BXR, una squadra di DJ alla conquista del mondo

Negli anni Novanta la musica destinata alle discoteche, composta da DJ e team di musicisti ed arrangiatori, è in prevalenza marchiata con pseudonimi. Ciò avviene per moda, per questioni legate ad esclusive discografiche ma anche per differenziare le inclinazioni stilistiche del proprio repertorio. «L’effetto fondamentale è il distanziamento, una rottura col tradizionale impulso pop di associare la musica ad un essere umano in carne ed ossa» scrive Simon Reynolds in “Futuromania”. «L’anonimato ha l’effetto di scardinare i meccanismi della fedeltà al gruppo o al marchio, l’abitudine di seguire la carriera degli artisti tipica del pubblico rock». In egual modo le etichette indipendenti diffondono i propri prodotti attraverso un fiume di sublabel, marchi creati ad hoc per diversificare l’offerta e nel contempo evitare l’inflazione vista l’alta prolificità. La bresciana Media Records di Gianfranco Bortolotti, attiva sin dalla fine del 1987, è tra quelle che nel corso del tempo collezionano più sottoetichette. Ad inizio decennio già vanta la Baia Degli Angeli, la GFB, l’Inside, la Pirate Records, la Signal (contraddistinta da una singolare numerazione del catalogo), l’Underground, la Heartbeat (a cui abbiamo dedicato qui una monografia) e la Whole Records. A queste, nel 1992, se ne aggiunge un’altra, la BXR, il cui nome deriverebbe dall’antica denominazione della città di Brescia, Brixia, opportunamente modificata in una sorta di sigla a fare il paio con la citata GFB, acronimo di GianFranco Bortolotti. A sottolineare la connessione con le fasi storiche del comune lombardo è pure il logo, la testa di una leonessa, citando Giosuè Carducci che ne “Le Odi Barbare” parla di Brescia come “leonessa d’Italia”. Il payoff invece è il medesimo dell’etichetta-madre, “The Sound Of The Future”.

BXR 001 + logo
Sopra il disco di debutto della BXR (1992), sotto il primo logo dell’etichetta

1992-1994, un avvio nell’ombra
Il primo brano pubblicato su etichetta BXR, nel 1992, è “Space (The Final Frontier)” di DJ Spy. Ispirato al suono nordeuropeo che scavalca la palizzata dei rave e fa ingresso nelle classifiche di vendita (il 1991 ha visto consacrare dal grande pubblico tracce come “James Brown Is Dead” di L.A. Style, “Activ 8 (Come With Me)” degli Altern8, “Dominator” degli Human Resource, “Inssomniak” di DJPC, “Mentasm” di Second Phase, “Ambulance” di Robert Armani, “Adrenalin” degli N-Joi, “Who Is Elvis?” dei Phenomania – di cui parliamo qui, “Charly” ed “Everybody In The Place” dei Prodigy, “Pullover” di Speedy J ed “Anasthasia” dei T99, quasi tutte provenienti dall’area anglo-germanica-olandese), il pezzo è un veloce riassunto del modello edificato su amen break e stab. Prodotto da Max Persona e Pagany, che insieme ad Antonio Puntillo e Roby Arduini formano il team veronese ai tempi al lavoro in pianta stabile presso la struttura di Bortolotti, quello del fittizio DJ Spy è un veloce, ingenuo e non troppo ragionato assemblaggio di frammenti tratti da altri brani più fortunati del catalogo Media Records di quel periodo, come “What I Gotta Do” di Antico, “The Music Is Movin'” di Fargetta (di cui parliamo qui nel dettaglio), “Take Me Away” di Cappella, “Mig 29” di Mig 29, “We Gonna Get…” di R.A.F. e “2√231” di Anticappella, giusto per citarne alcuni dietro cui, peraltro, armeggiano gli stessi autori. Il sample vocale principale è tratto dal monologo di Star Trek e ciò spiega la ragione del titolo. L’assenza di un’idea compiuta e definita rende però “Space (The Final Frontier)” solo una delle centinaia di cloni generati dal filone rave, che attrae pletore di produttori sparsi in tutto il continente ambiziosi di replicare i risultati economici delle hit ma talvolta senza particolari slanci creativi.

Calamitate dagli elementi caratteristici che segnano il boom commerciale della (euro)techno tra 1991 e 1992 sarebbero state pure Marina Motta e Donatella Valgonio, le due ragazze che avrebbero operato dietro le quinte di Davida. La loro “I Know More”, secondo disco edito da BXR, rappresenta perfettamente la declinazione italiana della techno nordeuropea, ottenuta con la fusione di pochi elementi presi a modello e semplificati il più possibile per essere “digeriti” da un vasto pubblico. In realtà la Valgonio, conduttrice e speaker radiofonica contattata per l’occasione, rivela di non aver mai partecipato al progetto Davida. «Conobbi Gianfranco Bortolotti quando iniziò a muovere i primi passi nel mondo della musica» spiega, «e in quel periodo era Mario Albanese, all’epoca mio marito, ad occuparsi dei contatti con musicisti e discografici. Io, semplicemente, cantavo, così come feci prima con “Baby, Don’t You Break (My Heart)” di Argentina, l’unico pubblicato dalla Media Records nel 1986 (quando si chiama ancora Media Record, nda) e poi con “Summer Time”, sempre di Argentina ma finito sulla Memory Records a mia insaputa, ai tempi mi dissero che sarebbe stato ricantato da un’altra cantante. Non ho più avuto la possibilità e la fortuna di collaborare con la Media Records che nel frattempo divenne un colosso della discografia. Mi sono sempre chiesta come sarebbe stata la mia vita artistica se avessi collaborato con Bortolotti. Tengo a precisare comunque che Mario Albanese non ha alcuna colpa perché la prima a non crederci fino in fondo ero proprio io che continuavo a sentirmi come un pesce fuor d’acqua nonostante i suoi ripetuti incoraggiamenti». È plausibile dunque ipotizzare che i nomi della Valgonio e della Motta siano stati usati a mo’ di pseudonimi, così come avviene per “I’m The Creator” di DJ Creator finito nel catalogo di un’altra etichetta della Media Records, la Pirate Records. I risultati di vendita non esaltanti delle prime due uscite, uniti alla progressiva attenuazione della popolarità della rave techno palesatasi nel corso del ’92, probabilmente convince Bortolotti a non insistere su quella formula. Il terzo 12″ su BXR, difatti, guarda nella direzione della garage house, quella che arriva da Londra e da New York. Enrico Serra, Gianluca Brachini e Gianluigi Gallina realizzano, presso l’H.O.G.I.C.A. Studio, “Here With Me” di Miss Mary, pezzo da cui emerge il calore del funk e dell’r&b e che riporta in vita certe atmosfere tipiche della prima house pianistica nostrana con cui qualche anno prima proprio la Media Records si impone all’attenzione internazionale. Nonostante i buoni spunti, Miss Mary non lascia il segno e si rivela incapace di far decollare il marchio BXR temporaneamente messo in stand by. Riappare nel 1994 con “Day By Day” di Laura Becker, che Alex Pagnucco e Davide Ageno realizzano mescolando i classici elementi dell’eurodance ottenendo una sorta di ibrido tra Le Click, Intermission e Corona ma con meno appeal per l’assenza di un efficace ritornello. La prevedibilità e la scontatezza dei suoni e della stesura fanno il resto lasciando il progetto nel quasi totale anonimato, quello stesso anonimato che una manciata di decenni più avanti lo trasforma in un cimelio per i collezionisti disposti a spendere cifre consistenti per entrare in possesso delle pochissime copie in circolazione. È l’ultimo tentativo di riscatto per la BXR, un’iniziativa che, a dirla tutta, in questa prima fase non conta su particolari energie e risorse. Basti pensare all’esigua quantità delle pubblicazioni (appena quattro in un biennio circa, decisamente un’inezia per i tempi) ma anche alla quasi inesistente promozione. Se a ciò si somma la scarsa identità, dovuta ad un mancato focus stilistico, è facile comprendere le ragioni per cui il tutto appaia soltanto un progetto embrionale dal basso potenziale, un’idea non sviluppata a dovere, col fiato corto ed incapace di farsi largo in mezzo ad una giungla di realtà discografiche indipendenti. Ma è solo questione di tempo, la BXR si riprenderà tutto e con gli interessi.

La rinascita sotto una nuova stella
Il 1995 imprime bruschi cambiamenti al mainstream dance italiano a partire dalla velocità di crociera che, complice l’influenza mutuata dalla scena tedesca, aumenta sino a toccare soglie inimmaginabili sino a poco tempo prima. Il fenomeno, iniziato negli ultimi mesi del ’94, si consolida e trascina gran parte dei principali esponenti dell’ambiente danzereccio nostrano, dai Bliss Team a Molella, dai Mato Grosso ai Club House, da Ramirez a Z100 passando per Cerla & Moratto, Double You, Da Blitz, JT Company e Digital Boy che è tra i primi a dare il la a questa adrenalinizzazione ritmica arrivata a sfondare la soglia dei 160 bpm. Nella seconda metà dell’anno, insieme alla velocizzazione e all’avvicinamento a filoni come makina ed happy hardcore, si registra un secondo sostanziale mutamento rappresentato dalla popolarizzazione di formule sino a quel momento adottate in prevalenza nelle discoteche specializzate. La cosiddetta progressive fa breccia in un numero sempre più consistente di ascoltatori sino a prevalere sulla eurodance tradizionale costruita su strofa, ponte e ritornello. La spallata decisiva giunge grazie a Robert Miles che con la Dream Version della sua “Children” (di cui parliamo qui) di fatto inaugura una stagione inedita che vede la supremazia quasi assoluta di brani strumentali. È una sorta di nuovo 1991-1992 insomma, ma questa volta non è una tendenza importata dall’estero bensì germogliata e svezzata entro i nostri confini.

secondo logo BXR
Il secondo logo con cui la BXR torna sul mercato nel 1996

Tale nuova fase risulterà decisiva per la BXR che rinasce proprio sotto la stella della progressive, forma ammorbidita della techno/trance d’impostazione mitteleuropea segnata da evidenti presenze melodiche che attingono dall’ambient, dalle colonne sonore cinematografiche, dal funky, dall’afro e dalla new beat. Così l’etichetta riappare dopo circa due anni di silenzio con più vigore e consapevolezza, accompagnata da una nuova numerazione col prefisso 10 e soprattutto un nuovo logotipo meno anonimo del primo, forgiato su caratteri di bladerunneriana memoria (la B è simile ad un 3 ed infatti inizialmente c’è chi crede che il nome sia 3XR) ed immerso in una dimensione spaziale che rispecchia la vocazione più internazionale, in contrasto con quella di partenza fin troppo legata alla realtà autoctona bresciana. Al nome viene altresì aggiunto un suffisso, Noise Maker, usato a mo’ di payoff, derivato da quello dell’etichetta sulla quale tra 1994 e 1995 Gigi D’Agostino, artista che tiene a battesimo la BXR, pubblica alcuni brani determinanti per la nascita della (mediterranean) progressive, la Noise Maker per l’appunto, gestita dalla Discomagic di Severo Lombardoni.

Homepage del primo sito Media (1996)
L’homepage del primo sito della Media Records (1996)

La nuova immagine della BXR proiettata nel futuro coincide anche col lancio del primo sito internet della Media Records che, tra le altre cose, permette di fare un tour virtuale nella sede a Roncadelle, accedere al cyber shop in cui acquistare il merchandising nonché immergersi nel suono di un juke-box virtuale, una specie di Spotify ante litteram fruibile attraverso il lettore multimediale RealPlayer. A guidare artisticamente la BXR è Mauro Picotto che, come racconta nel suo libro “Vita Da DJ – From Heart To Techno” (recensito qui), voleva radunare dei disc jockey che suonavano nei club, «veri, non quelli usati come immagine dalle grandi case discografiche». Ed aggiunge: «Parlai a Bortolotti del mio progetto e l’idea gli piacque subito visto che aveva già tentato una sortita simile con la Heartbeat. Il primo DJ che contattai ed invitai ad unirsi fu Gigi D’Agostino, uno degli ideatori del party torinese Le Voyage. Ricordo ancora il suo arrivo all’Hotel Continental di Roncadelle (ubicato nello stesso stabile della Media Records, nda) con una vecchia Chrysler Voyager da sette posti, era già un personaggio. […] Gigi però uscì quasi subito dal progetto, evidentemente soffriva qualcosa o qualcuno del mondo BXR, non mi è mai stato chiaro. Comunque gli offrimmo l’opportunità di creare una sua label esclusiva, la NoiseMaker, per continuare ad esprimersi secondo la sua stessa direzione artistica».

Mediterranean progressive, una parentesi su genesi, evoluzione e dissolvimento
Come raccontato nel 2015 da Gianfranco Bortolotti in questa intervista, il termine “mediterranean progressive” fu da lui approvato su suggerimento di Mauro Picotto o di Riccardo Sada (giornalista ai tempi in forze alla Media Records) dopo aver letto una recensione di Pete Tong che parlava, per l’appunto, di mediterranean progressive in riferimento a quei dischi provenienti dall’Italia (come “Sound Of Venus” di Lello B., Subway Records, “Atmosphere” di Voice Of The Paradise, Area Records, o “Advice” di Nuke State, Metrotraxx) che finivano in un’area grigia non essendo facilmente incasellabili nella techno, nella house e tantomeno nella progressive d’oltremanica in stile Sasha e John Digweed. Un filone che da noi pulsava già da qualche anno, irradiato da etichette indipendenti localizzate prevalentemente tra Lombardia, Toscana e Piemonte, ma senza ottenere riscontri commerciali importanti ed infatti Roland Brant lamenterà, in un’intervista, di essere stato ignorato dal grande pubblico nonostante seguisse questo genere da diverso tempo.

RAF by Picotto e compilation Diva
Sopra “Bakerloo Symphony” di R.A.F. By Picotto (GFB, 1995), pare il primo disco a raggiungere il mercato con la dicitura “mediterranean progressive”, usata nello specifico come titolo della versione principale; sotto le copertine di due compilation curate da Claudio Diva uscite nel 1996

Alla Media Records intercettano la tendenza che vede salire le quotazioni commerciali della progressive e pianificano strategicamente di adottare tale dicitura in occasione del (ri)lancio della BXR, nei primi giorni del 1996. Sulle riviste, allora primarie fonti di informazione, la BXR viene presentata come l’etichetta che seguirà un nuovo genere, la mediterranean progressive, catalizzando l’attenzione del grande pubblico. «Il fine era distinguerci da ciò che altri facevano nel Nord Europa» spiega Bortolotti nell’intervista sopraccitata. «Per un fatto oggettivo l’Italia era (ed è) un Paese mediterraneo, quindi da lì nacque la fusione». È bene rammentare però che la tag “mediterranean progressive” aveva già timidamente fatto capolino nel mercato discografico attraverso “Bakerloo Symphony” di R.A.F. By Picotto, pubblicata su un’altra etichetta della Media Records, la GFB, nell’autunno inoltrato del 1995, seppur il successo giunga a distanza di qualche mese, quando per l’appunto esplode il fenomeno progressive in tutta Italia e nei negozi arrivano un paio di compilation intitolate proprio “Mediterranean Progressive” edite dalla Discomagic e compilate da Claudio Diva, alla guida della Subway Records considerata tra le antesignane dei filoni dream e della stessa mediterranean progressive.

Il 1996, per il mainstream nostrano, è quindi l’anno della progressive, glorificata anche sull’etere da un numero imprecisato di programmi, incluso il Molly 4 DeeJay di Molella su Radio DeeJay di cui parliamo dettagliatamente qui. Produttori e promoter puntano tutto su questo genere, investendo denaro ed ambendo a sostanziosi ritorni. La Media Records, ad esempio, riporta in vita sotto il segno della progressive Antico, uno dei marchi che aveva contraddistinto la prima ondata “italo techno” ed ormai assente dal mercato da un quadriennio, ma anche un paio di etichette ibernate come la Pirate Records e la Underground (il nuovo corso di quest’ultima comincia con “The Test” di Mauro Picotto analizzato qui), oltre a contagiare la GFB, sulla quale appaiono i brani di R.A.F. By Picotto, e la Whole Records. Prevedibilmente la progressive diventa il nuovo pop e ciò attrae come una calamita parecchie critiche di chi è convinto che si tratti solo di un’indebita appropriazione di suoni, così come avvenuto qualche tempo prima con la techno. In un’intervista di Paolo Vites pubblicata ad ottobre del 1996, Killer Faber parla di grossa speculazione: «si incidono dischi copiati spudoratamente da altri, si creano mode musicali inesistenti, si immettono sul mercato centinaia di compilation tutte uguali saturando il mercato. Bisognerebbe rischiare e lanciare pochi ma veri artisti dance». A gennaio ’97 Massimo Cominotto raccoglie altre testimonianze in un’inchiesta intitolata “Prog E Contro”, come quella di Paolo Kighine: «Ultimamente la progressive ha preso i connotati da fenomeno di massa e per questo viene additata come commerciale. Questo, secondo me, dovrebbe essere un motivo in più per stimolare i miei colleghi ad offrire un prodotto di qualità elevata […]. L’etichetta “progressive” comunque lascia molto spazio all’immaginazione, puoi scartabellare tra vecchi pezzi acid house per curvare sugli Orb o KLF e magari finire sul made in Italy, l’importante è far stare bene il proprio pubblico». Più disilluso e diretto appare invece Christian Hornbostel: «Il termine “progressive” è già sprofondato nel caos, così come era avvenuto a suo tempo per l’omologo “underground”, diventando la risposta più inflazionata alla fatidica domanda “che genere suoni?”. Migliaia di DJ affermano di proporre progressive ed alcuni di loro si fanno addirittura la guerra per dimostrare al popolo italico di esserne gli assoluti inventori. Sono passati più di quattro anni da quando il vero fenomeno progressive (tutt’altra musica!) faceva la sua comparsa nel Regno Unito ma ecco che in Italia qualcuno ha pensato che il solo utilizzo del bassline 303 bastasse a giustificare la creazione di una nuova corrente musicale chiamandola “progressive”. Nessuno pertanto all’estero capisce l’italianissimo modo di definire progressive tracce che godono di ben altre definizioni. Non parliamo poi della confusione creata dalle compilation che di progressive hanno solo il nome. Dobbiamo dunque accettare a denti stretti che il significato di progressive sia un’amorfa terminologia creata per vendere incoerenti compilation in un mercato discografico già agonizzante, per dar lustro a DJ che si vantano di suonarla (mixando Alexia con DJ Dado ed una traccia su Attack) e per far contenti alcuni proprietari di locali che nella stessa serata propongono, con innocente orgoglio, revival, underground, liscio, latinoamericano e… progressive».

Gg e Picotto 1996
Gigi D’Agostino e Mauro Picotto in due foto del 1996, quando vengono lanciati dalla Media Records come alfieri della mediterranean progressive

Ma cosa è la progressive che si impone tra 1995 e 1997 al grande pubblico nostrano? «Forse è la sorellina della techno» sostiene Mauro Picotto in un’intervista raccolta da Riccardo Sada a novembre 1996. «È sicuramente nata grazie ai DJ della Toscana sotto altri nomi come “virtual music” per colmare un vuoto perché con un certo tipo di techno eravamo arrivati all’apice e c’era voglia di ripartire da zero, svuotando i brani di tanti suonini e suonacci superflui […]. Le produzioni progressive italiane si discostano da quelle estere perché hanno molta melodia, ormai l’Italia ha il suo imprinting». È la melodia, dunque, il punto focale di questo filone, e a tal proposito DJ Panda, ancora intervistato da Sada e quell’anno nelle classifiche con “My Dimension” di cui parliamo nello specifico qui, afferma che «a noi italiani la melodia viene fuori d’istinto perché abbiamo un animo mediterraneo. L’unico rischio è che questa progressive diventi troppo pop». I timori dell’artista si rivelano fondati ed infatti la sbornia progressive (o meglio, popgressive) del 1996 renderà sterile il filone, sino ad inflazionarlo ed obbligarlo ad una costante e netta flessione nel corso del 1997.

D'Agostino Planet 1
“Fly” di D’Agostino Planet riapre il catalogo della BXR dopo circa due anni di silenzio

1996-1997, il biennio della mediterranean progressive
Corrono i primi giorni del 1996 quando la napoletana Flying Records distribuisce “Fly” i cui promo girano tra gli addetti ai lavori già da qualche settimana. Autore è Gigi D’Agostino dietro il moniker D’Agostino Planet, nome perfetto per la nuova dimensione spaziale della BXR anzi, a dirla tutta qualcuno ritiene che l’etichetta possa gravitare esclusivamente intorno alla sua musica e che il pianeta immortalato sulla logo side del disco sia proprio il suo. Tale teoria sembrerebbe trovare riscontro in questa intervista a cura di Leonardo Filomeno e pubblicata da Libero il 14 settembre 2014, in cui D’Agostino afferma: «Nell’autunno del ’95 chiesi di poter fondare un’etichetta con dei principi precisi, libertà dei suoni, dei ritmi, dei tempi. In Media Records mi dissero che avevano una label sulla quale, in passato, avevano pubblicato dei brani e che in quel momento non era in uso, la BXR. Ricordo il primissimo 1001, il 1002, il 1003 e ricordo benissimo le ragioni del blocco della pubblicazione del 1004. Il resto ho preferito rimuoverlo». Il DJ torinese di origini salernitane, noto nelle discoteche piemontesi tipo il Due di Cigliano o L’Ultimo Impero di Airasca, ha già maturato diverse esperienze discografiche, come “Creative Nature” o “Hypnotribe” di cui parliamo rispettivamente qui e qui, ma rimaste sostanzialmente confinate alla platea dei soli appassionati. Con l’arrivo in Media Records le cose cambiano e “Fly”, primo tassello della rinnovata BXR, diventa anche il trampolino di lancio dell’ormai ufficializzata mediterranean progressive. Riadattamento ballabile del tema “Il Tempo Passa” composto da Giancarlo Bigazzi per il film “Mediterraneo” diretto da Gabriele Salvatores, “Fly” plana su struggenti melodie e lunghi accordi che si tuffano tra le onde di un sequencer ipnotico e rotolante che sembra autoalimentarsi per inerzia, senza mai perdere vigore per quasi tutti i nove minuti di durata.

Seguono altri tre brani sul 1002, “Melody Voyager”, “Marimba” ed “Acidismo”, che esaltano lo stile d’agostiniano di allora, stratificato, ritmicamente minimale ed asciutto, adornato da melodie intrecciate ad armonie tra il romantico e il malinconico con frequenti cambi tonali che giocano sui contrasti e fluttuano su nuvole cangianti. In un’intervista rilasciata a Federico Grilli per il magazine Tutto Discoteca Dance a marzo 1996, D’Agostino parla della progressive come «un suono emozionale, energetico e molto convincente» ma ammette di essere conscio che si stia entrando nella fase della commercializzazione: «se prima era un genere destinato a fare tendenza, ora è rivolto alla grande massa che ne fruirà in maniera positiva, come spesso accade in fenomeni simili. Il pubblico reagisce bene e sicuramente ora la risposta è amplificata dato che il fenomeno sta cambiando, prima era ristretto ad alcune realtà locali». Pochi mesi più tardi, ad agosto, l’artista affiderà alla stessa testata un’altra affermazione che conferma la fase ascendente e il desiderio di sfondare i confini alpini: «Credo che la progressive nostrana abbia buone possibilità per imporsi nel mercato europeo e quindi cercheremo di spingerla in ogni occasione, come ho fatto lo scorso 5 luglio al Ministry Of Sound di Londra», ed aggiunge: «la mediterranean progressive è nata dalla personalizzazione da me apportata alla progressive, con suoni minimali e melodie orecchiabili, un po’ spagnole, forse latine, no ecco, proprio mediterranee».

A trainare BXR e Gigi D’Agostino è la compilation “Le Voyage ’96” che Media Records realizza insieme alla Virgin. Gran parte della tracklist è occupata dai suoi brani e remix ma non mancano le già citate “Children” e “Bakerloo Symphony”, “Goblin” della coppia Tannino-Di Carlo ed un paio di titoli d’importazione, “Hit The Bang” di Groove Park (dal catalogo Bonzai, l’etichetta di Fly intervistato qui) e “Groovebird” dei Natural Born Grooves. Le 80.000 copie vendute de “Le Voyage ’96” e le 60.000 dell’album “Gigi D’Agostino”, in tandem questa volta tra BXR e RTI Music, testimoniano che l’intuizione di scommettere sulla musica strumentale sia giusta e fanno da volano per nuove produzioni dello stesso D’Agostino come “Gigi’s Violin”, dove troneggia un violino talmente ammaliante da far ricordare i Rondò Veneziano di Gian Piero Reverberi, ed “Elektro Message”, versione vitaminizzata di “Live Line” dei tedeschi You. Nel frattempo BXR mette a segno la prima licenza, “Electronic Pleasure” degli N-Trance, ma optando per le versioni trance (quella che si sente in radio finisce invece nel catalogo Signal).

Mauro Picotto - My House
“My House” di Mauro Picotto viene ritirato dal mercato per ragioni ignote

Mauro Picotto si prende il 1004 con la sua “My House”, naturale seguito a “Bakerloo Symphony” che viene per l’appunto remixata sul lato b in due versioni a creare una sorta di tessuto connettivo. Per ragioni mai chiarite del tutto, il disco verrà ritirato dal commercio pochi giorni dopo essere stato distribuito nei negozi. “My House” riappare, insieme ad “Halleluja”, su Pirate Records nel “Progressive Trip”, l’unico che l’artista firma MP8, accorciamento dell’anglofonizzazione M-Peak-8 usata per la poco nota “I Can’t Bear” l’anno precedente. Considerati gli alfieri del movimento mediterranean progressive dell’etichetta bresciana, Picotto e D’Agostino realizzano a quattro mani “Angels’ Symphony” da cui emergono distintamente tutti gli elementi salienti del filone, forse già all’apice del successo. Sul mercato giunge una tiratura che parrebbe frutto di un errore o di un ripensamento, contenente due versioni (Plastic Mix e Tranxacid Mix) che spariscono dal 12″ distribuito con lo stesso numero di catalogo, 1006. I buoni riscontri procurano ad entrambi alcuni ingaggi come remixer, Picotto rilegge “Mantra” dei Datura, D’Agostino invece “The Flame” dei redivivi Fine Young Cannibals, oltre a spartirsi rispettivamente “Turn It Up And Down” e “U Got 2 Know” dei Cappella, un marchio ormai quasi sulla via del tramonto. Alla Media Records poi arrivano nuovi DJ ad infoltire le fila della BXR: il toscano Mario Più, prima con l’estivo “Mas Experience”, una romanza elettronica agghindata da virtuosi sentimentalismi sintetici utilizzata per lo spot dell’Aquafan di Riccione, e poi con l’autunnale “Dedicated”, dedicato alla futura moglie Stefania alias More ed aperto da una citazione straussiana del poema sinfonico “Così Parlò Zarathustra”, il veneto Saccoman con “Pyramid Soundwave” (di cui parliamo nel dettaglio qui), una sorta di rilettura trancey del classico dei Korgis, “Everybody’s Got To Learn Sometime”, e il laziale Bismark, invitato dall’amico Gigi D’Agostino, che con “Double Pleasure” mette a punto un suono bifase lanciato su tensioni alternate che ha già sperimentato in pezzi usciti precedentemente come “Brain Sequences” o “Chrome”.

D'Agostino-RondoVeneziano
Similitudini grafiche tra le copertine dell’album “Gigi D’Agostino” e de “La Serenissima” dei Rondò Veneziano: androidi argentei che suonano strumenti a corda con città futuristiche sullo sfondo

Gigi D’Agostino torna con “New Year’s Day”, rivisitazione strumentale dell’omonimo degli U2. Sul lato b la lunga “Purezza”, quasi dieci minuti di un ribollire celestiale che i fan hanno già conosciuto grazie al citato album “Gigi D’Agostino”, quello col robot violinista e lo skyline di una città del futuro in copertina che sembra rimandare (intenzionalmente o involontariamente?) alle androidizzazioni a cui talvolta vengono sottoposti i menzionati Rondò Veneziano – si veda l’artwork de “La Serenissima”, 1981. Ma in fondo la mediterranean progressive della BXR per certi versi potrebbe essere considerata una proiezione modernista dell’ensemble diretto da Reverberi, coi suoi barocchismi e contrappunti ricamati su arie melodiche zuccherose innestate su arrangiamenti melliflui. L’eurodance delle annate 1992-1994 adesso sembra davvero lontanissima e simbolo di un’età conclusa, rimpiazzata da un suono nuovo proiettato verso il futuro che avanza. «Fatta eccezione per i Cappella, che riscuotono ancora successo in Francia, stiamo invadendo l’Europa con la progressive» afferma con decisione Gianfranco Bortolotti in un articolo di Billboard risalente al 22 giugno 1996. «Il nostro slogan è “The Sound Of The Future” e credo che il più grande vantaggio della dance indipendente sia quello di potersi trasformare rapidamente abbracciando le nuove tendenze. Dalla nostra parte abbiamo quattro dei migliori rappresentanti della scena mediterranean progressive incluso il fondatore, Gigi D’Agostino». Per l’occasione il manager bresciano si conferma come un sostenitore convinto delle nuove tecnologie ed avanza un’ipotesi profetica: «Grazie alla collaborazione con Zero City, provider milanese che offre l’accesso gratuito ad internet, stiamo entrando in un progetto che ci permetterà di avere una visione chiara sul futuro dell’industria musicale. Prima di quanto previsto, la musica verrà venduta attraverso il web, coi clienti che pagheranno uno o due dollari ogni volta che scaricheranno le nostre ultime uscite». A fine ’96 arriva un altro DJ a dare manforte alla squadra della BXR, Riccardo Cenderello, da Sarzana (La Spezia), acclamato in discoteca come l’angelo biondo. Inizialmente noto come Ricky, si trasforma in Ricky Le Roy dopo aver prestato l’immagine ad un progetto di Alex Neri, DJ Le Roy per l’appunto, destinato alla Palmares Records. “First Mission” è, dunque, la sua prima missione discografica ufficiale, uno slancio nel cielo più terso a bordo di un tappeto volante che si ritaglia, grazie all’edenica vena melodica, un posto nell’airplay radiofonico nostrano.

Il 1997 si apre attraverso “My World” di Bismark con cui il DJ romano intinge i pennelli in una mistura agrodolce per realizzare un quadro dalle tinte cromatiche giustapposte. Alla luminosità degli archi corrispondono vortici acidi, binomio che viene ulteriormente sviluppato nei due remix approntati in Belgio da Jan Vervloet, in quel momento all’apice del successo col progetto Fiocco, che la BXR pubblica su un 10″ colorato. A realizzare una versione di “My World” è anche Pablo Gargano, italiano trapiantato nel Regno Unito intervistato qui, seppur questa non finisca nel catalogo dell’etichetta bresciana. Aria di remix pure per “Dedicated” di Mario Più, analogamente solcato su un 10″ splatter blu/nero. Nel contempo il DJ toscano rilegge “I Just Can’t Get Enough” dell’elvetico DJ Energy per la GFB, campionando “Conflictation” di Cherry Moon Trax. Il successo primaverile è comunque “No Name” di Mario Più & Mauro Picotto, una sorta di summa tra “Mystic Force” dell’omonimo artista australiano e “Landslide” dei britannici Harmonix condita con una melodia ricavata da “Close To Me” dei Cure e frammenti ambientali presi dalla pellicola spielbergiana “Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo”. Le potenzialità sono tante al punto che la Media Records lo pubblica anche in formato CD singolo. Si rifanno sentire Saccoman con “Open Your Heart”, trance di facile impatto issata da una melodia triggerata, e Ricky Le Roy col cupo “Tunnel”, più cavernoso e vitreo rispetto al precedente e per questo chiuso in un contesto che riduce al minimo la possibilità di raggiungere l’airplay radiofonico.

Con “Music (An Echo Deep Inside” D’Agostino cerca nuove dimensioni stilistiche. È il primo BXR ad includere l’inserto cartaceo su cui si rinvengono titoli e crediti

Discorso a parte per “Music (An Echo Deep Inside)” di Gigi D’Agostino, brano con cui il DJ torinese inizia ad allontanarsi dalla dimensione iniziale del suo sound, in primis con l’inserimento di una parte cantata incorniciata da una serie di frasi zigzaganti di violino ed un sibilo filmico morriconiano. Nella parte centrale il lirismo vocale è accentuato ed un po’ rammenta quanto sperimentato pochi mesi prima da Marco Grasso in “Melodream” di Bakesky (sulla milanese Diamond Pears diretta da Nando Vannelli) che sovrappone non memorabili stilemi progressive all’italiana agli elementi di un’orchestra (violini, viole, violoncelli, contrabassi, oboe, fagotto ed altro ancora). Anche a livello grafico c’è qualcosa di nuovo: la label copy è occupata, su entrambi i lati, da una foto dell’artista pertanto titoli e crediti finiscono su un inserto di carta infilato all’interno della copertina. La presenza di tale inserto diventa fissa quando l’etichetta rinnova la brand identity (con “Lizard”, 1998), e nel corso del tempo sarà oggetto di variazioni nelle dimensioni. Con “Music (An Echo Deep Inside)” D’Agostino prende le misure di una nuova dimensione artistica in cui immergersi, ma prima di avventurarsi sul percorso che lo trasformerà in uno degli idoli della seconda ondata italodance, si cimenta in una serie di tracce da cui affiora sia la passione per la sampledelia, sia il desiderio di creare qualcosa ex novo, che non assomigli al suo più recente passato forse perché si è già reso conto che l’epoca della mediterranean progressive sia ormai agli sgoccioli e il mercato si è stancato di brani strumentali. La cesura, tuttavia, non è netta ed immediata, “My Dimension”, “Psicadelica” (una specie di nuova “Fly” con ridotti varchi melodici), “Living In Freedom” e “Wondering Soul” (rilettura di “No Time” dei Guya Reg, edita dalla DBX Records di Joe T. Vannelli) contengono ancora chiari retaggi dell’epoca progressive ma in “Bam”, “Tuttobene” e “Locomotive” (rivisitazione di “New Gold Dream (81-82-83-84)” dei Simple Minds, già riadattata con successo dagli U.S.U.R.A. in “Open Your Mind” nel ’92) l’artista dimostra la chiara volontà di andare oltre e rimettersi in discussione, anche a rischio di scontentare parte dei fan. Nella vivace “Rumore Di Fondo” rispolvera reticoli ritmici breakbeat, in “All In One Night” trova rifugio in una specie di trance epica trainata da un basso lanciato al galoppo, in “Gin Tonic” rallenta atipicamente i bpm. Non c’è un filo conduttore, sono tracce discontinue che abbracciano un’ampia gamma di sfumature sulla base di impeti creativi nuovi ed un pizzico eccentrici, ad attestare la voglia dell’artista di sperimentare mettendo in comunicazione e in relazione passato e presente, così come avviene in “Gin Lemon”, a posteriori configuratosi come un ibrido tra i cut-up meccanici di “Bla Bla Bla” o “Cuba Libre” e la vocalità umana di “Elisir”. Il pezzo è sequenziato su un sample celebre quanto simbolico per la house music continentale, il “pump up the volume” preso da “I Know You Got Soul” di Eric B. & Rakim ed eternato dai M.A.R.R.S. in “Pump Up The Volume” per l’appunto, di cui parliamo qui. Tutto questo avviene nel “Gin Lemon EP”, un avventuroso, eterogeneo e bizzarro triplo mix disponibile anche in versione colorata (verde, giallo, rosso) diventato ambito per i collezionisti. Altrettanto ricercata l’edizione su CD decorata dall’artwork di Tiberio Faedi intervistato in Decadance Extra, per cui sono stati già sborsati 450 €. Dall’extended play vengono estratti vari brani incisi su un 12″ contenente anche il remix di “Music (An Echo Deep Inside)” a firma Mario Scalambrin, vicino al modello utilizzato per la sua Van S Hard Mix di “Baby, I’m Yours” dei 49ers di cui parliamo qui. Nel contempo anche “Gin Lemon”, l’unico a colpire nel segno e finire nelle rotazioni radiofoniche, viene riversato su un singolo sul quale, tra le varie versioni, c’è pure una R.A.F. Zone Mix di Picotto in bilico tra hard house d’oltremanica e pizzicato style teutonico.

Mario Più (1997)
Mario Più in una foto del 1997

Progetto-miscellanea è anche quello di Bismark che incide un doppio mix intitolato “Project 696”, omonimo del programma radiofonico in onda su Power Station ai tempi condotto con Luca Cucchetti così come lui stesso racconta qui. All’interno sei tracce sviluppate intorno alla trance ma con ampie divagazioni che toccano solarità (“Female Vox”, “Trance Sensation”) e stratificazioni più scure (“Synthesis”) passando per echi mediterranean progressive (“Shadow”), rimbalzi à la “Chrome” (“Space Is The Place”) ed impervie modulazioni drum n bass miste a pulsioni speed garage (“Give Yourself 2 Me”). “Project 696” avrebbe dovuto anticipare l’uscita dell’album, così come annuncia lo stesso Bismark in un’intervista rilasciata a Barbara Calzolaio a novembre 1997, ma il progetto non andrà mai in porto. Sempre in autunno la BXR tira fuori un’altra hit destinata alle radio e al circuito più commerciale, “All I Need” di Mario Più Feat. More, un brano costruito sulla falsariga dei successi dei tedeschi Sash! che conquista licenze sparse per il mondo, Regno Unito e Stati Uniti inclusi con l’interesse mostrato dalla MCA. Una delle versioni remix, la Love Mix, uscita un paio di mesi più tardi, ricalca invece i suoni di “Come Into My Life” di Gala. Parallelamente Mario Più incide la strumentale “Your Love”, con l’aiuto e il supporto di Mauro Picotto e Francesco Farfa, destinata alle discoteche e per questo siglata con l’appellativo Club aggiunto al suo nome.

1998, un anno di transizione
Il primo BXR del 1998 è “All 4 One”, un EP contenente quattro tracce di altrettanti artisti. Da un lato Mario Più e Gigi D’Agostino, rispettivamente con una versione semistrumentale di “All I Need” (un possibile edit della Massive Mix?) e con la citata “All In One Night” presa dal descritto “Gin Lemon EP”, dall’altro Mauro Picotto e Ricky Le Roy, il primo con “Jump”, rivisitazione del marziale “Mig 29” di Mig 29, un classico hooveristico del 1991 tratto dal catalogo Pirate Records realizzato da Mauro ‘Pagany’ Aventino e Francesco Scandolari, il secondo con “Bridge”, riapparso poco tempo dopo col titolo “Speed” e modellato sulla falsariga dei successi dei B.B.E., “Seven Days And One Week” e “Flash”. Ai più attenti non passa inosservato il salto di parecchi numeri di catalogo, quasi una ventina (dal 25 al 43): ai tempi la Media Records spiega che la serie compresa tra il 1026 e il 1042 è destinata ad uso interno e non per dischi commercializzati ma in seguito emergerà una ragione più plausibile legata al fallimento del distributore, la Flying Records, a cui subentra temporaneamente la milanese Self. Sembra che il disallineamento del catalogo possa essere stato causato da quel passaggio ma non è dato sapere se ai diciassette numeri mancanti furono effettivamente attribuiti dei brani rimasti in archivio. Nei primi mesi dell’anno nei negozi arriva anche il nuovo di Saccoman, “Magic Moments”, ascritto a quel tipo di trance che il DJ programma come resident al Cocoricò di Riccione. A ruota segue Ricky Le Roy con “Speed”: se la Blond Angel Mix ha il tiro della hard house britannica sul modello di “Keep On Dancing” dei Perpetual Motion, la Sara Song Mix (già in circolazione col titolo “Bridge”, come annunciato poche righe sopra) batte più sul filone franco-teutonico con svirgolate acide e pause melodiche. Due i remix: quello techno di Francesco Farfa nascosto dietro Mr. Message, pseudonimo utilizzato poco tempo prima per lanciare la Audio Esperanto, e quello di Tony H chiamato Strobo Mix, presentato in anteprima nel suo programma del sabato notte su Radio DeeJay, “From Disco To Disco”, e costruito sullo stampo di “Black Alienation” che il compianto Zenith destina alla IST Records di Lenny Dee.

Mauro Picotto - Lizard
“Lizard”, il disco della svolta internazionale per Picotto e per la stessa BXR

La BXR naviga in una sorta di limbo: ormai la mediterranean progressive è un ricordo, per alcuni persino scomodo, ed urge scovare un nuovo filone da battere per tenere alto l’interesse. La svolta è dietro l’angolo ma nessuno lo sa ancora, incluso l’autore del brano che sancirà il “next step”, Mauro Picotto. L’accoglienza riservata alla sua “Lizard”, nella primavera del 1998, è piuttosto tiepida. Le quattro versioni racchiuse sul mix sono radicalmente diverse l’una dall’altra, ma una di esse risulterà determinante per gli sviluppi futuri, la Tea Mix, contraddistinta da un particolare disegno di basso (simile a quello della Explorer Version di “Dune” di Valez, Subway Records, 1994) la cui genesi viene raccontata dall’artista nel suo libro, “Vita Da DJ – From Heart To Techno” e che noi già svelammo, attraverso l’intervista al musicista Andrea Remondini, in Decadance Appendix nel 2012. L’effetto Larsen avvenuto al Joy’s di Mondovì genera una reazione euforica del pubblico e così Picotto, con l’aiuto del citato Remondini, cerca di riprodurlo in studio e il risultato lo si sente per l’appunto nella Tea Mix. La prima tiratura di “Lizard” passa inosservata ma l’indifferenza si trasforma in enorme curiosità quando, un paio di mesi più tardi, arrivano i remix. In particolare, come raccontato qui, è la Megavoices Mix, realizzata dallo stesso Picotto e sviluppata partendo dalla Tea Mix, a cambiare lo status quo. Con una stesura che sfiora i dieci minuti, la traccia si ripresenta in una formula più organica, arricchita da un sample vocale e una lunga pausa melodica centrale ispirata da “1998” dei Binary Finary e, forse, dal riff di “Prophecy” dei WW 3 (l’assonanza è particolarmente evidente nella Marathon Mix). Corre voce che a dare la spinta decisiva al brano sia stato Junior Vasquez dopo aver convinto John Creamer, l’A&R della Empire State Records (division della nota Eightball Records), a licenziarlo negli States. A ruota seguono Judge Jules, Graham Gold e soprattutto Pete Tong che lo inserisce in Essential Mix su BBC Radio 1 e che, poco tempo dopo, ribattezza Picotto con l’appellativo “The Lizard Man”. Il pezzo farà il giro del mondo aprendo una fase carrieristica dal sapore internazionale per il DJ piemontese. “Lizard” è anche il primo disco che BXR pubblica con un rebranding grafico, contraddistinto ancora dall’immagine del pianeta ma avvolto in una sorta di spirale ciclonica e che per qualche tempo viene utilizzato (in ordine randomico?) insieme al primo, in uso dal 1996. Titoli e crediti, come preannunciato nel precedente paragrafo, finiscono su un inserto cartaceo allegato.

