La discollezione di Nico De Ceglia

Qual è stato il primo disco che hai acquistato nella tua vita?
In realtà sono stati due. Ero solo un bambino ma già affascinato dal mondo della musica. Insieme alla mia migliore amica d’infanzia, decisi di investire la paghetta in due 45 giri, scegliendo tra le hit del periodo. Io optai per l’energia dei Knack con il classico “My Sharona” e “You And Me”, successo pop disco di un gruppo olandese chiamato Spargo, credo l’unico della loro carriera. La mia amica invece scelse “Video Killed The Radio Star” dei Buggles e “I Was Made For Lovin’ You” dei Kiss. Non avevo nemmeno un giradischi quindi usavamo di nascosto quello di suo fratello maggiore quando non era a casa, alzando il volume al massimo e sentendoci adulti e speciali.

L’ultimo invece?
Il nuovo album di Loraine James intitolato “Gentle Confrontation”. È un lavoro molto personale che fonde influenze IDM, glitch, R&B ed elettronica, oltre a intrecciare elementi digitali e acustici.

Quanti dischi conta la tua collezione? Riusciresti a quantificare il denaro speso per essa?
Il numero di dischi della mia collezione è in continua fluttuazione, purtroppo non dovuto a una costante crescita. Nel corso degli anni ho dovuto separarmi da una considerevole quantità di vinili in più di un’occasione, a causa di traslochi in appartamenti dove non potevo portare con me l’intera raccolta. L’ultimo di questi dolorosi addii risale a tre anni fa, quando ho dovuto prendere la difficile decisione di separarmi da oltre cinquecento titoli tra quelli che avevo lasciato a casa di mia madre, a Roma. Ho spedito una quantità ancora maggiore a Londra ma per motivi logistici e di costi sono stato costretto a scremare quei cinquecento. È un po’ che non conto quelli che ho ancora a casa, molti sono ancora imballati in vari cartoni il che rende la quantificazione più complicata. Credo comunque che oscillino tra i duemila e i tremila. Per quanto riguarda i costi, anche in questo caso è difficile stabilirli in modo preciso. Nella collezione ci sono molti titoli che ho ricevuto come promo nel corso degli anni, sia come DJ che giornalista, e molti altri durante il periodo in cui ho lavorato a BBC Radio 1 con Pete Tong.

Dove è collocata e come è organizzata?
Avevo un sistema di catalogazione basato su generi, artisti ed etichette, ma anche quello ha subito le conseguenze dei vari traslochi e si è disfatto nel tempo. Mi sono ripromesso più volte di iniziare a ricostruire un certo ordine ma continuo a rimandare. Attualmente gli acquisti più recenti e i dischi che utilizzo più spesso quando faccio set in vinile sono sistemati in un’apposita libreria in salone, oltre che in flight case pronti per le serate. Quelli a cui accedo meno frequentemente invece sono sparsi tra un’altra libreria, varie scatole sigillate e diverse borse che conservo con cura in un ripostiglio.

Segui particolari procedure per la conservazione?
Purtroppo devo ammettere di non essere particolarmente rigoroso su questo aspetto, e i puristi potrebbero storcere il naso a sentirlo. Tuttavia, allo stesso tempo, posso affermare di aver sempre prestato grande attenzione alla cura dei miei dischi, e negli anni ho puntualmente ricevuto apprezzamenti per le loro condizioni impeccabili. Solo alcuni di quelli che avevo lasciato a casa dei miei, in Italia, hanno subito piccoli danni alle copertine a causa delle variazioni eccessive di temperatura nella stanza in cui erano conservati.

Ti hanno mai rubato un disco?
Una volta è successo che alcuni dischi siano scomparsi da casa mia, e il sospetto ricadde su una persona che era stata ospite qualche tempo prima. Tuttavia il danno più grande me lo causò mio padre che, con buone intenzioni ma ingenuamente, concesse l’accesso ai miei dischi che erano conservati a casa sua, al figlio di un amico che stava iniziando a fare il DJ. Considerando la grande quantità di dischi, secondo lui darne via qualcuno non avrebbe fatto molta differenza. Ho scoperto tutto ciò solo molto tempo dopo quando, cercando alcuni titoli che sembravano svaniti nel nulla, me lo rivelarono. Sono riuscito a recuperare solo alcuni di quei dischi ma purtroppo altri, di cui mi sono ricordato negli anni successivi, sono rimasti irrimediabilmente perduti.

Nico De Ceglia e UR
Nico De Ceglia e un disco marchiato Underground Resistance

C’è un disco a cui tieni di più?
Ci sono diversi titoli che hanno un significato davvero speciale per me. Sono una persona che spesso associa oggetti e momenti a preziose memorie. Tra questi, per esempio, gli album che ho comprato con i primi risparmi appena entrato nell’adolescenza occupano un posto particolare nel mio cuore. Parlo di dischi come “Love” dei Cult e “Black Celebration” dei Depeche Mode, che sono intrisi di ricordi di quel periodo. Lo stesso vale per i primi 12″ di house e rap, quando queste scene stavano emergendo, dischi a cui ho dedicato interi pomeriggi ad allenarmi a metterli a tempo e che hanno un posto speciale nel mio cuore. Poi ci sono tanti altri titoli a cui tengo per motivi personali. La lista sarebbe abbastanza lunga.

Quello che ti sei pentito di aver comprato e che regaleresti volentieri?
Negli anni ho acquistato vari dischi di cui mi sono pentito una volta ascoltati a casa o dopo averli suonati in un club. Al contrario, ovviamente, ci sono stati titoli che avevo inizialmente scartato ma che ho rimpianto dopo averli ascoltati in un club. Nel corso del tempo ho fatto una sorta di pulizia degli errori, almeno per la maggior parte di essi. Qui a Londra, i vari Music & Video Exchange che comprano e vendono dischi, si sono sempre dimostrati estremamente utili, già in tempi pre Discogs.

Quello che cerchi da anni e per il quale saresti disposto a spendere una cifra significativa?
Un titolo che mi è stato alquanto difficile trovare, tanto che alla fine ho dovuto accontentarmi di una copia non ufficiale, è stato quello della colonna sonora del film “Solaris” composta da Cliff Martinez. Fu pubblicata in un numero molto limitato e per anni non ci sono state ristampe o altre edizioni. Un album che invece ho sempre desiderato e per cui sarei disposto a sborsare una cifra importante ma ragionevole, visto che alla fine copie in giro se ne trovano, è il leggendario “The Black Album” di Prince nella sua versione originale, considerando che nel corso degli anni sono state diffuse diverse copie non ufficiali. Poi ci sono alcuni lavori di Moodymann e Aphex Twin, il trittico colorato “Z Record” su Underground Resistance e alcune rare stampe dei Coil e Can, tutti titoli per cui sarei disposto a spendere cifre più alte.

Quello con la copertina più bella?
Ci sono davvero molte copertine che meriterebbero di essere menzionate. Dall’estetica sempre curata di Björk e Pet Shop Boys al minimalismo dei Depeche Mode di “Violator”, dall’impatto industriale dei primi Nine Inch Nails, Front 242, Nitzer Ebb fino a quelle che hanno segnato nuove scene come nel caso dei primi Massive Attack, Nirvana, New Order o Aphex Twin e l’intera produzione della Warp Records in generale. O ancora copertine iconiche come quella di “I Get Wet” di Andrew W.K. o quelle dominate dalla palette rosso, bianco e nero dei White Stripes. Una copertina che mi viene in mente per la sua immagine unica è quella del promo del singolo “Before” dei sopraccitati Pet Shop Boys. Raffigura il primo piano di una parte intima (lascio a voi il piacere di scoprire di quale si tratti) nelle varianti blu, rosa e bianco e nero. Quando uscì era un promo molto ricercato, tanto per la sua audacia quanto per l’esclusività.

Che negozi di dischi frequentavi da ragazzino e adolescente?
Da bambino, quando vivevo a Napoli, ho iniziato a esplorare i negozi di dischi praticamente da subito. Ricordo di aver costretto mia madre a fare una sosta fissa in un negozio che, se la memoria non mi inganna, si chiamava Top Music ed era uno dei punti di riferimento per i dischi nel quartiere Vomero, dove vivevamo. Nel frattempo mi perdevo tra gli scaffali pieni di vinili, affascinato dall’atmosfera e dalle copertine, anche se ovviamente a quell’età non conoscevo né gli artisti né altro. All’epoca, come ho accennato prima, non avevo nemmeno un giradischi a casa, era solo pura attrazione e passione. Quando ci siamo trasferiti vicino Roma, da adolescente, i miei punti di riferimento divennero i negozi storici della Capitale come Disfunzioni Musicali, il paradiso per gli acquisti alternativi e gli import, un vero tempio dove trovavi i titoli più oscuri, e per quanto riguarda la dance, posti come Goody Music di Claudio Donato, che è ancora in attività, ed altri come Re-Mix e Mix Up. Facevo anche ordini per corrispondenza dai pilastri della scena dance italiana, Disco Più di Rimini e Disco Inn di Modena. Ogni singolo negozio di dischi per me era un tempio magico, e anche quello di quartiere meno fornito diventava una tappa obbligata. Il semplice tocco delle pile di vinili e lo sfogliare con le mani tra i vari titoli mi trasportavano in una dimensione unica. Quando poi ho iniziato a frequentare i negozi specializzati in musica dance, si è aperta un’ulteriore dimensione. Trovarmi tra persone appassionate come me per questo nuovo e unico fenomeno, che il mondo esterno non aveva ancora scoperto e guardava con leggerezza e sospetto, fu un’esperienza straordinaria. Ci sentivamo unici, speciali. Sapere che in certi giorni e orari specifici dovevi visitare un negozio per beccare quelle rare chicche che arrivavano in pochissime copie prima dell’uscita ufficiale, ascoltare i consigli di chi lavorava nel negozio e conosceva i tuoi gusti. trovare una postazione libera, mettere su le cuffie, posare la puntina sul vinile e lasciarsi trasportare dalla musica… non saprei davvero dove fermarmi nel descrivere l’unicità e l’immensa magia di quegli anni.

Cosa ricordi relativamente all’avvento della house e della techno in Italia? Era complesso approvvigionarsi di nuovi titoli? Che “filtro” usavi per orientarti nel mare magnum di pubblicazioni settimanali? Seguivi, ad esempio, programmi radiofonici specializzati, leggevi riviste o ti affidavi semplicemente ai suggerimenti dei negozianti stessi?
Magia. Furono anni di pura magia e scoperta. La house e la techno, così come il rap, hanno rappresentato su vari aspetti le ultime grandi rivoluzioni musicali. Da allora non ci sono stati generi altrettanto rivoluzionari ma solo derivazioni e surrogati. Posso considerarmi incredibilmente fortunato ad aver vissuto in quel periodo. I miei primi approcci a questo movimento erano legati a programmi radio, sia nazionali che locali, che andavano in onda principalmente nei fine settimana e durante la notte, ma anche nel pomeriggio dopo la scuola. Da Italia Network ai mixati di Dimensione Suono, dal DeeJay Time ai programmi pomeridiani di Centro Suono che era un punto di riferimento per noi di Roma e dintorni, passando per gli eccezionali anni di Planet Rock e Suoni e Ultrasuoni: ero un avido ascoltatore di tutti questi programmi. Li registravo diligentemente su varie cassette e poi li editavo sulla doppia piastra, creando una forma primordiale di remix e di edit. Le riviste specializzate che arrivarono poi rappresentarono un’altra preziosa risorsa. Dalle inglesi Mixmag e DJ, quando riuscivo a recuperare delle copie, alle italiane come Discotec, Rumore e DiscoiD, ogni opportunità di scoprire e leggere su nuovi artisti, club e dischi non veniva mai persa. C’erano nomi di cui mi fidavo e che seguivo più ciecamente di altri. Tutto il team serale di Radio 2, quello legato a Planet Rock e ai successivi show, era ovviamente una garanzia, esperti unici nei vari generi, e DJ nostrani come Massimino, Ralf, Claudio Coccoluto e Luca Colombo, solo per citarne alcuni, erano delle vere guide di cui leggevo ogni classifica e recensione. Ricordo che Massimino e Claudio Coccoluto, per esempio, mi fecero scoprire alcuni di quei dischi house che sono rimasti tra i miei preferiti di sempre, come “Tonite” dei Those Guys. Non era poi così difficile trovare copie in giro una volta che arrivavano le versioni importate o venivano licenziati da etichette italiane, la vera sfida era accaparrarsi i leggendari promo.

Stop The Racism (16 febbraio 1991)
Il flyer di “Stop The Racism!”, il rave che si tiene a febbraio del 1991 e che segna la prima apparizione live in Italia di Adamski

Negli anni Novanta la scena della musica dance cambia nel profondo, sia nel comparto discografico che sotto il profilo organizzativo nei locali. A Roma prende piede un format importato dal Regno Unito, quello dei rave. Come hai dichiarato pubblicamente qualche tempo fa, il primo a cui partecipi è “Stop The Racism!”, svoltosi il 16 febbraio 1991 a Monterotondo. Cosa ricordi di quell’evento?
Sono trascorsi più di trent’anni ma come potrei dimenticarlo? Forse non ne ricordo tutti i dettagli ma indelebili sono l’emozione, l’eccitazione e l’energia di essere lì, di vedere esibirsi dal vivo artisti come Adamski e Digital Boy, di cui avevo sempre sentito parlare e visto nei video, e poi sentire le prime note di “Killer” (di cui parliamo qui, nda) e urlare all’unisono col resto della folla entrando in una sorta di trance. Erano tutte esperienze nuove non solo per noi, ma per la maggior parte delle persone presenti. Sentirsi parte di qualcosa di così grande, capire che fosse la nascita di un movimento ed essere al corrente che la maggioranza dei tuoi coetanei nemmeno sapeva dell’esistenza di tutto ciò è stato incredibile. Vissi quell’esperienza insieme al mio migliore amico, appena patentato come me. Prendemmo la macchina di suo padre e ci avventurammo verso il luogo del rave, che distava un bel po’ dalla zona in cui abitavamo. La mattina dopo, quando era ora di tornare a casa, ci perdemmo irrimediabilmente nelle strade della provincia romana. Non esistevano strumenti come Google Maps o navigatori e nemmeno telefoni cellulari per avvisare casa. Dopo ore di guida senza meta, chiamammo da una cabina telefonica trovando i nostri genitori estremamente preoccupati che si erano già contattati diverse volte cercando di capire cosa fare. Loro non sapevano nemmeno dove fossimo andati e anche se glielo avessimo detto, non avrebbero capito. Facile immaginare la situazione. Qualche anno dopo, con altri amici, abbiamo guidato fino a Monaco e ritorno per un Tribal Gathering nell’ex aeroporto. In quel caso i genitori non furono nemmeno informati del viaggio. I tempi erano profondamente diversi da oggi e le avventure irresponsabili costituivano una parte integrante dell’esperienza stessa.

DMM luglio 1995
Un articolo apparso sulla rivista DMM – Dance Music Magazine a luglio 1995 dedicato a Frankie Knuckles e Franco Moiraghi. A firmarlo sono Nico De Ceglia e Marco Malinverno

Nel ’92 inizi a scrivere di musica per la rivista DMM – Dance Music Magazine diretta da Carlo De Blasio. Come organizzavi il lavoro editoriale in epoca pre internettiana?
Fu la mia prima esperienza come giornalista. Era una storia completamente nuova per me, ma così come avevo fatto con la mia prima trasmissione radiofonica qualche anno prima, decisi di lanciarmi e li contattai per chiedere di collaborare. Ricordo di aver ricevuto una copia del primo numero della rivista al SIB di Rimini e, una volta tornato a Roma, pieno di entusiasmo, mi proposi a Carlo per scrivere. Mi chiesero subito di realizzare un profilo di Radio Dimensione Suono per il numero successivo, se non erro il secondo o forse il terzo. Non avevo mai fatto nulla del genere in precedenza, ero del tutto inesperto, e non sapevo nemmeno cosa volesse indicare il numero di “cartelle” da inviare. Per evitare di far trasparire la mia impreparazione, chiamai quelli di Planet Rock. In onda c’era il leggendario Luca De Gennaro, credo con Gennaro Iannuccilli e non ricordo chi altro. Lasciai un messaggio, sicuro che dalla loro vasta esperienza mi avrebbero aiutato. Spiegai che, durante le mie ricerche da studente universitario, mi ero imbattuto nel termine “cartella giornalistica” e chiesi di spiegarmi cosa significasse quel formato. Mi risposero in onda poco dopo, e da lì ho iniziato a scrivere il mio primo articolo. A essere a conoscenza di questo simpatico aneddoto erano solo i miei, non l’ho mai rivelato ad altri prima di questa intervista. Inizialmente facevo tutto in modo molto artigianale, prendendo appunti con penna e block notes, cercando di scrivere il più possibile. Poi tornavo subito a casa per trascrivere tutto al fine di evitare di dimenticare dettagli importanti. In seguito ho acquistato un registratore portatile che ha reso la mia vita più facile. La trascrizione degli articoli era ovviamente fatta a mano, prima con carta e penna, successivamente con una macchina da scrivere. Infine inviavo tutto in redazione tramite fax. Era il metodo di quegli anni, molto più complicato rispetto ai giorni nostri, ma in quell’epoca non si vedevano pro o contro, era semplicemente la modalità che tutti seguivano.

Nel 1995 ti trasferisci a Londra: quali ragioni ti convincono a lasciare l’Italia per emigrare oltremanica?
Londra in quegli anni rappresentava l’epicentro non solo della scena musicale ma anche delle nuove tendenze in moda, arte, società e molto altro. Come tanti, seguivo costantemente tutto ciò che accadeva in questa città attraverso le varie riviste, assorbendo ogni ispirazione e rimanendo affascinato da ogni aspetto. Ho trascorso circa due mesi nella Capitale britannica durante un’estate con un amico, e decisi subito che l’anno successivo mi sarei trasferito lì, nonostante fossi già impegnato con gli studi universitari a Roma. Londra aveva un fascino unico e il richiamo era irresistibile. Quando mi sono trasferito, la città non ha deluso le mie aspettative anzi, è stata ancora più intrigante e coinvolgente di quanto avessi immaginato. Purtroppo, non posso dire la stessa cosa della Londra di oggi. Nel corso degli anni, molte delle caratteristiche che rendevano la città unica sono state erose o cancellate, inclusi il tessuto della nightlife e della scena musicale che ora appaiono notevolmente ridotti.

Come racconti in un’intervista di Luca Schiavoni pubblicata da DJ Mag Italia il 20 maggio del 2012, nella Capitale britannica diventi un referente del negozio riminese Disco Più: «mi affidarono il compito di “scavare” tra i promo per procurare le esclusive che si trovavano solo a Londra. Dovevi avere buoni amici nei negozi di dischi che te li conservavano sotto banco». Come ricordi quei tempi vissuti da “promo hunter”?
Incontrai Gianni Zuffa, il proprietario di Disco Più, diverse volte al SIB di Rimini. Quando decisi di trasferirmi a Londra, nacque l’idea di agire come procacciatore di dischi promozionali, sfruttando sia i contatti che loro avevano già, sia cercandone di nuovi. Noi italiani eravamo tra i più ossessionati dalla ricerca di titoli inediti e rari, alcuni dei quali nel corso degli anni sono diventati veri e propri oggetti del desiderio. È stata un’esperienza assai stimolante ed eccitante. C’era una sorta di competizione con altri procacciatori di promo di negozi diversi, ma è sempre stata amichevole e leale, nessuno cercava di rubare i contatti agli altri. Ci si svegliava presto per essere i primi a passare dai vari negozi, ma a volte bisognava tornarci più volte durante la stessa giornata perché le consegne non si concentravano in un unico orario. Ogni settimana facevamo il giro degli uffici delle etichette e dei distributori. Eravamo costantemente aggiornati su ogni nuova uscita, senza trascurare alcun genere musicale. Inoltre c’erano eventi annuali come il Winter Music Conference di Miami, attesissimo proprio per le stampe promozionali esclusive che avrebbero fatto impazzire per mesi i DJ. I titoli ambiti si susseguivano continuamente. Lo scorso anno la rivista inglese Faith mi ha chiesto di stilare una classifica dei promo più ricercati in quegli anni in Italia, ma sarebbe stata un’impresa ardua realizzarne una definitiva. Ho stilato invece una lista delle etichette più ambite, menzionando alcune di esse come Junior Boy’s Own, AM:PM, MAW, Strictly Rhythm, F Communications, Wave, Azuli, Roulé, Freetown, Underground Resistance, Talkin’ Loud …

TheBlueGallery dicembre 1995
La rubrica “The Blue Gallery” che Nico De Ceglia cura per il magazine mensile DiscoiD (dicembre 1995)

A novembre del ’95 parte The Blue Gallery, la tua rubrica contenuta nel magazine gratuito di informazione discografica legato proprio al Disco Più, DiscoiD, a cui peraltro sono destinate anche alcune interviste da te curate per la rubrica “Label Of The Month”, e in seguito concretizzi la collaborazione con Italia Network e Roberto Corinaldesi. Ritieni che, ai tempi, iniziative di questo tipo alimentassero in qualche modo l’attenzione nei confronti di (certa) musica, solitamente fuori dalle orbite pop(olari)? Gli appassionati di techno, house e derivati, che leggevano avidamente recensioni e segnalazioni e che seguivano programmi di settore in radio, si sono estinti con lo sdoganamento del web o si sono trasformati in qualcos’altro?
L’idea della mia rubrica The Blue Gallery nacque parallelamente all’inizio della collaborazione con Disco Più. Volevo creare una sorta di galleria immaginaria in cui esporre ogni mese le ultime novità in arrivo. Un concept simile emerse anche durante il mio periodo a Italia Network, dove presentavo in diretta telefonica da Londra un nuovo disco ogni giorno. In seguito, dopo Corinaldesi, continuai la missione quotidiana con Marco Biondi su quella che sarebbe diventata RIN. Senza dubbio, tali iniziative erano strumenti vitali in quegli anni per diffondere nomi e suoni emergenti. Io stesso, in quanto appassionato, attingevo da ogni singola fonte di informazione musicale, ed è stato naturale passare dal ruolo di fruitore all’altro lato, in cui avevo l’opportunità di diffondere tali novità. Il web ha completamente rivoluzionato e frammentato queste abitudini, così come molte altre. Ha fornito incredibili strumenti che hanno reso molto più facile la scoperta e gli aggiornamenti costanti su ogni cosa, ma ha anche reso tutto meno specifico e meno diretto agli appassionati, abbattendo divisioni di genere nella nostra scena e neutralizzando, per esempio, quelle anteprime esclusive che erano un elemento fondamentale nel percorso di un disco. Purtroppo l’accesso globale ha portato anche a una massificazione estrema, con la quasi scomparsa delle scene più alternative e underground a favore di un flusso sonoro più facilmente praticabile e di consumo. Negli ultimi anni si è addirittura dato più rilievo ai contenuti visivi a discapito di quelli sonori. Tuttavia gli appassionati, sia delle vecchie che nuove generazioni, sono ancora presenti e capaci di scoprire le varie gemme in mezzo al marasma e alla vastissima offerta di materiale disponibile. È una categoria che ha dovuto e saputo evolversi, scoprendo nuovi strumenti di ricerca unici rispetto all’era pre web.

Black Market homepage 2000
L’homepage del sito di Black Market nel 2000

Per un certo periodo hai lavorato negli uffici di Black Market. Di cosa ti occupavi?
Black Market è stato un luogo simbolo per tutti i DJ e appassionati di dischi che visitavano Londra. Io stesso corsi subito a farci un salto la prima volta che venni qui in vacanza, per poi diventare un assiduo frequentatore quando mi trasferii. Nel periodo in cui mi occupavo di ricerca promo lo visitavo più volte al giorno, conoscevo molto bene quindi tutti quelli che lavoravano in negozio, sia al piano terra nella sezione house e techno che nel basement dedicato a jungle e drum’n’bass. Naturalmente avevo contatti anche con coloro che lavoravano negli uffici al piano di sopra incluso il capo, David Piccioni. All’inizio del nuovo millennio, quando l’idea di avere una presenza online cominciò a divenire essenziale per ogni store, mi contattò proprio David. Stava pianificando il primo sito web del negozio e mi offrì l’opportunità di supervisionarne i contenuti e il database. Sebbene fosse una novità per me, la mia esperienza passata mi diede la sicurezza necessaria e la prospettiva di unirmi a un team e a un’azienda che ammiravo profondamente non poteva che farmi dire di sì. Nel corso della creazione del sito, ho curato le classifiche settimanali per il negozio, ho stabilito nuovi contatti con le etichette e mi sono occupato di inserire ogni singolo disco che ci arrivava nel database. Quest’ultimo compito era particolarmente appagante per me dato che, fatta eccezione per il manager del negozio, ero il primo a mettere le mani su tutte le nuove uscite che arrivavano quotidianamente. Black Market era una tappa obbligata per i DJ di ogni calibro e provenienza. Basta citarne uno e con molta probabilità l’ho incontrato lì in quegli anni. È stata un’esperienza incredibile che mi ha preparato per il passo successivo con Pete Tong e BBC Radio 1. Durante il mio periodo lavorativo da Black Market, ho anche iniziato a stilare una classifica settimanale online per la prestigiosa rivista inglese Muzik, che purtroppo chiuse i battenti nel 2003. In seguito ho curato classifiche e recensioni per Ministry, il mensile del Ministry Of Sound, che però ebbe vita breve. Per un periodo sono stato anche membro del panel che stilava la leggendaria Buzz Chart per Update, classifica di riferimento in quegli anni. Al Ministry Of Sound ho pure avuto il mio primo programma radiofonico inglese, andando in diretta ogni due settimane per due ore. Nel programma presentavo novità musicali e ospitavo artisti dal vivo. Svariati amici italiani, come Stefano Fontana e Luca Bacchetti, vennero a trovarmi quando si trovavano in città, e ho avuto il piacere di accogliere nomi come Swayzak, Richard Sen, Rob Mello e molti altri. La radio del Ministry è stata una delle prime a sperimentare le trasmissioni via internet, attiva ben prima di molte altre giunte in seguito.

Nico De Ceglia at Winter Music Conference di Miami 1997
De Ceglia al Winter Music Conference di Miami nel 1997 mentre mostra un adesivo del free mag DiscoiD

Nel 2001 incontri Pete Tong e inizi a collaborare con lui sia come A&R per la FFRR che a BBC Radio 1 «cercando di fargli scoprire le cose più “underground”, come se fossimo ancora nell’era dei white label, riuscendo a mettere un po’ del nostro tocco e dando modo ad alcuni artisti italiani di essere presenti nello show», parafrasando ancora la sopramenzionata intervista di Luca Schiavoni del 2012. Ricordi almeno tre pezzi made in Italy che segnalasti a Tong e i suoi relativi commenti a caldo?
È stata un’esperienza straordinaria quella con Pete. Ho lavorato con lui per dodici anni, affiancandolo nella selezione settimanale per lo show. Nel corso del tempo questo rapporto lavorativo si è sviluppato in una sincera amicizia e stima reciproca. Ancora oggi, quando mi imbatto in titoli promettenti che potrebbero catturare il suo interesse, non esito a consigliarglieli. Come ho sottolineato in passato, Pete era già in contatto con la maggior parte dei grossi nomi della scena, ed era riconosciuto per il suo significativo impatto sul panorama dance internazionale. Se sceglieva di suonare un brano in radio poteva davvero cambiare il destino di quel disco e dell’artista che lo aveva creato. Il mio ruolo, oltre a effettuare con cura una preselezione tra l’enorme quantità di promo e acetati che arrivavano in ufficio ogni settimana, era far scoprire a Pete i titoli più alternativi e underground. Ho portato poi un po’ di estetica e attitudine italiana in un team che fino a quel momento era stato completamente inglese. Abbiamo creato subito una sintonia e Pete si è fidato immediatamente dei miei suggerimenti. Il mio arrivo nello show avveniva sulla scia di un paio di anni eccellenti per le produzioni italiane all’estero. Basti pensare ai numeri uno di Black Legend e Spiller in Regno Unito l’anno precedente, e alle tracce di Planet Funk e Par-T-One, ancora freschi successi in quel momento. Fra i nomi nostrani che ho contribuito a promuovere in quei primi anni a BBC Radio 1 ci sono Moony, Alex Gaudino, Antillas, Stylophonic, Psycho Radio, Pasta Boys, Santos, Pink Coffee, Nufrequency… per citarne solo alcuni. Poi ne sono arrivati molti altri, tra cui Tale Of Us, giusto prima della mia uscita dalla radio, e Fango, subito dopo. Non ricordo nei dettagli i commenti di Pete su questi lavori, ma è innegabile che fossero molto positivi, essendo poi stati artisti che hanno ricevuto il suo supporto in radio e nei club. Un aneddoto divertente? Tutti gli italiani che Pete incontrava in giro per il mondo gli dicevano puntualmente che erano miei amici.

Ci sono state anche “sviste”, ossia pezzi che gli avevi consigliato ma di cui non riuscì a cogliere subito le potenzialità?
Sono numerosi i titoli che negli anni avevo suggerito e che per varie ragioni furono trascurati per poi essere rivalutati, ma preferisco non entrare nei dettagli.

«È facile notare produzioni di fattura più che mediocre presenti in classifica e vendere migliaia di copie. Molti si fidano troppo di quanto gli venga detto da alcune persone non riuscendo ad analizzare da sole il valore delle singole produzioni o comprando un disco solo perché viene imposto dal mercato. […] Si tende quindi a far nascere mode che poi verranno puntualmente oscurate per dare spazio ad altre, e questo è un meccanismo schifoso»: a sostenere ciò è Lory D in una tua intervista pubblicata su DMM a febbraio del 1993. A distanza di poco più di trent’anni, la situazione è rimasta la stessa? Probabilmente a essere cambiate sono solo le modalità di persuasione?
Ricordo con piacere l’incontro con Lory D per l’intervista finita sulle pagine di DMM, occasione in cui andai a trovarlo nel suo studio a Roma. Rispetto a molti altri artisti dell’epoca, Lory era già avanti sia musicalmente che nella visione di come stava evolvendo la scena. Come non dargli ragione per quelle parole e come non vedere ancora oggi il loro significato, forse ancora più evidente di allora. Nel 1993 il mercato aveva già la sua quota di prodotti di qualità mediocre, proprio come oggi. D’altra parte, il consumatore medio tende ad accontentarsi di ciò che gli viene offerto, senza scavare a fondo per scoprire il resto. Tuttavia, trent’anni fa, era più facile evitare questi prodotti scadenti e concentrarsi su altro nel vasto panorama delle uscite discografiche. Oggi la massificazione ha raggiunto proporzioni enormi e il prodotto scadente e mediocre sembra dominare. Ci vogliono molto più tempo ed energie per scartare tali prodotti e concentrarsi su quelli di valore. I social media inoltre rappresentano uno strumento perfetto per amplificare il mediocre e dare voce a molte persone senza particolari talenti, se non la capacità di promuovere se stessi.

Una quindicina di anni fa circa hai dato avvio alle tue produzioni discografiche prevalentemente legate all’attività di remixer, su tutte il progetto Hyena Stomp condiviso con un altro italiano trapiantato a Londra, Severino Panzetta. Col senno di poi, avresti iniziato prima tale percorso artistico, quando comporre e incidere musica era più gratificante e remunerativo?
Hyena Stomp è stato un progetto affascinante. Abbiamo cercato di coniugare in un progetto artistico la nostra lunga amicizia e la passione per la scena club. Ci siamo dedicati principalmente ai remix, lavorando su brani di artisti come Tevo Howard & Tracey Thorn, DJ Hell, The 2 Bears o Ali Love, ma abbiamo anche dato vita a produzioni originali per label come la Rebirth. Dopo qualche anno abbiamo deciso di mettere in gioco i nostri veri nomi firmando remix per Róisín Murphy, Basement Jaxx, Ashley Beedle e tanti altri. Prima di Hyena Stomp, avevo già lavorato su progetti con altri amici, e anche dopo ho continuato a esplorare varie direzioni musicali. Ricordo con orgoglio il remix realizzato per “The Wanderer”, il classico di Romanthony pubblicato su Glasgow Underground sotto lo pseudonimo Photo 51, in collaborazione col talentuoso Franky Redente. Inoltre ci sono stati altri lavori firmati con Rui Da Silva, ma sono consapevole che avrei potuto investire più tempo in studio e sviluppare una discografia maggiormente consistente nel corso degli anni. Spesso mi trovavo a gestire una miriade di progetti contemporaneamente e questo mi ha impedito di dedicare periodi lunghi alla produzione. Qualche tempo fa, un po’ deluso dall’evoluzione dell’industria musicale, ho deciso di prendermi una pausa e concentrare le mie energie altrove, in attesa che tornasse l’ispirazione. Ora credo di essere pronto per nuove avventure in studio e non solo.

Ipotizziamo che The Blue Gallery appaia ancora mensilmente su DiscoiD e che le collaborazioni con la FFRR e BBC Radio 1 siano ancora in essere: quali sono i tre brani che segnaleresti attraverso questi canali?
È importante sottolineare che ciò che inserivo nella mia rubrica su DiscoiD e suonavo nei miei set non sempre si adattava allo show di Pete su BBC Radio 1, che aveva un approccio tendenzialmente più mainstream. Tuttavia i tre brani che ho selezionato qui avrebbero sicuramente trovato posto nei miei spazi. Comincerei con l’album “Stars Planets Dust Me” dei A Mountain Of One, reinterpretato magistralmente da Ricardo Villalobos. Basta menzionare i nomi per capire la ragione per cui ho scelto questo disco. Villalobos aveva già realizzato lo scorso anno una splendida versione del singolo “Black Apple Pink Apple” tratto dall’album, e questa collaborazione si è poi estesa a una reinterpretazione dell’intero lavoro. Nel tipico stile del cileno, ogni traccia è stata sottoposta a un raffinato processo di ristrutturazione, spogliata degli elementi originali e arricchita da tocchi discreti in punti strategici. Restando nel territorio di brani lunghi oltre i dieci minuti, vorrei menzionare il remix creato da Lovefingers per “Return To Centaurus” dei Mildlife. Con ben quattordici minuti e mezzo di durata, questo brano si snoda in un movimento lento, ipnotico e sensuale, idealmente definito nella presentazione che accompagna il promo come “erotic disco”. Infine, com’era tradizione nel mio spazio su DiscoiD così come nei miei programmi radiofonici e DJ set, ho sempre dato spazio a etichette e artisti che magari erano meno noti nel circuito grosso ma che meritavano il supporto. Oggi più che mai, questi talenti indipendenti e di nicchia dovrebbero ricevere l’attenzione che meritano. In tale contesto evidenzio la prossima uscita di David Agrella sulla sua etichetta AGR. David è un amico che vive a Londra da diversi anni e sta attirando l’attenzione grazie al suo stile distintivo. La precedente uscita includeva i remix di Baby Ford e GNMR, questa nuova contiene le tracce originali insieme ai remix di Priori e Domenico Rosa, a conferma della coerenza sonora.

Estrai dalla tua collezione dieci dischi a cui sei particolarmente legato illustrandone i motivi.

The Knack - My SharonaThe Knack – My Sharona
Ho già spiegato in apertura il significato che per me ricopre questo 45 giri del 1979, il mio primo acquisto discografico quando ero ancora un bambino, insieme a un altro degli Spargo. Tuttavia, tra i due, “My Sharona” era senza dubbio quello a cui tenevo di più. Un disco dal sound ribelle che mi faceva sentire più vicino al mondo degli adulti, sicuramente quello che ho ascoltato e riascoltato di più fra i due nel corso degli anni.

Depeche Mode - Black CelebrationDepeche Mode – Black Celebration
Ero già rimasto affascinato dai precedenti lavori dei Depeche Mode, e l’anno prima avevo acquistato sia il singolo “Shake The Disease” che la raccolta “The Singles 81-85”. Poi corsi a comprare “Stripped” che anticipò l’uscita dell’album. Con questo LP del 1986 si consolidava l’evoluzione verso sonorità più cupe e industriali che i Depeche Mode avevano iniziato qualche tempo prima. Era un sound perfettamente in linea con lo spirito alternativo e dark che stava emergendo in me nei primi anni dell’adolescenza.

Public Enemy - Fear Of A Black PlanetPublic Enemy – Fear Of A Black Planet
L’estetica militante, i messaggi altamente politicizzati e diretti e anche l’uso abile e all’epoca ancora innovativo di campioni e drum machine nella composizione delle canzoni: tutti questi elementi catturarono la mia immaginazione e il mio lato ribelle quando ero adolescente. Come nel caso dei Depeche Mode, anche i Public Enemy erano già presenti nella mia playlist grazie ai loro precedenti lavori, ma fu questo album, anticipato dal singolo “Fight The Power” utilizzato da Spike Lee nel film “Do The Right Thing” e che ovviamente acquistai, a farmi sentire una connessione ancora più forte con la band. Poi ebbi l’opportunità di vederli dal vivo a Roma in un tour in cui condivisero il palco coi Run-DMC e Derek B.

