medesimo bagaglio sognante di influenze oniriche che pagano l’ispirazione all’elettronica pre house/techno, specialmente quella cinematografica di Vangelis, Tangerine Dream ma soprattutto Jean-Michel Jarre, artista che folgorò Pacetti nell’infanzia come lui stesso racconta in questa intervista. Melodie epiche dunque si rincorrono in “Down To The Moon”, arpeggi celestiali e struggenti scalano gli appigli ritmici di “Dolphin Dance”, “Alvorada” accosta percussioni batucada a ipnotici arabeschi, “Les Architectes Du Temps” chiude come tutto è iniziato, con una scia melliflua che accarezza l’anima di chi ascolta: «ai tempi la composi immaginando un gruppo di gnomi che al mattino se ne andavano a lavorare nella foresta coi loro attrezzi sulle spalle» ricorda l’autore. A integrare questa reissue, oggetto di una rimasterizzazione ad hoc, è il remix che E-Talking ha realizzato di “Alvorada”, puntando a un’elaborazione ritmica più marcata. Un EP che, in barba all’intelligenza artificiale e alle diavolerie tecnologiche dell’ultim’ora, dimostra come al di là dei suoni ci voglia anche il cuore per comporre certa musica.

Punx Soundcheck Feat. Boy George - Be Electric (The Remixes)

Punx Soundcheck Feat. Boy George – Be Electric (The Remixes) (Icon Series)
Dalle viscere dei ricordi dell’electroclash d’oltremanica, riecco in azione i Punx Soundcheck con la loro proverbiale energia. Estratto dall’album “Punx In 3D” uscito lo scorso autunno e scandito da chiari echi hi nrg di derivazione orlandiana, “Be Electric” si ripresenta ora in versione singolo con l’aggiunta di vari remix ognuno dei quali con una precisa identità. Si passa dall’electro pop di Roland Sebastian Faber, che ha preso il posto di Arif Salih nella lineup del progetto, alle strutture technoidi di The Model, dai lapilli lavici di Mick Wills agli irrigidimenti monolitici di Ascii Disko passando per le movenze vellutate dei nostri Hard Ton e gli spezzettamenti breaks frammisti a elementi ragga di Greg May. In circolazione finirà sia il 12″ che il CD, limitato ad appena 100 copie.

Francesco Passantino & Friends - Venticinque EP

Francesco Passantino & Friends – Venticinque EP (Tractorecords)
In occasione del venticinquennale di attività discografica, Francesco Passantino riporta in vita il marchio Tractorecords, ibernato dal 2016. Nell’EP il DJ spezzino, ma da molti anni di stanza a Berlino, fa confluire le diverse sfaccettature che hanno colorito la sua carriera da produttore nell’ultimo quarto di secolo partendo da “Vision”, una nuvola di soffici pad su cui si posano uno scheletro ritmico e voci fuori campo, in apparenza captate da qualche radio lasciata distrattamente accesa. Registrata live al Club Der Visionaere la scorsa estate insieme a Daniele Ricca e Francesco Monaco con cui Passantino forma i Resilience Groove, la traccia è incapsulata nel minimalismo più rarefatto misto a bolle dub. Con “Undici” però la tavolozza dei suoni cambia e insieme a essa anche il registro ritmico, a vantaggio di una combinazione che rimanda ai tempi dorati della progressive trance, con una serpentina di bassline che ondeggia nervosa e pilota la sezione di batteria con qualche occhiata all’Emmanuel Top del periodo Attack. “Mahatma Groove” ripesca a piene mani proprio da quell’immaginario, con riccioli filo acid e onde trancey che si infrangono sulla parete ritmica. Spazio infine a un pezzo che arriva dal 1999, contenuto nel primo volume di “Electribe EP” su Subway Records che Passantino firmò con l’amico Davide Calì (intervistato qui) e che negli ultimi anni è diventato un piccolo cimelio per i collezionisti. Trattasi di “Ascolta”, in cui matrici kraftwerkiane in stile “It’s More Fun To Compute” si uniscono a grandi arcate trance svolazzanti. La tiratura del 12″ sarà limitata alle 150 copie.

Maxx Klaxon - Nothing Can Tear Us Apart

Maxx Klaxon – Nothing Can Tear Us Apart (Self released)
Per Maxx Klaxon vale un po’ il discorso fatto qualche riga sopra per i Punx Soundcheck. Il musicista electropop newyorkese fece capolino nella scena durante la fase finale del boom electroclash ma poi dileguandosi e facendo perdere le proprie tracce. Ora rieccolo, a un triennio da “From The Air”, con un EP in vendita su Bandcamp che riparte proprio dai suoni che tra 2003 e 2004 spopolarono in Europa mettendo d’accordo sia giovani che nostalgici. “Nothing Can Tear Us Apart” intreccia new wave, synth pop e blippeggianti echi electro, rispettando i canoni della song structure. A mettere il pezzo su binari ritmici più marcati è Daniel Cousins alias Albatross Heights nel suo Duct Tape Remix mentre Chris Ianuzzi, nell’Exploidoid Remix, sporca i vocal col distorsore e costruisce un castello di dissonanze glitch dal retrogusto psichedelico. La chiusura è dettata da “Freedom Tape”, composizione strumentale trascinata da un lacrimoso arpeggio poggiato su un soffice cuscino di pad malinconici. Se fosse uscito a inizio millennio, sarebbe stato perfetto per un’etichetta tipo l’International DeeJay Gigolo.

Michele Mininni - Pop Archetypes

Michele Mininni – Pop Archetypes (Hell Yeah Recordings)
Ben lontano dalle logorree produttive di certi artisti, Michele Mininni è stato sempre parsimonioso sul fronte produzioni, puntando piuttosto al “poco ma buono”. Colto ma non disposto a prendersi mai troppo sul serio, al compositore pugliese si riconosce l’imprevedibilità sotto il profilo creativo e la capacità di non farsi intrappolare e imprigionare nei cliché, e forse è stata proprio questa propensione a condizionare, in qualche modo, la quantità del suo repertorio. Assente dal panorama discografico da diversi anni (fatta eccezione per la fugace comparsata della scorsa estate su Dischi Spranti, di cui abbiamo parlato in Discommenti di luglio 2023), Mininni ora rompe il silenzio e lo fa con un album, il primo della carriera, destinato alla Hell Yeah Recordings di Marco Gallerani e figlio di una moltitudine di ascolti eterogenei. Tra accelerazioni, divagazioni, dilatazioni, sfasamenti ritmici e ribaltamenti armonici sottesi a una minuziosa cesellatura di ogni singolo suono, “Pop Archetypes”, ulteriormente impreziosito dalla copertina di Sandro Leucci che occhieggia ai décollage di Mimmo Rotella, è un manifesto multicolore e multietnico in cui passa in rassegna una gamma assai vasta di riferimenti che rendono complesso l’incasellamento in un genere preciso. Più semplice, piuttosto, stabilire la non appartenenza al pop a dispetto del titolo, forse scelto provocatoriamente per creare un’antitesi coi contenuti. «Non è stato facile trovare il titolo, seppur intitolare i brani sia una delle cose che mi piace di più del fare musica, perché rappresenta la sintesi massima fra i due linguaggi» spiega Mininni, contattato per l’occasione. «La sfida si presentava ancora più ardua visto che era la prima volta che davo il titolo a un album e quindi ho ceduto all’ironia, anche per prendere le distanze dalla serietà e dalla mia vita, cosa che mi è sempre riuscita abbastanza bene. In realtà cercavo qualcosa che avesse più angoli di interpretazione e che racchiudesse tutte le sfaccettature del disco e le mie influenze di “popular music”. Poi mi hanno sempre “rimproverato” di fare musica per pochi, quindi ecco servito un bel disco “pop” riconoscibile come un camaleonte».

“Pop Archetypes” prende dunque di mira gli archetipi del pop e li fa a pezzi, canzonando gli esiti pronosticabili della maggior parte della musica attualmente in circolazione, quella prodotta in quattro e quattr’otto e altrettanto celermente dimenticata perché sostituita da altra che arriva subito dopo come banale scatolame in una catena di montaggio. Per mettere in circolazione un LP come questo, oggi, del resto serve anche un po’ di coraggio. «Sinora avevo pubblicato solo EP e mai avrei pensato di incidere un album in vita mia» prosegue l’autore. «Dai tempi di “Rave Oscillations” su R&S, nel 2017, nelle recensioni si parlava di attesa dell’esordio su lunga distanza e mi veniva da sorridere, perché preso dalle cose della vita, dal mio lavoro e anche, lo ammetto, dalla mia inesorabile pigrizia, mi sembrava pura utopia. Negli ultimi anni, diciamo dalla pandemia, mi ero allontanato dalla musica e avevo finito di ascoltare ossessivamente le ultime uscite. Insomma, mi sono preso una lunghissima pausa depurativa ma non me lo sono imposto, è andata semplicemente così. Poi lo scorso anno ho riaperto per gioco il sequencer, cosa che non accadeva dal 2018, per creare la colonna sonora di un video promozionale di quindici secondi su YouTube. È nato tutto così. Da lì è come se le cose, piano piano, fossero venute a me. Da quel momento è partita la sfida verso me stesso. Lo dico sinceramente: dietro quel sorriso davanti alla richiesta di un LP si celava anche amarezza, perché è una cosa che sotto sotto mi faceva sentire incompleto. Era come dire “sì ok, cinque EP, ma…”. In me c’era un tarlo latente che diceva “ne sarò capace?” Quell’episodio ha innescato tutto, ed eccoci qui».

A caratterizzare in modo preponderante “Pop Archetypes” è anche il timing limitato della maggior parte dei pezzi che lo compongono, una sorta di sintesi massimale con cui Mininni conduce l’ascoltatore in una dimensione ermetica fatta di interludi o pseudo tali che fungono da collettori di emozioni. «Non c’è una ragione precisa dietro tale scelta, non me lo sono imposto» spiega l’autore, chiarendo come lo sviluppo di un progetto simile richiedesse una struttura estremamente variegata ma allo stesso tempo sintetica perché il rischio della prolissità era altissimo. «Il risultato è un percorso degustazione che alla fine del pasto deve lasciarti sazio ma non al punto di esplodere, in modo che dopo qualche tempo, si spera il prima possibile, in quel ristorante ci torni ovvero riascolti il disco». Nella scansione narrativa regna l’imprevedibilità: si provi, ad esempio, a mettere su prima “Vertigo” e poi “Bangkok Tempo” per provare quell’ebrezza che emerge dalle produzioni che escono dalla monodimensionalità. Ci sono passaggi in cui si fatica davvero a scorgere punti di connessione col passato produttivo mininniano, si senta “Urban Voodoo”, tra le più lunghe della playlist, con cui si innescano cinque minuti di adrenalina muscolare, o “The Magic Of Synesthesia”, dove le irregolarità ritmiche cullano melodie barcollanti in salsa psichedelica, o ancora “Wet Market”, un cut-up tra voci, scratch e pulsazioni breakbeat, “Golden Room”, una fuga in direzioni lounge, “Kundalini” e “Congoflash” immerse in nuance chiaroscurali da cui si propaga una forma mutante di world music. «Prima ancora d’iniziare sono partito da un concetto chiarissimo: non volevo che l’LP fosse la somma dei miei precedenti EP e non desideravo risultasse rassicurante altrimenti non avrei intrapreso il percorso perché mi sarei annoiato» mette in chiaro Mininni. «L’ipotesi di una rottura col passato mi ha fornito il giusto entusiasmo per stressarmi perché per me fare musica è incredibilmente stressante. L’idea era quindi di creare tasselli di un puzzle che fossero riconducibili alla forma canzone e che bastassero pur nella loro brevità. È stato uno sforzo di sintesi e sottrazione, anche negli arrangiamenti. A differenza di alcune mie cose del passato, ho dovuto togliere e non aggiungere. Ho misurato gli ingredienti con estrema attenzione, dietro c’è un lavoro di centinaia di ascolti volto a trovare la perfezione formale alla quale ambivo nella mia testa, sia nei singoli brani che nel loro stare bene assieme. Ho perso il conto di quante volte ho ascoltato il disco per scegliere la scaletta definitiva. Ho scartato anche dei pezzi, cosa per me incredibile, vista la mia storica stitichezza produttiva. Invece d’improvviso, addirittura abbondanza».

In “Pop Archetypes”, complesso organismo composito, si toccano sponde IDM, broken beat e drum n bass, poi si vira verso una world music impazzita, astrattismi e tropicalismi balearici con pochi spiragli però sulla dance music in senso stretto. Forse una precisa scelta per prendere le distanze da una scena che ormai appare creativamente depotenziata e narcotizzata? «Tutto ciò che è racchiuso nel disco non parte da analisi o metabolizzazioni dello scenario attuale, è semplicemente una conseguenza» afferma ancora l’autore. «Credo che il concetto di “conseguenza” sia stato dimenticato e che purtroppo sia proprio alla base dell’appiattimento dello scenario attuale. Quando si decide a tavolino che si vuol far ballare, ad esempio, si scelgono strumenti adatti, trick, strutture e suoni specifici. Insomma, dal semplice foglio bianco si passa a canalizzare in modo rigoroso e scientifico tutto il processo sulla base di regole già scritte, riducendo molto spesso il risultato a mero prodotto con finalità esclusivamente pratiche. Tradotto: mi serve un pezzo per far ballare, così come mi serve una pinza per svitare quel dado. Ecco, per me quella è la morte della creatività. La conseguenza è quella cosa che si esplica partendo da un presupposto di libertà e rivendicazione della propria unicità e che dà un risultato magari imprevedibile. Per la serie “questo sono io, poi si può anche ballare”. Magari ottieni una bomba dancefloor, ma lo è perché non sei partito da un presupposto finalistico ed esclusivamente pratico. È quello che sta accadendo alle canzoni di Sanremo: soprattutto nell’era dello streaming e di TikTok, assistiamo alla ricerca ossessiva del tormentone che condiziona le strutture dei brani fino a renderli tutti abbastanza simili. Chi ha ascoltato un po’ di musica in vita sua, riconosce in quei “mind games” musicali il perfido tentativo di creare dipendenza e viralità in funzione dei nuovi mezzi di comunicazione. Tentativo legittimo, perché l’esposizione porta monetizzazione, ma che riduce la musica a una grande lotteria dell’attenzione, in cui a vincere sono sempre meno attori».

(Giosuè Impellizzeri)

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Discommenti (febbraio 2024)

Slowaxx - Shapes Interfusion

Slowaxx – Shapes Interfusion (Broken District)
Si tratta del primo album che Riccardo Chiarucci ha realizzato combinando parti registrate in studio a sessioni live condivise con vari musicisti. Il lavoro è pervaso da atmosfere in perenne bilico tra funk, acid jazz, abstract e broken beat, con punte di straordinaria vitalità e virtuosismi (si senta “Pantere Rosee”, dove le improvvisazioni generano un percorso un filo cervellotico ma decisamente d’impatto). Il featuring del rapper Young A.M.A. decora “Y.B.A” e “No Secret”, costruite tenendo bene a mente l’estetica e il piglio compositivo che marchiò a fuoco etichette come Mo Wax e Talkin’ Loud, “Emoyeni” mette in loop meccanico il rhodes suonato da Luca Sguera, “Femmes” si cala in un mood lounge, ma Chiarucci si supera con “Stazione Funk”, col telaio ritmico ridotto all’osso sul quale si innestano a stantuffo irresistibili pistonate boogie. Il risultato lascia immaginare un’ipotetica jam session tra George Clinton e James Lavelle a indicare la strada di possibili nuove collisioni musicali.

Jimy K - She's Gone Away

Jimy K. – She’s Gone Away (Bordello A Parigi/Giorgio Records)
Diversi mesi fa Massimo Portoghese della barese Giorgio Records ne preannunciò l’uscita proprio attraverso le pagine di questo blog (si legga Discommenti di settembre 2023): a essere riportato in superficie dal buio dell’oblio in cui era piombato è “She’s Gone Away”, un pezzo italo disco prodotto nel 1984 da Rodolfo Grieco e scritto insieme a Naimy Hackett. Uscito ai tempi su Eyes, ora si ripresenta su un 12″ stampato in tandem dalla citata Giorgio Records e l’olandese Bordello A Parigi che, oltre alla Vocal 12″ Version e all’Instrumental 12″ Version, vogliono pure la Vocal 7″ Version, quarant’anni fa destinata alla versione 45 giri. Tutte sono state restaurate dai nastri originali da Tommy Cavalieri presso il Sorriso Studio di Bari. Particolarmente ambito dai collezionisti (nel 2023, attraverso il marketplace di Discogs, è stato venduto per 250 €), “She’s Gone Away” torna dunque a pulsare di vita coi suoi tagli oscuri, orli frastagliati funkeggianti e l’alternanza vocale maschile/femminile.

Ten Lardell - Anterspace 03

Ten Lardell – Anterspace 03 (Anterspace)
Dal 2022 Ten Lardell è apparso sul mercato con la sua pseudo etichetta, l’Anterspace, e dischi simili a white label promozionali. Nessuna info aggiuntiva oltre al numero di catalogo e titoli delle tracce, un’essenzialità tipica di chi è fermamente convinto che la musica sia sufficiente a trasmettere il proprio messaggio. Anche a questo giro il misterioso artista mantiene intatta la comunicazione con una techno/electro di matrice tipicamente drexciyana e di red planetiana memoria, basta poggiare la puntina su “The Far Moog Sector” o “Black Gaze” per capire quali siano i suoi riferimenti. Contorsioni acquatiche sorrette da accordi che squarciano le tenebre si ritrovano pure in “Vibranium Prt 1” mentre “Year 6900” lascia scorrere immagini distopiche di città rase al suolo da orde di robot ribelli. Ma chi opera dietro Ten Lardell? Un giovane talento appassionato o un veterano esperto che gioca a nascondino? Le ipotesi, al momento, restano tutte aperte.

l'oggetto - Musica Da Discoteca Vol.3

l’oggetto – Musica Da Discoteca Vol.3 (MKDF Records)
È tempo del terzo (e pare ultimo) volume per Marco Scozzaro, artista multidisciplinare italiano di stanza nella Grande Mela che dal 2021 veste i panni de l’oggetto, scritto rigorosamente senza maiuscole. L’intento resta quello di trovare un’identità ben definita esplorando e tributando la vicendevole contaminazione che riguardò la house music in un ping pong continuo di influenze tra Chicago, Detroit, New York e… la riviera adriatica italiana. “Aquatico” si muove sotto il pelo dell’acqua, incrociando pesci e vegetazione marina in un caleidoscopio di colori, “Fluido” mette in relazione nervosismi ritmici con rassicuranti pad e sinuose arcature filo acide per un risultato che gioca con perizia sui contrasti, “DeepOrg” solletica l’ascolto con pennellate chiare su fondo scuro, “AltVers” tira il sipario con una serie di soluzioni che sembrano uscire dal catalogo Irma o MBG International Records. Il tutto a 120 bpm, le pulsazioni di un sogno sincronizzato sulla musica della discoteca di un tempo che fu.

The Exaltics - Das Heise Experiment - The Remixes

The Exaltics – Das Heise Experiment – The Remixes (Solar One Music)
Escono su vinile arancione marmorizzato quattro remix di altrettanti brani tratti dall’album “Das Heise Experiment” che The Exaltics pubblicò nel 2013 sulla britannica Abstract Acid. “Dreizehn” diventa “Dreizehn Habits” e rivive per mano degli ADULT. in un trattamento che ripialla la materia ritmica e la interfaccia a rigonfiamenti new wave, “Sieben” viene riletta da Gesloten Cirkel (l’unico remixer qui a non essere nativo di Detroit) in un moto sussultorio con darkismi funerei, “Acht” è ciberneticizzata da K1 (Keith Tucker) e per finire “Zwoelf” rimodulata da Arpanet arpionando atmosfere ambientali e geometrismi post kraftwerkiani. Dedicato ai collezionisti è invece il box set pensato per celebrare il decennale dell’album che contiene, oltre ai remix sopra descritti, la riedizione dell’album stesso in colore bianco, un 7″, un CD, una cassetta, una collection di file, un fumetto, un poster e degli adesivi. Appena cento le copie, già sold out ovviamente.

Dopplereffekt - Infinite Tetraspace

Dopplereffekt – Infinite Tetraspace (Curtis Electronix)
Trincerato dietro Rudolf Klorzeiger, Gerald Donald torna ad animare uno dei progetti più apicali della sua carriera, Dopplereffekt, pietra angolare dell’electro dell’ultimo trentennio, affiancato per l’occasione dalla moglie Michaela To-Nhan Barthel e da una certa Beatrice Ottman. Il disco è diviso idealmente in due sezioni: la prima si muove su materie ritmiche con “Programmable Organism” ed “Entity From Tetraspace”, segnate da riverberi metallici, striscianti bassline, effetti che salgono e scendono a spirale, arpeggi velenosi e un brillante impasto cromatico; la seconda invece si tuffa nelle ambientalizzazioni attraverso “Tachyon Intelligence”, un sogno-incubo, e “Computronium”, immersa in un’atmosfera pensosa e fantascientifica. A pubblicare il 12″ è un’etichetta italiana, la barese Curtis Electronix, che negli ultimi anni si è fatta notare in primis per le produzioni di CEM3340 ma ospitando pure diverse incursioni estere di artisti come Detroit’s Filthiest, Galaxian e DJ Overdose.