Gigi D'Agostino - Elisir
“Elisir” di Gigi D’Agostino, un successo dell’estate 1998 che però “disarciona” la BXR dalla posizione legata a generi come progressive e trance

Con l’arrivo dell’estate escono due dischi dichiaratamente pop che seguono la strada aperta da “All I Need”, “Sexy Rhythm” di Mario Più, ispirata da “Your Love” dei canadesi Lime, ed “Elisir” di Gigi D’Agostino, interpretata in incognito da David Michael Johnson che per la Media Records ha già inciso alcuni brani tempo prima tra cui la cover di “I Say A Little Prayer”. Come emerso dai contenuti del “Gin Lemon EP” uscito negli ultimi mesi del 1997, D’Agostino è in cerca di un’evoluzione e la trova, come lui stesso afferma in un’intervista del settembre ’98, in una via di mezzo tra house e progressive, «sempre con sonorità energetiche ma senza ritmi troppo ossessivi. I tempi cambiano, le ore corrono e si è già arrivati al nuovo capitolo». A dirla tutta di progressive in “Elisir” resta poco e niente, in prima linea c’è la marcetta che prende le mosse dalla verve sampledelica di “Gin Lemon” e la parte vocale (con qualche similitudine che vola a “Closer” di Liquid) esplosa nel ritornello sorretto dal pianoforte, ma questo non è il piano imperante in stile “Children” di Robert Miles, è piuttosto un elemento coadiuvante che l’autore adopera, con la complicità del musicista Paolo Sandrini, per creare un nuovo standard della dance. La posizione da DJ attivo solo in club di settore forse inizia a stare stretta a D’Agostino, vuole una nuova collocazione nella scena ma soprattutto nel mercato discografico, e questo lo si intuisce sin dai tempi di “Music (An Echo Deep Inside)” che intende andare oltre l’inflazionata mediterranean progressive. Ora riesce a trovare la quadra con una formula alchemica inaspettata per i suoi fan più incalliti e destinata a gettare i semi della seconda ondata italodance, attesa dalle grandi platee generaliste dopo la parentesi del biennio ’96-’97. “Elisir”, licenziato in parecchi Paesi europei ma anche negli States dove la Tommy Boy lo pubblica col titolo “Your Love”, viene salutato con tripudio dalle radio ed anche dalle tv. Memorabile l’apparizione ad “Italia Unz” su Italia 1, in cui D’Agostino sceglie di starsene comodamente sdraiato su un materassino gonfiabile piuttosto che mimare imbarazzanti performance in playback, lasciando invece il compito a David Michael Johnson di occuparsi del (pare necessario) lip-sync. Quella di “Sexy Rhythm” ed “Elisir” è una doppietta, disponibile anche in formato CD, che garantisce ottimi risultati alla Media Records, specialmente in riferimento ad “Elisir”, ma che nel contempo lascia spiazzato chi pensa alla BXR come etichetta legata a soluzioni meno commerciali e più vicine alla progressive (prima) e trance (poi). Che fine hanno fatto gli intenti di sfondare la barriera del prevedibile formato canzone? C’è forse la necessità di tornare a formule più canoniche e tradizionali per mantenere viva l’attenzione del pubblico?

Una foto dell’autunno 1998 in cui si scorge l’ideogramma che Picotto si “tatua” sui capelli: da lì a breve il simbolo diventa un elemento identificativo della sua immagine

A diversificare l’offerta, tenendo un piede nella dimensione più appetibile ai club e al frangente internazionale, sono comunque Tony H con “Zoo Future” (la versione destinata alle radio, la Lion Mix, ricicla il riff di “Get The Balance Right!” dei Depeche Mode) e Bismark con “Street Festival”, pensato come colonna sonora dell’omonimo evento che si tiene a Roma domenica 21 giugno e il nome delle quattro versioni (Colosseum Mix, Fori Imperiali Mix, Piazza Venezia Mix, Circo Massimo Mix) non lascia adito a dubbi sul legame con la Città Eterna. Alla manifestazione, organizzata sul modello della berlinese Love Parade ideata quasi dieci anni prima da Dr. Motte e Danielle de Picciotto intervistata qui, partecipano decine di DJ che si alternano su consolle allestite su camion. La Media Records ha un proprio carro sul quale si esibiscono praticamente tutti gli artisti della scuderia. Quell’estate al debutto su BXR ci sono anche i fratelli Giorgio ed Andrea Prezioso ed Alessandro ‘Marvin’ Moschini con “I Wanna Rock”, un divertente cut-up pubblicato pure su CD (con la copertina curata da Tiberio Faedi) ottenuto incrociando su una trascinante base hard house le chitarre di “Should I Stay Or Should I Go?” dei Clash ed un frammento vocale di “It Takes Two” di Rob Base & DJ E-Z Rock. L’idea però non raccoglie consensi analogamente a “Burning Like Fire / The Pinzel” che i tre firmano Stop Talking su GFB poche settimane prima. La rivincita, come si vedrà avanti, arriva circa dodici mesi più tardi. Ad anticiparla è “Hardcat” che Giorgio Prezioso realizza con Picotto come Tom Cat ma su Underground. La tornata autunnale continua ad alternare pezzi di estrazione trance/hard trance ad altri crossover: si passa così da “Distant Planet” di Saccoman, adorato da Talla 2XLC, a “Unicorn” di Mario Più, da “Under The Sea” di Ricky Le Roy ai remix di “Zoo Future” di Tony H (tra cui quello dei tedeschi DuMonde prossimi all’affermazione mondiale), da “Honey” di Mauro Picotto, ricamato sul giro di “Two Tribes” dei Frankie Goes To Hollywood ed affiancato sul lato b dalla coriacea “Smile” con una risata beffarda, a “Cuba Libre” di Gigi D’Agostino, un’ossessiva marcetta (licenziata negli States dalla Jellybean Recordings di John “Jellybean” Benitez ma col nome Noise Maker) sincronizzata sui vocal di “Caught, Can We Get A Witness?” dei Public Enemy, già rispolverati con successo tempo prima dai Natural Born Chillers in “Rock The Funky Beat” in chiave drum n bass. A fine anno giunge “Spectra”, il primo col centrino su fondo verde e il pianeta irriconoscibile per la gradazione cromatica, con cui Mario Più e Mauro Picotto rinnovano il sodalizio e campionano la sezione ritmica di “Spastik” di Plastikman per innestare all’interno l’essenza del nuovo “BXR sound” che marchierà l’annata seguente.

Gigi D'Agostino - Bla Bla Bla
“Bla Bla Bla”, il primo successo messo a segno dalla BXR nel 1999

1999, verso ambiziosi obiettivi con hit internazionali e un nuovo logo
Per BXR il 1999 si apre all’insegna della neo eurodance di Mario Più Feat. More con “Run Away”: il DJ toscano continua ad alternare produzioni trance/hard trance ad altre di stampo prettamente pop come questa in cui, col tocco di Paolo Sandrini come arrangiatore, cerca di riagguantare l’essenza che ha fatto la fortuna dell’eurodance/italodance nostrana tra 1993 e 1994 con ovvi update del banco suoni e con l’esclusione del rap maschile a vantaggio di un’unica voce, quella femminile. Sul 12″ e sul CD singolo figura anche una versione di estrazione filo drum n bass, la Free Style Mix, forse pensata per il territorio britannico dove alcuni esperimenti simili, tipo quello di “Before Today” degli Everything But The Girl, destano particolare interesse. Il primo centro dell’anno, seppur in circolazione da diversi mesi (a dicembre ’98, quando è ancora privo di titolo, Picotto lo recensisce sulle pagine di DiscoiD definendolo «un pezzo che ha dell’incredibile»), è rappresentato da “Bla Bla Bla” di Gigi D’Agostino: edificato su una base simile a quella di “Elisir” e di “Cuba Libre”, la traccia diventa presto un autentico tormentone grazie al fulminante e ribaltante uso di un campionamento vocale tratto da “Why Did You Do It” degli Stretch, tagliato e montato a mo’ di filastrocca nonsense («l’ho realizzato pensando a tutta quella gente che parla tanto senza dir niente» dichiarerà poco tempo dopo l’autore, che in copertina vuole una massima del filosofo Voltaire). Il lato b è occupato per intero dalla Africanismo Mix di “Voyage”, poco più di quindici minuti trasognati e vissuti all’interno di uno shaker che frulla una particolare scansione ritmica che travalica i generi, a riprova della volontà di D’Agostino di dare costantemente una spinta in avanti alla sua musica. “Bla Bla Bla”, per cui viene realizzato un video-parodia de La Linea di Osvaldo Cavandoli, entra in dozzine di compilation e conquista il vertice di un numero imprecisato di classifiche. È il primo disco che BXR affida ad un nuovo distributore, la campana Global Net, lì dove lavora Daniele ‘Dany T’ Tramontano che a tal proposito rammenta: «Un mattino arrivarono in prima battuta diecimila copie di quel BXR e la sera ne erano rimaste forse appena cinquecento».

label variation
Due variazioni grafiche utilizzate dalla BXR tra 1998 e 1999

In primavera si ripresenta Mauro Picotto con “Pulsar”, un pezzo trance dedicato alla figlia primogenita Alessia che ricalca prevedibilmente lo schema di “Lizard” con l’aggiunta di un hook vocale che fa lo spelling del nome dello stesso artista. Tante le versioni approntate, due delle quali finite su un secondo 12″ codificato come Deeper Mixes. Nella stagione dei fiori si fanno risentire anche Bismark con gli affreschi melodici di “Parapapa”, e Tony H con “Sicilia…You Got It!”, che passa dalla tempestosa hard trance con tagli lavici acid della Etna Vulcan Mix alla ridente Taormina Mix, una specie di risposta a “Bla Bla Bla” che usa il campione vocale di “Ride The Pony” dei Peplab abbinato ad una linea melodica in stile “Profondo Rosso”. Curiosità: la Stromboli Mix viene pubblicata quasi contemporaneamente su Pirate Records ma con titolo ed autore differenti, “Mutation” di Pivot. Poco tempo dopo per la medesima etichetta Tony H realizza, con Picotto, “Venezia” di Venice, scandito da un fraseggio di violini che rilancia le atmosfere mediterranee di qualche anno prima. Riappare pure Saccoman con “The Bounce”: le due versioni sulla logo side, la Jumpin’ e la Pumpin’, girano sul classico disegno trance che il DJ veneto spinge in discoteca, mentre sulla info side trovano spazio la Surfin’, con una stesura ed evoluzione progressive che ricorda un classico di quattro anni prima, “Pleasure Voyage” di X-Form al quale abbiamo dedicato qui un articolo, e la Teain’ a firma Picotto, un incrocio tra la sua “Lizard”, un frammento di “Communication” di Mario Più di cui si parla più avanti, e le percussioni di “20Hz” di Capricorn. A ridosso dell’estate BXR prende in licenza per l’Italia “The Launch” dell’olandese DJ Jean, rivisitazione di “The Horn Song” di The Don del 1998 che funziona nei Paesi del Nord Europa ma che da noi fatica a spopolare seppur finisca in diverse compilation tra cui quella dedicata all’Energy mixata da Molella, e “Dream A Dream” dei Captain Jack, act hard dance di Colonia prodotto da Eric Sneo e remixato dai DuMonde. È tempo pure di una tripletta di remix, “Unicorn” di Mario Più, “Tunnel” di Ricky Le Roy e “Lizard” di Mauro Picotto che sbarca ufficialmente oltremanica attraverso la VC Recordings del gruppo Virgin. Proprio su “Lizard” mettono le mani il britannico Tall Paul, reduce dal successo di “Let Me Show You” di Camisra, e Gigi D’Agostino che disfa e ricostruisce il puzzle riciclando un frammento ritmico della sua “Elisir”. Proprio Picotto riporta in vita, per l’ultima volta, l’alter ego R.A.F. By Picotto per “America”, ennesimo derivato di “Lizard”. Sul lato b il remix di “Tuttincoro”, pubblicato a fine ’98 sulla Pirate Records e germogliato su “Leave In Silence” dei Depeche Mode.

Prezioso e Mario Più
Altre due hit annuali della BXR, “Tell Me Why” di Prezioso Feat. Marvin e “Communication” di Mario Più

Dopo il poco fortunato “I Wanna Rock”, i fratelli Prezioso si prendono la rivincita: accompagnati dalla voce di Marvin e con la collaborazione di Paolo Sandrini, incidono “Tell Me Why”, una hit dell’estate ’99 per cui viene girato un videoclip e che finisce al Festivalbar quell’anno presentato da Fiorello ed Alessia Marcuzzi. Nel pezzo i più attenti riconoscono due principali ispirazioni, la tastiera di “Talking In Your Sleep” dei Romantics e la strofa di “Family Man” di Mike Oldfield, ma quello dei Prezioso Feat. Marvin non è un collage figlio della sampledelia più macchinosa, sullo stile dei programmi radiofonici “blobbistici” di Giorgio, ma una canzone solare e perfetta per le platee delle megadiscoteche, non solo italiane a giudicare dal numero di licenze macinate in diversi Paesi del mondo. Va particolarmente bene in Svizzera, in Danimarca ma soprattutto in Austria e in Germania, piazzato rispettivamente in seconda e decima posizione della classifica di vendita. Proprio nella terra dei crauti i tre tengono parecchie serate ed apparizioni televisive come questa su RTL. Un’altra mina lasciata deflagrare dalla BXR nell’estate ’99 è “Communication” di Mario Più: colorita dal suono dell’interferenza del telefono cellulare, parallelamente usato dai Dual Band (Paolo Kighine e Francesco Zappalà) in “GSM” sulla modenese Stik, la traccia attinge (ancora) le forze dallo schema di “Lizard”, mietendo consensi grazie ad una potente dinamica del suono e rumorose rullate che fanno impazzire gli amanti dell’hard trance. Sul lato b figura “Hertz”, cover di un brano che Mario Più suona spesso nelle sue serate, “Pleasure” dei belgi The Squeakers pubblicato nel ’98 su etichetta Hertz. Il grande successo di “Communication” viene garantito però da un remix che giunge a distanza di qualche mese, quello realizzato oltremanica da Yomanda, scelto per sincronizzare il videoclip e sviluppato sulla base della More Mix. Il brano conquista il vertice della Top 40 Club Chart UK con circa 200.000 copie vendute, e l’autore viene ribattezzato “il Fatboy Slim italiano”. In autunno è tempo di una versione di Picotto firmata come Lizard Man. Parallelamente esce “Serendipity” con cui Mario Più rispolvera la melodia di “Showroom Dummies” dei Kraftwerk ed ufficializza la paternità del progetto DJ Arabesque, partito nel ’97 su etichetta Underground. Dopo i vari featuring per Mario Più, More (ex frontwoman dei T-Move Experience inizialmente nota come Jody Moore) incide il primo singolo da solista, “4 Ever With Me”. Il pezzo si inserisce in quella rosa di dance made in Italy al femminile interpretata da cantanti come Kim Lukas, Ann Lee o Neja. A fronte di ciò, il progetto traslocherà presto sulla division pop della BXR, la W/BXR, di cui si parla più avanti.

Mauro Picotto - Iguana
“Iguana”, il follow-up di “Lizard”, è una conferma per la carriera internazionale di Mauro Picotto

Se sino al 1998 il successo dell’etichetta è stato episodico ed occasionale, dal 1999 i trionfi diventano quasi sistematici. È il momento in cui la BXR catalizza l’attenzione della stampa internazionale che ne parla come squadra composta esclusivamente da DJ attivi nelle discoteche di settore e per questo particolarmente abili nell’intercettare i gusti del pubblico. «Abbiamo messo sotto contratto i più importanti disc jockey provenienti da differenti regioni italiane offrendo loro facoltà di produrre la musica che amano proporre durante le proprie serate» spiega Picotto in un articolo di Mark Dezzani pubblicato su Billboard il 12 giugno 1999. «Ci siamo accorti che esiste un grande mercato per la musica progressive/techno seppur le emittenti radiofoniche italiane, fatta eccezione per quelle specializzate, continuino a preferire house e pop dance» prosegue Bortolotti. «Abbiamo dunque deciso di alimentare e sviluppare ulteriormente questi generi più sperimentali e sfruttare internet per promuoverli anche se i software per scaricare illegalmente dalla Rete brani in formato MP3 metteranno presto in ginocchio il mondo della musica. Piuttosto che ignorare questa nuova realtà, però, useremo la tecnologia per portare online il nostro catalogo». Due le importanti novità autunnali: la prima riguarda il cambiamento di logo, con la X rossa in evidenza che manda definitivamente in soffitta le declinazioni grafiche precedenti, la seconda l’avvio di tre serie, Claxixx, Club e Superclub, rispettivamente contraddistinte dai colori bianco, nero ed argento e nate col fine di categorizzare in modo più accurato le pubblicazioni in base ai suoni e il pubblico di riferimento. Questa gradazione cromatica abbraccia inoltre le copertine generiche, sino a questo momento stampate in cinque colorazioni (rosso, nero, blu, giallo, celeste). Il primo ad essere interessato dal nuovo ordine/raggruppamento è “Iguana” di Mauro Picotto, follow-up di “Lizard” in cui l’autore torna ad utilizzare un sample vocale (preso da un live dei Kiss in cui la band esegue “Hotter Than Hell”) che ha già inserito nella sua prima produzione destinata alla Media Records, “We Gonna Get…” del 1991, ai tempi “ritagliato” da “Adrenalin” degli N-Joi. Sono svariate le versioni approntate tanto che nel complesso “Iguana” occupa tutte le serie, la Claxixx, la Club e la Superclub. Nel pacchetto è incluso anche un remix a firma Blank & Jones con cui i tedeschi ripagano la versione che Picotto realizza per la loro “After Love” uscita quasi in contemporanea. Il successo di “Iguana” tocca tutta l’Europa, in particolare la Germania dove resta per settimane al vertice delle classifiche di vendita. Viene prevedibilmente girato un videoclip diretto da Oliver Sommer e finito in high rotation su MTV, VIVA e tutte le principali tv musicali.

BXR Superclub apertura
Uno degli advertising con cui viene annunciata l’apertura del BXR Superclub, il 9 ottobre 1999

A consolidare ulteriormente la posizione, la promozione e la comunicazione di BXR, sono due progetti collaterali: uno su Italia Network, prossima a trasformarsi in RIN, chiamato Maximal, che porta in scena i DJ dell’etichetta con selezioni musicali in cui vengono palesate le coordinate dei brani selezionati, l’altro sul fronte discoteca con l’apertura, sabato 9 ottobre presso lo Shibuya di Rezzato, del BXR Superclub, il miglior palcoscenico che i DJ della Media Records potessero avere in quel momento, seppur rimanga in attività per appena una stagione (la serata di chiusura è del 20 maggio 2000). Maximal e il BXR Superclub veicolano in modo ferreo il suono del pianeta BXR, non più quello celeste del periodo mediterranean progressive bensì uno fiammeggiante rosso fuoco ben visibile sulla copertina del primo volume della “BXR Superclub Compilation”. Entrambe si rivelano presto come due straordinarie vetrine pubblicitarie in un periodo in cui il pubblico, o perlomeno quella parte di esso rappresentata dai fan più sfegatati, si emoziona e si sente fortunata ad ascoltare in anteprima i nuovi brani dei propri beniamini della consolle. Scommettendo su nomi nuovi anche a rischio di non centrare perfettamente l’obiettivo, la BXR mette a segno altre tre licenze, “Gouryella” dei Gouryella alias Tiësto e Ferry Corsten (dal catalogo Tsunami), il remix di “Madagascar” degli Art Of Trance (dal catalogo Platipus), e “The Day” di Lunatic House Sounds (dal catalogo DiKi Records, quella di Age Of Love di cui parliamo approfonditamente qui). Spazio anche agli artisti interni come Bismark con “Reactivate”, Massimo Cominotto con “Minimalistix” (il primo inciso per la BXR dopo un biennio vissuto su Underground), e Tony H con “Tagadà / www.tonyh.com”. «Il tagadà è una giostra techno con un movimento tipo centrifuga, e questo movimento mi fa pensare ad una rullata devastante con effetto energizzante sul corpo, lo stesso che il mio disco vuole ricreare» spiega l’autore ai tempi. «A “Tagadà” si aggiunge “www.tonyh.com”, proprio come il mio nuovo sito internet» conclude. Poi tocca a “Slave To The Rhythm”, cover dell’omonimo di Grace Jones realizzata dai PPK, progetto one shot nato sull’asse italo-britannico formato da Pete Pritchard, Mauro Picotto e Ben Keen alias BK (PPK è l’acronimo dei loro cognomi). Negli ultimi giorni dell’anno arriva infine “Arabian Pleasure” di Mario Più & Mauro Picotto, trance dolcemente immersa in atmosfere orientaleggianti rimarcate dalla grafica in copertina da cui affiorano i loghi degli autori.

Gigi D'Agostino - Tanzen
La copertina di “Tanzen” che nel ’99 apre il catalogo di W/BXR

Canalizzazioni tematiche per fare ordine
Il catalogo della BXR inizia a essere troppo eterogeneo: a produzioni di stampo progressive e trance se ne aggiungono altre prettamente pop ma tale sovrapposizione di mondi musicali, oltre a risultare dispersiva, disorienta i seguaci. Al fine di convogliare tutti quei pezzi dichiaratamente mainstream quindi, nel 1999 viene creata una “filiale” apposita, la W/BXR, partita col triplo “Tanzen” di Gigi D’Agostino che al suo interno raccoglie futuri successi (“The Riddle”, la strumentale “Passion” poi diventata “La Passion”, “Another Way”), nuove marcette ipnotiche à la “Cuba Libre” (“Acid”, “Movimento”, pubblicata l’anno prima su Underground e firmata come Noise Maker, “Coca & Havana”), rimembranze tranceoidi rilette a suo modo (“One Day”), una nuova versione di “Bla Bla Bla” intitolata Dark Mix, una sorta di remix della stessa, “A. A. A.”, realizzato da Mario Più e Ricky Effe, ed anche una hit mancata, “Star”. Per un anno circa la W/BXR raduna le ramificazioni della BXR destinate alle grandi masse generaliste, da “Let Me Stay” dei Prezioso Feat. Marvin ad “Around The World” di More passando per “Ritual Tibetan” dei Kaliya e le versioni vocali di “Techno Harmony” di Mario Più e di “Arabian Pleasure” di Mario Più & Mauro Picotto, quest’ultima interpretata dalla cantante algerina Amel Whaby. Dopo diciassette uscite, il progetto viene assorbito dalla ex Noise Maker ora NoiseMaker, riavviata con l’album “L’Amour Toujours” attraverso il quale D’Agostino si consacra a livello planetario radunando attorno a sé un oceano di supporter estatici, talvolta animati da una devozione ai limiti del fanatismo.

BXR Club, Gold, Sacrifice
I dischi inaugurali di BXR Club, BXR Gold e Sacrifice

Sempre del 1999 è una sottoetichetta di BXR chiamata BXR Club, nata con lo scopo di raccogliere le produzioni dal carattere più schiettamente clubby e con nessuna probabilità di fare crossover. A tagliare il nastro inaugurale è Gabry Fasano con “Jaiss Bangin'”, presto seguito da “Metempsicosi” di Ricky Le Roy (omonimo del gruppo di DJ a cui appartiene, fondato nella primavera del 1997), “Imperiale” di Mario Più & Mauro Picotto (con una pausa sonorizzata sulla melodia di “Merry Christmas Mr. Lawrence” di Ryuichi Sakamoto, dal film “Furyo”) e “Red Moon” ancora di Ricky Le Roy, che arriva a fine ’99 e chiude la breve parentesi rimpiazzata dalla categorizzazione distinta tra Claxixx, Club e Superclub di cui si è già detto sopra. Nell’estate del 2000 nasce la BXR Gold, espediente con cui la Media Records rimette in circolazione alcuni pezzi del repertorio BXR (ma non solo, qualcosa proviene dai cataloghi GFB ed Underground), organizzati in diversi EP che fanno felici i collezionisti seppur alla fine il progetto pecchi un po’ come esercizio autocelebrativo. Pochi mesi più tardi parte invece Sacrifice, etichetta che si colloca in posizione mediana tra Underground e BXR, sia per declinazione grafica che sonora. A marchiare la maggior parte delle pubblicazioni sono le lettere dell’alfabeto ellenico usate per siglare i nomi degli autori. A suggellare il tutto una linea di merchandising e l’apertura di branch sparse per l’Europa (Regno Unito, Germania, Benelux) che rappresentano un supporto valido ed utile per penetrare più capillarmente nei territori esteri.

Mauro Picotto - Pegasus
Sopra la copertina di “Pegasus”, sotto la foto da cui viene sviluppata la grafica

2000-2001, alla conquista del mondo con la supertechno
Uscita indenne dal temuto millennium bug, la BXR inizia il nuovo anno/secolo/millennio lanciando il sito web, che include anche un frequentatissimo forum, e riprendendo il discorso lasciato in sospeso a fine ’99 con “Arabian Pleasure” con canti esotici che fanno venire subito in mente dune, palmeti e qualche oasi. Adesso a marciare verso la calura desertica a bordo di un rullo compressore che fa il verso ai disegni di basso hi NRG di Bobby Orlando è Ricky Le Roy con “Tuareg”. Pronto probabilmente dall’autunno, esce in pieno inverno “Autumn” che dà avvio al progetto Lava, nato tra Italia e Germania dalla collaborazione tra Mauro Picotto, Riccardo Ferri e Tillmann Uhrmacher, DJ tedesco e noto speaker radiofonico su Sunshine Live dove conduce il programma Maximal, che divide solo l’omonimia con quello prima descritto e trasmesso da Italia Network. Come solista, Mauro Picotto sfodera “Pegasus”: la Tea Mix contiene ancora elementi lizardiani ma appare subito chiaro che il DJ si stia stancando di riciclare il basso “wuooom wuooom” ricavato da un vecchio BassStation Novation abbinato ad infinite rullate di snare, schema peraltro imitato da un numero sempre più consistente di competitor già dal 1998 (si sentano, ad esempio, “Enjoy” di Alex Castelli o “Zi-Muk” di CAP). La Superclub Mix di “Pegasus” difatti sposta il baricentro verso costrutti più intrisi di (hard)groovismo post millsiano, arricchito da una vena italo/europea. È uno dei primi brani con cui si inizia a parlare di supertechno, un nuovo filone che BXR, quell’anno premiata dalla rivista tedesca Raveline e corteggiatissima al Midem di Cannes e al Winter Music Conference di Miami, annuncia di seguire per scrollarsi di dosso il passato e restare fedele allo storico payoff della casa madre, “the sound of the future”. In copertina finisce l’elaborazione grafica di una foto scattata nei corridoi della Media Records da cui spicca il pittogramma asiatico giallo che Picotto si “tatua” all’altezza della tempia sinistra sin dall’autunno del ’98 e che diventa una vitale caratteristica della sua immagine pubblica nonché tag identificativa sulle copertine dei dischi. 

Mario Più - Techno Harmony
“Techno Harmony” conferma l’exploit internazionale di Mario Più

Analogamente a Massimo Cominotto, anche Joy Kitikonti approda su BXR dopo aver inciso svariati brani, pure sotto pseudonimi, su altre etichette del gruppo bortolottiano (Underground, GFB, Audio Esperanto). Il debutto sulla label, privo di botto ma solo posticipato di un anno circa, avviene attraverso “Agrimonyzer” in cui il DJ toscano fa sfoggio di numerose linee tambureggianti, retaggio delle esperienze giovanili come batterista. In particolare in una delle quattro versioni, la Hacker’s Mix, campiona il suono emesso dagli ormai obsoleti modem analogici a 56k, quella specie di telefonata non vocale che permetteva di entrare in Rete, un mondo che in quel momento inizia la corsa alla popolarizzazione su larga scala. Reduce dallo strepitoso successo oltremanica ottenuto con “Communication”, Mario Più appronta un follow-up mirato ad espandere la propria fanbase oltre i confini nazionali. In primavera è quindi la volta di “Techno Harmony”, una traccia nata in seno al fermento eurotrance che diventa canzone col titolo “My Love” grazie all’apporto vocale di Maurizio Agosti meglio noto come Principe Maurice, celebre performer del Cocoricò di Riccione. Come da copione, secondo una procedura in uso sin dai primi anni Novanta, la Media Records appronta un alto numero di versioni incise su vari 12″ e sul CD singolo. Gli sforzi vengono premiati, il brano vola alto nelle classifiche internazionali e conquista numerose licenze in primis nei Paesi chiave per la discografia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti.

Mauro Picotto - Komodo
Con “Komodo” Mauro Picotto chiude la trilogia dei rettili e tocca l’apice della popolarità

Non da meno è certamente Mauro Picotto con “Komodo”, con cui chiude la trilogia rettiliana iniziata (non intenzionalmente) nel ’98. Annunciato come “Komodo Dragon” e col featuring dei Deep Forest che sarebbe stato legittimato da un campionamento della loro “Sweet Lullaby”, il pezzo, descritto dalla stampa come una specie di medley tra trance e world music, viene poi commercializzato più semplicemente come “Komodo” e trainato da un videoclip ancora diretto da Oliver Sommer in cui Picotto veste i panni di un investigatore che indaga su una serie di morti sospette. Il testo scritto ex novo sulla melodia di “Sweet Lullaby” diventa “Save A Soul” usato come sottotitolo. Sul 7″ allegato al doppio mix che la BXR pubblica in primavera inoltrata figura “Come Together”, brano downtempo (praticamente un mix tra “Save A Soul” e “Komodo”) che riflette un lato inedito di Picotto legato alla musica lounge e chillout. È il momento in cui l’artista piemontese tocca l’apice commerciale della carriera, finendo nelle lineup di eventi dalla risonanza internazionale come MayDay, Love Parade, Time Warp, Gatecrasher, Atlantis ed Homelands, in club come il Twilo di New York, nella Top 100 DJs di DJ Mag (al 27esimo posto) e sul palco di Top Of The Pops dove non mima azioni su una consolle spenta, così come solitamente è costretto a fare chi viene dal mondo delle discoteche per sottostare agli stringati tempi televisivi. Senza ovviamente tralasciare la sfilza di remix già approntati per artisti del calibro di System F e Blank & Jones a cui ne seguono molti altri di cui si parla più avanti. In Germania è un vero trionfo dove “Komodo” vende circa 300.000 copie. Davvero tante le versioni sfornate negli studi in Via Martiri Della Libertà come quella di Megamind, nome che Picotto usa prima con ruolo di remixer e poi come artista a partire da “Listen To Me” dell’autunno ’98, e quella di Saccoman. Quest’ultimo riappare con “Metamorph”, ennesima escursione nella trance di matrice tedesca ma variata, nella Part One Mix, in qualcosa di diverso e meno prevedibile. È quella che alla Media Records chiamano supertechno, «un’ulteriore evoluzione della tech-house classica ma rivista nello stile BXR» dirà in merito Mauro Picotto qualche tempo dopo. All’esordio su BXR c’è anche Franchino, vocalist popolarissimo in Toscana in locali come Imperiale ed Insomnia. Anche per lui, come per Cominotto e Kitikonti, dopo un paio di anni di training su Underground e GFB, si aprono le porte marchiate dalla X rossa e ciò avviene con “Calor”, traccia senza troppe pretese costruita su una parte più solare, trainata da un basso in ottava, ed una più scura ma un po’ anonima.

Svariati i pezzi presi in licenza dall’estero: i remix di “Schall” – inclusi quelli di Pascal F.E.O.S. e Thomas P. Heckmann – di Elektrochemie LK alias Thomas Schumacher (nel ’98 già approdato su GFB con “When I Rock”, su segnalazione di Picotto), “Communication Part II” di Armin Van Buuren, “Oasis” di Y.O.M.C., cover dell’omonimo dei Paragliders uscito cinque anni prima e diventato uno dei dischi del repertorio BXR più quotati sul mercato collezionistico, “Something About U” di The Act, “Pussylovers” di DJ Balloon (con uno stralcio vocale preso dal film “From Dusk Till Dawn” del ’96), “Digital Dialogue” di Nick Sentience, i remix di “Don’t Laugh” di Winx tra cui uno a firma Mauro Picotto (all’opera anche su “Time To Burn” degli Storm, “See The Light” dei DuMonde e “Running” dei Tyrell Corp.), e quelli di “Science Fiction” di Taucher, un buon successo in Germania sul quale mettono le mani i Cosmic Gate e Mario Più. Proprio quest’ultimo, dopo aver ottenuto un discreto responso oltralpe con “Serendipity”, ci riprova come DJ Arabesque e fa centro grazie a “The Vision”, eurotrance a presa rapida che fa letteralmente il giro del mondo macinando decine di licenze ed affermandosi completamente nel 2001. Più contenuti i risultati di “Dolphin” di Gee Moore, il DJ del Bora Bora di Ibiza con cui il team della Media Records inizia a collaborare l’anno prima con “All Fat Boys Dancing” finito su Underground. Fedele alla linea trance è Bismark che con “Make A Dream” europeizza il suo suono e fa breccia nella Kontor Records che lo ripubblica in Germania col remix di Azzido Da Bass. Dopo diversi mesi di programmazione su Italia Network, Maximal si trasforma in una compilation. Il primo volume, affidato a Ricky Le Roy, include tra le altre “Happy” di Cominotto e “Year 2000” di Tony H, rimaste confinate al formato CD.

La supertechno targata BXR continua a propagarsi in autunno con “Species” del citato Cominotto («un “disco da viaggio” privo di ritornelli a guidare l’ascoltatore, crossover tra trance e techno con qualche occhiata alla Detroit anni Novanta» come lo descrive ai tempi l’autore) ed un paio di feroci 12″ di Picotto contenenti quattro tracce tratte dal suo primo album (“Underground / Baguette”, “Bug / Eclectic”) ma non indirizzate al frangente radiofonico. Il follow-up di “Komodo” infatti è “Proximus” in cui trova alloggio un campionamento tratto da “Adiemus” di Karl Jenkins e che gli italiani hanno facoltà di ascoltare in anteprima attraverso un servizio messo a punto da Omnitel che trasforma il telefono cellulare in un juke-box chiamando il numero 2552. Immancabile il videoclip che chiude la serie diretta da Oliver Sommer, iniziata con “Iguana” e proseguita con “Komodo”: come Alberto Beltrame scrive qui il 27 maggio 2020, «al regista viene commissionato il compito di narrare le vicende dell’investigatore Mauro Picotto e della sua sexy antagonista, la misteriosa donna dagli occhi di drago […], un’assassina seriale che (nel video di “Proximus”, nda) sembra essere diventata ancora più potente e sfuggente, ma l’investigatore riuscirà a trovarla alla fine di un inseguimento» (a bordo di una Ferrari, nda). Negli ultimi frame il colpo di scena, la donna si trasforma in iguana e gli occhi di Picotto diventano gli stessi della donna-lucertola. Le numerose versioni aiutano la diffusione del brano sul fronte estero, quello a cui BXR ormai sembra ambire in modo deciso e non a caso il 20 dicembre Picotto raccoglie diversi premi ai German Dance Awards tenutisi ad Amburgo.

Mario Più - Sfyflex
Dopo circa cento pubblicazioni, la BXR abbandona il payoff Noise Maker

Nel frattempo i DJ della label bresciana continuano a radunare migliaia di adepti provenienti da diverse regioni d’Italia ogni sabato notte. Un autentico nomadismo che si alimenta anche grazie a nastri doppiati a profusione sui quali si rinvengono tanti dei pezzi che vengono testati con diversi mesi d’anticipo rispetto alle date di uscita ufficiali. È il caso di Mario Più con “Sfyflex”, finito sul lato b dei remix di “Techno Harmony” (con cui BXR perde definitivamente il payoff Noise Maker, diventato il nome di un’altra etichetta della Media Records curata artisticamente da Gigi D’Agostino), e di “Matrix”, pubblicato insieme a “Morpheus” in cui riaffiorano elementi di “Tryouts For The Human Race” degli Sparks, prodotta da Giorgio Moroder nel 1979, gli stessi riportati in superficie da Trisco nella sua “Musak”. Proprio “Matrix” è dedicata all’omonimo club, prima ospitato presso il fiorentino Central Park e poi al Ritmodromo di Coccaglio, dove Mario Più e i colleghi del gruppo Metempsicosi si trasferiscono nell’autunno 2000 dopo la fine del sodalizio con l’Insomnia di Ponsacco. Negli ultimi mesi dell’anno escono in rapida sequenza “All The Way” di Ricky Le Roy, trainato da una base in stile “Kernkraft 400 (Remix) di Zombie Nation o “The Greatest DJ” di Lexy & K-Paul, “Ogni Pensiero / È Controllo” di Franchino, al lavoro su una serie di interpolazioni prese dal film “Matrix”, “Just A Moment” di Bismark e “Global Players (My Name Is Techno)” di Mr. X & Mr. Y (WestBam ed Afrika Islam), preso in licenza dalla berlinese Low Spirit ed impreziosito dal remix di Beroshima. A questi si aggiungono “Weltklang” firmato da una new entry proveniente dalla filiale tedesca della BXR capeggiata da Robin Ewald ovvero Marco Zaffarano, consolidato nome che vanta produzioni su Harthouse e due album sull’indimenticata MFS, e “Tenshi” dei Gouryella, che non riesce però a raccogliere gli stessi risultati ottenuti all’estero.

Il 2001 vede proseguire la marcia trionfale di Mauro Picotto, nuovamente sotto i riflettori con un altro estratto dall’album, “Like This Like That”, melodicamente derivato da “Blue Fear” di Armin del 1997. Il DJ originario di Cavour, un piccolo paesino in provincia di Torino, conquista per l’ennesima volta le classifiche di vendita d’oltralpe con licenze sparse in tutto il mondo. Il videoclip, trasmesso massivamente da VIVA, contribuisce alla popolarizzazione della sua immagine. A dirigerlo è ancora Oliver Sommer che, come scrive Alberto Beltrame nel già citato articolo del 2020, «si basa sul parallelismo per opposizione di due mondi in un bellissimo gioco sul bianco e nero. Gli unici elementi che possono far ricordare la video-serie (“Iguana”, “Komodo”, “Proximus”, nda) sono l’intro e l’outro alla James Bond, potenzialmente leggibili come un vago richiamo all’investigatore Picotto ed alle sue avventure». È un momento propizio anche per Mario Più che torna con l’album “Vision”, una raccolta dei suoi maggiori successi con qualche anticipazione su ciò che avverrà nei mesi a venire come “Love Game”, ancora interpretato da Principe Maurice. Ispirato da “Back To Earth” di Yves Deruyter è Saccoman che riappare con “The Recall” seguito da Franchino e la sua “Magia Technologika” in cui rivivono fraseggi quasi mediterranean progressive. “Spring Time (Let Yourself Go)” è il follow-up di Lava che il compianto Tillmann Uhrmacher produce ancora con Picotto e il fido Riccardo Ferri. Dall’estero arrivano l’irlandese Darren Flynn, il britannico Simon Foy e l’elvetico DJ Pure, rispettivamente con “Spirit Of Sp@ce”, “Insideout” e “My Definition”, tutti in stile trance.

Joy Kitikonti - Joyenergizer
“Joyenergizer” porta il nome di Joy Kitikonti all’attenzione del grande pubblico

Su “My Definition” mette le grinfie, come remixer, Joy Kitikonti che si ripresenta con “Joyenergizer”, una traccia sviluppata, come lui stesso racconta qui, «partendo da una kick ottenuta col sintetizzatore Access Virus A, poi lavorata con LFO e processata attraverso vari plugin durante la costruzione su Logic». La Psico Mix travolge e stravolge con un’effettistica strisciante e liquefatta, particolarmente efficace nei break. Senza ombra di dubbio è la matrice del suono a fare la differenza e a giocare sull’unicità. Diversamente dalle sue precedenti produzioni, questa entra in classifica di vendita e ciò impone la realizzazione di un videoclip girato ad Ibiza.

Mentre Kitikonti dà alle stampe un pezzo capace di abbracciare un pubblico più eterogeneo e trasversale, Picotto (che ritocca “Joyenergizer” in un remix madido di sudore) prende qualche distanza dal mondo delle hit a presa rapida orientate alle radio e al pubblico generalista convogliando nel “Metamorphose EP” cinque tracce incise su un doppio mix pensate e destinate ai soli club. Allineati all’hardgroove che vive un momento particolarmente galvanizzante, i pezzi del piemontese mescolano tribalismi demolitori di scuola millsiana (“Prendi & Scappa”, “Wake Up”) a svirgolate di techno frammista ad affilate linee di sintetizzatore sullo stile dello sloveno Umek (“Verdi”, “Kebab”) passando per un intro ambientale beatless (“Luna“). 

Picotto - Metamorphose Awesome
Con “Metamorphose EP” e “Awesome!!!” Mauro Picotto inizia a prendere le distanze dal collaudato schema delle sue hit più popolari

«Ora preferisco fare dischi con più sound e meno melodia» dichiara l’artista pochi mesi prima dell’uscita dell’EP in un’intervista di Riccardo Sada pubblicata a febbraio. «So che così facendo perderò una buona fetta di mercato, magari quello italiano, ma probabilmente potrò conquistarne tanti altri. In Germania il vento soffia a mio favore così come nel Regno Unito e ad Ibiza che è una cosa a sé rispetto alla Spagna». Picotto ormai è nel gotha del DJing mondiale, vede riconfermare la propria presenza nella Top 100 DJs del magazine britannico DJ Mag in ottava piazza (posizione più alta in assoluto sinora conquistata da un italiano) e fa da apripista a colleghi che militano con lui tra le fila della BXR ossia Mario Più (54esimo) e Gigi D’Agostino (98esimo). Poi è la volta di Cominotto con “Trouble”, «una produzione in cui credo molto dopo aver visto gli effetti in locali tipo Cocoricò, Red Zone, Alter Ego e Supalova» come afferma lo stesso autore che aggiunge: «all’interno c’è una versione sfacciatamente tech-house, neologismo che tra le ilarità generali uso da qualche anno e che casualmente oggi rappresenta il crossover più seguito, non certamente per merito mio ma in questa porca Italia sono stato tra i primi a crederci». Seguono Ricky Le Roy con “Dancer” e Bismark con “Triplet”, entrambi con lo shuffle applicato alla batteria in memoria di un successo tedesco di qualche tempo prima, “The Darkside” di Hypetraxx. Accolti su BXR, dopo un “praticantato” su Underground, sono Sandro Vibot con “Everyday”, Zicky (ormai non più “Il Giullare”) con “Follow Me” e Fabio MC con “Mimic”. Lasciandosi alle spalle la comparsata del ’99 sulla effimera BXR Club, riappare pure Gabry Fasano: il “cacciabombardiere” del Jaiss, così come lo chiamano affettuosamente i fan, firma una doppia a side racchiusa in una cornice sonora dai tratti impetuosi e che trasuda energia, “Catapulta”, con un frammento ritmico carpito da un EP di Christian Fischer su Statik Entertainment del ’99 opportunamente velocizzato, e “Ringmo”, che si avvicina alla scuola di Chris Liebing. Attratti dalle manipolazioni del beat sono pure Mario Più, che in “Ayers Rock” inserisce il suono di un didgeridoo, ed Athos Botti, semplicemente noto come Athos, con l’incalzante “Infect”.

In autunno tornano l’ibizenco Gee Moore col percussivo “G-Tribe”, Bismark con “Primitive Love” e Saccoman con “Revelation” mentre Mario Più e Fabio MC (che su Underground danno avvio al progetto TK 401) firmano “Invaders / Away”. In solitaria invece Mario Più realizza “Sensation”, altro estratto dall’album “Vision” in chiave smaccatamente trance. Menzione a parte merita il secondo doppio mix dato alle stampe da Mauro Picotto, “Awesome!!!”, naturale prosieguo al “Metamorphose EP” di pochi mesi prima. Appare sempre più evidente come al DJ inizi a stare stretto il ruolo da coordinatore dell’etichetta e che soprattutto sia stanco di confezionare follow-up standard per accontentare le richieste del mercato discografico più mainstream. Non è certamente un caso che nessuna delle sei tracce incluse (tra cui “Cyberfood”, “Hong Kong” e “Bangkok”) attinga elementi dalle sue hit nazionalpopolari. A cambiare, oltre ai suoni, sono le stesure e soprattutto il mood. «Avevo saturato il mio gusto commerciale ed avvertii la necessità di compensarlo con qualcosa di più club» dirà lui stesso qualche mese più tardi. Picotto cerca nuove strade per rivoluzionare la sua carriera e le trova. Il cambiamento radicale arriverà alla fine del 2002.