Róisín Murphy - Ancora Ancora Ancora (Severino & Nico De Ceglia Remix)Róisín Murphy – Ancora Ancora Ancora (Severino & Nico De Ceglia Remix)
Come accennato prima, ho realizzato vari progetti in studio con l’amico Severino di Horse Meat Disco, tra qui questo. Róisín aveva appena finito di lavorare a un disco in cui reinterpretava dei classici italiani di Mina, Lucio Battisti, Gino Paoli, Patty Pravo e altri e ci offrì l’opportunità di remixare la sua versione del classico di Mina, “Ancora Ancora Ancora”. Decidemmo di mantenerlo a bassi bpm e di dare un tocco balearic disco, scelta che poi si è rivelata vincente. La nostra versione è diventata un vero e proprio anthem nei set di artisti leggendari come DJ Harvey. Róisín ci inviò alcune copie del white label appena stampato che conservo con cura. Un lavoro di cui siamo molto fieri e che ci regala soddisfazioni ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni dall’uscita.

The Orb - Little Fluffy Clouds (Danny Tenaglia Remix)The Orb – Little Fluffy Clouds (Danny Tenaglia Remix)
Un amico che lavorava in un negozio di dischi di seconda mano, dove molti noti DJ vendevano i vinili che non funzionavano nei loro set, mi procurò questo acetato (mai transitato dal marketplace di Discogs sino a questo momento, nda) del classico degli Orb con remix annessi di Tenaglia e una versione Fluffapella mai pubblicata. Un Tenaglia in gran forma creò due versioni da viaggio (D-Tour Mix e Down Tempo Groove) che uscirono insieme ad altri qualche tempo dopo. Gli acetati erano spesso utilizzati dalle etichette per offrire ad alcuni DJ considerati veri e propri tastemaker un accesso esclusivo alle tracce prima della loro uscita ufficiale. Non so chi di questi DJ abbia deciso di cedere la propria copia ma è stata sicuramente una gradita sorpresa per me poter prenderne possesso.

Underground Resistance w Yolanda - Your Time Is UpUnderground Resistance w/ Yolanda – Your Time Is Up
Si tratta dello UR001, il numero uno del catalogo Underground Resistance, prodotto da Jeff Mills e Mike Banks, che segnò l’inizio di una storia e di una legacy che avrebbero influenzato numerosi fra noi DJ e producer nel corso degli anni. “Your Time Is Up” aveva quei synth che ai tempi erano già familiari per lavori di Inner City e altri, più house che techno, ma ricopre un significato enorme per essere stata la prima uscita della label.

Aphex Twin - Selected Ambient Works 85-92Aphex Twin – Selected Ambient Works 85-92
Cosa aggiungere su questo capolavoro di Aphex Twin che non sia già stato detto o scritto? Le sue intricate trame sonore, le sperimentazioni soniche futuristiche e l’uso pionieristico della tecnologia lo rendono un punto di riferimento essenziale per ogni collezione di musica elettronica. Uno di quegli album che ha ridefinito i confini del sound elettronico, ispirando generazioni di produttori e DJ. Seminale.

Theo Parrish - Falling Up (Carl Craig Remix)Theo Parrish – Falling Up (Carl Craig Remix)
Theo Parrish remixato da Carl Craig: una combinazione destinata all’eccellenza. Quando i primi DJ iniziarono a suonare questa versione, divenne subito un oggetto del desiderio per molti di noi. In qualche negozio arrivarono dei 10″ in tiratura limitata e ne recuperai uno per me e uno per Pete Tong, inserendolo immediatamente nel mio set nei weekend. La reazione della pista, alimentata dal crescendo sincopato creato da Craig, fu semplicemente estatica. In quegli anni Craig sfornava lavori eccellenti uno dietro l’altro, potevi facilmente creare un set intero solo con la sua musica e non avresti mai sbagliato.

Coil - The Ape Of NaplesCoil – The Ape Of Naples
In questa top ten meriterebbe di essere inserita l’intera discografia dei Coil ma alla fine ho scelto questo titolo perché è l’ultimo album, creato prima della scomparsa di John Balance. Ho avuto la fortuna di vedere diverse delle loro esibizioni dal vivo, e ogni volta è stata un’esperienza straordinaria. “The Ape Of Naples” rappresentò per i Coil un periodo ancora altamente creativo, in cui misero in circolazione, come da abitudine, materiale inedito e brani reinterpretati, seguendo la loro caratteristica estetica. Questo album trasuda di malinconia e poesia dark che catturano l’essenza del loro genio artistico.

Metro Area - MiuraMetro Area – Miura
Come potrei esimermi dall’includere questo classico senza tempo, tratto dall’unico album realizzato da Morgan Geist e Darshan Jesrani nelle vesti di Metro Area? L’intero LP contiene varie perle ma “Miura”, col suo inconfondibile groove preso in prestito da una versione di “Funkytown” dei Lipps Inc. e quel basso incessante su due note che si ripetono all’infinito, rimane una traccia intramontabile. Ancora oggi la ritrovi in set di molti disc jockey. Non a caso lo scorso febbraio, l’EP 4 contenente “Miura” è stato ristampato e rimasterizzato. Senza dubbio un must per qualsiasi collezione da DJ.

(Giosuè Impellizzeri)

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BXR, una squadra di DJ alla conquista del mondo

Negli anni Novanta la musica destinata alle discoteche, composta da DJ e team di musicisti ed arrangiatori, è in prevalenza marchiata con pseudonimi. Ciò avviene per moda, per questioni legate ad esclusive discografiche ma anche per differenziare le inclinazioni stilistiche del proprio repertorio. «L’effetto fondamentale è il distanziamento, una rottura col tradizionale impulso pop di associare la musica ad un essere umano in carne ed ossa» scrive Simon Reynolds in “Futuromania”. «L’anonimato ha l’effetto di scardinare i meccanismi della fedeltà al gruppo o al marchio, l’abitudine di seguire la carriera degli artisti tipica del pubblico rock». In egual modo le etichette indipendenti diffondono i propri prodotti attraverso un fiume di sublabel, marchi creati ad hoc per diversificare l’offerta e nel contempo evitare l’inflazione vista l’alta prolificità. La bresciana Media Records di Gianfranco Bortolotti, attiva sin dalla fine del 1987, è tra quelle che nel corso del tempo collezionano più sottoetichette. Ad inizio decennio già vanta la Baia Degli Angeli, la GFB, l’Inside, la Pirate Records, la Signal (contraddistinta da una singolare numerazione del catalogo), l’Underground, la Heartbeat (a cui abbiamo dedicato qui una monografia) e la Whole Records. A queste, nel 1992, se ne aggiunge un’altra, la BXR, il cui nome deriverebbe dall’antica denominazione della città di Brescia, Brixia, opportunamente modificata in una sorta di sigla a fare il paio con la citata GFB, acronimo di GianFranco Bortolotti. A sottolineare la connessione con le fasi storiche del comune lombardo è pure il logo, la testa di una leonessa, citando Giosuè Carducci che ne “Le Odi Barbare” parla di Brescia come “leonessa d’Italia”. Il payoff invece è il medesimo dell’etichetta-madre, “The Sound Of The Future”.

BXR 001 + logo
Sopra il disco di debutto della BXR (1992), sotto il primo logo dell’etichetta

1992-1994, un avvio nell’ombra
Il primo brano pubblicato su etichetta BXR, nel 1992, è “Space (The Final Frontier)” di DJ Spy. Ispirato al suono nordeuropeo che scavalca la palizzata dei rave e fa ingresso nelle classifiche di vendita (il 1991 ha visto consacrare dal grande pubblico tracce come “James Brown Is Dead” di L.A. Style, “Activ 8 (Come With Me)” degli Altern8, “Dominator” degli Human Resource, “Inssomniak” di DJPC, “Mentasm” di Second Phase, “Ambulance” di Robert Armani, “Adrenalin” degli N-Joi, “Who Is Elvis?” dei Phenomania – di cui parliamo qui, “Charly” ed “Everybody In The Place” dei Prodigy, “Pullover” di Speedy J ed “Anasthasia” dei T99, quasi tutte provenienti dall’area anglo-germanica-olandese), il pezzo è un veloce riassunto del modello edificato su amen break e stab. Prodotto da Max Persona e Pagany, che insieme ad Antonio Puntillo e Roby Arduini formano il team veronese ai tempi al lavoro in pianta stabile presso la struttura di Bortolotti, quello del fittizio DJ Spy è un veloce, ingenuo e non troppo ragionato assemblaggio di frammenti tratti da altri brani più fortunati del catalogo Media Records di quel periodo, come “What I Gotta Do” di Antico, “The Music Is Movin'” di Fargetta (di cui parliamo qui nel dettaglio), “Take Me Away” di Cappella, “Mig 29” di Mig 29, “We Gonna Get…” di R.A.F. e “2√231” di Anticappella, giusto per citarne alcuni dietro cui, peraltro, armeggiano gli stessi autori. Il sample vocale principale è tratto dal monologo di Star Trek e ciò spiega la ragione del titolo. L’assenza di un’idea compiuta e definita rende però “Space (The Final Frontier)” solo una delle centinaia di cloni generati dal filone rave, che attrae pletore di produttori sparsi in tutto il continente ambiziosi di replicare i risultati economici delle hit ma talvolta senza particolari slanci creativi.

Calamitate dagli elementi caratteristici che segnano il boom commerciale della (euro)techno tra 1991 e 1992 sarebbero state pure Marina Motta e Donatella Valgonio, le due ragazze che avrebbero operato dietro le quinte di Davida. La loro “I Know More”, secondo disco edito da BXR, rappresenta perfettamente la declinazione italiana della techno nordeuropea, ottenuta con la fusione di pochi elementi presi a modello e semplificati il più possibile per essere “digeriti” da un vasto pubblico. In realtà la Valgonio, conduttrice e speaker radiofonica contattata per l’occasione, rivela di non aver mai partecipato al progetto Davida. «Conobbi Gianfranco Bortolotti quando iniziò a muovere i primi passi nel mondo della musica» spiega, «e in quel periodo era Mario Albanese, all’epoca mio marito, ad occuparsi dei contatti con musicisti e discografici. Io, semplicemente, cantavo, così come feci prima con “Baby, Don’t You Break (My Heart)” di Argentina, l’unico pubblicato dalla Media Records nel 1986 (quando si chiama ancora Media Record, nda) e poi con “Summer Time”, sempre di Argentina ma finito sulla Memory Records a mia insaputa, ai tempi mi dissero che sarebbe stato ricantato da un’altra cantante. Non ho più avuto la possibilità e la fortuna di collaborare con la Media Records che nel frattempo divenne un colosso della discografia. Mi sono sempre chiesta come sarebbe stata la mia vita artistica se avessi collaborato con Bortolotti. Tengo a precisare comunque che Mario Albanese non ha alcuna colpa perché la prima a non crederci fino in fondo ero proprio io che continuavo a sentirmi come un pesce fuor d’acqua nonostante i suoi ripetuti incoraggiamenti». È plausibile dunque ipotizzare che i nomi della Valgonio e della Motta siano stati usati a mo’ di pseudonimi, così come avviene per “I’m The Creator” di DJ Creator finito nel catalogo di un’altra etichetta della Media Records, la Pirate Records. I risultati di vendita non esaltanti delle prime due uscite, uniti alla progressiva attenuazione della popolarità della rave techno palesatasi nel corso del ’92, probabilmente convince Bortolotti a non insistere su quella formula. Il terzo 12″ su BXR, difatti, guarda nella direzione della garage house, quella che arriva da Londra e da New York. Enrico Serra, Gianluca Brachini e Gianluigi Gallina realizzano, presso l’H.O.G.I.C.A. Studio, “Here With Me” di Miss Mary, pezzo da cui emerge il calore del funk e dell’r&b e che riporta in vita certe atmosfere tipiche della prima house pianistica nostrana con cui qualche anno prima proprio la Media Records si impone all’attenzione internazionale. Nonostante i buoni spunti, Miss Mary non lascia il segno e si rivela incapace di far decollare il marchio BXR temporaneamente messo in stand by. Riappare nel 1994 con “Day By Day” di Laura Becker, che Alex Pagnucco e Davide Ageno realizzano mescolando i classici elementi dell’eurodance ottenendo una sorta di ibrido tra Le Click, Intermission e Corona ma con meno appeal per l’assenza di un efficace ritornello. La prevedibilità e la scontatezza dei suoni e della stesura fanno il resto lasciando il progetto nel quasi totale anonimato, quello stesso anonimato che una manciata di decenni più avanti lo trasforma in un cimelio per i collezionisti disposti a spendere cifre consistenti per entrare in possesso delle pochissime copie in circolazione. È l’ultimo tentativo di riscatto per la BXR, un’iniziativa che, a dirla tutta, in questa prima fase non conta su particolari energie e risorse. Basti pensare all’esigua quantità delle pubblicazioni (appena quattro in un biennio circa, decisamente un’inezia per i tempi) ma anche alla quasi inesistente promozione. Se a ciò si somma la scarsa identità, dovuta ad un mancato focus stilistico, è facile comprendere le ragioni per cui il tutto appaia soltanto un progetto embrionale dal basso potenziale, un’idea non sviluppata a dovere, col fiato corto ed incapace di farsi largo in mezzo ad una giungla di realtà discografiche indipendenti. Ma è solo questione di tempo, la BXR si riprenderà tutto e con gli interessi.

La rinascita sotto una nuova stella
Il 1995 imprime bruschi cambiamenti al mainstream dance italiano a partire dalla velocità di crociera che, complice l’influenza mutuata dalla scena tedesca, aumenta sino a toccare soglie inimmaginabili sino a poco tempo prima. Il fenomeno, iniziato negli ultimi mesi del ’94, si consolida e trascina gran parte dei principali esponenti dell’ambiente danzereccio nostrano, dai Bliss Team a Molella, dai Mato Grosso ai Club House, da Ramirez a Z100 passando per Cerla & Moratto, Double You, Da Blitz, JT Company e Digital Boy che è tra i primi a dare il la a questa adrenalinizzazione ritmica arrivata a sfondare la soglia dei 160 bpm. Nella seconda metà dell’anno, insieme alla velocizzazione e all’avvicinamento a filoni come makina ed happy hardcore, si registra un secondo sostanziale mutamento rappresentato dalla popolarizzazione di formule sino a quel momento adottate in prevalenza nelle discoteche specializzate. La cosiddetta progressive fa breccia in un numero sempre più consistente di ascoltatori sino a prevalere sulla eurodance tradizionale costruita su strofa, ponte e ritornello. La spallata decisiva giunge grazie a Robert Miles che con la Dream Version della sua “Children” (di cui parliamo qui) di fatto inaugura una stagione inedita che vede la supremazia quasi assoluta di brani strumentali. È una sorta di nuovo 1991-1992 insomma, ma questa volta non è una tendenza importata dall’estero bensì germogliata e svezzata entro i nostri confini.

secondo logo BXR
Il secondo logo con cui la BXR torna sul mercato nel 1996

Tale nuova fase risulterà decisiva per la BXR che rinasce proprio sotto la stella della progressive, forma ammorbidita della techno/trance d’impostazione mitteleuropea segnata da evidenti presenze melodiche che attingono dall’ambient, dalle colonne sonore cinematografiche, dal funky, dall’afro e dalla new beat. Così l’etichetta riappare dopo circa due anni di silenzio con più vigore e consapevolezza, accompagnata da una nuova numerazione col prefisso 10 e soprattutto un nuovo logotipo meno anonimo del primo, forgiato su caratteri di bladerunneriana memoria (la B è simile ad un 3 ed infatti inizialmente c’è chi crede che il nome sia 3XR) ed immerso in una dimensione spaziale che rispecchia la vocazione più internazionale, in contrasto con quella di partenza fin troppo legata alla realtà autoctona bresciana. Al nome viene altresì aggiunto un suffisso, Noise Maker, usato a mo’ di payoff, derivato da quello dell’etichetta sulla quale tra 1994 e 1995 Gigi D’Agostino, artista che tiene a battesimo la BXR, pubblica alcuni brani determinanti per la nascita della (mediterranean) progressive, la Noise Maker per l’appunto, gestita dalla Discomagic di Severo Lombardoni.

Homepage del primo sito Media (1996)
L’homepage del primo sito della Media Records (1996)

La nuova immagine della BXR proiettata nel futuro coincide anche col lancio del primo sito internet della Media Records che, tra le altre cose, permette di fare un tour virtuale nella sede a Roncadelle, accedere al cyber shop in cui acquistare il merchandising nonché immergersi nel suono di un juke-box virtuale, una specie di Spotify ante litteram fruibile attraverso il lettore multimediale RealPlayer. A guidare artisticamente la BXR è Mauro Picotto che, come racconta nel suo libro “Vita Da DJ – From Heart To Techno” (recensito qui), voleva radunare dei disc jockey che suonavano nei club, «veri, non quelli usati come immagine dalle grandi case discografiche». Ed aggiunge: «Parlai a Bortolotti del mio progetto e l’idea gli piacque subito visto che aveva già tentato una sortita simile con la Heartbeat. Il primo DJ che contattai ed invitai ad unirsi fu Gigi D’Agostino, uno degli ideatori del party torinese Le Voyage. Ricordo ancora il suo arrivo all’Hotel Continental di Roncadelle (ubicato nello stesso stabile della Media Records, nda) con una vecchia Chrysler Voyager da sette posti, era già un personaggio. […] Gigi però uscì quasi subito dal progetto, evidentemente soffriva qualcosa o qualcuno del mondo BXR, non mi è mai stato chiaro. Comunque gli offrimmo l’opportunità di creare una sua label esclusiva, la NoiseMaker, per continuare ad esprimersi secondo la sua stessa direzione artistica».

Mediterranean progressive, una parentesi su genesi, evoluzione e dissolvimento
Come raccontato nel 2015 da Gianfranco Bortolotti in questa intervista, il termine “mediterranean progressive” fu da lui approvato su suggerimento di Mauro Picotto o di Riccardo Sada (giornalista ai tempi in forze alla Media Records) dopo aver letto una recensione di Pete Tong che parlava, per l’appunto, di mediterranean progressive in riferimento a quei dischi provenienti dall’Italia (come “Sound Of Venus” di Lello B., Subway Records, “Atmosphere” di Voice Of The Paradise, Area Records, o “Advice” di Nuke State, Metrotraxx) che finivano in un’area grigia non essendo facilmente incasellabili nella techno, nella house e tantomeno nella progressive d’oltremanica in stile Sasha e John Digweed. Un filone che da noi pulsava già da qualche anno, irradiato da etichette indipendenti localizzate prevalentemente tra Lombardia, Toscana e Piemonte, ma senza ottenere riscontri commerciali importanti ed infatti Roland Brant lamenterà, in un’intervista, di essere stato ignorato dal grande pubblico nonostante seguisse questo genere da diverso tempo.

RAF by Picotto e compilation Diva
Sopra “Bakerloo Symphony” di R.A.F. By Picotto (GFB, 1995), pare il primo disco a raggiungere il mercato con la dicitura “mediterranean progressive”, usata nello specifico come titolo della versione principale; sotto le copertine di due compilation curate da Claudio Diva uscite nel 1996

Alla Media Records intercettano la tendenza che vede salire le quotazioni commerciali della progressive e pianificano strategicamente di adottare tale dicitura in occasione del (ri)lancio della BXR, nei primi giorni del 1996. Sulle riviste, allora primarie fonti di informazione, la BXR viene presentata come l’etichetta che seguirà un nuovo genere, la mediterranean progressive, catalizzando l’attenzione del grande pubblico. «Il fine era distinguerci da ciò che altri facevano nel Nord Europa» spiega Bortolotti nell’intervista sopraccitata. «Per un fatto oggettivo l’Italia era (ed è) un Paese mediterraneo, quindi da lì nacque la fusione». È bene rammentare però che la tag “mediterranean progressive” aveva già timidamente fatto capolino nel mercato discografico attraverso “Bakerloo Symphony” di R.A.F. By Picotto, pubblicata su un’altra etichetta della Media Records, la GFB, nell’autunno inoltrato del 1995, seppur il successo giunga a distanza di qualche mese, quando per l’appunto esplode il fenomeno progressive in tutta Italia e nei negozi arrivano un paio di compilation intitolate proprio “Mediterranean Progressive” edite dalla Discomagic e compilate da Claudio Diva, alla guida della Subway Records considerata tra le antesignane dei filoni dream e della stessa mediterranean progressive.

Il 1996, per il mainstream nostrano, è quindi l’anno della progressive, glorificata anche sull’etere da un numero imprecisato di programmi, incluso il Molly 4 DeeJay di Molella su Radio DeeJay di cui parliamo dettagliatamente qui. Produttori e promoter puntano tutto su questo genere, investendo denaro ed ambendo a sostanziosi ritorni. La Media Records, ad esempio, riporta in vita sotto il segno della progressive Antico, uno dei marchi che aveva contraddistinto la prima ondata “italo techno” ed ormai assente dal mercato da un quadriennio, ma anche un paio di etichette ibernate come la Pirate Records e la Underground (il nuovo corso di quest’ultima comincia con “The Test” di Mauro Picotto analizzato qui), oltre a contagiare la GFB, sulla quale appaiono i brani di R.A.F. By Picotto, e la Whole Records. Prevedibilmente la progressive diventa il nuovo pop e ciò attrae come una calamita parecchie critiche di chi è convinto che si tratti solo di un’indebita appropriazione di suoni, così come avvenuto qualche tempo prima con la techno. In un’intervista di Paolo Vites pubblicata ad ottobre del 1996, Killer Faber parla di grossa speculazione: «si incidono dischi copiati spudoratamente da altri, si creano mode musicali inesistenti, si immettono sul mercato centinaia di compilation tutte uguali saturando il mercato. Bisognerebbe rischiare e lanciare pochi ma veri artisti dance». A gennaio ’97 Massimo Cominotto raccoglie altre testimonianze in un’inchiesta intitolata “Prog E Contro”, come quella di Paolo Kighine: «Ultimamente la progressive ha preso i connotati da fenomeno di massa e per questo viene additata come commerciale. Questo, secondo me, dovrebbe essere un motivo in più per stimolare i miei colleghi ad offrire un prodotto di qualità elevata […]. L’etichetta “progressive” comunque lascia molto spazio all’immaginazione, puoi scartabellare tra vecchi pezzi acid house per curvare sugli Orb o KLF e magari finire sul made in Italy, l’importante è far stare bene il proprio pubblico». Più disilluso e diretto appare invece Christian Hornbostel: «Il termine “progressive” è già sprofondato nel caos, così come era avvenuto a suo tempo per l’omologo “underground”, diventando la risposta più inflazionata alla fatidica domanda “che genere suoni?”. Migliaia di DJ affermano di proporre progressive ed alcuni di loro si fanno addirittura la guerra per dimostrare al popolo italico di esserne gli assoluti inventori. Sono passati più di quattro anni da quando il vero fenomeno progressive (tutt’altra musica!) faceva la sua comparsa nel Regno Unito ma ecco che in Italia qualcuno ha pensato che il solo utilizzo del bassline 303 bastasse a giustificare la creazione di una nuova corrente musicale chiamandola “progressive”. Nessuno pertanto all’estero capisce l’italianissimo modo di definire progressive tracce che godono di ben altre definizioni. Non parliamo poi della confusione creata dalle compilation che di progressive hanno solo il nome. Dobbiamo dunque accettare a denti stretti che il significato di progressive sia un’amorfa terminologia creata per vendere incoerenti compilation in un mercato discografico già agonizzante, per dar lustro a DJ che si vantano di suonarla (mixando Alexia con DJ Dado ed una traccia su Attack) e per far contenti alcuni proprietari di locali che nella stessa serata propongono, con innocente orgoglio, revival, underground, liscio, latinoamericano e… progressive».

Gg e Picotto 1996
Gigi D’Agostino e Mauro Picotto in due foto del 1996, quando vengono lanciati dalla Media Records come alfieri della mediterranean progressive

Ma cosa è la progressive che si impone tra 1995 e 1997 al grande pubblico nostrano? «Forse è la sorellina della techno» sostiene Mauro Picotto in un’intervista raccolta da Riccardo Sada a novembre 1996. «È sicuramente nata grazie ai DJ della Toscana sotto altri nomi come “virtual music” per colmare un vuoto perché con un certo tipo di techno eravamo arrivati all’apice e c’era voglia di ripartire da zero, svuotando i brani di tanti suonini e suonacci superflui […]. Le produzioni progressive italiane si discostano da quelle estere perché hanno molta melodia, ormai l’Italia ha il suo imprinting». È la melodia, dunque, il punto focale di questo filone, e a tal proposito DJ Panda, ancora intervistato da Sada e quell’anno nelle classifiche con “My Dimension” di cui parliamo nello specifico qui, afferma che «a noi italiani la melodia viene fuori d’istinto perché abbiamo un animo mediterraneo. L’unico rischio è che questa progressive diventi troppo pop». I timori dell’artista si rivelano fondati ed infatti la sbornia progressive (o meglio, popgressive) del 1996 renderà sterile il filone, sino ad inflazionarlo ed obbligarlo ad una costante e netta flessione nel corso del 1997.

D'Agostino Planet 1
“Fly” di D’Agostino Planet riapre il catalogo della BXR dopo circa due anni di silenzio

1996-1997, il biennio della mediterranean progressive
Corrono i primi giorni del 1996 quando la napoletana Flying Records distribuisce “Fly” i cui promo girano tra gli addetti ai lavori già da qualche settimana. Autore è Gigi D’Agostino dietro il moniker D’Agostino Planet, nome perfetto per la nuova dimensione spaziale della BXR anzi, a dirla tutta qualcuno ritiene che l’etichetta possa gravitare esclusivamente intorno alla sua musica e che il pianeta immortalato sulla logo side del disco sia proprio il suo. Tale teoria sembrerebbe trovare riscontro in questa intervista a cura di Leonardo Filomeno e pubblicata da Libero il 14 settembre 2014, in cui D’Agostino afferma: «Nell’autunno del ’95 chiesi di poter fondare un’etichetta con dei principi precisi, libertà dei suoni, dei ritmi, dei tempi. In Media Records mi dissero che avevano una label sulla quale, in passato, avevano pubblicato dei brani e che in quel momento non era in uso, la BXR. Ricordo il primissimo 1001, il 1002, il 1003 e ricordo benissimo le ragioni del blocco della pubblicazione del 1004. Il resto ho preferito rimuoverlo». Il DJ torinese di origini salernitane, noto nelle discoteche piemontesi tipo il Due di Cigliano o L’Ultimo Impero di Airasca, ha già maturato diverse esperienze discografiche, come “Creative Nature” o “Hypnotribe” di cui parliamo rispettivamente qui e qui, ma rimaste sostanzialmente confinate alla platea dei soli appassionati. Con l’arrivo in Media Records le cose cambiano e “Fly”, primo tassello della rinnovata BXR, diventa anche il trampolino di lancio dell’ormai ufficializzata mediterranean progressive. Riadattamento ballabile del tema “Il Tempo Passa” composto da Giancarlo Bigazzi per il film “Mediterraneo” diretto da Gabriele Salvatores, “Fly” plana su struggenti melodie e lunghi accordi che si tuffano tra le onde di un sequencer ipnotico e rotolante che sembra autoalimentarsi per inerzia, senza mai perdere vigore per quasi tutti i nove minuti di durata.

Seguono altri tre brani sul 1002, “Melody Voyager”, “Marimba” ed “Acidismo”, che esaltano lo stile d’agostiniano di allora, stratificato, ritmicamente minimale ed asciutto, adornato da melodie intrecciate ad armonie tra il romantico e il malinconico con frequenti cambi tonali che giocano sui contrasti e fluttuano su nuvole cangianti. In un’intervista rilasciata a Federico Grilli per il magazine Tutto Discoteca Dance a marzo 1996, D’Agostino parla della progressive come «un suono emozionale, energetico e molto convincente» ma ammette di essere conscio che si stia entrando nella fase della commercializzazione: «se prima era un genere destinato a fare tendenza, ora è rivolto alla grande massa che ne fruirà in maniera positiva, come spesso accade in fenomeni simili. Il pubblico reagisce bene e sicuramente ora la risposta è amplificata dato che il fenomeno sta cambiando, prima era ristretto ad alcune realtà locali». Pochi mesi più tardi, ad agosto, l’artista affiderà alla stessa testata un’altra affermazione che conferma la fase ascendente e il desiderio di sfondare i confini alpini: «Credo che la progressive nostrana abbia buone possibilità per imporsi nel mercato europeo e quindi cercheremo di spingerla in ogni occasione, come ho fatto lo scorso 5 luglio al Ministry Of Sound di Londra», ed aggiunge: «la mediterranean progressive è nata dalla personalizzazione da me apportata alla progressive, con suoni minimali e melodie orecchiabili, un po’ spagnole, forse latine, no ecco, proprio mediterranee».

A trainare BXR e Gigi D’Agostino è la compilation “Le Voyage ’96” che Media Records realizza insieme alla Virgin. Gran parte della tracklist è occupata dai suoi brani e remix ma non mancano le già citate “Children” e “Bakerloo Symphony”, “Goblin” della coppia Tannino-Di Carlo ed un paio di titoli d’importazione, “Hit The Bang” di Groove Park (dal catalogo Bonzai, l’etichetta di Fly intervistato qui) e “Groovebird” dei Natural Born Grooves. Le 80.000 copie vendute de “Le Voyage ’96” e le 60.000 dell’album “Gigi D’Agostino”, in tandem questa volta tra BXR e RTI Music, testimoniano che l’intuizione di scommettere sulla musica strumentale sia giusta e fanno da volano per nuove produzioni dello stesso D’Agostino come “Gigi’s Violin”, dove troneggia un violino talmente ammaliante da far ricordare i Rondò Veneziano di Gian Piero Reverberi, ed “Elektro Message”, versione vitaminizzata di “Live Line” dei tedeschi You. Nel frattempo BXR mette a segno la prima licenza, “Electronic Pleasure” degli N-Trance, ma optando per le versioni trance (quella che si sente in radio finisce invece nel catalogo Signal).

Mauro Picotto - My House
“My House” di Mauro Picotto viene ritirato dal mercato per ragioni ignote

Mauro Picotto si prende il 1004 con la sua “My House”, naturale seguito a “Bakerloo Symphony” che viene per l’appunto remixata sul lato b in due versioni a creare una sorta di tessuto connettivo. Per ragioni mai chiarite del tutto, il disco verrà ritirato dal commercio pochi giorni dopo essere stato distribuito nei negozi. “My House” riappare, insieme ad “Halleluja”, su Pirate Records nel “Progressive Trip”, l’unico che l’artista firma MP8, accorciamento dell’anglofonizzazione M-Peak-8 usata per la poco nota “I Can’t Bear” l’anno precedente. Considerati gli alfieri del movimento mediterranean progressive dell’etichetta bresciana, Picotto e D’Agostino realizzano a quattro mani “Angels’ Symphony” da cui emergono distintamente tutti gli elementi salienti del filone, forse già all’apice del successo. Sul mercato giunge una tiratura che parrebbe frutto di un errore o di un ripensamento, contenente due versioni (Plastic Mix e Tranxacid Mix) che spariscono dal 12″ distribuito con lo stesso numero di catalogo, 1006. I buoni riscontri procurano ad entrambi alcuni ingaggi come remixer, Picotto rilegge “Mantra” dei Datura, D’Agostino invece “The Flame” dei redivivi Fine Young Cannibals, oltre a spartirsi rispettivamente “Turn It Up And Down” e “U Got 2 Know” dei Cappella, un marchio ormai quasi sulla via del tramonto. Alla Media Records poi arrivano nuovi DJ ad infoltire le fila della BXR: il toscano Mario Più, prima con l’estivo “Mas Experience”, una romanza elettronica agghindata da virtuosi sentimentalismi sintetici utilizzata per lo spot dell’Aquafan di Riccione, e poi con l’autunnale “Dedicated”, dedicato alla futura moglie Stefania alias More ed aperto da una citazione straussiana del poema sinfonico “Così Parlò Zarathustra”, il veneto Saccoman con “Pyramid Soundwave” (di cui parliamo nel dettaglio qui), una sorta di rilettura trancey del classico dei Korgis, “Everybody’s Got To Learn Sometime”, e il laziale Bismark, invitato dall’amico Gigi D’Agostino, che con “Double Pleasure” mette a punto un suono bifase lanciato su tensioni alternate che ha già sperimentato in pezzi usciti precedentemente come “Brain Sequences” o “Chrome”.

D'Agostino-RondoVeneziano
Similitudini grafiche tra le copertine dell’album “Gigi D’Agostino” e de “La Serenissima” dei Rondò Veneziano: androidi argentei che suonano strumenti a corda con città futuristiche sullo sfondo

Gigi D’Agostino torna con “New Year’s Day”, rivisitazione strumentale dell’omonimo degli U2. Sul lato b la lunga “Purezza”, quasi dieci minuti di un ribollire celestiale che i fan hanno già conosciuto grazie al citato album “Gigi D’Agostino”, quello col robot violinista e lo skyline di una città del futuro in copertina che sembra rimandare (intenzionalmente o involontariamente?) alle androidizzazioni a cui talvolta vengono sottoposti i menzionati Rondò Veneziano – si veda l’artwork de “La Serenissima”, 1981. Ma in fondo la mediterranean progressive della BXR per certi versi potrebbe essere considerata una proiezione modernista dell’ensemble diretto da Reverberi, coi suoi barocchismi e contrappunti ricamati su arie melodiche zuccherose innestate su arrangiamenti melliflui. L’eurodance delle annate 1992-1994 adesso sembra davvero lontanissima e simbolo di un’età conclusa, rimpiazzata da un suono nuovo proiettato verso il futuro che avanza. «Fatta eccezione per i Cappella, che riscuotono ancora successo in Francia, stiamo invadendo l’Europa con la progressive» afferma con decisione Gianfranco Bortolotti in un articolo di Billboard risalente al 22 giugno 1996. «Il nostro slogan è “The Sound Of The Future” e credo che il più grande vantaggio della dance indipendente sia quello di potersi trasformare rapidamente abbracciando le nuove tendenze. Dalla nostra parte abbiamo quattro dei migliori rappresentanti della scena mediterranean progressive incluso il fondatore, Gigi D’Agostino». Per l’occasione il manager bresciano si conferma come un sostenitore convinto delle nuove tecnologie ed avanza un’ipotesi profetica: «Grazie alla collaborazione con Zero City, provider milanese che offre l’accesso gratuito ad internet, stiamo entrando in un progetto che ci permetterà di avere una visione chiara sul futuro dell’industria musicale. Prima di quanto previsto, la musica verrà venduta attraverso il web, coi clienti che pagheranno uno o due dollari ogni volta che scaricheranno le nostre ultime uscite». A fine ’96 arriva un altro DJ a dare manforte alla squadra della BXR, Riccardo Cenderello, da Sarzana (La Spezia), acclamato in discoteca come l’angelo biondo. Inizialmente noto come Ricky, si trasforma in Ricky Le Roy dopo aver prestato l’immagine ad un progetto di Alex Neri, DJ Le Roy per l’appunto, destinato alla Palmares Records. “First Mission” è, dunque, la sua prima missione discografica ufficiale, uno slancio nel cielo più terso a bordo di un tappeto volante che si ritaglia, grazie all’edenica vena melodica, un posto nell’airplay radiofonico nostrano.

Il 1997 si apre attraverso “My World” di Bismark con cui il DJ romano intinge i pennelli in una mistura agrodolce per realizzare un quadro dalle tinte cromatiche giustapposte. Alla luminosità degli archi corrispondono vortici acidi, binomio che viene ulteriormente sviluppato nei due remix approntati in Belgio da Jan Vervloet, in quel momento all’apice del successo col progetto Fiocco, che la BXR pubblica su un 10″ colorato. A realizzare una versione di “My World” è anche Pablo Gargano, italiano trapiantato nel Regno Unito intervistato qui, seppur questa non finisca nel catalogo dell’etichetta bresciana. Aria di remix pure per “Dedicated” di Mario Più, analogamente solcato su un 10″ splatter blu/nero. Nel contempo il DJ toscano rilegge “I Just Can’t Get Enough” dell’elvetico DJ Energy per la GFB, campionando “Conflictation” di Cherry Moon Trax. Il successo primaverile è comunque “No Name” di Mario Più & Mauro Picotto, una sorta di summa tra “Mystic Force” dell’omonimo artista australiano e “Landslide” dei britannici Harmonix condita con una melodia ricavata da “Close To Me” dei Cure e frammenti ambientali presi dalla pellicola spielbergiana “Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo”. Le potenzialità sono tante al punto che la Media Records lo pubblica anche in formato CD singolo. Si rifanno sentire Saccoman con “Open Your Heart”, trance di facile impatto issata da una melodia triggerata, e Ricky Le Roy col cupo “Tunnel”, più cavernoso e vitreo rispetto al precedente e per questo chiuso in un contesto che riduce al minimo la possibilità di raggiungere l’airplay radiofonico.

