Qual è il primo disco che hai acquistato nella tua vita?
Avevo tredici anni, si trattava di un’edizione limitata contenente sei picture disc di Michael Jackson. “Bad” era appena uscito ed io ero un gran fan di quel genio indiscusso.
L’ultimo invece?
Purtroppo è un bel po’ di tempo che non compro dischi. Probabilmente l’ultimo è stato “La Gatta Cenerentola” del grande Roberto De Simone, recuperato in un mercatino. Rappresenta benissimo la Napoli più viscerale e poetica del secolo passato. Adoro le origini artistiche della mia città, ne vado orgoglioso.
Quanti dischi conta la tua collezione?
È difficile quantificare il numero esatto ma credo ci siano almeno duemila pezzi. Impossibile stabilire anche il denaro speso ma non moltissimo poiché un’enormità di dischi mi è stata inviata gratuitamente dalle varie distribuzioni in formato promozionale. Non sono un collezionista tradizionale anzi, non mi ritengo proprio un collezionista. Il collezionista di dischi, per definizione, li colleziona mentre io invece li utilizzo per lavoro e molto spesso più di uno e su più piatti alla volta.
Come è organizzata?
Non è organizzata affatto o meglio, non in modo definitivo ma solo per sommi capi raggruppando autori, etichette e white label, oltre ai miei e quelli delle mie etichette ovviamente. Una sezione è occupata invece da tutti quelli che non riguardano il mondo da DJ e produttore. Da non molto mi sono trasferito a Barcellona e i miei dischi mi hanno raggiunto solo in un secondo momento, attraverso una spedizione aerea. Sinora ho aperto solo la metà delle scatole, è un’operazione lunga che richiede molto tempo e che per motivi di lavoro tendo sempre a posticipare. Conto comunque di procedere al più presto al fine di mettere finalmente un po’ di ordine.
Hai mai seguito particolari procedure per la conservazione?
No, mai. Utilizzo la maggior parte dei dischi per i miei DJ set quindi pulisco quelli selezionati nel momento in cui ne ho bisogno. Ammetto candidamente di non essere la persona più ordinata al mondo e a confermarlo potrebbe essere la mia compagna di vita, costretta a sopportarmi quotidianamente. La regola numero uno comunque è quella di tenerli lontani dall’umidità e da forti fonti di calore. Proprio in queste settimane sto pulendo gran parte dei miei dischi: credevo fosse noioso ed invece mi sono divertito perché ho riscoperto meraviglie ormai dimenticate.
Ti hanno mai rubato un disco?
Per fortuna no. Credo che rubare un disco sia un gesto veramente becero. Mi auguro di non subire mai questo tipo di furto.
Qual è il disco a cui tieni di più?
“Trans-Europe Express” dei Kraftwerk. L’ho sempre avuto di fronte a me nel mio studio, insieme a “Last Night A D.J. Saved My Life” degli Indeep. La ragione è abbastanza intuibile: i Kraftwerk hanno avuto una sensibile influenza sulla mia vita e, di riflesso, sul mio modo di essere DJ e produttore. Averli costantemente davanti agli occhi mi ricorda che quando le cose vengono realizzate con qualità resistono bene al passar del tempo, e questo è esattamente il mio fine nel momento in cui mi chiudo in studio per comporre musica.
Quello che ti sei pentito di aver comprato?
Non mi sono mai pentito di aver acquistato un disco. Al massimo resta un oggetto bello da vedere, con cui si è dato il proprio contributo al settore. Quando si investe in musica non si commettono mai errori.
Quello che cerchi da anni e sul quale non sei ancora riuscito a mettere le mani?
Non essendo un collezionista nel senso più puro del termine, non sono alla ricerca di un titolo in particolare. Quando capita di trovare qualcosa di interessante la compro. Tuttavia mi piacerebbe essere un “ricercatore seriale” ma forse non è ancora giunto il momento.
Quello per cui saresti disposto a spendere una somma importante?