“Gula-Matari” è l’ennesimo dei dischi con cui Cominotto traduce il suo spirito eclettico da DJ

2002, i primi scricchiolii
Massimo Cominotto è tra i DJ della scuderia BXR a saper resistere al richiamo della popolarità generalista. «Ci fu una corsa a chi faceva canzonette orecchiabili ma io non ne sono stato capace oppure, più semplicemente, non mi interessava comporle» dichiara in questa intervista del 2020. Alla sua fermezza da DJ si somma quindi la coerenza stilistica delle produzioni discografiche a cui ora si aggiunge “Gula-Matari”. Da un lato la Techno Mix che arde in loop circolari, dall’altro la Funky Mix che sovverte il rodato schema sonoro dell’etichetta bresciana con patchwork di micro sample fusion (presi da “Gula Matari” di Quincy Jones) inchiodati su un sostenuto pianale ritmico. «Vorrei vedere la faccia dei technofili mentre ascoltano fiati, chitarre wah wah e voci femminili» ironizza l’autore ai tempi dell’uscita. Più canonico invece il carattere che Ricky Le Roy infonde in “One Day”, tra suoni cristallini in cascata e aggressività hardgroove, la stessa che qualifica pure il “Percutor EP” di Fabio MC trainato dal pezzo “Klaude”. Ascritto al comparto techno groovy è anche Marco Zaffarano con “Re-Take” che sul lato b vede il remix di “Playback” a firma Picotto con inserti latini in scia a vari successi internazionali di quel periodo realizzati da artisti come Tomaz vs. Filterheadz, Cristian Varela o Renato Cohen. Fedelmente ancorato alla trance resta invece Bismark con la sua “E.R.K.”, ed è trance anche quella di “Like A Dream” del tedesco Andy Jay Powell, arricchita da un remix degli RMB (proprio quelli di “Universe Of Love” di cui parliamo dettagliatamente qui), e di “Believe Me”, quinto brano che Mario Più firma come DJ Arabesque. Retrogusto inaspettatamente house/disco invece per Franchino che ritorna con “Ficha No Caixa”, una specie di french touch velocizzato ai confini con apparati technoidi, segno della fusione tra mondi musicali che avviene nei primi anni Duemila quando la distanza tra house e techno diventa sempre più labile o si azzera del tutto.

Dopo diverse esperienze consumate su Underground, sbarca su BXR come artista anche Riccardo Ferri alias Ricky Effe, collaboratore di vecchia data di Media Records e fedele spalla di Mauro Picotto. Le due tracce solcate sul 12″, “Rectifier” e “Trythis”, occhieggiano all’hardgroove teutonica, la medesima con cui Picotto sta progressivamente sostituendo la formula techno trance, oggetto di un’evidente inflazione, ma non prima di lanciare i remix 2002 di “Pulsar” (tra cui uno a firma Tiësto ma stranamente ora escluso dalla pubblicazione italiana) e soprattutto “Back To Cali”, riverberato da un remix dell’infaticabile Push, tra gli artisti chiave della Bonzai. Col follow-up “Joydontstop”, costruito sul giro portante della citata “Schall” di Elektrochemie LK e per cui viene approntato un videoclip, Joy Kitikonti prova a bissare il successo di “Joyenergizer” ma raccogliendo solo parzialmente i risultati attesi mentre Athos campiona le voci da una puntata della serie televisiva “South Park” per “Oh My God!!!” che si afferma nel circuito dei club. Saccoman ritorna con “Deep In The Woods”, Zicky con “Yeah Man Bomboclat”, Fabio MC con “Prisma EP” e Bismark con “Fluid” ma qualcosa nel BXR Sound comincia a mutare. Se da un lato la costante vocazione all’europeizzazione (quell’anno la Media Records inaugura le filiali iberiche e scandinave) rende i prodotti appetibili sul fronte internazionale, dall’altro tende ad allinearli troppo ad uno standard che gioca a svantaggio dell’identità. Alcune nuove uscite, come “Into The Blue” di Saccoman o “Kiss Me” di Ricky Le Roy ad esempio, non lasciano il segno, tuttavia la spinta ottenuta nelle annate precedenti è talmente forte da non incrinare del tutto gli equilibri. Nella Top 100 DJs di DJ Mag infatti Picotto è 14esimo, Mario Più 82esimo e Joy Kitikonti 91esimo.

Mentre il tenace Cominotto continua ad incidere ciò che più gli aggrada (“Iron Butterfly”) senza preoccuparsi di trovare il modo per penetrare nelle classifiche di vendita, Bismark produce a quattro mani “The Theme Of Sphere” con lo svizzero Philippe Rochard. Alla brigata si aggiunge poi Angelo Pandolfi che come Pan Project firma “L’Amour Pour La Musique” ed “NRG”, due brani influenzati dallo stile di Gigi D’Agostino che però dividono poco e niente con la linea intrapresa dalla BXR, e a dirla tutta anche la resurrezione di “U Got 2 Know” dei Cappella, attraverso i remix di R.A.F. e Joy Kitikonti, non pare proprio una mossa azzeccata. Decisamente più pertinenti risultano “Capsule / Random” di Trasponder, secondo (ed ultimo) atto del progetto messo su l’anno prima da Gabry Fasano e Riccardo Ferri su Underground, “Flair / Return Of Memory” di Fabio MC (“Return Of Memory”, in particolare, è una piroetta nel suono belga della Bonzai, con rimandi a “Synthetic Apocalypse” dei Musix) e “96 Street” di Sandro Vibot. Una deviazione hard house, sullo stile di Sharp Boys, Tony De Vit, Malcolm Duffy ed Alan Thompson, viene presa grazie a Pagano, fattosi notare con alcune pubblicazioni sulla Fragile Records (etichetta del gruppo Arsenic Sound di Paolino Nobile intervistato qui) quell’anno nominato A&R della Nukleuz Italy: prima con “Work It”, realizzata con Marco ‘Maico’ Piraccini, e poi con “(You Better Not) Return To Me” (ripescando frammenti vocali di “Return To Me” di Fits Of Gloom, Baia Degli Angeli, 1994), il DJ nativo di Catania tenta di aprire nuovi spiragli nel mercato estero, in primis quello britannico dove il filone hard house vive uno spiccato fermento.

Above & Beyond - Far From In Love
“Far From In Love” di Above & Beyond, tra i primi 12″ attraverso cui filtra la nuova veste grafica della BXR

In autunno arrivano due licenze, “Ligaya” di Gouryella, nel frattempo diventato progetto solista di Ferry Corsten, e “Far From In Love” del trio Above & Beyond, oggetto di forti interessi nell’Europa centrale ma praticamente ignorati da noi. Sono tra i primi dischi con cui BXR rinnova ancora il layout grafico, minimalizzato e spinto verso il bicromatismo bianco/nero già adoperato da qualche anno per Underground e Sacrifice. La notizia che chiude il 2002 intristendo migliaia di fan è quella dell’abbandono di Mauro Picotto che lascia l’etichetta di Bortolotti dopo undici anni. «La Media Records è stato il mio primo sogno realizzato con successo» dichiara nell’intervista rilasciata allo scrivente pubblicata a dicembre, la prima in cui annuncia pubblicamente la decisione. «La scelta di lasciare è legata agli impegni e soprattutto ai miei sogni, e lo dico in modo chiaro perché vorrei che non venisse fuori nessuna storia strampalata o riportata in modo traviato. L’ultimo anno mi ha visto parecchio impegnato in giro per il mondo come DJ e questo mi ha portato, inevitabilmente, a trascurare gli studi di registrazione. Perché quindi continuare ad essere responsabile di un prodotto se non posso più controllarne la qualità? Così ho maturato la decisione di lasciare e per me è stata una cosa naturale, ho bisogno di obiettivi e stimoli nuovi. Per quanto riguarda le produzioni, continuerò a seguire il mio istinto, come ho sempre fatto. Farò quello che mi pare a seconda del mio umore e soprattutto senza vincoli, perché vorrei decidere in autonomia la data di pubblicazione di un nuovo brano. “Back To Cali”, ad esempio, è uscito ad un anno dalla sua produzione, quando ormai non era più in linea con ciò che proponevo nei miei set da DJ. Insomma, vorrei condividere le cose col mio pubblico nel momento in cui emozionano anche me e non vederle bloccate dalle leggi di mercato delle varie aziende». Per l’occasione Picotto spiega anche le ragioni che lo allontanano dalla trance da classifica e lo fanno uscire dalla comfort zone: «Mi sembra che nella trance non ci siano grandi novità e non ho più voglia di produrre brani in stile “Lizard”. Preferisco piuttosto rischiare e cercare cose nuove, non amo ripetermi eccessivamente. Talvolta i cambiamenti sono stimolanti e permettono di vedere nuove frontiere. Attenzione però, non sto rinnegando il mio recente passato. Sarò sempre legato a “Lizard”, che ho suonato per la prima volta su un acetato domenica 7 dicembre 1997 all’Ultimo Impero di Airasca e che, a mio avviso, ha aperto le porte ad uno stile musicale e rimarrà una pietra miliare. Il fatto che in Italia non venne presa in considerazione dai network radiofonici è stata la sua fortuna: essendo una club hit, ha visto allungarsi la vita più del doppio rispetto ai classici successi trasmessi in FM». L’occasione è giusta pure per fare dei paragoni con l’estero: «Musicalmente i club europei non hanno nulla a che vedere con la maggior parte di quelli italiani anche perché non vengono influenzati dai network. All’estero inoltre i palinsesti delle emittenti radiofoniche includono programmi tematici che accrescono l’informazione musicale del pubblico ed influiscono positivamente sulle vendite dei dischi. Tante produzioni che sono in classifica da noi invece non vengono minimamente prese in considerazione oltre le Alpi. […]. Il successo di questi anni mi ha portato un ricco bottino di soddisfazioni e sono fiero di essere stato il primo e sinora l’unico italiano ad aver solcato l’ambita soglia della top 10 della classifica annuale di DJ Mag. Non che sia così determinante nella vita di un DJ, sia chiaro, ma una certa visibilità non guasta mai. Adesso inizio a sentirmi appagato delle tante fatiche spese ad inizio carriera quando qualcuno, tra i colleghi, rideva dei miei sogni».

2003, il primo anno post Picotto
Il 2003 consegna una BXR con evidenti differenze rispetto a quella che il grande pubblico ha conosciuto negli anni precedenti, a partire dalla nuova impostazione grafica che minimalizza il logo ora ridotto alla sola X sino alla scuderia artistica che inizia a disgregarsi. Alcune partenze però sono presto rimpiazzate con nuovi arrivi. Attraverso “Trip On The Moon / M.I.R.” ed “Elektronic Atmosphere”, ad esempio, debuttano rispettivamente Paola Peroni, che già collabora con Media Records una decina di anni prima, e il DJ bresciano Giovanni Pasquariello alias Exile. A pochi mesi di distanza dall’esordio riappare Pagano con la doppia a side “Packet Of Peace” (cover dell’omonimo dei Lionrock, portato in Italia esattamente un decennio prima proprio attraverso una delle etichette della Media Records, la GFB) / “Blade“, e viene accolto l’olandese Marco V con “Simulated”, su licenza ID&T. Riconfermate le presenze del capitolino Bismark con “In My Heart” e del livornese Mario Più con “Devotion” contenente “C’era Una Volta Il West”, cover dell’omonimo di Ennio Morricone per cui viene girato un videoclip a Bormio, in montagna, sullo sfondo di un paesaggio innevato.

Mario Più e Joy Kitikonti in una foto del 2003, anno in cui diventano gli A&R della BXR

I prescelti per guidare la BXR post picottiana sono Mario Più e Joy Kitikonti che prima realizzano “Strance” firmata con gli pseudonimi DJ Arabesque e Jakyro e poi producono “Mossaic” del DJ colombiano Moss, approdato su Underground nel 2001 con “Bogotá Experiences”, e “Light My Fire” come Rocktronic Orchestra, cover dell’evergreen dei Doors. Saranno sempre loro due, uniti in parallelo come MariKit, gli artefici di gran parte delle versioni remix apparse durante l’annata su BXR. La linea stilistica predominante di questa fase è divisa tra trance/hard trance ed hardgroove, come attestano la nuova licenza per Marco V (“C:\del*.mp3 / Solarize”), “Freedom” di Ricky Le Roy, “Roraima / Logic Guitar” di Mario Più ed “Harem” di Paola Peroni, che tanto ammicca alla techno latina di cui si è già detto sopra. Il cremonese Eros Ongari alias Ronnie Play appronta “It’s Time To Dance”, una specie di rilettura italica dell’electroclash costruita sul giro di accordi di “Fade To Grey” dei Visage, Fabio MC staziona sul segmento hardgroove con la doppietta “Impact / Zelig” e “Priority / Reality”, Kitikonti prova ancora a sfruttare la scia di “Joyenergizer” con “Pornojoy”, trascinato in tv da un videoclip ispirato dai film erotici degli anni Settanta e per questo censurato a causa di contenuti considerati troppo espliciti, e Gee Moore si rifà vivo con “Slam Dunk Funk”. Sul fronte licenze tocca all’argentino DJ Dero (quello di “Batucada” e “La Campana”) con “Revolution 07”, scovato da Kitikonti e con remix annesso di Robbie Rivera, e ai tedeschi Tube-Tech con un’altra cover dei Doors di Jim Morrison, “The End”, arricchita dal remix dei Vanguard reduci dal successo ottenuto poco tempo prima col remake di “Flash” dei Queen.

Della BXR «che guardava avanti e che prende spunto dai DJ che suonavano musica diversa lasciando spazio alla creatività, senza supervisioni dei capi», come la descrive Bismark in un’intervista pubblicata a gennaio 2003, resta ormai ben poco. In autunno arrivano gli Spolvet (Andrea Vettori e Niccolò Spolveri) con “Rock The Sun”, in posizione mediana tra hardgroove ed hard trance, Joman (una delle tante impersonificazioni di Joy Kitikonti) con “Tronic Toys”, Zicky con “The Party Goes On” e i Kiper (Joy Ki-tikonti e Paola Per-oni) con “The Land Of Freedom”. A chiudere è “Incanto Per Ginevra” di Mario Più, dedicata alla nascita della figlia Ginevra immortalata in copertina. Nel frattempo Picotto e l’inseparabile Riccardo Ferri approdano alla britannica Primate Recordings con “Alchemist EP” trainato da “New Time New Place”: il doppio mix vende oltre dodicimila copie ma non genera introiti economici a causa del fallimento del distributore, la Prime Distribution. Picotto però non demorde e vara la sua personale etichetta, la Alchemy, inaugurandola con “Playing Footsie / Amazing” e sulla quale ospiterà alcuni artisti che lo seguono dopo l’abbandono della BXR ossia Massimo Cominotto, Gabry Fasano e il prematuramente scomparso Athos.

2004-2005-2006, gli ultimi anni di attività
L’inizio del nuovo millennio è nefasto per la discografia mondiale. Innumerevoli etichette indipendenti chiudono battenti sopraffatte dalla pirateria e dalla crisi che sembra non conoscere fine. L’atteso salto nel futuro che avrebbe garantito il 2000 in realtà riserva solo strade in salita e prospettive tutt’altro che rosee: le soglie di vendita di pochi anni prima («numeri notevoli sia in Italia che all’estero, che partivano da ventimila copie o giù di lì per nomi tipo Picotto, Più o Kitikonti» rammenta ancora Daniele Tramontano della Global Net in relazione a BXR) si assottigliano sensibilmente, la maggior parte dei distributori fallisce e l’invasione di nuovi equipment digitali sferra il colpo di grazia al mercato del disco in vinile, ridotto ormai ad una nicchia di utenza sempre più esigua. A tutto ciò si aggiunge l’introduzione dell’euro, un cambiamento epocale che mette a dura prova il potere di acquisto di chi, in Italia, continua a credere nel supporto analogico. La Media Records non esce indenne da questa “tempesta”, nonostante fosse preparata ed avvezza da anni alle nuove forme di fruizione della musica, e l’allontanamento di Gianfranco Bortolotti, ormai impegnato come architetto, e l’attività ridimensionata della BXR e di tutte le etichette del gruppo ne sono palesi testimonianze.

Mario Più - Champ Elisées
Con “Champ Elisées” Mario Più tenta di tornare al grande successo

Il senso di confusione e smarrimento sul versante stilistico non aiuta di certo gli A&R della label, disorientati come tanti di fronte a repentini mutamenti che vedono crollare tutte le vecchie certezze. «I DJ che suonano house si sono appropriati di sonorità techno, progressive ed elettroniche» dichiara Mario Più in un’intervista rilasciata a Riccardo Sada ad aprile 2004. Ed aggiunge: «C’è stato un notevole avvicinamento dei generi. Io stesso adesso posso esibirmi in locali house perché propongo un suono meno “duro”». Proprio Mario Più incide prima l’anonimo “Green Day EP” e poi “Champ Elisées” in compagnia di Gare Mat K, con cui prova a rilanciarsi nel mainstream abbracciando il mondo electro house che pare la tendenza più importante del momento. Il brano, immerso in atmosfere piuttosto malinconiche ed annunciato come primo singolo del nuovo album “From Dusk Till Dawn” rimasto nel cassetto sino al 2015, è interpretato vocalmente da una certa Catalina B. ed è imperniato su un giro di chitarra che fa il verso a quello di “A Forest” dei Cure. Exile ritorna con “Tragic Error…”, in balia di una techno frammista ad elementi elettronici, Ronnie Play ci riprova con “Walking On The Sunshine”, electro house un filo maldestra e grossolana con qualche propaggine rockeggiante, mentre Franchino (con la K nel nome al posto della ch) si ripresenta con “Solidão”, trance dai riflessi mediterranei forse composta pensando ai bei tempi che furono.

Spazio anche al team dei Trilogy con “Navaho”, che a seconda della versione imbocca sentieri progressive house ed electro house, e ad un paio di licenze estere, “White Scale” dei Subnerve (uscito originariamente nel 1996) e “One Way Out” di Niels Van Gogh col remix di Martin Eyerer che da lì a breve fonda la Kling Klong. A mitigare il proprio apparato stilistico è persino un integralista della techno, Fabio MC, in “Tridonic / Meteor-A”, composte ancora con Simone Pancani. I fasti della BXR ormai sono lontani. A rammentarli è “Iguana” di Mauro Picotto che riappare attraverso due versioni, A Different Starting Mix e il remix del giapponese Yoji Biomehanika che precipita in pozzi hardstyle. Nel corso dell’anno anche Mario Più lascia la Media Records per fondare la sua etichetta, la Fahrenheit Music, nonostante dichiari, in un’intervista pubblicata ad aprile, di non avere alcuna intenzione di mettersi in proprio: «Non andrei molto lontano, specialmente in questo periodo, e non avrei ragione di farlo perché in Media Records mi trovo benissimo, da una struttura così solida e consolidata ho tutto il supporto che mi serve». Per BXR il destino è ormai segnato. Ad inizio 2005 esce “Pulsar 2K5” di Mauro Picotto, ennesimo tentativo di tenere a galla un transatlantico che si sta inesorabilmente inabissando. In copertina si fa riferimento a due “unreleased mix” mai pubblicati in Italia ma che i fan conoscono bene, la Megavoices Mix e il remix di Tiësto. A tirare il sipario è Joy Kitikonti, prima insieme a Cristian Vecchio per il “Finally EP” e poi con Joys Audino per “Started”, nel segno dell’electro house.

BXR last logo
Il logo, il quinto, con cui la BXR riappare nel 2017

2017, un’effimera ripartenza
Tra le etichette che Gianfranco Bortolotti prova a lanciare e rilanciare a partire dal 2015 col gruppo Media Records EVO, oltre ad Underground, UMM ed Heartbeat, c’è anche la BXR, affidata all’A&R Philipp Kieser e marchiata con un nuovo logo. L’idea prende corpo ad inizio del 2016 ma bisogna attendere febbraio dell’anno successivo per vederla concretizzata attraverso la pubblicazione del “No Mercy EP” di 6470 alias Davide Piras. Il 12″ raduna quattro brani (“Our Cognitive Dissonance”, “No Mercy”, “Introspection”, “September 10”) affini alla techno ormai definitivamente sdoganata nel mainstream e richiesta nei circuiti EDM. A giugno segue, questa volta solo in formato digitale, “Mapping A Messiah EP” del bulgaro Ghost303 alias Ivan Shopov, ulteriore tentativo di salire sul treno in corsa di quella techno di cantiere drumcodiano adorata da folle oceaniche ma vacua sotto il profilo delle sollecitazioni creative. Si parla di una possibile terza uscita che avrebbe contato sulle jam session registrate in studio da Kieser, Piras e Shopov, ma il progetto non va in porto. L’altoatesino Kieser, in un comunicato stampa diramato a febbraio 2016, dichiara che il suo intento non è quello di limitarsi ad una strategia copia-incolla: «Ci lanceremo sulla scena con un sound autentico e totalmente all’avanguardia. Punteremo anche su facce nuove e nuovi talenti». Bortolotti aggiunge: «Nuovo A&R, nuovo vestito, nuova strategia, nuovo sound. BXR, come un caccia in ricognizione, sarà affiancata da due label, una alla sua sinistra, la Underground, l’altra alla sua destra, la Divergent, e come per UMM, sarà ricerca e stile orientati verso i clubgoer. Sarà dark, essenziale e culturalmente evocativa. Sara la mia anima. Essere, non esserci, è il suo destino».

Claxixx
Insieme a BXR si ripresenta anche Claxixx, questa volta come etichetta e non serie

Dell’annunciata futuretechno però, che avrebbe dovuto raccogliere il testimone della mediterranean progressive e della supertechno, non resta niente se non un’idea dall’esito caduco. Contestualmente alla temporanea riapparizione di BXR si segnala pure la nascita, a settembre del 2017, della Claxixx, contenitore che utilizza il medesimo nome di una delle serie della BXR con la finalità di rilanciare nuove versioni di classici tratti dal catalogo della Media Records, analogamente a quanto avviene su EDMedia. Alla fine il progetto si arena sul nascere col remix di “Tuareg” di Ricky Le Roy realizzato dal greco George V a cui fa seguito un inedito di Nicola Maddaloni intitolato “L-R”.

Rimasta operativa per circa dodici anni, la BXR lascia un’eredità importante, sia sotto il profilo manageriale per metodo di lavoro, creatività e capacità progettuale, sia sotto quello strettamente musicale raccolta da tantissimi fan sparsi per il mondo. L’alta tiratura e l’ampia disponibilità, fatta qualche eccezione, non la ha (ancora) trasformata in una label appetibile sul fronte ristampe ma senza ombra di dubbio rimane un ottimo esempio che attesta come la visione d’insieme, l’affiatamento e lo spirito di squadra possano fare la differenza in un Paese come l’Italia in cui la cooperazione, specialmente nel contesto musicale, è ancora una meta utopica.

(Giosuè Impellizzeri)

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Quando il remix batte l’originale

Di solito nella musica destinata alle discoteche le versioni originali restano imbattibili ma è capitato che a fare la differenza siano stati i remix, soprattutto negli anni Novanta quando tale pratica raggiunge probabilmente l’apice per esiti creativi e popolarità. A testimonianza ci sono brani noti unicamente attraverso i remix e di cui oggi è difficile recuperare le versioni originali, sepolte e dimenticate persino dagli stessi autori. L’articolo di Giosuè Impellizzeri che segue si pone il fine quindi di riassumere quanto avvenuto grazie ai remix nel decennio compreso indicativamente tra il 1990 e il 2000, sia a hit da milioni di copie che a brani dal successo più contenuto, per offrire al lettore un vero viaggio immersivo che conta oltre cento casi, in rigoroso ordine alfabetico e a cavallo dei generi più disparati, dall’eurodance alla house, dalla trance alla progressive. Non manca qualche particolare episodio in cui sarebbe più pertinente parlare di rivisitazione o dove il termine remix è stato usato in modo improprio. L’indagine evidenzia inoltre il ruolo tutt’altro che marginale rivestito dagli italiani, artefici in più di qualche sporadica occasione di autentiche hit mondiali. Il tutto senza la pretesa di essere esaustivo, probabilmente è utopico stilare una lista omnicomprensiva e per turare le falle della ricerca non è escluso che nel corso del tempo possano aggiungersi altri titoli e quindi nuove storie e testimonianze.

49ers - Baby, I'm Yours49ers – Baby, I’m Yours
La versione iniziale di “Baby, I’m Yours”, in chiave hi nrg, è pensata per essere esportata nel mercato orientale, quello a cui la Media Records destina diverse produzioni raccolte sotto il brand Media Sound For Japan. Il caso però vuole che Mario Scalambrin senta il pezzo negli studi roncadelliani e si offra spontaneamente per reinterpretarlo. A venir fuori è la versione più nota, la Van S Hard Mix (il Van è un tributo ad Armand Van Helden, la S invece sta per Scalambrin), completamente diversa da quella di partenza, col cantato di Ann-Marie Smith ridotto all’osso ed uno spingente giro di basso. «All’inizio non piacque a Bortolotti tanto che dovetti insistere parecchio per farla inserire sul 12″» racconta lo stesso Scalambrin in questa intervista. Finito alla fine del ’96 nel catalogo della Heartbeat, etichetta a cui abbiamo dedicato una monografia qui, “Baby, I’m Yours” rilancia il nome dei 49ers dopo alcuni pezzi passati inosservati soprattutto in Italia come spieghiamo qui ed apre un’elettrizzante fase per Scalambrin, A&R in carica della citata Heartbeat e da lì a breve autore (insieme a Roberto Guiotto) della versione più forte di “Gipsy Boy” di Sharada House Gang, una miscellanea tra “Hideaway” di De’Lacy e i suoni della sua reinterpretazione di “Baby, I’m Yours”.

740 Boyz - Shimmy Shake740 Boyz – Shimmy Shake
In scia alla rinnovata formula hip house in grande spolvero dopo i fasti iniziali sviluppati a Chicago, i 740 Boyz prodotti da Winston Rosa debuttano nel ’92 con “It’s Your Party”. Due anni più tardi arriva “Shimmy Shake” in stile miami bass, passato completamente inosservato. A cambiare le sorti del brano, nei primi mesi del 1995, è il remix realizzato in Italia da Costantino ‘Mixmaster’ Padovano e Ciro Sasso che lo stravolgono interamente ispirandosi in modo piuttosto palese allo stile degli Outhere Brothers, team chicagoano che in quel periodo si impone in Europa con diverse hit. Un autentico colpaccio per la Cutting Records dei fratelli Aldo ed Amado Marin che, archiviata l’electrofunk di Hashim, Imperial Brothers e Nitro Deluxe, vive una seconda giovinezza grazie ai 2 In A Room con “Wiggle It” ed altri fortunati singoli come “El Trago (The Drink)”, “Ahora! (Now!)”, “Giddy Up” e “Carnival” a cui i 740 Boyz (più avanti remixati anche da Fargetta, si senta “Party Over Here” del 1996) fanno da cornice.

Age Of Love - The Age Of LoveAge Of Love – The Age Of Love
Nel 1990 nessuno alla DiKi Records immagina cosa sarebbe diventato questo brano nel corso del tempo. Prodotto dall’italiano Bruno Sanchioni che assembla vari sample (tra cui quelli di “Native House” di MTS And RTT e “Native Love (Step By Step)” di Divine) a cui aggiunge una breve parte vocale femminile registrata ad hoc ed uno pseudo rap maschile scritto ed interpretato da un altro italiano, Giuseppe Chierchia meglio noto come Pino D’Angiò, “The Age Of Love” si trasforma in uno dei primi prototipi trance. Ai tempi della pubblicazione totalizza appena una manciata di licenze e circa duemila copie, soglia davvero risibile. La situazione si ribalta due anni più tardi quando, su iniziativa dell’etichetta britannica React, “The Age Of Love” viene remixata dall’emergente duo tedesco Jam & Spoon. La Watch Out For Stella Club Mix, come descritto in questo articolo, rimette tutto in discussione attraverso una schematizzazione diversa degli elementi di partenza che esalta il potere ipnotico dell’originale raggiungendo esiti virtuosistici inaspettati. Ad oggi è difficile stabilire con precisione quante copie siano state vendute ma, considerando la sfilza di remix e ristampe giunte sul mercato in circa un trentennio, è ipotizzabile stimarne oltre un milione.

AK Soul - FreeAK Soul – Free
Col fine di tornare al successo raccolto tra 1991 e 1993 con gli Euphoria, l’australiano Andrew Klippel si ribattezza prima Elastic e poi AK Soul. I primi tentativi sono vani ma è solo questione di tempo. Un suo pezzo intitolato “Free”, incluso nell’album omonimo in circolazione dal 1996 ed interpretato da Jocelyn Brown, stuzzica l’interesse di Joe T. Vannelli che lo prende in licenza dalla Festival Records e lo pubblica su Dream Beat prima coi remix (house) di Marco ‘Polo’ Cecere e poi con quello (eurodance) di Fargetta, particolarmente fortunato nel mainstream nostrano. Spazio anche a due reinterpretazioni dello stesso Vannelli, la Club Mix e la Corvette Mix (Corvette è il nome con cui in quegli anni il DJ sigla decine di remix tra cui quelli di “Return Of The Mack” di Mark Morrison, “Love Shine” di Rhythm Source, “Nite Life” di Kim English e “Looking At You” dei Sunscreem). Impreziosito da tutto ciò, nei primi mesi del 1998 “Free” esce dall’anonimato e vive un’ottima parabola europea a cui la Dream Beat cerca di dare un continuum attraverso i remix di un altro pezzo dell’album, “Show You Love”, ma raggiungendo inferiori risultati.

Amos - Only Saw TodayAmos – Only Saw Today
Collaboratore di vecchia data di Boy George, nella primavera del 1994 Amos Pizzey vive uno dei momenti più esaltanti della carriera. La More Protein, nata nel 1989 con “Everything Begins With An ‘E'” degli E-Zee Possee, un classico dell’acid house britannica, pubblica “Only Saw Today”, un brano house che Pizzey produce insieme ad Andronicus dei Diss-Cuss e in cui campeggia un sample di “Instant Karma!” di John Lennon. All’inizio la Murder Mix incuriosisce solo i DJ specializzati ma a mutare le sorti è il remix realizzato in Italia dal Factory Team composto per l’occasione da Fabio Serra, Mauro Farina e Johnny Di Martino che trasformano la house in eurodance, rendendo accessibile al grande pubblico ciò che invece è riservato ad una ristretta nicchia di ascoltatori. Visto il successo internazionale la versione approntata negli studi della Saifam, a Verona, viene scelta per sincronizzare il videoclip. Il Factory Team metterà mano pure ai successivi “Sweet Music” e “Let Love Shine” ma con esiti calanti.

Andreas Dorau - Girls In LoveAndreas Dorau – Girls In Love
Finito nelle classifiche nel 1981 con “Fred Vom Jupiter” realizzato quando è ancora adolescente, il musicista tedesco Andreas Dorau scrive musica per film e si interessa di video. Negli anni Novanta collabora con Tommi Eckart col quale realizza il brano “Girls In Love”. La versione originale, aperta dall’urlo preso da “Scream For Daddy” di Ish Ledesma, inclusa nell’album “70 Minuten Musik Ungeklärter Herkunft” ed accompagnata dal relativo videoclip è un’allegra canzoncina da intonare sotto la doccia. In Italia però ad avere la meglio è il remix di Wolfgang Voigt alias Grungerman. Riducendo la struttura e gli elementi al minimo indispensabile, il prolifico produttore di Colonia, co-fondatore della nota Kompakt, ottiene una traccia meno pop e scanzonata che però riesce incredibilmente a fare crossover tra le discoteche specializzate e le radio. Autentico collante tra la compassata griglia ritmica e le strofe in lingua tedesca è il ritornello, in inglese, ricavato da “Girl’s In Love” di Shirley Kim del ’78 e reinterpretato da Inga Humpe, che qualche anno più tardi forma col citato Eckart il duo 2raumwohnung. A pubblicare in Italia i remix di “Girls In Love” (ma escludendo la versione originale) è la PRG del gruppo Expanded Music. Parti del remix di “Girls In Love” si ritroveranno in un pezzo prodotto nella nostra penisola che, tra la fine del 1997 e il primi mesi del 1998, si afferma sulla piazza internazionale, “Repeated Love” di A.T.G.O.C., acronimo di A Thousand Girls One Condom.

Ayla - AylaAyla – Ayla
Praticamente sconosciuto in Italia ma non nel nord Europa dove vende svariate migliaia di copie, “Ayla” è il brano con cui, nel 1996, il tedesco Ingo Kunzi, già noto come DJ Tandu, inaugura un nuovo corso della sua carriera da produttore. Edita dalla Maddog del gruppo Intercord, la versione originale della traccia plana su incantati pad a cui si sovrappone, in progressione, una melodia di pianoforte. Poi arriva l’onda acida della TB-303 che si infrange portando schegge taglienti ed arroventate. A fare la differenza nelle classifiche è però il remix di Ralph Armand Beck alias Taucher in cui viene sviluppata una linea melodica più marcata che garantisce un’incredibile longevità ulteriormente riverberata dal remake di Kosmonova giunto nel 1997. A cimentarsi in un rifacimento è pure l’italiano Luca Moretti in “Ayla” su Italian Style Production, firmato come Sunrise nel 1998. Alla luce del successo ottenuto, Kunzi produrrà “Ayla Part II” avvalendosi del supporto di Taucher e dell’inseparabile Torsten Stenzel intervistato qui.

Azzido Da Bass - Dooms NightAzzido Da Bass – Dooms Night
Nel 1999 è la Club Tools del gruppo Edel a pubblicare il brano con cui il tedesco Ingo Martens materializza il progetto Azzido Da Bass. La Club Mix, prodotta ed arrangiata con Stevo Wilcken, è trance assemblata senza particolari doti creative e che rasenta la banalità per stesura e scelta di suoni (basso in levare, cassa con riverbero, accenni acid, melodia monocorde ed un sample estorto ad una hit di quell’anno, “Flat Beat” di Mr. Oizo). Tra i remix commissionati e pubblicati in seguito però ce n’è uno che cambia tutto, quello di Timo Maas (affiancato da Andy Bolleshon e Martin Buttrich), che trasforma Azzido Da Bass in una star internazionale con una soglia stimata di circa un milione di copie vendute. «Il primo remix che realizzammo di “Dooms Night” fu rifiutato dalla Edel perché all’interno non c’era nessun elemento tratto della traccia originale» racconta Maas in questa intervista. «Riprovammo usando solo il basso e dopo circa quattro ore il secondo remix, quello che oggi tutti conoscono, era pronto. Il primo lo riciclammo qualche tempo dopo e divenne la mia “Ubik”». Una cosa simile avviene anche in Italia giusto un paio di anni prima: il remix di “Back To The 70’s” di Carl si trasforma in “Disco Fever” di Carl Feat. Music Mind, così come lo stesso Fanini svela qui.

Basic Connection - Hablame LunaBasic Connection – Hablame Luna
Corre il 1996 quando la No Colors, etichetta del gruppo F.M.A., pubblica il 12″ di debutto di Basic Connection. Ad armeggiare dietro le quinte del progetto è il compositore e musicista Mauro Tondini, uno dei Tipinifini scritturati da Claudio Cecchetto per la sua Ibiza Records nel 1985, affiancato dalla vocalist Daniela Gorgoni. Il brano si intitola “Faithless (Hablame Luna)” ed è quasi interamente strumentale. L’Original Mix gira su un intensivo arpeggio che pare tributare “Where The Street Have No Name” degli U2 (proprio quell’anno ripreso in “Landslide” dagli Harmonix, sull’esempio offerto dall’australiano Mystic Force nel brano omonimo del ’94 a cui si ispirano pure Mario Più e Mauro Picotto per “No Name” nel ’97) mentre la Progressive Mix si adagia sull’annunciata formula progressive con tanto di graffiate acide che nel ’96 tiene banco in Italia spodestando l’eurodance nella sua forma più classica. “Faithless (Hablame Luna)” si perde nel marasma delle produzioni simili piombate quell’anno ma tutto cambia nell’autunno del 1997 quando riappare in una nuova versione, questa volta sviluppata sulla song structure ed intitolata “Hablame Luna”. Ridotta la componente progressive in favore di quella pop, il pezzo esplode in tutta Europa, trainato dal relativo videoclip in heavy rotation su MTV. Sul 12″ c’è pure il remix firmato da uno dei guru della house statunitense, Todd Terry, forse pensato per introdurre i Basic Connection in una scena parallela a quella pop ma in questo caso non determinante per il successo come invece avvenuto in altre occasioni.

Billie Ray Martin - Your Loving ArmsBillie Ray Martin – Your Loving Arms
A produrre “Your Loving Arms”, estratto come primo singolo da “Deadline For My Memories”, sono i Grid (quelli di “Texas Cowboys”) e il musicista David Harrow alias James Hardway. È proprio quest’ultimo ad approntare la base su cui la cantante, ex componente degli Electribe 101, scrive il testo. «Conservo ancora la cassetta su cui Hardway incise il demo, sopra c’era scritto “little techno demo”» racconta Billie Ray Martin in questa intervista. La versione più nota però non è l’Original, con arrangiamenti tangenti l’eurodance, bensì la Soundfactory Vocal realizzata da Junior Vasquez, che fa di “Your Loving Arms” una hit mondiale da circa due milioni di copie. «Non scelsi Vasquez personalmente ma fui entusiasta del suo lavoro» prosegue l’artista. «Senza il suo intervento il disco non sarebbe diventato quello che è stato».

Black Connection - Give Me RhythmBlack Connection – Give Me Rhythm
Black Connection è il progetto dietro cui operano i DJ capitolini Corrado Rizza e Gino ‘Woody’ Bianchi affiancati dal musicista Domenico Scuteri. Il nome sottolinea l’amore che gli autori nutrono per il funk, il soul e la musica black in generale. Nel 1997 realizzano, per la loro Lemon Records, il brano “Rhythm”, in cui figurano vari campioni vocali e ritmici presi dal mondo del philly sound. Quando Alex Gold dell’Xtravaganza Recordings si mostra interessato a licenziare il brano nel Regno Unito i tre decidono però di apportare delle modifiche e chiedono ad Orlando Johnson di scrivere un testo e cantarlo col fine di dare al risultato finale un’impronta più pop. Dopo queste variazioni la traccia viene reintitolata “Give Me Rhythm” ed affidata ai Full Intention che realizzano un nuovo remix che va ad affiancare quello di Victor Simonelli già presente sulla prima tiratura. A quel punto, come Corrado Rizza racconta in questo articolo, «il pezzo entrò nella classifica britannica e venne suonato da tutte le radio. Pete Tong lo inserì nella sua raccolta annuale, “Essential Selection – Spring 1998” e finì in tante altre compilation come quella del tour australiano del Ministry Of Sound e quella dello Space di Ibiza. Nei club dell’isla blanca divenne una vera hit! In Italia lo cedemmo alla VCI Recordings, divisione dance della Virgin che si fece avanti dopo il clamore suscitato oltremanica». Per i Black Connection, dunque, si rivela propizia la scelta di far cantare il brano ed è simile la sorte di altri pezzi commercializzati in forma strumentale ma diventati successi con la versione cantata, da “Needin’ You” di David Morales/The Face ad “Horny” di Mousse T., da “Right On!” dei Silicone Soul a “Da Hype” di Junior Jack passando per “Hindu Lover” di Djaimin, “Groovejet” di Spiller e “Jambe Myth” degli Starchaser.

Blackwood - Ride On The RhythmBlackwood – Ride On The Rhythm
Attivo sin dal 1992 ma più noto all’estero che in Italia, il progetto Blackwood si impone anche in patria alla fine del 1996 con “Ride On The Rhythm”. Scritto ed interpretato dalla vocalist americana Taborah Adams e prodotto da Toni Verde e Sandro Murru, il brano non sortisce grandi risultati con la prima tornata di remix tra cui quello di Marascia scopiazzato dal trattamento dei Deep Dish su “Hideaway” dei De’Lacy. Va diversamente però quando arriva la versione di Alex Natale, composta sulla falsariga del remix realizzato pochi mesi prima per “What Goes Around Comes Around” di Bob Marley, usata per il videoclip e cruciale per il successo. Il momento è galvanizzante per l’etichetta romana A&D Music And Vision che per un biennio circa continuerà a scommettere su Blackwood ed altri progetti complementari come Chase e Gate.

Blast - Crayzy ManBlast – Crayzy Man
Partiti nel 1993 col poco noto “Take You Right”, i siculi Blast (Fabio Fiorentino, Roberto Masi e il cantante Vito De Canzio alias V.D.C.) si impongono a livello internazionale l’anno dopo con “Crayzy Man”, oggetto di numerose licenze estere, Regno Unito e Stati Uniti inclusi. Sul 12″ edito dalla napoletana UMM la versione originale del brano, la Club On Blast, finisce sul lato b. A prevalere è il remix realizzato dai Fathers Of Sound (Gianni Bini e Fulvio Perniola) che traina il pezzo dalle discoteche specializzate alle classifiche radiofoniche e di vendita. «Con la loro versione chiamata F.O.S. In Progress i Fathers Of Sound stravolsero l’originale dotandola di sonorità più aperte e tipiche della house internazionale» afferma De Canzio in questa intervista qualche anno fa. «Riuscirono a valorizzare ulteriormente le nostre idee portando il brano ad un livello superiore, facendolo uscire dai confini della house da club traghettandolo nel mondo commerciale (nel senso positivo del termine), con un appeal vendibile e radiofonico». A supporto di “Crayzy Man” è pure il video girato al cretto di Burri e sincronizzato sulla F.O.S. In Progress. Saranno sempre i Fathers Of Sound a mettere mano al follow-up, “Princes Of The Night” mentre a “Sex And Infidelity” del ’95 ci penseranno gli svedesi StoneBridge e Nick Nice e i Ti.Pi.Cal. che, come i Blast, sono originari dell’isola della trinacria.

Bloodhound Gang - The Bad TouchBloodhound Gang – The Bad Touch
Corrono i primi mesi del 2000 quando la band indie rock statunitense Bloodhound Gang si ritrova proiettata inaspettatamente nell’eurodance. Ciò avviene attraverso il remix di un brano estratto dal terzo album “Hooray For Boobies”, pubblicato nel ’99 dalla Geffen e in circolazione attraverso un ironico videoclip. A dirla tutta la versione originale mostra già propaggini ballabili ma il trattamento riservato ad essa dagli Eiffel 65, ovviamente sullo schema di “Blue (Da Ba Dee)”, ne amplifica la portata sino a farne un classico proposto ancora oggi a distanza di oltre vent’anni. Per Lobina, Ponte e Randone è un momento magico sancito da decine di remix e dall’uscita del loro primo album, “Europop”, per cui pare la Universal abbia sborsato 500.000 dollari per assicurarsi i diritti.

Bob Marley - What Goes Around Comes AroundBob Marley – What Goes Around Comes Around
Così come riportato nelle note del 12″ e del CD su JAD Records, le parti vocali di “What Goes Around Comes Around” vengono registrate in Jamaica nel 1967 ma restano nel cassetto sino al 1996, anno in cui sul mercato arrivano diverse versioni come quelle di Fabian Cooke e di Christopher Troy e Zack Harmon. A fare la differenza però, senza timore di smentita, è quella realizzata in Italia da Alex Natale (affiancato da Alex Baraldi con cui l’anno dopo mette mano a “Oh What A Life”, un inedito di Gloria Gaynor), diventata una hit estiva. A pubblicare da noi “What Goes Around Comes Around” è la Dance Factory del gruppo EMI che, parimenti alla JAD Records, sottolinea l’inedicità del pezzo apponendo la dicitura “previously unreleased” in copertina. Natale e Baraldi ci riprovano l’anno seguente ritoccando “Fallin’ In & Out Of Love” ma non riuscendo nel difficile compito di eguagliare i risultati. Va meglio invece a “Sun Is Shining”, riconfezionata nel 1999 dal danese Funkstar De Luxe. Ps: tra la fine del 1996 e l’inizio del ’97 un altro protagonista del reggae finisce in classifica con un remix, il giamaicano Jimmy Cliff. A curare la nuova versione di “Breakout” sono i fratelli Visnadi.