Con “Music (An Echo Deep Inside” D’Agostino cerca nuove dimensioni stilistiche. È il primo BXR ad includere l’inserto cartaceo su cui si rinvengono titoli e crediti

Discorso a parte per “Music (An Echo Deep Inside)” di Gigi D’Agostino, brano con cui il DJ torinese inizia ad allontanarsi dalla dimensione iniziale del suo sound, in primis con l’inserimento di una parte cantata incorniciata da una serie di frasi zigzaganti di violino ed un sibilo filmico morriconiano. Nella parte centrale il lirismo vocale è accentuato ed un po’ rammenta quanto sperimentato pochi mesi prima da Marco Grasso in “Melodream” di Bakesky (sulla milanese Diamond Pears diretta da Nando Vannelli) che sovrappone non memorabili stilemi progressive all’italiana agli elementi di un’orchestra (violini, viole, violoncelli, contrabassi, oboe, fagotto ed altro ancora). Anche a livello grafico c’è qualcosa di nuovo: la label copy è occupata, su entrambi i lati, da una foto dell’artista pertanto titoli e crediti finiscono su un inserto di carta infilato all’interno della copertina. La presenza di tale inserto diventa fissa quando l’etichetta rinnova la brand identity (con “Lizard”, 1998), e nel corso del tempo sarà oggetto di variazioni nelle dimensioni. Con “Music (An Echo Deep Inside)” D’Agostino prende le misure di una nuova dimensione artistica in cui immergersi, ma prima di avventurarsi sul percorso che lo trasformerà in uno degli idoli della seconda ondata italodance, si cimenta in una serie di tracce da cui affiora sia la passione per la sampledelia, sia il desiderio di creare qualcosa ex novo, che non assomigli al suo più recente passato forse perché si è già reso conto che l’epoca della mediterranean progressive sia ormai agli sgoccioli e il mercato si è stancato di brani strumentali. La cesura, tuttavia, non è netta ed immediata, “My Dimension”, “Psicadelica” (una specie di nuova “Fly” con ridotti varchi melodici), “Living In Freedom” e “Wondering Soul” (rilettura di “No Time” dei Guya Reg, edita dalla DBX Records di Joe T. Vannelli) contengono ancora chiari retaggi dell’epoca progressive ma in “Bam”, “Tuttobene” e “Locomotive” (rivisitazione di “New Gold Dream (81-82-83-84)” dei Simple Minds, già riadattata con successo dagli U.S.U.R.A. in “Open Your Mind” nel ’92) l’artista dimostra la chiara volontà di andare oltre e rimettersi in discussione, anche a rischio di scontentare parte dei fan. Nella vivace “Rumore Di Fondo” rispolvera reticoli ritmici breakbeat, in “All In One Night” trova rifugio in una specie di trance epica trainata da un basso lanciato al galoppo, in “Gin Tonic” rallenta atipicamente i bpm. Non c’è un filo conduttore, sono tracce discontinue che abbracciano un’ampia gamma di sfumature sulla base di impeti creativi nuovi ed un pizzico eccentrici, ad attestare la voglia dell’artista di sperimentare mettendo in comunicazione e in relazione passato e presente, così come avviene in “Gin Lemon”, a posteriori configuratosi come un ibrido tra i cut-up meccanici di “Bla Bla Bla” o “Cuba Libre” e la vocalità umana di “Elisir”. Il pezzo è sequenziato su un sample celebre quanto simbolico per la house music continentale, il “pump up the volume” preso da “I Know You Got Soul” di Eric B. & Rakim ed eternato dai M.A.R.R.S. in “Pump Up The Volume” per l’appunto, di cui parliamo qui. Tutto questo avviene nel “Gin Lemon EP”, un avventuroso, eterogeneo e bizzarro triplo mix disponibile anche in versione colorata (verde, giallo, rosso) diventato ambito per i collezionisti. Altrettanto ricercata l’edizione su CD decorata dall’artwork di Tiberio Faedi intervistato in Decadance Extra, per cui sono stati già sborsati 450 €. Dall’extended play vengono estratti vari brani incisi su un 12″ contenente anche il remix di “Music (An Echo Deep Inside)” a firma Mario Scalambrin, vicino al modello utilizzato per la sua Van S Hard Mix di “Baby, I’m Yours” dei 49ers di cui parliamo qui. Nel contempo anche “Gin Lemon”, l’unico a colpire nel segno e finire nelle rotazioni radiofoniche, viene riversato su un singolo sul quale, tra le varie versioni, c’è pure una R.A.F. Zone Mix di Picotto in bilico tra hard house d’oltremanica e pizzicato style teutonico.

Mario Più (1997)
Mario Più in una foto del 1997

Progetto-miscellanea è anche quello di Bismark che incide un doppio mix intitolato “Project 696”, omonimo del programma radiofonico in onda su Power Station ai tempi condotto con Luca Cucchetti così come lui stesso racconta qui. All’interno sei tracce sviluppate intorno alla trance ma con ampie divagazioni che toccano solarità (“Female Vox”, “Trance Sensation”) e stratificazioni più scure (“Synthesis”) passando per echi mediterranean progressive (“Shadow”), rimbalzi à la “Chrome” (“Space Is The Place”) ed impervie modulazioni drum n bass miste a pulsioni speed garage (“Give Yourself 2 Me”). “Project 696” avrebbe dovuto anticipare l’uscita dell’album, così come annuncia lo stesso Bismark in un’intervista rilasciata a Barbara Calzolaio a novembre 1997, ma il progetto non andrà mai in porto. Sempre in autunno la BXR tira fuori un’altra hit destinata alle radio e al circuito più commerciale, “All I Need” di Mario Più Feat. More, un brano costruito sulla falsariga dei successi dei tedeschi Sash! che conquista licenze sparse per il mondo, Regno Unito e Stati Uniti inclusi con l’interesse mostrato dalla MCA. Una delle versioni remix, la Love Mix, uscita un paio di mesi più tardi, ricalca invece i suoni di “Come Into My Life” di Gala. Parallelamente Mario Più incide la strumentale “Your Love”, con l’aiuto e il supporto di Mauro Picotto e Francesco Farfa, destinata alle discoteche e per questo siglata con l’appellativo Club aggiunto al suo nome.

1998, un anno di transizione
Il primo BXR del 1998 è “All 4 One”, un EP contenente quattro tracce di altrettanti artisti. Da un lato Mario Più e Gigi D’Agostino, rispettivamente con una versione semistrumentale di “All I Need” (un possibile edit della Massive Mix?) e con la citata “All In One Night” presa dal descritto “Gin Lemon EP”, dall’altro Mauro Picotto e Ricky Le Roy, il primo con “Jump”, rivisitazione del marziale “Mig 29” di Mig 29, un classico hooveristico del 1991 tratto dal catalogo Pirate Records realizzato da Mauro ‘Pagany’ Aventino e Francesco Scandolari, il secondo con “Bridge”, riapparso poco tempo dopo col titolo “Speed” e modellato sulla falsariga dei successi dei B.B.E., “Seven Days And One Week” e “Flash”. Ai più attenti non passa inosservato il salto di parecchi numeri di catalogo, quasi una ventina (dal 25 al 43): ai tempi la Media Records spiega che la serie compresa tra il 1026 e il 1042 è destinata ad uso interno e non per dischi commercializzati ma in seguito emergerà una ragione più plausibile legata al fallimento del distributore, la Flying Records, a cui subentra temporaneamente la milanese Self. Sembra che il disallineamento del catalogo possa essere stato causato da quel passaggio ma non è dato sapere se ai diciassette numeri mancanti furono effettivamente attribuiti dei brani rimasti in archivio. Nei primi mesi dell’anno nei negozi arriva anche il nuovo di Saccoman, “Magic Moments”, ascritto a quel tipo di trance che il DJ programma come resident al Cocoricò di Riccione. A ruota segue Ricky Le Roy con “Speed”: se la Blond Angel Mix ha il tiro della hard house britannica sul modello di “Keep On Dancing” dei Perpetual Motion, la Sara Song Mix (già in circolazione col titolo “Bridge”, come annunciato poche righe sopra) batte più sul filone franco-teutonico con svirgolate acide e pause melodiche. Due i remix: quello techno di Francesco Farfa nascosto dietro Mr. Message, pseudonimo utilizzato poco tempo prima per lanciare la Audio Esperanto, e quello di Tony H chiamato Strobo Mix, presentato in anteprima nel suo programma del sabato notte su Radio DeeJay, “From Disco To Disco”, e costruito sullo stampo di “Black Alienation” che il compianto Zenith destina alla IST Records di Lenny Dee.

Mauro Picotto - Lizard
“Lizard”, il disco della svolta internazionale per Picotto e per la stessa BXR

La BXR naviga in una sorta di limbo: ormai la mediterranean progressive è un ricordo, per alcuni persino scomodo, ed urge scovare un nuovo filone da battere per tenere alto l’interesse. La svolta è dietro l’angolo ma nessuno lo sa ancora, incluso l’autore del brano che sancirà il “next step”, Mauro Picotto. L’accoglienza riservata alla sua “Lizard”, nella primavera del 1998, è piuttosto tiepida. Le quattro versioni racchiuse sul mix sono radicalmente diverse l’una dall’altra, ma una di esse risulterà determinante per gli sviluppi futuri, la Tea Mix, contraddistinta da un particolare disegno di basso (simile a quello della Explorer Version di “Dune” di Valez, Subway Records, 1994) la cui genesi viene raccontata dall’artista nel suo libro, “Vita Da DJ – From Heart To Techno” e che noi già svelammo, attraverso l’intervista al musicista Andrea Remondini, in Decadance Appendix nel 2012. L’effetto Larsen avvenuto al Joy’s di Mondovì genera una reazione euforica del pubblico e così Picotto, con l’aiuto del citato Remondini, cerca di riprodurlo in studio e il risultato lo si sente per l’appunto nella Tea Mix. La prima tiratura di “Lizard” passa inosservata ma l’indifferenza si trasforma in enorme curiosità quando, un paio di mesi più tardi, arrivano i remix. In particolare, come raccontato qui, è la Megavoices Mix, realizzata dallo stesso Picotto e sviluppata partendo dalla Tea Mix, a cambiare lo status quo. Con una stesura che sfiora i dieci minuti, la traccia si ripresenta in una formula più organica, arricchita da un sample vocale e una lunga pausa melodica centrale ispirata da “1998” dei Binary Finary e, forse, dal riff di “Prophecy” dei WW 3 (l’assonanza è particolarmente evidente nella Marathon Mix). Corre voce che a dare la spinta decisiva al brano sia stato Junior Vasquez dopo aver convinto John Creamer, l’A&R della Empire State Records (division della nota Eightball Records), a licenziarlo negli States. A ruota seguono Judge Jules, Graham Gold e soprattutto Pete Tong che lo inserisce in Essential Mix su BBC Radio 1 e che, poco tempo dopo, ribattezza Picotto con l’appellativo “The Lizard Man”. Il pezzo farà il giro del mondo aprendo una fase carrieristica dal sapore internazionale per il DJ piemontese. “Lizard” è anche il primo disco che BXR pubblica con un rebranding grafico, contraddistinto ancora dall’immagine del pianeta ma avvolto in una sorta di spirale ciclonica e che per qualche tempo viene utilizzato (in ordine randomico?) insieme al primo, in uso dal 1996. Titoli e crediti, come preannunciato nel precedente paragrafo, finiscono su un inserto cartaceo allegato.

Gigi D'Agostino - Elisir
“Elisir” di Gigi D’Agostino, un successo dell’estate 1998 che però “disarciona” la BXR dalla posizione legata a generi come progressive e trance

Con l’arrivo dell’estate escono due dischi dichiaratamente pop che seguono la strada aperta da “All I Need”, “Sexy Rhythm” di Mario Più, ispirata da “Your Love” dei canadesi Lime, ed “Elisir” di Gigi D’Agostino, interpretata in incognito da David Michael Johnson che per la Media Records ha già inciso alcuni brani tempo prima tra cui la cover di “I Say A Little Prayer”. Come emerso dai contenuti del “Gin Lemon EP” uscito negli ultimi mesi del 1997, D’Agostino è in cerca di un’evoluzione e la trova, come lui stesso afferma in un’intervista del settembre ’98, in una via di mezzo tra house e progressive, «sempre con sonorità energetiche ma senza ritmi troppo ossessivi. I tempi cambiano, le ore corrono e si è già arrivati al nuovo capitolo». A dirla tutta di progressive in “Elisir” resta poco e niente, in prima linea c’è la marcetta che prende le mosse dalla verve sampledelica di “Gin Lemon” e la parte vocale (con qualche similitudine che vola a “Closer” di Liquid) esplosa nel ritornello sorretto dal pianoforte, ma questo non è il piano imperante in stile “Children” di Robert Miles, è piuttosto un elemento coadiuvante che l’autore adopera, con la complicità del musicista Paolo Sandrini, per creare un nuovo standard della dance. La posizione da DJ attivo solo in club di settore forse inizia a stare stretta a D’Agostino, vuole una nuova collocazione nella scena ma soprattutto nel mercato discografico, e questo lo si intuisce sin dai tempi di “Music (An Echo Deep Inside)” che intende andare oltre l’inflazionata mediterranean progressive. Ora riesce a trovare la quadra con una formula alchemica inaspettata per i suoi fan più incalliti e destinata a gettare i semi della seconda ondata italodance, attesa dalle grandi platee generaliste dopo la parentesi del biennio ’96-’97. “Elisir”, licenziato in parecchi Paesi europei ma anche negli States dove la Tommy Boy lo pubblica col titolo “Your Love”, viene salutato con tripudio dalle radio ed anche dalle tv. Memorabile l’apparizione ad “Italia Unz” su Italia 1, in cui D’Agostino sceglie di starsene comodamente sdraiato su un materassino gonfiabile piuttosto che mimare imbarazzanti performance in playback, lasciando invece il compito a David Michael Johnson di occuparsi del (pare necessario) lip-sync. Quella di “Sexy Rhythm” ed “Elisir” è una doppietta, disponibile anche in formato CD, che garantisce ottimi risultati alla Media Records, specialmente in riferimento ad “Elisir”, ma che nel contempo lascia spiazzato chi pensa alla BXR come etichetta legata a soluzioni meno commerciali e più vicine alla progressive (prima) e trance (poi). Che fine hanno fatto gli intenti di sfondare la barriera del prevedibile formato canzone? C’è forse la necessità di tornare a formule più canoniche e tradizionali per mantenere viva l’attenzione del pubblico?

Una foto dell’autunno 1998 in cui si scorge l’ideogramma che Picotto si “tatua” sui capelli: da lì a breve il simbolo diventa un elemento identificativo della sua immagine

A diversificare l’offerta, tenendo un piede nella dimensione più appetibile ai club e al frangente internazionale, sono comunque Tony H con “Zoo Future” (la versione destinata alle radio, la Lion Mix, ricicla il riff di “Get The Balance Right!” dei Depeche Mode) e Bismark con “Street Festival”, pensato come colonna sonora dell’omonimo evento che si tiene a Roma domenica 21 giugno e il nome delle quattro versioni (Colosseum Mix, Fori Imperiali Mix, Piazza Venezia Mix, Circo Massimo Mix) non lascia adito a dubbi sul legame con la Città Eterna. Alla manifestazione, organizzata sul modello della berlinese Love Parade ideata quasi dieci anni prima da Dr. Motte e Danielle de Picciotto intervistata qui, partecipano decine di DJ che si alternano su consolle allestite su camion. La Media Records ha un proprio carro sul quale si esibiscono praticamente tutti gli artisti della scuderia. Quell’estate al debutto su BXR ci sono anche i fratelli Giorgio ed Andrea Prezioso ed Alessandro ‘Marvin’ Moschini con “I Wanna Rock”, un divertente cut-up pubblicato pure su CD (con la copertina curata da Tiberio Faedi) ottenuto incrociando su una trascinante base hard house le chitarre di “Should I Stay Or Should I Go?” dei Clash ed un frammento vocale di “It Takes Two” di Rob Base & DJ E-Z Rock. L’idea però non raccoglie consensi analogamente a “Burning Like Fire / The Pinzel” che i tre firmano Stop Talking su GFB poche settimane prima. La rivincita, come si vedrà avanti, arriva circa dodici mesi più tardi. Ad anticiparla è “Hardcat” che Giorgio Prezioso realizza con Picotto come Tom Cat ma su Underground. La tornata autunnale continua ad alternare pezzi di estrazione trance/hard trance ad altri crossover: si passa così da “Distant Planet” di Saccoman, adorato da Talla 2XLC, a “Unicorn” di Mario Più, da “Under The Sea” di Ricky Le Roy ai remix di “Zoo Future” di Tony H (tra cui quello dei tedeschi DuMonde prossimi all’affermazione mondiale), da “Honey” di Mauro Picotto, ricamato sul giro di “Two Tribes” dei Frankie Goes To Hollywood ed affiancato sul lato b dalla coriacea “Smile” con una risata beffarda, a “Cuba Libre” di Gigi D’Agostino, un’ossessiva marcetta (licenziata negli States dalla Jellybean Recordings di John “Jellybean” Benitez ma col nome Noise Maker) sincronizzata sui vocal di “Caught, Can We Get A Witness?” dei Public Enemy, già rispolverati con successo tempo prima dai Natural Born Chillers in “Rock The Funky Beat” in chiave drum n bass. A fine anno giunge “Spectra”, il primo col centrino su fondo verde e il pianeta irriconoscibile per la gradazione cromatica, con cui Mario Più e Mauro Picotto rinnovano il sodalizio e campionano la sezione ritmica di “Spastik” di Plastikman per innestare all’interno l’essenza del nuovo “BXR sound” che marchierà l’annata seguente.

Gigi D'Agostino - Bla Bla Bla
“Bla Bla Bla”, il primo successo messo a segno dalla BXR nel 1999

1999, verso ambiziosi obiettivi con hit internazionali e un nuovo logo
Per BXR il 1999 si apre all’insegna della neo eurodance di Mario Più Feat. More con “Run Away”: il DJ toscano continua ad alternare produzioni trance/hard trance ad altre di stampo prettamente pop come questa in cui, col tocco di Paolo Sandrini come arrangiatore, cerca di riagguantare l’essenza che ha fatto la fortuna dell’eurodance/italodance nostrana tra 1993 e 1994 con ovvi update del banco suoni e con l’esclusione del rap maschile a vantaggio di un’unica voce, quella femminile. Sul 12″ e sul CD singolo figura anche una versione di estrazione filo drum n bass, la Free Style Mix, forse pensata per il territorio britannico dove alcuni esperimenti simili, tipo quello di “Before Today” degli Everything But The Girl, destano particolare interesse. Il primo centro dell’anno, seppur in circolazione da diversi mesi (a dicembre ’98, quando è ancora privo di titolo, Picotto lo recensisce sulle pagine di DiscoiD definendolo «un pezzo che ha dell’incredibile»), è rappresentato da “Bla Bla Bla” di Gigi D’Agostino: edificato su una base simile a quella di “Elisir” e di “Cuba Libre”, la traccia diventa presto un autentico tormentone grazie al fulminante e ribaltante uso di un campionamento vocale tratto da “Why Did You Do It” degli Stretch, tagliato e montato a mo’ di filastrocca nonsense («l’ho realizzato pensando a tutta quella gente che parla tanto senza dir niente» dichiarerà poco tempo dopo l’autore, che in copertina vuole una massima del filosofo Voltaire). Il lato b è occupato per intero dalla Africanismo Mix di “Voyage”, poco più di quindici minuti trasognati e vissuti all’interno di uno shaker che frulla una particolare scansione ritmica che travalica i generi, a riprova della volontà di D’Agostino di dare costantemente una spinta in avanti alla sua musica. “Bla Bla Bla”, per cui viene realizzato un video-parodia de La Linea di Osvaldo Cavandoli, entra in dozzine di compilation e conquista il vertice di un numero imprecisato di classifiche. È il primo disco che BXR affida ad un nuovo distributore, la campana Global Net, lì dove lavora Daniele ‘Dany T’ Tramontano che a tal proposito rammenta: «Un mattino arrivarono in prima battuta diecimila copie di quel BXR e la sera ne erano rimaste forse appena cinquecento».

label variation
Due variazioni grafiche utilizzate dalla BXR tra 1998 e 1999

In primavera si ripresenta Mauro Picotto con “Pulsar”, un pezzo trance dedicato alla figlia primogenita Alessia che ricalca prevedibilmente lo schema di “Lizard” con l’aggiunta di un hook vocale che fa lo spelling del nome dello stesso artista. Tante le versioni approntate, due delle quali finite su un secondo 12″ codificato come Deeper Mixes. Nella stagione dei fiori si fanno risentire anche Bismark con gli affreschi melodici di “Parapapa”, e Tony H con “Sicilia…You Got It!”, che passa dalla tempestosa hard trance con tagli lavici acid della Etna Vulcan Mix alla ridente Taormina Mix, una specie di risposta a “Bla Bla Bla” che usa il campione vocale di “Ride The Pony” dei Peplab abbinato ad una linea melodica in stile “Profondo Rosso”. Curiosità: la Stromboli Mix viene pubblicata quasi contemporaneamente su Pirate Records ma con titolo ed autore differenti, “Mutation” di Pivot. Poco tempo dopo per la medesima etichetta Tony H realizza, con Picotto, “Venezia” di Venice, scandito da un fraseggio di violini che rilancia le atmosfere mediterranee di qualche anno prima. Riappare pure Saccoman con “The Bounce”: le due versioni sulla logo side, la Jumpin’ e la Pumpin’, girano sul classico disegno trance che il DJ veneto spinge in discoteca, mentre sulla info side trovano spazio la Surfin’, con una stesura ed evoluzione progressive che ricorda un classico di quattro anni prima, “Pleasure Voyage” di X-Form al quale abbiamo dedicato qui un articolo, e la Teain’ a firma Picotto, un incrocio tra la sua “Lizard”, un frammento di “Communication” di Mario Più di cui si parla più avanti, e le percussioni di “20Hz” di Capricorn. A ridosso dell’estate BXR prende in licenza per l’Italia “The Launch” dell’olandese DJ Jean, rivisitazione di “The Horn Song” di The Don del 1998 che funziona nei Paesi del Nord Europa ma che da noi fatica a spopolare seppur finisca in diverse compilation tra cui quella dedicata all’Energy mixata da Molella, e “Dream A Dream” dei Captain Jack, act hard dance di Colonia prodotto da Eric Sneo e remixato dai DuMonde. È tempo pure di una tripletta di remix, “Unicorn” di Mario Più, “Tunnel” di Ricky Le Roy e “Lizard” di Mauro Picotto che sbarca ufficialmente oltremanica attraverso la VC Recordings del gruppo Virgin. Proprio su “Lizard” mettono le mani il britannico Tall Paul, reduce dal successo di “Let Me Show You” di Camisra, e Gigi D’Agostino che disfa e ricostruisce il puzzle riciclando un frammento ritmico della sua “Elisir”. Proprio Picotto riporta in vita, per l’ultima volta, l’alter ego R.A.F. By Picotto per “America”, ennesimo derivato di “Lizard”. Sul lato b il remix di “Tuttincoro”, pubblicato a fine ’98 sulla Pirate Records e germogliato su “Leave In Silence” dei Depeche Mode.

Prezioso e Mario Più
Altre due hit annuali della BXR, “Tell Me Why” di Prezioso Feat. Marvin e “Communication” di Mario Più

Dopo il poco fortunato “I Wanna Rock”, i fratelli Prezioso si prendono la rivincita: accompagnati dalla voce di Marvin e con la collaborazione di Paolo Sandrini, incidono “Tell Me Why”, una hit dell’estate ’99 per cui viene girato un videoclip e che finisce al Festivalbar quell’anno presentato da Fiorello ed Alessia Marcuzzi. Nel pezzo i più attenti riconoscono due principali ispirazioni, la tastiera di “Talking In Your Sleep” dei Romantics e la strofa di “Family Man” di Mike Oldfield, ma quello dei Prezioso Feat. Marvin non è un collage figlio della sampledelia più macchinosa, sullo stile dei programmi radiofonici “blobbistici” di Giorgio, ma una canzone solare e perfetta per le platee delle megadiscoteche, non solo italiane a giudicare dal numero di licenze macinate in diversi Paesi del mondo. Va particolarmente bene in Svizzera, in Danimarca ma soprattutto in Austria e in Germania, piazzato rispettivamente in seconda e decima posizione della classifica di vendita. Proprio nella terra dei crauti i tre tengono parecchie serate ed apparizioni televisive come questa su RTL. Un’altra mina lasciata deflagrare dalla BXR nell’estate ’99 è “Communication” di Mario Più: colorita dal suono dell’interferenza del telefono cellulare, parallelamente usato dai Dual Band (Paolo Kighine e Francesco Zappalà) in “GSM” sulla modenese Stik, la traccia attinge (ancora) le forze dallo schema di “Lizard”, mietendo consensi grazie ad una potente dinamica del suono e rumorose rullate che fanno impazzire gli amanti dell’hard trance. Sul lato b figura “Hertz”, cover di un brano che Mario Più suona spesso nelle sue serate, “Pleasure” dei belgi The Squeakers pubblicato nel ’98 su etichetta Hertz. Il grande successo di “Communication” viene garantito però da un remix che giunge a distanza di qualche mese, quello realizzato oltremanica da Yomanda, scelto per sincronizzare il videoclip e sviluppato sulla base della More Mix. Il brano conquista il vertice della Top 40 Club Chart UK con circa 200.000 copie vendute, e l’autore viene ribattezzato “il Fatboy Slim italiano”. In autunno è tempo di una versione di Picotto firmata come Lizard Man. Parallelamente esce “Serendipity” con cui Mario Più rispolvera la melodia di “Showroom Dummies” dei Kraftwerk ed ufficializza la paternità del progetto DJ Arabesque, partito nel ’97 su etichetta Underground. Dopo i vari featuring per Mario Più, More (ex frontwoman dei T-Move Experience inizialmente nota come Jody Moore) incide il primo singolo da solista, “4 Ever With Me”. Il pezzo si inserisce in quella rosa di dance made in Italy al femminile interpretata da cantanti come Kim Lukas, Ann Lee o Neja. A fronte di ciò, il progetto traslocherà presto sulla division pop della BXR, la W/BXR, di cui si parla più avanti.

Mauro Picotto - Iguana
“Iguana”, il follow-up di “Lizard”, è una conferma per la carriera internazionale di Mauro Picotto

Se sino al 1998 il successo dell’etichetta è stato episodico ed occasionale, dal 1999 i trionfi diventano quasi sistematici. È il momento in cui la BXR catalizza l’attenzione della stampa internazionale che ne parla come squadra composta esclusivamente da DJ attivi nelle discoteche di settore e per questo particolarmente abili nell’intercettare i gusti del pubblico. «Abbiamo messo sotto contratto i più importanti disc jockey provenienti da differenti regioni italiane offrendo loro facoltà di produrre la musica che amano proporre durante le proprie serate» spiega Picotto in un articolo di Mark Dezzani pubblicato su Billboard il 12 giugno 1999. «Ci siamo accorti che esiste un grande mercato per la musica progressive/techno seppur le emittenti radiofoniche italiane, fatta eccezione per quelle specializzate, continuino a preferire house e pop dance» prosegue Bortolotti. «Abbiamo dunque deciso di alimentare e sviluppare ulteriormente questi generi più sperimentali e sfruttare internet per promuoverli anche se i software per scaricare illegalmente dalla Rete brani in formato MP3 metteranno presto in ginocchio il mondo della musica. Piuttosto che ignorare questa nuova realtà, però, useremo la tecnologia per portare online il nostro catalogo». Due le importanti novità autunnali: la prima riguarda il cambiamento di logo, con la X rossa in evidenza che manda definitivamente in soffitta le declinazioni grafiche precedenti, la seconda l’avvio di tre serie, Claxixx, Club e Superclub, rispettivamente contraddistinte dai colori bianco, nero ed argento e nate col fine di categorizzare in modo più accurato le pubblicazioni in base ai suoni e il pubblico di riferimento. Questa gradazione cromatica abbraccia inoltre le copertine generiche, sino a questo momento stampate in cinque colorazioni (rosso, nero, blu, giallo, celeste). Il primo ad essere interessato dal nuovo ordine/raggruppamento è “Iguana” di Mauro Picotto, follow-up di “Lizard” in cui l’autore torna ad utilizzare un sample vocale (preso da un live dei Kiss in cui la band esegue “Hotter Than Hell”) che ha già inserito nella sua prima produzione destinata alla Media Records, “We Gonna Get…” del 1991, ai tempi “ritagliato” da “Adrenalin” degli N-Joi. Sono svariate le versioni approntate tanto che nel complesso “Iguana” occupa tutte le serie, la Claxixx, la Club e la Superclub. Nel pacchetto è incluso anche un remix a firma Blank & Jones con cui i tedeschi ripagano la versione che Picotto realizza per la loro “After Love” uscita quasi in contemporanea. Il successo di “Iguana” tocca tutta l’Europa, in particolare la Germania dove resta per settimane al vertice delle classifiche di vendita. Viene prevedibilmente girato un videoclip diretto da Oliver Sommer e finito in high rotation su MTV, VIVA e tutte le principali tv musicali.

BXR Superclub apertura
Uno degli advertising con cui viene annunciata l’apertura del BXR Superclub, il 9 ottobre 1999

A consolidare ulteriormente la posizione, la promozione e la comunicazione di BXR, sono due progetti collaterali: uno su Italia Network, prossima a trasformarsi in RIN, chiamato Maximal, che porta in scena i DJ dell’etichetta con selezioni musicali in cui vengono palesate le coordinate dei brani selezionati, l’altro sul fronte discoteca con l’apertura, sabato 9 ottobre presso lo Shibuya di Rezzato, del BXR Superclub, il miglior palcoscenico che i DJ della Media Records potessero avere in quel momento, seppur rimanga in attività per appena una stagione (la serata di chiusura è del 20 maggio 2000). Maximal e il BXR Superclub veicolano in modo ferreo il suono del pianeta BXR, non più quello celeste del periodo mediterranean progressive bensì uno fiammeggiante rosso fuoco ben visibile sulla copertina del primo volume della “BXR Superclub Compilation”. Entrambe si rivelano presto come due straordinarie vetrine pubblicitarie in un periodo in cui il pubblico, o perlomeno quella parte di esso rappresentata dai fan più sfegatati, si emoziona e si sente fortunata ad ascoltare in anteprima i nuovi brani dei propri beniamini della consolle. Scommettendo su nomi nuovi anche a rischio di non centrare perfettamente l’obiettivo, la BXR mette a segno altre tre licenze, “Gouryella” dei Gouryella alias Tiësto e Ferry Corsten (dal catalogo Tsunami), il remix di “Madagascar” degli Art Of Trance (dal catalogo Platipus), e “The Day” di Lunatic House Sounds (dal catalogo DiKi Records, quella di Age Of Love di cui parliamo approfonditamente qui). Spazio anche agli artisti interni come Bismark con “Reactivate”, Massimo Cominotto con “Minimalistix” (il primo inciso per la BXR dopo un biennio vissuto su Underground), e Tony H con “Tagadà / www.tonyh.com”. «Il tagadà è una giostra techno con un movimento tipo centrifuga, e questo movimento mi fa pensare ad una rullata devastante con effetto energizzante sul corpo, lo stesso che il mio disco vuole ricreare» spiega l’autore ai tempi. «A “Tagadà” si aggiunge “www.tonyh.com”, proprio come il mio nuovo sito internet» conclude. Poi tocca a “Slave To The Rhythm”, cover dell’omonimo di Grace Jones realizzata dai PPK, progetto one shot nato sull’asse italo-britannico formato da Pete Pritchard, Mauro Picotto e Ben Keen alias BK (PPK è l’acronimo dei loro cognomi). Negli ultimi giorni dell’anno arriva infine “Arabian Pleasure” di Mario Più & Mauro Picotto, trance dolcemente immersa in atmosfere orientaleggianti rimarcate dalla grafica in copertina da cui affiorano i loghi degli autori.

Gigi D'Agostino - Tanzen
La copertina di “Tanzen” che nel ’99 apre il catalogo di W/BXR

Canalizzazioni tematiche per fare ordine
Il catalogo della BXR inizia a essere troppo eterogeneo: a produzioni di stampo progressive e trance se ne aggiungono altre prettamente pop ma tale sovrapposizione di mondi musicali, oltre a risultare dispersiva, disorienta i seguaci. Al fine di convogliare tutti quei pezzi dichiaratamente mainstream quindi, nel 1999 viene creata una “filiale” apposita, la W/BXR, partita col triplo “Tanzen” di Gigi D’Agostino che al suo interno raccoglie futuri successi (“The Riddle”, la strumentale “Passion” poi diventata “La Passion”, “Another Way”), nuove marcette ipnotiche à la “Cuba Libre” (“Acid”, “Movimento”, pubblicata l’anno prima su Underground e firmata come Noise Maker, “Coca & Havana”), rimembranze tranceoidi rilette a suo modo (“One Day”), una nuova versione di “Bla Bla Bla” intitolata Dark Mix, una sorta di remix della stessa, “A. A. A.”, realizzato da Mario Più e Ricky Effe, ed anche una hit mancata, “Star”. Per un anno circa la W/BXR raduna le ramificazioni della BXR destinate alle grandi masse generaliste, da “Let Me Stay” dei Prezioso Feat. Marvin ad “Around The World” di More passando per “Ritual Tibetan” dei Kaliya e le versioni vocali di “Techno Harmony” di Mario Più e di “Arabian Pleasure” di Mario Più & Mauro Picotto, quest’ultima interpretata dalla cantante algerina Amel Whaby. Dopo diciassette uscite, il progetto viene assorbito dalla ex Noise Maker ora NoiseMaker, riavviata con l’album “L’Amour Toujours” attraverso il quale D’Agostino si consacra a livello planetario radunando attorno a sé un oceano di supporter estatici, talvolta animati da una devozione ai limiti del fanatismo.

BXR Club, Gold, Sacrifice
I dischi inaugurali di BXR Club, BXR Gold e Sacrifice

Sempre del 1999 è una sottoetichetta di BXR chiamata BXR Club, nata con lo scopo di raccogliere le produzioni dal carattere più schiettamente clubby e con nessuna probabilità di fare crossover. A tagliare il nastro inaugurale è Gabry Fasano con “Jaiss Bangin'”, presto seguito da “Metempsicosi” di Ricky Le Roy (omonimo del gruppo di DJ a cui appartiene, fondato nella primavera del 1997), “Imperiale” di Mario Più & Mauro Picotto (con una pausa sonorizzata sulla melodia di “Merry Christmas Mr. Lawrence” di Ryuichi Sakamoto, dal film “Furyo”) e “Red Moon” ancora di Ricky Le Roy, che arriva a fine ’99 e chiude la breve parentesi rimpiazzata dalla categorizzazione distinta tra Claxixx, Club e Superclub di cui si è già detto sopra. Nell’estate del 2000 nasce la BXR Gold, espediente con cui la Media Records rimette in circolazione alcuni pezzi del repertorio BXR (ma non solo, qualcosa proviene dai cataloghi GFB ed Underground), organizzati in diversi EP che fanno felici i collezionisti seppur alla fine il progetto pecchi un po’ come esercizio autocelebrativo. Pochi mesi più tardi parte invece Sacrifice, etichetta che si colloca in posizione mediana tra Underground e BXR, sia per declinazione grafica che sonora. A marchiare la maggior parte delle pubblicazioni sono le lettere dell’alfabeto ellenico usate per siglare i nomi degli autori. A suggellare il tutto una linea di merchandising e l’apertura di branch sparse per l’Europa (Regno Unito, Germania, Benelux) che rappresentano un supporto valido ed utile per penetrare più capillarmente nei territori esteri.

Mauro Picotto - Pegasus
Sopra la copertina di “Pegasus”, sotto la foto da cui viene sviluppata la grafica

2000-2001, alla conquista del mondo con la supertechno
Uscita indenne dal temuto millennium bug, la BXR inizia il nuovo anno/secolo/millennio lanciando il sito web, che include anche un frequentatissimo forum, e riprendendo il discorso lasciato in sospeso a fine ’99 con “Arabian Pleasure” con canti esotici che fanno venire subito in mente dune, palmeti e qualche oasi. Adesso a marciare verso la calura desertica a bordo di un rullo compressore che fa il verso ai disegni di basso hi NRG di Bobby Orlando è Ricky Le Roy con “Tuareg”. Pronto probabilmente dall’autunno, esce in pieno inverno “Autumn” che dà avvio al progetto Lava, nato tra Italia e Germania dalla collaborazione tra Mauro Picotto, Riccardo Ferri e Tillmann Uhrmacher, DJ tedesco e noto speaker radiofonico su Sunshine Live dove conduce il programma Maximal, che divide solo l’omonimia con quello prima descritto e trasmesso da Italia Network. Come solista, Mauro Picotto sfodera “Pegasus”: la Tea Mix contiene ancora elementi lizardiani ma appare subito chiaro che il DJ si stia stancando di riciclare il basso “wuooom wuooom” ricavato da un vecchio BassStation Novation abbinato ad infinite rullate di snare, schema peraltro imitato da un numero sempre più consistente di competitor già dal 1998 (si sentano, ad esempio, “Enjoy” di Alex Castelli o “Zi-Muk” di CAP). La Superclub Mix di “Pegasus” difatti sposta il baricentro verso costrutti più intrisi di (hard)groovismo post millsiano, arricchito da una vena italo/europea. È uno dei primi brani con cui si inizia a parlare di supertechno, un nuovo filone che BXR, quell’anno premiata dalla rivista tedesca Raveline e corteggiatissima al Midem di Cannes e al Winter Music Conference di Miami, annuncia di seguire per scrollarsi di dosso il passato e restare fedele allo storico payoff della casa madre, “the sound of the future”. In copertina finisce l’elaborazione grafica di una foto scattata nei corridoi della Media Records da cui spicca il pittogramma asiatico giallo che Picotto si “tatua” all’altezza della tempia sinistra sin dall’autunno del ’98 e che diventa una vitale caratteristica della sua immagine pubblica nonché tag identificativa sulle copertine dei dischi. 