Una copia incellofanata della prima edizione di “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd, un autentico capolavoro.
Quello con la copertina più bella?
Proprio “The Dark Side Of The Moon”.
Che negozi di dischi frequentavi da adolescente e quando hai iniziato la carriera da DJ?
A Napoli, tra gli anni Ottanta e i primi Novanta, c’erano diverse opzioni. Il negozio più famoso era Flying Records, che al tempo stesso era anche distribuzione ed etichetta però, per la tipologia di musica che cercavo, non era il massimo. Esistevano per fortuna realtà molto più piccole che importavano dischi da distributori minori e che spesso mi aiutavano nella ricerca. Ai tempi non era assolutamente facile trovare certa musica, il numero di copie a disposizione era assai limitato (appena un paio o addirittura una sola) e se non conoscevi chi stava dietro al bancone non riuscivi a portare niente a casa, se non gli scarti di altri DJ giunti prima di te.
Quando hai iniziato invece a comprare per corrispondenza?
Ho avuto la grande fortuna di ricevere, dal 1996 al 2006, la maggior parte delle produzioni techno. Tutte le distribuzioni che rientravano nei miei interessi mi spedivano settimanalmente quantità incredibili di dischi al punto da non sentire mai la necessità di acquistare cose extra. Insomma, avevo il problema opposto di chi desiderava avere più novità. Il 90% di quel materiale era composto da white label, prive di copertina e grafica definitiva, cosa che peraltro non mi dispiaceva affatto. Non essere influenzato graficamente da niente mi permetteva di ascoltare musica senza alcun pregiudizio. A tal proposito menzionerei “Listen Without Prejudice” di George Michael, trovo sia il titolo più educativo di sempre.
Ritieni che l’e-commerce abbia ridotto sino ad annullare del tutto il rapporto diretto, per molti fondamentale, tra venditore ed acquirente?
Decisamente sì, ma oggi vale un po’ per tutto. La legge del mercato è “pesce grande mangia pesce piccolo” e in questo caso il ruolo del pesce grande è ricoperto dalle compagnie online che, avendo prezzi di gestione inferiori ed una visibilità globale attraverso il web, non temono competizione. La possibilità di selezionare musica standosene seduti comodamente sul divano di casa fa il resto. Inoltre anche il catalogo degli e-store, praticamente infinito, non lascia scampo a quei negozi che eroicamente scommettono ancora sul contatto diretto col cliente. Nonostante tutto però continuano ad esistere piccole realtà in cui è possibile respirare persino l’odore del vinile una volta varcata la porta d’ingresso. A gestirle è solitamente chi ha dedicato la vita intera alla divulgazione di cultura, perché alla fine di cultura si tratta e non di banali oggetti di ordinario consumo.
Conservi almeno una copia di ogni tuo lavoro discografico, remix inclusi?
Sì, fortunatamente. Hanno un valore affettivo diverso dagli altri dischi in mio possesso.
Nel corso della tua carriera hai varato, sin dalla seconda metà degli anni Novanta, molteplici etichette come Conform, ART, Southsoul, Southsoul Appendix e, ultima in ordine di apparizione, Adagio. Come era il mercato discografico circa vent’anni fa?