Bobby Brown - Two Can Play That GameBobby Brown – Two Can Play That Game
Ex componente dei New Edition, Bobby Brown si costruisce una solida carriera solista sin dal 1986, anno in cui debutta con “Girlfriend”. Svariati i successi incisi nel corso del tempo tra cui “My Prerogative” (remixato da Joe T. Vannelli), “Every Little Step”, “Something In Common”, duettando con la moglie Whitney Houston, e “Two Can Play That Game”, presente nella tracklist del suo quarto album, “Bobby”, uscito nel 1992. Il remix che consegna il brano r&b alla storia però arriva due anni dopo ed è firmato dai britannici K-Klass, abili nel ricostruire la tessitura ritmica in cui trova ricollocazione la voce di Brown. Il videoclip, programmatissimo da MTV, funge da propellente per la diffusione del pezzo finito nella top ten dei singoli più venduti nei Paesi Bassi e nella top twenty nel Regno Unito. In Italia il disco giunge nel 1995 grazie alla ZAC Records su licenza MCA. Negli advertising pubblicitari l’artista viene definito, con non poca esagerazione ed immodestia, “il re della dance music”.

B-Zet - Everlasting PicturesB-Zet – Everlasting Pictures
All’anagrafe è Steffen Britzke ma il mondo della musica lo conosce come B-Zet. Artefice, insieme a Matthias Hoffmann, Ralf Hildenbeutel e Sven Väth, di progetti come Mosaic, Odyssee Of Noises e They, il tedesco veste i panni di B-Zet dal 1993, anno in cui pubblica il primo album da solista, “Archaic Modulation”. I suoi interessi primari risiedono nella trance e nell’ambient, i due filoni entro cui si inscrive il brano “Everlasting Pictures (The Way I See)”, incluso nel secondo album intitolato “When I See…” e in cui si apprezza una breve parte cantata da Darlesia Cearcy. Nella tracklist dell’LP edito da Eye Q esiste una seconda versione, “Everlasting Pictures (Right Through Infinity)”, con maggiori concessioni al downtempo ed alla song structure. Nell’autunno del 1995 a decretare la fortuna di Britzke, riconosciuto come straordinario tastierista, è proprio uno dei remix di “Everlasting Pictures – Right Through Infinity”. A firmarlo sono StoneBridge e Nick Nice che continuano a riciclare la formula utilizzata per un altro epocale remix di cui si parlerà più avanti, quello di “Show Me Love” di Robin S.

Cappella - U Got 2 Let The MusicCappella – U Got 2 Let The Music
Quello dei Cappella è un caso non legato propriamente a un remix bensì a una reinterpretazione di un pezzo preesistente. Tutto ha inizio nel 1992 quando la Aries Records pubblica “Let The Music” di Legend, un brano eurodance costruito sul riff preso da “Sounds Like A Melody” degli Alphaville e un frammento vocale di “Let The Music Take Control” dei J.M. Silk. A produrlo è Pierre Feroldi, DJ bresciano particolarmente prolifico allora, seppur sulla white label promozionale, si dice limitata a una tiratura di poche decine di copie, non vengano riportate molte informazioni. Nell’autunno dell’anno dopo la rielaborazione del brano riappare sulla Media Records diventando la hit planetaria dei Cappella. «Due transfughi della Media Records tentarono di mettersi in proprio fondando una nuova etichetta, la Aries, ma si ritrovarono in seria difficoltà pochi mesi dopo essersene andati» racconta Gianfranco Bortolotti in questa intervista del 2015. «Pentiti della loro fuga, mi pregarono di aiutarli e salvarli dal fallimento così affidai il compito a Vicky, la figlia del mio socio Diego Leoni, di gestire quell’azienda mentre chiudevamo i rapporti coi fornitori e i creditori e valutavamo il prodotto ereditato. Tra i brani che avevano realizzato ne scovai uno che mi colpì e, seppur i miei collaboratori più stretti mi criticarono a lungo convinti che l’idea non avrebbe sortito buoni risultati, decisi che quello dovesse essere il punto di partenza per il follow-up di “U Got 2 Know” dei Cappella. Così, dopo circa quindici/venti rimaneggiamenti, trovai la soluzione, il mixaggio adeguato, l’alchimia giusta e fu un massacro, top in tutto il mondo». Delle tantissime versioni di “U Got 2 Let The Music” approntate negli studi a Roncadelle, la KM 1972 Mix di Pagany è quella più nota ed efficace. Analogamente a Cappella, anche altri brani trovano fortuna attraverso rielaborazioni: si segnalano “Technotronic” di The Pro 24’s da cui nasce “Pump Up The Jam” dei Technotronic, “Babe Babe” di Joy & Joyce e “Try Me Out” di Lee Marrow, diventati rispettivamente “Baby Baby” e “Try Me Out” di Corona, “Don’t You Worry” di Caminita Feat. Lorena Haarkur ricostruito per generare “Don’t Worry” di Clutch e “Get Together” di DJ-@K Floyd Presents Spotlight Avenue trasformata in “Move Your Feet” di Jack Floyd (parliamo dettagliatamente di entrambe qui e qui), “Future Love” di Brahama premiata quando diventa “Future Woman (Future Love)” di Brahama / Rockets e “Mutation” di Pivot convertita, ma pare senza alcun intervento, nella Stromboli Mix di “Sicilia…You Got It!” firmata Tony H.

Ce Ce Peniston - FinallyCe Ce Peniston – Finally
Quando il produttore Manny Lehman sente la voce della Peniston in alcuni brani di Overweight Pooch chiede al DJ Felipe Delgado, che pare avesse spronato l’amica cantante a collaborare con la rapper, di preparare un pezzo ad hoc per lei. A sua volta Delgado interpella un amico, Rodney Jackson, ed insieme approntano la versione originale di “Finally”. Per la A&M Records è un successo quasi istantaneo, la canzone entra nella Hot 100 di Billboard rimanendoci per ben 33 settimane e raggiungendo la quinta posizione il 18 gennaio 1992. A supporto giunge un remix che porta la giovane nativa di Dayton, in Ohio, a sfiorare la vetta della classifica di vendita dei singoli nel Regno Unito. Artefice è David Morales, l’anno prima all’opera su “Deep In My Heart” dei nostri Club House, che realizza la Choice Mix ispirato dal riff di pianoforte di “Someday”, successo di Ce Ce Rogers del 1987 prodotto da Marshall Jefferson. Da Ce Ce (Rogers) a Ce Ce (Peniston) è un attimo.

Cenith X - FeelCenith X – Feel
Dietro Cenith X c’è Achim Schönherr, compositore presumibilmente tedesco che nel 1995 debutta con “Feel”. La versione originale del pezzo incisa sul lato b, la SMP-Club Mix, scorre su layer di hammond e pianoforte, elementi tipicamente house ma per l’occasione piantati su una base ritmica a velocità sostenuta. A fare da collante tra le parti è un breve campione vocale femminile da cui deriva il titolo del brano. La 3 Lanka che pubblica il disco però scommette tutto sul remix realizzato dai Legend B (Peter Blase e Jens Ahrens), costruito sulla falsariga della loro “Lost In Love” uscita pochi mesi prima. È proprio questa versione, diventata un classico dell’hard trance, ad essere sincronizzata col videoclip e a decretare il successo in patria e in altri Paesi europei, Italia inclusa dove “Feel” gode del supporto di Molella nella prima edizione del programma Molly 4 DeeJay di cui parliamo qui. A licenziarla da noi è la Discomagic che la convoglia su una delle sue innumerevoli etichette, la Hard Dance. Sul 12″ c’è pure un secondo remix a firma CZ 101, stilisticamente più affine alla versione di Schönherr.

Charlie Dore - Time Goes ByCharlie Dore – Time Goes By
Attrice, musicista e cantautrice pop/folk, la britannica Charlie Dore incide dischi sin dal 1979 col supporto della Island. Nel corso del tempo scrive prevalentemente per artisti di alto calibro come Tina Turner e Celine Dion (è suo il testo di “Refuse To Dance”, da “The Colour Of My Love” del ’93) ma non perde mai la voglia di riproporsi come interprete ed infatti nel 1995, a quattordici anni dal precedente, incide il terzo album, “Things Change”. All’interno, tra le altre, c’è “Time Goes By” che nella sua versione originale passa totalmente inosservata. Sono gli italiani Souled Out a stravolgere le sorti della canzone, data in pasto al popolo che anima le discoteche tra la fine del ’96 e l’inizio del ’97. Il successo è tale da richiedere anche un videoclip. La Bustin’ Loose Recordings, ai tempi guidata dall’A&R Stefano Silvestri, completa il quadro con ulteriori versioni affidate ad altri remixer di pregio tra cui Mike Delgado, Ivan Iacobucci e i fratelli Visnadi.

Chase - Stay With MeChase – Stay With Me
Come avvenuto a Blackwood, anche i primi anni del progetto Chase sono legati al “nemo propheta in patria”. Con “Obsession” però, inizialmente pubblicato con l’omonimo nome artistico e prodotto in scia al remix di “Missing” degli Everything But The Girl (da cui trae, oltre ad un sample ritmico, pure l’atmosfera tra romantico e malinconico), anche l’Italia cede al progetto eurodance che spopola tra la primavera e l’estate ’97. Da quel momento voce ed immagine vengono affidate alla cantante Cindy Wyffels. La fortuna di “Stay With Me”, uscito in autunno, risiede nel remix realizzato dagli stessi autori, Toni Verde e Sandro Murru, affiancati da Marascia, che puntano alla miscela del precedente così come vuole la ricetta del classico follow-up. La versione originale invece è una ballata pop rock, inserita nell’album “Barefoot” ma poco nota al grande pubblico. Anche per il singolo seguente, “Gotta Lot Of Love”, uscito ad inizio ’98, è determinante il remix questa volta affidato a Mario Fargetta coadiuvato in studio da Graziano Fanelli e Max Castrezzati.

Chicane - OffshoreChicane – Offshore
Gran Bretagna, 1996: Nicholas Bracegirdle è un musicista venticinquenne con studi classici maturati alle spalle ma attratto sin dall’infanzia dall’elettronica di compositori come Vangelis, Jean-Michel Jarre o Harold Faltermeyer e di gruppi come Yazoo. Durante la rave age scocca la scintilla per la nuova dance grazie ad “Anthem” degli N-Joi: «era una traccia ballabile con fantastici cambi di tonalità e melodia» spiega in un’intervista a Top Magazine ad aprile del 2000. Nel suo futuro però c’è musica piuttosto diversa da quella degli N-Joi, più rilassata, distesa e sognante, impregnata di una sorta di romanticismo misto a malinconia. «Tutto nasce dalle lunghe vacanze estive che trascorrevo coi miei genitori da bambino» spiega ancora in quell’intervista. «Ero sempre l’ultimo in spiaggia, quello che non voleva mai andarsene quando la bella stagione finiva. Credo di essermi sempre portato dietro questa sensazione di malinconia». È quell’atmosfera a contraddistinguere i suoi primi lavori discografici tra cui “Offshore EP #1”, uscito nel ’96 sull’etichetta pare creata dallo stesso autore, la Cyanide. Uno dei quattro brani racchiusi all’interno dell’extended play e prodotti in coppia con Leo Elstob è “Offshore”, crocevia tra contorte porzioni ritmiche breakkate e melodie che disegnano paesaggi incontrastati, ispirate da “Love On A Real Train” dei Tangerine Dream e “The Boys Of Summer” di Don Henley. Realizzata con modesti mezzi, inizialmente la traccia desta poca attenzione perché poco ballabile e quindi scarsamente utilizzabile in discoteca se non in particolari situazioni, quelle gergalmente dette “da decompressione”. La situazione viene capovolta però da un remix realizzato dagli stessi Bracegirdle ed Elstob nascosti dietro il nome Disco Citizens, pseudonimo con cui avevano già firmato “Right Here Right Now” l’anno prima per la Deconstruction. Ora dotato di un impianto ritmico in 4/4, “Offshore” viene acquisito dalla neonata Xtravaganza Recordings di Alex Gold e volta alto nelle classifiche di tutto il mondo (Stati Uniti inclusi) col suo carico “chill-trance”, ulteriormente riverberato in un videoclip sincronizzato proprio sul remix. Nel 1997 viene ufficializzata anche la versione cantata, realizzata a mo’ di mash-up dal DJ australiano Anthony Pappa incrociando la base del remix di “Offshore” all’acappella di “A Little Love A Little Life” dei Power Circle. Questa rivisitazione conquista il pubblico britannico e finisce anche nella tracklist del primo album di Chicane, “Far From The Maddening Crowds”, insieme ad altri singoli estratti, “Sunstroke”, “Red Skies” e “Lost You Somewhere”. Per Bracegirdle è solo l’inizio di una sfolgorante carriera che tocca l’apice tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila grazie a “Saltwater”, rilettura di “Theme From Harry’s Game” dei Clannad, e “Don’t Give Up” che vanta un featuring d’eccezione, quello di Bryan Adams.

CJ Bolland - Sugar Is SweeterCJ Bolland – Sugar Is Sweeter
Estratto dall’album “The Analogue Theatre” del 1996, lo stesso da cui proviene “The Prophet”, “Sugar Is Sweeter” è il brano in cui l’autore condensa una breakbeat rabbiosa ed intensa, sullo stile di “Poison” dei Prodigy a cui pare essersi ispirato scatenando peraltro le ire dei fan del gruppo di Liam Howlett. Il pezzo di Bolland non ha la forza di diventare trasversale però avviene comunque qualcosa che ne cambia gli esiti. Col suo remix, Armand Van Helden sostituisce la radice della traccia spostandola dalle sincopi del breakbeat alle misure quaternarie della house, nonostante il nome della versione, Drum ‘n Bass Mix, faccia pensare ad altro. Un ruolo più marginale spetta alla parte vocale della belga Jade 4 U a cui spetta un trattamento simile a quello riservato a Tori Amos e la sua “Professional Widow” di cui si parla più avanti.

Cornershop - Brimful Of AshaCornershop – Brimful Of Asha
Similmente ai Bloodhound Gang di cui si è già detto sopra, i britannici Cornershop vengono dall’indie rock. Quando “Brimful Of Asha”, uno dei brani del loro terzo album pubblicato nel ’97 ed intitolato “When I Was Born For The 7th Time”, finisce nelle mani di Norman Cook, dell’indie rock di partenza però rimane ben poco. Il DJ di Brighton, ribatezzatosi Fatboy Slim nel 1995 con “Santa Cruz” ed “Everybody Needs A 303”, ne ricava un incalzante inno big beat spinto da un hook che resta impresso a fuoco nella memoria di una generazione, “everybody needs a bosom for a pillow”. Cook conferma dunque la sua straordinaria versatilità dopo alcune prove ben riuscite tra ’96 e ’97 (“I’m Alive” di Stretch & Vern, “Renegade Master” di Wildchild) a cui se ne aggiungeranno molte altre in futuro (“Body Movin'” dei Beastie Boys, “King Of Snake” degli Underworld, “I See You Baby” dei Groove Armada, “Ride The Pony” dei Peplab, “I Get Live” di Mike & Charlie giusto per citarne alcune) ad eternare l’apice creativo.

CRW - I Feel LoveCRW – I Feel Love
Le prime due versioni di “I Feel Love”, l’Extended Mix e la Clubby Mix, escono nel 1998 su una delle tante etichette della Media Records, la Inside, e battono il percorso progressive trance. A produrle sono Mauro Picotto ed Andrea Remondini. In Italia non avviene niente a differenza dei Paesi mitteleuropei dove escono alcuni remix tra cui quello degli olandesi Klubbheads, richiestissimi dopo le hit “Discohopping” e “Kickin’ Hard”. Tuttavia a fare la differenza qualche tempo dopo è una versione riconfezionata in Italia, la R.A.F. Zone Mix, dagli stessi Picotto e Remondini che rivedono sia la parte ritmica che quella melodica, scardinando l’impostazione iniziale a favore di un costrutto che si rifà ai bassi ragga della speed garage e che viene decorato dalla sibillina voce di Veronica Coassolo. A pubblicare la nuova versione oltremanica è la Nukleuz e da quel momento è un effetto domino che contagia, tra le altre, la VC Recordings del gruppo Virgin e la statunitense Jellybean Recordings di John “Jellybean” Benitez. A ben poco servono ulteriori remix come quello di JamX & De Leon alias DuMonde e DJ Isaac. In scia al successo di “I Feel Love” Picotto e Remondini, sempre nelle vesti di CRW, contribuiscono sensibilmente al successo di “On The Beach” di York con una versione di cui si parla nello specifico più avanti.

Cunnie Williams Feat. Monie Love - SaturdayCunnie Williams Feat. Monie Love – Saturday
Cantante r&b dalla potente voce paragonata più volte a quella di Barry White, Cunnie Williams debutta nel 1993 con l’album “Comin’ From The Heart Of The Ghetto” prodotto da Ralf Droesemeyer dei Mo’ Horizons. Nel ’99, messo sotto contratto dalla Peppermint Jam, incide “Star Hotel”, il terzo LP in cui presenzia, tra le altre, “Saturday”, un brano a cui partecipano Inaya Day e Monie Love. La versione che gli garantisce massima visibilità nei primi mesi del 1999 però è la Welcome To The Star-Hotel Mix approntata da Mousse T., il DJ tedesco di origini turche che finisce sotto i riflettori l’estate precedente con “Horny ’98”, versione cantata dell’omonimo brano strumentale passato del tutto inosservato e realizzato riciclando parti ritmiche del remix confezionato per “Ghosts” di Michael Jackson uscito nel 1997, quando altresì remixa “All My Time” di Paid & Live Feat. Lauryn Hill. È sempre Mousse T. a mettere mano a un altro singolo di Cunnie Williams, “A World Celebration”, rigato dal rap di Heavy D.

Da Hool - Meet Her At The Love ParadeDa Hool – Meet Her At The Love Parade
Il tedesco Frank Tomiczek inizia a produrre musica nei primi anni Novanta come DJ Hooligan (è tra i nomi citati dagli Scooter in “Hyper Hyper”). Nel 1996, anno in cui vara l’etichetta B-Sides, modifica lo pseudonimo in Da Hool. Proprio su B-Sides, in autunno, esce un EP intitolato “Meet Her At The Love Parade” aperto dalla traccia omonima. Ritmicamente rasenta la banalità ma contiene un riff di sintetizzatore che resta appiccicato alle orecchie come un chewing gum sotto le scarpe. «Contrariamente a quanto diffuso su internet, il brano non fu dedicato a nessuna donna» chiarisce Tomiczek contattato per l’occasione qualche tempo fa. «Lo realizzai in una sola notte, dopo essere tornato dalla Love Parade. Forse a causa dell’esagerata euforia non riuscivo a prendere sonno, mi chiusi in studio e “Meet Her At The Love Parade” fu il risultato. Colsi al volo l’ispirazione che mi diede la parata berlinese con le sue impareggiabili atmosfere e fu l’ironia a suggerirmi quel titolo, era praticamente impossibile trovare qualcuno che si conoscesse in mezzo ad una folla di un milione di persone». I responsi raccolti dal brano non sono entusiasmanti ma la situazione cambia nel 1997 quando la Kosmo Records lo reimmette sul mercato col remix più accattivante realizzato da Nalin & Kane che quell’anno spopolano con “Beachball”. Il successo è clamoroso (si parla di circa sei milioni di copie vendute) e il titolo trasforma il brano di Da Hool nell’inno non ufficiale della Love Parade ’97 (l’ufficiale è “Sunshine” di Dr. Motte & WestBam). In Italia è un’esclusiva della Bonzai Records Italy del gruppo Arsenic Sound guidato da Paolino Nobile intervistato qui.

Dakar & Grinser - Stay With MeDakar & Grinser – Stay With Me
Formato da Christian ‘Dakar’ Kreuz (sintetizzatori, voce) e Michael ‘Grinser’ Kuhn (sintetizzatori, batteria elettronica), il duo Dakar & Grinser debutta nel ’96 con “Shot Down In Reno”. Supportati dalla Disko B, tre anni dopo i tedeschi incidono un album, “Are You Really Satisfied Now”, che si inserisce a pieno titolo nel vasto campionario pre-electroclash con rimandi a suoni e musiche del passato (come “I Wanna Be Your Dog”, cover dell’omonimo degli Stooges di Iggy Pop uscito trent’anni prima). Nella playlist dell’LP c’è pure “Stay With Me”, una traccia costruita sul formato canzone ma senza tradire ambizioni schiettamente commerciali. Non succede nulla sino a quando l’etichetta di Peter Wacha lo ripubblica come singolo, nella primavera del 2001, dotandolo di nuove versioni remix a firma Patrick Pulsinger, Abe Duque, Portofino Rockers e Gary Wilkinson. Tuttavia a trascinare la traccia nelle programmazioni radiofoniche è la 2001 Mix (ribattezzata Murphy’s Law Single Mix sul CD singolo) realizzata da Christian Kreuz e Tobi Neumann, una rivisitazione scandita da un ammiccante giro di chitarra ed un fascinoso retrogusto retrò che manda subito in solluchero quei DJ che hanno lasciato parte di cuore negli anni Ottanta. In Italia a descrivere il pezzo in toni entusiastici attraverso le pagine del magazine DiscoiD ad aprile 2001 sono Vincenzo Viceversa, che definisce Dakar & Grinser «i campioni assoluto del nuovo techno-pop», e Massimo Cominotto che invece parla di “Stay With Me” come «il suo pezzo del momento». L’interesse cresce al punto da creare i presupposti per una licenza rilevata dalla Ultralab, neonata etichetta dance del gruppo Virgin curata da Ilario Drago che sul 12″, oltre alla Murphy’s Law Single Mix (sincronizzata sul videoclip e finita persino nella compilation del Festivalbar) e al remix di Abe Duque, solca pure una versione realizzata in loco dai P&F ossia Paolino Rossato e Francesco Marchetti, che garantisce a Dakar & Grinser la presenza in altre compilation di dance generalista come la “Deejay Parade” di Albertino e la “Discomania Mix” di Radio 105.

Dana Dawson - 3 Is FamilyDana Dawson – 3 Is Family
Dana Dawson incide il primo disco per la CBS, “Ready To Follow You”, nel 1988 quando ha appena quattordici anni. Nel ’91 esce l’album “Paris New-York And Me” che la aiuta a farsi notare anche in Europa ma per la consacrazione definitiva dovrà attendere ancora qualche tempo. Nel 1995, sotto contratto con la EMI, arriva il secondo LP “Black Butterfly” prodotto da Narada Michael Walden. Uno dei pezzi racchiusi al suo interno è “3 Is Family” in cui la cantante statunitense esprime al massimo la vocazione soul/r&b anche se a spopolare è uno dei remix, quello di Dancing Divaz. Velocizzato e trascinato su una base disco house impostata su un ammaliante giro di pianoforte che pare citare “Drive My Car” dei Beatles e che anni dopo forse ispira “Gimme Fantasy” dei Red Zone da cui nel 2002 Gianni Coletti trae il suo più grande successo, il brano si impone nelle discoteche di tutto il mondo. La EMI prova a replicare i risultati attraverso “Got To Give Me Love”, “How I Wanna Be Loved” e “Show Me” dati in pasto al mondo della notte ma con risultati calanti. L’obiettivo della Dawson non è la dance (seppur nel ’97 interpreti “More More More” di Dolce & Gabbana, remake dell’omonimo di Andrea True Connection) ma i musical di Broadway dove approda nel 2000. La sua carriera si ferma nel 2010 quando perde la lotta contro il cancro. Ha solo trentasei anni.

Datura - Mystic MotionDatura – Mystic Motion
Insieme a “Devotion e “Passion”, “Mystic Motion” è tra i brani nati sull’asse Italia-Germania nel 1993, scritti dai Datura (che ai tempi sono in quattro, i musicisti Ciro Pagano e Stefano Mazzavillani e i DJ Cirillo e Ricci) e la cantante tedesca Billie Ray Martin. “Devotion” si impone proprio quell’anno come hit estiva ma gli altri due restano confinati alla tracklist di “Eternity”, il primo (ed unico) album che il team bolognese incide per la Irma Records. Nel 1995 Pagano e Mazzavillani passano alla Time Records firmando “Infinity” con gli U.S.U.R.A. a cui segue, in autunno, “Angeli Domini”. In parallelo la Irma rispolvera “Mystic Motion” attraverso vari remix tra cui quello dei Bum Bum Club che, strizzando l’occhio allo stile di StoneBridge, ne fanno un successo stagionale. Ulteriori rivisitazioni, come quella di Charles Webster, giungono dall’estero. Visti i risultati, nel ’96 ai Bum Bum Club viene commissionato anche il remix di “Passion” che però ottiene responsi più contenuti.

Deejay Punk-Roc - My BeatboxDeejay Punk-Roc – My Beatbox
Tra 1997 e 1998 la fortuna di alcuni brani come “Sunshine” di Dr. Motte & WestBam, “Sonic Empire” di Members Of Mayday, “Super Sonic” di Music Instructor ed “Energie” di U96 riportano sotto i riflettori del panorama mainstream l’electrofunk di inizio anni Ottanta. In questo contesto stilistico si inserisce “My Beatbox” di Deejay Punk-Roc, progetto che batte bandiera britannica ma gestito secondo una metodologia tipicamente italiana: in studio opera Jon Paul Davies mentre le esibizioni pubbliche toccano al DJ americano Charles Gettis. “My Beatbox” catalizza l’attenzione generale col supporto di MTV che manda in onda il video più volte al giorno. A decretare una diffusione maggiore del brano, qualche tempo dopo finito nella colonna sonora del videogioco per PlayStation “Thrasher Presents Skate and Destroy”, è il remix di Stuart Price alias Les Rythmes Digitales che la Independiente riversa pure sul successivo “Far Out”. Il DJ e produttore anglosassone, noto anche come Jacques Lu Cont, Man With Guitar e Thin White Duke, linearizza il ritmo trasformandolo nel pianale su cui installare la filastrocca eseguita col talkbox e la spirale di basso rotolante che prefigura con lungimiranza gli stilemi dell’electro house post electroclash, gli stessi che utilizzerà anni dopo per produrre “Confessions On A Dance Floor” di Madonna trainato dai singoli strapazzaclassifiche “Hung Up” e “Sorry”.

De'Lacy - HideawayDe’Lacy – Hideaway
La versione originale di “Hideaway”, prodotta dai Blaze e cantata da Rainie Lassiter, esce nel 1994 su Easy Street Records. Pare un pezzo garage come tanti che escono ai tempi, destinato a non lasciare il segno, ma quando l’anno dopo arriva il remix dei Deep Dish tutte le previsioni vengono azzerate. La versione di Dubfire e Sharam, lunga quasi dodici minuti, conta su un’irresistibile sezione ritmica su cui si arrampica gradualmente l’anima del brano, con la voce della Lassiter abbinata agli accordi di un organo liturgico. Il successo contagia tutta l’Europa al punto da spingere la casa discografica a girare un videoclip sincronizzato proprio sul remix dei Deep Dish. Quasi irrilevante invece la versione dei K-Klass, esclusa dalla stampa italiana sulla rediviva Full Time tornata in attività dopo un periodo di pausa. Ai Deep Dish spetta remixare il follow-up, “That Look”, ma è difficile o forse impossibile bissare i risultati di “Hideaway”. Decisiva invece la versione di “All I Need Is Love” realizzata a fine ’97 dall’italiano Massimo Braghieri alias Paramour.

Delerium Feat. Sarah McLachlan - SilenceDelerium Feat. Sarah McLachlan – Silence
Nato da una costola dei Front Line Assembly, Delerium è un progetto partito nel 1988 che si muove nei territori industrial e dark ambient. Nel 1999 la Nettwerk pubblica il remix di “Silence”, uno dei brani dell’album “Karma” uscito nel ’97. La versione originale, in bilico tra new age e downtempo, pare pagare il tributo agli Enigma di Michael Cretu. Nella loro Sanctuary Mix i Fade (Chris Fortier e Neil Kolo) ricostruiscono il pezzo rendendolo ballabile ma nel contempo preservando parte della caratteristica atmosfera gregoriana. Tutto ciò però non basta. È un olandese a fare la differenza: Tiësto, da Breda, con gli oltre undici minuti del suo In Search Of Sunrise Remix, trasforma “Silence” in un inno, valorizzando la voce di Sarah McLachlan con una serie di plananti pad. Più euforica la versione degli Airscape ma incapace di reggere il confronto con quella di Tiësto destinato ad una sfolgorante carriera da DJ.

DNA Featuring Suzanne Vega - Tom's DinerDNA Featuring Suzanne Vega – Tom’s Diner
Incluso in una raccolta del 1984 allegata alla rivista Fast Folk Musical Magazine, “Tom’s Diner” è il brano acappella scritto qualche tempo prima dalla cantautrice californiana Suzanne Vega ispirata da un piccolo ristorante, il Tom’s Restaurant per l’appunto, situato a Broadway. Nel 1987 il pezzo viene incluso nell’album “Solitude Standing” ed estratto come singolo ma senza raccogliere grandi consensi. A creare i giusti presupposti per il successo internazionale sono i DNA ossia i produttori britannici Nick Batt e Neal Slateford che nel 1990 ricollocano la voce della Vega su una base downtempo carpendo un sample a “Keep On Movin” dei Soul II Soul dell’anno prima. In assenza delle autorizzazioni necessarie, i due si vedono costretti a solcare la versione su un’anonima white label sulla fittizia S+B Records che inizialmente circola solo nelle discoteche. In qualche modo quella rivisitazione giunge alla Vega e il verdetto positivo convince i dirigenti della sua etichetta, la A&M Records, a credere nel progetto e pubblicarlo ufficialmente. “Tom’s Diner” così, supportato adeguatamente dal videoclip diretto da Gareth Roberts, si impone in tutto il mondo, conquistando la top 5 delle due classifiche più ambite di allora, quella britannica e quella statunitense. Per la canzone si apre un secondo ciclo biologico, ben più fortunato rispetto al primo, scandito da nuovi remix, remake (tra i più recenti quello firmato da Giorgio Moroder con l’ausilio vocale di Britney Spears), campionamenti e, non meno importante, l’utilizzo da parte dell’ingegnere del suono Karlheinz Brandenburg per mettere a punto il sistema di compressione di un formato che avrebbe stravolto la musica nel nuovo millennio, l’MP3 (per approfondire si rimanda a questo articolo). Entusiasmati dai risultati, i DNA scommettono ancora sui campionamenti come avviene in “Rebel Woman”, in cui riciclano il riff di “Rebel Rebel” di David Bowie, o ne “La Serenissima”, cover dell’omonimo dei nostri Rondò Veneziano di Gian Piero Reverberi.

Duke - So In Love With YouDuke – So In Love With You
Cantautore e polistrumentista, Mark Adams nasce a Newcastle upon Tyne, nel nord-est dell’Inghilterra. I suoi modelli di riferimento in età adolescenziale sono idoli del soul come Marvin Gaye, Isaac Hayes e Sly & The Family Stone ma pure eroi della generazione rock n roll, da Buddy Holly a Little Richard passando per Gene Vincent ed Eddie Cochran. Insieme alla sua band chiamata Catch 22 si esibisce nei locali della città natale con un repertorio di cover di classici degli anni Cinquanta. Poi, complice l’annuncio su una tv privata, entra nella formazione dei One Hand One Heart incidendo, nei tardi anni Ottanta, alcuni singoli ed un album per la Epic. Per la sua carriera solista si ribattezza Duke debuttando con “New Beginning”, prodotto da Tony Mansfield e remixato, tra gli altri, da Jaydee ma senza grandi risultati. Poi arriva “So In Love With You” in cui fa sfoggio delle sue abilità vocali di chiara matrice soul. A spalancargli le porte del successo è uno dei remix del pezzo, quello realizzato da Norman Cook (prossimo ad imporsi come Fatboy Slim) e firmato con lo pseudonimo Pizzaman. Come afferma lo stesso Adams nella sua biografia, tutto inizia nei Paesi Bassi dove DJ Marcello suona per primo il remix di “So In Love With You” all’Escape di Amsterdam. L’interesse della Virgin fa il resto, trasformando Duke in uno dei protagonisti della scena dance/house nell’autunno 1995 e facendone una sorta di nuovo Jimmy Somerville. Ad accaparrarsi la licenza in Italia è la Propio Records di Stefano Secchi che, sfruttando il momento propizio, commissiona altre versioni (tra cui quelle di Miky B, Max Baffa, Franco Moiraghi e del compianto Mauro M.B.S.) raccolte in un doppio vinile.

Elektrochemie LK - SchallElektrochemie LK – Schall
Coniato nel 1995 col brano “Da Phonk”, Elektrochemie LK è uno degli pseudonimi utilizzati dal tedesco Thomas Schumacher. Nel 1996 la Confused Recordings pubblica “Schall & Rauch” aperto proprio da “Schall” in cui il DJ originario di Brema sovrappone balbuzienti tessere vocali campionate da “Acid Poke” di Adonis (ma ignorandone il significato, come lui stesso ammette qui) ad un basso sbilenco che funge da argano per tirarsi dietro un granitico beat. La traccia funziona bene nei club di matrice techno ma non è memorabile. Nel 1999 è sempre la Confused Recordings a rimettere in circolazione “Schall” attraverso un remix realizzato da Schumacher stesso che ricostruisce il mosaico questa volta adoperando un basso distorto ed un reticolo ritmico più incisivo. Grazie a queste nuove caratteristiche si fa avanti la Leaded, etichetta del gruppo Warner che ripubblica il brano in Germania sia su 12″ che CD, abbinandolo ad ulteriori remix (Toktok, Pascal F.E.O.S., Thomas P. Heckmann). L’attenzione cresce e contagia pure il Regno Unito dove se lo aggiudica la FFRR che nel pacchetto inserisce la versione di Trevor Rockcliffe. Si accodano poi altre nazioni europee come Francia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca. A prenderlo in licenza in Italia invece è la Media Records che lo convoglia sulla sua etichetta di punta, la BXR. Tra 2000 e 2001 il fortunato remix di “Schall” approntato da Schumacher fa ingresso in decine di compilation e finisce pure nella programmazione delle tv musicali grazie al videoclip. Il successo è tale da spingere la Leaded a scommettere sull’album, “Gold!”, da cui viene estratto “Girl!”, abilmente costruito su un vecchio pezzo rock dei Kinks, “All Day And All Of The Night”, e in cui figura, tra le altre, “When I Rock”, un pezzo che Schumacher firma col suo nome anagrafico nel ’97 vendendo ben 25.000 copie e che la Warner decide di rilanciare e ripubblicare come Elektrochemie LK abbinandolo ad un paio di remix realizzati per l’occasione da DJ Rush e dall’italiano Santos.

Energy 52 - Cafe Del MarEnergy 52 – Café Del Mar
Partito nel 1991 da un’idea del DJ tedesco Paul Schmitz-Moormann meglio noto come Kid Paul, il progetto Energy 52 emerge due anni più tardi quando la nota Eye Q Records di Sven Väth, Matthias Hoffmann ed Heinz Roth pubblica “Café Del Mar”. Ispirata nel titolo dal noto bar ibizenco e nel suono da “Struggle For Pleasure” del compositore belga Wim Mertens, la traccia diventa un caposaldo della prima ondata trance teutonica istigata dalla MFS di Mark Reeder. Sul 12″ della Eye Q ci sono due versioni, quella di Kid Paul e quella di Harald Blüchel alias Cosmic Baby ma il pezzo non riesce ad andare oltre la scena dei club seppur maturi la presenza in una serie di compilation tematiche tra cui la “Logic Trance 2”. Tre anni più tardi “Café Del Mar” è già considerato materiale d’archivio ed infatti la Bonzai lo ristampa sulla branch Classics che tra gli altri annovera “My Name Is Barbarella” di Barbarella, “Body Motion” degli italiani Sadomasy & DJ One, “My Noise” di Master Techno e “Perfect Motion” dei Sunscreem. C’è qualcuno però ad auspicare ancora una seconda vita della traccia come Red Jerry della Hooj Choons, che affida ad una pagina di Bandcamp i suoi ricordi: «Abbiamo passato circa diciotto mesi a remixarlo e non ricordo neanche i nomi di tutti coloro che ci hanno provato fallendo ripetutamente. Il problema di base era rappresentato dalla scala del riff principale e dalla progressione dei relativi accordi che nessuno riusciva a combinare con un certo impatto. Risultato? Ogni versione andava alla deriva, sommersa dalle melodie. Poi, ad inizio ’97, accadde qualcosa:  tornai a casa con una cassetta su cui era inciso l’ennesimo remix di “Café Del Mar”». A realizzare la nuova versione sono i Three ‘N One (André Strässer e Sharam Jey), reduci dal successo ottenuto con “Reflect”. «Seduto a casa a Kentish Town, con la luce dell’alba dopo una notte in discoteca, ascoltai per la prima volta quel remix su un impianto audio decente. Fu uno di quei momenti che non si dimenticano facilmente» conclude Red Jerry. I Three ‘N One riescono dove tanti altri avevano fallito. Sarà il loro remix ad iniettare nuova linfa vitale nelle melodie di “Café Del Mar” che questa volta, complice l’affermazione della trance su larga scala, segna inequivocabilmente lo zenit per Energy 52. La Hooj Choons mette sul mercato due ulteriori rivisitazioni a firma Solar Stone e Universal State Of Mind a cui se ne aggiungeranno altre ancora tra cui quelle di Oliver Lieb e di Nalin & Kane. Tra 1997 e 1998 il pezzo conosce dunque una nuova giovinezza che lo trasforma in un classico, oggetto di continui rimaneggiamenti nonché in fonte d’ispirazione per altri artisti come gli olandesi Three Drives e la loro “Greece 2000”.

Everything But The Girl - MissingEverything But The Girl – Missing
Insieme sin dal 1982 quando debuttano con “Night And Day”, cover dell’omonimo di Cole Porter, Ben Watt e la moglie Tracey Thorn sono gli Everything But The Girl. Prendono il nome d’arte dallo slogan usato da un negozio d’abbigliamento su Beverley Road ad Hull, il Turners, e fanno pop rock ai confini col jazz. Pur maturando una carriera di tutto rispetto che, tra le altre cose, annovera la collaborazione coi Massive Attack per un paio di brani finiti in “Protection”, riescono a conquistare il grande pubblico generalista solo nel 1995 con un remix. “Missing”, dalla tracklist del loro ottavo album intitolato “Amplified Heart”, è una ballata unplugged che passa inosservata ma grazie al tocco di Todd Terry cambia tutto. Il DJ/produttore statunitense, tra i decani dell’house music, trasforma quella ballata in un classico che vende oltre un milione di copie e per cui viene girato un nuovo videoclip diretto da Mark Szaszy. Il remix inizia a girare nell’autunno del 1994 ma il successo non è immediato specialmente in Europa (Italia compresa) dove bisogna attendere la primavera dell’anno seguente per sentire “Missing” in radio e in discoteca. Todd Terry si occuperà poi di “Wrong” (estratto dall’album “Walking Wounded” del ’96) ma con risultati inferiori. Ps: esiste una versione di “Missing” prodotta in Italia, la Rockin’ Blue Mix, realizzata da Alex Natale e i Visnadi.

Face On Mars - The BugFace On Mars – The Bug
Il progetto one-shot Face On Mars batte bandiera britannica ed è prodotto da Kenny Young e dal duo ManMadeMan (Paul Baguley e Sonya Bailey). Entrati nelle grazie di Judge Jules, Pete Tong, Sasha e John Digweed con dischi firmati con vari pseudonimi, riescono a raccogliere modesti consensi tra la fine del 1999 e i primi mesi del 2000 grazie a “The Bug” che, come testimonia anche la copertina, fa leva sui timori, poi rivelatisi quasi del tutto infondati, derivati dal presunto millennium bug che avrebbe mandato in tilt i sistemi informatici di tutto il mondo al cambio di data tra il 31 dicembre 1999 e il primo gennaio 2000. La versione originale chiamata Teotwawki si inserisce nel filone hard house, sullo stile di artisti come Da Junkies, Knuckleheadz e BK, ma resta confinata al quasi totale anonimato. A rendere “The Bug” un pezzo appetibile per le radio e le tv musicali a cui è destinato il videoclip sono Marco Baroni ed Alex Neri con il loro remix firmato Kamasutra. In Italia è un’esclusiva della napoletana Bustin’ Loose Recordings che in catalogo vanta, tra gli altri, Individual (“Sky High” è cantato da Billie Ray Martin ma in incognito), Charlie Dore e soprattutto Karen Ramirez.

Felix - Don't You Want MeFelix – Don’t You Want Me
Regno Unito, 1992: Francis Wright è un diciottenne come tanti, desideroso di entrare a far parte del mondo della musica. Si diletta a comporre nella sua cameretta con pochi strumenti presi in prestito dallo zio e dal fratello maggiore che gestiscono una società di noleggio strumentazioni. Dispone di un campionatore Akai S950 e qualche sintetizzatore come un Korg MS-20, un Roland JX-1 ed un Oberheim Matrix 1000. Il tutto pilotato dal Notator installato su un computer Atari 1040 ST. Un giorno riceve la telefonata di Jeremy Dickens alias Red Jerry, uno dei titolari dell’etichetta Hooj Choons a cui ha mandato alcuni demo qualche settimana prima. A catalizzare l’attenzione del discografico è un brano in particolare, “Don’t You Want Me”, che Wright realizza ispirandosi allo stile di Steve “Silk” Hurley e in cui piazza un sample vocale preso da “Don’t You Want My Love” delle Jomanda. A Dickens piace ma gli chiede di sviluppare l’idea in modo alternativo. Wright allora piazza un organo al posto del pianoforte e crea la base di quella che sarebbe diventata la Hooj Mix, la versione più nota. «A quel punto Red Jerry mi invitò a Londra per registrare le due versioni» racconta Wright in questo articolo. «L’Original Mix rimase praticamente la stessa del demo mentre alla Hooj Mix aggiungemmo ulteriori elementi. Purtroppo fu fatta confusione coi crediti sul disco che attribuiscono la paternità della Hooj Mix ai soli Red Jerry e Rollo, cosa che non è esatta visto che fu un lavoro interamente sinergico». Il successo di “Don’t You Want Me” è stellare, grazie all’interesse mostrato dalla Deconstruction. Il brano, da noi licenziato dalla GFB, etichetta della Media Records, conquista la prima posizione in molte classifiche sparse per il mondo e si stima abbia venduto oltre tre milioni di copie.