Mario Più - Techno Harmony
“Techno Harmony” conferma l’exploit internazionale di Mario Più

Analogamente a Massimo Cominotto, anche Joy Kitikonti approda su BXR dopo aver inciso svariati brani, pure sotto pseudonimi, su altre etichette del gruppo bortolottiano (Underground, GFB, Audio Esperanto). Il debutto sulla label, privo di botto ma solo posticipato di un anno circa, avviene attraverso “Agrimonyzer” in cui il DJ toscano fa sfoggio di numerose linee tambureggianti, retaggio delle esperienze giovanili come batterista. In particolare in una delle quattro versioni, la Hacker’s Mix, campiona il suono emesso dagli ormai obsoleti modem analogici a 56k, quella specie di telefonata non vocale che permetteva di entrare in Rete, un mondo che in quel momento inizia la corsa alla popolarizzazione su larga scala. Reduce dallo strepitoso successo oltremanica ottenuto con “Communication”, Mario Più appronta un follow-up mirato ad espandere la propria fanbase oltre i confini nazionali. In primavera è quindi la volta di “Techno Harmony”, una traccia nata in seno al fermento eurotrance che diventa canzone col titolo “My Love” grazie all’apporto vocale di Maurizio Agosti meglio noto come Principe Maurice, celebre performer del Cocoricò di Riccione. Come da copione, secondo una procedura in uso sin dai primi anni Novanta, la Media Records appronta un alto numero di versioni incise su vari 12″ e sul CD singolo. Gli sforzi vengono premiati, il brano vola alto nelle classifiche internazionali e conquista numerose licenze in primis nei Paesi chiave per la discografia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti.

Mauro Picotto - Komodo
Con “Komodo” Mauro Picotto chiude la trilogia dei rettili e tocca l’apice della popolarità

Non da meno è certamente Mauro Picotto con “Komodo”, con cui chiude la trilogia rettiliana iniziata (non intenzionalmente) nel ’98. Annunciato come “Komodo Dragon” e col featuring dei Deep Forest che sarebbe stato legittimato da un campionamento della loro “Sweet Lullaby”, il pezzo, descritto dalla stampa come una specie di medley tra trance e world music, viene poi commercializzato più semplicemente come “Komodo” e trainato da un videoclip ancora diretto da Oliver Sommer in cui Picotto veste i panni di un investigatore che indaga su una serie di morti sospette. Il testo scritto ex novo sulla melodia di “Sweet Lullaby” diventa “Save A Soul” usato come sottotitolo. Sul 7″ allegato al doppio mix che la BXR pubblica in primavera inoltrata figura “Come Together”, brano downtempo (praticamente un mix tra “Save A Soul” e “Komodo”) che riflette un lato inedito di Picotto legato alla musica lounge e chillout. È il momento in cui l’artista piemontese tocca l’apice commerciale della carriera, finendo nelle lineup di eventi dalla risonanza internazionale come MayDay, Love Parade, Time Warp, Gatecrasher, Atlantis ed Homelands, in club come il Twilo di New York, nella Top 100 DJs di DJ Mag (al 27esimo posto) e sul palco di Top Of The Pops dove non mima azioni su una consolle spenta, così come solitamente è costretto a fare chi viene dal mondo delle discoteche per sottostare agli stringati tempi televisivi. Senza ovviamente tralasciare la sfilza di remix già approntati per artisti del calibro di System F e Blank & Jones a cui ne seguono molti altri di cui si parla più avanti. In Germania è un vero trionfo dove “Komodo” vende circa 300.000 copie. Davvero tante le versioni sfornate negli studi in Via Martiri Della Libertà come quella di Megamind, nome che Picotto usa prima con ruolo di remixer e poi come artista a partire da “Listen To Me” dell’autunno ’98, e quella di Saccoman. Quest’ultimo riappare con “Metamorph”, ennesima escursione nella trance di matrice tedesca ma variata, nella Part One Mix, in qualcosa di diverso e meno prevedibile. È quella che alla Media Records chiamano supertechno, «un’ulteriore evoluzione della tech-house classica ma rivista nello stile BXR» dirà in merito Mauro Picotto qualche tempo dopo. All’esordio su BXR c’è anche Franchino, vocalist popolarissimo in Toscana in locali come Imperiale ed Insomnia. Anche per lui, come per Cominotto e Kitikonti, dopo un paio di anni di training su Underground e GFB, si aprono le porte marchiate dalla X rossa e ciò avviene con “Calor”, traccia senza troppe pretese costruita su una parte più solare, trainata da un basso in ottava, ed una più scura ma un po’ anonima.

Svariati i pezzi presi in licenza dall’estero: i remix di “Schall” – inclusi quelli di Pascal F.E.O.S. e Thomas P. Heckmann – di Elektrochemie LK alias Thomas Schumacher (nel ’98 già approdato su GFB con “When I Rock”, su segnalazione di Picotto), “Communication Part II” di Armin Van Buuren, “Oasis” di Y.O.M.C., cover dell’omonimo dei Paragliders uscito cinque anni prima e diventato uno dei dischi del repertorio BXR più quotati sul mercato collezionistico, “Something About U” di The Act, “Pussylovers” di DJ Balloon (con uno stralcio vocale preso dal film “From Dusk Till Dawn” del ’96), “Digital Dialogue” di Nick Sentience, i remix di “Don’t Laugh” di Winx tra cui uno a firma Mauro Picotto (all’opera anche su “Time To Burn” degli Storm, “See The Light” dei DuMonde e “Running” dei Tyrell Corp.), e quelli di “Science Fiction” di Taucher, un buon successo in Germania sul quale mettono le mani i Cosmic Gate e Mario Più. Proprio quest’ultimo, dopo aver ottenuto un discreto responso oltralpe con “Serendipity”, ci riprova come DJ Arabesque e fa centro grazie a “The Vision”, eurotrance a presa rapida che fa letteralmente il giro del mondo macinando decine di licenze ed affermandosi completamente nel 2001. Più contenuti i risultati di “Dolphin” di Gee Moore, il DJ del Bora Bora di Ibiza con cui il team della Media Records inizia a collaborare l’anno prima con “All Fat Boys Dancing” finito su Underground. Fedele alla linea trance è Bismark che con “Make A Dream” europeizza il suo suono e fa breccia nella Kontor Records che lo ripubblica in Germania col remix di Azzido Da Bass. Dopo diversi mesi di programmazione su Italia Network, Maximal si trasforma in una compilation. Il primo volume, affidato a Ricky Le Roy, include tra le altre “Happy” di Cominotto e “Year 2000” di Tony H, rimaste confinate al formato CD.

La supertechno targata BXR continua a propagarsi in autunno con “Species” del citato Cominotto («un “disco da viaggio” privo di ritornelli a guidare l’ascoltatore, crossover tra trance e techno con qualche occhiata alla Detroit anni Novanta» come lo descrive ai tempi l’autore) ed un paio di feroci 12″ di Picotto contenenti quattro tracce tratte dal suo primo album (“Underground / Baguette”, “Bug / Eclectic”) ma non indirizzate al frangente radiofonico. Il follow-up di “Komodo” infatti è “Proximus” in cui trova alloggio un campionamento tratto da “Adiemus” di Karl Jenkins e che gli italiani hanno facoltà di ascoltare in anteprima attraverso un servizio messo a punto da Omnitel che trasforma il telefono cellulare in un juke-box chiamando il numero 2552. Immancabile il videoclip che chiude la serie diretta da Oliver Sommer, iniziata con “Iguana” e proseguita con “Komodo”: come Alberto Beltrame scrive qui il 27 maggio 2020, «al regista viene commissionato il compito di narrare le vicende dell’investigatore Mauro Picotto e della sua sexy antagonista, la misteriosa donna dagli occhi di drago […], un’assassina seriale che (nel video di “Proximus”, nda) sembra essere diventata ancora più potente e sfuggente, ma l’investigatore riuscirà a trovarla alla fine di un inseguimento» (a bordo di una Ferrari, nda). Negli ultimi frame il colpo di scena, la donna si trasforma in iguana e gli occhi di Picotto diventano gli stessi della donna-lucertola. Le numerose versioni aiutano la diffusione del brano sul fronte estero, quello a cui BXR ormai sembra ambire in modo deciso e non a caso il 20 dicembre Picotto raccoglie diversi premi ai German Dance Awards tenutisi ad Amburgo.

Mario Più - Sfyflex
Dopo circa cento pubblicazioni, la BXR abbandona il payoff Noise Maker

Nel frattempo i DJ della label bresciana continuano a radunare migliaia di adepti provenienti da diverse regioni d’Italia ogni sabato notte. Un autentico nomadismo che si alimenta anche grazie a nastri doppiati a profusione sui quali si rinvengono tanti dei pezzi che vengono testati con diversi mesi d’anticipo rispetto alle date di uscita ufficiali. È il caso di Mario Più con “Sfyflex”, finito sul lato b dei remix di “Techno Harmony” (con cui BXR perde definitivamente il payoff Noise Maker, diventato il nome di un’altra etichetta della Media Records curata artisticamente da Gigi D’Agostino), e di “Matrix”, pubblicato insieme a “Morpheus” in cui riaffiorano elementi di “Tryouts For The Human Race” degli Sparks, prodotta da Giorgio Moroder nel 1979, gli stessi riportati in superficie da Trisco nella sua “Musak”. Proprio “Matrix” è dedicata all’omonimo club, prima ospitato presso il fiorentino Central Park e poi al Ritmodromo di Coccaglio, dove Mario Più e i colleghi del gruppo Metempsicosi si trasferiscono nell’autunno 2000 dopo la fine del sodalizio con l’Insomnia di Ponsacco. Negli ultimi mesi dell’anno escono in rapida sequenza “All The Way” di Ricky Le Roy, trainato da una base in stile “Kernkraft 400 (Remix) di Zombie Nation o “The Greatest DJ” di Lexy & K-Paul, “Ogni Pensiero / È Controllo” di Franchino, al lavoro su una serie di interpolazioni prese dal film “Matrix”, “Just A Moment” di Bismark e “Global Players (My Name Is Techno)” di Mr. X & Mr. Y (WestBam ed Afrika Islam), preso in licenza dalla berlinese Low Spirit ed impreziosito dal remix di Beroshima. A questi si aggiungono “Weltklang” firmato da una new entry proveniente dalla filiale tedesca della BXR capeggiata da Robin Ewald ovvero Marco Zaffarano, consolidato nome che vanta produzioni su Harthouse e due album sull’indimenticata MFS, e “Tenshi” dei Gouryella, che non riesce però a raccogliere gli stessi risultati ottenuti all’estero.

Il 2001 vede proseguire la marcia trionfale di Mauro Picotto, nuovamente sotto i riflettori con un altro estratto dall’album, “Like This Like That”, melodicamente derivato da “Blue Fear” di Armin del 1997. Il DJ originario di Cavour, un piccolo paesino in provincia di Torino, conquista per l’ennesima volta le classifiche di vendita d’oltralpe con licenze sparse in tutto il mondo. Il videoclip, trasmesso massivamente da VIVA, contribuisce alla popolarizzazione della sua immagine. A dirigerlo è ancora Oliver Sommer che, come scrive Alberto Beltrame nel già citato articolo del 2020, «si basa sul parallelismo per opposizione di due mondi in un bellissimo gioco sul bianco e nero. Gli unici elementi che possono far ricordare la video-serie (“Iguana”, “Komodo”, “Proximus”, nda) sono l’intro e l’outro alla James Bond, potenzialmente leggibili come un vago richiamo all’investigatore Picotto ed alle sue avventure». È un momento propizio anche per Mario Più che torna con l’album “Vision”, una raccolta dei suoi maggiori successi con qualche anticipazione su ciò che avverrà nei mesi a venire come “Love Game”, ancora interpretato da Principe Maurice. Ispirato da “Back To Earth” di Yves Deruyter è Saccoman che riappare con “The Recall” seguito da Franchino e la sua “Magia Technologika” in cui rivivono fraseggi quasi mediterranean progressive. “Spring Time (Let Yourself Go)” è il follow-up di Lava che il compianto Tillmann Uhrmacher produce ancora con Picotto e il fido Riccardo Ferri. Dall’estero arrivano l’irlandese Darren Flynn, il britannico Simon Foy e l’elvetico DJ Pure, rispettivamente con “Spirit Of Sp@ce”, “Insideout” e “My Definition”, tutti in stile trance.

Joy Kitikonti - Joyenergizer
“Joyenergizer” porta il nome di Joy Kitikonti all’attenzione del grande pubblico

Su “My Definition” mette le grinfie, come remixer, Joy Kitikonti che si ripresenta con “Joyenergizer”, una traccia sviluppata, come lui stesso racconta qui, «partendo da una kick ottenuta col sintetizzatore Access Virus A, poi lavorata con LFO e processata attraverso vari plugin durante la costruzione su Logic». La Psico Mix travolge e stravolge con un’effettistica strisciante e liquefatta, particolarmente efficace nei break. Senza ombra di dubbio è la matrice del suono a fare la differenza e a giocare sull’unicità. Diversamente dalle sue precedenti produzioni, questa entra in classifica di vendita e ciò impone la realizzazione di un videoclip girato ad Ibiza.

Mentre Kitikonti dà alle stampe un pezzo capace di abbracciare un pubblico più eterogeneo e trasversale, Picotto (che ritocca “Joyenergizer” in un remix madido di sudore) prende qualche distanza dal mondo delle hit a presa rapida orientate alle radio e al pubblico generalista convogliando nel “Metamorphose EP” cinque tracce incise su un doppio mix pensate e destinate ai soli club. Allineati all’hardgroove che vive un momento particolarmente galvanizzante, i pezzi del piemontese mescolano tribalismi demolitori di scuola millsiana (“Prendi & Scappa”, “Wake Up”) a svirgolate di techno frammista ad affilate linee di sintetizzatore sullo stile dello sloveno Umek (“Verdi”, “Kebab”) passando per un intro ambientale beatless (“Luna“). 

Picotto - Metamorphose Awesome
Con “Metamorphose EP” e “Awesome!!!” Mauro Picotto inizia a prendere le distanze dal collaudato schema delle sue hit più popolari

«Ora preferisco fare dischi con più sound e meno melodia» dichiara l’artista pochi mesi prima dell’uscita dell’EP in un’intervista di Riccardo Sada pubblicata a febbraio. «So che così facendo perderò una buona fetta di mercato, magari quello italiano, ma probabilmente potrò conquistarne tanti altri. In Germania il vento soffia a mio favore così come nel Regno Unito e ad Ibiza che è una cosa a sé rispetto alla Spagna». Picotto ormai è nel gotha del DJing mondiale, vede riconfermare la propria presenza nella Top 100 DJs del magazine britannico DJ Mag in ottava piazza (posizione più alta in assoluto sinora conquistata da un italiano) e fa da apripista a colleghi che militano con lui tra le fila della BXR ossia Mario Più (54esimo) e Gigi D’Agostino (98esimo). Poi è la volta di Cominotto con “Trouble”, «una produzione in cui credo molto dopo aver visto gli effetti in locali tipo Cocoricò, Red Zone, Alter Ego e Supalova» come afferma lo stesso autore che aggiunge: «all’interno c’è una versione sfacciatamente tech-house, neologismo che tra le ilarità generali uso da qualche anno e che casualmente oggi rappresenta il crossover più seguito, non certamente per merito mio ma in questa porca Italia sono stato tra i primi a crederci». Seguono Ricky Le Roy con “Dancer” e Bismark con “Triplet”, entrambi con lo shuffle applicato alla batteria in memoria di un successo tedesco di qualche tempo prima, “The Darkside” di Hypetraxx. Accolti su BXR, dopo un “praticantato” su Underground, sono Sandro Vibot con “Everyday”, Zicky (ormai non più “Il Giullare”) con “Follow Me” e Fabio MC con “Mimic”. Lasciandosi alle spalle la comparsata del ’99 sulla effimera BXR Club, riappare pure Gabry Fasano: il “cacciabombardiere” del Jaiss, così come lo chiamano affettuosamente i fan, firma una doppia a side racchiusa in una cornice sonora dai tratti impetuosi e che trasuda energia, “Catapulta”, con un frammento ritmico carpito da un EP di Christian Fischer su Statik Entertainment del ’99 opportunamente velocizzato, e “Ringmo”, che si avvicina alla scuola di Chris Liebing. Attratti dalle manipolazioni del beat sono pure Mario Più, che in “Ayers Rock” inserisce il suono di un didgeridoo, ed Athos Botti, semplicemente noto come Athos, con l’incalzante “Infect”.

In autunno tornano l’ibizenco Gee Moore col percussivo “G-Tribe”, Bismark con “Primitive Love” e Saccoman con “Revelation” mentre Mario Più e Fabio MC (che su Underground danno avvio al progetto TK 401) firmano “Invaders / Away”. In solitaria invece Mario Più realizza “Sensation”, altro estratto dall’album “Vision” in chiave smaccatamente trance. Menzione a parte merita il secondo doppio mix dato alle stampe da Mauro Picotto, “Awesome!!!”, naturale prosieguo al “Metamorphose EP” di pochi mesi prima. Appare sempre più evidente come al DJ inizi a stare stretto il ruolo da coordinatore dell’etichetta e che soprattutto sia stanco di confezionare follow-up standard per accontentare le richieste del mercato discografico più mainstream. Non è certamente un caso che nessuna delle sei tracce incluse (tra cui “Cyberfood”, “Hong Kong” e “Bangkok”) attinga elementi dalle sue hit nazionalpopolari. A cambiare, oltre ai suoni, sono le stesure e soprattutto il mood. «Avevo saturato il mio gusto commerciale ed avvertii la necessità di compensarlo con qualcosa di più club» dirà lui stesso qualche mese più tardi. Picotto cerca nuove strade per rivoluzionare la sua carriera e le trova. Il cambiamento radicale arriverà alla fine del 2002.

“Gula-Matari” è l’ennesimo dei dischi con cui Cominotto traduce il suo spirito eclettico da DJ

2002, i primi scricchiolii
Massimo Cominotto è tra i DJ della scuderia BXR a saper resistere al richiamo della popolarità generalista. «Ci fu una corsa a chi faceva canzonette orecchiabili ma io non ne sono stato capace oppure, più semplicemente, non mi interessava comporle» dichiara in questa intervista del 2020. Alla sua fermezza da DJ si somma quindi la coerenza stilistica delle produzioni discografiche a cui ora si aggiunge “Gula-Matari”. Da un lato la Techno Mix che arde in loop circolari, dall’altro la Funky Mix che sovverte il rodato schema sonoro dell’etichetta bresciana con patchwork di micro sample fusion (presi da “Gula Matari” di Quincy Jones) inchiodati su un sostenuto pianale ritmico. «Vorrei vedere la faccia dei technofili mentre ascoltano fiati, chitarre wah wah e voci femminili» ironizza l’autore ai tempi dell’uscita. Più canonico invece il carattere che Ricky Le Roy infonde in “One Day”, tra suoni cristallini in cascata e aggressività hardgroove, la stessa che qualifica pure il “Percutor EP” di Fabio MC trainato dal pezzo “Klaude”. Ascritto al comparto techno groovy è anche Marco Zaffarano con “Re-Take” che sul lato b vede il remix di “Playback” a firma Picotto con inserti latini in scia a vari successi internazionali di quel periodo realizzati da artisti come Tomaz vs. Filterheadz, Cristian Varela o Renato Cohen. Fedelmente ancorato alla trance resta invece Bismark con la sua “E.R.K.”, ed è trance anche quella di “Like A Dream” del tedesco Andy Jay Powell, arricchita da un remix degli RMB (proprio quelli di “Universe Of Love” di cui parliamo dettagliatamente qui), e di “Believe Me”, quinto brano che Mario Più firma come DJ Arabesque. Retrogusto inaspettatamente house/disco invece per Franchino che ritorna con “Ficha No Caixa”, una specie di french touch velocizzato ai confini con apparati technoidi, segno della fusione tra mondi musicali che avviene nei primi anni Duemila quando la distanza tra house e techno diventa sempre più labile o si azzera del tutto.

Dopo diverse esperienze consumate su Underground, sbarca su BXR come artista anche Riccardo Ferri alias Ricky Effe, collaboratore di vecchia data di Media Records e fedele spalla di Mauro Picotto. Le due tracce solcate sul 12″, “Rectifier” e “Trythis”, occhieggiano all’hardgroove teutonica, la medesima con cui Picotto sta progressivamente sostituendo la formula techno trance, oggetto di un’evidente inflazione, ma non prima di lanciare i remix 2002 di “Pulsar” (tra cui uno a firma Tiësto ma stranamente ora escluso dalla pubblicazione italiana) e soprattutto “Back To Cali”, riverberato da un remix dell’infaticabile Push, tra gli artisti chiave della Bonzai. Col follow-up “Joydontstop”, costruito sul giro portante della citata “Schall” di Elektrochemie LK e per cui viene approntato un videoclip, Joy Kitikonti prova a bissare il successo di “Joyenergizer” ma raccogliendo solo parzialmente i risultati attesi mentre Athos campiona le voci da una puntata della serie televisiva “South Park” per “Oh My God!!!” che si afferma nel circuito dei club. Saccoman ritorna con “Deep In The Woods”, Zicky con “Yeah Man Bomboclat”, Fabio MC con “Prisma EP” e Bismark con “Fluid” ma qualcosa nel BXR Sound comincia a mutare. Se da un lato la costante vocazione all’europeizzazione (quell’anno la Media Records inaugura le filiali iberiche e scandinave) rende i prodotti appetibili sul fronte internazionale, dall’altro tende ad allinearli troppo ad uno standard che gioca a svantaggio dell’identità. Alcune nuove uscite, come “Into The Blue” di Saccoman o “Kiss Me” di Ricky Le Roy ad esempio, non lasciano il segno, tuttavia la spinta ottenuta nelle annate precedenti è talmente forte da non incrinare del tutto gli equilibri. Nella Top 100 DJs di DJ Mag infatti Picotto è 14esimo, Mario Più 82esimo e Joy Kitikonti 91esimo.

Mentre il tenace Cominotto continua ad incidere ciò che più gli aggrada (“Iron Butterfly”) senza preoccuparsi di trovare il modo per penetrare nelle classifiche di vendita, Bismark produce a quattro mani “The Theme Of Sphere” con lo svizzero Philippe Rochard. Alla brigata si aggiunge poi Angelo Pandolfi che come Pan Project firma “L’Amour Pour La Musique” ed “NRG”, due brani influenzati dallo stile di Gigi D’Agostino che però dividono poco e niente con la linea intrapresa dalla BXR, e a dirla tutta anche la resurrezione di “U Got 2 Know” dei Cappella, attraverso i remix di R.A.F. e Joy Kitikonti, non pare proprio una mossa azzeccata. Decisamente più pertinenti risultano “Capsule / Random” di Trasponder, secondo (ed ultimo) atto del progetto messo su l’anno prima da Gabry Fasano e Riccardo Ferri su Underground, “Flair / Return Of Memory” di Fabio MC (“Return Of Memory”, in particolare, è una piroetta nel suono belga della Bonzai, con rimandi a “Synthetic Apocalypse” dei Musix) e “96 Street” di Sandro Vibot. Una deviazione hard house, sullo stile di Sharp Boys, Tony De Vit, Malcolm Duffy ed Alan Thompson, viene presa grazie a Pagano, fattosi notare con alcune pubblicazioni sulla Fragile Records (etichetta del gruppo Arsenic Sound di Paolino Nobile intervistato qui) quell’anno nominato A&R della Nukleuz Italy: prima con “Work It”, realizzata con Marco ‘Maico’ Piraccini, e poi con “(You Better Not) Return To Me” (ripescando frammenti vocali di “Return To Me” di Fits Of Gloom, Baia Degli Angeli, 1994), il DJ nativo di Catania tenta di aprire nuovi spiragli nel mercato estero, in primis quello britannico dove il filone hard house vive uno spiccato fermento.

Above & Beyond - Far From In Love
“Far From In Love” di Above & Beyond, tra i primi 12″ attraverso cui filtra la nuova veste grafica della BXR

In autunno arrivano due licenze, “Ligaya” di Gouryella, nel frattempo diventato progetto solista di Ferry Corsten, e “Far From In Love” del trio Above & Beyond, oggetto di forti interessi nell’Europa centrale ma praticamente ignorati da noi. Sono tra i primi dischi con cui BXR rinnova ancora il layout grafico, minimalizzato e spinto verso il bicromatismo bianco/nero già adoperato da qualche anno per Underground e Sacrifice. La notizia che chiude il 2002 intristendo migliaia di fan è quella dell’abbandono di Mauro Picotto che lascia l’etichetta di Bortolotti dopo undici anni. «La Media Records è stato il mio primo sogno realizzato con successo» dichiara nell’intervista rilasciata allo scrivente pubblicata a dicembre, la prima in cui annuncia pubblicamente la decisione. «La scelta di lasciare è legata agli impegni e soprattutto ai miei sogni, e lo dico in modo chiaro perché vorrei che non venisse fuori nessuna storia strampalata o riportata in modo traviato. L’ultimo anno mi ha visto parecchio impegnato in giro per il mondo come DJ e questo mi ha portato, inevitabilmente, a trascurare gli studi di registrazione. Perché quindi continuare ad essere responsabile di un prodotto se non posso più controllarne la qualità? Così ho maturato la decisione di lasciare e per me è stata una cosa naturale, ho bisogno di obiettivi e stimoli nuovi. Per quanto riguarda le produzioni, continuerò a seguire il mio istinto, come ho sempre fatto. Farò quello che mi pare a seconda del mio umore e soprattutto senza vincoli, perché vorrei decidere in autonomia la data di pubblicazione di un nuovo brano. “Back To Cali”, ad esempio, è uscito ad un anno dalla sua produzione, quando ormai non era più in linea con ciò che proponevo nei miei set da DJ. Insomma, vorrei condividere le cose col mio pubblico nel momento in cui emozionano anche me e non vederle bloccate dalle leggi di mercato delle varie aziende». Per l’occasione Picotto spiega anche le ragioni che lo allontanano dalla trance da classifica e lo fanno uscire dalla comfort zone: «Mi sembra che nella trance non ci siano grandi novità e non ho più voglia di produrre brani in stile “Lizard”. Preferisco piuttosto rischiare e cercare cose nuove, non amo ripetermi eccessivamente. Talvolta i cambiamenti sono stimolanti e permettono di vedere nuove frontiere. Attenzione però, non sto rinnegando il mio recente passato. Sarò sempre legato a “Lizard”, che ho suonato per la prima volta su un acetato domenica 7 dicembre 1997 all’Ultimo Impero di Airasca e che, a mio avviso, ha aperto le porte ad uno stile musicale e rimarrà una pietra miliare. Il fatto che in Italia non venne presa in considerazione dai network radiofonici è stata la sua fortuna: essendo una club hit, ha visto allungarsi la vita più del doppio rispetto ai classici successi trasmessi in FM». L’occasione è giusta pure per fare dei paragoni con l’estero: «Musicalmente i club europei non hanno nulla a che vedere con la maggior parte di quelli italiani anche perché non vengono influenzati dai network. All’estero inoltre i palinsesti delle emittenti radiofoniche includono programmi tematici che accrescono l’informazione musicale del pubblico ed influiscono positivamente sulle vendite dei dischi. Tante produzioni che sono in classifica da noi invece non vengono minimamente prese in considerazione oltre le Alpi. […]. Il successo di questi anni mi ha portato un ricco bottino di soddisfazioni e sono fiero di essere stato il primo e sinora l’unico italiano ad aver solcato l’ambita soglia della top 10 della classifica annuale di DJ Mag. Non che sia così determinante nella vita di un DJ, sia chiaro, ma una certa visibilità non guasta mai. Adesso inizio a sentirmi appagato delle tante fatiche spese ad inizio carriera quando qualcuno, tra i colleghi, rideva dei miei sogni».

2003, il primo anno post Picotto
Il 2003 consegna una BXR con evidenti differenze rispetto a quella che il grande pubblico ha conosciuto negli anni precedenti, a partire dalla nuova impostazione grafica che minimalizza il logo ora ridotto alla sola X sino alla scuderia artistica che inizia a disgregarsi. Alcune partenze però sono presto rimpiazzate con nuovi arrivi. Attraverso “Trip On The Moon / M.I.R.” ed “Elektronic Atmosphere”, ad esempio, debuttano rispettivamente Paola Peroni, che già collabora con Media Records una decina di anni prima, e il DJ bresciano Giovanni Pasquariello alias Exile. A pochi mesi di distanza dall’esordio riappare Pagano con la doppia a side “Packet Of Peace” (cover dell’omonimo dei Lionrock, portato in Italia esattamente un decennio prima proprio attraverso una delle etichette della Media Records, la GFB) / “Blade“, e viene accolto l’olandese Marco V con “Simulated”, su licenza ID&T. Riconfermate le presenze del capitolino Bismark con “In My Heart” e del livornese Mario Più con “Devotion” contenente “C’era Una Volta Il West”, cover dell’omonimo di Ennio Morricone per cui viene girato un videoclip a Bormio, in montagna, sullo sfondo di un paesaggio innevato.

Mario Più e Joy Kitikonti in una foto del 2003, anno in cui diventano gli A&R della BXR

I prescelti per guidare la BXR post picottiana sono Mario Più e Joy Kitikonti che prima realizzano “Strance” firmata con gli pseudonimi DJ Arabesque e Jakyro e poi producono “Mossaic” del DJ colombiano Moss, approdato su Underground nel 2001 con “Bogotá Experiences”, e “Light My Fire” come Rocktronic Orchestra, cover dell’evergreen dei Doors. Saranno sempre loro due, uniti in parallelo come MariKit, gli artefici di gran parte delle versioni remix apparse durante l’annata su BXR. La linea stilistica predominante di questa fase è divisa tra trance/hard trance ed hardgroove, come attestano la nuova licenza per Marco V (“C:\del*.mp3 / Solarize”), “Freedom” di Ricky Le Roy, “Roraima / Logic Guitar” di Mario Più ed “Harem” di Paola Peroni, che tanto ammicca alla techno latina di cui si è già detto sopra. Il cremonese Eros Ongari alias Ronnie Play appronta “It’s Time To Dance”, una specie di rilettura italica dell’electroclash costruita sul giro di accordi di “Fade To Grey” dei Visage, Fabio MC staziona sul segmento hardgroove con la doppietta “Impact / Zelig” e “Priority / Reality”, Kitikonti prova ancora a sfruttare la scia di “Joyenergizer” con “Pornojoy”, trascinato in tv da un videoclip ispirato dai film erotici degli anni Settanta e per questo censurato a causa di contenuti considerati troppo espliciti, e Gee Moore si rifà vivo con “Slam Dunk Funk”. Sul fronte licenze tocca all’argentino DJ Dero (quello di “Batucada” e “La Campana”) con “Revolution 07”, scovato da Kitikonti e con remix annesso di Robbie Rivera, e ai tedeschi Tube-Tech con un’altra cover dei Doors di Jim Morrison, “The End”, arricchita dal remix dei Vanguard reduci dal successo ottenuto poco tempo prima col remake di “Flash” dei Queen.

Della BXR «che guardava avanti e che prende spunto dai DJ che suonavano musica diversa lasciando spazio alla creatività, senza supervisioni dei capi», come la descrive Bismark in un’intervista pubblicata a gennaio 2003, resta ormai ben poco. In autunno arrivano gli Spolvet (Andrea Vettori e Niccolò Spolveri) con “Rock The Sun”, in posizione mediana tra hardgroove ed hard trance, Joman (una delle tante impersonificazioni di Joy Kitikonti) con “Tronic Toys”, Zicky con “The Party Goes On” e i Kiper (Joy Ki-tikonti e Paola Per-oni) con “The Land Of Freedom”. A chiudere è “Incanto Per Ginevra” di Mario Più, dedicata alla nascita della figlia Ginevra immortalata in copertina. Nel frattempo Picotto e l’inseparabile Riccardo Ferri approdano alla britannica Primate Recordings con “Alchemist EP” trainato da “New Time New Place”: il doppio mix vende oltre dodicimila copie ma non genera introiti economici a causa del fallimento del distributore, la Prime Distribution. Picotto però non demorde e vara la sua personale etichetta, la Alchemy, inaugurandola con “Playing Footsie / Amazing” e sulla quale ospiterà alcuni artisti che lo seguono dopo l’abbandono della BXR ossia Massimo Cominotto, Gabry Fasano e il prematuramente scomparso Athos.

2004-2005-2006, gli ultimi anni di attività
L’inizio del nuovo millennio è nefasto per la discografia mondiale. Innumerevoli etichette indipendenti chiudono battenti sopraffatte dalla pirateria e dalla crisi che sembra non conoscere fine. L’atteso salto nel futuro che avrebbe garantito il 2000 in realtà riserva solo strade in salita e prospettive tutt’altro che rosee: le soglie di vendita di pochi anni prima («numeri notevoli sia in Italia che all’estero, che partivano da ventimila copie o giù di lì per nomi tipo Picotto, Più o Kitikonti» rammenta ancora Daniele Tramontano della Global Net in relazione a BXR) si assottigliano sensibilmente, la maggior parte dei distributori fallisce e l’invasione di nuovi equipment digitali sferra il colpo di grazia al mercato del disco in vinile, ridotto ormai ad una nicchia di utenza sempre più esigua. A tutto ciò si aggiunge l’introduzione dell’euro, un cambiamento epocale che mette a dura prova il potere di acquisto di chi, in Italia, continua a credere nel supporto analogico. La Media Records non esce indenne da questa “tempesta”, nonostante fosse preparata ed avvezza da anni alle nuove forme di fruizione della musica, e l’allontanamento di Gianfranco Bortolotti, ormai impegnato come architetto, e l’attività ridimensionata della BXR e di tutte le etichette del gruppo ne sono palesi testimonianze.

Mario Più - Champ Elisées
Con “Champ Elisées” Mario Più tenta di tornare al grande successo

Il senso di confusione e smarrimento sul versante stilistico non aiuta di certo gli A&R della label, disorientati come tanti di fronte a repentini mutamenti che vedono crollare tutte le vecchie certezze. «I DJ che suonano house si sono appropriati di sonorità techno, progressive ed elettroniche» dichiara Mario Più in un’intervista rilasciata a Riccardo Sada ad aprile 2004. Ed aggiunge: «C’è stato un notevole avvicinamento dei generi. Io stesso adesso posso esibirmi in locali house perché propongo un suono meno “duro”». Proprio Mario Più incide prima l’anonimo “Green Day EP” e poi “Champ Elisées” in compagnia di Gare Mat K, con cui prova a rilanciarsi nel mainstream abbracciando il mondo electro house che pare la tendenza più importante del momento. Il brano, immerso in atmosfere piuttosto malinconiche ed annunciato come primo singolo del nuovo album “From Dusk Till Dawn” rimasto nel cassetto sino al 2015, è interpretato vocalmente da una certa Catalina B. ed è imperniato su un giro di chitarra che fa il verso a quello di “A Forest” dei Cure. Exile ritorna con “Tragic Error…”, in balia di una techno frammista ad elementi elettronici, Ronnie Play ci riprova con “Walking On The Sunshine”, electro house un filo maldestra e grossolana con qualche propaggine rockeggiante, mentre Franchino (con la K nel nome al posto della ch) si ripresenta con “Solidão”, trance dai riflessi mediterranei forse composta pensando ai bei tempi che furono.

Spazio anche al team dei Trilogy con “Navaho”, che a seconda della versione imbocca sentieri progressive house ed electro house, e ad un paio di licenze estere, “White Scale” dei Subnerve (uscito originariamente nel 1996) e “One Way Out” di Niels Van Gogh col remix di Martin Eyerer che da lì a breve fonda la Kling Klong. A mitigare il proprio apparato stilistico è persino un integralista della techno, Fabio MC, in “Tridonic / Meteor-A”, composte ancora con Simone Pancani. I fasti della BXR ormai sono lontani. A rammentarli è “Iguana” di Mauro Picotto che riappare attraverso due versioni, A Different Starting Mix e il remix del giapponese Yoji Biomehanika che precipita in pozzi hardstyle. Nel corso dell’anno anche Mario Più lascia la Media Records per fondare la sua etichetta, la Fahrenheit Music, nonostante dichiari, in un’intervista pubblicata ad aprile, di non avere alcuna intenzione di mettersi in proprio: «Non andrei molto lontano, specialmente in questo periodo, e non avrei ragione di farlo perché in Media Records mi trovo benissimo, da una struttura così solida e consolidata ho tutto il supporto che mi serve». Per BXR il destino è ormai segnato. Ad inizio 2005 esce “Pulsar 2K5” di Mauro Picotto, ennesimo tentativo di tenere a galla un transatlantico che si sta inesorabilmente inabissando. In copertina si fa riferimento a due “unreleased mix” mai pubblicati in Italia ma che i fan conoscono bene, la Megavoices Mix e il remix di Tiësto. A tirare il sipario è Joy Kitikonti, prima insieme a Cristian Vecchio per il “Finally EP” e poi con Joys Audino per “Started”, nel segno dell’electro house.