Avere delle etichette era essenziale per divulgare la mia visione musicale, senza quelle mi sarei sentito monco. Ognuna di esse ha rappresentato un’idea diversa dalle altre. Ho sempre amato fare delle serie poiché credo fortemente che sia l’unico modo per trasmettere ciò che ho in mente. Al contrario, non ho mai creduto in album né tantomeno nei singoli EP come mezzo migliore per esprimermi. In linea generale è quello che oggi avviene per le serie televisive. Ci si appassiona e si vuole arrivare alla fine. Chi le realizza però ha la possibilità di sviluppare le idee in decine di ore di pellicola anziché in novanta o centoventi minuti come in un film. Per me avviene una cosa analoga nelle serie musicali, dove ogni nuova release aggiunge qualcosa di nuovo alla storia ma nel contempo è “sorella” della precedente, dando così coerenza al racconto. Ai tempi delle mie label il mercato discografico era immensamente più grande rispetto a quello odierno. Si viveva la golden age del vinile, almeno in riferimento al mondo del DJing. Si vendevano decine di migliaia di copie per ogni singola uscita ed era un’attività che si autososteneva e che poteva essere pure molto remunerativa. Attraverso le mie etichette ho avuto la fortuna di raccogliere tante soddisfazioni. L’impatto delle mie produzioni è stato importante nel circuito techno e il lavoro svolto, ormai tanti anni fa, continua a vivere e ad essere ricordato. Vedo continuamente postare sui social, anche per mano di giovanissimi, miei pezzi realizzati anche oltre venti anni addietro. Ciò significa che le nuove generazioni sono andate a “studiare” il passato e ciò fa onore a loro e piacere a me. Questo inoltre dimostra che comporre musica per puro spirito creativo e senza pensare di fare la hit del momento può produrre risultati capaci di resistere più che bene al trascorrere del tempo.
Come mai, tra 2005 e 2006, “congelasti” tutte le tue label? La chiusura del distributore tedesco ELP fu determinante in tale scelta?
Furono diversi fattori a sancire il mio distacco dalla scena musicale col conseguente “congelamento” delle etichette. Sicuramente la chiusura di ELP mi spinse verso quella decisione ma la realtà è che la mia energia, sia creativa che mentale, subì un’importante flessione a causa di episodi, perdite personali e scelte di vita. Il troppo amore per la musica e l’estrema gratitudine nei suoi confronti però non mi hanno permesso di mentire a me stesso e a tutti quelli che amavano ciò che facevo. Per me quella con la musica è stata sempre una relazione estremamente intima. Oggi, a distanza di quasi quindici anni, mi sento molto bene. Sono motivato come non mai e soprattutto mi è molto chiaro ciò che devo fare. La vita ti sorprende sempre, tutto è in divenire e questo mi diverte da morire.
Con Adagio, inaugurata nel 2007, intendevi coprire un segmento stilistico differente rispetto a quello delle altre tue etichette? Quanto era cambiato il mercato del 12″ destinato ai DJ rispetto a dieci anni prima?
Adagio nacque quasi per gioco. Ritiratomi dalla vita da DJ, mi divertivo a fare cose correlate con la techno e così nacque questa serie di uscite. Ai tempi diverse grandi distribuzioni chiusero i battenti, il comparto del vinile era in netta flessione. Nel contempo Beatport la faceva da padrone creando i presupposti per la situazione che viviamo oggi, con un mercato saturo di produzioni con migliaia e migliaia di release che riempiono i server in tutto il mondo. Si è creata una gigantesca bolla in cui non si produce quasi più nulla di materiale ma solo virtuale, “cose” fatte di dati insomma. Si potrebbe fare un paragone col mondo finanziario dove i più imponenti disastri sono stati causati dallo scambio virtuale di denaro infinitamente più grande rispetto a quello reale. Prima o poi però le bolle generate dagli scambi virtuali scoppieranno tutte. Con l’avvento del web inoltre è diventato troppo semplice avviare un’attività imprenditoriale, come ad esempio un’etichetta discografica digitale, slegata dal peso e dalla competenza di decidere se investire denaro per produrre un determinato disco o un CD. Così facendo il mercato si è saturato di mediocrità e i “genitori” di tutto ciò sono proprio le decisioni prese a cuor leggero, in quanto prive di rischio d’investimento, proprio come può essere una release digitale.
Da un tuo post di qualche mese fa si presume che stia pensando di riattivare la ART, riprendendo lì dove avevi interrotto nel 2005, ossia al tredicesimo dei preventivati venti capitoli. È così?