Global Goon - Nanoclusters

Global Goon – Nanoclusters (Central Processing Unit)
Sebbene non sia proprio recentissimo, questo mini album che Jonathan Taylor firma col suo moniker più noto non merita affatto di passare inosservato nel diluvio quotidiano di nuove pubblicazioni. L’artista britannico si diverte a flirtare con più riferimenti stilistici, come del resto faceva già negli anni Novanta nelle prime apparizioni su Rephlex. In “Nanoclusters” regna un pulsare dinamico di emozioni, ora rivelate da scuffiate sintetiche (“Khroxic Mould”), poi da irradiamenti dark (“Metallik”), varchi armonici malinconici (“Syntheseers”, “Digit Six”, l’eccelsa “Calcula” che lascia dietro una scia cosmica siderale) e pure sapienti lavori sui filtri che sottolineano i movimenti arcuati dei suoni (“Metro Esc”). Non manca il volo nel freestyle agghindato di funky (“Snapterisk”) e persino un’escursione in madide ruderie in botta hardcore (“Metal Glass”), dalle cadenze ritmiche più accentuate.

Various - You Can Trust A Man With A Moustache Vol. 5

Various – You Can Trust A Man With A Moustache Vol. 5 (Moustache Records)
Analogamente a quanto avvenuto col Vol. 4 del 2022, anche questo quinto atto della serie “You Can Trust A Man With A Moustache” sta destando attenzioni così forti da mandare in sold out la tiratura di 500 copie a pochi giorni dall’uscita e, conseguentemente, alimentare le speculazioni da parte dei venditori privati. Difficile poi capirne poi il perché visto che si tratta di un various dignitoso ma privo di particolari slanci da renderlo un must have. Dentro c’è l’italo disco 2.0 di Tending Tropic (“Hondebrok”), l’electro house che Cafius ha scolpito riciclando il riff di un classico eurodance dei Le Click (“Tonight Is The Night”), la post EBM degli Im Kellar (“Not To Be Compromised”) e per finire una versione sotto steroidi che Adrian Marth ricava dall’eurodisco (“Icon Of The Night”). Un 12″ senza infamia e senza lode, che pare uscito dagli anni che seguirono il boom electroclash.

The Hacker - No Senor

The Hacker – No Señor (Italo Moderni)
Michel Amato non ha mai fatto mistero della sua viscerale passione per la new wave e l’industrial più oscure e tenebrose parimenti a tutta la scuola EBM, e questo disco, uscito da poco sull’iberica Italo Moderni, ne è ulteriore testimonianza. “No Señor” ripesca a piene mani dal campionario di Liaisons Dangereuses, Cabaret Voltaire, No More, Front 242, D.A.F. e soprattutto Nitzer Ebb (mettete su “Let Your Body Learn” e magari provate a mixarli insieme) e l’effetto viene ulteriormente riverberato nel remix di Terence Fixmer, un altro che in tempi non sospetti rimise mano a tutto quel repertorio declinandolo in chiave technoide e ottenendo quella che fu ribattezzata TBM (techno body music). A completare il quadro le due parti di “Me & My Sequencer”: la prima con l’aggiunta di tocchi di matrice dopplereffektiana, la seconda con un piglio ancora più militaresco con vampate di spippolamenti analogici.

Abyssy - Extra Meta

Abyssy – Extra Meta (New Interplanetary Melodies)
È un progetto decisamente sostanzioso quello messo in piedi da Andrea ‘Mayo Soulomon’ Salomoni che torna sull’etichetta fiorentina di Simona Faraone (intervistata qui) con un album, in uscita il 22 febbraio, a cui si aggiungerà un EP il 14 marzo. Mediante un ricco armamentario fatto di intramontabili cimeli che, alla stregua dei migliori whisky, più invecchiano e più diventano ambiti (dai classici Roland – MC-202, TR-808, TR-909, Juno-60 – a Yamaha DX100 passando per Korg MS-10 ed E-mu SP 1200), il compositore bolognese colloca le sue opere in scansioni ritmico-armoniche non convenzionali e si lancia a capofitto in un’avventura che muove più corde dei suoi gusti e sensibilità. Si fluttua su materie gassose e ritmi destrutturati (“Samba Temperado”, “Quantum”, “Vectrex”) ma poi si torna coi piedi per terra per marciare insieme a grovigli di ricordi chicagoani (“Mars Trax”, “Acid Rio”, “A Mixed Feeling”) e poi attivare la connessione con la rivisitazione di stilemi italo disco (“Italodoppler”) ma con l’aggiunta di elementi onirici. Nell’EP Salomoni infonde altre tangibili prove del suo talento, prima disegnando arazzi kraut di göttschinghiana memoria (“Busy Line”, “C3C6”, un possibile omaggio al monolitico “E2-E4”?) e poi rituffandosi nelle atmosfere soleggiate e ridenti di un suono meticcio tra house e italo disco (“Lower Milky Way”). A tutto questo si sommano quattro ulteriori tracce destinate al solo formato digitale, “Supernova”, “Ordinateur Numerique”, “Choices” e “Drumatic”, tra iniezioni di theme music, divagazioni low-fi, esplorazioni ambientali issate su scheletri ritmici e misteriosi tam tam che rompono il silenzio delle oscurità spaziali.

Innershades - Explorer EP

Innershades – Explorer EP (Altered Circuits)
Terza apparizione su Altered Circuits per Thomas Blanckaert che in questo extended play continua a spingere verso l’alto una techno frammista a preponderanti elementi electro. I riferimenti a Detroit si palesano proprio nella title track, “Explorer”, un susseguirsi di lanci melodici e cortine fumogene filo acid su una rete ritmica in sincopi. L’aderenza allo stile della Città dei Motori si rende ancora più evidente in “Aquaculture”, un incrocio tra il primo Atkins su Metroplex e il suono acquatico dei Drexciya e il titolo, in tal senso, non lascerebbe adito ad alcun dubbio. Dallo stesso ceppo il prolifico produttore belga ricava pure “Super 6” e “Unknown Depths”, ulteriori slanci verso quel suono che, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, ha fatto sognare un’intera generazione facendole sentire l’accelerazione del futuro ben prima dell’arrivo di internet, degli smartphone o dell’intelligenza artificiale.

(Giosuè Impellizzeri)

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Discommenti (novembre 2023)

Andy Romano - Monday

Andy Romano – Monday (Bordello A Parigi)
Andy Romano si fece notare tra 2008 e 2010 con una serie di produzioni di taglio italo disco, tutte finite nei cataloghi di etichette estere. MySpace stava per cedere il passo a Facebook e il movimento che gravitava intorno al revivalismo dance degli anni Ottanta era ancora perlopiù relegato a piccole case discografiche indipendenti guidate da collezionisti incalliti desiderosi di ridare linfa vitale alle musiche che contraddistinsero la loro giovinezza. Poi, improvvisamente, di Romano si perdono le tracce e di lui non si è saputo più nulla. L’ennesima delle meteore insomma, ma rimpianta perché in studio ci sapeva fare davvero. Alla musica l’artista preferisce il lavoro di character designer nel settore dei videogiochi, del cinema e dell’editoria. A distanza di tredici anni dall’ultima apparizione però il nome del capitolino rispunta fuori, forse istigato dalla recente ristampa di “Every Time Feel Allright” su Cold Blow, con un EP destinato all’olandese Bordello A Parigi che sembra provenire da un vecchia bobina incisa nel biennio 1982-1983. “Monday” incrocia il tiro hi nrg di Bobby Orlando a tradizionali ouverture melodiche italo, e “Cyber Black Spaceship” ne segue la scia evidenziandone il lato cosmico. “Loredane” infine si cala del tutto nel classico stilema italo attraverso una canzoncina d’amore cantata (intenzionalmente) in un inglese stentato e immersa in zuccherose melodie: a venirne fuori è una specie di “Galactic Reaction” dei Milkways sovrapposta alla giocosità di “Amoureux Solitaires” di Lio con l’aggiunta di una spruzzata del romanticismo di Savage e Felli.

Robotron, The Egyptian Lover -Pornographix

Robotron Feat. The Egyptian Lover – Pornographix (Skynet Cybersonix)
Adalbert Kupietz torna a vestire i panni di Robotron e per l’occasione vanta al suo fianco un partner d’eccezione, il mitologico Egyptian Lover, con cui realizza il terzo episodio su Skynet Cybersonix. “Pornographix” nasce come riadattamento di un vecchio brano intitolato “Pornographics” che lo stesso Kupietz firma in solitaria come Interfunk nel 2009. La V1.0, sul lato a, intreccia schemi robotici dalle tinte fredde che accentuano l’atmosfera cupa a classiche ansimate e vocal dell’artista losangelino innamorato della Terra dei faraoni, la V2.0, sul b, avanza su una velocità di crociera più sostenuta, con geometrismi ritmici controbilanciati da effettistica spaziale e contrappunti melodici che omaggiano il remix che Heinrich Mueller realizza nel 2001 per “What Use” dei Tuxedomoon su International Deejay Gigolo Records. Come di consueto per Skynet Cybersonix, sono appena duecento gli esemplari, numerati a mano con annesso un cartoncino illustrato. Una parte della tiratura è stampata su vinile di colore argento marmorizzato ma solo cinquanta copie annoverano un ulteriore bonus diventato già ambito dai collezionisti, un poster.

Break 3000 - Emolotion EP

Break 3000 – Emolotion EP (Mondo Phase Rec.)
Così come avvenuto per Christian Gleinser (si veda Discommenti di settembre 2023), anche l’olandese Peter Gijselaers finisce nelle maglie della retromania. Il suo progetto Break 3000, partito in sordina nel 1999, si ritaglia spazio durante il boom dell’electroclash. Per Gijselaers, tuttavia, risulta decisiva la partnership con Felix B Eder con cui dà avvio ai Dirt Crew, cavalcando la moda della minimal house e in tal senso “808 Lazerbeam” resta un piccolo classico degli anni in cui i DJ iniziano a mixare senza cuffia con il laptop al posto dei giradischi. L’esperienza come Break 3000 finisce inevitabilmente nel dimenticatoio, arenandosi in mezzo alla giungla di produzioni che a inizio millennio giocano a riavvolgere il nastro, flirtando coi suoni new wave, synth pop e italo disco. Adesso però è tempo di riscoperta e al recente “The Rise Of Poseidon I” sull’argentina Calypso’s Dream segue questo EP che ripesca quattro brani del repertorio dell’artista nativo dei Paesi Bassi. Investire su musica vecchia, del resto, pare essere la grande vocazione dell’industria discografica contemporanea. «Sono due le ragioni che mi hanno spinto a credere in pezzi già editi» spiega Matteo Pepe alias Uabos, fondatore della neonata Mondo Phase Rec.: «la prima è strettamente personale, perché quello di Break 3000 è un disco che amo da sempre, fisso nelle mie prime serate da DJ e che mi distingueva a quel tempo visto che nel 2003 la scena milanese offriva raramente musica di questo genere. Mi sono sentito subito rappresentato da quei suoni, semplici, d’impatto, graffianti, con un’inclinazione punk che sposava l’electroclash oltre a reminiscenze italo disco; la seconda ragione è rappresentata dal fatto che questo tipo di suono risulta essere quanto mai attuale: i DJ più giovani amano cose simili e i produttori ne prendono spunto. Ho provato a cercare nuovi artisti disposti a produrre electroclash ma, nonostante ci siano tantissime cose valide in circolazione, mi pare che l’attitudine con cui vengano prodotte non sia proprio la stessa. Per far partire la mia etichetta invece avevo bisogno proprio di quel suono e approccio, non volevo lasciare spazio a diverse interpretazioni. Con la stampa di “Emolotion EP” quindi ritengo di aver lanciato un messaggio chiaro e preciso».

“Emolotion” è tratta da un various edito su Meuse Muzique Records nell’autunno 2003, “Plastique People” e “C’Mon Girl” provengono da “The Electronic Kingdom EP” mentre “Follow” è un inedito, prodotto ai tempi ma mai dato alle stampe. Anello di congiunzione di tutte è un suono meccanico retrò segnato da curvature melodiche un filo ingenue e voci robotiche. L’ispirazione paga il tributo ad artisti come David Carretta, The Hacker e l’Anthony Rother che, proprio in quel momento storico, riesce a rendere più accessibile la sua musica attraverso le pubblicazioni su Datapunk partite con “Back Home”. Al momento le reazioni del mercato paiono più che buone: «ho stampato 350 copie e il disco è quasi sold out» spiega Pepe. «Non credo però di far uscire la versione digitale dei brani (operazione già portata a termine da Gijselaers il 15 marzo 2023 attraverso Bandcamp , nda) ma non escludo che possa essere una possibilità da applicare alle prossime pubblicazioni. Nonostante i pezzi suonassero già bene, mi è sembrato logico rinfrescarli ricorrendo al remastering di Emanuel Geller presso il Salz Mastering Studio, a Colonia, con cui Peter lavora di solito. Il suono è assolutamente fedele all’originale, gli ha dato solo una “spintarella” per allinearlo allo standard attuale. Peter è davvero una persona fantastica ed estremante cordiale e gentile, possiede ancora quell’approccio positivo che a volte si perde col tempo. Non confidavo troppo in una suo assenso e invece nell’arco di appena ventiquattro ore mi ha risposto positivamente. Dopo aver chiuso l’accordo, la finalizzazione dell’EP è stata rapida: abbiamo discusso della tracklist ma lui si è sempre rivelato propositivo e ha riposto fiducia in una persona come me, nonostante non avessi maturato altre esperienze in ambito discografico ad eccezione di quelle come artista. Probabilmente l’unico dettaglio che ci ha impegnati di più è stato il nome da dare all’EP. Inizialmente non era d’accordo nell’intitolarlo come il suo cavallo di battaglia, “Emolotion”, ma poi ha capito che quella era la scelta giusta per fini commerciali. Attualmente stiamo ragionando su un possibile ritorno dietro la consolle come Break 3000, visto che gran parte della sua carriera è legata al progetto Dirt Crew. A breve pubblicheremo sul canale Soundcloud di Mondo Phase Rec. un suo vecchio mixato riproposto su Radio Raheem che trovo fantastico».

La retromania teorizzata da Simon Reynolds nell’omonimo libro del 2010 sta probabilmente toccando il suo apice: tutto è commemorativo, anche nella musica che un tempo puntava al futuro e non certamente al passato. Credere più in ciò che è stato piuttosto che in ciò che sarà è forse sintomo della perdita di fiducia nel domani? Nella musica dance elettronica, questo procedimento mentale rischia di limitare possibili nuove sollecitazioni artistiche? «Penso che in qualsiasi epoca ci sia stata una rivisitazione del passato, probabilmente ci aiuta a comprendere ciò che è stato prima e ci sprona nella ricerca del nuovo rispetto a qualsiasi ambito culturale» risponde Pepe in merito. «È anche vero però che viviamo un periodo in cui la società ci spinge a non avere grande fiducia per il futuro, e questo ovviamente si ripercuote in tutti gli ambiti della vita e probabilmente stimola meno a indagare strade non battute invitando, al contrario, a guardare con nostalgia il passato e rimanere stanziati in una zona di comfort. Che venti, trenta o quarant’anni fa ci fossero più stimoli nello sperimentare penso sia indubbio, ma in che tipo di società vivevamo? La paura di Reynolds che questa ossessione per il retrò predomini rispetto alla volontà di ricercare nuove forme penso sia fondata, tuttavia mi sembra di vedere comunque un progresso delle cose e la nostra evoluzione è ovviamente figlia di ciò che c’è stato prima, nel bene e nel male. Evocare e reinterpretare il passato può portare alla creazione di opere uniche, e connettere il presente col passato può aiutare a trovare nuove strade. Insomma, se gestita con equilibrio la retromania può arricchire la cultura contemporanea e rappresentare un ponte positivo e un collante generazionale».

Dopo Break 3000 la Mondo Phase Rec. proseguirà nel solco delle ristampe o scommetterà su qualche nuovo talento? «Ho voglia di battere il ferro finché è caldo» afferma Uabos. «Le prossime tre pubblicazioni sono praticamente pronte ma non svelo i nomi per pura scaramanzia. Colgo l’occasione per invitare a mandare dei demo a mondophase@gmail.com, a patto che siano in linea con la direzione musicale intrapresa. Il nostro è un collettivo che abbraccia varie forme creative. Ho avviato, ad esempio, una collaborazione col fotografo Alessandro Sorci con cui per anni abbiamo creato le immagini dei flyer delle nostre serate, foto che ora sono sulle cartoline all’interno della copertina del disco. Mi piacerebbe stringere più sinergie di questo tipo, correlate a discipline differenti rispetto alla musica, ma al momento è difficile a causa di budget molto bassi. Per ora, quindi, spingerò solo sulla musica. Dopo aver trascorso vent’anni dietro la consolle, ho sentito l’esigenza di dare una mia visione personale al mondo del clubbing contemporaneo, scegliendo la direzione da prendere, da quella musicale alla visiva e grafica. Per me il Mondo Phase richiama connessioni con diverse fasi e aspetti, rispecchia le diversità delle esperienze globali, il cambiamento attraverso il tempo e le fasi di crescita e sviluppo. Ogni fase ha contribuito a definire il mondo in cui viviamo oggi ed esprime concetti legati all’evoluzione e alla mutevolezza».

Livio Improta - Fondamentalismi

Livio Improta – Fondamentalismi (Tiella Sound)
Dopo aver inaugurato il catalogo con Daniele Tomassini alias Vaisa, che frugava negli interstizi ambient/IDM facendo leva su ritmi destrutturati ascritti a tragitti warpiani, la giovane etichetta fondata da Luca ‘Bigote’ Evangelista prosegue il cammino con la musica del DJ Livio Improta. Sono dieci i pezzi, prodotti parecchi anni fa ma rimasti nel cassetto per alcune vicissitudini, con cui l’artista campano arpiona stili complementari e li mescola facendoli palpitare e muovere in varie direzioni per ricavarne qualcosa che assomiglia a un patchwork audio in grado di riservare più di qualche sorpresa. Da tracce erranti tra dolci carezze e ruvide spigolosità (“Posidone”, “80123”, “Intransigenza”), a pulsazioni irregolari intrecciate a spasmi di glitch (“Fondamentalismi”), da vivaci contrasti tra luci e ombre (“Comunicando”, “Alpha”) sino a soluzioni ballabili (“Cuma, “Iblis”, da cui affiora una sorta di acid virata dub in salsa low-fi, “Marechiaro”) per atterrare infine su tessiture noise intrecciate a un metafisico spoken word in italiano (“Omega”). Un LP con cui Improta abbraccia un astrattismo che disorienta l’ascoltatore ed elude il facile incasellamento stilistico a favore di una totale libertà creativa, propensione che oggi purtroppo manca alla stragrande maggioranza di coloro che si dedicano alla composizione di musica elettronica. L’LP uscirà il prossimo 8 dicembre e sarà limitato alle 200 copie.

Bosconi Stallions III

Various – Bosconi Stallions Vol.III (Bosconi Records)
È un itinerario polimorfico quello riservato dal terzo atto della “Bosconi Stallions”, compilation che celebra i quindici anni di attività dell’etichetta fiorentina mettendo insieme dodici pezzi di altrettanti artisti, accomunati dalla nazionalità italiana e dalla propensione a esplorare varie sfaccettature della dance elettronica. All’interno si toccano molteplici lidi stilistici giocati sia sulle sfumature che sui contrasti, rimbalzando dalla techno alla house passando per l’electro, tutto con un piglio ballabile che a conti fatti risulta essere il leitmotiv dell’intera raccolta. Si transita, tra gli altri, dalle spigolosità ritmiche dei Minimono ai ventagli melodici di Feel Fly e Lucretio, dalla sgroppata di Queen Of Coins, che paga il tributo a tanti eroi dell’epopea electroclash con tinte vivaci e brillanti, al lancio nell’iperspazio di Twovi e Data Memory Access. Nota di merito per due colonne statuarie della scena nostrana, Marco Passarani e Alexander Robotnick che, rispettivamente con “Bungy Bungy Bungy” e “It’s So Easy”, annodano house e matrici italo disco con la loro riconosciuta padronanza e consapevolezza. A coronare il tutto è l’artwork di Niro Perrone, in bilico tra realtà e immaginazione, un confine che gli artisti coinvolti nel progetto valicano più volte.

MG Project - Friends

MG Project Feat. Miss Dee – Friends (Three-Bù Records)
Un gradito ritorno sulle scene discografiche quello di Marco Moreggia, tra i primi DJ a portare la house music a Roma a metà degli anni Ottanta come lui stesso racconta qui. Dai tempi del Devotion e de I Ragazzi Terribili è cambiato davvero tutto, mondo compreso, ma l’artista non ha perso la voglia di produrre house per i club, seppur l’attività in studio non sia mai rientrata tra le sue priorità. In questo pezzo prodotto con Stefano Guerra e la newyorkese Miss Dee, al momento disponibile solo in formato digitale, si sente odore di sound britannico, forse per i ghirigori progressive o per le aperture melodiche morbidamente accarezzate dalla luce che un po’ ricordano “Right On!” dei Silicone Soul (Curtis Mayfield docet). A condire il tutto una patina tribaleggiante, fraseggi jazzati di sax e un vocal hook preso da “Never Be Alone” dei Simian, ma meglio noto per la versione dei francesi Justice. Ulteriore rimando al passato è offerto dal nome dell’etichetta stessa, omonima di un progetto di Moreggia che prende vita tra 1991 e 1992 attraverso un paio di fugaci apparizioni sulla Mystic Records. «Ho voluto far rivivere Three-Bù, mantenendo senza variazioni lo storico logo disegnato a mano da Luigi Bonavolontà, perché per me rappresenta un momento molto importante legato a I Ragazzi Terribili» spiega il DJ in un post su Facebook dello scorso 6 novembre. «Three-Bù Records sará un’etichetta aperta a tutti quegli artisti che hanno qualcosa da dire e a quelli che non si adeguano ai soliti cliché. Ci impegneremo a costruire passo dopo passo la nostra storia non identificandoci in un genere preciso e saremo aperti a tutta la musica di qualità che fa ballare ma anche sognare». Annunciato giusto un paio di giorni fa è “Paradise” di Stefano Di Carlo Feat. S. Minnozzi, la cui uscita è attesa per la fine del mese in corso.