BXR last logo
Il logo, il quinto, con cui la BXR riappare nel 2017

2017, un’effimera ripartenza
Tra le etichette che Gianfranco Bortolotti prova a lanciare e rilanciare a partire dal 2015 col gruppo Media Records EVO, oltre ad Underground, UMM ed Heartbeat, c’è anche la BXR, affidata all’A&R Philipp Kieser e marchiata con un nuovo logo. L’idea prende corpo ad inizio del 2016 ma bisogna attendere febbraio dell’anno successivo per vederla concretizzata attraverso la pubblicazione del “No Mercy EP” di 6470 alias Davide Piras. Il 12″ raduna quattro brani (“Our Cognitive Dissonance”, “No Mercy”, “Introspection”, “September 10”) affini alla techno ormai definitivamente sdoganata nel mainstream e richiesta nei circuiti EDM. A giugno segue, questa volta solo in formato digitale, “Mapping A Messiah EP” del bulgaro Ghost303 alias Ivan Shopov, ulteriore tentativo di salire sul treno in corsa di quella techno di cantiere drumcodiano adorata da folle oceaniche ma vacua sotto il profilo delle sollecitazioni creative. Si parla di una possibile terza uscita che avrebbe contato sulle jam session registrate in studio da Kieser, Piras e Shopov, ma il progetto non va in porto. L’altoatesino Kieser, in un comunicato stampa diramato a febbraio 2016, dichiara che il suo intento non è quello di limitarsi ad una strategia copia-incolla: «Ci lanceremo sulla scena con un sound autentico e totalmente all’avanguardia. Punteremo anche su facce nuove e nuovi talenti». Bortolotti aggiunge: «Nuovo A&R, nuovo vestito, nuova strategia, nuovo sound. BXR, come un caccia in ricognizione, sarà affiancata da due label, una alla sua sinistra, la Underground, l’altra alla sua destra, la Divergent, e come per UMM, sarà ricerca e stile orientati verso i clubgoer. Sarà dark, essenziale e culturalmente evocativa. Sara la mia anima. Essere, non esserci, è il suo destino».

Claxixx
Insieme a BXR si ripresenta anche Claxixx, questa volta come etichetta e non serie

Dell’annunciata futuretechno però, che avrebbe dovuto raccogliere il testimone della mediterranean progressive e della supertechno, non resta niente se non un’idea dall’esito caduco. Contestualmente alla temporanea riapparizione di BXR si segnala pure la nascita, a settembre del 2017, della Claxixx, contenitore che utilizza il medesimo nome di una delle serie della BXR con la finalità di rilanciare nuove versioni di classici tratti dal catalogo della Media Records, analogamente a quanto avviene su EDMedia. Alla fine il progetto si arena sul nascere col remix di “Tuareg” di Ricky Le Roy realizzato dal greco George V a cui fa seguito un inedito di Nicola Maddaloni intitolato “L-R”.

Rimasta operativa per circa dodici anni, la BXR lascia un’eredità importante, sia sotto il profilo manageriale per metodo di lavoro, creatività e capacità progettuale, sia sotto quello strettamente musicale raccolta da tantissimi fan sparsi per il mondo. L’alta tiratura e l’ampia disponibilità, fatta qualche eccezione, non la ha (ancora) trasformata in una label appetibile sul fronte ristampe ma senza ombra di dubbio rimane un ottimo esempio che attesta come la visione d’insieme, l’affiatamento e lo spirito di squadra possano fare la differenza in un Paese come l’Italia in cui la cooperazione, specialmente nel contesto musicale, è ancora una meta utopica.

(Giosuè Impellizzeri)

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Stefano Sorrentino – Sans Egal (Streetlab Records)

Stefano Sorrentino - Sans Egal

Entrare in possesso di un disco, non necessariamente comprandolo al negozio ma anche prendendolo in prestito da un amico, leggere riviste, seguire programmi radiofonici, frequentare discoteche, ascoltare un nastro mixato di qualche DJ: più o meno così negli anni Novanta ci si appassiona alla musica da ballo che mettono nei locali e si propaga nell’etere. È andata in questo modo pure per il milanese Stefano Sorrentino, classe ’81, catapultato in quella dimensione grazie ad un’amica che gli regala l’album degli Snap!, “The Madman’s Return”, nella versione contenente la hit “Rhythm Is A Dancer”. «Di fatto, sino a quel momento, ignoravo l’esistenza della musica elettronica» afferma oggi con onestà. «Fu allora che scoprii letteralmente un nuovo mondo. Come ha fatto buona parte della mia generazione, passai l’adolescenza incollato su Radio DeeJay ad ascoltare il DeeJay Time di Albertino, ma pian piano iniziai ad appassionarmi anche a generi meno commerciali come la drum n bass. Quasi parallelamente approcciai alla composizione: il mio papà suona le tastiere e quindi sono cresciuto con la fortuna di averle a portata di mano anche se non colsi l’occasione sino ai dodici anni circa. Anziché imparare a suonarle eseguendo musica altrui però, mi focalizzai subito sulla creazione di tracce mie e sul sound design. I primissimi esperimenti li feci con un multitraccia a quattro piste, una Gem S2 e poco altro. Poi arrivò Cubase e a diciassette anni comprai il Roland JP-8080, il primo di una lunga serie di sintetizzatori. A parte qualche consiglio ricevuto da mio padre, dovetti imparare tutto da solo perché, purtroppo, non conoscevo altri musicisti che bazzicavano quegli ambienti. Adesso ho uno studio decisamente più equipaggiato e moderno ma confesso di divertirmi ancora tantissimo quando riaccendo quegli strumenti, forse proprio per le limitazioni che conferiscono più carattere rispetto ad alcuni dei loro eredi più evoluti».

Sorrentino (primi anni 2000)
Sorrentino in una foto dei primi anni Duemila

A diciotto anni Sorrentino incide il primo disco, “Sometime Love” di The Mockers, pubblicato dalla napoletana Bustin’ Loose Recordings ed impreziosito dal remix di Don Carlos. Tra 2000 e 2002 ne seguono altri come “Once In A Lifetime” di Y2K, “Back To Afrika” di Groove Juice, “How Do You Feel” di Shepan’ e “Take Your Time” di Danich. «Li ricordo come veri reperti archeologici» prosegue l’autore. «Iniziai a mandare demotape a varie etichette milanesi sin da quando avevo sedici anni, intorno al 1997. Facevo soprattutto jungle, musica legata ad un mercato obiettivamente assai ristretto in Italia ed infatti le reazioni furono scettiche. Un giorno, durante uno dei miei giri in Via Mecenate, incontrai Stefano Silvestri, ex dipendente della Dig It International e passato alla Bustin’ Loose Recordings, una realtà molto interessante e con una vocazione internazionale che sulla rampa di lancio aveva ambiziosi pezzi di Karen Ramirez e Planet Funk oltre al remix di “Flawless” di The Ones. Silvestri fece uscire “Sometime Love” ma in una versione completamente diversa rispetto alla mia demo originale, pertanto resta un disco che non sento propriamente “mio”. Tuttavia aver pubblicato qualcosa mi aprì nuove porte che mi permisero, appena raggiunta la maggiore età, di parlare coi discografici, ascoltare brani inediti e scoprire tanti retroscena. Se avessi proseguito su quella strada però probabilmente sarei diventato un pessimo A&R perché i miei pezzi di maggior successo sono quelli su cui non avrei mai puntato, e viceversa. Un esempio? “Back To Afrika” di Groove Juice che gli X-Press 2 inserirono nel loro Essential Mix su BBC Radio 1 suonando la Tribal Mix, una versione che avevo fatto giusto per riempire il disco».

Sorrentino ai tempi di Sans Egal
Sorrentino in studio ai tempi di “Sans Egal”

Inaspettato è pure il successo che bacia Sorrentino nell’autunno del 2001 grazie a “Sans Egal”: edita dalla veneta Streetlab Records del gruppo Jaywork, è una traccia ritmicamente riscaldata da componenti tribaleggianti ed avvolta da elementi funk che occhieggiano al passato. In particolare il modello sembra essere quello offerto da “Right On!” degli scozzesi Silicone Soul, una hit sapientemente costruita su un campionamento preso da “Right On For The Darkness” di Curtis Mayfield. Entusiasticamente recensito da Spiller su DiscoiD ad ottobre e programmatissimo da Alex Benedetti in Suburbia su RIN – Radio Italia Network, che peraltro lo vuole nella “Suburbia Compilation” insieme a pezzi di Ultra Natè, Una Mas, Sono, Jakatta, Filippo “Naughty” Moscatello ed Agent Sumo, “Sans Egal” promette più che bene anche in previsione di un possibile airplay radiofonico generalista. Stefano Sorrentino è artefice di una house competitiva a livello internazionale ed infatti sono diverse le licenze giunte d’oltralpe, su tutte quella della tedesca Brickhouse Records che sceglie il suo brano per inaugurare il catalogo della sublabel Brickhouse Tracks. «”Sans Egal” nacque dopo una notte passata nell’omonimo locale in zona Brera, a Milano» rivela Sorrentino. «Non era un pezzo creato per cercare il successo e tantomeno inseguendo un sound predefinito, assemblai semplicemente suoni ed armonie che mi piacevano e credo che a testimoniare ciò sia la stesura poco convenzionale. Creai il basso col citato Roland JP-8080, i tappeti con un sampler Yamaha A4000 mentre la maggior parte dei suoni rimanenti erano di un Korg Trinity e di un Roland JV-1080 con un layering improbabile di Minimoog e sitar. Vista la mia pessima fantasia nel creare nomi artistici, non riuscii ad inventare uno pseudonimo convincente in tempo per la stampa così la Brickhouse, prima licenziataria del disco, mi convinse ad usare il mio vero nome. Da un lato ciò si rivelò una scelta fortunata perché ottenni un sacco di visibilità, dall’altro invece decisamente meno perché, a causa di varie clausole contrattuali, non potei più firmare pezzi con le mie coordinate anagrafiche per diversi anni. Il successo di “Sans Egal” fu inaspettato quanto immediato, probabilmente perché girava su un sound fresco e diverso. Lo suonarono davvero tanti top DJ a partire da Pete Tong e Seb Fontaine su BBC Radio 1. La Cream, storica etichetta britannica legata all’omonimo locale di Liverpool ed appartenente alla Parlophone, pagò profumatamente la licenza con l’intenzione di incidere una versione cantata e fare crossover col pop (analogamente a quanto avvenuto con la citata “Right On!” dei Silicone Soul e diversi altri brani di quel periodo, nda). Purtroppo da lì a breve l’etichetta chiuse battenti e, fatta eccezione per una tiratura promozionale, “Sans Egal” non uscì mai nel Regno Unito, una vera sfortuna».

Il follow-up arriva nella primavera del 2002 e si intitola “House Freak” ma, pur rievocandone lo spirito con una dose ancora maggiore di funk, non riesce a bissarne i risultati. «”House Freak” rimase una white label a causa di un sample non autorizzato incastrato al suo interno» chiarisce Sorrentino. «La cosa mi mise un po’ di angoscia perché temevo serie ripercussioni legali. In quegli anni ebbi comunque l’opportunità di produrre tanti remix alcuni dei quali raccolsero un buon riscontro come ad esempio quello per “Cherish The Day” di Plummet, che uscì in Gran Bretagna su Manifesto, o quello di “Cry Little Sister (I Need U Now)” dei Lost Brothers che funzionò bene sia in Germania che oltremanica, complice qualche passaggio radiofonico di Judge Jules. In quel periodo trascorsi diversi pomeriggi negli studi della Motivo che era una vera hit factory, ed imparai molto da persone come Luca Moretti ed Andrea Corelli. Fu proprio quest’ultimo a pubblicare “Mighty Lover” e la compilation da me selezionata “Night Beat” sulla sua etichetta, la M.O.D.A., allora affiliata alla Warner».

Stellar Project - Get Up Stand Up
La copertina di Stellar Project, ripubblicato dalla Data Records del gruppo Ministry Of Sound

Sorrentino si rifà con gli interessi nel 2004 grazie a “Get Up Stand Up” di Stellar Project, un successo internazionale che cavalca l’allora imperante trend electro house. Partito dalla campana Absolutely Records, il pezzo finisce nell’orbita della statunitense Ultra e viene supportato da un videoclip he ne alimenta ulteriormente la visibilità. «Nel 2004, un po’ per caso, tornai in contatto con Stefano Silvestri» racconta a tal proposito l’autore. «Lui nel frattempo aveva abbandonato la Bustin’ Loose per avviare la Absolutely Records, nata come label di supporto per i Phunk Investigation con cui avevo fatto uno scambio di remix. Proprio da quella collaborazione nacque “Stellar” di Stellar Project (a riprova del mio scarso talento nell’inventare pseudonimi!), una traccia strumentale molto sognante che volevano tutti gli A&R a cui la feci ascoltare. Nonostante fosse una piccola etichetta, alla fine decisi di pubblicarla con la Absolutely Records in segno di riconoscenza per il contributo dei Phunk Investigation che realizzarono il remix. Artisticamente fu una scelta azzeccata perché lavorarono assiduamente alla riuscita del progetto, economicamente molto meno perché non mi furono saldate tutte le fatture. La fortuna fu che Pete Tong si innamorò del brano e lo suonò quasi ogni venerdì sera, per mesi, nella Essential Selection su BBC Radio 1. In pochi giorni scrissi un testo che proposi di cantare alla mia fidanzata che lo registrò più per farmi un favore che per ambizione artistica. L’intenzione ovviamente era trovare una cantante madrelingua che effettivamente giunse in seguito, Brandi Emma, e a quel punto il pezzo divenne “Get Up Stand Up”. Pete Tong però ci sorprese tutti e suonò la demo della versione cantata “in famiglia”, eleggendola Essential New Tune durante la diretta dal Winter Music Conference di Miami. Ricordo ancora tutte le telefonate incredule che ricevetti in diretta mentre Tong mandava in onda il disco, è uno dei ricordi più belli in assoluto che conservo. La settimana successiva licenziammo “Get Up Stand Up” in tutto il mondo, ottenendo importanti risultati di vendita. In Gran Bretagna si piazzò quattordicesimo sulla Data Records del gruppo Ministry Of Sound, in Francia sedicesimo su Sony mentre negli Stati Uniti conquistò la prima posizione della Billboard Dance Airplay, su Ultra. Non so esattamente quanto abbia venduto perché dopo un anno non ricevetti più i rendiconti ma sommando le compilation siamo comunque nell’ordine di qualche milione di copie. Nel 2008 fu la volta di un altro successo ovvero “Feel Your Love” di Kim Sozzi, un pezzo interamente scritto e prodotto da me. L’avevo pensato come follow-up di “Get Up Stand Up” ma le vicissitudini che seguirono mi fecero perdere interesse per la discografia. Kim aveva sentito una demo tramite la Ultra e mi chiamò sostenendo che fosse il brano perfetto per lei. In pochi giorni mi organizzai per farglielo cantare a New York e la Ultra lo pubblicò nell’arco di un paio di settimane appena. Fu un successo immediato sulle radio orientate alla dance della East Cost e quell’anno Kim tenne un numero incredibile di gig. Per me la soddisfazione maggiore fu restare in classifica nella Billboard Dance per ben quarantacinque settimane e conquistare la prima posizione della Year End 2009 davanti ad artisti del calibro di David Guetta e Lady Gaga. Pure il singolo successivo, “Secret Love”, per cui realizzai una versione come Stellar Project, raggiunse il vertice di Billboard nel 2010. Poi uscì l’album, “Just One Day”, per il quale produssi alcune tracce. L’esperienza con Kim Sozzi fu davvero rigenerante e mi fece riscoprire il piacere di pubblicare musica. Da allora però ho composto con la sola ambizione di divertirmi. Chissà, forse un giorno uscirà qualcosa di nuovo, per ora preferisco stare dall’altra parte del mixer o meglio, dentro gli strumenti musicali».

Sorrentino oggi (Suonobuono)
Un recente scatto di Sorrentino nel laboratorio di Suonobuono

Stefano Sorrentino abbandona quindi la composizione di musica per dedicarsi ad altro attraverso la sua società, la Suonobuono nata nel 2018. «Quell’anno vinsi un premio come “Inventore Dell’Anno” per alcuni brevetti che non hanno nulla a che fare con la musica e decisi di re-investire i soldi in qualcosa di divertente ma rischioso» illustra. «Così ho fondato Suonobuono, una mini azienda che produce strumenti musicali elettronici innovativi. È un’opportunità nata per combinare le conoscenze accumulate nella produzione musicale, nel disegno di circuiti e nel processamento dei segnali, tutto sommato sono le uniche cose che so fare nella vita. Il primo prodotto è stato il nABC+, un compressore sidechain che, unico nel suo genere, può essere pilotato non solo con segnali audio ma anche via MIDI e con segnali analogici modulari. La mole di lavoro necessaria per portare un prodotto di questo tipo sul mercato è stata davvero enorme ma la soddisfazione ha ripagato alla grande di tutto. Finora non ho avuto nemmeno un reso e tanti clienti mi hanno scritto spontaneamente per ringraziarmi. Uno di loro ha deciso di comprarne persino cinque unità! Da un anno sto lavorando ad un nuovo prodotto, molto più complesso ed ambizioso, che spero di poter presentare entro il 2022. Per lo sviluppo di alcuni dettagli ho coinvolto anche alcuni studenti, un tesista del Royal Institute Of Technology a Stoccolma e vari tirocinanti dei Politecnici di Milano e di Torino. Non aggiungo altro per pura scaramanzia». Oltre all’attività, Sorrentino ha cambiato anche il Paese di residenza mollando l’Italia per la Svezia. «Mentirei se dicessi di non rimpiangere l’Italia ma rifarei la stessa scelta» afferma. «Quando ci si trasferisce altrove si sacrificano, in una certa misura, famiglia, amici e la propria cultura in cambio di nuove esperienze e di una prospettiva allargata. Certamente mi mancano l’umorismo, il calore e soprattutto la spontaneità di tanti italiani. Sul fronte musica non sono particolarmente aggiornato, soprattutto in riferimento a generi più di nicchia. Sento l’assenza di un certo tipo di radio che proponeva suoni non necessariamente mainstream ma che allo stesso tempo faceva informazione come B Side di Alessio Bertallot (intervistato qui, nda) per intenderci, ma ammetto senza vergogna di apprezzare anche il pop, a patto che presenti elementi di originalità». (Giosuè Impellizzeri)

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Wild! Entertainment, quando l’eurotrance arriva in Italia

Nella seconda metà degli anni Novanta la musica trance conosce una sensibile impennata di popolarità in Europa. Da un lato eventi come Love Parade ed Energy diventano centri propulsori che irradiano quel sound ad un’audience sempre più vasta, dall’altro svariate produzioni discografiche riescono a penetrare con sistematicità nelle classifiche di vendita, generando incassi impronosticabili sino a pochi anni prima. Non manca ovviamente chi vede di traverso tutto ciò. In “Energy Flash” Simon Reynolds lo descrive come «un sottogenere pieno di tutti quegli elementi dozzinali disprezzati dai “progressisti” tipo Sasha: ritornelli da inno, crescendo, rulli di tamburi, elaborate costruzioni e crolli improvvisi, melodie naïf che fanno vibrare le corde del sentimento. La sensazione che provoca questa musica è come la fibrillazione incantata di un Philip Glass lobotomizzato o in vena di cosmiche smancerie sotto l’effetto di droghe psichedeliche assunte insieme ai Teletubbies». Il noto critico britannico rincara ulteriormente la dose quando afferma che «ascoltando la “trance” di fine anni Novanta ti prende un colpo se ti metti a pensare alla prima ondata trance partita da Berlino e Francoforte nel 1993, molto più dura e fredda. Quel tipo di trance dominò i rave e i club di tutto il mondo per un paio d’anni ma fu ben presto eclissata, se non altro in termini di moda e di copertura dei media, dal drum n bass».

ADV More Music Italy 1998-1999
Una serie di pagine pubblicitarie della More Music Italy tratte dal magazine DiscoiD: le tre in alto risalgono al 1998, quelle in basso al 1999

La trance di fine decennio, a conti fatti, risulta più accessibile, melodiosa ed euforica rispetto a quella di qualche anno prima, e di esempi esplicativi se ne potrebbero fare a iosa. Da “Protect Your Mind” di Sakin & Friends e “Storm” degli Storm, di cui parliamo rispettivamente qui e qui, ad “On The Beach” di York, da “1998” dei Binary Finary a “Seven Days And One Week” dei B.B.E., da “Ayla” di Ayla ad “Afflitto” di Fiocco passando per “Dream Universe” di C.M., “Out Of The Blue” di System F, “Secret” degli Absolom, “For An Angel ’98” di Paul van Dyk e “9 PM (Till I Come)” di ATB. Questi ultimi due, in particolare, arrivano nel nostro Paese attraverso la Milk’n Honey, tra le etichette della filiale italiana della More Music, importante compagnia discografica tedesca. Accanto a Milk’n Honey operano altre quattro label: la Blue Orange inaugurata con “Feeling Good” di Huff & Herb, cover dell’omonimo di Nina Simone diventata una hit europea, la Priveé che sbanca con “Praise My DJ’s (My Funny Valentine)” di Run From Run-DMC Feat. Justine Simmons, la Weltraum alimentata con una manciata di uscite techno/progressive (Remon Petrick e Timo Maas Feat. Digital City), e la Trancestar – “sorella” della Clubstar attiva nel frangente house solo in territorio tedesco – su cui esce “After Love” di Blank & Jones impreziosito dalla versione di Mauro Picotto, l’unico remix che in quel periodo il DJ torinese destina ad un’etichetta italiana (fatta eccezione per la Media Records) pare per una precisa strategia discografica. A coordinare il lavoro di tutto ciò che riguarda More Music Italy è Raffaela Travisano. Nata in Germania da genitori italiani, inizia a lavorare nel settore musicale nel 1992 con la CBS del gruppo Sony. Poi entra nell’organico di uno dei più importanti distributori tedeschi di musica DJ oriented, la Discomania. Nel corso degli anni si costruisce una solida reputazione ed accumula esperienza che mette concretamente a frutto nel periodo in cui si occupa della More Music Italy. Nel catalogo Milk’n Honey, inaugurato alla fine del 1997 con “Wet Like The Rain” di The Bronx, finisce molta trance mitteleuropea, più e meno nota. Ai già citati Paul van Dyk ed ATB se ne aggiungono altri come “Your Love Makes Me Up” di Alta-Vista, i remix di “Love Stimulation” di Humate, “Diving Faces” di Liquid Child e “Can You Feel…” di SQ1. L’ambizione e la cultura musicale («invidiabile da molti» come si legge sul magazine Jay Culture in una delle sue prime interviste italiane a gennaio 1998), mista alla giusta rete di contatti e le crescenti potenzialità di quel genere, convincono la Travisano a fare un ulteriore passo in avanti, fondare la propria etichetta, la Wild! Entertainment.

Il catalogo della Wild! Entertainment

WILD 000 - Paul van Dyk Feat. Saint Etienne - Tell Me Why (The Riddle)Paul van Dyk Feat. Saint Etienne – Tell Me Why (The Riddle)
Corre la primavera del 2000 quando nei negozi arriva il primo disco della neonata Wild! Entertainment. A firmarlo è uno degli eroi della trance europea, Paul van Dyk, già entrato nell’olimpo dei top name continentali sia come DJ che produttore attraverso un corposo repertorio di cui si ricordano diversi brani incisi per la MFS come “Forbidden Fruit” e “Beautiful Place” oltre a “Perfect Day” ed “How Much Can You Take?” che realizza nei primi anni di carriera con Harald ‘Cosmic Baby’ Blüchel come The Visions Of Shiva. Contrassegnato dal numero di catalogo 000, “Tell Me Why (The Riddle)” è uno dei singoli estratti dal suo terzo album, “Out There And Back”, uscito sulla propria etichetta, la Vandit, e licenziato in Italia sempre da Wild! Entertainment come si vedrà più avanti. Scritto insieme alla band britannica dei Saint Etienne, il brano riprende lo stile del fortunato remix targato 1998 di “For An Angel” che lo consacra nel mainstream (l’originale risale a quattro anni prima, inserito nel primo album “45 RPM”) abbinato ad una sezione cantata da Sarah Cracknell che stuzzica più intensamente l’interesse delle radio.

WILD 001 - Blank & Jones - The NightflyBlank & Jones – The Nightfly
Formato da Jan Pieter Blank e René ‘Jaspa Jones’ Runge, il duo tedesco si fa notare con “Flying To The Moon” e “Cream”, quest’ultimo pubblicato anche in Italia dalla Trancestar del gruppo More Music Italy capeggiato dalla Travisano. Ad affiancarli in studio in quel periodo è Andy Kaufhold con cui realizzano, tra le altre cose, il remix di “Iguana” di Mauro Picotto. Blank & Jones forgiano un sound accessibile, ricco di melodie arpeggiate ed atmosfere sognanti. Incrociando questi elementi ottengono “The Nightfly”, brano che rispetta i tradizionali canoni della trance di inizio millennio con brevi inserti vocali femminili e quello che parrebbe un frammento citazionista di “You’re Not Alone” degli Olive. A trainarlo sul piccolo schermo è un videoclip. “The Nightfly” è il primo singolo estratto dall’album “DJ Culture” di cui si parlerà poco più avanti. Dei tanti remix realizzati solo uno però finisce sulla stampa italiana, quello dei Sunbeam, ricordati in primis per “Outside World” del ’94 e quasi agli sgoccioli del loro percorso artistico che gli regala ancora qualche soddisfazione come “Versus”, in tandem con Tomcraft, e “One Minute In Heaven”.

WILD 002 - Blank & Jones - DJ CultureBlank & Jones – DJ Culture
Preso in licenza dalla Kontor Records, “DJ Culture” lancia il duo tedesco nel firmamento dei grandi nomi della trance europea. I dieci brani racchiusi al suo interno, tutti realizzati presso gli Spacedust Studios a Düsseldorf, si muovono a grandi linee sulle stesse coordinate prima descritte con una concessione al breakbeat, come attesta il reprise di “The Nightfly”, ed una parentesi ambient, “A New Culture Is Born”, col testo scritto ed interpretato dall’elvetico Dieter Meier degli Yello. Per il resto i due tedeschi, ancora coadiuvati da Andy Kaufhold ironicamente ribattezzato “il terzo del duo” analogamente a quanto avviene in parallelo ai fratelli Ali e Basti Schwarz alias Tiefschwarz prima con Peter Hoff e poi con Jochen Schmalbach, assemblano ritmi incalzanti ed oniriche melodie (“La Luna”, “The Blue Sky”, “Sundowner”, “Mindcrasher”, “Waste Your Youth”). Saranno altri due i brani estratti come singoli dopo “The Nightfly”, la title track “DJ Culture” e “Sound Of Machines”. Sul doppio mix in edizione limitata che Wild! Entertainment pubblica in formato gatefold finisce pure una manciata di remix usati a mo’ di bonus track, quelli di “After Love” e “Cream” realizzati rispettivamente dai Quake e Paul van Dyk.

WILD 003 - ATB - The SummerATB – The Summer
Grazie a “9 PM (Till I Come)” con cui inizia un nuovo corso artistico con l’acronimo ATB, la vita del tedesco André Tanneberger cambia radicalmente. Alle spalle lascia l’esperienza nei Sequential One che ottengono buoni riscontri con un mix tra eurodance ed happy hardcore, ma quello che avviene dal 1998 in poi è strepitoso. Galvanizzato dal successo di “9 PM (Till I Come)” che, secondo alcune stime, vende oltre un milione di copie, Tanneberger tira fuori nuove hit con cui si impone tra i DJ più importanti e richiesti al mondo. Una di queste è proprio “The Summer” estratta dall’album “Two Worlds”, con evidenti rimandi allo stile del suo primo successo che, come sostiene qui Torsten Stenzel, fu ispirato da “The Awakening” di York.

WILD 004 - The Driver Project Vs. Mike Litt - Eternal SummerThe Driver Project Vs. Mike Litt – Eternal Summer
Pubblicata originariamente dalla Highball Music di Amburgo, “Eternal Summer” riporta in attività il team The Driver Project formato da Christian Schnettelker, Marco Wolters e Tobias Dannappel a cui per l’occasione si aggiunge il DJ Mike Litt. Il brano non è pretenzioso e batte lo schema eurotrance da cui sempre più artisti attingono e si ispirano (Alice Deejay, Gitta, Fragma, Nagano All Stars, Angelic, Ian Van Dahl, Deal – gli italiani Daniele Tignino dei Ti.Pi.Cal. e Pat Legato – , Darude, Barthezz, giusto per citarne alcuni). La traccia gira su una breve melodia al pianoforte che per più di qualcuno pagherebbe il tributo al nostro Robert Miles ed una parte cantata, forse non sufficientemente cheesy per catalizzare l’attenzione del grande pubblico. Sul lato b finisce il remix dei Central Seven, ritmicamente più incisivo. A credere in “Eternal Summer” è Radio Italia Network che lo promuove come disco hacker nelle prime settimane della nuova stagione radiofonica, la prima vissuta come RIN, a settembre del 2000. A giudicare dal titolo, il periodo appare decisamente propizio.

WILD 005 - Blank & Jones - Sound Of Machines - DJ CultureBlank & Jones – Sound Of Machines / DJ Culture
Come già anticipato, “Sound Of Machines” e “DJ Culture” provengono dall’album con cui Blank & Jones si impongono nella scena trance planetaria, reduci di importanti esibizioni alla Love Parade nel 1999 e nel 2000. In “DJ Culture”, per cui viene girato anche un videoclip, riecheggiano esuberanti melodie mentre “Sound Of Machines” fa il verso, in modo piuttosto palese, al celebre remix di “Kernkraft 400” di Zombie Nation realizzato in Italia da DJ Gius, facendo leva su elementi praticamente uguali (inserti electro beat, basso in ottava, un breve hook vocale ed un riff da stadio). A spingere da noi “Sound Of Machines” è Tony H che lo inserisce nel suo programma Vitamina H in onda su RIN – Radio Italia Network, nato dopo l’abbandono di Radio DeeJay. Come si vedrà più avanti, il nome di Tony H entrerà nell’orbita della Wild! Entertainment in più di qualche occasione.

WILD 006 - Nino Lopez Project - E-XperienceNino Lopez Project – E-Xperience
Gianluigi Tarnassi e Gioacchino Piazzolla, da Milano, sono gli artefici di Nino Lopez Project che ai tempi può essere erroneamente confuso col Mario Lopez di “The Sound Of Nature”. Si tratta solo di parziale omonimia, seppur i contatti stilistici non manchino affatto. “E-Xperience” attinge energie dal campionario trance / hard trance teutonico con ben poche variazioni sul tema, inclusa la parentesi pseudo acida aperta sul finale. Sul 12″ figura una Album Version che lascia ipotizzare l’arrivo di un LP che però non uscirà mai, seppur il pezzo riesca a guadagnarsi qualche licenza all’estero, tra Germania e Paesi Bassi, e soprattutto un remix a firma ATB.

WILD 007 - Paul van Dyk - We Are AlivePaul van Dyk – We Are Alive
Tratta da “Out There And Back” con cui van Dyk apre la fase della sua carriera più mainstream oriented, “We Are Alive” è la cover di “Alive”, pezzo pop della svedese Jennifer Brown uscito nel 1998 e già traslato in chiave ballabile nel ’99 dai britannici Bleachin’. Il DJ tedesco fonde la song structure nei suoni che lo hanno reso popolare per il pubblico generalista e con tale binomio fa breccia nelle classifiche di vendita in tutto il mondo. Evolvendo ulteriormente tale formula, scolpirà successi futuri e l’album “Reflections” del 2003 che gli procurerà la nomination ai Grammy Award nella categoria dance and electronic. Viste le potenzialità, Wild! Entertainment pubblica “We Are Alive” anche in formato CD sul quale finisce la breakkata Arctic Bass Mix di DJ Icey esclusa invece dal 12″. La foto in copertina di Andrew October immortala una performance del DJ nativo di Eisenhüttenstadt di fronte ad un pubblico oceanico, a testimonianza della sua più che solida fanbase.

WILD 008 - DJ Tomcraft - SilenceDJ Tomcraft – Silence
Proveniente dal catalogo Kosmo Records, “Silence” seduce l’ascoltatore col lirismo vocale di Vivian e con un crescendo di atmosfere sapientemente fuse in ritmi ballabili. Insieme a Tomcraft, in studio, c’è Robert Borrmann meglio noto come Eniac, che alle spalle vanta una hit, “Superstar”, realizzata a quattro mani con Tom Novy sempre per la Kosmo Records. Pur non essendo uno dei pezzi più noti del DJ tedesco, “Silence” riesce ad entrare in diverse compilation e ad essere licenziato negli Stati Uniti attraverso la Radikal Records, oltre ad essere supportato e promosso da un videoclip.

WILD 009 - Tukan - Light A RainbowTukan – Light A Rainbow
Dietro Tukan ci sono i danesi Lars Frederiksen e Søren Weile, già noti come Zekt in ambito hardcore. Come dichiarano ai tempi, decidono di darsi alla trance ispirati dalla musica selezionata da Pete Tong sulle frequenze di BBC Radio 1. Il loro è un debutto col botto: “Light A Rainbow” colleziona decine di licenze in tutto il mondo e riconoscimenti in due Paesi-chiave, Germania e Regno Unito. Un risultato esaltante, sia per loro che per l’etichetta che li mette sotto contratto, la tedesca Drizzly per cui la Travisano lavora nel corso degli Novanta. Edificata su melodie sognanti intersecate da un cantato di Kaya Brüel, la traccia finisce pure nelle programmazioni delle tv musicali grazie ad un videoclip. Il resto lo fanno i numerosi remix come quelli di ATB, CJ Stone, Wippenberg, DJ Worris e Green Court, quest’ultimo l’unico presente sul 12″ della Wild! Entertainment.

WILD 010 - Aquagen - LovemachineAquagen – Lovemachine
Nato da un’idea di Olaf Dieckmann e Gino Montesano e supportato dalla Dos Or Die Recordings, il progetto Aquagen esordisce nel ’99 con “Ihr Seid So Leise!”, una hit che solo in patria vende più di 250.000 copie, scandita imperiosamente dal testo in tedesco, suoni hard trance ed un sample tratto da “La Musika Tremenda” di Ramirez. Ad “Ihr Seid So Leise!”, considerabile una sorta di prologo della hard dance made in Germany che prende il volo da lì a breve, segue “Tanz Für Mich” con cui il duo si fa affiancare dal comico Ingo Appelt e che riprende la melodia di un altro classico nostrano, “Stay With Me” dei Da Blitz. Entrambi figurano nell’album “Abgehfaktor” da cui proviene pure “Lovemachine”, un altro successo ascrivibile alla cheesy trance / hands up tedesca trainata da artisti come Scooter, Brooklyn Bounce, 4 Clubbers, DJs @ Work, Pulsedriver, Rocco e Warp Brothers, coi quali peraltro gli Aquagen collaborano poco tempo dopo. Come da copione, “Lovemachine” è accompagnato da relativo videoclip finito sulle principali tv musicali europee. Sul 12″ edito da Wild! Entertainment presenzia anche il remix a firma Cosmic Gate che in quel periodo spopolano con “Somewhere Over The Rainbow”, “Fire Wire” ed “Exploration Of Space”, ed un secondo pezzo della tracklist dell’album ovvero “3, 2, 1 – Feiern!”, ulteriore vampata hard dance a base di basso in levare, cassa marcata, graffiate acide ed un riff stridulo. Nei primi mesi del 2001 viene annunciata l’uscita in Italia di “Abgehfaktor” su Wild! Entertainment ma l’operazione non va in porto.

WILD 011 - Warp Brothers Vs. Aquagen - Phatt Bass - We Will SurviveWarp Brothers Vs. Aquagen – Phatt Bass / We Will Survive
Sull’onda dei risultati ottenuti con “Lovemachine”, Wild! Entertainment scommette ancora sulla musica degli Aquagen, questa volta insieme ad un altro duo tedesco, i Warp Brothers, formato da Jürgen Dohr ed Oliver Goedicke. Due pure i brani, entrambi presi in licenza dalla Dos Or Die Recordings fondata da Uwe Papenroth ed Andreas Schneider: sul lato a “Phatt Bass”, esaltazione festaiola, come ben rimarca anche il videoclip, di una hard trance intrecciata alle grinze della TB-303, prototipo di quello che faranno esattamente dieci anni più tardi gli americani LMFAO in “Sexy And I Know It”, sul lato b “We Will Survive”, dove si ripesca a piene mani un classico acid di Josh Wink, “Higher State Of Consciousness”, rileggendolo con l’intento di semplificarne la formula e renderlo appetibile anche alle folle dei luna park con l’aggiunta di una voce in stile “Ihr Seid So Leise!”. Immancabile il video.

WILD 012 - Airheadz - Stanley (Here I Am)Airheadz – Stanley (Here I Am)
Nato come bootleg pubblicato solo su white label, “Stanley” campiona “Thank You” di Dido, già ripresa con eclatante successo da Eminem in “Stan”. Nonostante la non ufficialità, il brano conquista il favore di influenti DJ britannici che lo programmano sia in radio che nelle discoteche. Analogamente a quanto avviene nel 1994 ad “Eighteen Strings” di Tinman di cui parliamo qui, a causa di un clearance mai ottenuto gli autori, Andrew Peach e Leigh Guest, si vedono costretti a sostituire la parte vocale affidando la nuova alla cantante Caroline De Batselier che rappresenterà il progetto anche nella dimensione live. Sebbene il risultato finale non sia uguale a quello del bootleg, la AM:PM lo pubblica con reazioni entusiastiche del mercato. Diversi i remix approntati tra cui quelli di Wippenberg, Lost Witness e Kosmonova ma sul 12″ edito in Italia dalla Wild! Entertainment presenziano solo quelli dei Warp Brothers e di Nino Lopez Project, quest’ultimo esclusivo. Il successo mondiale non basta a persuadere Peach e Guest ad incidere un follow-up.