Fifty Fifty - Tonight I'm DreamingFifty Fifty – Tonight I’m Dreaming
I britannici Fifty Fifty (il produttore Jason Smith e il cantante Steve Trowell) esordiscono in sordina nel 1996 col poco noto “Crazy Thing” ma balzano agli onori della cronaca due anni dopo con “Tonight I’m Dreaming”, un brano di matrice progressive house pubblicato dalla Jackpot impreziosito subito da vari remix tra cui quello di Eric Kupper proteso verso la garage. A far cambiare profondamente aspetto al pezzo è però la Blue Moon Mix approntata in Italia negli studi milanesi della Dancework da Fabrizio Gatto, Roberto Zucchini, Germano ‘Jerma’ Polli e Marco ‘China B’ Brugognone. «L’idea di fare un remix fu nostra» racconta Gatto contattato per l’occasione. «”Tonight I’m Dreaming” era una bella canzone ma non abbastanza commerciale, così ci attivammo e realizzammo alcuni remix più adatti al mercato italiano dell’epoca». A spiccare dalle tre versioni pubblicate dalla @rt Records, sublabel del gruppo Dancework, è la citata Blue Moon Mix che imperversa nelle discoteche e in radio nell’autunno ’98. La Rosa Shocking Mix riprende lo stile latineggiante di Paradisio mentre la Tribe Art Production Mix, realizzata da Massimiliano Falchi ed Umberto Ferraro, resta ancorata alle atmosfere house di partenza. «Il mix vendette dalle ventimila alle venticinquemila copie e il brano entrò in svariate compilation» prosegue Gatto. «Quella volta mi firmai come El Zigeuner, nome nato pochi anni prima da una telefonata che un mio promoter fece ad un suo amico. Essendo di Bolzano, ogni tanto parlava in tedesco e quella volta al telefono disse “el Zigeuner” (lo zingaro), una parola che mi piacque subito e che decisi di adottare come pseudonimo». I tentativi di mantenere alte le quotazioni dei Fifty Fifty vanno a vuoto nonostante il remix del successivo “Listen To Me” a firma StoneBridge. Riscontri flebili giungono pure quando nel ’99 Smith e Trowell si ripresentano come Apple 9 firmando “What You Do To Me” per la Time Records.

Freddie Mercury - Living On My OwnFreddie Mercury – Living On My Own
Estratto come singolo dall’album “Mr. Bad Guy”, il primo che Mercury realizza come solista dopo aver abbandonato i Queen, “Living On My Own”, del 1985, è un pezzo synth pop che non riscuote consensi memorabili. Decisamente diversi però i risultati raccolti circa otto anni più tardi quando l’artista è già prematuramente passato a miglior vita e sul mercato arriva il remix realizzato dai No More Brothers (Carl Ward, Colin Peter e Serge Ramaekers) nel loro studio ad Anversa, in Belgio, ad aprile del ’93: con un taglio house friendly corroborato da un cristallino arpeggio, i tre conferiscono a “Living On My Own” la spinta necessaria per essere apprezzato dal pubblico trasversale di tutto il mondo che non si è ancora stancato di ascoltarlo. Per avere un’idea della longevità è sufficiente aprire YouTube: ad oggi la somma delle visualizzazioni ottenute dal remix oltrepassa i cento milioni. Proprio nello stesso periodo in cui imperversa “Living On My Own”, sul mercato arrivano i remix di un altro brano pop internazionale, “Dreams” di Gabrielle. La House Mix degli Our Tribe (Rollo, futuro membro dei Faithless nonché fratello della cantante Dido, e Rob Dougan) è tra le versioni che si distinguono meglio, con un retrogusto à la “Plastic Dreams” di Jaydee. Nel contempo in Italia finiscono in discoteca “Delusa” di Vasco Rossi e “Ricordati Di Me” di Fiorello, rispettivamente remixati dagli U.S.U.R.A. e Digital Boy.

Fun Factory - Close To YouFun Factory – Close To You
Tra la miriade di gruppi eurodance tedeschi emersi nei primi anni Novanta, i Fun Factory si fanno notare a livello europeo tra 1993 e 1994 con “Groove Me”, “Pain”, “Close To You” e “Take Your Chance”, tutti estratti dal primo album intitolato “Nonstop!”. “Close To You”, per cui viene girato questo videoclip, sfiora il plagio delle hit messe a segno dai connazionali Culture Beat (“Mr. Vain”, “Got To Get It”, “Anything”) ma sono tempi in cui clonare talvolta può portare buoni risultati. In Italia la versione originale di “Close To You” passa inosservata a differenza del remix dei Positive Groove, side project degli stessi Fun Factory. Nella reinterpretazione, intitolata Energy Trance e licenziata nell’estate ’94 da Dig It International, la componente vocale è ridotta ai minimi termini per privilegiare un costrutto di matrice trance. Eliminata la parte rappata, dopo un lungo intro strumentale filo acid affiora un brandello dell’inciso, unico elemento tratto dalla versione di partenza. Anche per il remix i Fun Factory però si ispirano palesemente a qualcosa di preesistente, il Fruit Loops Remix dei Jens di cui si parla dettagliatamente più avanti.

Gayà - It's LoveGayà – It’s Love
Nel ’98 la J&Q diretta da Enzo Martino pubblica il terzo singolo del progetto Gayà, partito tre anni prima con “Lovin’ The Way”. A produrre “It’s Love”, un brano house ai confini con la garage colorito da un virtuosismo vocale a mo’ di scat, sono Daniele Soriani e Marco Mazzantini, ma il successo arriva poco tempo dopo col remix curato da Mario ‘Get Far’ Fargetta che riadatta tutto in chiave eurodance. Gli apprezzabili risultati vengono sottolineati dal videoclip in cui appare l’americana Stephanie Haley, scelta come immagine del progetto e per le esibizioni live come quella ad Italia Unz. Sarà sempre Fargetta a confezionare le versioni di punta dei successivi singoli di Gayà, “Shine On Me”, “I Keep On Dreaming” e “Never Meet”, utili a trainare altri artisti della J&Q come Jola, Underfish e Bibi Schön.

Gigi D'Agostino - L'Amour ToujoursGigi D’Agostino – L’Amour Toujours
In virtù della popolarità raggiunta, “L’Amour Toujours” è diventato il brano più noto del repertorio d’agostiniano. La versione originale, apparsa nel 1999 nell’album omonimo, gira su ritmi sincopati, un basso in ottava (forse “stimolato” da un preset dell’Hohner HS-1, versione tedesca del Casio FZ-1) ed armonie ispirate da “But Not Tonight” dei Depeche Mode, così come già descritto in Decadance. A decretare il successo è però il remix che la Media Records pubblica nel 2000 attraverso l’EP “Tecno Fes”: arrangiato insieme a Paolo Sandrini, il Tanzen Vision Remix fa leva sulla caratteristica frase di tastiera evidenziata ulteriormente nella versione usata per il videoclip ad oggi visualizzato su YouTube più di 320 milioni di volte. A seguire arrivano altre reinterpretazioni, come la Cielo Mix e L’Amour Vision, ed un indefinito numero di cover che garantiscono ulteriore longevità ad un pezzo italodance ormai diventato transgenerazionale.

Gigi D'Agostino & Daniele Gas - Creative NatureGigi D’Agostino & Daniele Gas – Creative Nature
La prima versione di “Creative Nature” esce nel 1994 sulla Subway. A distanza di qualche mese sulla stessa etichetta appaiono due versioni (Fly Side ed Eternity Side) realizzate dagli stessi autori ma a lasciare il segno nel cuore degli irriducibili della progressive italiana è il remix edito dalla Metrotraxx, altra sussidiaria della Discomagic di Severo Lombardoni, intitolato Giallone e contenuto nel doppio “Creative Nature Vol. 2”. A dirla tutta pare più una sorta di re-edit con variazione della stesura e non del banco suoni che rimane pressoché invariato ma i risultati, specialmente a partire dall’autunno del 1995, sono ben diversi. Con un sample di campana sincronizzato su un basso ottavato ed un riff d’atmosfera giocato anch’esso sulle ottave, D’Agostino (che riciclerà tutto nel 2000 per la sua “Campane”) e Gas si confermano tra gli artefici di un sound presto ribattezzato e sdoganato come mediterranean progressive in cui minimalismo e struggenti melodie vanno a braccetto. «Una notte ero al Le Palace di Torino con Gigi e Francesco Farfa» racconta Daniele Gas in questa intervista. «Prima della serata chiacchierammo anche di produzioni e Francesco ci propose di fare una nuova versione del “giallone”, riferendosi al remix di “Creative Nature” pubblicato dalla Subway su un’etichetta di colore giallo per l’appunto. Da quel momento lo chiamammo amichevolmente Giallone Remix, proprio in ricordo del suggerimento di Farfa che, ovviamente, fu tra i primi a ricevere il promo».

Gisele Jackson - Love CommandmentsGisele Jackson – Love Commandments
È il pezzo più noto della Jackson, cantante nativa di Baltimora messa sotto contratto dalla Waako Records di Bob Shami. La versione originale di “Love Commandments”, un pezzo garage non particolarmente pretenzioso, inizia a circolare nel 1996 quando viene pubblicato anche in Italia dalla UMM. La spallata determinante giunge l’anno dopo con vari remix firmati, tra gli altri, da Danny Tenaglia, Jason Nevins, StoneBridge, Dancing Divaz e Loop Da Loop. Quest’ultimo, in particolare, con qualche occhiata non velata al tocco di Van Helden, catalizza l’attenzione generale introducendo la Jackson nel segmento speed garage. A pubblicare in Italia quattro remix di “Love Commandments”, incluso ovviamente quello di Loop Da Loop, è la D:vision.

Hanky Panky - Hanky PankyHanky Panky – Hanky Panky
Pubblicato inizialmente dalla Love, una delle etichette della EMI tedesca, “Hanky Panky” del progetto omonimo segue il corso eurodance in salsa house, utilizzando i suoni “tubati” resi popolarissimi da StoneBridge abbinati ad una specie di filastrocca scritta da Najib Hachim e Carolin Schwarz e musicata dagli stessi insieme a Jürgen Hildebrandt. Di loro si sa davvero poco e niente. Di certo è che ad aiutarli ad uscire dall’anonimato, riservato invece ad altri brani del loro risicato repertorio come ad esempio “Me & Mr. Fantasy” di Cosma Das Sternenkind, è il remix realizzato da Mousse T: con una versione che occhieggia ai Max-A-Million prodotti dai 20 Fingers ed ai Reel 2 Real di Morillo ma in chiave ancora più scanzonata, “Hanky Panky” riesce a raccogliere qualche licenza in Europa. A crederci in Italia è la Dance Factory del gruppo EMI ma pure Albertino che propone il brano in radio e lo vuole nel sesto volume della compilation “Alba” uscita nell’autunno del 1996.

Jamiroquai - Space CowboyJamiroquai – Space Cowboy
La versione originale di “Space Cowboy”, inclusa nell’album “The Return Of The Space Cowboy” del 1994, non è certamente passata inosservata ma il remix di David Morales, uscito l’anno dopo, ha il merito di aver ingigantito la notorietà della band britannica. Con un lavoro magistrale curato tanto nella parte ritmica quanto in quella degli arrangiamenti, il DJ tocca uno dei momenti clou della propria carriera. Tuttavia Jay Kay gli riserva toni piuttosto polemici, almeno inizialmente: «non capisco perché devo dare quindicimila sterline ad un tizio americano quando un qualsiasi mio collaboratore può fare la stessa cosa, ma ho imparato che i remix fanno parte del gioco, così come i video» afferma il cantante in un’intervista risalente al gennaio 1997. «Devo essere onesto, i remix di Morales (oltre a “Space Cowboy” anche quello di “Cosmic Girl”, nda) hanno funzionato molto bene ed hanno aumentato la mia popolarità. La gente voleva ballare i miei pezzi in discoteca e lui la ha accontentata».

Jens - Loops & TingsJens – Loops & Tings
Contenuta nel “Glomb EP” pubblicato nel 1993, “Loops & Tings” è il pezzo che Jens Mahlstedt, Gerret Frerichs ed Hans Jürgen Vogel realizzano assemblando magnetiche onde trance a svasati beat che ogni tanto vedono rompere il 4/4 metronomico sotto la spinta di inserti raggamuffin, striature acide e sincopi breakbeat. Nel momento in cui la Superstition pubblica i remix del brano, le cose prendono una piega diversa. È il Fruit Loops Remix, realizzato dagli stessi Mahlstedt e Frerichs, a tracciare una nuova strada per il progetto Jens, sino a quel momento rimasto a solo appannaggio dei DJ specializzati. Merito di una vena melodica più pronunciata issata da un riff riciclato dai menzionati Fun Factory nel remix di “Close To You” ed una struttura ritmica maggiormente trascinante, resa tale anche da un rotolante bassline. Il remix di “Loops & Tings” diventa così un autentico classico nel 1994, anno in cui viene pubblicato anche in Italia dalla Downtown del gruppo Time Records. Seguirà un’infinita serie di altre versioni più o meno fortunate tra qui quella di Marco V che nel 2003 rilancia per l’ennesima volta uno dei maggiori inni della hard trance tedesca degli anni Novanta.

Jestofunk - Special LoveJestofunk – Special Love
Con un background che affonda saldamente le radici nel funk, nel soul e nel jazz, i Jestofunk (Alessandro ‘Blade’ Staderini, Francesco Farias e Claudio ‘Moz-Art’ Rispoli) debuttano nel 1991 con “I’m Gonna Love You” supportati dalla bolognese Irma Records. “Say It Again” e “Can We Live”, entrambi interpretati da Ce Ce Rogers, li aiutano ad imporsi anche nel mainstream ma senza scendere a compromessi. Nel 1998 è tempo di un’altra hit trasversale, “Special Love”, estratta da “Universal Mother”, il loro terzo album. Jazzdance rigata di funk, r&b e disco, la traccia gode di un featuring vocale d’eccezione, quello di Jocelyn Brown, protagonista del videoclip. A far prendere il volo però è la Special House Mix realizzata da Steve “Silk” Hurley, uno dei pionieri della house statunitense che in quel periodo torna al successo con “The Word Is Love”. Sul 12″ presenzia una seconda reinterpretazione, la Disco Fusion Mix di Joey Negro probabilmente più vicina al mondo dei Jestofunk ma con minori potenzialità commerciali.

Josh One - ContemplationJosh One – Contemplation
DJ e produttore losangelino, Josh One debutta nel 2001 con “Contemplation”, un pezzo che lascia sfilare i lascivi vocalizzi di Julie Walehwa su una base downtempo altrettanto seducente costruita insieme al musicista Patrick Bailey. Annessa alla musica lounge e chillout che nei primi anni Duemila vive un fortissimo boom così come raccontiamo qui, la traccia riesce a conquistare anche le discoteche grazie a King Britt ed alla sua Funke Mix che proietta tutto su uno schema house dagli evidenti richiami funk giocati in modo sampledelico. Riscontri ancora più tangibili giungono con una seconda versione realizzata in Italia da Alex Neri: nel Road Trip Remix resta intatto un frammento di voce della Walehwa ma il resto scorre su un binario decisamente diverso, fatto da suoni cristallini messi in sequenza in un ossessivo ed inarrestabile arpeggio. Proprio grazie ai remix, nel 2002 Josh One fa il giro d’Europa spinto da etichette come Prolifica, Ministry Of Sound e Vendetta Records. A pubblicarlo da noi è la Rise del gruppo maioliniano Time.

Karen Ramirez - If We TryKaren Ramirez – If We Try
La carriera della londinese Karen Ramirez mostra diverse analogie con quella dei Jestofunk descritti poche righe sopra. Anche lei parte dalla musica black, dal soul e dal jazz, generi che il team di produzione Souled Out (da cui nasceranno poco tempo dopo i Planet Funk) affronta con maestria nell’album “Distant Dreams” da cui vengono estratti diversi singoli, da “Troubled Girl” a “Looking For Love” (cover di “I Didn’t Know I Was Looking For Love” degli Everything But The Girl) passando per “Lies” ed “If We Try”. Tutti godono di numerosi remix realizzati da pesi massimi della house internazionale ma quest’ultimo, in particolare, si distingue per la rivisitazione di Steve “Silk” Hurley, richiestissimo dopo l’exploit a fine ’97 di “The Word Is Love”.

KC Flightt - Bang!KC Flightt – Bang!
Franklin Toson Jr. alias KC Flightt prende parte alla prima ondata hip house che si propaga a fine anni Ottanta da Chicago, riuscendo ad entrare nelle grazie della RCA che pubblica un album e diversi singoli tra cui “Planet E”, “Summer Madness” e “Voices”. Dopo qualche tempo sottotono, riappare con “Bot Dun Bot” e soprattutto “Bang!” che nella versione originale riavvolge il nastro sino a dove tutto era cominciato nella città del vento. A fare la fortuna del pezzo nell’autunno 1995 è la Mixmaster Club realizzata da Costantino Padovano e Mirko Braida, sincronizzata col video e in linea con quanto già fatto per “Shimmy Shake” dei 740 Boyz analizzata più sopra.

Kim Lukas - All I Really WantKim Lukas – All I Really Want
Nata nella contea di Surrey, nell’Inghilterra sud-orientale, Kim Woodcock è la cantante che si fa spazio nel circuito eurodance nel 1999 con “All I Really Want”, prodotto dal team G.R.S. composto da Gino Zandonà, Roberto Turatti e Silvio Melloni. L’Original Single Mix fa leva su una base dai richiami disco / funk, senz’altro gradevole ma con un tiro forse non adatto ad accontentare del tutto il pubblico a cui il progetto è destinato. Ci pensano gli Eiffel 65 a ricostruire la stesura in un remix creato sul fortunato modello di “Blue (Da Ba Dee)”. È quindi loro la versione che spopola e fa la fortuna della biondina che nel 2000 incide un album, “With A K”, da cui vengono prelevati altri tre singoli più o meno fortunati, “Let It Be The Night”, “To Be You” e “Cloud 9”.

L'Homme Van Renn - The (Real) Love ThangL’Homme Van Renn – The (Real) Love Thang
A pubblicare “The Real Thang” nel 1993 è la Nocturnal Images Records, piccola etichetta di Davina Bussey distribuita dalla Submerge di Detroit. È la stessa Bussey a curare tre versioni fatte di house intrecciata al soul che mettono in evidenza le doti canore di Paul Randolph. Nel 1995 la 430 West, in cooperazione con la Network Records di Neil Rushton e Dave Barker e con la filiale britannica della KMS di Kevin Saunderson, rimettono in circolazione il brano ma con un titolo leggermente diverso, “The (Real) Love Thang”, e vari remix di Rob Dougan, Parks & Wilson e Mike Banks. «Credo che l’operazione nacque con l’obiettivo di portare il mio nome ad un pubblico più vasto e non più solo quello dei DJ specializzati visto che il pezzo aveva un grande potenziale» racconta qui Randolph. Effettivamente le cose vanno proprio così e “The (Real) Love Thang” inizia la “mainstreamizzazione” attraverso la versione del citato Dougan in cui la stesura viene interamente ricostruita giocando sull’alternanza di parti beatless ed altre più incisive legate alla progressive house britannica. Ciò garantisce un risultato apprezzabile in Europa dove il brano viene licenziato in più Paesi ed incuriosisce anche chi non conosceva affatto la versione iniziale. A pubblicarlo in Italia a gennaio 1996 è la milanese Nitelite Records del gruppo Do It Yourself, che aggiunge al pacchetto due ulteriori versioni a firma M2 ed Italia House Nation.

Lisa Marie Experience - Keep On Jumpin'Lisa Marie Experience – Keep On Jumpin’
Inizialmente pubblicato col titolo “Jumpin”, la hit dei Lisa Marie Experience (il duo britannico formato da Dean Marriott e Neil Hinde) si afferma nel vecchio continente tra l’inverno e la primavera del 1996 come “Keep On Jumpin'”. Il pezzo entra nella top ten dei più venduti nel Regno Unito ed è uno dei tanti di quel periodo a rinvigorire il fil rouge tra la house music e discomusic mediante il campionamento di un classico di fine anni Settanta, “Keep On Jumpin'” dei Musique, ripreso peraltro pochi mesi più tardi pure da Todd Terry con le voci di Martha Wash e Jocelyn Brown. La versione che funziona di più e che viene scelta per accompagnare il videoclip è però quella dei redivivi Bizarre Inc, autentici protagonisti tra 1991 e 1992 con successi come “Playing With Knives”, “Such A Feeling” ed “I’m Gonna Get You”. Con una stesura più d’impatto ed un’elaborazione del sample (a cura di Dave Lee alias Joey Negro ed Andrew “Doc” Livingstone, così come chiariscono i crediti in copertina) maggiormente incisiva, il Bizarre Inc Remix è pertanto quello che decreta il temporaneo momento di gloria dei Lisa Marie Experience, incapaci di mantenere intatto il successo col successivo “Keep On Dreaming”. In compenso però ricevono una sfilza di richieste di remix e tra i tanti mettono mano a “Bamboogie” di Bamboo, act messo su con eclatante riscontri dal citato Livingstone ad inizio ’98 mutuando un sample da un altro evergreen disco, “Get Down Tonight” di KC & The Sunshine Band.

Love Connection - The BombLove Connection – The Bomb
Dietro Love Connection, act one shot creato nel 2000 con “The Bomb”, opera il team di produttori francesi formato da Rabah Djafer, Omar Lazouni e Michel Fages. Il pezzo è costruito su un doppio campionamento: da un lato c’è la melodia di “Love Magic” di John Davis & The Monster Orchestra, un vecchio successo del 1979, dall’altro invece la parte vocale presa da “Love Generation” degli italiani Lost Angels, pubblicato originariamente nel 1996 dalla Volumex del gruppo Dancework ma senza grandi risultati, specialmente in patria. Unendo i due elementi, corroborati da una trascinante base disco house, i transalpini ricavano un pezzo orecchiabile e a presa rapida ma a perfezionarlo ulteriormente è il duo Triple X (Luca Moretti e Ricky Romanini), reduce dal successo europeo di “Feel The Same”. È il loro remix infatti ad avere la meglio e ad essere sincronizzato col videoclip. In Italia è un’esclusiva della Time di Giacomo Maiolini il cui supporto, pare, sia stato determinante per ottenere il clearance del sample di “Love Magic”.

Mario Più - CommunicationMario Più – Communication
Il DJ toscano è stato molto abile nel tenere un piede nelle produzioni destinate a discoteche di tipo progressive/trance e l’altro in quelle più dichiaratamente commerciali. Così, mentre da un lato sforna pezzi come “Your Love”, “Unicorn” o “Serendipity”, dall’altro finisce nelle classifiche di vendita con successi radiofonici tipo “All I Need”, “Sexy Rhythm” e “Runaway”. Nel 1999 però è capitato che un suo brano tendenzialmente rivolto ai club si sia trasformato in una hit trasversale. Tutto ha inizio a ridosso dell’estate quando nei negozi arriva “Communication”, un pezzo creato sul telaio picottiano di “Lizard” e caratterizzato dal suono dell’interferenza creata dal telefono cellulare in una cassa spia (idea che, praticamente nel medesimo periodo, viene sfruttata in “GSM” dai Dual Band – Paolo Kighine e Francesco Zappalà). I responsi nelle discoteche sono ottimi ma a decretare il successo su scala internazionale con oltre 200.000 copie vendute è la versione approntata oltremanica pochi mesi dopo da Paul Masterson alias Yomanda. Diventata “Communication (Somebody Answer The Phone)” ed accompagnata da un videoclip sincronizzato proprio sul remix, la traccia assume una veste hard house in cui compare, oltre all’interferenza, anche il trillo di un telefono cellulare, immortalato in copertina dalla BXR.

Mato Grosso - LoveMato Grosso – Love
Partiti nel 1990 come Neverland, Graziano Pegoraro, Marco Biondi e Claudio Tarantola si ribattezzano Mato Grosso con “Thunder” per motivi illustrati in questo articolo e diventano uno dei nomi più longevi in campo eurodance/italodance, area notoriamente soggetta a successi che difficilmente riescono a reggere più di qualche stagione. “Love” esce intorno alla fine del 1993 sulla B4, etichetta fondata dallo stesso team insieme al gruppo Expanded Music, ma gode di poca attenzione. Pochi mesi più tardi, in soccorso, giungono due remix realizzati dagli stessi Pegoraro e Biondi. In particolare è la Fuzzy Mix a risollevare le sorti del pezzo non partito col piede giusto, col beneplacito di Albertino e dei suoi soci del DBM (Fargetta la sceglie e mixa in “Original Megamix 2”) a cui poi si accodano altre emittenti e varie compilation italiane ed estere. «La versione originale, per ammissione dello stesso Pegoraro, peccò a causa di un mixaggio non del tutto riuscito» racconta oggi Marco Biondi contattato per l’occasione. «La Shuttle ‘N’ Space ‘N’ Love Mix iniziava con un intro caratterizzato dal countdown della NASA, senza dubbio d’effetto ma privo di quell’immediatezza che ai tempi serviva alla dance per farsi notare. Facendo tesoro degli errori quindi, rielaborammo tutto in un remix più incisivo, dinamico ed efficace, doti premiate da Albertino che lo tenne nella DeeJay Parade per circa due mesi (dal 26 febbraio al 23 aprile, nda). Il suo supporto fu determinante per raggiungere un buon risultato in termini di vendite, tra mix e remix infatti “Love” contò tra le 16.000 e le 17.000 copie. A scandire marcatamente la nuova versione era un hook vocale realizzato con la mia voce seppur davvero in pochi la riconobbero nonostante conducessi un programma quotidiano su Radio DeeJay. Pure nel follow-up, “Mistery”, figuravano voci vere: il “mistery mistery” era di Miko Mission mentre ad interpretare il “bebele simele amele” era Nikki, mio collega in via Massena. L’idea di partenza era campionare un frammento di “Just A Gigolo” di David Lee Roth ma non avremmo mai avuto il clearance così optammo per quell’alternativa che si rivelò particolarmente fortunata» conclude Biondi.

Mauro Picotto - LizardMauro Picotto – Lizard
Quando le prime copie di “Lizard” raggiungono gli scaffali dei negozi di dischi, nella primavera del 1998, nessuno è in grado di pronosticare cosa sarebbe avvenuto poco tempo dopo. Picotto stesso, nella recensione apparsa sulla rivista Trend Discotec di aprile, è ben lontano da pomposi annunci e ne parla sommessamente come «un mix che forse è un EP, tanto sono differenti le versioni in esso contenute». In effetti le quattro versioni presenti sul 12″ della BXR mostrano evidenti diversità: la Picotto Mix (promossa “Disco Strobo” da Tony H in From Disco To Disco il 7 marzo) punta dritta alla trance, la Nation Mix irrigidisce i suoni tirando dentro un frammento vocale di Martin Luther King, la Mondo Bongo Mix introduce la componente tribale e la Tea Mix, fondamentale per gli sviluppi futuri, riduce tutto a pochi elementi, scroscianti cascate di snare e soprattutto un caratteristico basso. Come descritto dal musicista Andrea Remondini nell’intervista finita in Decadance Appendix nel 2012, la Tea Mix viene realizzata in buona parte un lunedì mattina. «Durante il fine settimana Mauro si esibì in una discoteca in cui il DJ che lo aveva preceduto in consolle terminò il set con un disco che finiva con una lunghissima nota bassa» racconta. «A quel punto lui si sovrappose con un altro brano che iniziava con battute di sola cassa. Il risultato creò un effetto imprevisto: ogni colpo di cassa soffocava la nota bassa, che tornava poi a farsi sentire nelle pause tra un colpo e l’altro. Ipotizzai che la causa del fenomeno fosse un compressore applicato all’uscita del mixer» (ma Picotto, nel libro “Vita Da DJ – From Heart To Techno” recensito qui, parla di un microfono lasciato inavvertitamente aperto da cui «entrò il rumore dell’effetto Larsen sull’impianto audio della sala – il Joy’s di Mondovì – una risonanza che determinò un suono simile alla coda di un boato», nda). Vista l’euforica reazione del pubblico di fronte a quel fortuito abbinamento di suoni, i due cercano di riprodurre l’effetto in studio e il risultato lo si sente per l’appunto nella Tea Mix. La prima tiratura di “Lizard” passa abbastanza inosservata ma l’indifferenza si trasforma in enorme curiosità quando arrivano i remix. In particolare è la Megavoices Mix, realizzata dallo stesso Picotto e sviluppata partendo dalla Tea Mix, a cambiare lo status quo. Con una stesura che sfiora i dieci minuti, la traccia (adorata da Pete Tong che ribattezza Picotto con l’appellativo “The Lizard Man”) si ripresenta in una formula più organica, arricchita da un sample vocale ed una lunga pausa melodica centrale ispirata da “1998” dei Binary Finary. In pochi mesi “Lizard” fa il giro del mondo, Stati Uniti compresi, aprendo una fase carrieristica dal sapore internazionale per Picotto debitamente irrorata da altre hit come “Iguana” e “Komodo” che insieme a “Lizard” costituiscono l’ideale trilogia rettiliana. I suoni di “Lizard” diventano presto un autentico marchio di fabbrica per la BXR ed innescano centinaia di campionamenti ed imitazioni di ogni tipo. «A quel punto, così come era già avvenuto con la mediterranean progressive, abbandonammo quel suono per primi, dopo averlo inventato» aggiunge Remondini nella menzionata intervista. Curiosità: per il remix la BXR usa un numero di catalogo inferiore (1047) rispetto a quello del disco che ospita invece le prime versioni del brano (1048) nonostante la pubblicazione sia successiva.

Moby – Everytime You Touch Me
Archiviata la disputa legale con la Instinct Records che pubblica i primi due album, Moby firma per la Mute di Daniel Miller. È proprio questa a mandare in stampa il suo terzo LP, “Everything Is Wrong”, l’ultimo con cui l’artista newyorkese cavalca la dance music, un filone che gli fa guadagnare, seppur a malincuore, le critiche di certa stampa convinta che non sia capace di suonare alcuno strumento. «È una fissa mettere in dubbio le mie capacità» afferma in un’intervista realizzata a Londra da Piergiorgio “P.G.” Brunelli ed apparsa su Dance Music Magazine a maggio 1995. «Suono la chitarra da venti anni, perché dovrei usare un campionamento? Ho suonato di tutto, dalla chitarra al basso, dalle tastiere alle percussioni sino alla batteria. Ammetto che la maggioranza dei musicisti dance non sappia suonare musica ma io sono tutt’altro che un idiota. Qualsiasi cosa che esca da uno speaker e genera in me emozioni è positiva, non importa che sia un campionamento o un assolo di chitarra. Vorrei che fosse possibile apprezzare allo stesso tempo la gay-disco e i Biohazard, senza barriere mentali». Uno dei singoli estratti da “Everything Is Wrong” è “Everytime You Touch Me”: la versione originale contiene ancora retaggi del breakbeat di memoria rave ma con meno asperità ritmiche ed inselvaggimenti ridotti praticamente a zero, rimpiazzati da evidenti slanci melodici (vocali e pianistici) intarsiati a brevi parentesi raggamuffin ai tempi parecchio in auge nell’eurodance. A garantire il successo al brano nei primi mesi del 1995 però è uno dei tanti remix giunti sul mercato, quello degli infaticabili Beatmasters che nella loro Uplifting Mix lo ricostruiscono interamente edificando all’interno di esso due blocchi, uno più felice e radioso alimentato dalle voci di Rozz Morehead e Kochie Banton, l’altro più ombroso da cui riaffiora la sensibilità ravey. La Beatmasters 7″, una sorta di re-edit ma con un appeal più radiofonico, viene scelta invece per il videoclip. «Preferisco remixare le mie canzoni da solo perché è divertente ed economico, ma non sono geloso di ciò che faccio e se qualcuno vuole lavorare su un mio pezzo solitamente lascio fare» prosegue l’artista nella sopraccitata intervista. «Non tutti i miei brani però sono a disposizione, quelli molto personali non voglio darli a nessuno. Sono come i miei bambini ed hanno un significato particolare che non va stravolto». A prendere in licenza per l’Italia “Everytime You Touch Me” è la napoletana Flying Records che lo abbina ad una copertina di Patrizio Squeglia e lo convoglia sulla neonata Drohm varata a fine ’94 con “I Let U Go” dei KK e trainata dal successo di “Wonder” di DJ Cerla & Moratto. Sul 12″, oltre alle due versioni dei Beatmasters, ci sono pure la Na Feel Mix e la Freestyle Mix ad opera dello stesso Moby, e a completamento quella di Jude Sebastian, vincitore di una remix-competition a cui partecipano ben quattrocento persone. Da noi il successo è palpabile, il pezzo entra nell’airplay radiofonico e in decine di compilation. Pochi anni più tardi il musicista statunitense rimette tutto in discussione aprendo una nuova fase della carriera caratterizzata da caleidoscopiche sollecitazioni che lo trasformeranno in una sorta di cantautore electronic pop del nuovo millennio. Risultano profetiche, a tal proposito, le parole con cui chiude quell’intervista del 1995 in cui Brunelli gli domanda se abbia una band: «Io sono il gruppo, suonerò tutto eccetto le percussioni. Ho poca pazienza coi musicisti che non sono capaci di fare ciò che gli chiedo, ed io ho grosse pretese».

Moloko - Sing It BackMoloko – Sing It Back
Il duo dei Moloko (il compositore/produttore Mark Brydon e la cantante Róisín Murphy) non impiega molto a raggiungere il successo: già nel 1995, anno del debutto, si impone un po’ ovunque con “Fun For Me”, estratto dall’album “Do You Like My Tight Sweater?”. Nel successivo, “I Am Not A Doctor” uscito nel 1998, figura “Sing It Back”, un brano che plana magicamente su una coltre di materia fumosa dalla singolare consistenza. A dargli la spinta necessaria per trasformarlo in un successo pop è una delle versioni che appaiono nei primi mesi del ’99, la Boris Musical Mix del DJ tedesco Boris Dlugosch, affermatosi nel ’96 con “Keep Pushin'”, nonostante l’etichetta avesse puntato tutto sul remix di Todd Terry, la Tee’s Freeze Mix, sperando che potesse seguire lo stesso corso di “Missing” degli Everything But The Girl. Corre voce che Brydon e la Murphy abbiano faticato non poco per convincere i dirigenti della Echo ad inserire sul disco la versione di Dlugosch (affiancato dal fido collaboratore Michi Lange con cui incide altri discreti successi come “Check It Out! (Everybody)” di BMR, “Azzurro” di Fiorello e i remix per “Blen Blen” di Edesio e “Never Enough” della stessa Murphy) a conti fatti quella che ha trasformato “Sing It Back” in una hit mondiale.

Moratto - WarriorsMoratto – Warriors
Analogamente ad altri dischi trattati in questo articolo, pure “Warriors” viene immesso sul mercato con un remix ad affiancare la versione originale. Nella Bat Mix Elvio Moratto riversa la passione che ai tempi nutre per la dance di matrice mitteleuropea, quella che prende le mosse da generi come hard trance, progressive, rave techno ed happy hardcore, ma nel contempo la farcisce con una vena melodica tipicamente all’italiana. Cantato da Jo Smith, “Warriors” esce nei primi mesi del 1995 raccogliendo discreto successo grazie al remix dei Datura intitolato, forse non casualmente, Main Mix. Pagano, Mazzavillani e Ricci DJ approntano una versione che non differisce molto da quella originale ma risultando d’impatto e garantendo un buon airplay radiofonico ed un’apprezzabile resa in termini di vendite seppur non paragonabile a quella di altri pezzi del repertorio morattiano, su tutti “La Pastilla Del Fuego” dell’anno prima, peraltro remixato sempre dai bolognesi Datura in una sorta di mash-up con la loro “Eternity”. «L’idea di affidare il remix ai Datura fu mia, trattandosi di un team con cui avevo piacere di collaborare» dichiara oggi Moratto contattato per l’occasione. «La scelta di puntare su quella versione come principale però non dipese da me. “Warriors” vendette 20.000 copie in Italia, compreso il Live Remix che feci successivamente e che viene ancora suonato in alcuni club oltremanica». Discutibile, forse, la scelta della Flying Records di commercializzare “Warriors” proprio mentre imperversa “Wonder” che Moratto realizza a quattro mani con DJ Cerla per un’etichetta della stessa società, la neonata Drohm, ritrovandosi paradossalmente a far concorrenza a se stesso. «Entrambi i brani furono prodotti nello stesso periodo ma non credo sia stato controproducente pubblicarli quasi in contemporanea. “Wonder” abbracciò il pubblico commerciale e vendette molto di più ma poiché editi dallo stesso gruppo discografico, alla Flying decisero di investire solo in un video, quello di “Wonder”» conclude Moratto.

Mulu - PussycatMulu – Pussycat
Autentica meteora nella seconda metà degli anni Novanta, i Mulu (Alan Edmunds e Laura Campbell) debuttano nel ’96 con “Desire”, primo singolo estratto da “Smiles Like A Shark”. Nel ’97, tratto dallo stesso LP, tocca a “Pussycat”, un brano downtempo per cui viene girato un videoclip e che, come si usa fare allora, viene dato in pasto a vari remixer. Tra loro c’è François Kevorkian che rende il pezzo appetibile alle piste da ballo trasformandolo in una gioiosa cantilena. A pubblicarlo in Italia è la Nitelite The Club Records, etichetta del gruppo Do It Yourself che in copertina piazza un bel “n° 1 club hit”.

Negrocan - Cada VezNegrocan – Cada Vez
Nati a Londra nei primi anni Novanta dalla collaborazione tra diversi musicisti provenienti da più parti del globo (tra cui il percussionista triestino Davide Giovannini), i Negrocan incidono il primo album intitolato “Medio Mundo” nel 1996. Uno dei pezzi racchiusi all’interno ed estratto come singolo è “Cada Vez”, scandito da ritmi caraibici, elementi bossanova e dalla voce della brasiliana Liliana Chachian. I responsi sono impietosi e il brano finisce presto nel dimenticatoio. Alla fine del 1999 però il remix del britannico Grant Nelson, che trasla il mood latino di partenza nel mondo della house facendo il verso allo stile dei Masters At Work, apre nuove ed inaspettate prospettive. In verità a sancire la rinascita del brano nel 2000 è un’altra versione, quella realizzata da Jerry Ropero, belga trapiantato in Spagna, capace di enfatizzare ulteriormente le potenzialità del brano dei Negrocan. L’Avant Garde Remix (Avant Garde è il progetto con cui nel ’99 Ropero & soci catalizzano l’attenzione europea attraverso “Get Down”) conquista prima i DJ dei club e poi anche i programmatori radiofonici, e nell’arco di pochi mesi il pezzo esplode in buona parte del vecchio continente. A pubblicarlo in Italia (inclusa la Album Version) è la Heartbeat del gruppo Media Records che, in seconda ripresa, mette in circolazione due ulteriori rivisitazioni, quella di Intrallazzi & Fratty e quella di Gigi D’Agostino che, all’apice della popolarità, alimenta ulteriormente il successo trasversale e momentaneo dei Negrocan.

Neja - RestlessNeja – Restless
Dopo l’esordio in sordina del ’97 con “Hallo”, per Agnese Cacciola alias Neja si aprono le porte del successo. Ciò avviene con “Restless”, un pezzo prodotto da Alex Bagnoli presso il suo Alby Studio, a Modena, che si impone come hit estiva in Italia e poi fa il giro del mondo ma soltanto a diversi mesi dall’uscita del disco. L’Extended Version è gradevole ma poco impattante a livello pop. Ci pensano i Bum Bum Club a riconfezionare la canzone in un efficace remix perfettamente calato in una dimensione che sposa le capacità vocali della cantante piemontese alle caratteristiche dell’italodance di fine decennio. Tale versione è scelta per accompagnare il videoclip. Alla luce dei risultati, i Bum Bum Club vengono ingaggiati per il follow-up, l’autunnale “Shock!”, che però raggiunge risultati più contenuti. Il tutto sotto la direzione di Pippo Landro della New Music International che vuole Neja su LUP Records, etichetta partita con “Illusion” dei Ti.Pi.Cal. nel 1994.

New Atlantic - The Sunshine After The RainNew Atlantic – The Sunshine After The Rain
Sino al 1994 la popolarità dei New Atlantic (Richard Lloyd e Cameron Saunders, da Southport, a pochi chilometri da Liverpool) non riesce ad andare oltre i confini patri. I tentativi di replicare il buon successo ottenuto con “I Know” vanno a vuoto ma quando tutte le speranze sembrano perdute accade qualcosa di inaspettato. Sulla scrivania di Jon Barlow, manager della 3 Beat Music che ha messo sotto contratto il duo, arriva “The Sunshine After The Rain”, cover dell’omonimo di Ellie Greenwich del ’68 e già ripreso con successo da Elkie Brooks nel ’77. La versione originale, pare realizzata da Neil Bowser alias U4EA, è inchiodata ad una base breakbeat, piena di asperità ritmiche. Il successo è assicurato dal remix realizzato in Italia da Roberto Gallo Salsotto in cui vengono sapientemente bilanciate ariose melodie eurodance al rigore meccanico di un bassline di moroderiana memoria. «Alla 3 Beat furono entusiasti del risultato e, per dare al disco una spinta maggiore in scia al successo di “Everybody Gonfi-Gon” che avevano licenziato pochi mesi prima, mi chiesero di usare il marchio Two Cowboys che condividevo con Maurizio Braccagni, nonostante avessi eseguito quel remix da solo» racconta qui Gallo Salsotto. La sua versione viene scelta sia per sincronizzare il videoclip che per accompagnare le apparizioni televisive come quella a Top Of The Pops. L’immagine è affidata invece a Rebecca Sleight alias Berri che dal 1995 diventa unica interprete del brano pubblicato in tutto il mondo con oltre 200.000 copie vendute.

Nick Beat - TechnodiscoNick Beat – Technodisco
Partito nel 1996 con “Bow Chi Bow” che attinge dal classico dei Vicious Delicious intitolato “Hocus Pocus”, Nick Beat è il progetto tedesco messo su da Tom Keil e Thorsten Adler. I due fanno centro nel 2000 con “Technodisco”, un pezzo che inizia a circolare in formato white label e che in breve tempo conquista le attenzioni della Zeitgeist del gruppo Polydor, probabilmente attratta dalla evidente somiglianza con una hit di poco tempo prima, “Kernkraft 400” degli Zombie Nation. La versione originale, la Technodiscomix, fa incetta dei tipici elementi della dance tedesca di allora con retaggi hard trance misti a suonini che sembrano saltare fuori da un vecchio coin-op degli anni Ottanta. Dei diversi remix giunti sul mercato quello di Axel Konrad, figura chiave della handsup teutonica, si distingue meglio per il grande pubblico. Più “picchiaduro”, per restare ancorati al mondo dei videogiochi d’antan, sono le versioni del compianto Pascal F.E.O.S. e di Thomas P. Heckmann. A pubblicare il disco in Italia è la Green Force del gruppo Arsenic Sound, lo stesso che prende in licenza “Kernkraft 400″ e che, a distanza di qualche settimana, mette in vendita un 12” con due ulteriori remix di “Technodisco” a firma DJ Gius, l’artefice del successo mondiale di Zombie Nation di cui si parla più avanti.

Nightcrawlers - Push The Feeling OnNightcrawlers – Push The Feeling On
Ispirata da “Pass The Feelin’ On” dei Creative Source, “Push The Feeling On” esce nel 1992 e prova a ritagliarsi un posto nel mercato acid jazz a cui la band dei Nightcrawlers, guidata dal cantante John Reid, approccia già l’anno prima con “Living Inside A Dream”. Il destino però ha in serbo altri progetti. La Nocturnal Dub realizzata dal DJ americano Marc ‘MK’ Kinchen, fratello di Scott Kinchen alias Scotti Deep, dona al brano una veste completamente diversa, ritmicamente (con una base in stile StoneBridge) e sotto il profilo dell’arrangiamento con un assolo di sax che, insieme ad una filastrocca di loop vocali concatenati, diventa un autentico tormentone. Sarà sempre Kinchen a perfezionare ulteriormente “Push The Feeling On” nella MK Mix 95 giunta, per l’appunto, nel 1995, anno in cui si cerca, proprio col suo aiuto, di bissare il successo con altri singoli (“Surrender Your Love”, “Don’t Let The Feeling Go”, “Let’s Push It”) ma con risultati inferiori. Difficile o forse impossibile tenere il conto dei remix, riadattamenti (si senta, ad esempio, “Control Your Body” di Wagamama) e cover di “Push The Feeling On” usciti nell’arco di quasi un trentennio a cui si è recentemente aggiunta la fortunata versione di Riton.