Skatebård - Spektral

Skatebård – Spektral (Digitalo Enterprises)
Arriva dalla fredda Norvegia questo album assemblato con una serie di inediti scritti e prodotti tra 2001 e 2005. L’Intro apre le porte del regno degli Asi mandando l’ascoltatore in compagnia di mostri della mitologia nordica ma ciò avviene per appena quaranta secondi perché “Vaskemaskin” trascina immediatamente sulla pista coi suoi turbinii incontrollati madidi di sudore che girano come lame roventi. L’effetto è simile in “Den Anarkistiske Anode”, rivista da DJ Sotofett, un sinuoso serpente di loopismi techno sporcati dal distorsore, e “Seventh”, che riaggancia ipnotismi in stile Maurizio. Con “Bassi” l’artista placa momentaneamente gli impeti più animaleschi adagiandosi su un fondo catramoso fatto di punteggiature housy in stile Chicago della prima ora. Sulle stesse coordinate si colloca “Ei Anna Framtid”, un take beatless di “Future” pubblicata dalla finlandese Keys Of Life nel 2003 che ora diventa un glaciale arabesco ambient techno a cui segue “Strengje”, house mutante scandita dai blip. La chiusura fa nuovamente calare la pressione: “Spektral-Electro” lambisce oscure galassie electroidi mentre in lontananza lampeggiano colori fluo tra nuvole minacciose. Bård Aasen Lødemel continua a toccare con disinvoltura più generi musicali marchiandoli puntualmente con la tipica impronta nordica di atmosfere tristi e riflessive, probabilmente derivata dalla cronica latitanza di sole nella Terra dei vichinghi.

Ma Spaventi & Demuro - La Molecola Del Tempo

Ma Spaventi / Demuro – La Molecola Del Tempo (New Interplanetary Melodies)
“Anno Domini 1987. La Grande Guerra Nucleare è terminata senza vincitori. Enormi nembi giallastri vagano tra i continenti a oscurarne il cielo. Il pianeta è amorfo, il suolo pregno di esalazioni tossiche. La bellezza, bandita dalla realtà, sopravvive solo nei ricordi di pochi scampati. Nessuna megalopoli, nessun parlamento, nessuna famiglia: tutto ciò che l’uomo aveva eretto al centro ora è periferico, sporadico, incerto. La distruzione dello spazio ha dissipato anche il tempo. Dell’uno e dell’altro non restano che frammenti sparsi, destinati a sgretolarsi sotto l’impeto di venti sulfurei e depressioni caustiche. La Società Degli Ultimi Esseri, nelle rare isole di terra fertile, vive stretta intorno all’estrema speranza. Rimangono solo pochi giorni per ingabbiare la molecola del tempo: presto l’ultimo nocciolo di energia sarà spento. L’esperimento finale è appena iniziato: troppo fantasiosi gli esiti per essere previsti, troppo confuse le probabilità per essere calcolate”: si legge così sul retro della copertina di questo avventuroso disco, l’incipit da cui (ri)parte il viaggio di MarcoAntonio Spaventi ed Enrico Demuro, a poco più di un anno di distanza da “The Great Walk”. “La Molecola Del Tempo” è un album intriso di pathos e intensità emotive che viaggiano speditamente da un pezzo all’altro disegnando prima atmosfere accomodanti e benevole, poi scure, con suoni minacciosi che si stagliano su un cielo livido e plumbeo, imperscrutabile, a incorniciare il tramonto della civiltà su scenari di inconsolabile devastazione. Un’immagine distopica, tipica della narrativa fantascientifica e cinematografica d’antan (si veda, ad esempio, la serie “Ora Zero E Dintorni” prodotta in Italia nel 1980) ma via via sempre più temibilmente contemporanea a giudicare dalla situazione attuale in cui versa la Terra. È legittimo pensare che a ispirare gli autori sia stato un evento in particolare, e il fatto che il disco sia stato composto, arrangiato e prodotto tra la fine di agosto 2019 e marzo 2021, abbracciando buona parte del periodo pandemico, avvalora l’ipotesi che il Covid-19 possa avere ricoperto un ruolo centrale nel processo creativo. A fugare i dubbi sono proprio gli artefici, contattati per l’occasione: «Verso la fine del 2019 la mia vita personale ha subito diversi cambiamenti molto importanti che mi hanno portato a lasciare quella comfort zone a cui ero abituato negli anni precedenti» spiega Spaventi. «L’arrivo del Covid-19 subito dopo ha certamente contribuito ad aumentare il senso di insicurezza e di crisi. La musica però, ancora una volta, mi ha dato la possibilità di trovare un momento di riposo mentale, di creatività che alimenta la rinascita. Le ambientazioni e, più in generale, la sonorità del disco, sono frutto proprio di questo particolare equilibrio. La ricerca sonora da una parte, che porta soddisfazione e senso di comfort, il sapore amaro e di disagio del mondo attuale dall’altro». Simile la prospettiva di Demuro: «La lunga parentesi della pandemia, i periodi di “reclusione domestica”, le nuove problematiche e le incertezze hanno influito nella fase creativa della musica e del concept. Nel mio caso a giocare un ruolo sono state anche le letture che ho affrontato in quel periodo. Ritengo ci sia una grande difficoltà a leggere con lucidità il nostro presente storico e costruire il futuro rimediando, in maniera consistente, alle falle del sistema capitalistico neoliberista e alla crisi crescente dei nostri sistemi democratico-liberali. Nel frattempo si sono aperti e riaperti nuovi scenari bellici attorno a noi, quindi mi sembra tutto di grande attualità».

Nonostante ci siano diversi anni a separare il concepimento dalla pubblicazione dell’album, “La Molecola Del Tempo” risulta essere perfettamente contemporaneo, proprio per la persistente fase di difficoltà che il nostro Pianeta si trova ad affrontare. Cambiare qualcosa forse avrebbe potuto dare un valore aggiunto? «Per me è perfetto così» afferma lapidario Spaventi. «Finire un disco è un’impresa colossale proprio perché non si vuole lasciare nulla al caso e si cura tutto nei minimi dettagli per creare un’opera che possa sostenere il passare del tempo». Pure Demuro è contento del risultato finale, «ma mi sarebbe piaciuto aggiungere parti di batteria e di percussioni suonate» dice «per renderlo un po’ meno sintetico/programmato e più suonato insomma. Auspico che questa possa essere la direzione del nostro prossimo disco, capiremo come fare». “La Molecola Del Tempo” garantisce all’ascoltatore un’autentica avventura verso “Nuovi Orizzonti”, per poi spingersi “Nel Vortice Di Una Vertigine” e toccare “Il Punto Di Fusione”, prendendo in prestito alcuni dei titoli in tracklist. Un sogno che diventa un incubo, atmosfere rasserenanti che si trasformano in severe, a tratti ansiogene con un filo di mestizia: davvero nulla si ripete meccanicamente, è un flusso emozionale che prima ti accarezza e poi ti fa gelare il sangue, forse un parallelo alla vita terrena che dà e toglie, purtroppo non sempre in modo bilanciato.

Per raggiungere questo risultato gli autori hanno adoperato una lista lunghissima di strumenti, di vecchia e nuova generazione. «Poco importa che una macchina sia vecchia o nuova se il suono e il prodotto che ne ricavo soddisfano le mie esigenze» afferma Spaventi. «La tecnologia mi affascina da sempre analogamente alla ricerca sonora». A supporto dell’intreccio tra ieri e oggi è anche Dimuro il quale sostiene che «l’interazione tra vintage e nuove tecnologie può aprire a nuove soluzioni sonore. Noi abbiamo privilegiato sintetizzatori di ieri abbinati a sequencer moderni che rendono la produzione più veloce e compressa. Abbiamo bisogno di nuove tecnologie per correggere i nostri errori ma il discrimine è nell’utilizzo, l’etica e le modalità d’impiego. La tecnologia senza etica è rovinosa perché procede eternamente in modo acefalo ma a me onestamente pare ormai troppo tardi per cambiare la sua dinamica evolutiva, e forse non è mai stato possibile farlo». Aver creato l’album in un periodo particolare come quello pandemico, ha per forza di cose inciso sul modus operandi con cui è stato realizzato. «Siamo stati costretti a lavorare per lo più a distanza ma qualche volta, soprattutto nella fase finale, ci siamo incontrati in studio» racconta Spaventi. «Ci si rimbalzava le sessioni fino a quando il materiale non era completo per essere missato. Un aneddoto particolare riguarda “Molecolare”, tra i pezzi più vecchi del disco. La sessione iniziale venne creata da me nel 2019, tra le ultime nel mio studio di allora. Ho sperimentato tantissimo con effetti e missaggio ma il tutto è maturato a dovere solo quando Enrico ha aggiunto le sue particolarissime linee di basso. Per scambiare materiale facevamo spesso ricorso al cosiddetto “bounce” che non consisteva in tutta la sessione ma solo di un file stereo, risultato del missaggio parziale del brano. Su questa base Enrico ha aggiunto, più o meno, tutti i suoi bassi. Quando ho importato le sue takes nella mia sessione originale però, il groove e il modo in cui il basso si appoggiava al ritmo non stavano più su. È un problema comune a chi produce col computer dovuto alla “latenza” del sistema. Sono millisecondi che il computer aggiunge via via per gestire tutto il calcolo del prodotto audio. Niente, il basso di Demo non ne voleva proprio sapere di starci dentro, neanche dopo tentativi di aggiustamenti manuali. Soluzione? Usare il missaggio parziale e sistemarlo in mastering: la fase finale del pezzo è proprio il premix originale che aveva un groove unico. Questo per dire che non importa di come si arriva al risultato, l’importante è che suoni nel modo giusto».

Uno dei pezzi che simboleggiano meglio il messaggio di Spaventi e Demuro è “Cadetti Dello Spazio-Tempo”, accompagnato anche da un videoclip girato tra Castelfiorentino e Marghera nel 2023 da Sabina Ismailova ma altrettanto convincente risulta “Cinematica Terrestre”, destinato a essere la bonus track del formato digitale uscito lo scorso 26 maggio. Con “Elettromagnetica” si alzano venti che spazzano via i nembi giallastri di cui si diceva all’inizio. Ma purtroppo è solo la sensazione suscitata dalla musica, le condizioni in cui versa la Terra continuano a non essere delle migliori e più di qualcuno probabilmente oggi vorrebbe trovarsi altrove. Chiedersi che volto avrà il nostro pianeta tra qualche decina d’anni è più che comprensibile, ma anche domandarsi che fine farà la musica. «Il passato non ha mai regalato epoche in cui tutto era perfetto» sostiene Spaventi. «Si stava meglio all’età della pietra, o quando ci si ammazzava per un tozzo di pane, si moriva di peste o inceneriti al rogo? O, ancora, alla fine dell’Ottocento quando le industrie pompavano fumo nero di carbone senza filtri o quando tutto il mondo era in guerra, meno di cento anni fa? Certo, al giorno d’oggi si potrebbe fare sicuramente meglio, vista la conoscenza accumulata dall’umanità dall’inizio della nostra storia. Tutto sommato però sono contento di vivere negli anni Duemila piuttosto che nel Duecento. Tra dieci anni sarà lo stesso, forse un po’ più caldo, un po’ più arido, un po’ più costoso e con tecnologia AI sempre più invadente. Ma sono certo che la musica sopravviverà insieme ai sintetizzatori vintage, perché ci sono quelli come noi che vivono e si nutrono di cose belle». Di opinione diversa è Dimuro il quale ammette candidamente che gli piacerebbe vivere nel Medioevo, un periodo storico affascinante, o militare tra le fila del Terzo Stato durante la Rivoluzione Francese o ancora scoprire il Nuovo Mondo imbarcato con Amerigo Vespucci: «oggi non ci sono, a livello globale, reali politiche di cambiamento radicali. Forse ci troviamo su una barca che affonda e cerchiamo solo di tapparne le piccole falle» aggiunge. «Ovviamente la Terra sopravvivrà e si trasformerà, magari senza gli esseri umani. Spero che in qualche modo la musica riesca a cavarsela, è la più grande forma di bellezza umana artificiale». Adatto a sonorizzare una pellicola catastrofica o un videogame survivalista, il disco di Spaventi e Demuro, prodotto da Simona Faraone (intervistata qui) sulla sua New Interplanetary Melodies, è la soundtrack calzante per restituire all’ascoltatore l’immagine di una Terra andata quasi tutta in pezzi, a un passo dall’essere inghiottita dal buio e dal silenzio eterno. Probabilmente un mondo perfetto non è mai esistito e mai ci sarà, ma nessuno ci impedisce di sognarlo ancora.

Noamm - Electroporation EP

Noamm – Electroporation EP (Tiger Weeds)
Batte bandiera ellenica questo EP sull’ateniese Tiger Weeds. A firmarlo il talentuoso Noamm, che negli ultimi anni ha dimostrato in molteplici occasioni di essere un abile intagliatore di materie electro. La partenza è diretta e senza fronzoli con la severa e minimalista “Electroporation” seguita da “Science We Trust” ed “Exobiology Radiation Assembly”, entrambe intrise di sequenze cybermeccaniche sovrapposte a brevi porzioni melodiche. La medesima andatura da androide si ritrova in “Electroporation II” e “Tele-Vision” probabilmente le più convincenti del disco, dove l’autore sfodera dal taschino il tesserino di adesione al club dopplereffektiano. Per “Intuition”, infine, pigia il pedale dell’acceleratore e riagguanta stilemi industrial / wave con l’aiuto della magnetica voce di Angelique Noir. Nel complesso è un extended play diligentemente prodotto, seppur non offra particolari guizzi estrosi perché si attiene a un modello creativo largamente battuto nell’ultimo ventennio.

Sonic Transmutations

Various – Sonic Transmutations (Clone Records)
Se la fiorentina Bosconi Records compie quindici anni – si legga qualche riga più sopra -, le candeline che spegne l’olandese Clone Records sono poco più del doppio, trentuno. Per festeggiare l’importante traguardo dunque, l’etichetta-distributore di Serge Verschuur mette sul mercato una compilation decisamente maxi visto che il box set racchiude ben otto dischi per un totale di 33 tracce. All’headquarter di Rotterdam parlano di un cofanetto “che riunisce talenti veterani ed emergenti iconoclasti” e, a leggere la tracklist, è difficile sconfessare tale definizione. Tra i veterani Anthony Rother, Dopplereffekt, Legowelt, Dexter, Detroit In Effect, E.R.P., The Exaltics e Alden Tyrell, tra gli emergenti invece Lenson, Alberta Balsam, Alex Ranzino, Dim Garden, PRZ e l’italiano Kreggo, tutti accomunati da una notevole forza espressiva e uniti nel credo della techno e dell’electro. Un possibile regalo da farsi o da fare, in previsione delle ormai non lontane strenne natalizie.

(Giosuè Impellizzeri)

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Discommenti (settembre 2023)

Hyperstellar - Polaris EP

Hyperstellar – Polaris EP (The DJ Hell Experience)
Ruben Benabou, parigino, è l’artista che si cela dietro lo pseudonimo Hyperstellar. Attratto tanto dalle atmosfere delle colonne sonore quanto dalle potenzialità di generi come electro e techno, catalizza l’attenzione di Gerald Donald che lo vuole nel collettivo Daughter Produkt. Adesso dalla sua parte vanta un altro veterano della club culture, DJ Hell (a proposito, concedete un ascolto al recente remix realizzato per “Be A Queen” di Miss Djax), il quale lo precetta per la sua nuova etichetta che ha raccolto il testimone dell’International Deejay Gigolo a cui spetta comunque una citazione sull’artwork. Due i pezzi dell’EP: “Sibyl”, sintesi perfetta degli interessi musicali del transalpino, con ritmo e pathos, euforia e fase REM, e “Polaris”, naturale continuum di “Monarchy”, finita in una compilation della Zone nel 2021, un zigzagare verso l’ignoto in mezzo a filigrane low-fi che lasciano piombare l’ascoltatore in un pozzo apparentemente senza fondo, risucchiato dalle tenebre e da arabeschi armonici. Una doppietta che fa tesoro della lezione impartita dai decani della scena francese (David Carretta, The Hacker, Vitalic, Kiko, Arnaud Rebotini, giusto per citarne alcuni) e che nel contempo si proietta nel presente con assonanze a Gesaffelstein.

Tobor Experiment – Available Forms

Tobor Experiment – Available Forms (Bearfunk)
È stato necessario aspettare dodici anni per disporre del seguito di “Tobor Experiment Disco Experience” ma l’attesa è ampiamente ripagata. Supportato ancora dalla londinese Bearfunk di Stevie Kotey, il sound designer Giorgio Sancristoforo prosegue quindi il viaggio incantato immergendosi in pozioni alchemiche di musica fusion, exotica, easy listening e jazz psichedelico. Nove i brani della tracklist in cui mette magistralmente a punto i suoi distillati sonori, tutti saltati fuori da ipotetiche sonorizzazioni per pellicole di epoca space age. Spazio anche a una cover, “Halgatron” del compianto Detto Mariano, originariamente solcata sul lato b del 7″ con la sigla di “Jeeg Robot”. La visione retrofuturistica è il motore del disco e questo lo si evince anche dalla copertina e dal packaging (in formato gatefold) graficamente ineccepibile e comprendente un booklet di otto pagine: l’impatto visivo generato è pari a quello sonoro. Un balzo temporale indietro di cinquant’anni, per tornare a immaginare il futuro così come lo si sognava un tempo, provando un piacevole brivido emozionale.

Christian Gleinser - With A Different Eye EP

Christian Gleinser – With A Different Eye EP (Rapid Eye Movement)
Probabilmente nessuno tra coloro che incidevano musica nei primi anni Duemila avrebbe scommesso un solo centesimo bucato sulla possibilità che un giorno i propri dischi sarebbero stati rivalutati e ristampati per la generazione successiva. Analogamente a quanto avvenuto coi pezzi meno noti degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, anche quelli usciti a inizio millennio si stanno quindi lentamente trasformando da inutilità vendute per una manciata di spiccioli in rarità o addirittura “must have” proprio come le produzioni di Christian Gleinser. Attivo nei primi anni del nuovo secolo nel duo Nitsch & Gleinser insieme all’amico Daniel Nitsch e artefice di un suono meticcio tra electro, techno, chiptune e synth pop che spopolò trainato dal boom dell’electroclash, il tedesco, ormai inattivo nel frangente musicale, vede risorgere due tracce della sua prima apparizione da solista (“Look Into My Eye EP”, Superfancy Recordings, 2004). Da “Lies” e “Labyrinth” riaffiorano elementi classici per gli anni più rosei di quello che fu dipinto come neo pop: bassline arpeggiate e in ottava, melodie composte in preda alla nostalgia da Commodore 64, Atari VCS 2600 o Amiga 500 e voci vocoderizzate. Il lato b accoglie invece due inediti prodotti tra 2002 e 2005, “The Time Is Coming” e “Constant Transience”, attraverso cui l’artista dimostra ancora una volta di avere un particolare feeling col sid style. A coordinare l’operazione è la neonata Rapid Eye Movement di Jacopo, già al lavoro sulla seconda uscita, la riedizione di un EP diffuso solo su CD in un limitatissimo numero di esemplari.

Heinrich Mueller - False Vacuum Vol 2

Heinrich Mueller – False Vacuum Vol 2 (WéMè Records)
A distanza di cinque anni esatti la belga WéMè Records dà alle stampe il secondo capitolo riepilogativo sull’attività da remixer di Gerald Donald, presenza statuaria dell’electro di Detroit. Ultradyne, Cisco Ferreira, Jauzas The Shining & Victoria Lukas, Albert Van Abbe, Duplex, Fasenuova, The Exaltics, l’italiano 6D22 alias Giorgio Luceri: sono solo alcuni degli artisti che l’enigmatico artista ha rimaneggiato nel suo studio-laboratorio, infondendo costantemente una dose di astrazione mista a divagazioni scientifiche. Un compendio essenziale, impreziosito ulteriormente da tre pezzi solcati per la prima volta su vinile, per i supporter di Donald che, è bene ricordarlo, operò insieme al compianto James Stinson dietro le quinte dei Drexciya e che nel corso di un trentennio si è reinventato più volte coniando progetti destinati a marchiare a fondo la storia dell’electro contemporanea (Arpanet, Dopplereffekt, Japanese Telecom, Xor Gate…). Parte della tiratura è su vinile turchese disponibile sul sito dell’etichetta.