WILD 013 - DJ Tomcraft - ProsacDJ Tomcraft – Prosac
Uscito nel 1997 senza incontrare particolari riscontri, “Prosac” vive una seconda giovinezza a quattro anni di distanza quando la Kosmo Records pubblica due nuove versioni, la New Clubmix e la TC-THC Mix, a cui si somma un videoclip. La Wild! Entertainment decide però di mandare in stampa due remix ex novo commissionati a Tony H e Karin De Ponti. La versione del primo, la Yeah Mix, preserva le atmosfere originali reinnestandole su una base hard trance tranciata in più punti dalle sincopi ispirate (o campionate?) dal remix di “Dooms Night” di Azzido Da Bass realizzato da Timo Maas, lo stesso da cui viene tratto il caratteristico “womp womp” di cui lo stesso Maas parla qui; Karin De Ponti invece si avvicina di più al mondo (hard) house a velocità sostenuta e col phaser che filtra il groove.

WILD 014 - Paul van Dyk - Columbia EPPaul van Dyk – Columbia EP
In Germania la Vandit pubblica questo EP in doppio mix. In Italia invece la Wild! Entertainment opta per un singolo, distribuito dalla campana Global Net, col remix di “Columbia”, “Out There” e “A Different Journey To Vega” sacrificando “Movement” e la versione di “Vega” firmata degli Starecase. La title track ripesca un sample di “Land Of Oz” degli Spooky, “Out There” incalza tirando fuori il lato più rude ed aggressivo del DJ tedesco qui sbilanciato in modo netto verso soluzioni techno, smussate ed accarezzate da pad più canonicamente trance in “A Different Journey To Vega” che a conti fatti si configura come una rilettura trancey della precedente. “Columbia EP” sancisce l’alleanza tra l’etichetta di Raffaela Travisano e la modenese Molto Recordings di Roberto Luppi e Giovanna Bagni. Come si legge in un articolo apparso ai tempi dell’uscita, «Wild! Entertainment non esclude altri tipi di collaborazione con la struttura emiliana, forte all’estero per Flickman», cosa che effettivamente avviene nei tre dischi successivi.

WILD 015 - Members Of Mayday - 10 In 01Members Of Mayday – 10 In 01
“10 In 01” celebra i dieci anni di uno dei festival musicali più popolari d’Europa, il Mayday. A realizzare il pezzo, come di consueto, sono i Members Of Mayday, duo formato da WestBam e Klaus Jankuhn, autentici veterani della scena dance tedesca, qui intenzionati a replicare il successo di “Sonic Empire” del 1997. La traccia, finita nell’airplay di MTV e VIVA col relativo videoclip, riprende certe accortezze formali della hit di quattro anni prima ma senza replicare banalmente i contenuti come in un classico follow-up. Gli autori dimostrano ancora di poter interfacciare trance ed electro ottenendo un risultato efficace e di impatto sul grande pubblico. All’Original si somma il Members Only Mix di Paul van Dyk, calibrato su sincopi ritmiche, virtuosismi acidi e la voce di Afrika Islam, presa da “Global Players (My Name Is Techno)” di Mr. X & Mr. Y, un altro successo messo a segno da WestBam nel 2000. Esclusivo per la Wild! Entertainment è il Poptech Remix di Tony H, realizzato nel suo Taf-A-Taf Studio di Milano con Luigi Speciale. A distribuire il disco è la Hitland.

WILD 016 - Tomcraft - OverdoseTomcraft – Overdose
Terza apparizione su Wild! Entertainment per Tomcraft, dopo “Silence” e “Prosac”. Con un suono che pochi anni dopo verrà identificato electro house e trainato da un videoclip dai contenuti censurabili, “Overdose” (distribuito in Italia da Global Net) è un discreto successo messo a segno dalla Kosmo Records. Alla Killa Club Mix, dove gli elementi della trance più tradizionale spariscono quasi del tutto rimpiazzati da atmosfere più terrene e meno sognanti, l’etichetta milanese aggiunge un remix commissionato ancora a Tony H. Analogamente a quello realizzato per “10 In 01” dei Members Of Mayday, il Poptech Remix semplifica gli elementi originali fondendoli in una stesura a presa rapida, con break e ripartenze annunciate da rullate, schema a cui sono particolarmente affezionati gli ascoltatori di Vitamina H, il programma pomeridiano di Tony H e Lady Helena in onda su RIN – Radio Italia Network.

WILD 017 - Bra.Sa - Bon-Go-TronikBra.Sa – Bon-Go-Tronik
In un trafiletto della rubrica “Vinyl Approved” a cura di Riccardo Sada apparso sulla rivista Jocks Mag a gennaio 2002, si legge che «i Bra.Sa realizzano una sorta di vortice etnico che investe su un sound molto euro. Aperture trance di facile impatto che viaggiano a 138 bpm e collasso totale con rallentamento sotto i 90 quando il sample, utilizzato anche per lo spot di una famosa bevanda isotonica, entra per fare la differenza». Descritti come una sorta di Safri Duo all’italiana, i Bra.Sa (Gianni Bragante e lo stesso Sada, entrambi giornalisti musicali ma nel contempo produttori discografici), tirano il sipario sull’attività di Wild! Entertainment. “Bon-Go-Tronik”, infatti, è l’ultimo 12″ ad essere pubblicato, distribuito ancora dalla Global Net di Pozzuoli.

Gli album su CD

WILD CD 001 Paul van Dyk - Out There And BackPaul van Dyk – Out There And Back
Con “Out There And Back”, terzo album dopo “45 RPM” del 1994 e “Seven Ways” del 1996, entrambi usciti sulla MFS di Mark Reeder, il tedesco si emancipa dal mercato destinato ai soli appassionati e DJ specializzati. Non sussiste una profonda cesura da ciò che avviene negli anni Novanta, il suo cuore continua a palpitare per la trance (“Another Way”, “Travelling”, “Avenue”, “The Love From Above”, “Columbia”, “Out There And Back”) con spinte in anfratti progressive house (“Pikes”, “Face To Face”), e lanci su pareti ambientali sino a deviazioni breakkate (“Together We Will Conquer”, con la voce di Natascha van Dyk, ai tempi sua moglie) e downtempo (“Vega”). La sostanziale novità risiede nelle decise aperture al pop offerte da “Tell Me Why (The Riddle)” e “We Are Alive”, strategicamente estratti come singoli-grimaldello per entrare nelle classifiche di vendita e nelle programmazioni radiofoniche. Sulla copertina frontale la Wild! Entertainment appone il logo di RIN – Radio Italia Network, emittente che supporta i brani di van Dyk e gran parte della trance di quel periodo.

WILD CD 002 - Paul van Dyk - The Politics Of DancingPaul van Dyk – The Politics Of Dancing
Non è un album bensì una compilation mixata, pubblicata originariamente dalla Ministry Of Sound, licenziata in Italia da Wild! Entertainment e distribuita dalla Venus. Il doppio CD, accompagnato da un piccolo booklet, raccoglie poco più di una trentina di brani mixati da van Dyk tra cui “Rapture” di iiO, “Killin’ Me” di Timo Maas, “Activity” di Way Out West, “Into The Night” di 4 Strings, “Shout, C’Mon” di Sagitaire e “Dreamland” dei romani Nu NRG. Spazio anche ad un suo inedito, “Autumn”, oltre al remix realizzato per “Elevation” degli U2. L’uscita di “The Politics Of Dancing” corona un periodo irripetibile per Paul van Dyk, quell’anno eletto come uno dei migliori DJ del mondo dalla rivista DJ Mag: si piazza quarto, nella Top 100 DJs, preceduto solo da Danny Tenaglia, Sasha e John Digweed.

Blue Velvet e Morning LightBlue Velvet e Morning Light, le sublabel della Wild! Entertainment
Nata per coprire il segmento house, la Blue Velvet, ideale prosecuzione della Blue Orange, viene inaugurata da “That Melody” di George Morel. Il catalogo conta una decina di pubblicazioni tra cui val la pena ricordare “Takin’ Me Higher” dei Deep Swing remixata da Bini & Martini, “Crack City” di Chevallier col remix di Vincenzo, “Touch Me” di Sharon Phillips e “Music Is Wonderful” di Tom Novy, queste ultime due prese in licenza rispettivamente dalla Brickhouse e dalla Kosmo.
La Morning Light invece è la piattaforma più pop e dichiaratamente commerciale del gruppo ideato dalla Travisano sulla quale appaiono, tra gli altri, “Anywhere” di Peach, avvalorato dalla versione degli Eiffel 65, “At The Club” degli SM-Trax, quelli che si fanno notare tra 1998 e 1999 con “Got The Groove”, e “Do You Wanna” di Shah, remixato proprio dagli SM-Trax e Karin De Ponti. Annunciato su Morning Light è pure “Check Out The Floor (Summer Breeze)” di Justine Simmons Featuring Run From Run-DMC, follow-up di “Praise My DJ’s (My Funny Valentine)”, realizzato dagli artefici della fortunatissima versione remix, i Mach 3 (Alex Zullo, Andrea Monta e Luca Neuburg). Alla fine però a pubblicarlo, su licenza di Wild! Entertainment, è la 909 Records.

Extra Wild!La “resurrezione” di Wild! Entertainment, Extra Wild!
“Bon-Go-Tronik” dei Bra.Sa chiude l’attività di Wild! Entertainment ad inizio 2002. Alla fine di marzo di quell’anno però Raffaela Travisano gira tra gli stand del SIB di Rimini, allestiti nel nuovo complesso fieristico, consegnando agli addetti ai lavori le copie promozionali di un disco che inaugura la sua nuova etichetta nata dalle ceneri della precedente, la Extra Wild!. Distribuita da Hitland, Extra Wild! muove il primo passo con “O” di DJ Scot Project, licenziato dalla Overdose e per l’occasione remixato da Paola Peroni alias Miss Groovy. Segue “The Moon Loves The Sun EP” di The Moon Feat. Nu NRG, oggi ricercato dai fan della musica di Andrea Ribeca e Giuseppe Ottaviani. Con una vocazione saldamente ancorata alla trance, Extra Wild! pubblica “Marinero” di Angelic Touchdown, trainato dalla versione dei citati Nu NRG. Poi tocca a “Believe” dei Sunblind, team in cui armeggiano gli stessi membri dei Driver Project. Nel 2003 è tempo dell’hardstyle di “Gamera” degli ARA (acronimo dei nomi degli autori, Alberto Remondini, Roberto Pagliarini ed Andrea Guccini), di “Superbitch” di Miss Loony, del “Wild Rockaz EP” dei Wild Rockaz con un remix dei Junk Project, di “Faith” di Marc Mally e “Deep Space” di Deep Space Project, un act diretto dal prolifico Andreas Krämer. Nel 2004, sui titoli di coda, esce “U Know Y” di Moguai a cui fa seguito la re-release di “Marinero” di Angelic Touchdown: a mettere le mani su entrambi sono i romani Bismark e Stefano Di Carlo.

La testimonianza di Raffaela Travisano

Raffaela Travisano, ancora bambina, balla col papà ad un matrimonio

Quali artisti e musiche hanno segnato la tua infanzia ed adolescenza? C’è stato un momento preciso in cui scopristi la dance?
La musica è da sempre una componente fondamentale della mia vita. A casa ad Homberg (Ohm), in Germania, ne ascoltavamo tantissima, soprattutto quella italiana di Gigliola Cinquetti e Lucio Battisti oltre a tutti i cantanti dello Schlager come Caterina Valente. Quando avevo cinque anni mio padre mi portò ad un matrimonio dove ballai sino alle due di notte: fu il mio primo “rave”! Poi, all’età di nove anni, ci trasferimmo a Bad Nauheim, vicino Friedberg, dove Elvis Presley prestò il servizio militare. Lì scoprii la radio, Radio AFN per la precisione, che trasmetteva solo musica americana per gli statunitensi che vivevano in Germania. Fu amore a primo ascolto. In seguito conobbi un ragazzo che faceva il DJ. Grazie ai suoi amici americani, riusciva ad avere tantissimi dischi importati direttamente dagli States che poi metteva nei club. Così scoprii pezzi come “Just Be Good To Me” della S.O.S. Band ed “Everybody” di Madonna, quando davvero in pochi sapevano chi fosse. Quei due brani rappresentarono l’inizio del mio rapporto con la dance. A tal proposito però vorrei raccontare un altro episodio accaduto durante la gioventù. La mia famiglia gestiva un ristorante e un giorno una cliente avanzò la proposta di produrre un disco per me. Mi fece registrare una cassetta destinata a Frank Farian, notissimo perché dietro progetti come Boney M. e Milli Vanilli e che aveva lo studio ad appena dieci chilometri da casa mia. Avevo solo sedici anni, ero piuttosto carina ed anche intonata. Dopo aver ascoltato il demo, Farian era intenzionato a produrre un mio disco. Tuttavia avrei dovuto partecipare prima a dei contest presso gli hotel della catena Steigenberger ma fui subito rassicurata, il team sosteneva che avrei vinto di sicuro. Tutto questo però non piacque a mio padre e fui costretta ad abbandonare l’idea di intraprendere la carriera da artista. Ma la mia storia con la musica non sarebbe finita lì.

Nel 1992 inizi a lavorare per la CBS del gruppo Sony. In che modo cominciò la collaborazione con quell’azienda?
Fu un passo veramente importante nella mia vita. Finita la scuola, trascorsi un anno in Gran Bretagna e poi tornai in Germania dedicandomi al 100% alla vita notturna. Andavo a ballare tutti i giorni della settimana frequentando locali come il Vogue di Francoforte, dove suonavano Sven Väth e il mio caro amico Pascal F.E.O.S. recentemente scomparso, ma anche l’Omen, il Dorian Gray, l’XS Club o il Plastik. Entravo ovunque gratis ed avevo amici in consolle e al bar. Il periodo sabbatico era però giunto alla fine e i miei genitori iniziarono a pressarmi affinché trovassi un lavoro. Fui assunta come segretaria bilingue presso un’agenzia. Quell’occupazione mi portò alla CBS dove mi ingaggiarono per sei mesi. Mi innamorai totalmente di quell’ambiente occupandomi di assistenza nel settore della distribuzione.

Raffaela Travisano e Faris Al-Hassoni, co-fondatore della Drizzly, immortalati presso lo stand allestito in occasione del Midem di Cannes (199x)

A seguire entri a far parte di una delle distribuzioni tedesche più importanti, la Discomania, curando nello specifico la Drizzly Records. Come e cosa ricordi di quel periodo?
Discomania fu il mio grande amore. Lì incontrai i grandi Christian Fehlau ed Uwe Kohlwes, i fondatori nonché i miei due capi. Fehlau, in particolare, mi prese a cuore e divenne presto il mio mentore. Discomania mi diede la possibilità di entrare in contatto con tantissimi DJ e produttori, nazionali ed internazionali. Tra quelli c’erano Tom Novy, che veniva lì a prendere il materiale per rifornire il negozio di dischi che gestiva a Monaco, e Steffen Charles, anche lui titolare di negozi di dischi e poi creatore del Time Warp. Ma ne potrei menzionare davvero tanti altri, come il compianto William Röttger del Mayday e Love Parade, John Acquaviva e Kerri Chandler. Molti di quei personaggi poi venivano a mangiare nel ristorante della mia famiglia. Una volta Chandler, dopo cena, si ubriacò con un liquore al sambuco al punto da non riuscire a svolgere la serata in una discoteca a Francoforte! Dopo tre anni cominciai ad occuparmi della Drizzly Records, una delle tantissime etichette distribuite da Discomania. Faris Al-Hassoni e Volker Diehl, i fondatori, mi vollero come label manager. Da lì a breve avrei stretto amicizia con Timo Maas e tanti altri che insieme alle demo incise su cassetta mi mandavano pure “sigarette speciali” in regalo.

Come vedevi la scena italiana vivendo in Germania? C’erano professionisti, tra manager discografici, produttori o artisti, che stimavi in particolar modo?
Lavorando con Discomania, ai tempi il distributore di musica dance più importante in Germania, entrai inevitabilmente in contatto col mondo italiano. Ogni settimana arrivavano scatoloni da grossisti come Discomagic, Dig It International e Flying Records, e in occasione di eventi come il Midem a Cannes o il Popkomm a Colonia, conobbi tanti bravi discografici italiani. Erano anni davvero magici. Nel 1996 Jens Thele, fondatore della Kontor e all’epoca A&R della Motor, mi chiese quale sarebbe stato, a mio parere, il Paese-chiave per la dance di quell’anno. Gli risposi, senza tergiversare, «l’Italia caro, l’Italia!». Lui aveva incontrato da poco Joe T. Vannelli e tornò in Germania con “Children” di Robert Miles.

Dal 1997 al 2000 sei al timone della More Music Italy sotto il cui ombrello operano quattro label che si affermano con varie hit (su tutte quelle di Paul van Dyk, ATB, Run From Run-DMC Feat. Justine Simmons, Huff & Herb, e Blank & Jones) ma non mancano pezzi destinati ai club specializzati come “Driving In My Soul” di Harley & Muscle Featuring Jimi Polo, “Feel It” di DJ Pippi, “Sunshine Hotel” di Jamie Lewis & Nick Morris, “Moonflight” di Green Court e “Welcome To The Dance” di Des Mitchell. Come fu quel triennio?
Nel 1996, lavorando ancora per la Drizzly, venni in Italia in occasione di un evento chiamato Nightwave che si svolgeva negli stessi giorni del SIB. C’erano tanti addetti ai lavori tedeschi tra cui Boris Dlugosch, e ci ritrovammo tutti al Grand Hotel di Riccione. Tornai col cuore pieno di amore per l’Italia ma pure con le tasche colme di cassette di musica inedita realizzata da Alex Picciafuochi e dalla coppia Harley & Muscle che mi fu segnalata da Costantino ‘Mixmaster’ Padovano. Pubblicai presto su Drizzly l’EP di Picciafuochi, che ai tempi si firmava Rainbox, (il “Wise Advise EP”, nda) e fu un bel colpo perché da lì a breve lo licenziai alla Massive Drive Recordings del gruppo olandese Mid-Town Records. Harley & Muscle invece finirono sulla Real Groove, etichetta house della Drizzly. Le cose però in Germania stavano iniziando a cambiare. Dopo ben trentotto anni i miei genitori decisero di tornare in Italia lasciandomi sola così, complice una stagione estiva non andata per il verso giusto, ripresi in considerazione una proposta di lavoro che avevo precedentemente scartato. Il primo settembre del ’97 ero al 24 di Viale Regina Giovanna, a Milano, per inaugurare ufficialmente la More Music Italy. Credo di essere stata la prima donna ad aver ricoperto tale ruolo in Italia, perlomeno nella dance. Importai inoltre quello che oggi è detto smart working visto che lavoravo da casa. Durante quei tre anni crebbi professionalmente imparando tante lezioni e conoscendo meglio la mentalità italiana. Credo che il flusso della mia creatività abbia portato un piacevole vento fresco nell’ambiente discografico dello Stivale. C’era un’altra faccia della medaglia però, fatta di tradimenti e slealtà.

Uno dei primi advertising della Wild! Entertainment (settembre 2000)

Quali ragioni ti spinsero, nel 2000, a lasciare la More Music Italy, da quel momento affidata a Susanna Scrocchia, per fondare la Wild! Entertainment?
Le motivazioni erano quelle a cui facevo riferimento poco fa e che ormai non fanno più parte del mio vocabolario. Diciamo che i miei soci, Elmar ed Ufuk, non furono particolarmente trasparenti nella gestione dell’azienda e alla fine i conti non tornavano. A ciò si aggiunse pure una serie di situazioni spiacevoli che mi convinsero a mollare e proseguire da sola, mettendo in guardia la cara Susanna. Alla fine comunque la scatola si rivelò vuota senza di me, anche perché mi seguirono tutti gli artisti senza pensarci due volte, tranne alcuni italiani. Con Elmar ed Ufuk chiarimmo anni dopo e su quell’avventura ho messo una bella croce imparando però tantissimo, sia in merito alla sfera privata che quella lavorativa. Non fui l’unica ad aver avuto problemi: Willy Ehmann, importante discografico tedesco che lavorava per Sony, aprì la V2 a Milano e mi confidò che gli anni vissuti nel capoluogo lombardo restano i più difficili della sua vita. Comunque rammento anche bei momenti come quelli vissuti in Self quando creammo una bella “famiglia allargata”.

In questa intervista pubblicata su Future Style nel 2000, Alexandra Shank ti chiese quali siano state le difficoltà incontrate in quanto donna. La tua risposta lasciò intendere che un certo maschilismo nel settore discografico italiano c’era. Rimarcasti il concetto l’anno seguente in quest’altra intervista a cura di Gianni Bragante edita dal medesimo magazine. A venti anni di distanza, ritieni che le cose siano mutate? Cosa voleva dire occuparsi di discografia dance negli anni Novanta per una donna?
Grazie a Dio non mi sono mai capitate cose gravi come purtroppo avvenuto ad altre donne. Sono stata sempre abbastanza coraggiosa e fiduciosa delle mie capacità, nel lavoro sapevo cosa e come fare giocando pure col mio sex appeal, ma non nascondo di aver ricevuto tantissimi commenti sessisti e manomorte da cui mi sono sempre difesa. Oggi certi “uomini” presterebbero molta più attenzione. Se allora fosse esistito un movimento come #MeToo non si sarebbero mai permessi di palpeggiarmi il fondoschiena o il seno. Non ho dimenticato ciò che un tizio disse dopo che un brano di ATB venne promosso Disc’ O Clock su Radio DeeJay: a suo dire, quel risultato lo raggiunsi accattivandomi sessualmente le simpatie di Albertino. Adesso esistono tante associazioni per difendere le donne ma all’epoca era una vera sfida. Nel 2017 sono stata scelta tra sessanta donne di sei Paesi per prendere parte al programma Keychange e partecipare a vari convegni internazionali. Inoltre faccio parte di Shesaid.so (che esiste pure in Italia dal 2018), piattaforma che si batte per l’equità e contro le discriminazioni sessuali nel music business.

La nascita di Wild! Entertainment, come si legge in un articolo di Riccardo Sada pubblicato dalla rivista Jocks Mag a giugno 2000, viene solennizzata il primo maggio di quell’anno, al 6 di Via Lepanto, a Milano. C’era una ragione dietro la scelta del nome?
Quando mi accorsi che il mondo della discografia fosse veramente selvaggio, Wild mi sembrò il nome più appropriato da usare. Il termine Entertainment invece lo aggiunsi proprio su suggerimento dell’amico giornalista Riccardo Sada.

Raffaela Travisano insieme a Paul van Dyk e Daniele ‘Dany T’ Tramontano della Global Net in una foto scattata presumibilmente nel 2001

Wild! Entertainment parte col piede giusto contando su nomi granitici della scena trance tedesca come Paul van Dyk, Blank & Jones ed ATB, ma non trascurando i nuovi talenti come Nino Lopez Project. Sul 12″ di “E-Xperience” è incisa una Album Version che lascia ipotizzare l’uscita di un LP, cosa che però non avvenne. Come mai?
È difficile ricordarlo a distanza di così tanto tempo. Forse ero già nel pieno del mio stress lavorativo che mi mise per quattro anni fuori strada? Oggi si parla tantissimo di salute mentale ma ai tempi in pochi avevano il coraggio di pronunciare la parola “depressione”. Io sono riuscita ad uscirne dopo ben quattro anni, anche grazie all’amore dei miei genitori, ma tanti altri che hanno vissuto il mio stesso dramma, come Avicii ad esempio, non sono stati abbastanza forti.

Dal 2000 stringi una collaborazione con Tony H e RIN – Radio Italia Network, a detta di molti l’ultimo baluardo radiofonico italiano a supportare la musica della club culture. La radio, ai tempi, può ancora influenzare sensibilmente i gusti dei giovani con risultati apprezzabili anche in discografia. Oggi invece? La radio ha perso definitivamente quel ruolo diventando schiava del web?
Avevo avuto modo di collaborare con Italia Network già nel 1994, quando conobbi Andrea Pellizzari e Christian Hornbostel. Quest’ultimo, un paio di anni dopo, mi presentò il direttore dell’emittente, Michele Menegon (intervistato qui, nda). Tony H era un grande e con Vitamina H provò a fare cose nuove per la dance ma poi, come tanti altri, fu costretto ad adattarsi alle regole dettate dall’alto. La radio non è morta e credo che oggi sia ancora fondamentale per la commercializzazione della musica, ma solo se combinata con app tipo Shazam. I passaggi in tv o in radio, che siano regionali o nazionali, fanno ancora “vendere” in qualche modo.

Perché Wild! Entertainment si ferma dopo circa venti pubblicazioni?
Il colpo di grazia giunse quando firmai l’accordo per “The Politics Of Dancing” di Paul van Dyk ed investii gli ultimi venticinque milioni di lire in un pacchetto promozionale con la radio. Purtroppo i risultati di quell’uscita furono disastrosi anche a causa dei distributori che preferirono comprare la versione import, su Ministry Of Sound. Ero totalmente schifata e nauseata ed iniziai a non reggere più lo stress.

Nella primavera del 2002 però dalle ceneri di Wild! Entertainment nasce Extra Wild!, spalleggiata da un nuovo distributore, la Hitland con cui peraltro avevi già collaborato, ma ormai privata di quei nomi stellari con cui avevi fatto breccia sin dai tempi della More Music Italy. Con quali intenti lanciasti la nuova etichetta, connessa alla prima dal nome?
Cercai in qualche modo di andare avanti anche perché tantissimi produttori continuavano a mandarmi la loro musica. Ricominciai quindi con Matteo Lombardoni della Hitland, affiancato dal papà Severo a cui volevo un sacco di bene. Proprio Severo mi mise in guardia, quando lavoravo ancora in Discomania, dicendomi che non avevo idea di cosa fossero capaci di fare gli addetti ai lavori. Aveva ragione.

Perché la trance non è mai riuscita ad attecchire del tutto in Italia?
Credo che i risultati raccolti siano stati già fin troppo notevoli. Quando mi presentai in Self con “9 PM (Till I Come)” di ATB ne volevano stampare solo cinquecento copie. «Lo facciamo perché ci stai simpatica» dissero.

La parabola operativa di Extra Wild! si conclude nel 2004, anno in cui la digitalizzazione inizia a far sentire pesantemente la propria presenza. Fu quella la ragione per cui non andasti più avanti?
Come ho accennato prima, ormai soffrivo da tempo di una forte depressione che mi teneva a letto anche per mesi interi. Ogni volta che ritrovavo le energie la musica mi chiamava ma le cose non andavano bene ed arrivai persino a litigare con Paul van Dyk. Non avevo più una vita sociale e non trovavo un senso a ciò che mi stesse accadendo. Furono seri motivi di salute quindi a farmi allontanare dal settore.

Dopo qualche tempo entri nell’organico di Deeep, azienda specializzata in servizi e distribuzione di prodotti digitali. Chi e cosa ti fece tornare la voglia di occuparti di musica?
In radio passavano canzoni lanciate da me, alcune pubblicità in televisione erano sincronizzate su brani del mio catalogo (ma con accordi chiusi da altri), in alcune foto scattate in consolle vidi gli slipmate della Blue Orange che avevo creato io qualche anno prima: era tempo di tornare alla vita normale e a fare quello che più mi piaceva. Il 4 luglio del 2005 così si aprì una nuova fase della mia vita. Telefonai ad Errol Rennalls della Peppermint Jam per chiedere aiuto e dopo un periodo trascorso in Germania, tornai in Italia come country manager della Deeep, lavorando in un bellissimo ufficio a Riccione nel 2008. Poi dal 2009 al 2013 ho lavorato come A&R director per Believe.

Raffaela Travisano coi Milky Chance

Nel 2013 fondi Surya Musica che si fa presto notare con un paio di hit, “I See You” dei Jutty Ranx e “Stolen Dance” dei Milky Chance. I successi degli anni che viviamo riescono a generare, economicamente ma soprattutto emotivamente, gli stessi risultati di quelli di due o tre decenni fa?
Aprire Surya Musica per me è stato molto di più di inaugurare una semplice etichetta discografica. Rappresentava il mio riscatto, dopo la fine della Wild! Entertainment che mi portò tanta ansia ed innumerevoli notti insonni, oltre a simboleggiare la mia trasformazione come persona e, nel contempo, il mutamento della vendita di musica. Guardandomi indietro mi sono resa conto però di essere entrata in contatto col digitale già parecchio tempo fa, ad un Amsterdam Dance Event, nei primissimi anni Duemila, quando venne presentato Beatport. Ci diedero due fogli con codici FTP per accedere a caselle dove figurava il primo cliente, la Kontor. Dissero che quello sarebbe stato il nuovo modo di vendere la musica ma c’era ancora un forte scetticismo. Come si potevano fare i rendiconti? E come si capiva cosa era stato venduto, e dove? Di incognite ne esistevano davvero tante ma non avevo timore del nuovo. Del resto in Italia ero iscritta a Vitaminic. Lavorando nel campo del digitale dal 2005, sono stata in contatto con veri esperti del settore. Helge, il mio ex capo, era ferratissimo nel campo e Denis, responsabile di Believe, lo considero un pioniere dell’era digitale. Ho seguito tantissime conferenze e resto dell’opinione che la musica sarà sempre più ridotta ad una sorta di accessorio per accedere a pubblicità e sincronizzazioni di vario genere. La musica fornisce ancora emozioni con cui le cose possono essere vendute meglio. Gli introiti più sostanziosi vengono dagli spettacoli dal vivo, adesso sospesi purtroppo a causa del coronavirus, ma è bene essere chiari: oggi puoi vivere di musica solo se sei un artista ad un certo livello.

Ritieni che Spotify stia remando a favore o contro gli artisti?
Spotify è uno dei player con cui gli artisti oggi si fanno promozione. Chi ci guadagna in primis, però, è Spotify. iTunes invece è morto, ma a dirla tutta pure durante i suoi anni migliori non ha mai rappresentato una fonte di guadagno. Se c’è una hit gli incassi ci sono ma derivano dalle fonti “tecniche” come la licenza SCF, pubblicità, SIAE e diritti connessi.

È opinione ormai comune sostenere che la creatività nella dance (in tutte le sue salse) si sia progressivamente smorzata, alimentando una lista infinita di materiale derivativo. Sei dello stesso avviso?
Per me la dance ormai è giunta al livello massimo di saturazione. Ricordo di essermi imbattuta in una statistica in merito all’esaurimento di tutte le possibili combinazioni armoniche e melodiche avvenuta nel 1999. Quindi, se quello studio fosse vero ed attendibile, come credo sia, da oltre vent’anni ascoltiamo solo ripetizioni. Forse per questa ragione Prince scrisse “1999” già nel 1982?

Raffaela Travisano e Jan Blomqvist in una foto scattata a Bari nel 2014

Di cosa ti occupi al momento?
Gestisco il management di due ragazze molto in gamba, Laurence Matte e Duchess, e curo la promozione in Italia di “Drivin Thru The Night” di Petit Biscuit, un pezzo che ha già ottenuto passaggi su Radio DeeJay, RTL 102.5 e Radio Monte Carlo. Nel contempo proseguo la collaborazione con Billboard Italia e con Jan Blomqvist che a mio avviso è davvero bravo e talentuoso.

Sei rimasta in contatto con gli artisti del roster della Wild! Entertainment?
Sono rimasta in contatto con tutti coloro che ne avevano voglia. L’anno scorso, in occasione dei DJ Awards ad Ibiza, ho rivisto Paul van Dyk: ci siamo riabbracciati dopo ben diciassette anni. Anche per lui, del resto, è stato un periodo difficile, e il nostro riavvicinamento ha chiuso finalmente il cerchio.

A sinistra la Travisano festeggia il suo compleanno con Timo Maas al Pikes di Ibiza nel 2019, a destra invece è in compagnia di John ‘Jellybean’ Benitez, Tuccillo ed Arthur Baker in una foto scattata presso l’Heart Club, sempre a Ibiza, nel 2018

Cosa pensi della trance odierna?
Ormai è diventata EDM! (risate, nda)

Ti porti dietro qualche rimpianto?
No, perché non si vive di rimpianti.

Quali errori non commetteresti più?
Non ci sono errori ma solo lezioni che impari vivendo.

(Giosuè Impellizzeri)

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Mimmo Mix Featuring Valerie Etienne – Chains (Underground)

Mimmo Mix - ChainsTra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, con l’abbassamento dei costi della tecnologia, un’intera generazione di DJ fa ingresso negli studi di registrazione o addirittura riesce ad allestirne di propri con mezzi di fortuna. In quel momento l’attività tradizionale del disc jockey oltrepassa la soglia del selezionare musiche altrui. Oltre a mettere dischi, i DJ iniziano ad incidere i propri. Desiderio di esternare la creatività, ambizione di diventare famosi come i cantanti, o forse un misto di entrambe queste possibilità? «In quel periodo i DJ ormai avevano il controllo dei club ed erano consolidati portavoce dei successi che passavano in radio durante il giorno» sostiene oggi Domenico Gallotti.

«Molti produttori capirono che il ruolo del DJ fosse diventato molto importante e così iniziarono a frequentare le discoteche. Ciò permetteva loro sia di valutare subito la reazione del pubblico all’ascolto dei brani, sia di conoscere personalmente i DJ che li proponevano (è capitato anche a me, col grande Roberto Turatti che veniva a trovarmi al Celebrità di Pavia con la cassetta appena uscita dallo studio con su incisi i nuovi brani di Den Harrow). Da lì a breve la richiesta ai DJ di dare una consulenza e remixare alcuni artisti. Ulteriore sviluppo di quella collaborazione fu realizzare dischi propri da proporre nelle serate e il risultato è stato grandioso, in breve tempo alcuni disc jockey divennero vere e proprie star riuscendo ad influire su mode e tendenze musicali. Oggi alcuni tengono praticamente dei concerti di fronte ad un pubblico inimmaginabile ai tempi. Insomma, in questi anni i DJ hanno percorso davvero tanta strada andando ben oltre il ruolo di semplici “mettidischi”. Quando ho iniziato io invece le cose erano radicalmente diverse. Ho studiato il clarinetto dai quattordici ai sedici/diciassette anni, arco di tempo in cui imparai a leggere lo spartito e a solfeggiare, ma poi abbandonai lo strumento proprio quando iniziai a frequentare la discoteca, ero troppo incuriosito dalla musica che si metteva nei club ai tempi, nel 1977, nonché dai DJ che si alternavano alle band che suonavano dal vivo. Pur non mixando ma limitandosi a far partire il disco alla fine del precedente, brani lenti compreso, quella del disc jockey era una figura che mi rapì completamente. Nel 1978 iniziai anche io a fare il DJ presso lo Snoopy, un club dalla capienza di quattrocento persone situato tra Binasco e Melegnano che avevo frequentato come cliente sino a poco tempo prima. Lì, tra un ballo e l’altro, osservavo il DJ resident Walter Testa mentre armeggiava coi dischi. La consolle era rialzata di poco rispetto al pavimento e mi piazzavo sul primo gradino per poterlo guardare meglio all’opera. Una sera mi chiese la ragione per cui restassi lì a fissarlo piuttosto che ballare e divertirmi. Gli risposi dicendo che apprezzavo il modo in cui manteneva il “controllo” del locale e che mi sarebbe piaciuto molto provare a fare altrettanto. Il caso volle che Walter avesse bisogno di un collega, non riuscendo a gestire da solo tutte le serate. Mi avrebbe insegnato lui a sincronizzare i dischi ma soprattutto a scegliere la “scaletta”, cosa davvero importante ai tempi. Avevamo due giradischi Technics coi regolatori di velocità a rotella, mixare con quelli era una vera impresa ma cercavo di fare comunque del mio meglio. Dopo sei mesi però Walter mi invitò a continuare da solo perché aveva ricevuto un’altra offerta di lavoro. Di colpo la responsabilità delle serate allo Snoopy gravava interamente sulle mie spalle.

Suonavo ogni sera dal giovedì alla domenica, incluso la domenica pomeriggio. Durante quel periodo conobbi alcuni DJ importanti che vennero come ospiti tra cui il mitico e compianto Leopardo Bum Bum di Radio Milano International che mi invitò in radio dove feci una bellissima esperienza. Scoprii cosa avvenisse tra lo speaker e il regista e mi resi conto di come funzionasse l’emittente che ascoltavo quotidianamente, in particolare le classifiche per tenermi aggiornato. Nel contempo allargai il giro di conoscenze ad altri colleghi DJ attraverso i negozi di dischi come Mariposa a Milano. Un giorno Klaus, un amico che lavorava lì, mi invitò ad andare a suonare con lui all’Odissea 2001, in zona Forze Armate, dove proponevano musica rock, genere che apprezzavo e seguivo. Iniziai così a fare il DJ in quel locale frequentato da tanti artisti tra cui un giovanissimo Vasco Rossi che veniva a trovare il proprietario, Claudio Conversi, Jo Squillo e Cristiano De André. Indimenticabile ed emozionante fu il party dei Doors, che nel 1980 presentarono all’Odissea 2001 il loro “Greatest Hits” e che mi firmarono pure un disco. Sempre tra le mura di quel locale conobbi Franco Lazzari che lavorava a Radio Peter Flowers, emittente rock molto importante in quel periodo e in forte espansione. Mi propose di diventare il suo regista inventando il nome d’arte Felix. Quell’esperienza durò quattro anni in cui ebbi la fortuna di lavorare con speaker del calibro di Ronnie Jones, Thomas Damiani, Marco Ravelli, Paolo Dini, Guido Monti e Nicoletta De Ponti, giusto per citarne alcuni, ma anche con giornalisti diventati importanti nel corso del tempo. Oltre a curare la regia per Lazzari e Ronnie Jones, mi occupavo dei mixati trasmessi durante le ore notturne. Poi iniziai a lavorare al citato Celebrità di Pavia con Paolino Canevari, un amico fraterno. Lì abbiamo fatto epoca, il locale era sistematicamente pieno di almeno mille ragazzi che ballavano e si divertivano tra cui il futuro giornalista sportivo Paolo Bargiggia e un giovane Max Pezzali che, molti anni dopo, avrebbe scritto persino una canzone su quella discoteca, “La Regina Del Celebrità”. Una sera Paolino mi disse che Pippo Landro, titolare del Bazaar di Pippo (negozio di cui abbiamo parlato dettagliatamente in Decadance Extra, nda) cercava un venditore per la sua New Music International che importava dischi da tutto il mondo. Decisi di lasciare la radio per intraprendere una nuova avventura nella distribuzione discografica insieme a colleghi come Paolo Mauro De Castro e Luciano Cantone che, più avanti, avrebbe aperto la Family Affair scoprendo il talentuoso Mario Biondi».