Nina - I'm So ExcitedNina – I’m So Excited
La croata Nina Badric inizia la carriera da cantante nei primi anni Novanta ma con pochi risultati che valicano i confini. La situazione cambia alla fine del 1998 grazie al brano “I’m So Excited”, remake dell’omonimo delle Pointer Sisters prodotto da Albert Koler, che invece fa il giro di buona parte d’Europa conquistando in particolar modo Austria, Francia, Spagna, Grecia ed Italia. La main version, la NYC RnB Mix, è una slow ballad r&b per l’appunto. Koler appronta comunque una versione destinata alle discoteche, la Exciting House Mix. In Italia però Nina spopola grazie ad uno dei due remix realizzati da Alex Voghi e Filippo ‘Sir H’ Soracca, precisamente il Solid State Dance, che tiene banco sino all’estate 1999. A pubblicare il brano, sia su 12″ che CD singolo, è la Dance Excess del gruppo Hitland. Per il follow-up, “One & Only”, la casa discografica scommette sulla versione di DJ Dado realizzata insieme a Roberto Gallo Salsotto presso il suo Stockhouse Studio.

Olive- You're Not AloneOlive – You’re Not Alone
Londra, 1994: il musicista Tim Kellett, ex componente dei Simply Red, e Robin Taylor-Firth, dalla formazione dei Nightmares On Wax, si conoscono attraverso un amico comune ed iniziano a buttare giù idee nello studio casalingo di Kellett. Approntano tre demo, strumentali. Uno di quelli diventa “You’re Not Alone” con la voce di Ruth-Ann Boyle che proprio Kellett sente per caso, attraverso una registrazione, durante una tappa del tour dei Durutti Column per cui quell’anno è ingaggiato come tastierista. La Boyle, tra le coriste dell’album “Sex And Death” degli stessi Durutti Column, si diletta a cantare con band locali della sua città natale, Sunderland, ma sino a quel momento non ha maturato significative esperienze professionali. A settembre del 1995 i tre firmano un contratto con la RCA che nel 1996 pubblica l’album “Extra Virgin”. L’LP, come dichiara Taylor-Firth in questa intervista del 2007, viene realizzato con un paio di sintetizzatori (Roland Juno-60 ed E-mu Vintage Keys) e tre campionatori Akai S3000. Il primo singolo ad essere estratto è “You’re Not Alone”, accompagnato dal relativo videoclip. I responsi sono impietosi, il mix tra rarefatte atmosfere ambientali ed accartocciamenti trip hop non sortisce grandi risultati, e neanche i remix firmati da nomi blasonati come X-Press 2 e Tin Tin Out, tempestivamente pubblicati anche in Italia dalla Flying Records, riescono ad invertire la rotta. Nel 1997 arrivano nuove versioni tra cui quelle di Roni Size, The Ganja Kru, Rollo & Sister Bliss dei Faithless e Paul Oakenfold & Steve Osborne e per gli Olive le cose cambiano radicalmente, in modo simile a quanto avvenuto pochi anni prima ai connazionali N-Trance con “Set You Free”. “You’re Not Alone” entra nella classifica britannica e vende oltre 500.000 copie trainando “Extra Virgin” che la RCA ovviamente ristampa distribuendolo in tutto il mondo, ma curiosamente solo in formato CD e cassetta (il vinile arriva quasi venti anni dopo, nel 2016). A maggio del 1997 ad osannare gli Olive è anche il pubblico di Top Of The Pops mentre arriva un secondo video di “You’re Not Alone” che fa da cornice ad un tour internazionale. Così come la Boyle raccontava anni fa sul suo sito, Madonna assiste ad una performance in Germania proprio durante quel tour e, con entusiasmo, propone alla band di incidere un nuovo album per la sua etichetta, la Maverick. Il disco arriva nel 2000 e si intitola “Trickle”. Più di qualche critico musicale (tra cui Larry Flick in una recensione apparsa su Billboard l’11 aprile 1998) però fa notare che la fascinazione su Madonna prende già corpo con “Frozen”, prodotta da William Orbit, remixata per i club da Victor Calderone e contenente i parametri di “You’re Not Alone”. La hit degli Olive continuerà ad essere motivo d’ispirazione come testimoniano molteplici cover uscite nel corso degli anni a partire da quella del tedesco ATB risalente al 2002.

Paul van Dyk - For An AngelPaul van Dyk – For An Angel
“For An Angel” è uno dei brani racchiusi in “45 RPM”, album di debutto per Paul van Dyk nonché il primo dei due che il DJ destina alla MFS di Mark Reeder. Co-prodotta con l’ingegnere del suono Johnny Klimek, la traccia è imperniata su un breve riff melodico innestato su una base più vicina alla progressive house che alla trance. Nota essenzialmente a chi ha comprato quell’album, nel 1998 per “For An Angel” si apre una seconda vita, molto più intensa della precedente. La britannica Deviant Records del compianto Rob Deacon pubblica un 12″ con tre remix della traccia per lanciare il tedesco oltremanica. Tra quelle nuove versioni c’è la E-Werk Club Mix, approntata dallo stesso van Dyk: grazie ad un ritmo più euforico simile a quello costruito per il remix di “1998” dei Binary Finary, il brano adesso conquista l’intera platea europea, complici la Love Parade di Berlino dove è consacrata allo status di inno ed un videoclip girato per l’occasione. A pubblicare il disco in Italia è la Milk’n Honey, una delle etichette del gruppo More Music curata artisticamente da Raffaela Travisano intervistata qui.

Powerhouse Featuring Duane Harden - What You NeedPowerhouse Featuring Duane Harden – What You Need
Powerhouse è il nome con cui il DJ newyorkese Lenny Fontana firma un successo mondiale nel 1999. Avvalendosi della graffiante voce di Duane Harden, lo stesso che interpreta “You Don’t Know Me” di Armand Van Helden, e sfruttando abilmente un campionamento tratto da “I’m Here Again” di Thelma Houston, Fontana assembla un brano irresistibile, legato tanto alla house quanto alla disco. La versione passata alla storia però non è l’Original Mix bensì il remix dei britannici Full Intention (Jon Pearn e Michael Gray), da anni attratti da quel tipo di fusione stilistica a cui peraltro devono gran parte della loro popolarità (si pensi a brani del repertorio come “Uptown Downtown”, “America (I Love America)” e “Shake Your Body (Down To The Ground)”). È proprio il remix dei Full Intention ad essere sincronizzato sul videoclip programmato dalle tv musicali sparse in tutto il pianeta.

Rachid - PrideRachid – Pride
Figlio del compianto Ronald Nathan Bell, uno dei fondatori dei Kool & The Gang, l’allora ventiquattrenne Rachid non intende affatto usare il nome del padre come scorciatoia per raggiungere il successo o grimaldello per aprire porte nel music biz. Si propone piuttosto come un sedicente poeta punk, ispirato da Björk, Bauhaus, Sonic Youth, Chaka Khan, David Bowie e Marcel Proust, e mostra interessi plurimi che passano dal trip hop all’industrial, dal drum n bass al folk e al soul con l’intenzione di creare il prototipo della musica del futuro. Non a caso “Prototype” è il titolo del suo primo (ed unico) album che Universal pubblica nel 1997 raccogliendo rincuoranti consensi dalla critica che ne parla come disco candidato a ridefinire i confini del pop. Anche il primo singolo estratto, “Pride”, promette molto bene. «È stata la prima canzone che ho registrato, musicandola con un sample hip hop e il suono del violoncello, credo sia perfetta per introdurre il pubblico a ciò che rappresento» spiega l’artista in un’intervista a cura di Michael A. Gonzales apparsa a settembre 1998 sulla rivista americana Vibe. In circolazione finisce pure il video destinato al circuito delle tv musicali. Una serie di remix poi traghetta Rachid anche nel mondo dei DJ e delle discoteche: in particolare è la versione dei Mood II Swing ad essere salutata con maggior entusiasmo, pure in Italia dove viene pubblicata ad inizio ’98 dalla Nitelite The Club Records del gruppo Do It Yourself guidato da Max Moroldo che rimarca la presenza di quella versione in copertina. Sul trampolino di lancio c’è già il secondo singolo, “Charade”, ma dissapori con la Universal, causati da un presunto cambio di politica aziendale, bloccano tutto. Di “Charade” inoltre è pronto un remix realizzato da Grooverider ma la fine del rapporto con la casa discografica vanifica tutto. Nel 2007 lo stesso Grooverider manda in onda quel remix nel suo radio show su BBC Radio 1, invitando gli ascoltatori a registrarlo perché rarissimo ed inciso su pochissimi acetati.

Rahsaan Patterson - Where You AreRahsaan Patterson – Where You Are
Dopo alcune esperienze come attore, Patterson approda alla musica figurando come corista per vari artisti, su tutti Brandy nel brano “Baby” del ’94. L’anno dopo viene scritturato dalla MCA che nel ’97 pubblica il suo primo album intitolato “Rahsaan Patterson”, un condensato di soul ed r&b. In questo LP c’è “Where You Are”, una ballata romantica supportata dal relativo video. A portare la musica di Patterson al grande pubblico è però il remix di Steve “Silk” Hurley, praticamente in stato di grazia dopo “The Word Is Love” realizzata pochi mesi prima con Sharon Pass e a cui i suoi tanti remix di quel periodo, incluso quello per Rahsaan Patterson, sono direttamente connessi.

Ralphi Rosario Featuring Donna Blakely - Take Me Up (Gotta Get Up)Ralphi Rosario – Take Me Up (Gotta Get Up)
Tra i veterani della scena house chicagoana nonché membro del collettivo Hot Mix 5, Ralphi Rosario incide un inno monolitico nel 1987, “You Used To Hold Me”. Instancabile DJ e produttore/remixer, torna al successo trasversale capace di abbracciare pure il frangente mainstream esattamente dieci anni più tardi, a fine ’97, quando circola un doppio mix su Underground Construction intitolato “Take Me Up (Gotta Get Up)”. La versione originale del brano, interpretato dalla compianta Donna Blakely che mette bene in mostra le proprie potenzialità vocali, gira su un ossessivo basso su cui si innesta a ventaglio tutta una serie di elementi, da fiati ad inserti di tastiere. È perfetto per i club specializzati, meno per le radio e le grandi platee. Uno dei quattro remix incisi sul doppio però, quello di Rafael Rodriguez alias Lego che un paio dopo spopola grazie ad “El Ritmo De Verdad”, capovolge la situazione. Con un ipnotico loop ritmico su cui cresce rigogliosamente la voce della Blakely, il pezzo esplode nei primi mesi del 1998 affermandosi in buona parte d’Europa. A licenziarlo in Italia è la Rise, neonata etichetta della Time Records curata da Alex Gaudino che sul 12″, oltre alla Lego’s Mix ovviamente piazzata in posizione A1, vuole pure la versione dei Fire Island. L’Original Club Mix di Rosario è relegata invece al lato b. Sul CD singolo finiscono infine altri due remix, quelli di Kevin Halstead (anche lui passato a miglior vita) e JJ Flores ma ininfluenti per il successo commerciale del brano.

Reel 2 Real - Go On MoveReel 2 Real – Go On Move
Balzati all’attenzione generale tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994 con “I Like To Move It”, i Reel 2 Real capitanati dal compianto Erick Morillo cavalcano la seconda ondata hip house insieme ad artisti come 2 In A Room, 740 Boyz, Outhere Brothers e KC Flightt. Il follow-up del citato “I Like To Move It” è proprio “Go On Move”, un brano risalente all’anno prima quando la Strictly Rhythm lo pubblica ma senza raccogliere grandi risultati. Nella Erick “More” Mix si sente bene l’imprinting morilliano ma solo grazie alla Erick “More” 94 Vocal Mix, accompagnata dal relativo videoclip e da una parte vocale più estesa interpretata da Mark Quashie alias The Mad Stuntman, il brano diventa un successo estivo. In Italia è un’esclusiva della napoletana UMM che in autunno pubblica anche l’album “Move It!” da cui verranno estratti altri singoli più o meno fortunati come “Can You Feel It?”, “Raise Your Hands” e “Conway”.

Rexanthony - Capturing MatrixRexanthony – Capturing Matrix
Le prime versioni di “Capturing Matrix”, tra cui svetta la Trancegression, iniziano a circolare nella primavera del 1995 attraverso un mix edito dalla S.O.B. del gruppo Dig It International. Quella dell’allora diciottenne Anthony Bartoccetti, figlio dei musicisti Doris Norton (a cui abbiamo dedicato una monografia qui) ed Antonio Bartoccetti, è indiavolata hard trance in cui scorre una spiccata vena melodica che gli apre le porte del mainstream. A decretare il successo del brano a fine estate è il remix realizzato dallo stesso Rexanthony che la S.O.B. immette sul mercato su un 12″ contenente “Cocoacceleration”, realizzata a quattro mani con Molella, e “Deltasygma”. Il successo è tale da conquistare la vetta della classifica dance ai tempi più monitorata ed influente d’Italia, la DeeJay Parade, e generare più di qualche clone realizzato in copia carbone come “Melody In Motion” di Liberty. Ps: si narra che la linea melodica di “Capturing Matrix” sia stata ispirata da “Capturing Universe”, un brano composto dai genitori di Bartoccetti nel 1980 per l’album “Praeternatural” ma di cui non vi è traccia sino al 2003, anno in cui viene pubblicato dalla Black Widow Records. Pare più plausibile invece la relazione tra “Capturing Matrix” (e il follow-up autunnale “Polaris Dream”) e “Universe Of Love” del tedesco RMB, uscita nel ’94 e di cui parliamo qui nel dettaglio.

Robert Miles - ChildrenRobert Miles – Children
Quando si accorge che in circolazione c’è un altro Roberto Milani, pseudonimo utilizzato per alcuni dischi che non riescono ad uscire dall’anonimato, Roberto Concina modifica il suo alter ego ed opta per l’inglesizzazione, Robert Miles. Il primo 12″ firmato col nuovo nome è “Soundtracks”, pubblicato nei primi mesi del 1995 da una delle etichette di Joe T. Vannelli, la DBX Records. Uno dei quattro brani inclusi è “Children”, seppur storpiato da un errore tipografico, sia sulla copertina che sull’etichetta centrale, in “Childrtens”. Questa versione, un ibrido tra progressive house e progressive trance con arcate melodiche in grande evidenza, viene completamente snobbata. Quando la Platipus di Simon Berry prende in licenza “Children” per il territorio britannico però cambia tutto. All’etichetta d’oltremanica Concina destina anche un remix del brano in cui la vena melodica è implementata da un assolo di pianoforte che anni dopo si scoprirà essere parzialmente ispirato da “Napoi Menia Vodoi” del musicista russo Garik Sukachov, sembra col suo benestare. Ad onor del vero anche l’impostazione armonica di stampo new age, già presente nell’Original Version, pare non essere farina del suo sacco: come si legge in questo articolo del 18 settembre 1997, il musicista Patrick O’Hearn accusa Concina di plagio ai danni del suo “At First Light”, contenuto nell’album “Ancient Dreams” del 1985, e chiede oltre dieci milioni di dollari come risarcimento. Comunque siano andate le cose, quel remix del brano, poi diventato la definitiva Dream Version, cambia la vita di Concina, conquistando la vetta delle classifiche in ben diciotto Paesi del mondo e vendendo milioni di copie, dai tre e mezzo ai cinque, secondo diverse interviste. Il resto lo potete leggere in questo dettagliato articolo.

Robin S - Show Me LoveRobin S – Show Me Love
Nata nel 1962 a New York, Robin Stone debutta nel 1990 col brano “Show Me Love”, scritto e prodotto per la londinese Champion da Allen George e Fred McFarlane incontrati, come lei stessa racconta in un’intervista rilasciata nell’autunno del 1994, durante una delle serate che tiene nei dinner club e nei privée delle discoteche dell’area newyorkese insieme alla sua band, i Top Shelf. La versione principale, la Montego Mix, è mixata da Anthony King e scorre su partiture house garage, non pretenziose ed un filo banali seppur ben realizzate. In pochi si fanno avanti, la ZYX per la Germania, la Carrere per la Francia e la Media Records per l’Italia che lo pubblica sulla Whole Records ma con risultati deludenti. “Show Me Love” finisce presto nel dimenticatoio. Un paio di anni dopo circa però un remix proveniente dalla Svezia cambia il corso degli eventi. A realizzarlo sono StoneBridge e Nick Nice della SweMix, un collettivo di DJ e produttori in cui figurano, tra gli altri, anche il compianto Denniz Pop e Douglas Carr. Gli svedesi dotano il pezzo di un apparato ritmico/sonoro interamente nuovo che fornisce a “Show Me Love”, ora ripubblicato in tutto il mondo, una seconda vita che di fatto non si è mai conclusa a giudicare dal numero di remake e remix usciti sino ad oggi. Anche la cantante, coinvolta nel videoclip sincronizzato sulla nuova versione, si ripresenta al pubblico con un nome parzialmente diverso, Robin S. Ad accaparrarsi i diritti per la pubblicazione in Italia è D:Vision Records del gruppo Energy Production, la stessa che si aggiudica il follow-up “Luv 4 Luv”, ancora remixato da StoneBridge.

Roc & Kato - AlrightRoc & Kato – Alright
Il duo americano formato da Ramon Ray Checo e Juan Kato incide house music sin dal 1991 ma senza velleità commerciali. Il loro sound è fedelmente ancorato alla scena house newyorkese come testimoniato dai vari dischi del repertorio, incluso “Alright” che la Slip ‘n’ Slide pubblica nella primavera del 1995. La Original Vocal Mix è spassionata house garage, cantata da Charmaine Radcliff e Bendel Holt con inserti di pad ed un organo hammond. Sul doppio figurano già un paio di remix, tra cui quello di Davidson Ospina, che ingolosiscono gli adepti della garage e che stuzzicano qualcuno alla sede della Discomagic che prende in licenza il brano per l’Italia ristampandolo su etichetta Reform. A far cambiare traiettoria ad “Alright” sarà, qualche mese più tardi, il remix firmato da Mario ‘Get Far’ Fargetta che da noi diventa un discreto successo autunnale. La nuova versione, pubblicata sempre da Reform e realizzata negli studi della bresciana DJ Movement insieme al musicista Pieradis Rossini, mantiene pochi elementi dell’originale puntando ad una ricostruzione fatta di suoni eurodance ed un cantato che fa leva sull’hook di facile memorizzazione.

Rosie Gaines - Closer Than CloseRosie Gaines – Closer Than Close
La versione originale, in stile r&b, risale al 1995 ed è inclusa nell’album omonimo su Motown, “Closer Than Close”, il secondo inciso dalla cantante californiana, ex corista dei New Power Generation. A conquistare il mondo delle discoteche e le classifiche di vendita europee (soprattutto quella britannica di cui raggiunge la vetta) è però il remix esploso due anni più tardi. A realizzarlo sono i Mentor (Hippie Torrales e Mark Mendoza) che con la loro rielaborazione garage house, in circolazione già dal 1996 in formato white label e supportata da molti DJ tra cui il nostro Coccoluto come si legge qui, garantisticono alla Gaines un momento di inaspettata popolarità riuscendo a dare filo da torcere agli altri remixer coinvolti, i londinesi Tuff Jam e l’indimenticato Frankie Knuckles. Per l’occasione viene girato un videoclip diretto da Steve Price. Nella sua biografia Torrales parla di oltre otto milioni di copie vendute, una soglia incredibile per un pezzo che nella versione di partenza aveva rivelato ben poche speranze di sviluppo. Con lo scopo di rendere quanto più longevo possibile l’exploit di Rosie Gaines, la Bigbang Records commissiona sempre ai Mentor il remix del follow-up, “I Surrender”, ma fallendo l’obiettivo.

Run Feat. Justine Simmons - Praise My DJ's (My Funny Valentine)Run Feat. Justine Simmons – Praise My DJ’s (My Funny Valentine)
Inizialmente pubblicato dalla britannica Positivity Records diretta dall’A&R Carlton Brady, “Praise My DJ’s (My Funny Valentine)” è un pezzo hip house modellato sulle liriche di una vecchia canzone scritta negli anni Quaranta da Richard Rodgers e Lorenz Hart, “My Funny Valentine”. Ad interpretarlo sono Joseph Simmons alias Run (il Run dei Run-DMC) e la moglie Justine, ma i risultati ottenuti con le versioni iniziali prodotte da Kirwin Rolle e Remano Dunkley sono particolarmente deludenti. Il remix invece, realizzato in Italia dal team dei Mach 3, capovolge letteralmente la situazione trasformando la traccia in un successo dalle dimensioni internazionali. Merito di un trattamento che gli autori (Alessandro Zullo, Andrea Monta e Luca Neuburg, coadiuvati dagli scratch di DJ Aladyn) edificano rispolverando il mood nevinsiano di “It’s Like That” abbinato a stab di memoria rave ma soprattutto ad un riff fischiettato, vero elemento identificativo che fa di “Praise My DJ’s (My Funny Valentine)” un tormentone tra la primavera e l’estate 1999, accompagnato dal relativo videoclip ovviamente sincronizzato sul remix. A commissionare il lavoro ai Mach 3 (e al veneto Spiller, prossimo ad esplodere con la sua “Groovejet”) è la More Music Italy, ai tempi guidata dalla citata Raffaela Travisano, che convoglia il brano su etichetta Priveé. «Super programmato in radio e in discoteca e presente nelle top ten di vendita, a dimostrazione che le diffidenze delle prime settimane erano totalmente ingiustificate» scrive in merito Eugenio Tovini sulle pagine di Trend Discotec a luglio di quell’anno. Il follow-up, “Check Out The Floor (Summer Breeze)”, remixato ancora dai Mach 3 in quella che pare davvero la fotocopia del precedente, arriva solo nel 2001 sulla 909 Records, una delle label di Joe T. Vannelli, ma ormai fuori tempo massimo.

Run-DMC - It's Like ThatRun-DMC – It’s Like That
Nel 1997, quattordici anni dopo la pubblicazione sulla Profile Records, un remix (in Italia pubblicato dalla bresciana Time) riporta in vita “It’s Like That”, singolo d’esordio dei Run-DMC, dando ad esso una nuova veste sonora ed un’inedita prospettiva. L’artefice, il newyorkese Jason Nevins, sovrappone l’acappella originale ad una trascinante base e il risultato piace talmente tanto da conquistare la prima posizione delle classifiche di vendita in svariate nazioni e macinando oltre cinque milioni di copie anche se Nevins, pare, abbia incassato solo 5000 sterline così come riportato qui dalla BBC. Per far fronte al successo inaspettato viene girato un videoclip che proietta il gruppo in una scena ben diversa rispetto a quella hip hop e ciò provoca, prevedibilmente, aspre critiche degli integralisti, poco propensi a mandare giù una versione più volte definita “pacchiana”. Si parla anche di screzi e risentimenti tra il remixer e gli autori emersi nel 1999 attraverso la rivista XXL Magazine. Comunque sia il particolare beat, una sorta di brutalizzazione di “The House Of God” di DHS, diventa una tag identificativa per Nevins, pronto a riutilizzarlo per altri remix come quello di “It’s Tricky”, ancora dei Run-DMC, e “We Want Some Pussy!” dei 2 Live Crew a cui seguono anche vari tentativi di imitazione come “Work It” di Junkfood Junkies e “I Know You’ve Got Soul” di Trade Secrets.

Sandy B - Make The World Go RoundSandy B – Make The World Go Round
Contrariamente a quanto avviene di solito nel mondo della musica, la carriera della cantante statunitense Sandra Barber decolla dopo aver mollato le multinazionali in favore di etichette indipendenti. Negli anni Ottanta milita prima nei Chew (per la Capitol Records) e poi nei Blue Moderne, sotto contratto con l’Atlantic, ma il successo internazionale giunge nel ’92 grazie a “Feel Like Singin'”, edito da Nervous Records ed impreziosito da un remix di David Morales. Il vero botto nel 1996 con “Make The World Go Round”, pubblicato dalla Champion pare bypassando del tutto la versione originale rimasta, secondo quanto riportato ai tempi da un magazine tedesco, nel cassetto ed allo stato di demo. Scritto da Brinsley Evans e Thomas Del Grosso, il brano si impone in tutto il mondo grazie al remix dei Deep Dish, colorito da un caratteristico disegno di basso che risulterà l’indiscusso punto di forza tanto da essere riproposto in innumerevoli salse, a partire da “Let Me Show You” di Camisra. Con il loro Round The World Remix dunque, Dubfire e Sharam surclassano le rivisitazioni di esimi colleghi come StoneBridge e Kerri Chandler, e dimostrano che il successo ottenuto l’anno prima col remix di “Hideaway” dei De’Lacy, di cui si è già detto sopra, non fu solo frutto della fortuna. Commercialmente meno entusiasmante sarà invece il follow-up, “Ain’t No Need To Hide”, che i Deep Dish rileggono nella Sequel Mix in Italia pubblicata, analogamente a “Make The World Go Round”, dalla D:Vision Records.

Scott Grooves - Mothership ReconnectionScott Grooves – Mothership Reconnection
A portare grande popolarità a Patrick Scott, DJ e produttore di Detroit meglio noto come Scott Grooves, è “Mothership Reconnection”, rielaborazione house di “Mothership Connection (Star Child)” dei Parliament di George Clinton anche se, come chiariscono i crediti, i frammenti campionati non sono del brano uscito nel 1975 bensì quelli presi dal Live di Houston registrato dieci anni più tardi. Ai tempi la versione di Scott viene incanalata nel French Touch seppur la traccia provenga dagli States: col suo metti e togli di fiati e scampoli di batteria, pare davvero un pezzo uscito dallo studio dei Motorbass, I:Cube o Dimitri From Paris. Magari sarà stata proprio questa somiglianza a spingere i vertici della scozzese Soma a commissionare un remix ad un duo francese su cui avevano scommesso per primi nel ’94, i Daft Punk. Così, dal Daft House di Parigi, arriva un remix che sintetizza le idee di partenza di Scott centrifugate in un energetico puzzle da cui affiorano tessere electrofunk. Il risultato è irresistibile e finisce col mettere in ombra la versione originale inclusa nell’album “Pieces Of A Dream” pubblicato sempre dalla Soma di Glasgow.

Shamen - Move Any MountainShamen – Move Any Mountain
Analogamente ai connazionali Underworld, pure gli Shamen iniziano con un nome diverso (Alone Again Or) abbracciando il rock alternativo seppur senza vantare un successo simile per dimensioni a “Doot-Doot”. Quando si ribattezzano col nuovo moniker, nel 1985, le differenze con quanto avvenuto degli anni precedenti non sono ancora evidenti ma le prospettive muteranno presto. I riscontri raccolti con “Jesus Loves Amerika” ed altri singoli estratti dall’album “In Gorbachev We Trust” contribuiscono ad edificare la nuova estetica sonica della band fondata da Colin Angus e dai fratelli Derek e Keith McKenzie, a cui si aggiungono altri componenti come Richard West meglio noto come Mr. C (proprio quello del londinese The End), il bassista Will Sin e la cantante Plavka Lonich, pochi anni dopo voce dei pezzi commercialmente più fortunati dei Jam & Spoon. In “En-Tact”, del ’90, le matrici rock collidono in scenari elettronici. Uno dei brani contenuti è “Progen”, antesignano del chemical beat e di tutta quella che, a posteriori, la critica definirà indie dance. Gli inserti rappati dal citato West stuzzicano ricordi hip house ma sarebbe un errore annettere il brano a tale corrente. Estratto come singolo e mixato da Paul Oakenfold, “Progen” conquista una serie di licenze sparse in Europa (Italia compresa, su Ricordi International) ma vedrà la completa affermazione soltanto l’anno seguente quando viene remixato e ripubblicato col titolo “Move Any Mountain” (e il sottotitolo “Progen 91”). Tra le tante versioni approntate risulta decisiva e determinante quella dei Beatmasters, pionieri della house music d’oltremanica con pezzi come “Rok Da House”, “Burn It Up”, “Warm Love” ed “Hey DJ / I Can’t Dance (To That Music You’re Playing)”. È la loro rivisitazione dunque a permettere alla band scozzese di varcare per la prima volta la soglia della top ten dei dischi più venduti in patria e conquistare la quarta posizione nonché piazzarsi alla 38esima piazza dell’ambita Billboard Hot 100 dall’altra parte dell’Atlantico. La Beat Edit mette insieme con lungimiranza spunti breakbeat, rock ed hip hop su uno sfondo psichedelico, vero leitmotiv della produzione shameniana di quegli anni, ed è sincronizzata col video girato nella primavera del 1991 alle pendici del vulcano Teide, a Tenerife. Al termine delle riprese Will Sin, poco più che trentenne, muore annegato nelle acque dell’isola vicina di Gomera, risucchiato da insidiose correnti marine. La tragedia comunque non impedisce di proseguire la carriera agli Shamen che incidono nuovi album da cui vengono prelevati singoli di successo tra cui “Ebeneezer Goode”, “Phorever People”, “L.S.I. (Love Sex Intelligence)”, “Comin’ On”, “Transamazonia” e “Destination Eschaton” e rivelandosi, così come scrive Rita Ferrauto su Dance Music Magazine a novembre del 1995, «la band che allaccia circuiti musicali e mentali tra l’antica mitologia, lo sciamanesimo e le nuove tecnologie informatiche».

Shauna Davis - Get AwayShauna Davis – Get Away
Nata Stéphane Moraille, Shauna Davis debutta come solista nel 1995 col brano “Get Away” pubblicato dalla canadese Hi-Bias Records e in Italia licenziato su Downtown (gruppo Time Records). L’Original Mix resta praticamente ignota al contrario della Club Mix firmata da StoneBridge e Nick Nice: gli svedesi continuano abilmente a sfruttare l’onda innescata dai tempi di “Show Me Love” di Robin S riuscendo a trasformare in successo quasi qualsiasi cosa tocchino. Dello stesso periodo si segnalano infatti, oltre ad “Everlasting Pictures – Right Through Infinity” di B-Zet e “Sex And Infidelity” dei nostri Blast di cui abbiamo già parlato sopra, altri loro fortunati remix come quelli per “Boombastic” di Shaggy, “This Time I’m Free” di Dr. Album e “Deep In You” di Tanya Louise. La Davis inciderà altri due singoli sino al 1998, anno in cui sarebbe dovuto uscire un album rimasto però nel cassetto. La cantante si rifà interpretando “Drinking In L.A.”, hit estiva dei Bran Van 3000.

Simian - We Are Your FriendsSimian – We Are Your Friends
Nel 2002 la Source pubblica “Never Be Alone” dei Simian, brano indie rock estratto dall’album “We Are Your Friends” che non riscuote significativi consensi. L’anno dopo gli allora sconosciuti Justice (i francesi Gaspard Augé e Xavier de Rosnay) realizzano, per un contest, un remix che gli apre le porte della neonata Ed Banger Records. In questa nuova versione, finita su un 12″ della label di Busy P, resta parte della voce originale (un mix tra Iggy Pop e Robert Smith) incastrata in una graffiante e flessuosa base electro house. Qualcosa inizia a muoversi nel 2004 grazie a DJ Hell che intuisce le potenzialità del brano e lo licenzia sulla International Deejay Gigolo, ma la consacrazione pop arriva solo nel 2006 quando la 10 Records del gruppo Virgin ripubblica la traccia reintitolata “We Are Your Friends” e premiata agli MTV Europe Music Awards per il video diretto da Rozan & Schmeltz.

Smoke City - Mr Gorgeous (And Miss Curvaceous)Smoke City – Mr Gorgeous (And Miss Curvaceous)
Non si può dire che la versione originale di “Mr Gorgeous (And Miss Curvaceous)”, presente nell’album “Flying Away”, sia passata proprio inosservata. Con un seducente mix tra trip hop ed acid jazz saldato da richiami latini analogamente a quanto avviene in “Underwater Love” scelta per lo spot Levi’s, la band britannica conquista spazi sempre più consistenti nell’audience internazionale. Tuttavia è il remix del brano a sancire una popolarità ancora più trasversale abbracciando anche il mondo delle discoteche. Merito della Vocal Mix approntata dai Mood II Swing (gli americani John Ciafone e Lem Springsteen, quell’anno all’opera su “Free” di Ultra Naté) in cui le avvolgenti atmosfere evocate dalla voce sibillina di Nina Miranda vengono preservate e fatte confluire in una gabbia di ritmo irresistibile che ne fa una hit nell’estate 1997 e riesce a reggere ottimamente il confronto col remix di “Underwater Love” realizzato da David Morales.

Steam System - Barraca DestroySteam System – Barraca Destroy
“Barraca Destroy” esce nella primavera del 1993 segnando il debutto del progetto Steam System dietro cui armeggiano Claudio Collino (che all’attivo ha già le hit di Sueño Latino ed Atahualpa), Piero Pizzul, e Michele Menegon alias Michael Hammer, futuro direttore di Italia Network. Come racconta proprio Menegon in questa intervista, «”Barraca Destroy” fu una produzione commissionata dall’Expanded Music per la nota discoteca spagnola Barraca. Doveva essere l’inno del locale e il lavoro fu piuttosto semplice: una melodia orecchiabile, parole spagnole comprensibili ed una buona dose di energia, tutti elementi convogliati della Destruction Version. Una volta terminato, il brano fu spedito in Spagna ma appena duemila copie furono stampate per l’Italia. Soltanto Italia Network lo programmò, credo per farmi un piacere. Poi il disco finì nel dimenticatoio. Un giorno di fine estate mi chiamò Giovanni Natale, boss dell’Expanded Music, dicendomi che Molella, di ritorno dalla Spagna, aveva acquistato il disco e che lo fece ascoltare ad Albertino e Fargetta. Tutti erano convinti che si trattasse di una hit. A quel punto mi chiese di rientrare in studio e realizzare un remix che ne esaltasse la forza. Con Claudio e Piero componemmo quindi la traccia oggi nota a tutti». La versione che arriva al grande pubblico è proprio tra i remix, la En Directo, colorita dal battito di mani di “We Will Rock You” dei Queen.

Sven Väth - Dein SchweissSven Väth – Dein Schweiss
La versione originale di “Dein Schweiss”, inclusa nell’album “Contact” edito dalla Virgin nel 2000, è frutto del lavoro sinergico tra Sven Väth e Johannes Heil. Supportata da un videoclip in cui il DJ biondo di Obertshausen domina la scena con la sua solita verve e spigliatezza, la traccia mischia elementi techno ed electro. Quando, tra fine 1999 ed inizio 2000, la Virgin pubblica il singolo però alla Master Mix aggiunge un feroce remix che nell’arco di pochi mesi finisce col diventare decisamente più noto dell’originale: a realizzarlo, spingendosi sino a lambire sponde EBM, è Thomas P. Heckmann, prolifico produttore di Magonza con un eccelso repertorio da cui svettano pure successi dalle dimensioni europee come “Amphetamine” di Drax e “Sync In” di Silent Breed.

Sweetbox Feat. Tempest - Booyah (Here We Go)Sweetbox Feat. Tempest – Booyah (Here We Go)
Prodotto da Roberto ‘Geo’ Rosan e partito dalla tedesca Maad Records, “Booyah (Here We Go)” è un pezzo che si fa lentamente strada nei primi mesi del 1995 unendo una base simile a quella di “Short Dick Man” dei 20 Fingers alla voce di Kimberly ‘Tempest’ Kearney che ammicca invece all’eurorap in stile Technotronic, Leila K o Daisy Dee. La versione originale, supportata dal relativo videoclip, fa presa nei locali e in radio ma a garantire un airplay ancora più incisivo specialmente nel nostro Paese è uno dei remix intitolato Hot Pants Club Mix realizzato da Nique a mo’ di mash-up tra l’acappella di Tempest e la base di “We Are Family” delle Sister Sledge. A pubblicare il brano in Italia è la Discomagic di Severo Lombardoni, la stessa che in autunno licenzia il follow-up “Shakalaka”, una specie di incrocio tra Outhere Brothers e Reel 2 Real che però si rivela meno fortunato nonostante annoveri il remix di Mousse T.

T42 - Melody BlueT42 – Melody Blue
Partito nel ’97 con “Every Life Unfolds” e “Children’s Voices” editi dalla Dance Factory del gruppo EMI, il progetto T42 si fa notare meglio due anni più tardi quando passa all’indipendente No Colors (gruppo F.M.A.) che pubblica “Melody Blue”. L’Original Mix, prodotta dal compianto Graziano Pegoraro, finisce sul lato b mentre a torreggiare è il remix di Fargetta, arrangiato da Graziano Fanelli e Max Castrezzati sul classico modello italodance di fine anni Novanta. Sarà sempre Fargetta a tenere alte le quotazioni di T42 firmando le versioni più note dei successivi “Run To You”, “Find Time” e “Set Me Free” usciti tra 2000 e 2002.

Technohead - I Wanna Be A HippyTechnohead – I Wanna Be A Hippy
I coniugi britannici Lee Newman e Michael Wells, già noti come GTO e Tricky Disco, vestono i panni dei Technohead dal 1993, incidendo primariamente hardcore e gabber. Nel 1995, quando l’happy hardcore e la musica ad alta velocità vive la sua parentesi commerciale più importante, riescono ad intrufolarsi nel mainstream col brano “I Wanna Be A Hippy” pubblicato dall’olandese Mokum Records. A fare da cassa da risonanza però non è l’agitata Original Mix bensì il remix realizzato da Flamman & Abraxas scelto per sincronizzare il videoclip. Il successo è tale da portare, ad inizio ’96, i Technohead persino a Top Of The Pops seppur con due censure nel testo ( si veda qui e qui). Sul palco però non c’è la Newman, morta di cancro ad agosto dell’anno prima ed ignara del successo raccolto da “I Wanna Be A Hippy” di cui si stima siano state vendute oltre 150.000 copie. Curiosità: c’è chi propone il brano a 33 giri anziché 45 come fa in Italia Albertino nel DeeJay Time e nella DeeJay Parade.

The Corrs - DreamsThe Corrs – Dreams
Quartetto irlandese formato dai fratelli Corr, i Corrs si costruiscono una solida carriera nel ramo rock/folk. Nel 1998 aderiscono al progetto patrocinato dall’Atlantic per una raccolta celebrativa sui Fleetwood Mac, “Legacy: A Tribute To Fleetwood Mac’s Rumours”, che al suo interno raccoglie cover del gruppo londinese. Insieme a loro, tra gli altri, Elton John, The Cranberries e Goo Goo Dolls. I Corrs ricantano “Dreams”, con la produzione di Oliver Leiber e Peter Rafelson, ma a decretare il successo è il remix firmato da Todd Terry, lanciato nella top ten britannica dei singoli con evidenti richiami a quello realizzato qualche anno prima per “Missing” degli Everything But The Girl. Incoraggianti responsi giungono pure per il video approntato per l’occasione entrato nelle nomination ai Billboard Music Video Awards come Best New Clip. Considerato il grande successo, l’etichetta discografica ristampa l’album “Talk On Corners” uscito l’anno prima inserendo in tracklist anche il remix di “Dreams”. A sugellare il tutto è il concerto alla Royal Albert Hall dove i Corrs eseguono dal vivo il brano insieme a Mick Fleetwood, batterista e cofondatore dei Fleetwood Mac.

The Original - I Luv U BabyThe Original – I Love U Baby
Nato su iniziativa di Walter Taieb, DJ parigino di stanza a New York, il progetto The Original prende corpo nella primavera del 1994 con l’arrivo di Giuseppe ‘DJ Pippi’ Nuzzo, italiano trapiantato ad Ibiza dove è resident al Pacha. È lui a suggerire le linee guida di un brano che si completa grazie al supporto vocale del cantante turnista Everett Bradley. Ultimate le due versioni, la Swing Mix e la No! Swing Mix, Taieb e Nuzzo le sottopongono all’attenzione di una multinazionale ma ricevendo picche. Per non vanificare tutto, Taieb opta per l’autoproduzione e pubblica il disco su un’etichetta creata per l’occasione, la WT Records. Fiocca qualche licenza in Europa ma nulla di realmente esaltante, almeno sino a quando giungono i remix dal Regno Unito. A realizzare una delle nuove versioni è Ian Bland alias Dancing Divaz: la sua Club Mix è una cannonata per le classifiche che smonta l’apparato originario della traccia, fondato su un giro di organo contrapposto all’assolo di sax, a favore di arrangiamenti dal sapore più epico e malinconico, con pianate in grande evidenza ad incorniciare la voce di Bradley. Dal 1995 in poi è un tripudio di riconoscimenti, specialmente oltremanica, culminati con l’apparizione a Top Of The Pops dove il brano viene eseguito sulla base del remix, scelto ovviamente anche per accompagnare il videoclip. A pubblicare da noi “I Love U Baby” è la partenopea Flying Records che prende in licenza pure il follow-up, “B 2Gether”, ancora remixato da Dancing Divaz ma con resa inferiore. Taieb e Nuzzo torneranno al successo internazionale nel 1998 grazie a “On The Top Of The World” di Diva Surprise, cantato da Georgia Jones e scandito da un campionamento preso da “YMCA” dei Village People.

The Presence - Forever On My MindThe Presence – Forever On My Mind
Non è stata una hit con centinaia di migliaia di copie all’attivo ma un discreto successo nazionale nella primavera del 1996: “Forever On My Mind”, realizzata dal duo formato da Mauro Di Martino e Carlo Di Rosa nel loro Mad Studio a Ragusa, è una traccia house impreziosita dal contributo vocale del cantante statunitense Stefan Ashton Frank. A fare la differenza però è il remix dei Ti.Pi.Cal., solcato sul lato a del disco e realizzato sul modello garage d’oltreoceano, con la vocalità incastonata all’interno di paratie melodiche. Il 12″ apre il catalogo della Entroterra Records, etichetta creata dagli stessi Ti.Pi.Cal. in collaborazione con la bresciana Time Records ma la cui operatività è ricondotta ad una sola pubblicazione, analogamente a quanto avviene, peraltro nel medesimo periodo, alla E.S.P. – Extra Sensorial Productions, con “Electro Sound Generator” di Neutopia. Saranno sempre i Ti.Pi.Cal. a firmare il remix del follow-up, “Tonight”, pare rifiutato dalla Time di Maiolini e pubblicato dalla Nitelite Records del gruppo Do It Yourself, la stessa che chiude il cerchio con “Wanna Be The One” ritoccato ancora da Tignino, Piparo e Callea.

Tom Jones - Sex BombTom Jones – Sex Bomb
La Album Version ha il retrogusto di un vecchia canzone degli anni Sessanta pur essendo scritta e composta alle porte del nuovo millennio. A fare la differenza è la Peppermint Disco Mix realizzata da Mousse T. e i Royal Garden, pensata a mo’ di mash-up tra l’acappella del brano e la base ricavata da “All American Girls”, un successo del 1981 delle Sister Sledge. Per Mousse T. è l’inizio della fase pop della carriera che si evolve con una serie di successi radiofonici come “Fire” ed “Is It ‘Cos I’m Cool?”, entrambi cantati da Emma Lanford, e “Il Grande Baboomba” che lo vede impegnato insieme al nostro Zucchero con cui si esibisce alla Royal Albert Hall di Londra nel 2004 come testimonia questa clip.

Tomcraft - ProsacTomcraft – Prosac
La versione originale di “Prosac”, inchiodata ad un battente bassline e scivolosi suoni in reverse, esce nel 1997 ma senza raccogliere particolari elogi. A quattro anni di distanza la Kosmo Records pubblica due remix realizzati dallo stesso autore affiancato da Eniac, e a quel punto per la traccia si prospetta una seconda giovinezza dal più ampio respiro. Alla New Clubmix ed alla TC-THC Mix, elaborate meglio sul piano melodico rispetto alla prima, si somma il videoclip che fa presa sulle tv musicali. Il brano viene licenziato pure in Italia dalla Wild! Entertainment di Raffaela Travisano, a cui abbiamo dedicato una monografia qui, che però opta per due remix ex novo commissionati per l’occasione a Tony H e Karin De Ponti.