Cristalli Liquidi & Deux Control - Rosso Carnale

Cristalli Liquidi & Deux Control – Rosso Carnale (Artifact)
Per il ritorno del progetto Cristalli Liquidi, assente dai radar da circa un triennio, Bottin (intervistato qui) continua a trasformare funambolicamente musiche del passato riadattandole su nuove matrici. Ora tocca a “Fiore Rosso Carnale” di Annie Pascal, scritto da Pasquale Panella e musicato da Enrico Fusco, modificarsi in un pezzo italo disco intriso di malinconia, quella stessa malinconia che contrassegnò gran parte della dance nostrana nel primo lustro degli Ottanta. A svelare la genesi di “Rosso Carnale” è proprio l’autore: «inizialmente il brano mi è stato commissionato da BDC (Bonanni/Del Rio Catalog), una coppia di collezionisti d’arte che volevano realizzare una tiratura di pochissime copie per la loro etichetta Bon Bon per cui avevo già prodotto una cover di “Bambola” di Patty Pravo cantata dai Diva. Mi hanno chiesto di pensare a qualcosa di esclusivo e il brano l’ho proposto io, poi però non siamo riusciti a metterci d’accordo sui dettagli. Io pensavo a un’edizione d’artista, eventualmente anche un pezzo unico, loro invece avrebbero voluto inserire il 45 giri di “Rosso Carnale” in un oggetto da collezione, una scatola in ceramica con dentro altre cose come avevano già fatto con “Bambola”. Insomma, un progetto più articolato di cui la musica di Cristalli Liquidi era, anche giustamente, solo una parte. L’idea mi piaceva però sentivo che stonava un po’ con quello che avevo fatto come Cristalli Liquidi fino a quel momento, così ho preferito ritirare il pezzo e farlo uscire su Artifact. La tiratura è sempre limitata, ma sono duecento copie e non quindici e il prezzo è quello di un disco 12″, alla portata di DJ e appassionati. La grafica è di Lapo Belmestieri (Industrie Discografiche Lacerba). Un po’ mi dispiace di aver rinunciato all’edizione deluxe ma, pur essendo un “gruppo” di nicchia (per non dire peggio), Cristalli Liquidi ha un’identità e un “carattere” che talvolta mi obbligano a delle rinunce. Anni fa, per esempio, ho declinato l’offerta di aprire i concerti di un certo cantante pop perché mi sarei sentito fuori luogo mentre non avrei avuto problemi a fare un DJ set come Bottin nello stesso contesto. Si potrebbe obiettare che Cristalli Liquidi alla fine sono sempre io, ma la verità è che quando faccio cose come Cristalli Liquidi mi sento di lavorare per un progetto che ha una sua autonomia e che, in futuro, potrebbe essere portato avanti anche da qualcun altro».
Ad affiancare Bottin, per l’occasione, è il duo italo francese dei Deux Control ossia Edoardo Cianfanelli alias Rodion e Justine Neulat. «Una volta completata l’Italo Version ho pensato, invece di commissionare un remix, di chiedere ai Deux Control di farne una cover, reinterpretando il brano a modo loro senza usare alcuna delle parti originali, neppure la voce» continua Bottin. «Mi hanno mandato quella che sul disco è indicata come Deux Dub che mi è piaciuta tantissimo perché, al contrario della mia che è molto connotata in stile italo disco, potrebbe essere degli anni Ottanta come pure degli anni 8000. Pur essendo un traccia molto diversa dalla mia, Rodion e Justine hanno mantenuto la velocità (111 bpm) e la tonalità del brano originale. Questo dettaglio mi ha indotto a provare a incollare la mia voce sopra la loro versione, una sorta di duetto posticcio. Poi ci è venuta l’idea di mettere la voce di Justine sopra la main version. Alla fine ci siamo trovati con una canzone in due versioni in cui non importa più quale sia l’originale (che poi è una cover) e quale la copia (la cover della cover). Questo meccanismo di dissimulazione dell’autorialità è la chiave di tutto il progetto Cristalli Liquidi (come ben evidenziato in questo articolo/intervista del 2018 a cura di Jacopo Tomatis, nda), e anche nell’album non sempre è chiaro quali sono i brani originali e quali le cover. Si tratta di un procedimento di mise en abyme anacronistica non poi così diverso da quanto fatto con “Volevi Una Hit” nei confronti degli LCD Soundsystem».
Recentemente il pubblico generalista sta riscoprendo l’italo disco o parte di essa attraverso citazioni più o meno riuscite ma con quasi venticinque anni di ritardo rispetto alla prima ondata che ne recuperò le caratteristiche. Da essere un genere stantio e ancorato a un passato nostalgico da brizzolati revivalisti, l’italo disco così è parzialmente (ri)entrata nel gergo comune, complice anche il retromarketing che contribuisce a mitizzare smodatamente il passato. Ma come reagirebbe Bottin se “Rosso Carnale” diventasse un successo radiofonico e finisse nel calderone del pop? «Ne sarei felice ma non accadrà mai e posso spiegarne anche il perché. Questa riscoperta (che poi è la terza o la quarta) dell’italo disco non è dell’italo disco in quanto tale, è un’idealizzazione dell’italo disco di cui si esasperano certi suoni o certi stilemi, ma il mood è completamente diverso. Per esempio manca del tutto quella malinconia da dancefloor alla Valerie Dore che ho invece cercato di “canalizzare” in “Rosso Carnale”, oppure quell’idea di futuro e di futurità. Non che oggi non si creda nel futuro: siamo tutti convinti, chi più, chi meno, che il mondo non finirà domani, ma abbiamo smesso di pensare che il futuro ci porterà della cose nuove e una vita migliore. Crediamo nel futuro ma non nel progresso. Questa disillusione fa sì che molta musica elettronica di oggi non cerchi più di evocare con i suoni un’allegoria del futuro».
Pubblicato in digitale su Bandcamp a giugno con l’aggiunta di un’acappella esclusiva, “Rosso Carnale” viene solcato pure su 12″ dalla Artifact in un’edizione limitata che, come anticipato sopra, si fermerà alle duecento copie. Che per Cristalli Liquidi sia l’incipit di un secondo album, dopo quello del 2017 su Bordello A Parigi? «Vorrei che il progetto continuasse oltre l’attuale ubriacatura anni Ottanta alla “Stranger Things”» illustra ancora Bottin. «Con questo non voglio dire che “I Ragazzi Del Computer” o “Automan” fossero meglio delle serie Netflix, o che Baltimora e Den Harrow fossero qualitativamente migliori dei The Kolors. Non sono un nostalgico e soprattutto non mi interessano i giudizi di valore. Il prossimo singolo dei Cristalli Liquidi potrebbe però avere un sound molto diverso rispetto a quello di “Rosso Carnale”. Anzi, l’avrà, perché l’ho già completato».

DMX Krew - Still Got It

DMX Krew – Still Got It (Cold Blow)
Il nuovo disco di Edward Upton, l’ennesimo di una discografia infinita e in continua evoluzione, si ispira al funk del folletto di Minneapolis e non certamente a caso è racchiuso in una copertina-parodia del promo di “Let’s Work”. “Still Got It” (affiancata da una versione Dub) elettrifica pezzi tipo “Sexy Dancer” o “Uptown” mettendo insieme vocalità, sinuose bassline, vocoder e ampi virtuosismi alla tastiera con immancabile pitch bend. Sul lato b “Paranoia”, registrato nel 1999 ai tempi di “We Are DMX” su Rephlex, e “Cold Dub”, che tirava il sipario sull’album “Kiss Goodbye” del 2005, inciso solo su CD e destinato al solo mercato nipponico ma che la Cold Blow, come annunciato proprio nelle note in copertina, promette di ristampare presto.

Cybotron – Maintain The Golden Ratio (Tresor)
Anticipato da un single sided messo in vendita presso lo stand Metroplex in occasione del Movement Festival svoltosi durante la scorsa primavera, questo disco segna il ritorno del progetto detroitiano Cybotron. Scritto e prodotto da Juan Atkins, autentico punto cardinale della techno, e Laurens von Oswald, nipote del più noto Moritz, “Maintain”, atteso sulla berlinese Tresor, riparte dal punto in cui tutto ebbe inizio. Come in una seduta medianica, si evocano gli spiriti di “Alleys Of Your Mind”, “Cosmic Cars” e “Clear”: a venire fuori è qualcosa che profuma di passato ma contemporaneamente anche di futuro, quel futuro che un tempo si anelava leggendo romanzi di fantascienza dai quali si levavano utopie di ogni genere. Inchiodato su campiture monocromatiche e atmosfere noir e crepuscolari che un po’ ricordano “Hacker” di Anthony Rother, “Maintain” scandisce metronomicamente il tempo e trascina in un mondo cibernetico, abitato da androidi sullo sfondo di pianeti non appartenenti al nostro sistema solare. “The Golden Ratio”, sul lato b, prende le mosse da una serpentina acida che si avvolge in una nebulosa di lead sincronizzata su ipnotiche frammentazioni ritmiche. L’effetto finale suona meno drammatico se paragonato alla severità del precedente. L’EP1 compreso nel numero di catalogo lascia ipotizzare un seguito e, perché no, anche un album che in qualche modo possa riabilitare il progetto con cui Juan Atkins e Rik Davis predissero il futuro nel 1981.

JP Energy - Mathama EP

JP Energy – Mathama EP (Evasione Digitale)
Dopo aver rimesso in circolazione “Punto G” di Marco Bellini e Skeela ed “Escandalo Total/Sweet Revenge” di Andrea Giuditta, Evasione Digitale, l’etichetta portata avanti da Andrea Dallera e Andrea Dama, prosegue la missione di recupero e valorizzazione della progressive italiana d’antan ma questa volta oltrepassa il confine della ristampa mettendo le grinfie su un EP di inediti prodotti nel 1999. Il cerimoniere è Gianpiero Pacetti alias JP Energy, DJ di lungo corso che aveva anticipato l’uscita del disco un paio di mesi fa attraverso un’intervista pubblicata proprio su queste pagine. «Mathama era un posto sul fiume del mio paese dove andavo a fare il bagno da piccolo, pensare a quei momenti evoca ricordi meravigliosi» spiega Pacetti ricontattato per l’occasione. Tre i pezzi, prodotti con Mario Giardini alias Macro DJ nello studio allestito nel retrobottega del negozio di dischi Mandragora, il cui l’artista lombardo fa collidere urgenze ritmiche lineari e svolazzi melodici, incontrastato trademark della corrente progressive nostrana nata nei primi anni Novanta sulla spinta di alcuni DJ toscani e pian piano diffusasi in tutto il Paese, con conseguente depauperamento creativo e cannibalizzazione pop. Pacetti però è un antidivo per eccellenza e risiede al polo opposto del pop, e questo lo si capisce subito poggiando la puntina su “Iridium”, crocevia di pulsazioni di batteria e atmosfere sospese da spy story avvolte nel cuscino di arpeggi lasciati volteggiare in aria. Simile il contenuto di “Voyage (1999 Mix)”, scandita da un pulsante disegno di basso e un’infiorescenza a corimbo di suoni astrali captati da un universo parallelo. Chiude “Cobalt” in cui fanno capolino frenetici riferimenti electronic body music ma virati sempre in quella chiave melodica che fu la cifra distintiva delle produzioni progressive made in Italy negli anni Novanta.

Dressel Amorosi - Synthporn - Cargo

Dressel Amorosi – Synthporn / Cargo (Four Flies Records)
Come anticipato in Discommenti di giugno in cui si parlava di “Buio In Sala”, riecco in azione il duo Dressel Amorosi con un atteso 7″ contenente due brani. “Synthporn”, sul lato a, sembra uscire da una vecchia pellicola blaxploitation, tra fraseggi funky e atmosfere rilassate frutto di un’ipotetica jam session tra Armando Trovajoli e Lalo Schifrin, “Cargo”, sul retro, gira su un blocco ritmico più marcato ma mantenendo inalterato lo spiccato vibe funkeggiante che, a conti fatti, risulta l’elemento di raccordo dei pezzi dei due musicisti capitolini. Sulla rampa di lancio c’è anche il loro secondo album, “Spectrum”, la cui pubblicazione è attesa per il prossimo 17 novembre.

Sissy - Queen Of Discoteque

Sissy – Queen Of Discoteque (Giorgio Records)
Il mercato delle ristampe ha ormai raggiunto dimensioni ciclopiche: probabilmente il numero delle reissue oltrepasserà presto (o forse è già avvenuto?) quello delle produzioni inedite e ciò lascia riflettere su quanto siano profondamente “retrodipendenti” gli anni che viviamo. In tale contesto si inserisce la barese Giorgio Records partita nel 2019 e diretta da Massimo Portoghese, l’ennesima delle etichette indipendenti che si pone l’obiettivo di riabilitare nomi e musiche sepolti dalla polvere degli anni. Per l’occasione a resuscitare, dopo circa un quarantennio, è “Queen Of Discoteque” di Sissy, un pezzo che risentì dell’influsso freestyle statunitense mischiato a retaggi funk ma scarsamente italo nel senso più stretto del termine e forse per questo commercialmente sfortunato. «La tiratura originale su Eyes contò appena duemila copie, decisamente poche per i tempi» racconta Portoghese. «Il disco non fu supportato da alcun tipo di promozione e probabilmente anche questo giocò a svantaggio della sua riuscita. A cantare il brano fu Patrizia Luraschi, autrice anche del testo e ideatrice del progetto insieme a Pierpaolo Beretta. Per “Queen Of Discoteque” (a differenza di “Coloured Rhymes”, ristampato a inizio 2023 dall’olandese Lusso Records, nda) si affidarono al Maestro Rodolfo Grieco che si occupò della produzione ma nel momento in cui non ci furono più nuove idee da intavolare, il progetto si arenò».
Rimasto nel dimenticatoio per quasi quattro decenni, tolta qualche apparizione in compilation riepilogativa e una manciata di bootleg, “Queen Of Discoteque” ritorna quindi nei negozi di dischi attraverso una ristampa meticolosamente curata in ogni dettaglio, dalla copertina al restauro del master a firma Tommy Cavalieri. «Non è stata un’operazione veloce, ho tampinato il Maestro Grieco per almeno tre anni» spiega ancora Portoghese. «Non potemmo procedere con la licenza perché alcune persone mi anticiparono di pochissimo ma lui, sin da subito, si mostrò scettico e, per mia fortuna, ha preferito aspettare prima di ufficializzare il tutto. Quando capì che non se ne faceva più niente, iniziammo a progettare la ristampa su Giorgio Records. Si è fidato di me e oggi ci vogliamo molto bene, è una bravissima persona. Una peculiarità distintiva dell’operazione è la presenza di due versioni inedite, Unreleased Vocal e Unreleased Instrumental: le ho trovate restaurando il nastro originale. Credo furono tagliate per realizzare il formato 7″».
Contesissimo nel mercato dell’usato, sul quale da anni viaggia a cifre tutt’altro che modiche, “Queen Of Discoteque” si prende dunque la rivincita. «In cantiere ho un’altra produzione del Maestro Grieco alias Rudy Brown (come si firmò ai tempi di Sissy, nda), “She’s Gone Away” di Jimy K, uscita sempre su Eyes nel 1984. Praticamente introvabile, è un cult, scritto insieme a Naimy Hackett, che conto di pubblicare prima di Natale. Seguirà, nel 2024, “You’ll Be In Paradise” di Salentino, con le versioni originali del 1985 a cui si affiancheranno un rework di Franz Scala della Slow Motion Records e un edit dell’amico James Penrose alias Casionova» conclude Portoghese.

(Giosuè Impellizzeri)

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Discommenti (luglio 2023)

Dischi Spranti

Various – Dischi Spranti (Dischi Spranti)
Max Nocco annunciò la nascita della Dischi Spranti attraverso un’intervista pubblicata un anno fa proprio su queste pagine. Per il debutto la neoetichetta salentina, curata dallo stesso Nocco e Marco Erroi, raccoglie otto tracce in un collage multicolore ancorato all’area elettronica. Si parte con Franza e la sua “What Game Are We Playing?” dove la linea di basso si accartoccia e finisce in una spirale di raggi luminosi, e Francesco Fisotti affiancato da Done e la loro “E Mi Chiamerai?”, un ganglio tra funk, boogie e hip hop con liriche in italiano. Con “Shibui” di Queemose giungono echi orientaleggianti incastrati in un comparto ritmico che affonda le radici in umori balearici, “My Ghetto Acid” di Rah Toth And The Brigante’s Orchestra è straniante afrobeat in slow motion da cui filtrano echi jazz mutanti trafitti da lascive lingue acide, “Mamanera” di Populous salda reggae, calypso e moombahton con inserti raggamuffin, “Dhalsim” di Kamaji torna a frugare in riferimenti orientali (forse un rimando al personaggio indiano del capcomiano “Street Fighter”?) spezzettati e srotolati su un tappeto uptempo, “Wonderboy” di Wonderboy pare nascere dalle viscere di “Need You Tonight” degli INXS innescando una cascata di suoni cristallini e agitando romanticismi new wave. In fondo c’è “Ylenia” di Michele Mininni, pronto a portare per mano l’ascoltatore verso aree di cosmo inesplorato, tra leftfieldismi sorridenti in salsa kraut. Un’iniziativa musicocentrica quella della Dischi Spranti, limitata alle 410 copie di cui 20 in versione splatter, 20 marmorizzate e 70 trasparenti, tutte numerate, le restanti invece su tradizionale plastica nera. A impreziosirle ulteriormente è l’arte di Massimo Pasca che ne ha curato la copertina. Un’opera davvero “spranta” dunque, termine derivato dal dialetto salentino che, come chiarito nell’info sheet promozionale, «è qualcosa tra il verace e il grezzo, l’irruento e il veloce, ma soprattutto vera e autentica», e oggi il mondo della musica ha bisogno più che mai di autenticità.

The Exaltics - The 7th Planet

The Exaltics – The 7th Planet (Clone West Coast Series)
L’electro è un genere su cui si è lanciata una pletora di artisti o presunti tali. L’altissima concentrazione produttiva ha prevedibilmente finito con l’appiattire la creatività e banalizzare certe formule diventate ordinarie e vacue quanto l’uso contemporaneo degli aggettivi “iconico” o “visionario”. Tuttavia esistono delle eccezioni come Robert Witschakowski alias The Exaltics che, nell’ultimo quindicennio, ha saputo dare un indirizzo personalizzato all’electro senza imitare o scomodare i geni del passato. La sua è stata un’escalation costante sviluppata attraverso un cospicuo repertorio a cui da una manciata di settimane si è aggiunto un nuovo album, il terzo per l’olandese Clone, dopo “Some Other Place” del 2014 e “II Worlds” del 2019. Le sorgenti ispirative restano le stesse a cui ci ha ormai abituati, passate magistralmente in rassegna in “The 7th Planet”, aperto da un intro (“Landing Process”) e chiuso da un outro (“We Would Do It”) che hanno il chiaro sapore di viaggi interspaziali. All’interno si articola un percorso dominato da geometrismi ritmici, bassi corpulenti e impianti armonici meccanici (“Lets Fly The Gravity Fighter”, “Higher Levels”, “Resurface”, “The Long Goodbye”), incapsulati sotto un’atmosfera severa, rigida, ulteriormente rafforzata dagli interventi vocali di Paris The Black Fu (“Did You See Them” e la meravigliosa “Lif Eono Ther Planets”, cupa e oppressiva ma dall’incontenibile vitalità). Di rilievo pure “They’re Coming From Everywhere” e “We Never Had A Chance” dove i riferimenti al suono acquatico di Drexciya sono evidenti ma, come sostenuto all’inizio, l’intenzione dell’artista tedesco va ben oltre lo scimmiottamento e l’epigonismo. Parte della tiratura è solcata su vinile rosso marmorizzato.

Orlando Voorn - Outerworld

Orlando Voorn – Outerworld (Trust)
Ennesima produzione per il prolifico e instancabile artista dei Paesi Bassi, questa volta al debutto sull’austriaca Trust. Comune denominatore è un’estetica affine alla scuola techno di Detroit che parte da un saliscendi pneumatico (“Shockwave”, per cui è stato realizzato anche un videoclip) dal quale si passa a un carrello elevatore impazzito issato da taglienti blipperie e sequenze mandate in reverse (“Outerworld”) e poi a un ascensore che precipita violentemente negli abissi marini (“Reverse Psychology”) alla ricerca di possibili nuove forme di vita subacquee. Nella nota conclusiva, “Space Trap” – una possibile storpiatura intenzionale e ironica del più canonico Space Trip? – , Voorn si cimenta in una base trap per l’appunto lanciata nelle oscurità spaziali.

Manhattan Project - More Time Delivery - Stay Forever

Manhattan Project – More Time Delivery/Stay Forever (Flashback Records)
Analogamente a quasi tutti i generi musicali, anche l’italo disco annovera artisti nazionalpopolari celebri persino nelle balere, e altri la cui notorietà è invece circoscritta a piccoli nuclei di adepti proprio come nel caso di Manhattan Project, guidato da Riccardo Maggese e passato alla storia con un 12″ del 1986, a cui abbiamo dedicato qui un ampio approfondimento, commercializzato in una copertina in tessuto firmata da Riccardo Naj-Oleari che senza dubbio ha contribuito ad alimentarne il culto. In qualche modo, questo ritorno inizia esattamente lì dove era finita quella timida comparsata di trentasette anni or sono e lo si intuisce subito osservando l’etichetta centrale, parodia di quella della City Record, e ascoltando “More Time Delivery” che porge immediatamente il gancio a “Guinnesmen”. Bassline nervosa, ampie planate di synth lead, un’impronta vocale romantica: gli ingredienti dell’italo più classica ci sono davvero tutti. “Stay Forever”, sul lato b, prosegue nello stesso solco, ma con un pizzico di eurodisco in più. A produrre il mix è il finlandese Kimmo Salo per la sua Flashback Records impegnata ormai da un ventennio sul fronte del recupero dell’italo disco. Degna di menzione anche la copertina con cui il designer Juan Calia cerca apertamente il parallelismo grafico e cromatico con quella di “That’s Impossible/Guinnesmen”, ormai un cimelio per cui i collezionisti più incalliti sono disposti a spendere più di qualche centone.