Gli ultimi anni Ottanta per Gallotti vedono l’inizio di nuove esperienze lavorative mentre il 1990 segna il debutto discografico da artista attraverso la Media Records che pubblica il suo primo singolo sulla neonata etichetta Underground inaugurata a fine 1989 con “You Make Me Funky” di MC Magic Max. Il brano si intitola “Chains” e segue l’uscita di altri due dischi di altrettanti artisti destinati a lasciare il segno in quel decennio, “In Case Of Love” di Maurizio Pavesi alias Bit-Max (di cui abbiamo parlato qui) e “Je Vois” di Molella. «Conobbi Gianfranco Bortolotti qualche anno prima, precisamente nel 1987 quando venne alla New Music e mi fece sentire un brano, una sorta di “Pump Up The Volume” dei M.A.R.R.S., inciso su cassetta e non ancora pubblicato col fine di sapere cosa ne pensassi» spiega Gallotti. «Era in linea con ciò che stava funzionando di più in quel momento e gli suggerii che sarebbe stato opportuno far partire il progetto dal Regno Unito, indicandogli alcune etichette britanniche potenzialmente interessate. Dopo circa tre mesi quel pezzo, ovvero “Bauhaus” di Cappella, conquistò i vertici delle classifiche internazionali e da quel momento la Media Records sfornò una serie incredibile di successi. Bortolotti mostrò gratitudine e mi affidò in esclusiva la distribuzione della sua etichetta in Italia. Un anno più tardi Canevari mi informò dell’imminente apertura di una nuova distribuzione che sarebbe diventata la numero uno e che i proprietari erano interessati a me, anche perché gestivo una label del calibro della Media Records. Accettai e le cose andarono subito molto bene, la Venus Distribuzione divenne in breve il più importante distributore presente sul nostro territorio. Per ringraziarmi Bortolotti mi propose di incidere un disco per la Media Records, offerta che accettai con entusiasmo come avviene sempre per le cose che mi interessano».

classifica (1990)

“Chains” di Mimmo Mix nella chart apparsa sul magazine britannico Blues & Soul (n. 562, giugno 1990)

Con l’uscita di “Chains” Gallotti conia un nuovo pseudonimo artistico che lo accompagna per gran parte di quel decennio, Mimmo Mix. Il suo brano è stilisticamente allineato all’italo house che conosce una strepitosa impennata di popolarità internazionale trainata da progetti come Black Box, FPI Project o i 49ers dello stesso Bortolotti. «L’occasione di realizzare un brano per la Media Records mi diede la possibilità di conoscere alcuni dei musicisti più bravi del momento come Pieradis Rossini che non ne sbagliava uno» dice a tal proposito Gallotti. «Per me si trattava del disco di debutto e il primo giorno mi presentai in studio, dove mi aspettavano il citato Rossini ed Ivan Gechele, con alcuni campioni presi da altri dischi. Si lavorava con un sistema analogico e i sample venivano elaborati con campionatori Akai che erano il top della gamma. Creai un groove che girava piuttosto bene e su quello Rossini sovrappose un arrangiamento da cui venne poi sviluppata la melodia. Quando la base era pronta, scegliemmo una voce adatta e la Media Records contattò Valerie Etienne, presente in una lista di cantanti turnisti d’oltremanica. Nel momento in cui il pezzo andò in stampa su Underground però non avevamo ancora ricevuto la sua liberatoria e quindi ripiegammo su un nome di fantasia, Donna. Nel momento in cui giunse la licenza nel Regno Unito, sulla londinese Swanyard Discs Ltd., il featuring però venne ufficializzato. “Chains” fu un grande successo, raggiunse la seconda posizione della club chart britannica e divenne un pezzo-simbolo delle notti londinesi al punto tale che nel 2005 il DJ Lee B ricordò il prematuramente scomparso Simon Hobart, figura chiave del clubbing della capitale, proprio con “Chains”, il brano su cui iniziarono a chiacchierare durante i mercoledì delle serate Pyramid all’Heaven. Apprendere ciò mi ha fatto venire la pelle d’oca. Ricordo inoltre che una rivista statunitense definì “Chains” come il brano che spianò la strada della hypnotic house, in relazione all’arrangiamento iniziale. Il disco vendette tanto, credo tra le 150.000 e le 200.000 copie».

con Knuckles e Moiraghi

Domenico Gallotti insieme a Frankie Knuckles e Franco Moiraghi in una foto scattata al Madame Cloud di Milano tra 1992 e 1993

Nel 1991 è tempo del follow-up intitolato “My Way”. La Media Records decide però di traghettare Mimmo Mix su un’altra delle sue tante etichette, la Whole Records, quella che licenzia in Italia la versione originale di “Show Me Love” di Robin Stone, portata al successo tempo dopo dal remix di StoneBridge quando l’artista cambia nome in Robin S., e che da lì a breve pubblicherà i successi degli East Side Beat di cui abbiamo parlato qui. «A cantare “My Way” fu sempre Valerie Etienne, tenendo fede al detto “squadra che vince non si cambia”» prosegue Gallotti. «Il pezzo si mosse bene specialmente negli Stati Uniti dove l’Atlantic chiese la licenza del singolo e di un eventuale l’album, cosa che purtroppo non andò in porto perché la Etienne aveva già firmato un’esclusiva quinquennale col gruppo dei Galliano. Fu un vero peccato, rinunciammo a parecchi soldi». È sempre la Whole Records a pubblicare, tra 1991 e 1992, altri tre singoli di Mimmo Mix, “All Your Love”, “I Wanna Be With You” e “Take My Body”, tutti ascritti ancora al filone italo house, con pianate e vocalità in grande evidenza ma pure con deviazioni più clubby come avviene nella Under Disco Version di “I Wanna Be With You”, in cui la voce della Etienne viene sequenzata alla stregua di uno strumento. «Alle spalle avevo due dischi che funzionarono bene, iniziavo a suonare in molti club internazionali e continuavo a produrre musica con l’intento di ottenere nuovi riscontri positivi ma purtroppo le cose non andarono per il verso giusto» spiega Gallotti. «Degli ultimi tre singoli editi dalla Media Records preferisco “All Your Love”, del 1991, che comunque conquistò un paio di licenze, in Francia e nel Regno Unito».

ritaglio di giornale (1993)

Un ritaglio di giornale risalente al 1993 quando Gallotti realizza, con Pieradis Rossini e Silvio Pozzoli, “Unchained Melody” di Allarme PSM. Insieme a lui, tra gli altri, Joe T. Vannelli, Franco Moiraghi, Philippe Renault Jr., Daniele Baldelli e il compianto Dr. Felix.

In parallelo il DJ di origini pugliesi porta avanti sinergie con altre etichette italiane come la X-Energy Records (gruppo Energy Production) che nel ’91 pubblica “Change It” di Free Zone, la Remake Records (gruppo DJ Movement) con “Lonely Times”, “Unchained Melody” e “Back Again” di Allarme PSM, e la Out (gruppo Discomagic) che invece manda in stampa “Master Mind” del progetto omonimo condiviso con Franco Diaferia, lo stesso con cui realizza “E.Iaosa” di Imago per la Palmares Records che proprio in quel periodo vanta la hit di Mephisto, “State Of Mind”, di cui parliamo qui. «Non avendo un’esclusiva con la Media Records e visti i successi ottenuti, molte etichette mi contattarono proponendomi collaborazioni» rammenta Gallotti. «Il caro Dario Raimondi Cominesi della Energy Production si mise a disposizione e pubblicò “Change It” di Free Zone che funzionò bene sia in Italia che all’estero, trovando un posto anche nella Pagellina di Radio DeeJay che in quegli anni era il “Vangelo della dance” per tutte le etichette discografiche nostrane. Andò bene pure con la Remake Records che Pieradis Rossini fondò dopo aver abbandonato la Media Records: il progetto, creato con lo stesso Rossini e col caro amico Silver Pozzoli noto per la hit “Around My Dream” del 1985, si chiamava Allarme PSM (PSM era l’acronimo di Pieradis Silvio Mimmo) e si impose in Europa con “Lonely Times”, precisamente con la versione Under Europe Mix incisa sul lato B realizzata in appena tre ore e che fruttò più di ventimila copie e diverse licenze estere. La collaborazione con la Discomagic del compianto Severo Lombardoni, un grande nel settore della discografia e della distribuzione, invece non portò grandi successi. Col citato Diaferia remixai, tra le altre cose, “I Like Chopin” di Gazebo nel 1992 per la Baby Records di Freddy Naggiar. Degni di menzione pure i remix che feci per “Move Your Feet” dei 49ers, “Communicate” di D.D.E. Feat. Lamott Atkins e “Come On (And Do It)” degli FPI Project. Furono anni impegnativi che ricordo con molto piacere».

Mimmo Mix - Love Me Baby

La copertina di “Love Me Baby”, il singolo con cui nel 1994 Gallotti torna a vestire i panni di Mimmo Mix

Dopo un biennio di stand-by Gallotti riporta in vita il suo alias principale, Mimmo Mix, col singolo “Love Me Baby” edito alle porte dell’estate del 1994 dalla Mercury del gruppo PolyGram e con un ritornello ispirato da “Touch Me (All Night Long)” di Wish Featuring Fonda Rae, del 1984, già coverizzata con successo da Cathy Dennis nel 1991. Diverse riviste lo annunciano come una potenziale hit della stagione più calda dell’anno, soprattutto perché supportato da una multinazionale. «Mi presi una pausa visto che i risultati discografici non erano più vincenti, preferendo dedicarmi quasi esclusivamente all’attività da DJ che invece proseguiva nella migliore delle maniere» rammenta l’artista. «Tra ’93 e ’94 feci anche il presentatore in tv, su Videomusic, dove conducevo un programma di classifiche nazionali ed internazionali, e su Antenna 3 Lombardia, dove invece intervistavo DJ, produttori e speaker radiofonici di successo. Poi decisi di tornare attivo sul fronte discografico e chiamai Bruno Guerrini che lavorava per la Media Records, proponendogli di aiutarmi a realizzare il nuovo singolo di Mimmo Mix ed informandolo sul diritto di prelazione della PolyGram ma che, comunque fosse andata, avrei sostenuto io le spese di produzione. Accettò e componemmo “Love Me Baby” nello studio che aveva allestito nella sua casa, il Secret Studio. A cantare il pezzo fu una turnista a cui appioppammo il nome di fantasia Nicole che, dopo aver percepito il compenso, non volle partecipare al progetto. Non fu una stranezza anzi, ai tempi accadeva molto spesso. Dopo averlo ascoltato la PolyGram confermò l’interesse e decise di rilevarne i diritti per tutto il mondo. Il Paese in cui andò meglio fu la Germania dove venne licenziato dalla ZYX di Bernhard Mikulski. Il supporto dato dalla major era diverso rispetto a quello delle indipendenti specialmente in relazione alla promozione, molto forte. I tempi di “Chains” erano ormai lontani ma non ruppi del tutto i rapporti con la Media Records, nutrivo e nutro ancora grande stima per Gianfranco Bortolotti e Diego Leoni. Fu una loro scelta quella di cambiare genere musicale e puntare sul cosiddetto “zanzarismo”, piuttosto distante dal mio gusto personale».

Mimmo Mix - Feeling

“Feeling” è il singolo di Mimmo Mix del 1995 cantato da Fabiola Casà, immortalata anche sulla copertina. Da lì a breve la giovane comincia la carriera televisiva con Match Music e poi diventa una nota voce radiofonica

Dal 1994 Gallotti trova nuova energia e l’anno dopo torna su Palmares con “Feeling”, interpretato da Fabiola Casà scelta qualche anno più tardi come conduttrice di Los Cuarenta quando Radio Italia Network diventa RIN sotto la guida di Giorgio Bacco, intervistato qui. Nel ’96 sulla stessa label appaiono invece “It’s My Heart” e “Luv Found You”. Poi tocca al progetto Elektrofunk gestito con Gianni Vitale (quello di Nexy Lanton) e spalleggiato dalla EMI Italiana. «Dal ’94 ripresi a produrre musica con continuità e alla fine di quell’anno incontrai Alessandro Viale (uno dei produttori di “Up & Down (Don’t Fall In Love With Me)” di Billy More) che mi invitò nel suo studio casalingo dove buttava giù idee» prosegue il DJ. «Uscì proprio dal suo Privè Studio il primo pezzo che curammo insieme, “I’m Ready” di E.C.H.O., pubblicato nel ’95 dalla Beverly Hills Records del gruppo Many. In quel periodo Viale era fidanzato con Fabiola Casà che aveva diciannove anni. Mentre noi producevamo musica lei strimpellava la chitarra e un giorno le chiesi di provare a cantare “Feeling”. Il suo futuro sarebbe cambiato da lì a breve, prima come inviata di Match Music e poi a Radio Italia Network, Discoradio e 105. Il progetto Elektrofunk invece fu ideato con Gianni Vitale, un bravo musicista e fonico con cui ho lavorato nella seconda metà degli anni Novanta (incidendo anche altri titoli come “Fallin'” di B. Boom ed “Every Body Jumpin'” di J. Team, nda), lasciandomi alle spalle gli ultimi singoli di Mimmo Mix, “Luv Found You” ed “It’s My Heart”, entrambi del 1996 ed interpretati da Julia St. Louis che purtroppo non andarono molto bene. Con Elektrofunk le cose cambiarono in meglio e il supporto della Dance Factory/EMI Italiana ci galvanizzò. L’A&R Nico Spinosa ci mandava spesso recensioni entusiasmanti ma il risultato, seppur positivo, non fu proprio quello che ci si aspettava».

DeNiro - Rock With You

DeNiro è il nuovo alter ego con cui Gallotti firma il brano “Rock With You” tornando al successo nel 2001

Tutto però cambia poco tempo dopo. Nel 2001 esce “Rock With You”, cantata dal compianto Troy Parrish e diventata una hit estiva che scandisce inoltre lo spot pubblicitario della Omnitel con Megan Gale. Per l’occasione l’autore conia un nuovo pseudonimo, DeNiro. «Con l’aiuto di un amico francese riuscii ad entrare in contatto con Richard Grey che allora lavorava come fonico per i Daft Punk» spiega Gallotti. «Gli chiesi di mandarmi eventuali sample scartati dal duo e ad ottobre del 2000 mi vidi recapitare un CD con su il campione di una chitarra distorta da poter utilizzare a mio piacimento. In cambio Grey mi chiese tre punti S.I.A.E. ed io accettai. Chiamai subito Guerrini per realizzare la base e dopo averla approntata interpellai Pico Cibelli che lavorava alla Universal facendogli ascoltare il brano, ancora strumentale. Per lui era una bomba ma necessitava di una parte cantata. Dopo un po’ di ricerche condivise con Bruno, saltò fuori il nome di un cantante americano da poco residente in Italia, Troy Parrish. Quando Cibelli sentì il risultato mi garantì che fosse una hit ed aveva ragione: tra singolo e compilation (tra cui quella del Festivalbar) “Rock With You” vendette oltre un milione di copie. Inoltre fu scelto per lo spot televisivo della Omnitel e quella per me fu davvero una grandissima soddisfazione. Il follow-up uscito nella primavera del 2002, “I Don’t Wanna Cry”, fu cantato invece da Tony Thompson ma purtroppo non eguagliò i risultati del primo. Esiste anche un terzo singolo di DeNiro uscito anni dopo, “Time Is All I Need”, interpretato da un grandissimo cantante gospel disposto a mettersi in gioco su un pezzo house, Robinson Junior».

In un’intervista del 2002 di Gianni Bragante apparsa su Future Style Gallotti dichiara che in ambito professionale l’amicizia è assai rara. «Tutti ti sono amici nel momento del successo ma quando non sei più al top, le telefonate si diradano considerevolmente e nessuno ha più tempo o voglia di vederti». Una consuetudine nella sfera musicale e, più in generale, nel mondo dello spettacolo, che di tanto in tanto emerge anche attraverso racconti di attori e personaggi del piccolo schermo. «Lo dissi quasi venti anni fa e lo riconfermo ancora oggi» sostiene con sicurezza l’artista. «Quando si fa business le amicizie sono generalmente basate sull’interesse economico. Con lo scambio di favori la relazione cresce e diventa ancor più stretta se gli affari prosperano. In caso contrario si cercano altre strade, pur rimanendo “amici”. La vera amicizia però è un’altra e credo che chi abbia più di tre amici disposti a fare qualsiasi cosa per aiutarti debba sentirsi davvero fortunatissimo. Quando lavoravo alla Venus passavano dalle mie mani in esclusiva anteprime discografiche provenienti da tutto il mondo. Le radio mi chiamavano almeno una volta al giorno per avere informazioni e dischi nuovi. Con Marco Mazzoli, nel periodo in cui lavorava a Station One, inventammo persino una rubrica/gag in cui, nelle vesti dell’agente 00zanza, fingevo di inseguire i migliori DJ al mondo per rubargli le novità che avevano nel flight case, suonando poi quei brani anche un mese prima rispetto alla data di uscita ufficiale. Quando nel 2002 lasciai la Venus per aprire la mia etichetta discografica però quasi tutti si dileguarono. Ho fondato la G Records mettendo a frutto tutta l’esperienza accumulata negli anni. Ormai viviamo nell’era della musica liquida in cui è fondamentale avere un grande catalogo, necessario per produrre un certo tipo di fatturato. In alternativa serve lavorare su un artista e fare un grande successo. È cambiato davvero tutto rispetto a quando si vendevano dischi nei negozi con margini di guadagno molto più alti rispetto agli attuali download (anche dieci volte di più!). Per fortuna ci sono una serie di diritti che noi etichette abbiamo acquisito stringendo accordi con associazioni di categoria e che ci fanno recuperare soldi importanti. Il mercato discografico comunque esisterà sempre perché non ci si stancherà mai di ascoltare musica, l’unico mezzo a non avere confini e capace di unire milioni di persone di tutto il mondo. Cambierà forse chi lo gestirà. Io continuo ad occuparmi della G Records, con sede a Milano. In questi anni ho instaurato importanti collaborazioni come quella con Ciro Scognamiglio, produttore di Raim che col brano “Labirinto” ha raggiunto le semifinali di Sanremo Giovani» conclude Gallotti. (Giosuè Impellizzeri)

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Mr. Flagio – Take A Chance (Squish)

Mr. Flagio - Take A ChanceOrmai, da circa un ventennio a questa parte, la musica da discoteca prodotta in Italia nei primi anni Ottanta è oggetto di una fortissima rivalutazione. I più osannati, paradossalmente, non sono però i brani che ai tempi raccolsero maggior successo scalando classifiche nazionali ed internazionali ma quelli che invece rimasero defilati dal pubblico generalista e da eclatanti risultati economici, proprio come accadde a “Take A Chance” di Mr. Flagio, trasformatosi letteralmente in un brano-manifesto di quell’epoca, capace di lasciare un segno andato oltre il tempo nonostante non sia stata una hit e non abbia neppure fatto leva sulla classica formula che rese tanto celebre l’italo disco nel mondo.

Tra gli artefici c’è Giorgio Bacco che inizia l’attività da disc jockey negli anni Settanta, quando fare il DJ è ancora un hobby da dopolavoro piuttosto che una professione vera e propria, ben lontana dal successo globalizzato dei tempi che viviamo. «Tornato da una vacanza in Brasile, nell’estate del 1975, cominciai, insieme al mio amico Rino, a fare il disc jockey in un piccolo locale a Chiavari» ricorda oggi Bacco. «Mi dedicai alla musica dopo aver completato gli studi della scuola superiore ma ero un semplice “mettidischi”, selezionavo brani senza metterli in battuta. Quando finiva uno lasciavo partire il successivo evitando la pausa tra i due, e del resto era ciò che faceva gran parte dei DJ di allora giacché la pratica del beatmatching non aveva ancora preso piede. Ai tempi inoltre la diffusione di musica “diversa” rispetto ai successi da balera che tutti conoscevano era assai limitata. Radiofonicamente c’erano solo le trasmissioni Rai che però spesso censuravano certe cose impedendo che giungessero al grande pubblico. Nell’autunno di quello stesso anno iniziai a lavorare in una discoteca genovese, il Babboleo, che aveva un locale seminterrato in cui si facevano anche spettacoli di cabaret dal sapore già molto moderno. Si metteva musica prevalentemente funk e soul prodotta negli Stati Uniti o in Gran Bretagna da artisti e band come Jimmy Castor Bunch, Joe Tex e James Brown. Quei dischi, comprati in un negozio rifornitissimo di Lugano, in Svizzera, figuravano anche nel programma che condussi per circa quattro mesi, a partire dal gennaio ’76, su una piccola emittente, Radio Liguria 1.

Radio Babboleo (1978)

Una foto scattata a Radio Babboleo nel 1978: Giorgio Bacco, a sinistra, è affiancato da Paolo Kighine, che ai tempi lavora come fonico per l’emittente genovese

A maggio di quell’anno, quando si concluse la stagione invernale e il Babboleo chiuse, io e vari amici iniziammo a prendere in considerazione l’ipotesi di creare una radio tutta nostra. Eravamo circa quindici soci, il capitale che impegnai era di trecentomila lire. Come “sede” per le trasmissioni scegliemmo una piccola stanza nel castello Mackenzie, a Genova, allestita con pochissime cose come un mixer, due giradischi, un microfono, un trasmettitore, un registratore e cartoni portauova sulle pareti a fare le veci di pannelli fonoassorbenti. Avevamo anche una mascotte, un cagnolino di nome Salsoul, in tributo all’etichetta di New York che seguivamo con viva passione. Nacque così Radio Babboleo, ideale prosecuzione di quello che avevamo fatto sino a pochi mesi prima nell’omonimo locale. Il successo non si fece attendere in pochi anni diventammo la prima radio privata in Liguria. Tra i conduttori di quel tempo c’erano Marco Predolin, Federico L’Olandese Volante, Panda e Rino Deodato. Parallelamente io e Rino aprimmo un negozio in città, il Mi Amigo Records, specializzato in dischi d’importazione che compravamo dai grossisti esteri. Il nome, in questo caso, omaggiava una radio pirata inglese degli anni Sessanta, la Mi Amigo per l’appunto (legata alla più celebre Radio Caroline, di cui si può leggere un approfondimento qui, nda). La mia attività principale, per praticamente tutti gli anni Ottanta, restava comunque quella di disc jockey. La radio era solo un passatempo come del resto quello delle produzioni discografiche».

Mr. Flagio merch

Vari esempi di merchandising decorato con la grafica tratta dalla copertina di “Take A Chance”, a testimonianza di quanto Mr. Flagio abbia tenacemente resistito all’incedere dei decenni

Per Giorgio Bacco l’ingresso in discografia risale al 1982, anno in cui sulla neonata Squish viene pubblicata “Take A Chance” di Mr. Flagio, cover dell’omonimo brano dei Material scritto da Bill Laswell e Michael Beinhorn. Pur rispettando le originarie matrici afro funk sperimentalistiche, il pezzo ne potenzia l’apparato ritmico con una drum machine elettronica trainata da una straripante linea di basso a sua volta abbinata ad una parte vocale realizzata col vocoder (fatta eccezione per il “keep it stronger” nel bridge, di Gwen Aäntti, collaboratrice della Squish) ed una chitarra in stile Chic. A posteriori “Take A Chance” entra negli annali. Artisti del calibro di Pet Shop Boys, Röyksopp, I-f, Flemming Dalum e DJ Hell lo inseriscono nelle proprie selezioni (rispettivamente in “Back To Mine”, “Mixed Up In The Hague Vol. 1”, “Italo Classix”, “Hellboys”) ed oggi viene considerato praticamente all’unanimità (si veda qui o qui) uno dei pezzi migliori dell’italo disco che continua a colonizzare l’attenzione di nuove generazioni di DJ e produttori (come Oliver Heldens che realizza una versione per la sua Heldeep Records), alcuni dei quali disposti a parodiarne il nome, come Mr. Clavio, dai Paesi Bassi, o Flagio M, dalla Francia. C’è persino chi, come si vede su Teepublic, ha utilizzato la grafica di copertina per decorare felpe, t-shirt, adesivi e tazze.

Mr. Flagio (1983)

La foto, scattata nel 1983 negli studi di Radio Babboleo, che immortala l’uscita di “Take A Chance” insieme agli autori, Flavio Vidulich e Giorgio Bacco

«Sul crescente successo di Radio Babboleo, tra la fine del 1982 e l’inizio del 1983, ci lanciammo nel mondo delle produzioni discografiche dance, un settore che stava crescendo visibilmente» rammenta Bacco. «Però, tengo a precisarlo, per noi quella era tutt’altro che un’avventura imprenditoriale ma solo un gioco. A partire dal nome Mr. Flagio, acronimo di Flavio (Flavio Vidulich, co-produttore del brano nonché una delle voci di Radio Babboleo) e Giorgio, passando per l’etichetta Squish, che creammo appositamente chiedendo ad una grafica che lavorava in radio di approntare il logo. Ci autoproducemmo il 12″ e a distribuirlo fu un negozio di Genova, City Music, appartenente alla Dafy Records di Rapallo. Ne riuscimmo a vendere diecimila copie, poche per il periodo ma tantissime per un gruppo di giovani che si stavano semplicemente divertendo senza alcuna velleità artistica, cercando tra l’altro di andare controcorrente. Tra le maggiori hit dance di allora infatti c’erano “Don’t Cry Tonight” di Savage, “Happy Children” di P. Lion e “Dolce Vita” di Ryan Paris, pezzi spiccatamente italiani sia nella melodia che nella costruzione basata sul formato “canzone”, ma a noi quella roba non piaceva molto. Non a caso decidemmo di rifare un brano dei Material proprio per differenziarci da ciò che funzionava di più nel nostro Paese. Realizzammo “Take A Chance” nello Studio G dei fratelli De Scalzi. A coadiuvare il lavoro fu proprio Aldo che si occupò di suonare tutte le parti dei sintetizzatori e programmare la batteria elettronica. L’assolo di chitarra in stile Nile Rodgers invece lo eseguì come turnista Marco Colombo dei Cacao. A qualche settimana dall’uscita si fece avanti la CGD che volle stampare il 7″ e a seguire la tedesca ZYX che invece lo commercializzò in Germania sia su 7″ che su 12″».

follow-up e altre produzioni

Collage delle copertine relative alla parentesi discografica di Vidulich e Bacco dopo “Take A Chance”

Il secondo singolo di Mr. Flagio arriva nel 1984, si intitola ” …Get The Night” e questa volta conta su un distributore ufficiale, Il Discotto di Roberto Fusar-Poli. Viene registrato ancora nello Studio G di Aldo e Vittorio De Scalzi ed è cantato da Ronnie Jones ma dal punto di vista stilistico non mostra alcun continuum col precedente, in barba alla ricetta del classico follow-up. In parallelo Vidulich e Bacco incidono un’altra manciata di produzioni per la Squish, “Looking Through The Night” di Art Of Love e “Talkin’ To The Stars” di Savoire Faire. Poi alla Out di Severo Lombardoni cedono “The Station” di Moments e l’ormai prezioso “Loved By You” firmato A.G.F., un nuovo acronimo che questa volta annovera pure Aldo De Scalzi. Su Merak Music finisce “Midnight Man” di C-Band e a completamento dell’euforica fase c’è la produzione di “Fahrenheit 451” degli Scortilla, band genovese che fa il verso al post punk e alla new wave à la Devo sulla quale scommette la WEA e che partecipa al Festivalbar del 1984 entrando in finale. «Tutto quello che facemmo in discografia tra 1983 e 1984 fu semplicemente il frutto del nostro divertimento» spiega Bacco. «Non c’era alcuna strategia dietro l’uscita di quei dischi, e non aver inciso un pezzo simile a “Take A Chance” per sfruttarne l’onda testimonia in pieno la nostra goliardia. Quando iniziammo a collaborare con la Discomagic di Lombardoni, vendevamo i dischi al chilo e non a copie! Insomma, davvero nulla di pianificato e studiato a tavolino con l’obiettivo di arricchirci anzi, tutt’altro. Il valore di “Take A Chance”, per giunta, è stato riconosciuto in un’epoca del tutto diversa rispetto a quando lo registrammo. Ad informarmi che stesse succedendo qualcosa di incredibile innescando reazioni a catena nei locali più di tendenza a Berlino fu, intorno alla fine degli anni Novanta, un amico ed ex fonico di Radio Babboleo, Paolo Kighine, nel frattempo diventato un noto DJ (e produttore discografico, intervistato qui, nda). Da circa un ventennio quindi Mr. Flagio è considerato un cult, oggetto di un interesse che non si smorza ed alimentato da numerose ristampe, ma quasi tutte prive di autorizzazione. Recentemente “Take A Chance” è finito sia nella seconda serie di “Master Of None”, su Netflix, sia nel film “Dogs Don’t Wear Pants” diretto dal regista finlandese J-P Valkeapää. Mensilmente, pur senza attuare alcuna promozione, il brano totalizza circa diciottomila passaggi streaming sulle varie piattaforme online e giusto di recente ci hanno proposto di reinciderlo ma abbiamo declinato, meglio che resti così».

Radio Babboleo (1986)

Foto di gruppo a Radio Babboleo, nel 1986

Per Giorgio Bacco l’esperienza in studio di registrazione termina, ma il suo futuro continua ad essere legato a doppio filo al mondo della radiofonia. «Dopo i primi passi a Radio Babboleo, iniziammo a collaborare con la concessionaria pubblicitaria SPER» prosegue. «Producevamo programmi che la concessionaria sponsorizzava per un circuito di radio locali in tutta Italia e riuscimmo ad entrare in contatto col compianto David Zard, il più importante impresario ed organizzatore di eventi in Italia di allora, che ci diede la possibilità di presenziare a vari concerti e trasmettere quattro/cinque brani attraverso uno studio mobile allestito in un van. In quella maniera offrivamo l’occasione ai nostri ascoltatori di “partecipare” a mega eventi di pop e rock star, seppur non fisicamente. In assenza di internet e smartphone, ascoltare un frammento del concerto del proprio beniamino alla radio significava tantissimo. Nella seconda metà degli anni Ottanta seguimmo, per varie edizioni, pure il Festival di Sanremo, producendo programmi da studi allestiti su navi ormeggiate nel porto di Sanremo. L’ultimo anno ci superammo e prendemmo a nolo una nave di ottanta metri dotata di eliporto su cui atterrarono i Bon Jovi con il loro elicottero. Tra i conduttori del programma c’erano Mauro Coruzzi alias Platinette e Moana Pozzi».

Giorgio Bacco @ RIN (2002)

Una foto del 2002 che ritrae Giorgio Bacco negli studi milanesi di RIN – Radio Italia Network, emittente per cui diventa direttore ed amministratore delegato

Negli anni Novanta Giorgio Bacco è direttore del CNR – Circuito Nazionale Radiofonico, presidente di AGR – Agenzia Giornalistica Radiotelevisiva e direttore dei programmi di Radio 24, inaugurata il 4 ottobre del 1999. Poi nel 2000 diventa amministratore delegato e direttore di Radio Italia Network, oggetto di un profondo restyling anche nel nome, RIN, e rimasta, a detta di molti, l’ultimo baluardo della radio italiana dedicata ai giovani prima dell’avvento di m2o. In un’intervista a cura di Antonio Bartoccetti finita a marzo 2002 sulle pagine di Future Style Bacco dichiara che «la strategia di RIN è basata sulla volontà di creare una radio a target specifico, tematica e assolutamente non generalista. Quando sei in auto devi sapere che su ciascuna delle radio in memoria deve esserci ciò che desideri. Insomma è l’ascoltatore che consciamente o no, si fa il suo personale palinsesto. La stessa cosa sta succedendo con la TV: canali tematici per film, documentari, scienza, notizie, meteo, teatro, musica, sport, ecc. Parlando di altre radio, noto che anche buona parte del DeeJay Time si sta spostando sul pop, ritenendo di allargare il target. Io penso invece che per incrementare gli ascolti sia necessario coinvolgere sempre più tutti i potenziali amanti di quel genere a cui appartiene quel target». A distanza di diciotto anni da quelle dichiarazioni ci si domanda se la targetizzazione possa avere ancora un ruolo in uno scenario radiofonico in cui la password d’accesso principale pare essere invece “generalismo”. Musicalmente parlando, praticamente nessuna emittente oggi è più intenzionata a scommettere su cose slegate dal consenso della fascia più ampia del pubblico, e il lavoro dei programmatori pare essersi trasformato dallo scovare (nel vero senso della parola) nuovi successi al mettere in sequenza quelle che sono già hit, consacrate dal web o dalle piattaforme di streaming tipo Spotify, come scrive Michele Monina in questo articolo di qualche mese fa.

adv RIN novembre 2000

Uno degli advertising pubblicitari con cui nell’autunno del 2000 viene rilanciata Radio Italia Network, i cui studi vengono trasferiti a Milano e col nome affiancato dall’acronimo RIN

«Rilevammo la proprietà di Italia Network quando la sede era alle porte di Bologna» dice Bacco ricordando la radio fondata ad Udine nel 1982 da Mario Pinosa e di cui abbiamo parlato qui attraverso un’intervista doppia a Michael Hammer e Gianni De Luise. «La tenemmo per un po’ in stand-by perché lavoravamo al progetto Radio 24, un’autentica scommessa che ad appena cinque mesi dal lancio contava già un milione di ascoltatori. A quel punto mi dedicai ad Italia Network che nel frattempo si era trasferita a Milano, in Viale Giulio Richard. Decisi di eliminare gli speaker per dare unicamente spazio alla musica rivolta ai giovani, la dance. Per me quello era una sorta di ritorno agli esordi da DJ e devo confessare che mi divertii tantissimo. A maggio del 2000 cambiai nuovamente palinsesto e le indagini rivelarono che quell’operazione ci fece guadagnare circa 400.000 ascoltatori. Acquistammo nuove frequenze, potenziammo il segnale e a settembre tutto era pronto per partire con la nuova Italia Network, trainata da una capillare campagna promozionale, quella dei “rapiti da”. Dagli 800.000 ascoltatori giornalieri raggiungemmo gli oltre 2 milioni in circa un anno e mezzo. Eravamo al top in tutto, non avremmo potuto fare di meglio, e sicuramente era quello il momento più propizio per cedere la radio. Nel 2002 RIN passò al gruppo RCS. Tuttavia la nuova proprietà mi chiese di rimanere, sia come direttore artistico che amministratore delegato».

rassegna stampa RIN (2003)

Rassegna stampa di RIN – Radio Italia Network nel 2003, quando la proprietà passa ad Rcs e viene varato il nuovo logo col rinoceronte

RIN prosegue il suo cammino col nuovo pay-off, “radio un corno”, e il nuovo logo col rinoceronte. Un anno e mezzo più tardi però qualcosa cambia di nuovo. La proprietà intende trasformare RIN in una radio generalista. «Mi opposi con tutte le forze intuendo che i miei interlocutori non ne capissero molto di radio» afferma Bacco. «Fare un’emittente generalista significava gettare alle ortiche tutto ciò che avevamo fatto in duri anni di lavoro. Nel 2005 quindi chiusi i rapporti lavorativi con RCS. A quel punto RIN si trasformò in Play Radio, diretta da Luca Viscardi, ma durò poco, nonostante a mandarla avanti fosse quasi la stessa squadra inclusa Barbara Terrile, mio braccio destro, ora una delle responsabili di Virgin Radio. A maggio di quell’anno “mollai tutto” e viaggiai in barca per cinque mesi. Sentivo la necessità di prendere le distanze da ciò che era successo. In autunno l’allora direttore di Radio 24, Giancarlo Santalmassi, mi chiese di tornare presso la stessa emittente come consulente dove sono rimasto sino al 2013.