Tony Di Bart - The Real ThingTony Di Bart – The Real Thing
Il britannico Antonio Carmine Di Bartolomeo, nato a pochi chilometri da Londra ma di chiare origini italiane, viene baciato dal successo nel 1994 grazie a “The Real Thing”. La versione originale, scritta dallo stesso Di Bartolomeo insieme a Luce Drayton ed Andy Blissett e in circolazione dall’autunno del ’93, è una ballata pop con influssi jazzati poco nota e passata decisamente inosservata. A dare ad essa un taglio completamente diverso è il team dei Joy Brothers, artefice di un remix che si pone sulla linea di mezzeria tra house ed eurodance e conquista l’intera Europa incuriosendo anche Stati Uniti e Canada (in Italia arriva curiosamente attraverso due etichette, la X-Energy Records e la UDP del gruppo Disco Più di Lino Dentico). Sul 12″ c’è pure una seconda versione, la Original Dance Mix, parecchio simile alla prima ma firmata da Rhyme Time Productions (non è chiaro se gli artefici siano proprio gli stessi). Al di là dell’uso di pseudonimi e nickname, Di Bart porta il remix del pezzo a Top Of The Pops ad aprile, cantandolo dal vivo e non ricorrendo, come allora fa la maggior parte degli artisti, al playback. Segue una caterva di date nelle discoteche di tutta Europa, Italia compresa, e la nomination agli International Dance Awards, tenutisi a Londra il 22 gennaio 1995 dove “The Real Thing” è in lizza insieme a pezzi come “Anytime You Need A Friend” di Mariah Carey ed “Incredible” di M-Beat Featuring General Levy. La Cleveland City tenterà di tenere alto l’interesse nei confronti dell’artista con altri singoli come “Do It”, “Why Did Ya” e “Turn Your Love Around”, ma riuscendo solo parzialmente nell’intento.

Tori Amos - Professional WidowTori Amos – Professional Widow
Inclusa nell’album “Boys For Pele”, “Professional Widow” è una canzone che Tori Amos scrive attingendo alcuni versi da “La Sfinge”, il racconto di Edgar Allan Poe. Musicalmente è legata al rock alternativo ma il remix che ne decreta il successo mondiale la traghetta in un mondo completamente differente. Nella sua Star Trunk Funkin’ Mix Armand Van Helden ricostruisce il pezzo partendo, pare, da un frammento ritmico carpito a “Trinidad” di John Gibbs & The U.S. Steel Orchestra, e poi prosegue verso un universo fatto di house music squarciata da un basso funk assassino e sbilenco in cui dondolano brevi cellule vocali della Amos. Sembra più una traccia inedita che un remix tanto è il divario col brano originale e pare che questa audace rilettura sia piaciuta parecchio anche all’autrice, felice che il DJ non abbia tenuto saldi i tasselli di partenza preferendo invece andare in una direzione totalmente diversa. Sul 12″ edito dalla Atlantic figura pure un secondo remix a firma MK che però risulta irrilevante se messo a confronto col primo. A curare la post-produzione della celebre Star Trunk Funkin’ Mix è Johnny De Mairo, fondatore della Henry Street Music per cui Van Helden incide dal ’94 e ai tempi A&R per l’Atlantic. La versione di Van Helden, infine, viene scelta per un videoclip realizzato riciclando ed assemblando frame tratti da altri video della cantante come quelli di “Crucify”, “Winter” e “Silent All These Years”.

Wamdue Project - King Of My CastleWamdue Project – King Of My Castle
La versione originale di “King Of My Castle” è inclusa in “Program Yourself”, il secondo dei tre album che Christopher Brånn, da Atlanta, firma Wamdue Project. Pubblicata dalla Strictly Rhythm, la traccia vive in una bolla di deep house tinta di funk ed è irrorata dalla voce di Gaelle Adisson, la stessa che si sente in “You’re The Reason”, un altro pezzo dell’LP che a tratti ricorda lo stile di “Disco’s Revenge” di Gusto uscito qualche anno prima. A trasformare quello che è destinato ad una ristretta cerchia di eletti in un successo mainstream dalle dimensioni colossali è il remix realizzato in Italia da Mauro Ferrucci per l’occasione trincerato dietro lo pseudonimo Roy Malone. Insieme a lui, nel Cotton Fields Studio di Padova, c’è Walterino, quello del team L.W.S. ed Olga intervistato qui. La King Mix mostra pochi punti in comune con l’originale: l’armatura ritmica corazzata incornicia arrangiamenti essenziali e la sezione vocale della Adisson, finita ovviamente nel videoclip che ad oggi conta più di nove milioni di visualizzazioni su YouTube. Altri remix si sommano al pacchetto, da quello di Roger ‘The S-Man’ Sanchez a quello di Charles Schillings (editi, insieme alla versione di Malone, dalla veneta Airplane! Records) passando per quelli di Armin van Buuren e di Bini & Martini usciti nel 1999.

Whatever, Girl - Activator (You Need Some)Whatever, Girl – Activator (You Need Some)
Col suo incedere ipnotico abbinato ad inserti tribaleggianti, nel 1994 “Activator (You Need Some)” diventa un autentico tormentone nelle discoteche specializzate. A produrlo sono Bill Coleman e Louie Guzman uniti come Whatever, Girl ma le loro versioni, la Gee, Your Hair Smells Terrific! Mix e la T.C.B. Mix, non sono depositarie del successo. A fare la differenza è invece la Jheri Curl Sucker Wearin’ High Heeled Boots Mix incisa sul lato a ed approntata da Johnny Vicious, che peraltro pubblica il disco sulla sua etichetta, la Vicious Muzik Records. In Italia arriva attraverso la bresciana Downtown del gruppo Time che assegna erroneamente la paternità proprio a Johnny Vicious, annunciato sull’adesivo rettangolare applicato in copertina come “the next David Morales”.

Whigfield - Saturday NightWhigfield – Saturday Night
È un caso strano quello di Whigfield, progetto ideato da Davide Riva (intervistato qui) e Larry Pignagnoli e giunto sul mercato nel 1993 con “Saturday Night”. La versione incisa sul lato a, la Dida Mix, è figlia di quanto avvenuto nel biennio precedente con l’esplosione e massificazione di suoni tendenzialmente legati alla eurotechno, e contiene quindi i retaggi di tutto quel serbatoio con cui il mainstream italiano approccia ad un genere messo in antitesi alla house fatto da casse marcate, suoni di sintetizzatore in grande evidenza, arrangiamenti dalle espressività meccaniche, voci campionate ed usate a mo’ di strumenti. Probabilmente, proprio in relazione a questa attinenza stilistica, alla Energy Production decidono di pubblicare il 12″ su Extreme, etichetta usata in prevalenza per produzioni di estrazione filo techno e sulla quale, peraltro, poco tempo prima trovano spazio fortunatissime licenze come “The House Of God” di D.H.S. ed “Ambulance” di Robert Armani. Sul lato b finiscono altre due versioni, la Nite Mix, inserita a giugno ’93 dal team dell’AID su uno dei dischi destinati al servizio per corrispondenza Promo Mix, e la Beagle Mix, radicalmente differenti dalla prima. Per circa un anno non avviene nulla fatta eccezione in Spagna dove “Saturday Night” raccoglie discreti consensi anche grazie ad un particolare balletto abbinato, pare inventato in una discoteca iberica. Whigfield sembra comunque destinato a finire nell’oblio, tra la miriade di brand usciti dagli studi di registrazione italiani negli anni più floridi e prolifici dell’eurodance. Alla fine dell’estate ’94 però la Nite Mix entra nella classifica britannica dei singoli direttamente al primo posto forte di 500.000 copie vendute, togliendo lo scettro ai Wet Wet Wet con “Love Is All Around” e ritrovandosi a dividere la parte più alta di quella chart con un’altra hit made in Italy, “The Rhythm Of The Night” di Corona. Da quel momento in poi per Pignagnoli e Riva cambia davvero tutto: l’interesse mostrato dal Regno Unito, ai tempi autentica cartina tornasole delle tendenze musicali europee, innesca un effetto domino che si propaga ovunque. Fioccano richieste di licenze da ogni angolo del globo (un anno prima erano state appena un paio) e viene girato un videoclip in cui la scena è dominata da Sannie Charlotte Carlson, modella danese ventiquattrenne scelta come frontwoman del progetto (a cantare è invece la britannica Annerley Gordon). Immancabile l’ospitata a Top Of The Pops col debutto il 15 settembre ’94 a cui si somma la puntata natalizia in cui la Carlson è introdotta da due presentatori d’eccezione, Howard Donald e Jason Orange dei Take That. Per gestire meglio tutto ciò la Energy Production ristampa il disco (affiancandolo al CD singolo), questa volta sulla label principale del gruppo, la X-Energy Records, aggiungendo una manciata di rivisitazioni a firma Fishbone Beat e la dicitura “remix ’94” seppur a spopolare non sia affatto un remix ma la Nite Mix, adesso finita sul lato a (la Dida Mix invece viene relegata alla posizione periferica B3). Più di qualcuno quindi pensa erroneamente che a cambiare le sorti della canzone sia un remix, alimentando in buona fede un falso storico. Sul retro della copertina trova spazio inoltre l’accurata guida (anche fotografica) per il sopraccitato balletto a cui è abbinato il brano di Pignagnoli e Riva, in seguito oggetto di qualche accusa di plagio ai danni di “Rub A Dub Dub” degli Equals e “Fog On The Tyne” degli Lindisfarne ma a quanto pare caduta in assenza di oggettivi appigli legali. Alla fine di “Saturday Night”, «inno pigolante con una tastierina che si infilava nel cervello e non lo lasciava più», come scrivono Carlo Antonelli e Fabio De Luca in “Discoinferno”, ne vengono vendute oltre due milioni di copie.

York - On The BeachYork – On The Beach
Il progetto York gestito dai fratelli Jörg e Torsten Stenzel debutta nel 1997 con “The Big Brother Is Watching You” ripubblicato poco tempo dopo come “The Awakening”. Nel 1999 tocca a “On The Beach”, rivisitazione dell’omonimo di Chris Rea del 1986 immersa in una soluzione a metà strada tra house e trance. «Registrammo l’assolo di chitarra nel mio studio, risuonandolo e non campionandolo come qualcuno potrebbe immaginare» racconta Torsten Stenzel in questa intervista. «Una volta completato il brano, lo licenziammo alla Sony e alla Manifesto che commissionarono vari remix». Tra le tante nuove versioni ce n’è una che spicca in modo particolare, quella realizzata in Italia negli studi della Media Records da Mauro Picotto ed Andrea Remondini e firmata CRW. Ritmicamente potenziato, il pezzo rivive nella dimensione eurotrance conquistando il favore del Regno Unito e rivelandosi determinante per raggiungere lo strepitoso risultato di oltre 300.000 copie vendute. A pubblicare in Italia “On The Beach” è la No Colors del gruppo F.M.A. che sul 12″ e sul CD singolo inserisce il remix dei CRW ma attribuendolo, per ragioni mai chiarite, a Basic Connection, un marchio di cui abbiamo parlato sopra. Ciò scatena una controversia tra la F.M.A. e la Media Records. Quest’ultima ristamperà il remix in questione su W/BXR, sussidiaria pop della BXR, ma con un nome artistico diverso, Lesson Number 1.

Ziggy Marley And The Melody Makers - Power To Move YaZiggy Marley And The Melody Makers – Power To Move Ya
Così come avvenuto al padre Bob, anche Ziggy Marley e i suoi Melody Makers vengono trascinati nella musica da discoteca attraverso un remix. Incluso nell’album “Free Like We Want 2 B”, il brano originale oltrepassa la soglia della classica formula reggae adoperando una base downtempo in cui fanno capolino persino chitarre elettriche. Per i remix l’Elektra coinvolge vari artisti: Hani e DJ Dmitry, artefici della Kundalini Rising Mix, Longsy D, Mousse T. ed E-Smoove. È la versione di quest’ultimo a svettare su tutte, la Smoove Power, che adatta perfettamente “Power To Move Ya” in una cornice house garage, con grandi pianate in evidenza. Ziggy Marley diventa così un protagonista dell’estate ’95 facendo la staffetta con altri fortunati remix già descritti sopra (De’Lacy, Bobby Brown, Jamiroquai, Dana Dawson, Everything But The Girl…). Nel ’97 l’Elektra tenta di fare il bis affidando ancora ad E-Smoove il remix di “Everyone Wants To Be” estratto dall’album successivo di Ziggy Marley And The Melody Makers, “Fallen Is Babylon”, ma l’impresa non riesce. Il DJ americano si rifarà comunque nel 2001 incidendo “Shined On Me” come Praise Cats.

Zombie Nation - Kernkraft 400Zombie Nation – Kernkraft 400
Nei primi mesi del 1999 a pubblicare il primo disco degli Zombie Nation (Florian ‘Splank!’ Senfter ed Emanuel ‘Mooner’ Günther), da Monaco di Baviera, è l’International DeeJay Gigolo Records di DJ Hell. Uno dei cinque brani dell’EP è “Kernkraft 400”, «un pezzo electro cadenzato da incastri di suonini in stile chiptune, un sample vocale che ripete il nome del gruppo, un basso in ottava e soprattutto il riff di “Stardust” composto da David Whittaker per il videogioco “Lazy Jones” del 1984» (da Gigolography, 2017). Immerso tra retaggi di Kraftwerk e Yellow Magic Orchestra, “Kernkraft 400” è destinato all’underground più settoriale da poche migliaia di copie ma poi arriva un remix che lo trasforma in un successo pop mondiale. Artefice è l’italiano Cristiano ‘DJ Gius’ Giusberti, la cui versione, frutto di una semplificazione degli elementi di partenza, viene scelta per accompagnare il video che sostituisce il più macabro e violento realizzato qualche tempo prima sulla base dell’originale e in cui compare Senfter. È sempre il remix italiano ad essere utilizzato per gli spettacoli televisivi tra cui l’apparizione a Top Of The Pops per cui Zombie Nation viene trasformato in una sorta di gruppo carnevalesco: l’effetto finale rammenta quanto avvenuto pochi anni prima ai Technohead con “I Wanna Be A Hippy” di cui si è già detto prima. Grazie alla rivisitazione di Giusberti “Kernkraft 400” diventa una hit planetaria anche se Splank!, nel frattempo diventato unico componente del progetto Zombie Nation, non risparmierà toni fortemente polemici nei confronti dell’etichetta italiana che fa realizzare il remix ed una Live Version correlata, la Spectra Records del gruppo bolognese Arsenic Sound diretto da Paolino Nobile intervistato qui.

(Giosuè Impellizzeri)

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La storia di Italian Style Production, etichetta-laboratorio della Time

Nel 1990 la house music ha già conquistato in modo definitivo i gusti dei giovani europei. Le prime produzioni italiane di questo genere circolano sin dal biennio 1987-1988 (per approfondire si rimanda a questo dettagliato reportage), ma nel 1989, con l’exploit mondiale di artisti come Black Box, FPI Project, 49ers e Sueño Latino, l’attenzione delle case discografiche indipendenti si sposta in modo netto verso quella che inizialmente sembra solo l’ennesima delle mode passeggere provenienti dall’estero. Alla Time Records, in attività sin dal 1984 in ambito italo disco/hi NRG, si cercano nuovi stimoli e strade da percorrere e in tal senso la house appare la scelta stilistica più ovvia e rassicurante dal punto di vista economico. «Fino all’esplosione della house made in Italy avevo indirizzato la nostra produzione prevalentemente all’hi NRG e al mercato giapponese» spiega Giacomo Maiolini, fondatore della Time, in un’intervista del febbraio 1993. Ed aggiunge: «Una volta scoppiato il boom dell’italian style (non è chiaro se il manager si riferisse allo stile italiano della house che conquista le classifiche internazionali o specificatamente alla sua etichetta, nda) ho aggiunto al nostro catalogo un buon quantitativo di prodotti ricalcanti questa linea con notevoli risultati». Nasce così una label finalizzata a coprire un nuovo segmento stilistico, diverso da quello che la Time destina al Paese del Sol Levante. Per cavalcare il boom della house però Maiolini, come lui stesso illustra in questa intervista di Alfredo Marziano pubblicata da Rockol il 24 gennaio 2014, si affida a persone completamente diverse perché «chi lavorava sulle produzioni giapponesi non era in grado di lavorare sulla house e viceversa». La neo etichetta, tra le prime sublabel del gruppo Time, si chiama Italian Style Production e già nel nome evidenzia lo spirito patriottico. Ad accompagnarla, per diversi anni, è la tagline “House Evolution” e un design grafico che mostra una coppia stilizzata di un uomo ed una donna che ballano a cui si somma un logo simile al simbolo della pace rovesciato. Il divertimento, la musica e il senso di unione, del resto, sono il leitmotiv di quel periodo, soprattutto se si pensa alla Berlino post Muro. Il business discografico prospera e sul mercato non faticano ad arrivare anche quei pezzi nati con l’obiettivo di prendere le misure di una musica nuova e dall’evoluzione in divenire. A dirla tutta, Italian Style Production sembra proprio un’etichetta-laboratorio da cui escono, per anni, centinaia di pubblicazioni tra cui, di tanto in tanto, qualche successo nazionale ed internazionale. Parte del resto diventa materiale cult per appassionati e collezionisti attenti a tutto ciò che, per ragioni plurime, non finisce nelle classifiche di vendita e sotto i riflettori.

1990-1991, l’avvio nel segno dell’italo house

DJ Pierre - Move Your Body

“Move Your Body” di DJ Pierre (il bresciano Pierangelo Feroldi) è il primo disco pubblicato su Italian Style Production

Ad aprire il catalogo è “Move Your Body” di DJ Pierre (Pierangelo Feroldi), disc jockey bresciano già con diverse produzioni alle spalle e che, come si evince dalla biografia di Maiolini disponibile sul sito della Time Records, è co-fondatore della stessa Italian Style Production. Il brano, scritto insieme al veronese Roberto ‘Roby’ Arduini, mette insieme le pianate tipiche della spaghetti house con una base in stile Twenty 4 Seven e sample tratti da “Get Up! (Before The Night Is Over)” dei belgi Technotronic. Segue “Come On Come On” di Aysha, scritto da Arduini e Ronnie Jones sulla falsariga dell’hip house degli olandesi Twenty 4 Seven (di cui abbiamo parlato qui) e “I Need Your Love”, primo disco di Jinny, progetto destinato a raccogliere particolari consensi ma solo negli anni a venire. Prodotto da Walter Cremonini e scritto da Francesco Boscolo, co-autore di “I’m Alone” dei Club House uscito nel 1989 su Media Records e di cui si parla qui, il pezzo fa leva su un sample vocale preso da “It’s Too Late” di Nayobe. Da questo momento in poi, Cremonini diventa uno dei principali protagonisti dell’Italian Style Production. Sua la firma dell’hip house di “Come On Yours” di B Master J, arrangiato con un altro di cui si parlerà parecchio in futuro, Claudio Varola. Più schiettamente italo house è invece “Movin Now” di Pierre Feroldi Featuring Linda Ray, costruito sulle armonie di “System” di Force Legato e le voci di “Waited So Long” di Darcy Alonso, riprese dallo stesso autore nel ’93 in “Make It Together” di Drop ma in chiave eurodance. È sempre Feroldi, affiancato da Laurent Gelmetti, a realizzare “I Can’t Feel It” di Yankees, quasi un clone di “I Can’t Stand It” dei Twenty 4 Seven, e “Going On” di KC Element, un mosaico di sample assemblato a mo’ di medley (“Happenin’ All Over Again” di Lonnie Gordon, “Don’t Miss The Party Line” dei Bizz Nizz, “Poetry House Style” di J.D. Featuring Inovator Dee e “A Little Love (What’s Going On)” di Ceejay). Pare che prima di essere pubblicato su Italian Style Production il brano circoli su un promo firmato come J.D. Element, poi cambiato in KC Element probabilmente per non correre il rischio di essere facilmente collegato col J.D. (John Laskowski) campionato. La decima uscita vede debuttare un altro nome di cui si sentirà parlare negli anni successivi, Dirty Mind. “The Killer” attinge dal campionario sonoro new beat ma con una citazione funk/disco dei MFSB tratta da “Zach’s Fanfare #2” (dall’album “Philadelphia Freedom” del ’75). A produrla è il team dell’Extra Beat Studio, Antonio Puntillo, Sergio Dall’Ora e Roby Arduini, con la collaborazione di Pagany. A mixarla invece Max Persona, intervistato qui. Arriva dall’estero invece “The Future Is Ours”, l’album della coppia Musto & Bones preso in licenza per l’Italia dalla City Beat e da cui viene estratto il singolo “All I Want Is To Get Away”.

Feroldi ed Arduini sono due autentici fiumi in piena: realizzano “House Of Hell” di House Corporation strizzando l’occhio agli Snap!, “For Your Love” di Anita Adams, “Ain’t No Sunshine” di Soul To Love, “Walking Away” di Synthesis e “Get Round” di Blazer. L’uso intensivo di un nuovo pseudonimo per ogni disco rivela una pianificazione tutto fuorché strategica. La house, del resto, è musica fitta di incognite e misteri, sbocciata tra mille nomi di fantasia e sample raccattati a destra e a manca (e senza alcun credito riservato agli autori originali), e ciò alimenta parecchio la curiosità del pubblico. Si rifanno vivi i veronesi dell’Extra Beat, prossimi ad essere messi sotto contratto dalla Media Records, con un altro pezzo che incrocia new beat (in Italia a lungo spacciata per techno) ed hip house, “I’m A R.A.B.O.L.” di Fighter MC. Quella su Italian Style Production è praticamente una staffetta tra Verona e Brescia: Feroldi gioca ancora coi sample in “Work For More” di Linda Ray, “Thank You” di Synthesis, “What’s Happened” di Yankees, “Spaak” di Task Force, “No One Can Do It Better” di B Master J, “African Jungle” di African Jungle e in “The Beat” firmata a suo nome. A “Brain” collega l’acronimo P.F. mentre con Marcello Catalano realizza “Got To Try” di KC Element, “It’s A New Day” di Jennifer Payne, “OK Radio” di Soggetto, “No Groove” di House Of Crazy Sound, “Back Again” di Rap Delight, “Let Your Body Move” di MC Marshall (cantato da Valerie Still, affermata cestista statunitense che tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta tenta la carriera musicale e di cui parliamo qui nel dettaglio), “Visions” di Basic Experience, “Double U” di Hypnotik (sul giro di “Assault On Precinct 13” di John Carpenter), “Go Get It” di Smiling Frogs e “Tonight” di In House, quest’ultimo in battuta downtempo ammiccando alla hit degli Enigma, “Sadeness Part I”. Dirty Mind riappare prima con “The Dream” in cui scorre, tra le altre cose, un sample ritmico dei Kraftwerk, e poi con “What Time Is It”, entrambe estratte dall’album “The Killer”. Su basi house iniziano ad apparire sovente suoni sintetici annessi convenzionalmente alla techno, come avviene in “Stop Provin'” di X.B.T. prodotto a Verona ancora da Arduini, Puntillo e Persona. I primi due affiancano Francesco Scandolari in “New Life, New Civilization” di Doctor Franz. Cremonini e Boscolo, da Padova, firmano invece il downtempo/hip hop di “Party Time” di M.C. Tad (Tad è l’acronimo di The Absolute Dopest) e la euro techno di “Got To Be” di Hypnotyk mentre Marco Bongiovanni, ex bassista dei Gaznevada e in quel periodo alle prese col fortunato progetto DJ H. Feat. Stefy condiviso con Enrico ‘DJ Herbie’ Acerbi (di cui si parla qui), produce “Just Groovin'” come DJ D Lite usando un sample di “Video Games” degli Alien con qualche anno di anticipo rispetto ai Pan Position che lo inseriranno in “Elephant Paw”.

KC Element - What Time Is It

“What Time Is It?” di K.C. Element è il primo 12″ che la Italian Style Production pubblica col centrino di colore blu

Il primo ad essere pubblicato nel 1991 è “What Time Is It?” di KC Element, prodotto da Feroldi e Dall’Ora seguendo lo stile della hardcore techno britannica che comincia a vivere un periodo di forte esposizione commerciale. È anche il primo 12″ dell’Italian Style Production col centrino di colore blu, da questo momento usato alternativamente al nero. Forse inizialmente tale scelta viene presa per evitare la monotematicità grafica ma, come si vedrà più avanti, la distinzione cromatica poi servirà anche ad un fine preciso. Blu è pure il colore scelto per l’etichetta centrale di “Run To Me” di Ruffcut Featuring Carol Jones, ad opera di Feroldi, Ivan Gechele e Mauro Marcolin. Campionando il riff di “Let Me Hear You (Say Yeah)”, la hit di PKA, sovrapposto al rap preso da “Jam It On The Dance Floor” di Unity Featuring The Fresh Kid e un frammento di “(I Wanna Give You) Devotion” dei Nomad, la coppia Feroldi/Marcolin realizza “Jammin On The Dance Floor” di House Corporation a cui seguono, in rapida sequenza, “Get On The Floor” di DJ Pierre, “Make A Move” di P.F. e “Rock The House” di Synthesis.

M.C. Claude - Highlander

Attraverso “Highlander” di M.C. Claude, Italian Style Production vara un diverso layout grafico usato per anni in modo saltuario

Poi si fanno risentire Boscolo e Cremonini con “Highlander” di M.C. Claude (il primo apparso con un layout diverso con una combinazione grafica minimalista) e sbuca una nuova licenza, “Love Let Love” di Tony Scott, rilevata dall’olandese Rhythm Records. Dopo un anno di attività e con oltre cinquanta uscite all’attivo, l’Italian Style Production inizia a circolare capillarmente nel mercato discografico seppur non abbia ancora centrato l’obiettivo con una vera hit. La situazione cambia col ritorno di Jinny per cui questa volta Cremonini si lascia affiancare da Alex Gilardi e Claudio Varola. “Keep Warm” è ispirato dal quasi omonimo “Keep It Warm” di Voices In The Dark del 1987 (campionato nel medesimo periodo dai romani Groove Section nella loro “Keep It Warm” su Hot Trax) e scandito da un secondo sample preso invece da “Playgirl” di La Velle, lo stesso che compare in “Your Love” di Fargetta nel 1993. Come racconta Gilardi qui, la Next Plateau di Eddie O’Loughlin pubblica “Keep Warm” negli Stati Uniti considerandola una potenziale hit e nell’affare entra anche la Virgin Records che gestisce il prodotto per il resto del mondo. Il brano fa ingresso nella top ten dance di Billboard e in decine di altre rilevanti classifiche statunitensi, finendo in programmazione radiofonica insieme a colossi del pop/rock. Ottimi risultati giungono anche dal Regno Unito e dall’Europa continentale ma, stranamente, non dall’Italia dove “Keep Warm” passa del tutto inosservata almeno sino al 1995 quando la londinese Multiply Records pubblica nuovi remix, tra cui quello dei veneti Alex Party, e Jinny finisce a Top Of The Pops.

Feroldi e Marcolin continuano ad incidere brani su brani, da “Everybody Get Up” di Magic Marmalade (a cui collabora Carlo Paitoni ovvero Carlo Vanni del negozio di dischi bresciano Deejay Choice di cui parliamo in Decadance Extra) a “Jungle Beat” di African Jungle, da “Get Away” di Pierre Feroldi Featuring Linda Ray (il main sample viene da “Stop And Think” dei Fire On Blonde) a “Living” di New World passando per “Love Me Now” di M.C. Marshal, “I’ve Got The New Attitude” di Linda Ray, “I’m Gonna Get You” di Jennifer Payne (il campione, preso da “Love’s Gonna Get You” di Jocelyn Brown, è lo stesso che useranno l’anno dopo, ma con più fortuna, i Bizarre Inc) e “Fever” di Carol, costruito sulla falsariga di “Touch Me” dei 49ers ed “I Like It” di DJ H. Feat. Stefy. Da Verona giunge “Everybody Let’s Go”, nuovo singolo di Dirty Mind allacciato ai suoni della eurotechno che vive la prima fase di commercializzazione, mentre da Padova “You Got The Dance” di Open Billet, “I Can’t Stand It” di Sound Machine, “Peecher Rap” di Woody Band e “Let’s Go” di B Master J per cui viene adoperata ancora una grafica differente insieme ad “I Wanna Be Right There” di Jennifer H. Featuring Marco Larri. Marcello Catalano, questa volta in solitaria, appronta il secondo (ed ultimo) disco di House Of Crazy Sound, “Best You Can Get”.

Italian Style Compilation

La copertina della “Italian Style Compilation” mixata da Maurizio “Bit-Max” Pavesi, in quel momento all’apice del successo

La settantesima uscita è rappresentata dalla “Italian Style Compilation”, raccolta edita su LP, musicassetta e CD e mixata da Maurizio Pavesi in quel periodo all’apice del successo come Bit-Max (di cui parliamo qui). Poco tempo dopo ne arriva un’altra intitolata “Megastyle” e mixata da Feroldi. La corsa riprende con “A. O. (No Bunga Low)” di Soul To Love, in cui Walter Cremonini riesce a sposare un frammento di “Rebel Without A Pause” dei Public Enemy con “A-O (No Bungalow)” dei norvegesi Data, già ripresa nel 1984 dagli italiani Yanguru prodotti dal citato Pavesi e Stefano Secchi. Coi fidi Varola e Gilardi, Cremonini realizza invece “Barbaro” di M.C. Claude, sullo stile di Digital Boy. Feroldi e Marcolin, in compagnia di Walter Biondi, producono “Get It On” di The First Twins, con una matrice ripresa in “Time” di K-F.M., pubblicato sulla stessa label l’anno successivo. Biondi e Minelli, quest’ultimo reduce della produzione di “Antico” del progetto omonimo tenuto a battesimo dalla GFB del gruppo Media Records, assemblano le tre versioni di “Atto I°” di Analogic. L’instancabile e vulcanico Feroldi produce “Don’t Try To Tease Me” di DJ Choice dove riappare Paitoni (e ciò spiegherebbe la ragione dell’alias scelto) e in cui pare di assaggiare un’anticipazione dell’eurodance che si svilupperà in modo compiuto dal 1992. Ancorata al combo techno/house sdoganato dai britannici Bizarre Inc e cavalcato con successo dai Cappella è “Like Like This” di KC Element. Sono gli anni in cui si campiona di tutto e da tutto, compreso le preghiere come avviene in “Alleluja” di Dirty Mind. La parte vocale di “Buffalo Bill” degli Indeep finisce in “Let’s Dance” di Magic Marmalade e quella di “Not Gonna Do It (I Need A Man)” di Vicky Martin in “Anymore” di Brenda. Ulteriori stimoli eurodance affiorano in “Could Be Rock” di Open Billet (una risposta a “Rock Me Steady” di DJ Professor?) mentre “House Time” di Synthesis occhieggia ai 2 Unlimited, “Movin Up And Down” di Anita Adams e “Talk About” di Ruffcut puntano ancora alla piano house ed “Everybody Need Somebody” di A.R.T. replica lo schema di “We Need Freedom” degli Antico. Modelli più house sono quelli di “Wake Up” di Sound Machine a cui si somma “Don’t Stop” di Celine, prodotto dallo stesso team di Jinny sull’onda di “Keep Warm”.

Feroldi (ri)mette mano a “Movin Now” dell’anno precedente ora ripubblicata come “Perfect Love” ed attribuita a Linda Ray (presumibilmente un nome fittizio adoperato per giustificare la presenza vocale solitamente campionata da brani esteri) a cui seguono la sua “Everyday” e “We Don’t Need No Music” di Party Machine in cui sono rispettivamente allocati i sample di “No Frills Love” di Jennifer Holliday e “Crash Goes Love” di Loleatta Holloway. Il campionatore è lo strumento fondamentale nella house music di quel periodo, irrinunciabile specialmente per chi, in Italia, fatica a trovare vocalist madrelingua vedendosi costretto a ripiegare sulle acappellas incise su dischi d’importazione. Cremonini, Gilardi e Varola usano quella di “I Need You Now” di Sinnamon per “Give Yourself To Me” di Sonic Attack mentre Gelmetti e Marcolin optano per quella di “K.I.S.S.I.N.G.” di Siedah Garrett per “Uh La La” di Soul System. Italo house con grandi pianate in evidenza è pure quella di “Beet Oven” di T.E.E. (Cremonini con Ricky Stecca, Roby ‘Long Leg’ Sartarelli – intervistato qui – ed Andrea Acchioni), “Everything” di Spiritual (Mauro Marcolin e Valerio Gaffurini), e “Get Into My Life” di Local Area Network (Gelmetti e Marcolin). La prolificità è senza dubbio tra i segni distintivi dell’Italian Style Production che sortisce più interesse all’estero che in Italia: è il caso di “It’s Not Over” di Istitution, prodotto da Luigi Stanga, Ivan Gechele e Franco Martinelli in cui si intravede la formula che porterà tanta fortuna ai Livin’ Joy pochi anni più tardi. Il brano viene licenziato oltremanica dalla Brainiak Records che commissiona i remix ad Andrew “Doc” Livingstone (quello di “Bamboogie” di Bamboo) e al compianto Caspar Pound (la sua “RHL Mix” è inchiodata al giro di “Rock To The Beat” di Reese). Spetta al remix di “Let’s Dance” di Magic Marmalade toccare quota cento del catalogo. Il repertorio inizia ad essere consistente e, col fine di fare un sunto di ciò che è avvenuto negli ultimi tempi, viene approntata la “Italian Style Compilation Vol. II”. Martinelli, Gechele e Stanga tornano a farsi sentire prima come Pharaoh con la cover new beat di “Dance Like An Egyptian” dei Bangles e poi con “I Feel The Friction” di Black House. Ritorna pure il team House Corporation con “I Know I Can Do It”: a capitanarlo è il “solito” Feroldi che nel contempo si occupa di “Everybody Move” di KC Spirit, col campionamento di un classico della house statunitense, “Ride On The Rhythm” di “Little” Louie Vega & Marc Anthony. A fine anno Maiolini apre i battenti dei Time Studios (in una “megainaugurazione”, come scrive Eugenio Tovini in un articolo sulla rivista Tutto Disco), lì dove vengono prodotti moltissimi dei brani che usciranno in seguito.

1992-1993, l’alba dell’eurodance

La parabola fortunata dell’italo house, costruita essenzialmente su campionamenti vocali ed estensivi giri di pianoforte, è quasi al termine. A circa tre anni dall’exploit internazionale, la formula entra in una fase di stanca e di sterile ripetitività dovuta al ristagno creativo. L’Italian Style Production, che sinora ha praticamente puntato quasi tutto su tale filone, è costretta a rivedere la propria progettualità ma non prima di aver immesso sul mercato “Down Town” di DJ Cornelius, “Do It Now” e “Don’t Stop The Beat” di Magic Marmalade e “Let’s Talk About You And Me” di Ella Lund. La house pianistica comincia a lasciare il posto a costrutti imparentati coi suoni ruvidi tipici delle produzioni nordeuropee (come “George Bush” di Wash. D.C., il primo Italian Style Production a cui collaborano Giordano Trivellato e Giuliano Sacchetto, coppia destinata ad una rosea carriera) e a soluzioni affini all’eurodance come “Gone Away” di Danaeh. In parallelo nasce e si sviluppa una visione house più legata ai suoni ovattati in auge nelle discoteche specializzate. È il caso di “Love Will Make It Right” di Ruffcut prodotto da Cremonini & company, scandito dal suono di una campana usata a mo’ di refrein. Strascichi hip house si sentono in “Let’s Get Together” di Synthesis caratterizzato da un hook vocale che sembra annunciare “Move On Baby” dei Cappella mentre in “Tropical Movement”, secondo ed ultimo disco che Marco Bongiovanni firma come DJ D Lite, fanno prepotentemente capolino le congas e un giro di organo.

Collage ISP

Alcuni dischi comparsi nel catalogo Italian Style Production marchiati con nomi di personaggi storici

Cremonini e i suoi sono infaticabili e tirano fuori pezzi a raffica dal Prisma Studio: dalla house (“Hot For You” di Three D, “Believe You” di Tune Grooves) a forme ibridate tra eurodance ed house (“Feel The Power” di Open Billet, “Sky” di Brenda) passando per “Funk Express” di Brothers Of Funk, che occhieggia ad “How-Gee” di Black Machine di cui parliamo qui, e “Highlander Part II” di MC Claude con rimandi alla hardcore techno dei Paesi Bassi. Marcolin, dal canto suo, non se ne sta con le mani in mano e sforna “Waste Your Time” di House Corporation, “Are You Ready” di KC Spirit, “Paura” di Louis Creole, “Play My Games” di Contact One e “Can’t Stop” di B Master J. Menzione a parte per “I Need Loving You”, primo disco di Quasimodo curato proprio da Marcolin che inaugura una serie di pubblicazioni legate a nomi di personaggi storici (scrittori, pittori, astronomi, esploratori). Filo conduttore resta la serrata pratica del campionamento che in “I Need Loving You” si rivela attraverso il riadattamento del riff di “Sweet Dreams” dei britannici Eurythmics. Segue “My Obsession” che Cremonini, Gilardi e Varola firmano come Keplero ma raccogliendo pochi consensi. La situazione si ribalta con “Open Your Mind” di U.S.U.R.A., l’ennesimo dei nomignoli comparsi nel catalogo della label bresciana. Messo a punto da Cremonini, Varola e Comis a cui si aggiungono Claudio Calvello e la bella Elisa Spreafichi tempo dopo nota come Lisa Allison, il pezzo ruota sul sample (pare risuonato) di “New Gold Dream (81-82-83-84)” dei Simple Minds, ossessivamente scandito da un vocal tratto dalla pellicola “Total Recall” del 1990 controbilanciato da un frammento irriconoscibile di “Solid” di Ashford & Simpson. Stampato sia su etichetta blu che nera, “Open Your Mind” è, dopo “Keep Warm” di Jinny, la nuova hit internazionale messa a segno dalla Italian Style Production che macina licenze in tutto il mondo e vende centinaia di migliaia di copie, si dice almeno 700.000. Per l’occasione viene approntato un videoclip interamente basato sull’effetto morphing in cui passano in rassegna volti di celebrità tra cui Margaret Thatcher, Ronald Reagan, Joseph Stalin e Benito Mussolini. Visto il grandissimo successo (Italia inclusa), gli U.S.U.R.A. “migrano” sulla label principale del gruppo diretto da Maiolini, la Time per l’appunto, sin dal successivo singolo intitolato “Sweat”, analogamente a quanto avviene per Jinny dopo “Keep Warm”.

U.S.U.R.A. - Open Your Mind

Con “Open Your Mind” degli U.S.U.R.A. l’Italian Style Production torna nelle classifiche internazionali dopo “Keep Warm” di Jinny dell’anno prima

Galvanizzato dagli strepitosi risultati, il team patavino mostra subito la sua iperattività ed incide pezzi a nastro, da “Transilvania” di I.N.C.U.B., trainato dall’assolo sinfonico di un organo della L.S.A. Version, a “Bam Bam Show” di Andros, a cui prendono nuovamente parte Trivellato e Sacchetto, da “Rag Time” di P.I.A.N.O., con una performance pianistica di Gaffurini, ad “Old Times” di S.H.O.K. passando per “I Want Your Love” di Open Billet. Nel frattempo, a Brescia, Mauro Marcolin e i suoi collaboratori più stretti come il sopracitato Gaffurini e Silvio Perrone, “rispondono” con altre produzioni come “America” di Magic Marmalade, un mix tra ripescaggi del passato (“Last Night A D.J. Saved My Life” degli Indeep, “On The Road Again” dei Barrabas e “Come To America” dei Gibson Brothers) e linee melodiche contemporanee, “Breaking Down” di Synthesis, che incapsula elementi della hoover techno, “Tubular Noise” di Phantomas e l’ipnotico “Dream On Ecstacy” di Extasy. Poi, come Techno Hype Council, realizzano “Welcome To The Real World” pubblicato anche in Spagna dalla Blanco Y Negro ma con l’acronimo T.H.C., a cui seguono “Until The End” di Ethiopia che gira su un sample preso da “Chase Across The 69th Street Bridge” di John Carpenter ed Alan Howarth (dalla colonna sonora di “Escape From New York”), “Good Morning” di Copernico (il riff è quello di “Enola Gay” degli Orchestral Manoeuvres In The Dark) e “Shut Up” di Contact Two, prosieguo di “Play My Games” uscito un paio di mesi prima come Contact One. Cremonini, Gilardi e Perrone riciclano l'”everybody fuck now” di Sissy Penis Factory (remake di “Gonna Make You Sweat (Everybody Dance Now)” dei C+C Music Factory) intrecciandolo ad un breve riff di sintetizzatore preso da “Send Me An Angel” dei Real Life, coverizzato con successo dai Netzwerk proprio quell’anno: il risultato è “Everybody Fuck Now” di Extensive. Gli stessi autori si celano dietro “Trauma” di 479 Experience, colorito da scat vocali, “Rage Thumb” di Caliope, “Take My Hand” di Trance Fusion e “Funkystein” dell’omonimo Funkystein (un omaggio a “The Clones Of Dr. Funkenstein” dei Parliament di George Clinton?), un potpourri sampledelico venato di funk – in evidenza c’è un frammento di “Hang Up Your Hang Ups” di Herbie Hancock, lo stesso che l’anno seguente figura nella T.C. Funky Mix di “Come On (And Do It)” degli FPI Project – dai contenuti graficamente tradotti nell’ironica illustrazione sulla logo side. La voce di “Big House (We’ve Got The Juice)” di MC Miker G finisce in “Hyper” di 44 Megabyte e la malinconica melodia di un carillon scorre in “Music Box” di Nenja. Il campionatore è il “motore creativo” di quel periodo e più le fonti sono inusuali, più l’attenzione cresce. Così, se Max Kelly cattura la voce delle colonnine Viacard in “M.K.O.K.” su Wicked & Wild Records (di cui parliamo qui), in “Free Message” Cremonini e soci optano per il messaggio della segreteria telefonica della SIP, poi diventata Telecom. Il nome del progetto? S.I.P. ovviamente.

“James Bond” di Spectre è il remake del tema cinematografico scritto da John Barry mentre “Time”, è l’unico brano che Franco Moiraghi realizza come K-F.M.. Sound à la 2 Unlimited è quello di “Get Hip To This” di B Master J. e “People Come Together” di KC Element (quest’ultimo sfiora davvero il plagio di “Twilight Zone”). Più house oriented, col riff di “Change” dei Tears For Fears ripreso l’anno dopo da Z100 in “On The Low”, è “Somebody” di Dominoes. Il synth pop, il funk e il rock rappresentano un serbatoio immenso da cui si attinge deliberatamente. È il caso di “Coming Up” di Magellano, edificato sulla melodia di “Just Can’t Get Enough” dei Depeche Mode, di “The Picture” di Giotto, costruito sul giro di “Last Train To London” degli Electric Light Orchestra, di “Mamamelo” di Dirty Mind, in cui si incrociano “Fade To Grey” dei Visage ed “Anastasis” dei Rockets, di “Let It Out” di Quasimodo, in cui viene arpionato “Mammagamma” degli Alan Parsons Project, di “Space Dream” di Space Dream, rilettura di “Pulstar” di Vangelis già oggetto di un fortunato rifacimento del 1983 ad opera degli Hipnosis del compianto Stefano Cundari, o di “Over Me” di Pharaoh in cui viene rispolverato “Situation” degli Yazoo. Scritto, registrato e mixato da Ugo Bolzoni presso il suo New Frontiers Studio, a Rovigo, è “Sexual Intimidation” di X-Ray. Il suono dell’Italian Style Production inizia a battere con regolarità il sentiero dell’eurodance, genere che tra 1992 e 1993 promette sempre di più in termini commerciali. Escono “It’s Gonna Be There” di Car Max, “Alphabet Mode” di Alphabet (nato dal campionamento di “It Gets No Rougher” di LL Cool J e prodotto dal menzionato Max Kelly insieme ad Alex Bagnoli e Sabino Contartese, rispettivamente il futuro produttore di Neja e il protagonista in Santos & Sabino con Sante Pucello), “I Feel So Good” di Boxster (che sfrutta il sample vocale “hope, cause I’ve learned to cope” di “Hope” di Phil Asher, usatissimo in futuro), “Giving My Heart” di Glamour e il più “picchiato” “Do It Do It” di Yama. Tra febbraio e marzo del 1993 inizia a circolare “We Are Going On Down”, l’ennesimo dei brani costruiti su sample di vecchi dischi con cui il team cremoniniano riporta in vita, dopo circa due anni d’inattività, il progetto Deadly Sins nato sulla Line Music con “Together” di cui parliamo qui. Il successo è clamoroso e il pezzo, ribattezzato “disco dell’ottovolante” in virtù del video, entra in decine di compilation ma soprattutto nel secondo volume della “DeeJay Parade” edita da Time e diventato uno dei bestseller estivi. A finire nell’ambita tracklist della compilation di Albertino è pure un altro brano del repertorio Italian Style Production, “Make It Right Now” di Aladino, interpretato da Emanuela ‘Taleesa’ Gubinelli, già turnista in decine di progetti che la Time destina al mercato nipponico. Prodotto da Mauro Marcolin, Valerio Gaffurini e Diego Abaribi ispirati da “Angel Eyes” dei canadesi Lime uscito esattamente dieci anni prima, “Make It Right Now” (di cui parliamo qui nello specifico) diventa una hit in Italia e contagia anche qualche Paese estero, segnando una tappa importante di quella che sarà poi identificata come prima ondata italodance. Il successo da noi è tale da richiedere le esibizioni nelle discoteche. A quel punto Abaribi, che già lavora come DJ, diventa il frontman del progetto portando il brand Aladino nei locali di tutto lo Stivale.