Jensen Interceptor - The Fontainebleau Plus Remixes

Jensen Interceptor – The Fontainebleau Plus Remixes (Monotone)
Mikey Melas, il fecondo produttore che ha preso l’alias artistico da una vecchia auto sportiva, approda sull’etichetta di Larry McCormick alias Exzakt con un brano, sinora riservato a una compilation giapponese del 2016, che pare essere saltato fuori da un nastro inciso durante il periodo della breakdance e dei ghettoblaster. Dall’ossessivo beat emerge un frammento vocale carpito da un classico hip hop, “It Takes Two” di Rob Base & DJ E-Z Rock, presenza praticamente fissa nelle performance ai campionati DMC a cavallo tra anni Ottanta e primi Novanta. A rendere il tutto più emozionante e brioso sono però i remix dai quali si irradiano nuovi fasci di suoni e ritmi: Exzakt e BFX arroventano la materia sino a renderla incandescente, Salome ne sollecita le torsioni velocizzando l’esecuzione e inserendo nuovi fill di batteria e qualche richiamo hoover, Cisco ‘The Advent’ Ferreira col figlio Zein si divertono a sfibrare un lungo pattern ritmico, e infine DJ Godfather arricchisce il tutto con nuovi elementi melodici. Old school never die.

Scandinavia Bass Dreams

Various – Scandinavia Bass Dreams (Stilleben Records)
Ennesimo various EP per la Stilleben Records, piccola etichetta svedese fondata da Luke Eargoggle alla fine degli anni Novanta e legata a doppio filo all’electro. Ad aprire le danze sono “NoTV” e “The Broadcast” dei Television, neo progetto islandese messo su da Thorgerdur e Kuldaboli e sviluppato attraverso strutture ritmiche convenzionali ridotte all’asso, impianti melodici altrettanto minimalisti guidati dal gusto per il cibernetico e atmosfere spaziali. Sul lato b “Velour” di Br.Beta, dove i protagonismi melodici sono limitati e la malinconia new wave viaggia su binari kraftwerkiani, e infine “Olivedal” di Sir Kenneth Ray, ennesima incursione in un suono rasserenante, placido, pacato, che lascia immaginare androidi con un cuore umano pulsante sotto la pelle in titanio.

Moana Pozzi - Dance Hits

Moana Pozzi – Dance Hits (Mondo Groove)
Era prevedibile che nel flusso interminabile di ristampe finisse anche il nome di Moana Pozzi, coinvolta in alcuni progetti discografici alla fine degli anni Ottanta come descritto qui. A trainare l’EP è “Supermacho”, un brano pubblicato originariamente nel 1989 dalla romana ACV Sound su un picture disc limitato a un centinaio di copie pare mai distribuite e per questo conteso a prezzi piuttosto considerevoli sul mercato dell’usato. A produrlo Paolo Rustichelli intrecciando ciò che restava dell’italo disco con un pulsante impianto ritmico a metà strada tra house music ed eurodisco. È sempre Rustichelli, trincerato dietro il moniker Jay Horus, a comporre “Impulsi Di Sesso” destinato al film (erotico ovviamente) “Diva Futura – L’Avventura Dell’Amore”, e “Let’s Dance”, finito sul lato b del 7″ “L’Ultima Notte”, pure questo sembra mai distribuito ufficialmente. A completare è “Bonita”, un inedito che, come spiega la Mondo Groove nelle note introduttive, era utilizzato dalla Pozzi per le sue esibizioni e in cui la vocalità ammiccante fa il verso alla sensualità di Jane Birkin. Cult o trash? Il confine diventa labile.

Konerytmi - Teoreema EP

Konerytmi – Teoreema EP (Domina Trxxx)
È diventato piuttosto complicato stare dietro a tutte le uscite di Konerytmi, l’ennesimo dei moniker che nel 2020 Kirill Junolainen ha aggiunto al suo già imponente repertorio. Per questo EP su Domina Trxxx l’artista russo trapiantato a Turku, in Finlandia, ripesca a piene mani dall’immenso calderone stilistico che contraddistinse le annate 1998-2002 fatto di continui rimandi retrò (electrofunk, italo disco, new wave, synth pop). Così quando parte “Breikkitanssi” si ha l’impressione di avere a che fare con una sorta di nuova “Space Invaders Are Smoking Grass”, “Teoreema” fruga nei vintagismi ritmici di 808iana memoria con ghirigori melodici, “Avaruusunelma” ha il sapore delle prime prove strumentali targate DMX Krew, “Tikkukaramelli” sterza verso una specie di house chicagoana, scheletrica, essenziale e minimalista. Quasi in contemporanea nei negozi è arrivato pure “Astrodanssi EP” su Electro Music Coalition, con cui l’instancabile Junolainen maneggia ambientalismi aphexiani e incandescenti filamenti acidi, a cui seguirà presto “Tietovirta EP” sulla sopramenzionata Stilleben Records.

PRZ - Synthetic Man

PRZ – Synthetic Man (Clone West Coast Series)
Gal Perez è alla seconda prova su Clone dopo “Wishmaker EP” del 2021. Questo nuovo disco riprende il discorso lasciato in sospeso dal precedente, su una possente formula electro techno drexciyana (“LFO Brain”, “Double Data”). Il lato b, con la title track “Synthetic Man”, parte alla volta di un suono più ruvido che ruota come una trivella producendo schegge acide che schizzano via come scintille durante un impegnativo lavoro di saldatura. A tirare il sipario è “Pulsar” con cui l’autore si lancia ancora a capofitto in soluzioni stinsoniane intersecate a sibilanti riff che accrescono il livello di tensione.

Dana

Dana – Estate (Disco Segreta)
Devota alla riscoperta di tesori nascosti della nostra produzione disco/filo disco/post disco ancorata al segmento temporale ’68-’89, la Disco Segreta sapientemente guidata da Carlo Simula si conferma come una delle “etichette di salvataggio” più attente e meticolose. Per l’occasione rimette in circolazione due pezzi (gli unici del repertorio?) dei Dana, band attiva tra ’77 e ’80 e capitanata dal cantante e musicista sardo Gianni Virdis. “Estate” esce originariamente nel ’77 sulla Tekno Record di Franco Idini in formato 7″, ed è un ridente pezzo disco funky dedicato alla stagione calda e in tal senso la Disco Segreta non avrebbe potuto scegliere momento migliore per rilanciarlo. Il lato b prosegue il discorso con “S’Inghelada” in cui il mood resta il medesimo con inserti vocali in vernacolo sardo con tanto di falsetto tipico della moda musicale di quel periodo influenzata dal successo planetario di “Saturday Night Fever”. Rimasti confinati a una diffusione regionale, come avveniva a tanti 45 giri prodotti da piccole indipendenti, e pare penalizzati da una masterizzazione e stampa non eccelsi, i brani dei Dana tornano quindi a riecheggiare a distanza di quasi mezzo secolo adeguatamente rimasterizzati e solcati su un 12″ colorato da 180 grammi. Appena cento però le copie stampate da Disco Segreta, destinate a trasformarsi a loro volta in memorabilia negli anni a venire.

(Giosuè Impellizzeri)

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Discommenti (giugno 2023)

Autobot-1000

Autobot-1000 – 3 Dimensions Of Space (Inherent Futurism)
Finalmente qualcuno si è preso la briga di solcare questo album pubblicato nel 2001 dall’americana Hoodwink Records solo in formato CD. Si tratta di un disco scritto e arrangiato dal misterioso Douglas Patterson alias Autobot-1000 (forse un mix tra gli Autobot dei Transformers e il T-1000 della saga di Terminator?), influenzato in modo piuttosto evidente dai detroitiani Cybotron (è sufficiente ascoltare “Cosmic Techno” per fugare ogni dubbio) e dall’electrofunk (“Electro”, “Internet”), con ovvie occhiate ai Kraftwerk e Aux 88 (“3D Revolution”, “Access Denied”). Nel percorso non mancano stasi ambientali (“Tears In The Rain”) e ipotetici incontri con forme di vita aliene (“First Contact”). A rimettere in circolazione “3 Dimensions Of Space” in formato 2×12″ è la neonata Inherent Futurism guidata dal danese Morten Kamper il quale, contattato per l’occasione, spiega di aver iniziato a lavorare a questa ristampa ad agosto del 2022, dopo aver contattato James Boggs, proprietario della Hoodwink Records nonché produttore esecutivo dell’album di Autobot-1000: «a quanto ho capito, in principio Boggs aveva l’intenzione di pubblicarlo su vinile ma poi subentrarono problematiche che ne impedirono la realizzazione. L’uscita solo su CD credo lo abbia fatto passare inosservato e francamente non sono neanche sicuro che sia mai stato distribuito in maniera ufficiale, su Discogs sono in pochissimi ad averlo nella propria collezione».
La figura di Patterson è avvolta nel buio fitto: si sa che negli anni Novanta ha lavorato come ingegnere del suono occupandosi, tra le altre cose, di “Bass Magnetic” degli Aux 88. Il fatto che abbia omesso ogni dettaglio biografico per lasciare spazio totale alla musica, parimenti ai Drexciya, ha avvalorato l’ipotesi che provenga da Detroit ma sono solo supposizioni che a oggi non trovano alcuna conferma ufficiale. «Non ho mai parlato con Douglas Patterson, so che è originario della Carolina del Nord ma la sua figura è circondata dal mistero anche per me» prosegue Kamper. «Sono riuscito a portare avanti il progetto grazie a Boggs che detiene i diritti del disco in questione. Ho saputo, da una fonte piuttosto attendibile, che Patterson non produce più musica. Chissà, magari vedere “3 Dimensions Of Space” stampato su vinile per la prima volta potrebbe spronarlo a tornare in studio, mi piacerebbe tantissimo pubblicare ancora la sua musica, vedremo cosa ci riserverà il futuro». Ora l’attenzione è comprensibilmente tutta su “3 Dimensions Of Space” che in questi giorni ha raggiunto finalmente i negozi. «Dopo aver fatto una proposta a Boggs e avergli delineato la mia visione del progetto, ho cercato un distributore. Vista la collaborazione di lunga data, ho avanzato la richiesta alla Clone e Serge Verschuur ha risposto positivamente. A quel punto, potendo contare sul fondamentale sostegno del distributore, ho stipulato un contratto con Boggs. È stato un processo facile, portato avanti grazie a una buona comunicazione. Colgo l’occasione per ringraziare James per aver creduto in me e nel progetto, dimostrando entusiasmo sin dal primo momento. Ho stampato 300 copie di cui 200 nere e 100 di colore verde trasparente. Il team della Matter Of Fact, in Germania, ha svolto un lavoro impeccabile. Adesso non sto nella pelle di sapere come reagirà il pubblico. Laurent Garnier ha dato subito il suo supporto, spero sia di buon auspicio» conclude Kamper.

Teslasonic

Teslasonic – Foundation (MinimalRome)
Questa volta Gianluca Bertasi ha fatto meglio di quanto si potesse credere. Non che nei precedenti dischi non avesse dimostrato di avere stoffa, sia chiaro, ma probabilmente “Foundation” offre la prospettiva giusta per godere al meglio delle sue possibilità espressive e creative. Il capitolino resta fedelmente ancorato all’electro, genere che ormai padroneggia con maestria e competenza tecnica come testimoniano pezzi come “The Machine Age”, “Anti-Gravity Technology” e “Static Electricity” dove la presenza umana è costantemente alternata a interventi di androidi su sfondi sci-fi. Metronomizzando l’apparato ritmico con la cassa in quattro e dotandolo di melodie della Roma imperiale (“Human Galactic Empire”), l’autore finisce in una giungla di robotismi (“Trantor”) ma l’apice lo tocca con “The Frequency” dove le vocoderizzazioni del rapper Donnie Ozone ammiccano in modo chiaro a decani come Afrika Bambaataa, Egyptian Lover o Melle Mel. Il resto lo fanno bassi cyber, scratch e melodie taglienti. Un disco esplosivo come dinamite che riporta in attività MinimalRome dopo qualche anno di silenzio e che viene completato dall’incantevole artwork di Infidel e dall’ineccepibile mastering di Andrea Merlini.

Tengrams

TenGrams – The Defect Of Equality (N.O.I.A. Records)
Registrato tra gennaio e luglio 2022, questo nuovo album dei fratelli Piatto disponibile su Bandcamp attinge (con consapevolezza) dal passato per portare un messaggio nel presente e proiettarlo nel futuro. In evidenza c’è un’ampia gamma di suoni vintage ma gli autori riescono a eludere l’effetto emulativo mettendo sullo stesso binario matrici sonore diverse: da una parte conservano i riferimenti retrò (inclusa l’esperienza N.O.I.A. di cui parliamo qui), dall’altra sfumano i contorni nella modernità giocando sui contrasti. Il loro approccio non risulta mai essere passivo e pezzi come “Beginning Of The End”, “Skeleton In Furs” e “No Escape” lo testimoniano. Diverse le partnership siglate, dall’austriaco Gerhard Potuznik alias G.D. Luxxe per “Work” allo statunitense Scott Ryser degli Units per “People At War” e “Not Like Where I Came From” sino all’italiano Massimo Bastasi, voce e frontman degli Hard Ton, per “Every Time You Are Around”. In alcuni punti sembra di risentire il profumo delle migliori annate electroclash (“Money Before”) con qualche prevedibile (ma piacevole) vampata kraftwerkiana (“Outro”).

Martin Matiske

Martin Matiske – Eternal Reality (Nocta Numerica)
Nel corso del tempo Matiske, ex enfant prodige scoperto da Hell e lanciato nel 2002 su International DeeJay Gigolo quando aveva appena quindici anni, ha affinato tecnica e stile. Oggi il suo suono, più organico e maturo rispetto alle prime esperienze discografiche, si sviluppa su un continuo interscambio tra armonie, melodie e semplificazioni geometriche dei ritmi controbilanciate però da linee di basso ben ponderate. Per l’EP sulla parigina Nocta Numerica la ricetta resta invariata, mantenendo intatto nel contempo un ideale filo connettivo con la produzione donaldiana a cui si è chiaramente ispirato sin dagli esordi (e “Kotodama” ne rappresenta un buon esempio). Insieme ad “Eternal Reality” nei negozi è giunto pure “Dimension Phantasy”, sull’olandese Bordello A Parigi: l’omonimo brano, registrato nel 2008 e pubblicato nel 2012 sulla svedese Stilleben, riappare attraverso due nuovi remix di cui il più convincente è chiamato “Oh Lord!”, che ne rallenta le pulsazioni e lo reinnesta su una base in stile Savage con tanto di sezione vocale inedita a metà strada tra il romantico e il malinconico. L’autore è un francese che ha condiviso con Matiske l’esperienza in Gigolo e che ha dimostrato più volte di avere un debole per l’italo disco, Play Paul.

Rude 66

Rude 66 – Fragmented Living (Pinkman)
Ruud Lekx è tra gli eroi della scena dei Paesi Bassi, ma quella più sotterranea e antitetica al mainstream incensato nei canali generalisti. Nel corso della carriera pluridecennale è passato dai minimalismi acidi a un’electro intagliata dentro scenari gotici toccando poi sponde più melodiche e luminose e qualche deriva più cervellotica di matrice breakcore. Questo Pinkman parte dai ritmi destrutturati di “People Money (Voices In My Head)”, una sorta di break in slow motion incrociato con rintocchi industriali dall’effetto straniante, e poi prosegue sui declivi di una montagna di cocci di vetro (“If You Could Read My Mind”), e su esplosioni filo EBM (“Distance Yourself From Others”, “Maliciously Re-Animated”). Parte della tiratura è abbinata a un secondo disco, in formato 7″, su cui sono incisi altri due brani, “Maliciously Missing” ed “Have You Ever Killed A Man Before?”, a completamento di un quadro dalle tinte fosche, sinistre, a tratti drammatiche che, come recitano le note promozionali, risentono dell’influenza di Meat Beat Manifesto e Coil dei primi anni Novanta.

Adriano Canzian

Adriano Canzian – Aggressiva EP (51Beats)
A venti anni esatti dal debutto discografico (“Macho Boy”, International DeeJay Gigolo Records), Canzian continua imperterrito a costruire trame nervose e irrorare la sua musica con robuste dosi di loopismi ipnotici e marcati. Questo EP per la milanese 51Beats racchiude cinque pezzi perfettamente in linea con lo storico dell’artista di origine veneta, ritmicamente sostenuti e tutti dal piglio abrasivo – “He Wants It” e “Aggressiva” tra i meglio riusciti – con qualche sforamento in territori ravey. Il CD, disponibile in versione autografata su Bandcamp, offre spazio anche a tre bonus track: “Movida 1990” (un presumibile tributo al Movida di Jesolo, locale che l’artista – intervistato qui – frequenta da giovanissimo), “1.2.0” (reinterpretazione di “Los Niños Del Parque” dei Liaisons Dangereuses?) e “The March”: in tutte si ritrova, ben chiaro, il DNA del sound di Canzian, un multistrato di industrial, EBM e techno dall’andatura militaresca.

Manasyt vs Sam Lowry

MANASYt vs Sam Lowry – Untitled (Bunker Records)
Bulgaro trapiantato in Cina, Petar Tassev si diverte a sfidarsi in un incontro contro se stesso visto che è solo lui a celarsi dietro le quinte di MANASYt e Sam Lowry. Ancorato a uno stile in cui confluiscono in egual misura geometrismi ritmici e sequenze armoniche orrorifiche, l’artista interpreta con saggezza i difficili tempi che viviamo, funestati da problematiche di ogni tipo che fanno sembrare la rave age un’epoca lontanissima e soprattutto irripetibile. I nove brani incisi sul disco, quattro da un lato a nome MANASYt e cinque dall’altro come Sam Lowry, privi di titoli, portano per mano in una sorta di Ade, ricorrendo sia a pulsazioni ritmiche che ad arazzi gotici, transitando su ghirigori dissonanti che sembrano davvero pagare il tributo a “Minus” di Robert Hood (B1). Uscito lo scorso autunno, il disco è stato ritirato a causa di un pressaggio non perfetto e sostituito con una nuova tiratura, pare l’ultima per la Bunker Records che terminerebbe la sua corsa in modo definitivo. Val la pena ricordare però che Guy Tavares è già riuscito una volta a resuscitare dalle ceneri la sua creatura, nel 1998, quindi non sorprenderebbe se in futuro ciò avvenisse di nuovo per la gioia degli estimatori e supporter sparsi per il globo.

DJ Hell

DJ Hell – There Is No Planet Earth (Self released)
Downloadabili su Bandcamp, questi due pezzi rispecchiano bene l’estetica del DJ bavarese, tra scheletri ritmici, voci lanciate nel distorsore e una distribuzione equa tra luci e ombre. Il mood di “Planet Earth” divide qualcosa con un remix epocale del tedesco, quello realizzato nel 2002 per “Paranoid Dancer” di Johannes Heil, mentre “We Live We Die”, diffusa già nel 2021 dalla francese Zone, tratteggia il ciclo biologico umano su una base che procede per blocchi che si gonfiano e sgonfiano in una staffetta di filo acidismi.

DresselAmorosi

Dressel Amorosi – Buio In Sala (Four Flies Records)
Partita nel 2018 con “Deathmetha” su Giallo Disco, la collaborazione tra Valerio ‘Heinrich Dressel’ Lombardozzi e Federico Amorosi, ex bassista dei Goblin di Claudio Simonetti, si rinnova attraverso un pezzo pieno di suggestioni che, come recitano le note introduttive, “è la colonna sonora di un film immaginario che si rifà alla tradizione dell’horror italiano degli anni Settanta-Ottanta, un brano perso in un vortice inafferrabile di inquietudine, sogno e avventura”. La versione principale fa tesoro della lezione di John Carpenter e vede crescere la tensione nelle tenebre di una sala cinematografica vuota, forse abbandonata, in un’ambientazione che appartiene a una realtà fuori da tempo e spazio. L’atmosfera viene poi arricchita in due ulteriori rivisitazioni, la Blu, realizzata dal Maestro Fabio Frizzi e il chitarrista Riccardo Rocchi, aggiunge ulteriori sfumature al senso dell’oscurità, mentre dalla Rossa di L.U.C.A. alias Francesco De Bellis (affiancato da Eugenio Bonaccorso e Polysick), emerge una brillante componente ritmica incorniciata da una serie di effettistica singhiozzante che alimenta il pathos. “Buio In Sala”, disponibile solo in formato liquido, preannuncia l’uscita di un 7″ previsto per settembre a cui in seguito si aggiungerà pure un album.