Giorgio Bacco @ RIN (2004)

Giorgio Bacco a RIN – Radio Italia Network nel 2004, poco prima che l’emittente venga stravolta e trasformata in Play Radio

Opinioni sulle radio italiane di oggi? Trovo siano tutte tragicamente uguali e prive di originalità. Ne ascolto pochissime, come la tematica Virgin e Radio 24 per l’amico Giuseppe Cruciani. Il resto non mi interessa, gli speaker dicono sempre e solo amenità di ogni tipo. Rispetto al rilancio di Radio Italia Network sono cambiate tantissime cose e la più importante è che i giovani non considerano più la radio un mezzo di riferimento, la musica ormai la cercano e scoprono altrove. La radio è sostanzialmente un media per vecchi e gente di mezza età, e mi domando come facciano le indagini a rilevare nuovi ascolti se la natalità in Italia sia ai minimi storici. La vera esplosione della radio risale agli anni Settanta quando rappresentò un’assoluta novità. Il binomio radio-discoteca creò un’accoppiata micidiale ed io stesso, quando facevo il DJ, ero noto quasi come un calciatore, mi chiedevano persino gli autografi! La necessità di idoli oggi non manca di certo, ma i beniamini dei giovani passano dai programmi televisivi, dai reality show e dai talent. Senza dimenticare YouTube, Instagram e le app come TikTok che catalizzano l’attenzione di milioni di ragazzini in tutto il mondo. Ad essere sparito del tutto è anche lo scouting: non c’è più nessuno in grado di scoprire veramente dal nulla cose nuove e lanciarle. Consiglio di leggere questa recente intervista di Ringo, in cui ci sono tanti passaggi che condivido. È mutato pure l’atteggiamento delle case discografiche. Sia chiaro, hanno sempre cercato di spingere i propri artisti ma nei decenni passati i DJ erano così scaltri ed attenti da riuscire ad arrivare prima di loro alle hit, esattamente l’opposto di quanto avviene ora. “5 O’Clock In The Morning” dei Village People, ad esempio, a Babboleo lo iniziammo a suonare cinque mesi prima rispetto a quando la casa discografica decise di lanciarlo come singolo. Ricordo inoltre le riunioni mensili in cui i promoter ci facevano ascoltare una serie di brani che avrebbero potuto prendere in licenza. Eravamo liberi di dire ciò che pensavamo senza alcuna pressione e qualora il pezzo ci piacesse davvero, il feedback positivo diventava una sorta di “lasciapassare” per future collocazioni nella programmazione. Fu proprio durante una di quelle riunioni che ascoltai per la prima volta “Relax” dei Frankie Goes To Hollywood». (Giosuè Impellizzeri)

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Michael Hammer e Gianni De Luise: gli anni Novanta di Italia Network

coppia«È la radio leader della musica dance, impostata sul modello americano: quaranta brani a rotazione. Nasce nel 1981 ad Udine, piccola capitale della musica da discoteca, e diventa network nel 1986». Si apre con queste parole un trafiletto su Italia Network apparso su TV Sorrisi E Canzoni del 26 giugno 1993, in cui si legge pure la dichiarazione dell’amministratore delegato Andrea Gandolfi: «La carta vincente è stata quella di puntare sui ragazzi, sono loro il nostro investimento per il futuro». Ad agosto dello stesso anno il settimanale Noi, edito da Silvio Berlusconi Editore, dedica al team di Italia Network ben quattro pagine. Da quel 1993 sono trascorsi oltre venti anni e l’emittente in questione ha vissuto mille peripezie ma resta, probabilmente, la realtà radiofonica italiana ad aver stretto un rapporto più viscerale col mondo del clubbing, declinandone ogni suo aspetto attraverso svariati programmi tematici (qui potete visionare alcune classifiche). Ne parliamo con due personaggi che gravitavano nel mondo dell’Italia Network con la doppia stella (anzi, col doppio +, «per sottolineare la positività della radio», come fu spiegato in quell’articoletto su TV Sorrisi E Canzoni): Michele Menegon alias Michael Hammer e Gianni De Luise.

Quando e come arrivasti ad Italia Network?
Michael Hammer: Di tempo ne è passato tanto, credo fosse il 1989, e ci arrivai grazie a Gianmarco Ceconi, con cui condividevo diverse esperienze editoriali, ed Andrea Pellizzari, con quale invece stavo collaborando in una radio locale. Gianmarco lavorava già ad Italia Network e in quel periodo serviva un tecnico che facesse la diretta ma che si occupasse anche della post-produzione di spot e jingle. Andrea e Gianmarco credettero che io fossi la persona giusta, quindi persona giusta nel posto giusto … e con le giuste amicizie.
Gianni De Luise: Giunsi non molto tempo dopo la sua fondazione, esattamente nel marzo del 1984 quando si era già trasferita nella storica sede udinese di via Valussi 22. Da parecchi anni ero amico del fondatore Mario Pinosa con cui avevo condiviso parecchie esperienze radiofoniche nelle principali emittenti private della regione. L’ultima fu ad RDF Radio, in cui Mario ricoprì il ruolo di direttore per alcuni mesi. Quando un importante passaggio di proprietà non si concretizzò lui abbandonò la radio e ne persi le tracce per un po’ di tempo. Poi lo incontrai casualmente in una pizzeria e mi invitò caldamente ad andarlo a trovare nella sua nuova emittente. Mi appassionai istantaneamente dell’idea e della novità che questa radio rappresentava nel panorama piuttosto piatto che ci circondava, oltre che dell’energia e della voglia di emergere che la animava. Per la prima volta, contrariamente alle esperienze precedenti, non eravamo soggetti alle strategie spesso perdenti delle proprietà delle altre emittenti e potevamo sprigionare liberamente tutte le nostre potenzialità. Questa fu la nostra fortuna.

Che ruolo ricoprivi?
Michael Hammer: Come anticipato prima, inizialmente ero un tecnico. Facevo quattro ore di diretta e il resto del tempo lo dedicavo al montaggio di spot. In quel periodo mandavamo ancora in onda la pubblicità locale e il lavoro di realizzazione spot era strategico per la radio. Poi le mie capacità ed intraprendenza mi hanno portato a ricoprire diversi ruoli: da semplice tecnico mi fu data la possibilità, nel 1992, di fare un mio programma. Trovato lo pseudonimo di Michael Hammer, Mario Pinosa, editore dell’epoca, inventò il nome Master Quick. Il programma aveva lo scopo di mettere cinque dischi in cinque minuti. Fu un successo, alimentato in seguito dalla partecipazione di molti altri DJ come Einstein Doctor DJ, Moka, Ricci, Panda … e sono sicuro che ne sto dimenticando altri. In seguito mi staccai dalla regia e post-produzione e cominciai a lavorare nella parte eventi della radio. Sotto l’ala di Luigi Cecutti girai l’Italia per diffondere il verbo e le feste dell’emittente. La svolta nel 1995: la proprietà della radio, nella persona di Andrea Gandolfi, mi diede il mandato di trasferirla da Udine a Bologna. Da quel giorno sono diventato il direttore di Italia Network.
Gianni De Luise: Da marzo 1984 a novembre 1987 mi sono occupato delle relazioni esterne, ossia di tutti i contatti con gli affiliati, con i giornali e con i media in generale. Seguivo tutto ciò che era utile per far conoscere la nostra radio in ogni ambiente possibile, quindi pubblicità sui giornali e sulle testate specializzate. Mantenevo anche tutti i contatti con le etichette discografiche e così via. Dal novembre 1987 al settembre 1988 ebbi l’onore di essere responsabile della programmazione, ruolo che poi ho dovuto lasciare per importanti questioni famigliari, rimanendo comunque sempre all’interno della radio. Dal 17 giugno 1991 al 12 gennaio 1996 ho realizzato il programma Network Satellite, inventato da Mario Pinosa e da me radicalmente trasformato nella creatura che gli ascoltatori di Italia Network hanno imparato ad amare. Il programma ha vissuto diverse fasi e mutazioni ed ha pure cambiato il suo nome in corso d’opera in Satellite. Devo confessare una cosa importante e che, forse, sorprenderà i lettori: malgrado la mia lunghissima militanza nella radio privata sin dal 1 settembre 1975, non ho mai potuto, per ragioni che tuttora mi sfuggono (incapacità di sapermi “vendere”?, incapacità di valutare le mie potenzialità da parte dei vari proprietari o direttori di radio?) vivere di sola radio, ma ho sempre dovuto dividermi tra un lavoro serio e noioso al mattino e lo scatenato mondo delle radio e dei DJ nel resto della giornata e della notte. Quindi niente guadagni per serate e programmi radiofonici ma un continuo altalenare tra una vita e l’altra, tra di loro agli antipodi, anche come riconoscimenti e soddisfazioni. Nel corso di questi lunghi anni ho visto ed incontrato moltissimi personaggi che attraverso la musica, oppure usando la musica, si sono fatti una posizione ed un conto in banca e questo alle volte mi ha turbato, ma poi alla fine ho capito che tutta la mia attività nella radio aveva un unico fondamento: un sincero e trasparente amore totale per la musica che, in alcune circostanze, mi ha salvato letteralmente la vita.

Sino a quando hai lavorato lì? Perché andasti via?
Michael Hammer: Ho lavorato ad Italia Network fino al 1999. Me ne andai per due motivi: il primo una promessa, il secondo una visione diversa dal mio ultimo editore. Da ragazzo, quando iniziai a fare il DJ, trovavo davanti a me “vecchi disc jockey” che non mollavano la consolle e lì maturò la mia promessa che semmai fossi diventato un DJ di successo, all’apice avrei lasciato per fare spazio ai più giovani. Per quanto riguarda la radio invece, non ero d’accordo con l’editore dell’epoca, Giovanni Miscioscia, sulle scelte che sarebbero state prese da lì a breve.
Gianni De Luise: Sono rimasto ad Italia Network sino al 12 gennaio 1996 vivendone, forse, i momenti più gloriosi. Non sono andato via: in quei giorni la radio stava completando le operazioni di trasferimento nella nuova sede di Bologna. Il nuovo direttore era Michael Hammer, amico di lunga data, ed a lui venne affidato un compito piuttosto ingrato. Dato che Mario Pinosa non era presente nei nuovi assetti proprietari, io, considerato troppo vicino a lui ed essendone amico, non avrei seguito la radio a Bologna. Ricordo come se fosse ora il grande imbarazzo di Michele nel darmi la notizia, mentre mi diceva, per indorare la pillola, che avrei trovato facilmente un nuovo posto in qualche altra emittente. Questa cosa poi non si realizzò, penso per la specificità del mio programma. Da quel momento le nostre strade si separarono, io dovetti lottare contro grossissimi problemi di salute ed incontrai nuovamente Michele solo dieci anni dopo. In quell’incontro lui mi spiegò tutti i retroscena di quei momenti del 1996, riallacciammo la nostra amicizia ed iniziammo a pensare ad un modo per onorare il ricordo di quella grande radio che avevamo cosi amato. Da lì nacque l’esperienza di InMyradio.

Michele, tu hai inciso diversi dischi, il più noto sicuramente “Barraca Destroy” di Steam System, del 1993. Come ricordi quella parentesi vissuta da produttore musicale?
Fu decisamente una bella parentesi, chiusa quando divenni direttore della radio per non entrare in un conflitto d’interessi. “Barraca Destroy” fu un successo che mi diede molte emozioni anche grazie ai miei due soci, Claudio Collino e Piero Pizzul. È interessante la storia che si cela dietro questo disco: si trattava di una produzione commissionata dalla nostra casa discografica, l’Expanded Music, per la nota discoteca spagnola Barraca. Doveva essere l’inno del locale e il lavoro fu piuttosto semplice: una melodia orecchiabile, delle parole spagnole comprensibili ed una buona dose di energia. Una volta terminato (la versione principale era la Destruction Version, nda) fu spedito in Spagna ed appena duemila copie furono stampate per l’Italia. Soltanto Italia Network lo programmò, credo per farmi un piacere. Poi il disco finì nel dimenticatoio. Tutto sembrava finito ma un giorno mi chiamò Giovanni Natale, boss dell’Expanded Music, dicendomi che Molella, di ritorno dalla Spagna, aveva acquistato il disco e che lo fece ascoltare ad Albertino e Fargetta, convinti che si trattasse di una hit. Mi chiese così di rientrare in studio e realizzare un remix che ne esaltasse la forza. Con Claudio e Piero componemmo allora il brano che oggi tutti ricordano (la versione En Directo, nda), e “Barraca Destroy” arrivò in vetta a tutte le classifiche.

Gianni, rispetto a Michele tu invece sei rimasto discograficamente piuttosto defilato, in quegli anni hai inciso solo una manciata di brani come “Powerful Love” e “Gimme Fantasy” di Red Zone, rimasti nell’ombra: scelta precisa o casualità degli eventi?
Entrambe le cose. Come ho spiegato prima, la radio e la musica non hanno potuto essere, malgrado il mio infinito amore, strumenti capaci di darmi un reddito per vivere. Ecco perché le mie produzioni sono state veramente poche. Ho avuto la fortuna di collaborare con elementi del DFC Team (quelli di Sueño Latino per intenderci), ma la maggior parte delle produzioni le ho fatte assieme ad uno straordinario DJ, molto conosciuto, Paolo Barbato.

Ai tempi Radio DeeJay, sul fronte ascolti, sembrava imbattibile ma anni dopo più di qualcuno del team di via Massena ha ammesso di seguire (ed ammirare) le programmazioni di Italia Network. Tu invece? Quale era la percezione dell’emittente fondata da Cecchetto?
Michael Hammer: Radio DeeJay era imbattibile per davvero, ma per noi non era né il competitor né la meta da raggiungere. Ci concentravamo su generi musicali che all’epoca loro non proponevano, house e techno non erano considerate da Albertino che invece puntava sulla dance più pura e canonica. Noi non passavamo musica italiana, preferendo l’r’n’b, l’hip hop, l’ambient e tanti altri stili anticonformisti. Sapevamo che ci ascoltavano e ne eravamo anche orgogliosi (seppur non lo dicessimo). Eravamo convinti che per loro Italia Network non fosse altro che un laboratorio di pazzi dal quale attingere il meglio per poi farlo diventare un successo. Insomma, due visioni completamente diverse, loro pop, noi underground.
Gianni De Luise: Nel momento in cui Radio Italia Network si espandeva e, cosa straordinaria per quegli anni, dalla provincia arrivava a trasmettere a Milano con mezzi sia economici che tecnici nettamente meno potenti di Radio DeeJay, noi osservavamo quella radio con incosciente allegria. Le nostre scelte musicali, per merito di Sasha Marvin, di Andrea Pellizzari e, modestamente, del sottoscritto, andavano già verso una direzione ben precisa. Coglievamo i segnali della rivoluzione house in atto, non ci preoccupavano ed eravamo certi che loro ci osservavano con curiosità e, forse, con ammirazione. Pur comprendendo le loro necessità commerciali di fare una programmazione musicale “furba” ed ammiccante verso la più grande massa degli ascoltatori, avevo la sensazione che nella loro ricerca di catturare più audience possibile ci fosse il pericolo, poi diventato realtà, di cadere in una certa banalizzazione e stravolgimento dell’identità culturale di una musica che invece per noi era speciale. La nostra è stata tra le prime radio, se non la primissima, a spargere la cultura house in Italia, la vera cultura house. Come accade spesso quando nascono le nuove tendenze, in tantissimi poi salirono sul carro dei vincitori. Musicisti, produttori, etichette e discoteche, investiti dall’onda d’urto, si trasformarono immediatamente in houser ma non tutti, ovviamente, avevano le skill per farlo. Noi cercavamo di fare da filtro tra la vera house e tutto quello che sembrava house. Era la nostra missione. Non so se mi spiego bene, ma finché Italia Network è stata una radio di riferimento, capace di proporre pezzi belli, strani ed anche molto difficili e spesso non commerciali, non c’è stata gara. Fu quando i proprietari della nostra emittente fecero la scelta editoriale legata al claim “More Music For Everybody” che indicava una strada più popolare rinnegando la strategia che aveva fatto della nostra radio una realtà di nicchia, che cominciammo a sbagliare nettamente strada, mettendoci sul loro stesso piano con risultati che poi si sono visti. Comunque io non ascoltavo mai le altre radio, davvero, per me l’unico stimolo veramente interessante disponibile in ambito internazionale era il programma di Pete Tong su BBC Radio 1, Essential Selection, che seguivo già dai primi anni Novanta via satellite e che registravo per carpirne la playlist.

Era solo Radio DeeJay il competitor più temibile dei tempi?
Michael Hammer: Se proprio di competitor dobbiamo parlare, non era Radio DeeJay ma il programma di Albertino con i suoi DJ Fargetta e Molella. Altri non c’erano. Certo, tanti quelli che facevano classifiche dance ma nei negozi di dischi ne trovavi solo due, la nostra e la loro.
Gianni De Luise: Fondamentalmente si, almeno sino al “More Music For Everybody” che, come dicevo, cominciò a trascinarci in basso e a cancellare la nostra vera identità, dato che le altre radio erano generaliste con programmazioni piuttosto antiche e già superate come stile. C’era qualche piccola emittente che cercava di imitarci ma non avevano i vari Sasha Marvin, Gianmarco Ceconi, Andrea Pellizzari, Alessandro De Cillia, Steeve, Michael Hammer e il sottoscritto.

Dalle interviste (a DJ, produttori, titolari di negozi di dischi) realizzate negli anni e finite nei nostri tre libri è emerso che per la dance, nei Novanta, l’influencer era solo ed indiscutibilmente uno, Albertino. Ritieni che le sue scelte abbiano, in un certo modo, limitato i gusti di una fascia piuttosto ampia di pubblico?
Michael Hammer: Se parliamo strettamente di dance (italodance, eurobeat, eurohouse) direi proprio di sì. Ha influito sulla generazione dell’epoca e ne ha pure limitato i gusti, ma la colpa non è sua. Lui proponeva ciò che gli piaceva e lo faceva in un modo che nessun altro sapeva fare. Per un decennio circa ha catturato le necessità musicali di un ampio segmento di mercato. Albertino non avrebbe mai potuto mettere in onda cose che non stavano nel suo mood, sarebbe emerso subito e lui lo sapeva.
Gianni De Luise: Albertino ha fatto il suo lavoro, ha portato un’infinità di ascoltatori a Radio DeeJay ed ha sostenuto e stimolato fortemente la cultura house in Italia. A mio avviso, però, ha una forte responsabilità anche nel declino della house stessa nel nostro Paese. Mentre per noi la musica è stata al centro dell’attività radiofonica, con grande rispetto e con il desiderio di contaminare gli ascoltatori con la nostra stessa passione, per Radio DeeJay ed in particolare per Albertino è stato uno strumento di lavoro, un utensile da adoperare senza tanti scrupoli per attirare ascolti e non badare troppo alla qualità. È come se per alcuni anni avessero convissuto, per fare una metafora, da una parte il Cocoricò (prima di rovinarsi) nelle vesti di Italia Network, quindi cultura house al 100%, e dall’altra una discoteca popolare, quindi cultura house di basso livello.

C’è qualcuno, tra speaker e DJ, che in quegli anni avresti voluto vedere nel team di Italia Network?
Michael Hammer: Come speaker nessuno, era difficile immaginarne uno adatto ad Italia Network essendo nata come radio esclusivamente musicale. Tutti gli speaker che si sono succeduti al microfono della radio hanno dovuto inevitabilmente adattare il loro stile a quello di una emittente che favoriva la musica. Come DJ invece avrei voluto, durante la mia direzione, Daniele Tognacca alias Tony H. Lo spirito che lo guidava era innovativo oltre ad essere spregiudicato nelle scelte. Arrivò ad Italia Network solo qualche anno più tardi (a settembre 2000, nda).
Gianni De Luise: Si, il citato Pete Tong che poi, dopo la mia espulsione, venne effettivamente ospitato (a partire dai primi anni Duemila, nda).

Quando Italia Network toccò il suo apice di popolarità?
Michael Hammer: Credo che ebbe diversi picchi nella sua storia, come pure le zone buie. Dalla sua nascita, sicuramente un picco si ebbe quando entrò nell’FM proponendosi col formato solo musicale top40. In quel periodo, parliamo degli anni Ottanta, non lo faceva davvero nessuno. Poi arrivò la compilation Los Cuarenta, un successo che diede un’immagine nazionale alla radio. Il periodo 1992-1998 fu sicuramente quello di maggior visibilità, sia perché la musica proposta era quella ascoltata dagli opinion leader, sia perché attorno alla radio vi era un consenso di DJ e locali notturni di tendenza. Gli anni Duemila, invece, hanno avuto ragione dal punto di vista dei numeri.
Gianni De Luise: Credo nel periodo a cavallo tra gli ultimi anni udinesi ed i primi anni a Bologna, anche perché il segnale della radio assunse una copertura che prima non aveva.

Dovendo indicare il periodo più rappresentativo opteresti per quello udinese, bolognese o milanese?
Michael Hammer: Terreno scivoloso questo, anche perché sono la persona accusata di aver distrutto la radio portandola a Bologna. Non voglio però eludere la domanda. Per ciò che mi riguarda, il periodo udinese è stato carico di emozioni e di scoperte, siamo passati dai Revox ai primi computer che gestivano la pubblicità, dal vinile al cd in diretta, dalla sola musica ad alcuni programmi parlati. Ogni giorno andavamo in radio e la missione di tutti era creare qualcosa di nuovo ed innovativo. Bologna è stato un periodo pazzesco in cui abbiamo rivoluzionato il modo di fare la radio. Era il 1996 e tutto girava sui computer, cosa che per l’epoca era follia. Lo spirito si era mantenuto uguale seppur non tutto lo staff udinese fu portato a Bologna. Anche in quel periodo spingemmo sull’acceleratore dell’innovazione mantenendo fede all’impegno underground originario. Sul periodo milanese non posso dire nulla, non c’ero, ma la notizia della chiusura mi rattristò molto.
Gianni De Luise: So di essere di parte, ma per me il periodo più rappresentativo è quello udinese e ne spiego le ragioni. Fu un’esperienza indimenticabile osservare dall’interno la crescita impetuosa della radio e delle zone che venivano via via “illuminate”, fino a brindare di gioia all’accensione della frequenza a Milano e prendere parte attivamente alla trasformazione di una radio top 40, che trasmetteva solo i 40 pezzi più venduti, in una radio culto capace di incarnare una nuova cultura musicale divenendone fulcro e cuore. Esperienza che poi ci è stata, in qualche modo, sottratta, rubata. Fu come se ci avessero portato via un po’ della nostra anima. Ho moltissimi ricordi di quell’esperienza. Era una radio piuttosto tecnologica per quei tempi ma, naturalmente, la tecnologia stessa era ancora primordiale. Ricordo ancora le corse per sistemare le cose di domenica o di notte quando i nastri delle bobine riavvolgendosi non si fermavano allo stop ed uscivano, col risultato di ammutolire completamente il segnale. Ricordo quando nel fine settimana i due unici tecnici della radio portavano via i piatti, i Technics SL-1200, e parte dei dischi per fare le serate in discoteca. Ricordo quando Andrea Gemolotto registrava i Mastermix nella saletta 2 e la sua pazzesca professionalità e precisione. Ricordo quando cominciò a lavorare con noi un giovanissimo Sasha Marvin. Ricordo che durante il mio programma, oltre ad essere precisissimo nel dare il segnale orario, che era manuale, venivo utilizzato, mentre continuava la diretta, per tarare l’equalizzazione della radio tramite il leggendario Orban. Ricordo sempre con grande emozione le tantissime telefonate che ricevevo durante il mio programma che era sempre in diretta, persino a Pasqua, Natale e Capodanno, e la grande sorpresa degli ascoltatori nello scoprire che esistevo davvero. Con molti di loro sono nate vere amicizie e conservo anche una quantità biblica di loro lettere e cartoline. Parecchi hanno mantenuto il contatto con me attraverso i social. È stato veramente un momento straordinario, non solo per me ma per la radio, che era perfetta!

Eri tra quelli che videro lo snaturamento del progetto originale quando Giorgio Bacco divenne direttore artistico?
Michael Hammer: No.
Gianni De Luise: Colgo l’occasione per raccontare una cosa che in pochi sanno: dopo la mia esclusione dalla radio continuai a frequentare in via Valussi 22, a Udine, l’ufficio della direzione commerciale che era rimasto in città, guidato dall’amico Luigi Cecutti. Ci vedevamo abbastanza spesso e lui, che aveva una stima notevole per le mie capacità di analisi radiofonica e che mi considerava, bontà sua, una specie di guru e un santone ideologico della radio, mi chiedeva di preparargli delle relazioni con le mie impressioni. Io, ligio e profondamente innamorato di quella emittente, preparavo relazioni scritte sempre più allarmanti, perché osservavo il progressivo snaturarsi del progetto iniziale, un cambiamento di personalità netto e sorprendente che cominciava ad allontanare l’indotto, discoteche, produttori, artisti. Cecutti provò più volte a farmi rientrare nella radio per cercare, con la mia influenza, di invertire la rotta. Andai a Bologna e a Milano, incontrai Bacco, ma specialmente incontrai persone che non si rendevano affatto conto del disastro che stavano creando con le loro mani. Poco tempo fa Luigi Cecutti mi ha confidato che conserva ancora “a futura memoria” quelle mie relazioni.

Perché nel 2007 il progetto di Italia Network naufragò del tutto? Colpa dell’ingordigia di qualcuno e di speculazioni economiche?
Michael Hammer: Bella domanda. Non saprei rispondere con certezza. Quello che posso dire è che dal primo giorno che sono entrato in radio tutti gli editori chiedevano di “aprire la forbice”. Con questa formula sottintendevano di voler più ascoltatori trasformando l’emittente da underground a pop. Credo che con la radio a Milano questo discorso si accentuò, e il confronto con gli altri network milanesi, sul target giovane, fu decisivo. Nel 2000 se volevi fare la radio (e questo vale ancora oggi) dovevi avere la giacca e la cravatta, aver frequentato la Bocconi ed essere un esperto di marketing. Cosa c’entra tutto questo con la scelta artistica di musica e programmi? Nulla, ed appunto sono queste le radio e la televisione di oggi.
Gianni De Luise: Non vorrei essere troppo feroce ma la mia opinione è una: Italia Network, o meglio le sue spoglie, finì nelle mani di persone che non avevano la minima idea di cosa era stata e di cosa aveva rappresentato quella radio. Quell’anno ebbi la fortuna di incontrare l’amministratore delegato Pietro Varvello, persona estremamente competente e radiofonico di lunga data. Mi consultò, sempre su indicazione di Luigi Cecutti, per cercare di capire cosa fare e come invertire la rotta, ma ormai era troppo tardi. La conclusione che posso trarre è che un’operazione principalmente artistica come Italia Network non doveva essere soggetta alle spietate leggi del commercio e del guadagno. So di dire una cosa molto idealistica e da sognatore, ma so anche che la fragile anima di quella radio non era un prodotto da mettere in un supermercato.

Che risultati ha sortito il tentativo di Italia Network Inmyradio.net?
Michael Hammer: Nessuno. Nacque nel 2007 come un progetto di social network musicale ma la mancanza di investitori lo ha fatto naufragare. Poi, con Gianni De Luise, ho deciso di mantenere la memoria della radio dando spazio a DJ che vogliono esprimere, sempre in linea con la missione della stessa emittente, il proprio credo musicale. Ad oggi Gianni ed io abbiamo alcuni pensieri su cosa fare ma sono talmente embrionali che non credo sia giusto parlarne.
Gianni De Luise: All’inizio il progetto avrebbe potuto avere effetti straordinari, direi addirittura devastanti, se alcune dinamiche legate alla proprietà del marchio Radio Italia Network fossero state gestite in maniera più accorta. Non entro nei particolari dei quali forse un giorno parlerò, ma per rendere idea di quanto fosse importante quel momento rivelo che la proprietà del marchio non arrivò davvero per pochissimo nelle mani di Michael Hammer e mie, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate. Il progetto Inmyradio.net rappresenta comunque una testimonianza digitale che incarna una buona parte dell’anima di quella grande radio. Naturalmente dentro Inmyradio.net vive di vita propria, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, il mio canale che si chiama, ovviamente, Network Satellite (ascoltabile in streaming qui).

Cosa pensi dell’attuale Radio Italia Network, tornata nuovamente sull’FM (ma solo in Lombardia) sotto la proprietà di Domenico Zambarelli?
Michael Hammer: Non penso nulla. Credo che abbia avuto la possibilità di acquistare un marchio e lo abbia fatto. Dal punto di vista artistico, non ascoltandola, non saprei che dire.
Gianni De Luise: Come dicevo nella risposta precedente, il marchio della radio, per ragioni che non voglio ancora svelare, è passato nelle mani di Domenico Zambarelli. Che dire? Nessuno della nuova proprietà ci ha contattati, perlomeno per una consulenza. Il risultato è stato paradossale. Questa proprietà ha costruito una radio clonando qualcosa di unico ed irripetibile ma senza avere il materiale umano e, soprattutto, senza avere il know-how. È facile mettere in piedi una radio, è facile creare una programmazione ed una playlist, ma rifare Italia Network è impossibile senza coloro che l’hanno vissuta e costruita.

Esistono ancora punti di contatto tra la radio e i club, o internet ha cambiato in modo permanente il rapporto tra le due realtà?
Michael Hammer: Credo che il rapporto tra radio e club si sia modificato alle soglie del nuovo millennio. Internet è uno dei tanti fattori che ha cambiato questa scena, ma non è l’unico né il principale. Radio e club hanno preso strade diverse perché la reazione alla crisi artistica, parlo dal punto di vista musicale dance, è stata affrontata in modo differente. Le radio hanno smesso di suonare la dance mentre i locali si sono riconvertiti o hanno chiuso. Oggi vedo piccoli segnali di ripresa ma tutti legati al passato che non credo possano riportare in auge quella sinergia che ha segnato un’epoca.
Gianni De Luise: Nella società liquida, come la definisce Zygmunt Bauman, si sono sciolti i confini e la connessione tra le cose è permanente. Internet ha cambiato completamente e perpetuamente il rapporto tra queste realtà, ad eccezione di piccoli ed insignificanti eventi.

Ormai da anni le radio (ma anche le televisioni) hanno ridotto drasticamente i propri contenuti culturali per lasciare spazio all’intrattenimento, che pare più redditizio. È diventato frequente quindi incappare in bravi speaker ma con una cultura musicale scarsa o persino inesistente. La radio del terzo millennio ha definitivamente perso il ruolo di divulgatore culturale o quello della “leggerezza che piace alla massa” è solo una scusa accampata dalle grandi aziende per rifilare al pubblico amenità da quattro soldi senza grossi investimenti?
Michael Hammer: Sono cambiati i tempi, sono cambiati i giovani ed è cambiato il modo di ricerca e godimento della musica. Credo sia cambiato pure il significato della musica stessa. Io non lo leggo in modo negativo, lo ritengo uno stimolo di riflessione per chi oggi vuole continuare a proporre in modo credibile la musica. Da quando è nata Music Control, la proposta musicale è nelle mani delle case discografiche e il margine di proposta alternativa delle radio è minimo. Pare chiaro quindi che se una emittente voglia fare la differenza la deve ottenere con uno speaker e non con la musica. Dall’altra parte credo che la rete sia una fonte inesauribile di produzioni musicali, ma qui dovrebbe nascere qualcuno in grado di fare una selezione credibile affermandosi come selector verso il pubblico. Sarebbe una bella sfida se avessi diciotto anni.
Gianni De Luise: Le proprietà delle radio hanno una priorità, quella di guadagnare e farlo col minor investimento possibile. La tecnologia fa il resto. È facile e redditizio usare regie automatiche con playlist compilate ad hoc e basate su classifiche che certificano già ciò che piace alla gente. Per chi punta solo al guadagno, è meglio accontentare il pubblico senza farsi scrupoli sull’effettiva qualità di ciò che si mette in onda. La radio attuale, che sinceramente ascolto pochissimo perché di qualità troppo scadente, non è altro che un rumore di fondo, una colonna musicale di un centro commerciale o di un altro luogo di aggregazione. Mi fanno sorridere le analisi di ascolto perché tengono presente solo quanti ascoltatori seguono le varie radio, ma nessuna indagine si sofferma se l’ascolto sia profondo e se qualcuno ricorda cosa ha ascoltato. Per fortuna la tecnologia oggi ci permette di scegliere le nostre tracce preferite, ma quante piccole gemme musicali vanno perdute tra le migliaia di pezzi che vengono pubblicati ogni giorno? E qui, in questa dimensione, si sente la mancanza di una radio di riferimento come era Italia Network alle origini.

Hai continuato a seguire il mercato discografico? Che ne pensi della scena attuale?
Michael Hammer: Sono onesto: è dal 2000 che non seguo la scena musicale dance. Ascolto molta musica, un vizio che non ho perso, ma non mi sento in grado di giudicare l’attuale scena, non vivendola.
Gianni De Luise: Continuo a seguire giornalmente il mercato discografico. Sono estremamente specializzato nella deep house, tech house e nelle sue propaggini. Per ragioni di tempo non ascolto mai pop, edm e simili. Nei generi che seguo trovo che escano produzioni assolutamente straordinarie ma ovviamente, vista l’evoluzione dei tempi, è difficile trovare la canzone costruita secondo gli schemi del passato. Esistono tantissimi frammenti di emozioni, potenti stimoli di energia e fantastiche sonorità elettroniche. Mai come ora la musica è viva e propone cose bellissime. Il problema è selezionarle nella massa infinita di uscite che sono quasi tutte di ottima qualità. Io cerco di fare questa selezione per il mio Network Satellite e, sinceramente, credo proprio che la musica che amo abbia ancora tanto da dire e da dare, continuando ad evolversi in forme pazzesche ed inaspettate.

Cosa pensi dell’Italia della musica da ballo del 2015? È più avanti o più indietro rispetto a quella degli anni Novanta?
Michael Hammer: Credo non si possano fare paragoni.
Gianni De Luise: Dipende da dove vai e dal tipo di locale. Esistono club e discoteche ancora straordinarie, eventi tipo Boiler Room di Berlino ed altri hanno riportato la musica ad una relazione più diretta ed emotiva con la gente. Ho visto i Boat Party in Croazia, situazioni fantastiche. Non ho quindi una risposta definitiva, dipende. Sapendo scegliere trovi ancora posti estremamente stimolanti e musiche all’altezza della situazione. La musica non è più avanti o più indietro rispetto agli anni Novanta. La musica non ha tempo, l’unica differenza che posso trovare è tra la bella e la brutta. Io preferisco la prima.

Quali sono i tuoi tre dischi preferiti degli anni Novanta?
Michael Hammer: Una domanda alla quale è difficilissimo rispondere. Di brani bellissimi ce ne sono stati tanti ed è veramente arduo sceglierne appena tre. Per questo stilo una lista di ben dieci pezzi sparsi per l’intera decade:
1990: “Difference” di Djum Djum: esprimeva in pieno la differenza musicale della nostra radio rispetto alle altre emittenti;
1991: “Ride On The Rhythm” di Little Louie Vega & Marc Anthony: era lo spirito guida della nostra filosofia;
1991: “Unique” di Danube Dance: esprimeva come ci sentivamo;
1992: “Fruit Of Love” di Transformer 2: la magia della techno music embrionale;
1992: “Just Come” di Cool Jack: un inno alla passione per la musica;
1993: “Don’t Be Shy” di T.M.V.S.: la nostra gioia nel vivere quel momento storico;
1994: “Only When I’m Dancing Do I Feel This Disco” di Mighty Dub Katz: nella musica stavano cambiando le cose e questo brano le includeva tutte;
1995: “If You Should Need A Friend” di  Fire Island: allegria allo stato puro;
1996: “They Don’t Care About Us (Classic Paradise Mix)” di Michael Jackson: un bootleg che la Sony ci chiese di bloccare ma, schierandoci contro le major, non lo facemmo. Così fummo rimossi dalla loro lista;
1999: “B With U” di Junior Sanchez: è il mio addio alla radio. Non è stato facile lasciare l’unica radio che ho amato e alla quale sarò per sempre legato.
Gianni De Luise: Ce ne sono un’infinità, la scelta è davvero difficile. Citerei “Tonite” di Those Guys, del 1991, parte integrante del mio vissuto. Ricordo ancora di quanta potenza fosse dotato la prima volta che l’ho ascoltato! Poi “EP One” di Density, del 1992, e in particolare uno dei brani in esso contenuti, “Bass Power”, straordinario monumento della deep house italiana, fu anche parte della sigla del mio programma. A produrre era Giorgio Canepa alias MBG. Infine “Alone” di Don Carlos, del 1991, ultima traccia suonata in Satellite il 12 gennaio 1996. Bypassando gli ordini di non parlare ricevuti dai capi, su questo brano salutai gli ascoltatori confermando che andavo via e che per me finiva una fase straordinaria. Possiedo ancora la registrazione che ho messo online qui.

Qual è invece il brano che esprime in modo pregnante l’anima di Italia Network?
Michael Hammer: Il già citato “Fruit Of Love” di Transformer 2, un pezzo magico, dolce, ipnotico, energetico, sognatore, precursore ed innovatore, insomma tutte le qualità di Italia Network.
Gianni De Luise: Anche qui la scelta è difficile, il primo che mi viene in mente è “French Kiss” di Lil’ Louis, del 1989. Il motivo è semplice: era un brano radiofonicamente difficile, non per tutti, ma noi avemmo il coraggio (o l’incoscienza) di trasmetterlo per intero, quando lo standard di durata di un pezzo in radio era di 3 o 4 minuti al massimo. Questa trasmissione integrale mi permise di trasmettere nel mio Network Satellite brani lunghissimi, senza incorrere nelle ire di Gianmarco Ceconi, direttore dei programmi.

(Giosuè Impellizzeri)

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