Confermo: ci sono tante cose che bollono in pentola. A partire dalla ripresa della serie personale ART, con l’ART 14/20 e l’intenzione di chiudere il secondo ciclo al ventesimo numero, ART 20/20 per l’appunto. Continuo quella serie perché la visione di oggi è esattamente la stessa dell’epoca ed ho voglia di finire quel discorso rimasto in sospeso. Tutti i numeri, sino al venti, sono già pronti così come lo erano quando decisi di fermare bruscamente l’etichetta. Sarò assolutamente fedele in tutto e per tutto al progetto di partenza. Ma non finisce qui. Da pochi giorni ho mandato al pressing plant i master del Conform 025, a quindici anni di distanza dal precedente. Farà parte di una miniserie di dieci tracce tratte dal catalogo ed editate da artisti che ritengo possano essere presi ad esempio per il loro modo di rapportarsi con la musica e con tutto ciò che le gira attorno, carriera compresa. Conform Re-Touched Series Vol.1 sarà il primo di quattro uscite (per ora), disponibile in vinile e digitale. A curare gli edit saranno Ben Sims, James Ruskin, Mark Broom e Truncate a cui seguiranno The Advent, Sterac, Oscar Mulero, Steve Bicknell, Ken Ishii, Jonas Kopp, Alexander Kowalski, Danilo Vigorito, Deetron, Matrixxman ed altri ancora tra cui Dave Clarke che mi ha confermato la disponibilità ma chiedendomi più tempo perché attualmente impegnato a ricostruire il suo studio. Non è però, come qualcuno potrebbe pensare, un tributo alla musica della mia etichetta, ma piuttosto un tributo agli artisti stessi per i motivi che ho già spiegato qualche riga fa. Oggi abbiamo bisogno più che mai di esempi che ci possano illuminare e non farci risucchiare da quel mostro che è il circo della scena mainstream e dei DJ-influencer. La scelta dei nomi è stata ponderata e la loro pronta risposta, nonostante i miei tanti anni di assenza, mi ha riempito il cuore di gioia.
Nell’ultimo decennio circa è mutata la percezione che il pubblico e una parte di DJ nutre per il disco. Come reazione alla sempre più incisiva e capillare digitalizzazione infatti, il disco ha finito con l’essere totemizzato, rivelando spesso un fanatismo smodato alimentato anche da chi, anagraficamente, non ha nemmeno vissuto l’epoca in cui la musica non poteva che essere incisa su un supporto tattile per essere fruita. Nel contempo per il grande pubblico il disco si è trasformato in un oggetto di puro modernariato, da esporre alla stregua di un simbolo-icona di un mondo che non esiste più. Prevedi che il disco possa resistere, al di là di banali quanto effimere tendenze modaiole? Il DJing del prossimo futuro rappresenterà ancora un bacino di riferimento per esso?
Credo che il supporto in vinile sia molto importante per diverse ragioni ma sicuramente tra queste non rientra la creazione di alcun “totem”. Esistono, seppur molti meno rispetto al passato, DJ che sono davvero in cerca di musica techno da suonare con due Technics SL-1200. Il presente che viviamo purtroppo si basa sull’apparire e anche il vinile non sfugge da questa triste regola. Esisteranno sempre quelli che non sono ciò che dicono di essere, ma la bella notizia è che in circolazione ci sono tanti appassionati, veri. Io penso solo a loro. Gli altri giocano uno sport differente dal mio. Per tale ragione continuerò a rivolgermi a coloro che comprano dischi per amore e non per esibizionismo, quelli che vogliono suonarli per creare qualcosa di unico, che sia davanti a un dancefloor o semplicemente tra le mura domestiche.
Estrai dalla tua collezione/raccolta almeno dieci dischi a cui sei particolarmente legato motivandone le ragioni.
The Subjective – Tremmer / Critical
Un 12″ che mi fu regalato nel 1997 da Cisco Ferreira e Colin McBean, nel loro studio londinese. Un disco che ho praticamente distrutto per quante volte l’abbia suonato.