Debonaire

Debonaire – Badass EP (Fdb Recordings)
Gradito ritorno per Claudio Barrella alias Debonaire, italiano trapiantato negli States e tra i principali fautori del Miami Bass. A tenere insieme i quattro pezzi dell’extended play sono infiniti riferimenti old school hip hop, freestyle ed electrofunk incollati a un meticoloso lavoro di sampledelia che spinge l’ascoltatore a un continuo tuffo nel passato. Nel serrato cut-up non mancano gli scratch degni di una riuscita performance al DMC, ulteriore tag audio di un mondo sonico che non è mai tramontato del tutto e per il quale l’autore rivela una passione unica, vigorosa ed esuberante. Si passa dalla vivace “He Is The Master” (nell’impasto si riconosce subito “Boogie Down (Bronx)” di Man Parrish) al reprise di “Badass” dove fa capolino lo sferragliare meccanico di “Trans-Europe Express” dei Kraftwerk in un quadro parecchio chemical beat, da “You Feel Me Now”, un altro cocktail micidiale di rimandi storici da b-boy e ghettoblaster, a “Computer Program” dove il perimetro è segnato dai vocal di “Mean Machine Chant” dei Last Poets intrecciati a robotismi programmati insieme a James McCauley dei Maggotron. Il tutto coronato dallo splendido artwork a firma Julien Dumaine.

(Giosuè Impellizzeri)

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Discommenti (maggio 2023)

Intergalactic Gary

Intergalactic Gary – Industrial Models (Viewlexx)
Per l’etichetta di I-f, gli ultimi anni sono trascorsi sotto il segno del ritrovato legame con le tinte gotiche e industriali che in questo caso vedono come protagonista John Scheffer alias Intergalactic Gary, DJ dalla poderosa preparazione e partner in crime proprio di I-f in act come The Parallax Corporation e The Conservatives che, nei primi anni Duemila, ridisegnarono le traiettorie italo disco in una salsa più scura. Non particolarmente prolifico sotto il profilo compositivo, Scheffer assembla quattro tracce che scrutano nelle tenebre contraddistinte da distorsioni e subitanee variazioni ritmiche. “Industrial Model” è la più appetibile per la pista, il resto si contorce sotto la spinta di pistoni e bracci idraulici che provocano scintille (“The ELKA Experiment”, “Remodel”) sino alla funerea “Elements And Space”. La colonna sonora di uno scenario distopico, con giganteschi poli industriali abbandonati sotto un cielo plumbeo carico di pioggia. Per certi versi, la musica più adatta ai tempi bui che viviamo.

Let's Go Into Space 7

Various – Let’s Go Into Space 7 (Private Records)
Settimo atto per la compilation tematica promossa da Private Records, tra le “etichette di salvataggio” più attive e propositive nell’ultimo decennio circa. Per l’occasione il fondatore/curatore Janis Nowacki mette insieme otto pezzi tratti dall’archivio della cecoslovacca Supraphon: filo conduttore, oltre al genere musicale, tendenzialmente synth disco, è l’ardua reperibilità sul mercato dell’usato. «Materiale che non ha nulla da invidiare all’italo disco in termini di rarità e valore collezionistico» afferma con sicurezza Nowacki, invitando a sincerarsi delle quotazioni su Discogs, fatta eccezione giusto per una manciata di titoli abbordabili a costi irrisori. Da “Digi – Digi” delle Filigrán, una specie di risposta cecoslovacca alle Flirts di Bobby Orlando, a “Jupiter” di Odysseus, da “Módní-Líbezná” di Magda Malá e Allegro a “Kolik Týdnů Ještě Zbývá” e “Báječně Spát” di Kamila Olšaníková & Sirius, da “Hodili Mě Do Vody” dei Maximum Petra Hanniga a “Den Co Den” di Arnošt Pátek per finire su “Diskotango” di Arašid. Una collection di pregio per i collezionisti, con qualche inevitabile deriva kitsch, ma che con molta probabilità è destinata a diventare a sua volta una rarità anche in virtù della tiratura limitata alle 500 copie.

Gina Breeze

Gina Breeze Ft. Ted Rogers – Freak (DJ Hell Queer Rave Retouch 2023) (The DJ Hell Experience)
Originariamente pubblicata nel 2020 sulla Me Me Me (era in “Live For Love”), “Freak” rivive in una versione di Hell che inietta energia nei circuiti ritmici e spinge verso sponde techno EBM con un imprinting abrasivo e graffiante che fa il verso a quello del Fixmer di inizio carriera che proprio Hell supportò dal 1999 in avanti. Un buon punto a vantaggio della DJ britannica di stanza a Manchester, new entry per The DJ Hell Experience, l’etichetta che il noto DJ tedesco ha lanciato pochi anni fa e che sembra aver preso definitivamente il posto dell’indimenticata International DeeJay Gigolo, inattiva ormai dal 2019.

Italcimenti

Italcimenti – Under Construction (Bosconi Records)
Un album che proprio nuovo non è visto che risale al 2005, quando viene pubblicato solo in formato CD. Diciotto anni più tardi ci pensa la fiorentina Bosconi Records a solcare l’LP di Maurizio Dami e Lapo Lombardi per l’occasione nascosti dietro lo pseudonimo Italcimenti, ironica parodia di Italcementi con trasformazione annessa dei due musicisti in operai con tanto di pala e piccone, intenti a prendere la vecchia italo disco e strapazzarla aggiornandola coi suoni dell’electro house che a metà anni Duemila vive il suo momento dorato. Tanti i pezzi racchiusi all’interno, tutti opportunamente rimasterizzati da Niccolò Caldini del suo Tea Room Mastering, da “Trigger Happy”, rigato da melodie cinematografiche, a “Disco Tamarro”, ancorato a un mood squisitamente pfunk, dal sinuoso “Bencio” (in circolazione dal 2004, si veda la raccolta “Pop Fiction” sulla francese Hot Banana di Kiko) a “Bela Lugosi Is Dead”, cover synth technoide del classico dei Bauhaus sino a “Like A Dreamer”, una sorta di take della pietra miliare che Dami realizza nel 1983 come Alexander Robotnick, “Problèmes D’Amour”, di cui parliamo approfonditamente qui. All’appello rispondono pure due inediti, l’Italo Club Mix di “Beyond The Mind” (l’unico che vide luce su 12″ nel 2005), e “Somewhat You Need” che i più attenti però conoscono già visto che su YouTube, dal 2008, c’è un divertente videoclip home made che a oggi conta più di cinquantamila visualizzazioni.

Speakwave

Speakwave – Cartographic Venture (Bordello A Parigi)
L’artista originario di Strasburgo affida alla prolifica Bordello A Parigi questo EP con cui rimaterializza l’alter ego Speakwave. Nel complesso pare una summa delle declinazioni stilistiche che il francese convoglia, da ormai un ventennio a questa parte, nei suoi due progetti, il più noto Dynarec, ricco di influssi e diramazioni drexciyani, e Chris Kalera, attraverso il quale dà sfogo alla passione per l’electro pop in stile Pet Shop Boys, band di cui è accanito fan. Questo lo capiamo subito da “Coming On Monday” con una sezione vocale, da lui stesso interpretata, che suona come chiaro omaggio a Neil Tennant. “Exposition To Revolution” si lancia a capofitto in atmosfere incantate mentre “Cartographic Venture” galleggia su un materasso di nuvole e fioriture melodiche poi sospinte sui declivi stereofonici di un sogno scandito da interventi vocali che un po’ ricordano “Konfektion” di Heckmann ed Henze.

Art P

Art P/Die Synthetische Republik – Genscher Pull ‘N’ Push/Der Böse Osten (The Outer Edge)
La retromania teorizzata da Simon Reynolds nell’omonimo libro del 2011 è ormai diventata parte integrante del nostro presente, basti pensare al retro marketing attraverso il quale un numero crescente di aziende fa leva sul passato e sulla nostalgia per catturare l’attenzione del pubblico. In questo momento storico il passato offre un’idea di certezza che controbilancia con efficacia le tante incognite del presente, tra pandemia, crisi economica, conflitti bellici e preoccupanti cambiamenti climatici. L’ambito discografico, nello specifico, ha registrato un aumento esponenziale delle realtà interamente dedite al recupero di materiale vintage, edito e non, e nel 2022 alla lista si è aggiunta la berlinese The Outer Edge, diretta da DJ Scientist, che per l’occasione torna a riabilitare la musica degli Art P dopo “No Message” dello scorso autunno. Creato a Brema nel 1982 dall’incontro tra Jens-Markus Wegener e Frank Grotelüschen, il progetto resta confinato per ben quarant’anni in nastri di cassette autoprodotte su una pseudo etichetta, la P.A.P., acronimo di Programming Art Productions. Ora è giunto il tempo di una diffusione maggiore e soprattutto non più legata ai confini geografici, difficilmente valicabili ai tempi in assenza di una casa discografica ben organizzata. Sul 12″ finiscono “Genscher Pull ‘N’ Push”, registrato nell’ottobre ’82 e contenente un testo politico rivolto ad Hans-Dietrich Genscher, allora ministro federale degli affari esteri della Germania Ovest, una versione remix di “Polaroid” ritoccata dal citato Scientist e “Der Böse Osten” di Die Synthetische Republik (Wegener e Olav Neander), recuperata da un nastro del 1984. Nelle note introduttive la Outer Edge parla di proto techno ma fondamentalmente si tratta di minimal synth, «un filone apparentemente inesauribile di elettronica do-it-yourself dei primi anni Ottanta, low budget e di norma pubblicata in proprio spesso solo su cassetta, da gruppi che sarebbero diventati i Depeche Mode o i Soft Cell se fossero stati capaci di scrivere una canzone, oppure cloni dei Suicide, DAF e Fad Gadget» come descrive Reynolds nel sopraccitato libro. Vista la presenza di testi in tedesco, appare sensato parlare più di Neue Deutsche Welle che di techno. In un futuro non lontano potremmo forse aspettarci i reissue di Dual Frequency, Eiskalte Engel, Die Hornissen o Partner Eins?

Giano Electronics Vol. 1

Various – Giano Electronics Vol. 1 (Giano Electronics)
Partenza esaltante per la romana Giano Electronics che mette nero su bianco le sue intenzioni con un ricco extended play composto da cinque tracce. T/Error sfodera beat taglienti in “Neuromancer” che incorniciano sussulti electro e graffiate acide, JFrank, con “Premeditatio Malorum”, si cala in cervellotiche poliritmie, Akkaelle batte sull’incudine la materia di “Capacitor Discharge” spappolandola in mille frammenti che volano via come lapilli vulcanici. Poi gli Anywave con “Cphrigyan Acid”, decorata da riccioli di 303 e un metti e togli di elevazioni breaks, e a chiudere “A Few Thoughts Away” di Heinrich Dressel che intaglia con maestria synth music dall’imprinting cinematografico, sospesa in atmosfere tenebrose, a tratti spettrali, sotto le quali si dipana un’algida marzialità meccanica.

Ekman

Ekman – The Strange Vice Of.. Ekman – Part 1/2 (Crème Organization)
Uscirà tra poche settimane questa raccolta di inediti suddivisa in due 12″ che colloca al centro la musica dell’olandese Ekman e riporta in attività l’etichetta di DJ TLR, destandola dal torpore in cui era piombata negli ultimi anni. Facendo leva su un suono che vaga tra electro scarnificata e dark ambient con qualche piacevole deriva acid, Roel Dijcks merita di essere accostato a connazionali come Rude 66, Legowelt, I-f o Ra-X ai quali, probabilmente, si è ispirato per creare la sua musica ma senza correre il rischio di essere liquidato come l’ennesimo dei copycat. La sua visione genera tracce che eludono l’epigonismo, e l’ascolto di alcuni dei pezzi qui radunati come “A Way Home”, “How Deep The Grooves”, “Witching World”, “The Remains Of Zion” e “Devil Birds Of Deimos” depongono pienamente a suo favore.

Obergman

Obergman – Invariant Hyperbola (Infiltrate)
Destinato a una delle sublabel della londinese Constant Sound di James ‘Burnski’ Burnham, questo nuovo EP conferma le doti di Ola Bergman alias Obergman. Partito nel 2001 dalla Skam con un suono fortemente connesso all’IDM britannica più astrattista, lo svedese si è progressivamente avvicinato all’electro di matrice donaldiana che ha messo a punto nell’ultimo decennio attraverso una serrata serie di pubblicazioni su etichette come Abstract Forms, Brokntoys e soprattutto la Stilleben Records di Luke Eargoggle. Qui è alle prese con quattro tracce dalle venature cibernetiche, accomunate sia dalla ciclicità meccanica delle parti, sia dal minimalismo della tavolozza sonora come si evince da “Norma Cluster”, spinta da un disegno di basso robotico. Pad quasi romantici scandiscono “Dragonfly44” mentre “Sterile Neutrino” (forse un’allusione a “Sterilization” e “Myon-Neutrino” di Dopplereffekt?) riproduce lo sferragliare di androidi. Infine la title track, “Invariant Hyperbola”, probabilmente la più riuscita del disco, ideale soundtrack per un viaggio interspaziale che porta sul pianeta Nettuno: dopo aver macinato milioni di chilometri però lo sconcerto nello scoprire che qualcuno ha misteriosamente impiantato lì delle ciclopiche pale eoliche.

Komakino

Komakino – Outface (30 Yrs Jubilee Edition) (Esprit De La Jeunesse)
Nel mare magnum infinito di ripescaggi, remix, cover e reissue finiscono pure i Komakino (i tedeschi Ralph Fritsch, meglio noto come Fridge, e Detlef Hastik) con uno dei brani più noti del loro repertorio che quest’anno taglia il traguardo dei trent’anni. Incluso in “Energy Trance EP” edito nel ’93 dalla Suck Me Plasma di Talla 2XLC, “Outface” polarizza l’attenzione europea due anni più tardi quando viene rimesso in circolazione dalla Maddog in una nuova versione, la Full Size, diventata un classico dell’hard trance e accompagnata da un videoclip che aiuta a guadagnare una platea più ampia e trasversale (da noi lo mette spesso Molella nella prima edizione di “Molly 4 DeeJay”, come descritto qui, e un paio di comparsate le registra persino nel DeeJay Time di Albertino). Anticipato a febbraio dalla reinterpretazione dell’italiano Dusty Kid in battuta spezzata e con un frammento pare carpito da “Technotronic” di The Pro 24’s (poi diventata “Pump Up The Jam” dei Technotronic), il pacchetto messo sul mercato dalla Esprit De La Jeunesse, etichetta del gruppo Systematic capeggiato da Marc Romboy, codificato come Jubilee Edition e accompagnato da un artwork che riadatta quello del menzionato “Energy Trance EP”, conta tre remix: Egbert trapianta senza particolare inventiva frammenti dell’originale in una nuova base ritmica che pecca di anonimato, Robert Babicz plana tra luccicanti riflessi melodici e intrecciature acide, e infine Petar Dundov ondeggia tra paratie armoniche e incantate sequenze di arpeggi che poi precipitano in un gorgo impetuoso. Curiosità: sul vinile è finita la Full Size nonostante titolo e durata in copertina facciano riferimento alla G60 Mix ossia la versione del ’93 che però è stata diffusa in digitale.

(Giosuè Impellizzeri)

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Milano 84 – Monochromatic (Lost Generation Records)

Milano 84 - MonochromaticNel 1984 Milano è già la “Milano Da Bere” nonostante lo spot da cui deriva tale slogan, ideato dal compianto Marco Mignani, risalga all’anno successivo. Un’espressione che, come scrive Filippo Minonzio qui l’8 marzo 2019 «indicava un’idea di vivacità e modernità» […] e tendeva a definire i milanesi «una classe all’avanguardia, di yuppies laboriosi e dinamici, devoti alla competizione e alla scalata sociale». Dopo Tangentopoli della Milano Da Bere non resta più niente ma l’idea della vivacità e modernità rimane indelebile nella memoria di tantissimi, persino in quella di coloro che non l’hanno vissuta in modo diretto ma che, in qualche modo, la considerano una fonte d’ispirazione e alla stregua di prezioso custode delle sensibilità del passato. I Milano 84, ad esempio, non sono né di Milano né tantomeno del 1984, ma optano per uno pseudonimo dietro cui si cela un preciso immaginario che pesca a piene mani proprio da lì.

«Effettivamente non siamo milanesi e nel 1984 eravamo ancora imberbi, ma forse proprio per tale ragione su di noi, romani, la metropoli lombarda ha sempre esercitato un notevole fascino, evocando qualcosa di “altro”» dice Fabio Di Ranno, uno dei componenti del duo. «Milano era la città della musica che mi piaceva, del design, della moda, dello sport (ai tempi tifavo Milan!) e del glamour, insomma, la metropoli intorno alla quale ruotava il mio immaginario, molto più di Roma. Tutto questo, senza volerlo, ha finito per riversarsi in ciò che oggi realizzo, che si tratti di un film, di un videoclip, di una canzone finanche di un podcast. Nel caso specifico di Milano 84, tutti questi input vengono però rielaborati secondo la sensibilità di uomo contemporaneo. Non è la nostalgia a guidare la mia ricerca artistica, tutt’altro. Milano 84 ricorda ma non copia, trasforma gli anni Ottanta in suoni ed immagini piacevoli da fruire oggi e soprattutto guarda avanti». Gli fa eco Fabio Fraschini, l’altra metà del duo: «Il punto di partenza di Milano 84 è stato il pop elettronico degli anni Ottanta quindi Gazebo, Den Harrow, Fred Ventura o Albert One ma anche artisti e band estere come Pet Shop Boys, Bronski Beat, Human League e Madonna. Poi ci siamo avvicinati con stupore alla scena new italo scoprendo delle realtà artistiche notevoli come Killme Alice, Vincenzo Salvia e Listanera. Negli anni Ottanta Milano era la città che ha rappresentato meglio la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova, per questo abbiamo scelto un nome così evocativo che ci riporta alla metropoli che in quegli anni immaginavamo, da adolescenti romani, essere il centro assoluto del mondo».

Milano 84 A
I Milano 84 fotografati da Claudio D’Aloia presso la Contemporary Cluster, galleria d’arte romana, con l’allestimento di Poltronova

I Milano 84 dunque attingono stilisticamente dal passato ma non limitandosi alla mera replica e riproposizione di filoni stilistici già noti. L’impressione è che stiano provando a forare il muro che separa due epoche lontane eoni come gli anni Ottanta e quelli che viviamo, provando a collegarle attraverso una vena dichiaratamente retrofuturepop. «Quando ci chiedono che musica facciamo, solitamente rispondiamo “italopop”, una formula che mescola elementi in apparenza poco solubili» risponde Di Ranno. «Una sorta di bricolage musicale e visivo eclettico e, per quel che riguarda la comunicazione, anche ironico. Un modo per riscoprire e riformulare il passato, lanciarlo nel futuro e vedere l’effetto che fa. Milano 84 è un po’ come una macchina del tempo o una sfera di cristallo, a seconda dello sguardo che si preferisce dare, con cui vorremmo sorprendere piacevolmente attraverso le nostre canzoni. Che poi, in questi anni, finiscano quasi per essere percepite come “rivoluzionarie” o persino “di nicchia” rispetto a quelli che gli spin doctor immaginano essere i gusti di chi fruisce musica, è qualcosa che non dipende strettamente da noi. Certo, ci piacerebbe moltissimo arrivare al grande pubblico in Italia, e di questa vena retrofuturepop, per ora presente nel microcosmo indie elettronico, dovrebbero incominciare ad accorgersene anche le major. Se il dubbio è quello della domanda e dell’offerta, la domanda c’è e noi potremmo essere l’offerta». «Dell’esperienza sonora degli Ottanta ci attrae in particolar modo la radicalizzazione di alcune scelte» prosegue Fraschini. «Ci piace immaginare i produttori dell’epoca come dei bambini che hanno ricevuto un giocattolo nuovo a Natale e che hanno abbandonato tutto il resto per dedicarsi solo a quello. L’uso sfrenato delle batterie elettroniche e dei sintetizzatori li portarono a reinventare il modo di fare musica perciò l’accelerazione tecnologica fu spesso accompagnata da un entusiastico pionierismo».

“Monochromatic”, ormai prossimo all’uscita, raccoglie alcuni brani già assaporati in formato liquido nel recente passato come “Fanatic”, ubicato tra romanticherie italo disco e sgroppate hi-nrg a rafforzare le paratie ritmiche, “Suspiria On TV”, intenso quanto malinconico, e l’emozionale “Play”, con armonie e vocalizzi che rimandano a “Tango” dei Matia Bazar, costruito nel 1983 in buona parte con strumentazioni elettroniche (Alpha Syntauri TM, Yamaha, Oberheim DMX etc). C’è anche “Awesome” interpretata da Killme Alice, una sorta di proiezione moderna di Valerie Dore intrecciata a Kim Wilde ma con un suono meno polveroso e più splendente, saturo di colori e radioso, e due inediti, “Milano, L’Amore”, sorretto da un beat à la Black Strobe nei giorni migliori dell’electroclash, e “Lola”, cover dell’omonimo dei Chrisma poi trasformati in Krisma, con un imprinting che paga il tributo ai Visage e ai Roxy Music. La scrittura è intenzionalmente pop, è chiaro che la vocazione del duo sia fare più di un tool da usare sotto le strobo ed andare oltre il pedestre scimmiottamento di suoni d’antan mitizzati troppo spesso in modo smodato. «”Monochromatic” è il frutto del lavoro di tre anni» afferma a tal proposito Di Ranno, sconfessando subito chiunque possa considerare Milano 84 l’ennesimo esperimento modaiolo nato per cavalcare l’onda del bric-à-brac sonoro legato al cosiddetto “decennio di plastica”. «La pubblicazione dei sei pezzi su 12″ era già stata programmata per l’autunno inoltrato del 2020 ma gli eventi legati alla pandemia ci hanno costretto a rivedere i nostri piani. Prima l’uscita era slittata a gennaio, poi definitivamente a giugno. Nel frattempo, durante le prove in studio, abbiamo ripreso alcuni brani non ancora pubblicati in digitale e lavorato ad un paio di inediti. Da qui l’idea di pubblicare, in bundle col vinile, un CD in tiratura limitata contenente diverse bonus track, remix già usciti ed altri nuovi. È stato un modo per non lasciarsi sopraffare, rimanere in contatto con gli amici ed approfittare dell’attesa forzata per realizzare qualcosa insieme. Alla fine è venuto fuori un corpus di sedici pezzi totali, ci sembra un bel modo per farci conoscere e ringraziare chi, in questi due anni di pubblicazioni solo digitali, ci ha seguiti con entusiasmo sostenendoci. Anche per questo motivo abbiamo tenuto il prezzo dell’accoppiata disco/CD assolutamente accessibile, fissandolo ai 14,85 euro».

Milano 84 B
Un’altra recente foto dei Milano 84

Agendo in un determinato contesto, quello che in gergo si identifica con la sineddoche “anni Ottanta”, i Milano 84 lanciano occhiate profonde a più correnti di quel momento storico e lo fanno con coscienza, determinazione e soprattutto con capacità compositiva che mira ad oltrepassare lo stereotipo e i limiti della musica da ballo odierna. «Volevamo trovare una parola che ben sintetizzasse il nostro approccio musicale e la griglia monocromatica, sia in arte che in grafica, racchiude sfumature, tonalità e gradazioni di uno stesso colore» chiarisce Di Ranno. «Con “Monochromatic” abbiamo fatto lo stesso, declinando in sfumature differenti un certo sound che identifica gli 80s facendolo nostro, manipolando e giocando con l’italo disco, il synth pop e la new wave. Il colore che abbiamo scelto per simboleggiare tutto questo è il rosso, quello che campeggia in copertina. Ad impreziosire il tutto sono gli ospiti, dalla regina dell’italo disco Killme Alice, al secolo Alice Castagnoli, a Vanessa Elly, da Laura Serra ad Eleonora Cardellini sino ad Alice Silvestrini, la cantante che ci accompagnerà negli spettacoli dal vivo, appena sarà possibile riprenderli ovviamente. Poi abbiamo contato sull’apporto di musicisti che ci hanno aiutato con strumenti “veri”, Gianluca Divirgilio degli Arctic Plateau alle chitarre, Luciano Orologi al sax, Isabella Cananà ai cori, il Maestro Fabio Liberatori (già collaboratore di Lucio Dalla e Stadio) che ha impreziosito “The Lie” coi suoi interventi al piano e ai sintetizzatori, ed infine Andy Bartolucci che, su “Lola”, ha suonato una batteria vera sullo stile delle produzioni di Trentemøller. Ad interpretare vocalmente “Lola” invece è stato Eugene, musicista che vanta innumerevoli collaborazioni, da Garbo a Gazebo sino a Luca Urbani». «Un simpatico aneddoto è legato proprio a “Lola”» racconta Fraschini: «disponevamo sia di una parte demo che Eugene aveva reinterpretato alla sua maniera e in un modo stupefacente, sia di un vocoder fatto da me al volo con un microfono da PC, giusto per dare un’idea di ciò che intendevamo realizzare. Dopo una serie di innumerevoli tentativi fatti con mezzi ben più prestigiosi, non siamo riusciti a riottenere quello stesso effetto e, con grande stupore di tutti, abbiamo ripristinato la versione “casalinga” registrata nella mia cucina. Siamo fortunati a disporre di un nostro studio di registrazione in cui realizzare le idee con una certa libertà e senza limitazioni di tempo. Usiamo principalmente strumenti virtuali, una scelta che deriva soprattutto dalla facilità con cui si possono trasferire le sessioni di lavoro da casa allo studio e viceversa. Come qualunque altro produttore di musica elettronica però, siamo appassionati di sintetizzatori e personalmente ne ho posseduti parecchi nel corso degli anni. I risultati sonori raggiunti dalla virtualizzazione di tali macchine, oltre alla praticità prima descritta, ci porta comunque a preferire il loro utilizzo quasi esclusivo».

“Monochromatic” verrà pubblicato a breve dalla Lost Generation Records. Come si legge sull’home page della stessa, «viviamo in un’epoca in cui a livello di imprenditoria musicale indipendente sono saltati quasi tutti gli schemi: i nuovi mezzi di fruizione non hanno fatto altro che portare alla luce decenni di declino culturale in cui la musica è stata percepita sempre e solo come “tappezzeria” o, nella migliore delle ipotesi, come estemporaneo divertimento, qualcosa per cui – dal punto di vista del pubblico – non vale la pena spendere del denaro. D’altra parte, sussiste una visione culturale antica per cui la musica che un tempo si sarebbe definita “leggera” è relegata ad una posizione culturale subalterna nei confronti della musica altrettanto impropriamente definita “colta” ed è quindi immeritevole di sostegno. Avere un bel beat non significa non esprimersi artisticamente. In un certo senso la raison d’être di Lost Generation Records è – nel suo piccolo – ridare alla musica ciò che alla musica è stato tolto». Ci si chiede allora la ragione per cui un certo tipo di musica sia oggetto, praticamente da sempre, di una visione sommaria, superficiale e figlia di radicati pregiudizi. «Milano 84 è un progetto musicale ma anche concettuale, perché fonde diversi spunti di riflessione e suggestioni» sostiene Di Ranno. «Nulla di troppo intellettualistico chiaramente, parliamo pur sempre di pop e il pop, per definizione, non è mai elitario, però quando diventa rivelatore di qualcosa di più profondo sa essere rivoluzionario, ed è proprio questa la sua forza. Quando ciò si verifica, il pop lascia un segno e resiste nel tempo. La produzione musicale di oggi, ma più in generale di contenuti, sembra però temere questo aspetto potente, ed è sempre la stessa. Tutto è veloce, dimenticabile e sostituibile. Ecco, a noi piacerebbe invece essere contemporaneamente il passato e il futuro della musica che amiamo, e vorremmo che restasse traccia dei nostri brani, al di là dello streaming, dei social e di tutto il resto». «La filosofia che sta dietro la Lost Generation Records non può che essere sposata in pieno da Milano 84» prosegue Fraschini. «Il proprietario, Matteo ‘Zar’ Gagliardi, fa dischi che piacciono prima di tutto a lui e questo è un approccio che mi ricorda le esperienze di etichette che hanno fatto la storia della musica come la Mute o la 4AD. Certo, i tempi sono cambiati, ma a maggior ragione porre l’accento sul gusto personale e sulla qualità di quello che si produce per noi rappresenta un valore. Con Gagliardi, che mi contattò qualche anno fa per completare le registrazioni della sua band, Søren, più vicina all’indie rock e new wave nonostante i miei trascorsi metal, ci siamo subito trovati in sintonia. Quando ha deciso di fondare l’etichetta ci è sembrato naturale proporgli Milano 84: la sua dedizione, preparazione ed entusiasmo erano proprio quello che cercavamo».

A distribuire “Monochromatic” invece sarà l’olandese Bordello A Parigi, ormai da un decennio tra i poli maggiormente attrattivi per gli amanti della musica retrò, soprattutto quella di fascinazione italica. Forse un’occasione persa proprio per l’Italia, l’ennesima, ma è bene ricordare che i primi a non credere nella neo italo disco, nata oltre venti anni fa, sono stati paradossalmente proprio gli italiani, poco attenti al proprio bagaglio storico e più attratti dal ciclo infinito delle tendenze temporanee mosse quasi esclusivamente da Paesi esteri. «Sarebbe facile parlare di complesso d’inferiorità o cavarsela con un “nemo propheta in patria” dal retrogusto consolatorio» sostiene Di Ranno. «Del resto ad inventare il termine “italo disco” non furono neanche gli italiani ma i tedeschi, e fu peraltro un’invenzione commerciale: noi facevamo la musica, loro trovarono ad essa un nome per venderla ed oggi gli olandesi la distribuiscono. Questione di pragmatismo. Se è vero che l’italo disco ha fotografato un momento storico ed una particolare lettura delle istanze musicali in atto (synth pop, new romantic, new wave) filtrandole attraverso la sensibilità tutta italiana legata alla melodia, è anche vero che oggi italo e new italo sono considerate ovunque e a tutti gli effetti un genere musicale meno che, forse, proprio in Italia. Probabilmente questo dipende dal fatto che l’italo disco sia musica codificata e molto amata dagli appassionati. Merita rispetto ma rischia di calcificarsi, specialmente se la si lascia in una teca. Bisognerebbe invece cercare di tenerla in vita, anche a costo di stravolgerla. Noi ogni tanto ci proviamo, anche con alcuni esperimenti o collaborazioni più estreme, riteniamo sia giusto farlo. Conoscere la storia dell’italo disco ed amarla ci consente di tentarne con riguardo una nuova definizione e di interpretarla sotto una luce contemporanea. Nulla finisce, tutto si trasforma, anche l’italo disco».

Fabio Di Ranno e Fabio Fraschini in studio

Come prima anticipato, la musica dei Milano 84 sinora è apparsa solo in formati liquidi divisi tra Bandcamp e Spotify. L’uscita di un 12″ abbinato ad un CD però testimonia che c’è ancora voglia di tattilità in un mondo in cui l’inesorabile smaterializzazione pare non avere fine. «Il vinile è un supporto in ascesa anzi, direi che sia l’unico supporto fisico rimasto in piedi dopo il definitivo declino del CD» risponde Fraschini. «Il fascino che esercita ancora sui fan degli anni Ottanta e la particolare resa sonora che lo stesso genere ha su vinile ci ha convinti che fosse la via da percorrere. Con esso contiamo inoltre di stabilire un contatto più “reale” con chi ci segue. Se compri il vinile significa che sei realmente interessato alla nostra proposta e che il tutto non resta confinato ad un like sui social o ad un ascolto, spesso superficiale, in streaming. Per noi questa è una prova molto importante attraverso cui intendiamo costruire una fanbase appassionata ed attenta. Secondo il mio punto di vista, a Spotify spetta il merito di aver legalizzato e regolarizzato la fruizione della musica in streaming. Certo, le royalties sono misere e molte cose andrebbero riviste anche dal punto di vista del diritto d’autore, ma costituisce comunque un passo avanti rispetto allo scampato pericolo di una diffusione gratuita e totalmente fuori controllo».

A circa venti anni di distanza dalla prima fase revivalistica che trovò l’apice nell’electroclash, l’italo disco, il synth pop e un po’ tutto il bagaglio stilistico di quegli anni oggi vive una nuova esposizione commerciale con artisti tipo Purple Disco Machine, The Weeknd ed altri che, forse più per interesse che devozione, ne ricalcano prevedibilmente le orme. L’ennesimo trend stagionale o qualcosa che potrebbe evolversi sulle lunghe distanze? «Per modernizzare qualcosa devi uscire dalla comfort zone e pensare diversamente dagli altri» sostiene Di Ranno. «Progetti musicali come quello di The Weeknd o Purple Disco Machine sono lì a dimostrare che c’è un mondo mainstream (quindi non solo appassionati o nostalgici) in grado di apprezzare proposte che sentiamo concettualmente vicine alla nostra. Ci si chiede piuttosto se altrove le major siano più attente o disposte ad investire di quanto non lo siano qui. Nessuno può dire con assoluta certezza se questo trend durerà ma la magia degli anni Ottanta, per quanto stiano provando a sostituirla con l’immaginario dei Novanta, sembra destinata a reggere ancora. Chi ha detto che gli anni Ottanta sono un decennio mai finito probabilmente ha visto giusto». Grandi interrogativi riguardano anche il post pandemia. Si auspica che tutte le attività possano tornare alla regolarità anche se qualcuno sostiene che il “dopo” non riprenderà lì dove il “prima” è stato interrotto. «I tempi sono innegabilmente difficili, tuttavia noi abbiamo davvero tante novità in cantiere» annuncia Di Ranno. «A nuove canzoni a cui stiamo lavorando si aggiungerà un nuovo orizzonte, quello cinematografico, in cui spingere Milano 84. La nostra proposta ha il vantaggio di avere una forte ed eclettica identità che la rende credibile. Milano 84 è vecchio e nuovo, retrò e contemporaneo, heritage ma non nostalgico, molto romantico ed un pizzico malinconico. C’è poi una cifra più arty ed è quella che ci guida appunto nelle proposte per il cinema e l’audiovisivo. In questo senso la nostra cover di “Lola” dei Chrisma può essere considerata la prima pietra di tale percorso che, in futuro, se ne avremo l’opportunità, svilupperemo ancora di più». «I nuovi brani accoglieranno ospiti che faranno di Milano 84 un progetto ancora più aperto e in grado di reinventare di volta in volta il suo suono» aggiunge Fraschini. «Una delle guest con cui avremmo desiderato collaborare, un vero big degli 80s, ha già dato l’ok con entusiasmo. Per quanto riguarda il futuro, ci piacerebbe fare qualcosa con gli Altar Boy, abbiamo scoperto che sono di Roma e che battono un percorso per certi versi affine al nostro, ma tra i sogni ci sono pure collaborazioni con Alexander Robotnick e Gazebo (in Italia) e Trentemøller e Paul Kalkbrenner (all’estero). Al momento stiamo preparando un live set con Alice Silvestrini in cui cercheremo di interagire il più possibile con le macchine. Suoneremo sintetizzatori, chitarre, un Bass VI (strano incrocio tra una chitarra ed un basso) e drumpad. Miriamo ad un vero live e non a banali playback su basi lanciate da un software». (Giosuè Impellizzeri)

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Various – Ciao Italia, Generazioni Underground (Rebirth)

Ciao Italia, Generazioni Underground

Da qualche tempo a questa parte sul mercato sono piombate varie raccolte riepilogative legate all’italo house, un segmento stilistico nato in Italia a fine anni Ottanta (dopo un biennio di “training”, come raccontiamo qui) in risposta al fermento creativo statunitense e britannico. Una visione autoctona di quello che ai tempi è la house music, contraddistinta da peculiari tratti identificativi oggi imitati ma allora motivo di biasimo e talvolta denigrazione. Grazie a compilation e ristampe quindi, giovani ed adulti ora si ritrovano in un sol colpo a disporre di vaste ed accurate playlist di gemme dimenticate, talvolta persino dalle stesse case discografiche che le commercializzarono. Già, perché non bisogna omettere che davvero tanti dei titoli oggi ambiti, ai tempi della pubblicazione furono invece oggetto di scarsa considerazione e risultati deludenti di vendita che non oltrepassarono qualche migliaio di copie o, in taluni casi, qualche centinaio appena. Ciò chiarisce bene la ragione per cui alcuni mix abbiano visto salire vertiginosamente le quotazioni sul mercato dell’usato. Brutti anatroccoli trasformati in bellissimi cigni insomma, volendo fare un parallelo con la fiaba di Andersen. Analogamente un movimento pressoché nazionale, fatta eccezione per alcuni successi intercontinentali, è inaspettatamente mutato in oggetto di ricerca ed interesse globale. Di conseguenza si è sviluppata una cura diligente ed attenta per quella che fu sprezzantemente definita “spaghetti house”, specie da influenti testate giornalistiche d’oltremanica. Basti pensare ad “Italo House” di Joey Negro (2014) e “Welcome To Paradise” di Young Marco e Christiaan Macdonald (2017), ma anche a pubblicazioni nostrane come “Paradise House (Deep Ambient Dream Paradise Garage House From 90’s) (2018) o “Echoes Of House (Italo House Foundamentals Tracks)” (2019) per avere un’idea su cosa sia diventato quell’enorme calderone musicale a cui adesso si aggiunge “Ciao Italia, Generazioni Underground”.

Ideatore e curatore del progetto atteso su Rebirth è Daniele ‘Shield’ Contrini il quale, contattato per l’occasione, afferma che con molta probabilità, a far scatenare l’interesse per quello che era un fenomeno morto e sepolto, sia stato qualche DJ importante a livello internazionale che ha iniziato a suonare nei propri set alcuni brani dei tempi. «Da qualche tempo a questa parte una certa scuola di DJ, perlopiù inglesi, tedeschi ed olandesi, ha cominciato a proporre generi quasi dimenticati e a fare della ricerca nel passato il proprio cavallo di battaglia» spiega a tal proposito. «Prima è toccato all’italo disco e poi all’italo house o dream house che dir si voglia, avendo la conferma che si tratta di generi capaci di far ballare ancora oggi e che continuano ad essere fonti d’ispirazione. Ad eccezione di qualche piccolo club in cui la musica fa ancora cultura però, in Italia, adesso, se suoni qualcosa che ha più di tre anni sei automaticamente bollato come un DJ di vecchio stampo, incapace di stare al passo coi tempi. Lo stesso approccio all’estero invece è considerato cool e di tendenza. Mi auguro che l’Italia torni presto a creare, a produrre qualcosa di “proprio” e ad avere una personalità per poter ambire a fare scuola, e smetta di inseguire mode e tendenze che arrivano dall’estero».

Daniele 'Shield' Contrini
Un primo piano di Daniele ‘Shield’ Contrini, a capo di Rebirth ed ideatore/curatore del progetto “Ciao Italia, Generazioni Underground”

Il concept alla base di “Ciao Italia, Generazioni Underground” mira dunque a fotografare il momento in cui la scena house del nostro Paese, ma non quella che ha come obiettivo le classifiche di vendita, si scrolla di dosso definitivamente ogni retaggio degli anni Ottanta e si tuffa in qualcosa di sorprendentemente unico dal punto di vista creativo. «È un progetto a cui lavoro da più di un anno ma l’idea iniziale risale a metà 2019» prosegue Contrini. «Era il periodo in cui lanciavo Tempo Dischi, etichetta nata per riscoprire e ristampare classici e gemme rare della scena italo disco, e frugare in vecchi cataloghi mi ha fatto venire l’idea di prendere in considerazione quello stile musicale, spesso identificato con termini tipo dream house, italo house, piano house o, più semplicemente, underground, che ha lasciato il segno e che ancora oggi continua ad essere vivo tra DJ, clubber e cultori di nuove generazioni. Dedicare una raccolta all’Italia inoltre avrebbe fatto sicuramente bene a Rebirth: se da un lato le collaborazioni con artisti affermati e nuovi talenti provenienti da ogni parte del mondo ci assicuravano una prestigiosa internazionalità dall’altro ci avevano, in un certo senso, un po’ allontanato dalla nostra terra e dalle nostre origini. Finalizzare “Ciao Italia, Generazioni Underground” però non è stato facile: al lungo e meticoloso lavoro di ricerca musicale si è aggiunto quello di tipo burocratico, volto a scoprire i proprietari dei diritti dei brani selezionati, alcuni dei quali hanno declinato la richiesta per l’uso degli stessi, seppur in forma non esclusiva. In certi casi purtroppo non sono nemmeno riuscito a risalire agli editori e ciò, lo ammetto, è stato parecchio frustrante. Purtroppo anche sul lato prettamente tecnico sono sorti problemi poiché i produttori o gli editori dei pezzi inclusi non sempre disponevano del master originale. Siamo stati costretti quindi a ricavare l’audio da copie perfette dei 12″ usciti all’epoca. In ogni caso i file sono stati tutti rimasterizzati da me nello studio di Rebirth, ottenendo poi l’approvazione dagli stessi artisti. Degno di menzione anche l’importante lavoro di direzione artistica curato da Stupefacente Studio che ha base a Brescia e che lavora a trecentosessanta gradi tra creatività, design e comunicazione. Senza dimenticare l’apporto del nostro grafico Luca Sanchezlife: l’idea di connettere quel periodo musicale alla figura rielaborata del Ciao, mascotte dei mondiali di calcio del 1990, mi è piaciuta subito e penso sia davvero vincente a livello comunicativo. La raccolta contiene inoltre un inserto editoriale curato dal giornalista Elia Zupelli che ricostruisce l’affresco di un’epoca attraverso le voci dei protagonisti, fotografie e rarità varie. Un contenuto davvero prezioso, unico direi, che fa bene coppia col packaging speciale e particolarmente oneroso».