Jeff Mills – Kat Moda EP
Impossibile non menzionarlo. Ho scelto quello che secondo me è il più rappresentativo della fine degli anni Novanta, un’autentica pietra miliare specialmente in relazione alla A1, “The Bells”. Non lo suono mai per “vincere facile”, non è proprio nelle mie corde, ma perché lo trovo un capolavoro assoluto.
Dire Straits – Brothers In Arms
È un disco che comprò mio fratello quando avevo appena dodici anni. Lo amavo e lo amo tuttora, anche per la sua copertina celeste con quella chitarra protesa verso il cielo. Da lì arriva il riff della celebre “Money For Nothing”. Un LP incredibile e la maniera di suonare la chitarra di Mark Knopfler è unica.
Lucio Dalla – Lucio Dalla
Uno dei dischi che ho ascoltato di più da piccolo. Dalla per me era e resta “il cantautore”. Grazie ai miei cugini Luca ed Ugo, Dalla, De Gregori e Bennato entrarono a far parte della mia vita, quando ero poco più di un bambino. La mia trap era quella. In particolare questo disco lo lego ad una crociera in barca che facemmo tutti insieme. La cornice perfetta di ricordi indimenticabili ed esperienze formative per un quattordicenne.
Cameo – Word Up!
Ricordo ancora il momento in cui andai a comprare il 45 giri da Flying Records. Impazzivo per la voce singolarissima di Larry Blackmon e per il suo modo di vestirsi. Il video che passava su MTV poi era veramente travolgente. Mi capita spesso di riascoltarlo ancora oggi.
Gaetano Parisio – Gaetek EP
Si tratta della prima release marchiata col mio nome anagrafico, visto che sino a quel momento avevo usato solo lo pseudonimo Gaetek, ma anche del primo disco su Conform (contenente quattro tracce, “Mother”, “Minimal Act”, “Maastricht” e “Main Wave”, nda). Insomma, mi stavo presentando per la prima volta col mio nome reale ed un progetto tutto mio che ha segnato una svolta nel percorso della mia carriera.
Daft Punk – The New Wave
“The New Wave” è il disco, preso in licenza per l’Italia dalla UMM, che mi fece conoscere il duo francese nel 1994. Rammento bene la reazione quando lo ascoltai per la prima volta, intuii di avere a che fare con qualcosa di diverso dal solito, sia per suono che qualità, ma avrei afferrato la ragione solo qualche tempo più tardi.
Orbital – In Sides
Un album che ho ascoltato in tantissimi after hour, a casa prima di andare a dormire e in svariate altre occasioni. Negli anni Novanta ammiravo profondamente le produzioni dei fratelli Hartnoll. Questo è un disco super raffinato che troverà sempre spazio nel mio cuore.
Leftfield – Leftism
Un altro LP che entra di diritto in questa lista. L’impatto di “Leftism” sulla scena napoletana fu veramente enorme. Ogni DJ ne possedeva una copia e chi non lo aveva lo cercava. Tutto bellissimo, inclusa la copertina. Masterpiece!
Michael Jackson – Off The Wall
L’album che sancì la prima collaborazione tra Michael Jackson e Quincy Jones. Due mostri sacri all’opera nello stesso studio. L’ho ascoltato e riascoltato centinaia di volte. Per me era come vedere Maradona a vent’anni, solo talento esplosivo. Il resto della storia lo si conosce già.
Pino Daniele – Nero A Metà
Nella mia selezione non poteva mancare colui che ha scandito i ritmi delle giornate quando ero piccolo. Pino Daniele aveva tanto da dire, sia musicalmente che socialmente. Senza ombra di dubbio è stata la massima espressione musicale napoletana ed italiana di quegli anni, unico ed indimenticabile. Ho scelto questo disco in rappresentanza di tutti quelli da lui incisi in quel periodo. Provo profonda gratitudine nei suoi confronti.
(Giosuè Impellizzeri)
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