Il doppio mix conta tredici pezzi quasi tutti risalenti agli anni in cui la piano house si ritrae, ormai inflazionata, per lasciare spazio a forme più deepeggianti, sognanti ed oniriche: da “Desire” di Aural ad “Elements” di Leo Anibaldi, da “Cuando Brilla La Luna” di Morenas a “The Wizard” di Alex Neri, da “Save Me” di Underground Nation Undertour Sensation a “Feel The Rhythm” di Blue Zone, da “Ore: Nove Nove (Open Rmx)” di MBG a “A4 (A Tribute To The Highway)” di Dalì passando per “Music Harmony And Rhythm” di Optik, “Free” di Stonehenge, “Da Lord” di Ralf, “WS Gordon”, un inedito dei Frame (Andrea Benedetti ed Eugenio Vatta, intervistati qui) e la versione di Andrea ‘Cutmaster-G’ Gemolotto dell’eterna “Sueño Latino” che resta l’inno totemico del movimento dream house. «Così come accennavo prima, a malincuore alcuni brani sono rimasti esclusi dalla playlist» prosegue Contrini. «Tra questi “Un Beso No Mata” dei Love Quartet (di cui parliamo qui, nda) e “Don’t Hold Back The Feeling” di U-N-I prodotto da Claudio Coccoluto, entrambi editi dalla Heartbeat (etichetta a cui abbiamo dedicato qui una monografia, nda) i cui diritti sono ora di proprietà della tedesca ZYX che purtroppo ha rifiutato la concessione di licenza. Per ovviare al problema, Claudio mi ha suggerito una traccia che produsse nel 1998 ma stilisticamente era troppo distante dalla linea musicale della raccolta. Un’altra manciata di pezzi, come “Nocturne Seduction” dei Night Communication (Leo Mas ed Andrea Gemolotto, anche questo dal catalogo Heartbeat) ed “Entity” di Mr. Marvin, sarebbero stati perfetti ma erano già stati inseriti in altre raccolte in tempi recenti. Un aneddoto particolare riguarda “Key To Heaven” di Sasha, finito tra i bonus in digitale: dopo aver parlato per mesi con uno degli autori, che mi ha indirizzato all’editore, ho scoperto che il produttore, Biagio Gambardella, è scomparso anni fa senza lasciare traccia. Anche la Irma Records, una delle etichette di riferimento del periodo e che vanta un catalogo letteralmente pieno di gemme, ha preferito non cedere i diritti dei propri brani. Altri nomi come Franco Falsini, Ivan Iacobucci e The True Underground Sound Of Rome (di cui si parla qui, qui e qui, nda) erano nella mia lista ma non siamo riusciti a raggiungere un accordo. Colgo invece l’occasione per ringraziare la disponibilità di tutti gli artisti coinvolti e di label come la DFC del gruppo Expanded Music e la MBG International Records».

Ciao Italia, il contenuto
Il contenuto di “Ciao Italia, Generazioni Underground” visto attraverso le etichette dei dischi originali

La tracklist del 2×12″ attinge musica da etichette-simbolo di quel periodo storico come Creative Label, ACV, le sopraccitate MBG International Records e DFC, Pin Up, Palmares ed American Records (a cui abbiamo dedicato una monografia qui) ma gradite sorprese sono riservate anche al formato digitale (disponibile dal 25 giugno) in cui si rinvengono, tra gli altri, gli inediti di Key Tronics, Don Carlos, Massimo Zennaro, Paramour & Adrian Morrison e dell’enigmatico Sasha a cui prima si faceva cenno. Ci si chiede però la ragione per cui Rebirth abbia optato per il formato liquido anziché fare un secondo doppio mix, innegabilmente preferito dai cultori. «Sarebbe stato bello estendere la raccolta e fare un quadruplo oppure due doppi» risponde a tal proposito Contrini. «Ad essere sincero ad un certo punto mi era venuta l’idea di coinvolgere anche i produttori italiani emergenti della nuova generazione che sono stati ispirati ed influenzati dalla musica elettronica italiana di inizio anni Novanta, ma il processo sarebbe stato ancora più lungo e dispendioso. Penso comunque che la raccolta “Ciao Italia, Generazioni Underground”, per come è stata concepita, porti con sé già tanti spunti ed idee su cui riflettere e poter lavorare. Poi nulla vieta di sviluppare un nuovo progetto in un prossimo futuro».

Un po’ come accade da circa un ventennio a tutti i generi musicali, anche l’italo house è diventata oggetto di un processo di revamping, talvolta finalizzato a somigliare quanto più possibile agli stilemi originari. Lo spirito di imitazione ed emulazione, troppo spesso mascherato da voglia di tributare qualcosa e qualcuno, però forse sta remando contro la creatività che ai tempi alimentava il settore. Se prima si pescava dal passato per proiettare cose nuove nel presente, in primis attraverso il sampling, adesso si ha l’impressione che si fugga nel passato per duplicarlo quanto più fedelmente possibile nella speranza di poterlo rivivere in qualche modo. «Credo sia rimasto ben poco di tutto quello che è stato prodotto nella musica elettronica nell’ultimo ventennio» afferma lapidario Contrini. «È come se il tempo si fosse fermato e la musica venisse (ri)prodotta (ri)pescando e (ri)adattando generi e filoni musicali antecedenti, prima gli anni Settanta, poi gli anni Ottanta e recentemente gli anni Novanta. Oggi esiste un numero abissale di produttori ma a mio avviso la parola “artista” si addice a ben pochi di essi. Certo, anche chi produceva musica house o techno in Italia nei primi anni Novanta non creava tutto da zero ma cercava di avvicinarsi alle atmosfere di Chicago, Detroit o New York però rielaborando e ricostruendo il tutto con un gusto ed un sapore tipico della nostra cultura, facendo leva su robuste linee di basso, melodie accattivanti e sensuali vibrazioni. Non è necessario essere strani o diversi a tutti i costi, l’importante è ripartire tornando a divertirsi in studio e fare ciò che piace di più, senza pressioni o condizionamenti di sorta. In tal contesto “Ciao Italia, Generazioni Underground” non vuole affatto avere una connotazione nostalgica e commemorativa ma piuttosto imprimere uno stimolo per una possibile evoluzione, dare un segnale positivo e cercare di trasmettere quell’atmosfera e senso di empatia e creatività che si respirava trent’anni fa. Magari rivivere ciò per qualche istante può aiutare a fornire una spinta propulsiva per un nuovo corso proiettato nel futuro».

A “Ciao Italia, Generazioni Underground”, che uscirà il prossimo 12 giugno in occasione del Record Store Day, si aggiungerà pure qualche novità su Tempo Dischi che sinora conta quattro pubblicazioni (Steel Mind, Automat, Contact Music e Logic System). «Il prossimo, previsto sempre a giugno, è “Computer Sourire” di Alexander Robotnick (intervistato qui, nda), uno degli artisti italiani più influenti a livello internazionale» annuncia Contrini. «Il disco, licenziato dalla Fuzz Dance e distribuito sempre da Rush Hour, includerà pure la ricercata versione remix, sinora mai ristampata. Analogamente sul fronte Rebirth sono in arrivo uscite di grosso spessore. Il lavoro di ricerca è sempre presente nella mia vita. Ideare progetti, anche lunghi e difficili, e portare avanti nuove sfide discografiche andando controcorrente è tra gli aspetti che mi legano con più passione a questo lavoro e continuano a tenermi vivo» conclude l’instancabile DJ bresciano che neanche la pandemia è riuscito a fermare. (Giosuè Impellizzeri)

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DJ Hell – House Music Box – Past Present No Future (The DJ Hell Experience)

Rivolgere l’attenzione al passato è di gran lunga più rassicurante e semplice di delineare il futuro, specialmente di questi tempi in cui proprio il futuro è stato sostituito da un gigantesco punto interrogativo. Il futuro è fatto di sogni, progetti, idee, intuizioni e colpi di fulmine, cose a cui è arduo pensare adesso ma, pandemia a parte, è bene ricordare che la produzione discografica di matrice house/techno è da anni “ostaggio” della nostalgia, di strumenti destinati all’archiviazione rivalutati a peso d’oro, di espedienti creativi azzerati dalla praticità delle automazioni digitali ma recuperati ai fini di una composizione apparentemente più autentica e viscerale, di suoni che sembravano destinati all’oblio ma che riescono ancora a far palpitare cuori ed animi. Insomma, a conti fatti è un passato di cui si rimpiange un po’ tutto, incluse attitudini e prerogative di chi si dava da fare forse in modo naïf ma senza ricorrere a troppe strategie e fini opportunistici e calcolatori, perseguendo obiettivi che avevano poco da spartire con l’industrializzazione del mondo delle discoteche e la socialnetworkizzazione che ha reso esteticamente tutti simili ma disperdendo gran parte dei contenuti. Se da un lato ci si ripete che bisogna essere più audaci per lasciare il segno del proprio passaggio, dall’altro ci si rende conto che la sfida ormai è riuscire a piacere al maggior numero possibile di persone. Schiavizzate e spesso ubriacate dalle cifre del web, così inebrianti ma allo stesso tempo vacue ed illusorie, le nuove generazioni (ma pure le vecchie, e il disco qui analizzato ne è testimone) preferiscono rintanarsi in ciò che è stato piuttosto che esplorare ciò che sarà. Non era certamente questo il futuro che si sognava negli anni Ottanta e Novanta, quando si pensava al Duemila come porta che avrebbe spalancato il corso di un nuovo mondo e di una nuova esistenza. Certo, non viaggiamo ancora su automobili volanti così come si preannunciava fantasiosamente in alcuni romanzi e per certi versi profetici fumetti sci-fi, ma il turismo spaziale è imminente, le abitazioni si sono domotizzate a sufficienza e le vite informatizzate quanto basta per accorgerci di quanto tempo sia passato e dove siamo arrivati. C’è un prima e un dopo insomma, a livello storico, economico e tecnologico. Ed anche musicale ovviamente. Ma dove è finito il futuro? Qual è l’ultimo pezzo che ci ha fatto veramente sobbalzare dalla sedia? Una volta ci si sforzava il più possibile per incidere brani che potessero dare l’impressione di essere stati scritti nel futuro mentre adesso avviene l’esatto opposto, ci si impegna affinché i contenuti sembrino provenienti dal passato. Di futuro, dunque, se ne sente drammaticamente l’assenza e a rimarcarlo è pure DJ Hell, nato Helmut Josef Geier quasi sessant’anni fa in un piccolo paesino della Baviera e considerato una colonna granitica della club culture teutonica, tornato da pochissimi giorni con un nuovo album, il sesto di una carriera pluri quarantennale.

DJ Hell - Zukunftsmusik
La copertina di “Zukunftsmusik”, l’album di Hell uscito nel 2017, tematicamente in antitesi col nuovo “House Music Box – Past Present No Future”

Se nel 2017 il tedesco aveva premuto il pedale dell’acceleratore pubblicando “Zukunftsmusik” (ossia “Musica Del Futuro”), a tre anni di distanza pigia il freno, innesta la retromarcia e guarda nello specchietto retrovisore. Una delle tracce racchiuse in “Zukunftsmusik” si intitolava “I Want My Future Back” ma di quel futuro tanto desiderato non resta niente. «Nel 2020 il mondo si è rivelato fuori controllo, nessuno è alla guida di esso e tutto è surreale» afferma l’artista raggiunto per l’occasione pochi giorni fa. «Il titolo del mio nuovo album però è già pronto da circa due anni, quindi ben prima che la pandemia colpisse il pianeta e fermasse ciò che ha riempito la maggior parte delle nostre vite. Concerti, discoteche, teatri, cinema, adesso tutto è chiuso e stiamo vivendo un nuovo lockdown. Non mi è permesso viaggiare quindi non posso lavorare, guadagnarmi da vivere, gestire un’etichetta ed occuparmi di musica ed arte. In tantissimi vorrebbero tornare indietro sino a poco prima che tutto si congelasse e rimanesse sospeso. Governo e politica ci deludono e non ci sostengono. La musica elettronica e la club culture in Germania non possono contare su alcuna lobby e non hanno mai avuto supporto da nessuno. Comprendo che chi lavora in discoteca o nei festival rappresenti solo una piccola parte di popolazione ma il numero si allarga sensibilmente se si prende in considerazione anche chi opera nel campo dell’arte, dei teatri e della cinematografia. La situazione che si è delineata in questo 2020 dimostra chiaramente come il vecchio sistema politico non possa più funzionare. Se in futuro nuovi virus come il COVID-19 colpiranno il pianeta, nessuno sarà pronto per fronteggiare l’emergenza. Sono state prese troppe decisioni errate rivelatesi inefficaci. Molta gente ora è confusa e rabbiosa perché ha perso il lavoro e non vede alcuna speranza all’orizzonte. Dovremmo cambiare tutto ed imparare dagli errori commessi in passato».

È proprio nel passato che Hell (ri)trova rifugio. Già, perché sarebbe imperdonabile non ricordare che nella sua intraprendente attività artistica ci sia stato quasi sempre uno spiraglio aperto sullo “ieri”, specialmente dai tempi di “Munich Machine” (Disko B, 1998) e delle prime annate di attività della sua International Deejay Gigolo Records con vistose occhiate all’electro, all’italo disco, al synth pop, all’EBM e alle fasi prodromiche della house music avvenute tra Chicago, Detroit e New York (si pensi, in tal senso, a “True Story Of House Music” di Elbee Bad ed alla compilation “DJF 750 – DJ Freundschaft”, entrambi risalenti al 1999, o alla trilogia “My Definition Of House” che tra 2005 e 2006 raccoglie perle di Phuture, Mike Perras, 33 1/3 Queen, Earth People e Johnny Dangerous). «Sono cresciuto con quella musica e con quella ho imparato a svolgere il lavoro da DJ, come produrre dischi e come gestire una casa discografica» spiega Geier. «La maggior parte della mia vita è connessa proprio alle formule ed idee della prima stagione della nightlife, appartengono al mio DNA. Perché quindi non tornare al punto di partenza ed immergersi nel cuore della scena chicagoana di Lil’ Louis o Ron Hardy, e magari riabbracciare i primordi della techno di Detroit con “Sharevari” (due remix del cult dei A Number Of Names appaiono su International Deejay Gigolo Records nel 2002, nda) e della house music newyorkese di Larry Levan?».

Alla luce di ciò è facile comprendere la ragione per cui “House Music Box – Past Present No Future” sia disseminato di citazioni e riferimenti e contraddistinto da quella semplicità ed elementarità primitiva tipica della house music della prima ora, quando anche la sola programmazione della batteria può fare la differenza, stupire ed indicare nuovi percorsi da seguire come avvenuto ad esempio coi brani seminali degli Z-Factor di Jesse Saunders e Vince Lawrence. Hell però non ha la pretesa di somigliare troppo ai decani della house a stelle e strisce, e non intende nemmeno riciclare le connessioni soul/disco dei Visual o Colonel Abrams. Impasta quegli elementi, è fuor di dubbio, ma lo fa cercando di non perdere mai la propria cifra stilistica che, a conti fatti, è il valore più importante perché racchiude il senso dell’identità. L’itinerario inizia con “Jimi Hendrix”, un persuasivo trip estatico che, nei primi secondi, occhieggia al “Poney Part 1” di Vitalic (International Deejay Gigolo Records, 2001) ma che poi rivela tutt’altro, tirandosi dietro un bagaglio profondamente diverso rispetto ai riferimenti del francese lanciato proprio da Hell, con ombreggiature tetre più paragonabili alla sua “Music For Films” del ’96 svuotate dell’energia elettrizzante e dai ritmi collerici della techno di allora (si veda qui), oltre a staffilate di rullanti sghembi che squarciano le tenebre. Si prosegue con minimalizzazioni ritmiche, brevi gorgheggi acidi – forse un po’ più di TB-303 non avrebbe fatto male in tutto il full length – e l’essenzialità di un messaggio vocale ossessivamente ripetuto insieme ad affermazioni celebrative sul ruolo centrale di Chicago (“HausMusik”), incandescenze percussive à la Ron Trent/Armando Gallop con tanto di tutor vocale (“G.P.S.”), e contrasti tra un luminoso arpeggio a spirale e sinistre ombre sullo sfondo (“Freakshow”, omonimo del DVD edito ancora da International Deejay Gigolo Records nel 2005). È palese che nella prospettiva helliana risiedano pure ricordi recenti rispetto ad un passato più remoto, seppur quest’ultimo resti il fulcro del lavoro e ciò lo dimostra un’altra traccia-tributo, “Electrifying Mojo” dedicata a Charles Johnson, il DJ di Detroit che col suo programma radiofonico Midnight Funk Association ha contribuito a forgiare le personalità e i gusti dei futuri artefici della techno della città dei motori. I layer che si sovrappongono bilanciano incantatori stralci melodici ad una carica ritmica incessante e magnetica. Poi “Out Of Control” scelto come primo singolo, trainato da un video di Stacie Ant e probabilmente tra i pezzi col potenziale maggiore derivato dal ribollire cavernoso delle percussioni, da una velenosa linea funk e dal sapiente utilizzo di più sample incrociati tra cui “Don’t Lose Control” dei Material, 1982, e “Shake Your Body” di Jeanette Thomas, 1987, isolato e ricontestualizzato in modo simile a quanto avvenne nel ’92 in “My Definition Of House Music” con lo stralcio della Space Dance Mix di “Ava” di David Byrne ad opera di Rudy Tambala. “Tonstrom”, la più rilassata e sensuale del disco, è un flessuoso tool che rimanda al Bobby Konders di “The Poem”, anche questo recuperato da International Deejay Gigolo Records nel 2002. Immancabile la cover, questa volta “The Revolution Will Not Be Televised” di Gil Scott-Heron trasformata in “The Revolution Will Televised” inglobando all’interno il mood di “French Kiss” del già citato Lil’ Louis ma irrobustito da suoni più ferrosi e granulosi. Il numero totale di tracce, otto, costituisce un ulteriore legame col classico formato degli album 2×12″ ma esiste pure un disallineamento rispetto al passato dell’artista, l’assenza di co-produttori che sinora hanno sempre affiancato Hell in studio, provocando qualche polemica sulla sua presunta incapacità di maneggiare autonomamente le macchine. «Tutte le tracce sono state scritte, prodotte ed arrangiate da me» chiarisce l’autore. «Tuttavia ci sono molti studi di registrazione e persone coinvolte nella realizzazione di questo album. Alcune parti, ad esempio, sono state registrate, anni fa, ai Trixx Studios di Berlino, mentre il tocco finale lo ho dato con Ken Hayakawa nel suo studio a Vienna, in Austria. Tecnicamente invece, per tenere fede al concept, ho usato solo drum machine e sintetizzatori Roland, prevalentemente analogici, esattamente come avveniva quando house e techno mossero i primi passi».

le copertine di Jonathan Meese
In alto a sinistra la copertina del doppio vinile, a destra quella del CD, in basso, sempre da sinistra, quelle dei primi tre singoli estratti da “House Music Box – Past Present No Future”, “Out Of Control”, “Jimi Hendrix” e “Freakshow”, tutte realizzate da Jonathan Meese

Grande cura ed attenzione, come sempre, è rivolta all’artwork, realizzato per l’occasione da Jonathan Meese, a Berlino, autore di due versioni grafiche differenti, una destinata al doppio vinile (trasparente) ed una al CD. «Meese è tra gli artisti più bravi e potenti qui in Germania» dice Hell a tal proposito. «Amo profondamente la sua arte e i suoi quadri così gli ho chiesto se gli andasse di prendere parte a questo progetto. Le copertine che ha fatto per me (incluse quelle dei primi tre singoli, “Out Of Control”, “Jimi Hendrix” e “Freakshow”, usciti a novembre, nda) sono eccezionali ma la nostra collaborazione non si esaurisce qui. In arrivo c’è un altro album realizzato a quattro mani e che verrà pubblicato dalla Buback di Amburgo». Contrariamente a quanto si potesse immaginare e supporre, “House Music Box – Past Present No Future” non esce su International Deejay Gigolo bensì su una nuova etichetta partita ufficialmente ad inizio 2020 con la soundtrack del film “Yung”, The DJ Hell Experience. «Nuova label, nuova vita, nuove idee, un nuovo mondo» sintetizza l’autore, non sbilanciandosi però sulle ragioni che lo hanno convinto a non pubblicare il disco sulla sua etichetta storica, forte di un catalogo (analizzato in “Gigolography” del 2017) pieno di pezzi diventati segno dei tempi. Ci tiene a far sapere comunque che International Deejay Gigolo continuerà ad essere operativa. «Sarà particolarmente attiva nel 2021» annuncia. «Stiamo lavorando sull’intero catalogo al fine di poter effettuare varie ristampe ed organizzare nuovi party in tutto il mondo, coi nuovi artisti ma anche coi vecchi».

un frame del video di Out Of Control
Un frame tratto dal video di “Out Of Control”

In una video chat con Abe Duque risalente al maggio 2020, Hell accenna anche ad un secondo album già pronto di cui però si sono perse le tracce. «Non posso parlarne perché l’uscita non è stata ancora pianificata e trovo prematuro scendere nei dettagli adesso. L’intero movimento della musica elettronica si è fermato nel 2020, tante cose sono finite irrimediabilmente in stand-by. Le etichette continuano a pubblicare brani e ci sono tanti eventi trasmessi in streaming ma non credo che ciò possa rappresentare il futuro anzi, alla lunga finirà per uccidere l’intero comparto. Purtroppo, a causa di tutte le restrizioni, possiamo solo fermarci e riflettere su ciò che abbiamo fatto negli ultimi trentacinque anni. Tanti club non sopravvivranno e sarà arduo per i DJ andare avanti senza locali in cui lavorare. Dallo scorso febbraio siamo tempestati da informazioni confuse circa il coronavirus e ad essere onesto non sono molto ottimista per il 2021. Trasferirsi in Australia o Finlandia, tra i pochi Paesi che sono riusciti ad arginare la pandemia, potrebbe rappresentare una via d’uscita, ma se l’economia andrà a picco, moltissima altra gente perderà il proprio lavoro. Non ho intenzione di mollare però: continuerò a darmi da fare in più progetti possibili come documentari e la recitazione, oltre a praticare sport ogni giorno» conclude il tedesco. (Giosuè Impellizzeri)

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