ISP green

“Progressive House” di Mah-Jong e “In The Ghetto” di Jam 2 Jam sono gli unici dischi che Italian Style Production pubblica su etichetta di colore verde

Sino a questo momento i due colori usati per le etichette centrali e per le relative copertine sono il nero e il blu, fatta eccezione per alcune cover rosse usate sporadicamente nei primi anni. Come racconta Abaribi in un’intervista finita in Decadance, da un certo momento in poi l’alternanza serve a velocizzare il lavoro del distributore: i dischi col logo blu sono destinati all’Italia, quelli col logo nero invece relegati al mercato estero. Non sempre però questa categorizzazione cromatica risulta essere adeguata e “Make It Right Now” di Aladino, stampato su etichetta nera, ne è un esempio. Alcuni inoltre, come “Open Your Mind” degli U.S.U.R.A., “Suicide” di Phase Generator o “Dirty Love” di Infinity (un altro discreto successo italiano messo a segno da Cremonini & co., con la chitarra di “Sweet Child O’ Mine” dei Guns N’ Roses e un breve passaggio vocale di “Human” degli Human League), vengono stampati in entrambe le versioni, blu e nera. Come si spiega in Decadance Extra, nel 1993 viene scelto anche un terzo colore, il verde, riservato però ad appena una manciata di pubblicazioni orientate ai club, “Progressive House” di Mah-Jong, prodotto da Gianni Bini nel Brain Studio a Viareggio, e “In The Ghetto” di Jam 2 Jam, dietro cui armeggiano Franco Moiraghi e Marco Dalle Luche. Proviene dal Ghost Studio di Francesco Marchetti invece “Jericho” di Jericho, in cui riappare l’hook vocal tratto da “The Badman Is Robbin'” degli Hijack, già ripreso nel ’92 dai Prodigy in “Jericho” e, qualche anno più tardi, da DJ Supreme in “Tha Horns Of Jericho”. La prolificità dei team che lavorano per Maiolini non conosce pause ma spesso tradisce similitudini troppo evidenti come in “Do You Want My Love” di House Corporation, simile a “Make It Right Now” di Aladino, “Time Is Right” di Synthesis, prodotto sulla falsariga di “We Are Going On Down” di Deadly Sins, o ancora “I’m Your Memory” di Copernico e “Let Me Down” di Rock House con l’assolo rock rispettivamente di “Eye Of The Tiger” dei Survivor e “Money For Nothing” dei Dire Straits, che si riagganciano ai Guns N’ Roses ripresi in “Dirty Love” di Infinity, e “Movin’ Over” di Trivial Voice che suona come una sorta di nuova “Open Your Mind”. Con la media di una nuova uscita a settimana, l’Italian Style Production è davvero un pozzo senza fondo. Da “What’s Your Name” di KC Spirit ad “Arriba Arriba” di DJ Cartoons, da “Sex” di Spirits a “Got To Feel Good” di Anita Adams, da “I Wanna Give Up” di Intuition ad “I Love Music” di Louis Creole passando per “Wash” di Alverman ed “Open Your Eyes” di Gulliver che pare una miscellanea tra “Suicide” di Phase Generator e “Make It Right Now” di Aladino con l’aggiunta di un testo scritto da Silver Pozzoli.

Dirty Mind - Bocca Boca

A causa di un presunto errore, il titolo riportato sulla copertina di Dirty Mind è “Bocca Boca” anziché “Back To Future”

Particolarmente fortunato il ritorno di Dirty Mind che con “Back To Future” tocca forse il punto più alto di popolarità. Facendo leva su un riff di fisarmonica suonato da Elvio Moratto e campionato da “¡Hablando!” di Ramirez & Pizarro, Marcolin, Gaffurini e Perrone ottengono un martellante pezzo che si ritaglia spazio nella programmazione estiva e stimola l’interesse della Jelly Street Records che lo licenzia nel territorio britannico. In copertina finisce un titolo diverso, “Bocca Boca”, poi coperto da rettangolini adesivi che recano invece quello esatto. Promette bene ma non riuscendo ad esplodere “Won’t You Find A Way” di D.R.A.M.A., prodotta ed arrangiata da Cremonini e Gilardi sul testo scritto da Fred Ventura e cantato da Debbie French, turnista che un paio di anni prima presta la voce a “Do What You Feel” di Joey Negro e “One Kiss” di Pacha. La britannica frequenta gli studi della Time e in quel periodo interpreta, tra le altre, “Confusion” di Molella e “Do You Know My Name” di Humanize di cui si parlerà in seguito. Cremonini, Gilardi ed Abaribi sono pure gli artefici di “Bump” di House Corporation (lo spunto viene da “Baby, Do You Wanna Bump” dei Boney M.). Stilisticamente simili sono “Movement Of People” di M.O.P., “Check It For Me (One Time)” di Strawberry Juice, “Let’s Spend The Night Together” di KC Element, “Don’t Look Back” di Carol Jones (che sul lato b annovera “Feel Underground”, a fare il verso ai suoni di “Plastic Dream” di Jaydee di cui parliamo qui) e “Popeye” di DJ Cartoons. Un altro pezzo che, come D.R.A.M.A., pare avere tutte le carte in regola per sfondare ma non riuscendoci è “We’ve Got To Live Together” di Andromeda, una specie di “Make It Right Now” che corre sull’acappella tratta da “Why Can’t We See” di Blind Truth, la stessa ad essere utilizzata nel ’91 da R.A.F. in “We’ve Got To Live Together” e nel ’94 da Proce in “Jump” (ma ricantata) e dai Systematic nella fortunata “Love Is The Answer”. Gli autori, Gilardi e Cremonini (insieme ad Abaribi), si rifanno comunque con gli interessi con un brano parecchio simile pubblicato su Italian Style Production nell’autunno del 1993, “Allright” di Silvia Coleman. Nato nel 1991 con “Into The Night (Taira Taira)”, pare interpretato da una certa K. Hausmann ed apparso su un’altra sublabel della Time, la citata Line Music, il progetto Silvia Coleman (l’ennesimo dei nomi di fantasia, scelto da Gilardi per omaggiare la pianista dei Revolution, Lisa Coleman, come lui stesso spiega in questa puntata di 90 All’Ora con DJ Peter e Luca Giampetruzzi) ora conosce una popolarità inaspettata grazie ad un brano a presa rapida che ricorda parecchio “Make It Right Now” di Aladino. A cantarlo è la britannica Denise Johnson, in quegli anni corista dei Primal Scream con cui Gilardi e Cremonini collaborano poco tempo prima attraverso “Matter Of Time” di D-Inspiration uscito su Time. Lo stesso team di lavoro sviluppa “Listen Up” di Synthesis, che occhieggia all’eurodance teutonica di Maxx, Culture Beat, Masterboy, Fun Factory o Intermission, e medesimi riferimenti stilistici sono pure quelli seguiti in “Dreams” di B.S. & The Family Stone, “Rock The Place” di Institution, “Girlfriend” di Frankie & The Boys, “All The Things I Like” di Brenda, “House Is Mine” di Rhythm Act e “Somebody” di Transit. Un vago rimando alla fisarmonica di “Back To Future” lo si assapora in “Straight Down On The Floor” di Yama mentre “Love On Love” di Dominoes stuzzica l’appetito della RCA tedesca. La musica del passato, recente e meno, continua a rappresentare una decisiva fonte di ispirazione intrecciando stesure e sonorità tipiche dell’eurosound di quel momento come avviene in “Again ‘N’ Again” di Magic Marmalade, che all’interno cela un campione di “Here Comes That Sound Again” di Love De-Luxe (1979), in “Out Of Control” di Digital Sappers, dove si scorge un fraseggio simile a quello di “Ultimo Imperio” degli Atahualpa (1990) ed uno stralcio vocale preso da “Go On Move” dei Reel 2 Real che si afferma commercialmente con la versione del 1994, e “Loving You” di Phase Generator scandito dal riff (risuonato) di “Take On Me” dei norvegesi a-ha.

Aladino - Brothers In The Space

“Brothers In The Space” è l’atteso follow-up di Aladino giunto nell’autuno del 1993

Insieme ad “Allright” di Silvia Coleman, nell’autunno del ’93 si impone “Brothers In The Space” di Aladino, atteso follow-up di “Make It Right Now”. Per l’occasione commercializzato con una grafica ad hoc, né blu né nera, il brano impasta elementi simili a quelli del precedente inclusa la voce di Taleesa seppur ancora esclusa dai crediti. Gli ultimi mesi dell’anno vedono uscire in rapida sequenza circa una quindicina di 12″ di cui alcuni rimasti nell’anonimato come “Got The Power” di Copernico, “Don’t Stop The Motion” di Andromeda, “Do You Really Love Me?” di Stereo Agents (un tentativo di rispondere alle hit provenienti dall’estero di B.G. The Prince Of Rap o Captain Hollywood), “Dance To The Beat” di Trivial Voice, “Barracuda” di Barracuda, “Shake It Up” di Loren-X (che ricicla la base di “We’ve Got To Live Together” di Andromeda uscito pochi mesi prima), “I Let You Go” di House Corporation e “Do The Dance” di Vi-King. La concorrenza nella cheesy dance è fortissima e spietata, le etichette immettono sul mercato enormi quantità di dischi nella speranza che in mezzo a così tanto materiale ci sia sempre qualcosa che possa trasformarsi in un successo. Quando l’imperativo diventa vendere a tutti i costi la creatività va a farsi benedire e ne risente come avviene in “Let’s Get It” di Marasma, dove un’anonima base eurodance diventa il pianale per reinnestare il sample vocale di “Get On Up” di Silvia Coleman edito dalla Line Music l’anno prima e realizzato dagli stessi autori, pare ispirati da “Rock The House” di Nicole McCloud del 1988. A spingere verso quel “riciclo forzoso” è forse “Get On Up” di Giorgio Prezioso, uscita nel medesimo periodo con lo stesso campionamento vocale? Chissà, magari qualcuno deve aver sperato che la proprietà commutativa fosse valida anche in musica (cambiando l’ordine degli elementi il successo non muta). Eurodance assemblata coi soliti ingredienti e senza guizzi è pure quella di “Gimme The Love” di Darkwood che gira sul riff di “Sounds Like A Melody” degli Alphaville, ripreso con più successo dai bortolottiani Cappella in “U Got 2 Let The Music” negli stessi mesi. L’intro di “I Need I Want” di Alison Price mostra qualche evidente similitudine con “La Pastilla Del Fuego” di Moratto (di cui parliamo qui) incrociata al sample vocale preso da “Was That All It Was” di Solution Featuring Tafuri riciclato nel ’94 in “I Need I Want” di Vince B, “T.J.X.4.” di Algebrika strizza infine l’occhio allo stile di Ramirez. Piero Fidelfatti e Sandy Dian firmano “El Ritmo Del Universo” di Amparo, Cremonini e soci “Ohmm” di Tibet e “Just A Minute” di Castilla, ma nessuno di questi riesce a farsi notare. Sorti diverse invece per le ultime pubblicazioni del 1993 che si faranno ben sentire nei primi mesi del ’94: “Come Down With Me” di Deadly Sins, cantato da Glen White, ex vocalist dei Kano, e “Do You Know My Name” di Humanize, eurodance prodotta da Bruno Cardamone, Gianluigi Piano e Giuseppe Devito ed interpretata da Debbie French sul ritornello di un vecchio brano della già citata Nicole McCloud, “Don’t You Want My Love” (per approfondire rimandiamo all’articolo/intervista disponibile qui).

1994-1995, tsunami italodance

Per Italian Style Production il 1994 si apre all’insegna dell’eurodance, genere che quell’anno domina la scena pop senza rivali. Il primo ad uscire è “Temptation” di Swag, un brano registrato presso il Red Studio di Palermo che mescola suoni tipici del filone insieme al binomio voce femminile/rap maschile (rispettivamente di Sandra Walters e di un certo Aziz) ma che non riesce a districarsi nella miriade di pezzi simili in circolazione. Gli autori, Daniele Tignino e Vincenzo Callea, trovano più fortuna qualche mese più tardi insieme al conterraneo Riccardo Piparo e il cantante Josh Colow con “Illusion”, che lancia in modo definitivo i Ti.Pi.Cal. dopo il poco noto “I Know” dell’anno prima ma con uno stile diverso dall’eurodance. Giorgio Signorini e Sergio Olivieri firmano “End Of Time” di Synthesis a cui seguono “Find A Way” di Ruffcut, “Won’t You Come With Me” di KC Element e “Can’t Give Up” di Dominoes, cantata dalla corista dei Simply Red, Janette Sewell. Cardamone, Piano e Devito, dopo gli esaltanti riscontri di Humanize, realizzano “Eyajalua” come Rajah ma tradendo le aspettative. Riappaiono Danaeh con “Walk Away”, che strizza l’occhio al primo Aladino e a Jinny, e gli Amparo di Fidelfatti e Dian che consegnano a Maiolini il seguito di “El Ritmo Del Universo” intitolato “La Magia De Mi Musica” e scandito ancora dalla voce di Rosalina Roche R., un mix tra Amparo Fidalgo dei Datura e Carolina Damas dei Sueño Latino. I due si fanno risentire, poco più avanti, come Thor col brano “Gibil”, sempre prodotto presso il Sandy’s Recording Studio a Gambellara, in provincia di Vicenza. I quattro remix di “Come Down With Me” di Deadly Sins invece giungono dalla Germania: a firmarli sono Ingo Kays (Genlog, Padre Terra etc) ed Antonio Nunzio Catania, siciliano trapiantato nel Paese dei crauti e dietro una miriade di produzioni come quelle con DJ Hooligan ma soprattutto Scatman John. Attitudini eurodance, le stesse che caratterizzano la prima ondata italodance, si ritrovano in “Never Let It Go” di Dis-Cover (in scia a Silvia Coleman), “Everybody” di Carol Jones, “Underpower” di Algebrika, “That Is Really Mine” di Black House (su cui mettono le mani Maurizio Braccagni e Roberto Gallo Salsotto), “Loverboy” di Mr. Signo, “No Lies” di M.C. Claude, “Easy” di Magic Marmalade, “People All Around” di B Master J (con un intro che rimanda a quello di “Everybody” di Cappella) e “Life Love & Soul” di D-Inspiration. Ed ancora: “Baby” di Mytho, prodotta da Roby Borillo dei Los Locos con una citazione vocale di “Take Your Time (Do It Right)” della S.O.S. Band, “I Need Love” di Open Billet, “Sex Appeal” di KC Spirit, “Keep On Movin'” di Yama, diventato un cimelio per i collezionisti con un sound à la “The Key: The Secret” degli Urban Cookie Collective, “Mastermind” di Hyppocampus e “Why” di Star System. Tutti passano inosservati dalle nostre parti trovando più fortuna in Paesi come Spagna, Francia e soprattutto Sudamerica dove eurodance ed italodance vivono un autentico exploit. Molti progetti risultano one shot probabilmente perché ritenuti tentativi di successo andati a vuoto con più nessuna energia ulteriormente investita.

successi ISP estate 1994

Alcuni successi messi a segno da Italian Style Production nell’estate 1994: dall’alto “Call My Name” di Aladino, “All Around The World” di Silvia Coleman e “Sing, Oh!” di Marvellous Melodicos

L’inversione di tendenza avviene durante la stagione estiva con almeno una manciata di titoli, “Call My Name” di Aladino, orfano della presenza di Marcolin e l’ultimo ad essere prodotto da Abaribi e cantato da Taleesa (che in parallelo interpreta “Promise” di No Name, su Time), ed “All Around The World” di Silvia Coleman, trainata dalla U.S.U.R.A. Mix. A questi si aggiunge “Transiberiana” di Dirty Mind, a cui pare collabori Molella in incognito, e “Sing, Oh!” di Marvellous Melodicos, nuovo progetto messo in piedi da Trivellato e Sacchetto (ed Alberto ‘The Indian’ Lapris) che utilizzano la parte vocale di un classico della musica brasiliana. Il successo coinvolge pure la Francia in autunno, quando si ipotizza l’uscita dell’album di Aladino, iniziativa che però non andrà mai in porto. Come contorno giungono “Batman” di DJ Cartoons, progetto nato in seno a quella che alcune riviste ribattezzano “techno demenziale”, “Watching You” di Frankie (prodotta dai fratelli Paul e Peter Micioni), “Sending (All My Love)” di Andromeda, “I Need A Man” di Buka e “U Love Me” di Delta, un altro di quelli che hanno acquisito valore collezionistico col passare degli anni. Scarsamente accolti in Italia sono “Take Me To Heaven” e “Make My Day” di Nevada, “I Want Your Love” di Etoile (davvero simile ad “I Found Luv” di Taleesa), “For Your Heart” di Alison Price, “Pinga” di El Loco, “Keep Me Going On” di D-Inspiration e “Freedom” di KC Element. Degna di menzione, sul fronte estero, è la nascita della Italian Style UK, filiale britannica accorpata alla Disco Magic UK gestita da Roland Radaelli, società sulla quale è possibile leggere interessanti dettagli cliccando qui. L’iniziativa però si rivela effimera visto che conta su appena tre pubblicazioni (“I Know I Can Do It” di House Corporation, del 1991, “Feel Free” di Debbe Cole, uscita su Time nel 1992, e “Let Me Down” di Rock House del 1993). Altre licenze, come “Moving Now” di Pierre Feroldi, “Keep Warm” di Jinny, “Everyday” di DJ Pierre, “It’s Not Over” di Istitution, “Wake Up” di Sound Machine e la compilation mixata “Megastyle Volume 1” finiscono invece nel catalogo della stessa Disco Magic UK.

Torniamo in Italia: in autunno riappare per l’ultima volta Deadly Sins con “Everybody’s Dancing”, ancora cantato da Glen White su una filastrocca da luna park, atmosfera rimarcata dalla foto vintage scelta per la copertina curata da Clara Zoni. Ultima apparizione pure per Silvia Coleman con “Take My Breath Away”, quasi una copia di “All Around The World” che sul lato b include “Feeling Now The Music” particolarmente apprezzata in Germania e Spagna. Meno fortunato il ritorno degli Humanize con “Take Me To Your Heart”, nonostante tutte le carte in regola per bissare il successo del precedente. Si risente Quasimodo con “All I Want Is You”, sequenzato sia su una parte vocale davvero simile a quella di “Don’t Leave Me Alone” dell’olandese Paul Elstak uscita poco tempo dopo, sia su una chitarra flamenco in stile Jam & Spoon che si ritrova altresì in “Jungle Violin” di Stradivari, prodotto da Roby Arduini e Pagany negli studi della loro Union Records fondata dopo aver lasciato la Media Records proprio quell’anno. Un altro disco che, pur sviluppato con perizia sullo schema eurodance, non riesce ad affermarsi del tutto in Italia è “If You Wanna Be (My Only)” di Orange Blue. Prodotto da Arduini ed Abaribi con la voce della compianta Melanie Thornton, reduce dei clamorosi successi di “Sweet Dreams” dei La Bouche e “Tonight Is The Night” dei Le Click, esce in autunno e conquista Germania, Spagna, Francia, e il Sud America. In cambio Amir Saraf ed Ulli Brenner, produttori di La Bouche e Le Click, e il rapper Mikey Romeo, si occupano del citato “I Found Luv” con cui Taleesa torna come solista dopo il poco fortunato “Living For Love” del ’91 (firmato Talysha), l’esperienza accanto ai Co.Ro., Stefano Secchi, Aladino (seppur mai ufficializzata) ed una caterva di lavori come turnista. Scarso interesse è suscitato da “Do You Wanna Right Now” di Andromeda, costruito sui sample presi dall’omonimo dei Degrees Of Motion (cover del classico di Siedah Garrett del 1985 già ripreso da Taylor Dayne e parzialmente riadattato da Stefano Secchi in “We Are Easy To Love”) e da “Ghostdancing” dei Simple Minds scelto nel medesimo periodo dai Dynamic Base in “Make Me Wonder” sulla Welcome del gruppo Dancework. Provengono degli anni Ottanta pure i campionamenti celati in “Feel So Good”di Ruffcut Feat. Carol Jones (“Venus” degli Shocking Blue) e in “Anything For You” di Trivial Voice (le voci da “The Reflex” dei Duran Duran e il riff da “Rain” dei Cult). In entrambi la parte di chitarra è eseguita da Enrico Santacatterina, da lì a breve coinvolto dagli U.S.U.R.A. in “The Spaceman”. Poco noto da noi ma ben piazzato nelle classifiche teutoniche è “The Light Is” di The Dolphin Crew, prodotto da Andrea De Antoni, Franco Amato e William Naraine ossia gli artefici dei Double You. A mixarlo è Francesco Alberti, ingegnere del suono della DWA. Provenienti dalla label di Roberto Zanetti sono pure i Digilove che realizzano “Touch Me”, un clone di “It’s A Rainy Day” di Ice MC. Alex Baraldi ed Andrea Mazzali producono la veloce “I’m Losing My Mind” di L.O.V. (acronimo di Licensed On Venus) che inizia a battere il sentiero di una dance dopata nei bpm a cui aderiscono già diversi act tedeschi e che in Italia trova il la grazie a “The Mountain Of King” di Digital Boy. In tal senso si fa ben notare, a fine anno, “Strange Love” di Kina, un pezzo di Trivellato e Sacchetto che ricicla la melodia di “Reality”, tra i brani della colonna sonora del film “Il Tempo Delle Mele” composta da Vladimir Cosma. Molto simili i contenuti di “Chanson D’Amour” che Arduini ed Abaribi firmano come Savoir Faire insieme a Geraldine, e di “Open Your Hands” di Tatanka, solo omonimo del DJ Valerio Mascellino. Preso in licenza dalla tedesca Maad Records (con l’aggiunta di un remix realizzato nel Time Studio da Gianluigi Piano e Roby Arduini) è “Frozen Luv” di Polaris Feat. Minouche, mentre esportato con successo nel Paese della Torre Eiffel è “Ride On A Meteorite” di Antares in cui la voce di Clara Moroni è alternata al rap di Asher Senator, lo stesso che un paio di anni più tardi affianca con discreto successo i JJ Brothers e Molella. “Adottato” dalla tedesca Polydor è pure “Nevermind” di Phase Generator, prodotto dallo stesso team di Marvellous Melodicos. Tra gli ultimi ad uscire nel ’94 ci sono “The Sun And The Moon” proprio dei Marvellous Melodicos, che risente della velocizzazione a cui allora va incontro la pop dance, e “Come On Let’s Go” di The Dog, prodotta da Cremonini e Gilardi sulla falsariga delle hit estive transalpine de La Bouche/Le Click sul testo scritto e cantato da Orlando Johnson, ricordato per aver interpretato ad inizio decennio i più grandi successi di Stefano Secchi come “I Say Yeah” e “Keep On Jammin'”.

Il 1995 si apre con “I Believe”, ultimo disco del progetto Copernico rappato da Asher Senator a cui si somma “Virtual Dreams”, una specie di incrocio tra Kina ed “Over The Rainbow” della tedesca Marusha che in quel periodo vive uno strepitoso successo commerciale. A realizzarla sono i già incrociati Baraldi e Mazzali che si firmano Argonauts. Bpm serrati e melodie festaiole sono pure gli ingredienti di “In The Name Of Love” di Aqua prodotto dalla premiata ditta Trivellato-Sacchetto che coi medesimi elementi appronta il secondo brano di Kina, “7 Days”. Ultima apparizione per Quasimodo con “Memories” (a scandirlo è una melodia molto simile a quella di “Outside World” dei Sunbeam che, a cavallo tra ’94 e ’95, si sente pure in “Heaven Or Hell” degli italiani R.O.D.) a cui seguono a ruota “Up In The Sky” di Andromeda, “The Big Beat” di Nouvelle Frontiere e “Dreamlover” di Orion (con occhiate a “The Mountain Of King” di Digital Boy), tutti accomunati da echi epic trance desunti dal successo internazionale dei citati Sunbeam. La musica ad alta velocità è il trend imperante di quell’anno che traina “Music Of Belgium” di The Choir (il nome è dovuto alla presenza di una parte ecclesiastico-corale). Più canonicamente eurodance sono “I Keep Calling You” di Prophecy, remixata per l’occasione dai Ti.Pi.Cal. (le versioni dei siculi sono due, Underground Mix e Crossover Mix, incise sul lato b), “Cannibal” di Black 4 White, progetto di Massimo Traversoni e Roberto Calzolari mixato presso il Casablanca Studio di Zanetti da Francesco Alberti, “You’re The Best Thing” di Gorky, “The Beat Of The Flamenco” di Trivial Voice, “All I Wanna Do” di Phase Generator e “Don’t U Bring Me Love” di Nevada, decisamente in “DWA style” analogamente a “To Be Free” di Prime, prodotto da un giovane Federico Scavo affiancato da Riccardo Menichetti. Sfruttando il successo di Ini Kamoze i DJ B. (Benny DJ, Mitia ed Umberto Benotto) incidono la cover di “Here Comes The Hotstepper” presso il Gian Burrasca Studio di Marcello Catalano. Makina le matrici di “The Sugar Of Life” di Human Dragon, act rimasto nell’anonimato seppur orchestrato da Alex Quiroz Buelvas, frontman di uno dei progetti nostrani più fortunati di quel periodo, Ramirez. Trivellato e Sacchetto, con la vocalist Mireille, realizzano “Don’t U Know” di Pelican sullo schema seguito in parallelo per i singoli di Taleesa (“Let Me Be”, “Burning Up”, editi su Time). Maiolini affida loro il nuovo Orange Blue, “Sunshine Of My Life”, che conquista licenze in Spagna, Francia, Svezia e Canada come accade a “You Belong To Me” di Antares. I Discover riprendono “’74-’75” dei Connells ricantata da un certo Dominic.

tshirt ISP

Tre tshirt della Italian Style Production distribuite dalla Pro Mail tra 1994 e 1995

Con oltre dieci anni di attività alle spalle, la Time è tra le aziende discografiche italiane più consolidate. I tempi sono giusti per lanciare una ricca linea di gadget, merchandising ed abbigliamento tra cui orologi da parete e da polso, slipmat, flight case, borse portadischi in stoffa, bandane, camicie, cappellini, felpe ed alcune tshirt decorate con il logo Italian Style Production. A distribuire tutto questo materiale è la Pro Mail di Trento, specializzata in vendita per corrispondenza. In autunno arrivano due discreti successi messi a segno da Trivellato e Sacchetto: “Stay With Me”, il quarto (ed ultimo, almeno in questa fase) 12″ di Aladino, col featuring vocale ma non accreditato ufficialmente di Sandy Chambers, ed “Over The Rainbow”, ultima apparizione di Marvellous Melodicos ispirato da “Luv U More” del DJ olandese Paul Elstak, un successo estivo a metà strada tra eurodance ed happy hardcore. Torna anche Dirty Mind con un brano radicalmente diverso dai precedenti e che forse sarebbe stato più opportuno collocare su un’etichetta più legata alla house come la Downtown. Trattasi di “Make It Funky” in cui Walter Cremonini, Alex Gilardi e Ricky Romanini inseriscono il campionamento di “K-Jee” degli MFSB, un classico funk/disco estratto dal catalogo Philadelphia International Records. Chiudono l’annata la veloce “My Love” di Torricana, “Ridin’ On The Night” di Trivial Voice, “Wanna Move Up” di Ruffcut Feat. Carol Jones, “Take A Chance” di Dream Project (per cui Trivellato e Sacchetto ricorrono ancora alla voce della Chambers) ed “Everytime You Go” di Andromeda, annessi alla corrente eurodance ma probabilmente fuori tempo massimo visto che i suoni della dream progressive iniziano a farsi avanti e tutto sta per cambiare.

1996-1997, in balia di happy hardcore e dream progressive

Con una fama ben consolidata oltralpe, il progetto Antares ricompare con “Let Me Be Your Fantasy” a cui partecipa nuovamente il rapper Asher Senator. In scia si inserisce “Runaway” interpretato dalla Chambers, che chiude definitivamente l’operatività di Orange Blue. Influssi dream à la Robert Miles scandiscono “Como El Viento” di Lullaby, seppur intriso in modo evidente di salsa eurodance. Il brano, scritto da Alessandro Sangiorgio, viene utilizzato nel medesimo periodo dai G.E.M. prodotti da Stefano Secchi per un medley con “Batufest”, su Propio Records. Giordano Trivellato e Giuliano Sacchetto ora sono tra i produttori più prolifici in forze alla scuderia maioliniana e sfornano un pezzo dietro l’altro come “Feels Like Heaven” di Nevada e “Wonderful Life” di Phase Generator, quest’ultimo una risposta a “Discoland” di Tiny Tot (di cui parliamo qui) e a tutto quel filone euro happy hardcore sdoganato dal citato Paul Elstak e Charly Lownoise & Mental Theo ma anche da tanti act tedeschi come Das Modul e Dune, di cui si può approfondire qui e qui. Elevati bpm sono altresì quelli di “I Wanna Make U Happy” di Free Jack in cui Asher Senator rappa un brano semi-emulo di “I Wanna Be A Hippy” dei Technohead, “Heaven”, ultimo disco di Andromeda costruito sulla falsariga di “Can’t Stop Raving” dei Dune da poco citati, e il quasi omonimo “Heaven’s Door”, ultimo per Kina ed ancora fortemente ispirato dalla happy hardcore teutonica di Dune e Blümchen. Curiosamente la parola “heaven” si ripete nel titolo in tre uscite attigue (Nevada, Andromeda, Kina): ambizione a finire nel paradiso della dance?

The Spy - The Persuaders Theme

“The Persuaders Theme” di The Spy è il primo disco che Ciro Pagano e Stefano Mazzavillani realizzano per Italian Style Production ad inizio ’96

Uscito intorno a febbraio è “The Persuaders Theme”, cover dell’omonimo tema composto da John Barry per la serie televisiva “The Persuaders” (“Attenti A Quei Due” in Italia) per cui Ciro Pagano e Stefano Mazzavillani dei Datura, che poco prima abbandonano la Irma Records in favore della Time, coniano un nuovo progetto one-shot, The Spy. Ad affiancarli nell’avventura è Guido Caliandro di cui si parlerà più avanti e che nel medesimo periodo realizza col compianto Ricci DJ “Electro Sound Generator” come Neutopia, unica uscita sulla E.S.P. (Extra Sensorial Productions), anch’essa raccolta sotto l’ormai enorme ombrello della label bresciana di Maiolini. Pagano e Mazzavillani aggiungono nel catalogo ISP altre due cover: “Il Clan Dei Siciliani” di Goodfellas (dalla colonna sonora dell’eterno Ennio Morricone dell’omonimo film del ’69) e “A Whiter Shade Of Pale” di Doomsday (l’originale è un classico dei Procol Harum, scritto da Gary Brooker e Keith Reid), co-prodotta con MC Hair (il futuro Andrea Doria di cui si parla qui) in chiave hard trance con graffiate acide. “Tears” di Overture, “Rapsody” di Skylab, “Once Upon A Time In The West” di Evolution (ennesima e non certamente ultima cover della morriconiana “C’era Una Volta Il West”) e “Treasure” di Globo seguono pedestremente lo stile di “Children” di Robert Miles. Un mix tra dream ed eurodance è quello di “Need Somebody” con cui Claudio Varola e Michele Comis degli U.S.U.R.A., a cui si aggiunge il DJ veneto Andrea Tegon, riportano in vita, a tre anni di distanza, il progetto Infinity. Anche questa volta l’ispirazione viene dal passato, precisamente da “Crockett’s Theme” di Jan Hammer (dalla soundtrack della serie “Miami Vice”). Cremonini, Gilardi e Romanini approntano “Whenever You Want Me” di Antares, questa volta in uno stile più house oriented che comunque convince la francese Scorpio Music di Henri Belolo a prenderlo in licenza.

Historya - Catch Me If I Fall

Con “Catch Me If I Fall” di Historya, Italian Style Production rinnova il suo layout grafico

Al ritorno dalle vacanze estive Italian Style Production si ripresenta con una veste grafica aggiornata: non c’è più la coppia che balla, sostituita da un logotipo in stile graffitista creato con le iniziali I ed S intrecciate. Il primo disco ad essere accompagnato da tale design è “Catch Me If I Fall” di Historya, prodotto dagli instancabili Trivellato e Sacchetto che riciclano una base simile a quella di “Seven Days And One Week” dei B.B.E. sulla quale innestano una parte cantata dalla compianta Diane Charlemagne, ex Urban Cookie Collective. Sull’onda dell’ormai iperinflazionata progressive totalmente cannibalizzata dal pop riesce ad affermarsi, anche oltralpe, “Clap On Top Of Me” dei M.U.T.E., prodotto da Cremlins & Zuul ovvero Max Boscolo e Luca Moretti che abbinano una base trainata da un basso in levare ad una melodia in pizzicato style à la Faithless. A fare da collante un breve hook vocale campionato da “Sweet Pussy Pauline” di Hateful Head Helen, del 1989. Il brano finisce in una celebre scena girata in un negozio di dischi de “Uomo D’Acqua Dolce”, film diretto ed interpretato da Antonio Albanese. Un altro brano-emulo dei transalpini B.B.E. è “Try” di Glissando, composto da Carl Fath (il futuro Io, Carlo) e Fabio Giraldo, a cui si sommano “Take Your Body” di Tunnel Groove, “Happiness” di 2 Ghosts, “Phrygian” di Euphonia (prodotto da Michele Generale), “Esperantia” di Cremlins e “You And I” di Luna, una sorta di “Summer Is Crazy” di Alexia cantata da Sandy Chambers, arrangiata da Ricky Romanini e Stefano Marcato con la produzione addizionale di Luca Pernici e Marco Rizzi.

In circolazione già da dicembre ’96 ma fattosi notare ad inizio 1997 è “The Bit Goes On” di Snakebite, brano proveniente dal Coco Studio di Bologna e costruito su un sample vocale preso da “The Beat Goes On” di Orbit Featuring Carol Hall dai già citati Pagano, Mazzavillani e Caliandro. A differenza di The Spy però questa volta il pezzo intriga la londinese Multiply Records che lo licenza nel Regno Unito commissionando un paio di remix agli Ispirazione (Gordon Matthewman e Mike Wells) e a Jason Hayward alias DJ Phats, che da lì a breve crea con Russell Small il duo Phats & Small. Segue “The Mission” di Sosa, progetto di Massimo Bergamini per l’occasione diretto da Roberto Gallo Salsotto. Il pezzo è stilisticamente allineato alla formula di DJ Dado, artista prodotto dallo stesso Gallo Salsotto ed entrato nell’autunno del ’96 in Time Records con “Revenge”. In seguito Bergamini approderà con più fortuna alla Media Records che, tra ’97 e ’98, gli mette a disposizione i suoi studi ma soprattutto i propri musicisti e produttori come Mauro Picotto, Andrea Remondini e Riccardo Ferri che confezionano “Wave” ed “Accelerator”, esportati entrambi all’estero col supporto della Tetsuo di Talla 2XLC e i remix di Taucher e Torsten Stenzel (intervistato qui). Nonostante il trend principale resti ancora quello della progressive, Italian Style Production non si esime dal pubblicare brani più inclini all’eurodance come “Thinkin’ About You” di Discover, prodotto da Ricky Romanini e Stefano Marcato e cantato in incognito da Simone Jay (analogamente a quanto avviene in “Keep The Spirit” di Sarah Willer, finito su Downtown), “I Dream Of You” di Nevada, “Jump To The Beat” di Dr. Beat (col sample dell’omonimo di Stacy Lattisaw), “It’s Time To Party Now” di Star System, “All I Need Is Love” di Celine ed “I Want Your Love” di Antares, ormai all’ultima apparizione e che vanta un remix house di Alex Gaudino, futuro A&R della Rise. Connessi all’eurotrance che inizia a farsi spazio soprattutto nelle classifiche estere sono “It’s The Day After The Party” di DJ Zuul, sul modello di “Bellissima” di DJ Quicksilver, e “Where’s My Money” di Skanky, side project dei M.U.T.E. edificato sul cocktail tra acid line e pizzicato style. In mezzo, a mo’ di farcitura di un sandwich, il sample vocale tratto da “Cantgetaman, Cantgetajob (Life’s A Bitch!)” di Sister Bliss & Colette. Il risultato colpisce il mercato francese, spagnolo e tedesco. Ingredienti simili per “Dirty Tricks / Peer Gynt” di Neural-M, con cui Pagano, Mazzavillani e Caliandro riadattano il “Peer Gynt” di Grieg, “Electronic Trip” di Woodland (l’ennesimo di Cremlins e Zuul) ed “Harmonic Fly” di Vortex, combo di Davi DJ e Maurizio Pirotta alias Pirmaut 70. Scritto insieme al compianto Federico ‘Zenith’ Franchi e Mario Di Giacomo, il brano viene remixato dal citato Sosa sempre presso lo Stockhouse Studio di Gallo Salsotto. Galvanizzati dal successo ottenuto pochi mesi prima con “Clap On Top Of Me”, Boscolo e Moretti approntano il secondo ed ultimo brano di M.U.T.E. che si intitola “She Loves Me” e conquista un paio di licenze in Francia e Spagna. Questa volta l’ispirazione giunge da “Petal” dei Wubble-U, un discreto successo britannico del 1994. Una sorta di Gala, ma meno fortunata, è Nancy Sexton che firma “Never (Don’t Need Your Love)” solo col suo nome. Il brano è prodotto da Molella & Phil Jay che nell’estate di quello stesso anno le affidano il featuring vocale della loro “It’s A Real World” con risultati ben più lusinghieri. La Sexton comunque si rifà qualche anno più tardi interpretando il trittico degli E.Magic, “Prepare Yourself”, “Stop” e “Go!”, finiti nel catalogo di un’altra label della Time, la Spy, allora guidata da Rossano ‘DJ Ross’ Prini. Riconfezionato in nuove versioni più adatte alle platee della progressive è “My Body & Soul” dei Marvin Gardens, un successo del ’92 nato come rifacimento dell’omonimo dei Delicious del 1986 e di cui parliamo approfonditamente qui. Il remix di punta è di Space Frog che quell’anno fa il giro del mondo con “X-Ray (Follow Me)” e i suoni, prevedibilmente, sono praticamente gli stessi. Sulla falsariga giunge “God Of House” di Central Seven, un discreto successo oltralpe ma che da noi fatica ad imporsi. Con l’eurodance di “Stay With Me” e “Never Gonna Say Goodbye” si tira il sipario su Trivial Voice e Discover: entrambi sono prodotti da Romanini e Marcato mentre a cantare come turniste sono rispettivamente Sandy Chambers e Simone Jay. Alle battute finali pure Tunnel Groove con “Hot Stuff”, remake dell’omonimo di Donna Summer, e The Dog con “Without You”, cantato da Gianfranco ‘Jeffrey Jey’ Randone dei Bliss Team e, da lì a breve, negli Eiffel 65. Una specie di “Clap On Top Of Me” con rimandi al sound di Klubbheads, DJ Disco, DJ Jean e Vengaboys è “Don’t Clap Anybody” di Black Mushroom, progetto one shot dietro cui operano Max Boscolo, Luca Moretti e Rossano Prini.

Sundance, Sven Vath

Un paio di licenze messe a segno da Italian Style Production nella seconda metà del 1997: sopra “Sundance” dei londinesi Sundance, sotto “Fusion/Scorpio’s Movement” del tedesco Sven Väth

Intorno a metà anno il trend progressive è ormai in vistoso calo, le platee mainstream si sono già stancate dei pezzi strumentali e richiedono nuovamente vocalità. Non si fanno trovare impreparati Cremonini, Gilardi, Comis, Varola e Tegon con “Dance Around The World” di Rio, brano orecchiabilissimo che ruota su un giro di pianoforte simile a quello di “Two Can Play That Game” di Bobby Brown remixato dai K-Klass ed una stesura che rammenta i successi internazionali dei Livin’ Joy dei fratelli Visnadi. Nonostante i buoni propositi però il pezzo fatica ad emergere dall’anonimato. Resa simile per “Get Down On It” di Gravity One, cover dell’omonimo di Kool & The Gang assemblata sempre dal team della Prisma Record a Padova. Un altro remake è quello di “Ring My Bell” di Anita Ward realizzato dagli Star System. Arriva dall’estero invece “Sundance” del progetto omonimo creato da Mark Shimmon e Nick Woolfson. Sfruttando un celebre sample di “The New Age Of Faith” di L.B. Bad del 1989, già ripreso nel ’93 dai Sabres Of Paradise capitanati dal compianto Andrew Weatherall in “Smokebelch II”, i londinesi creano un brano che in estate spopola nelle discoteche ibizenche e che contribuisce, insieme ad altri, a sancire la commercializzazione della trance. Passando per la poco nota “Mediterranea” di Mundo Nuevo si raggiunge l’ultima apparizione di Dirty Mind che avviene sotto il segno della progressive con “Millennium”, riadattamento del brano scritto da Mark Snow per l’omonima serie televisiva. Artefici sono DJ Dado e l’inseparabile Gallo Salsotto. Atmosfere progressive trance sono pure quelle di “How U Feel” di Headroom, traccia proveniente dalla Germania che vanta i remix di Sash! e dei Brooklyn Bounce ma insufficienti per intrigare il mercato italiano. Luca Moretti si inventa l’ennesimo alias, Sunrise, scelto per “Theme From Furyo”, reinterpretazione eurotrance del celebre tema cinematografico scritto da Ryuichi Sakamoto per “Merry Christmas Mr. Lawrence”. Chiude, a fine anno, un’altra licenza, “Fusion / Scorpio’s Movement” di Sven Väth. Entrambi i brani, estratti dall’album “Fusion” edito da Virgin, recano la firma del celebre DJ di Francoforte e del musicista Ralf Hildenbeutel (insieme erano i Barbarella nei primi anni Novanta). Sul 12″ presenziano pure i remix dei Fila Brazillia e Doctor Rockit alias Matthew Herbert.

1998, capolinea, si scende!

Gabriele Pastori ed Andrea Mathee, reduci del discreto successo raccolto qualche tempo prima con “I Try” di Activa su UMM, collaborano col DJ Alberto Castellari tirando fuori dal milanese Spirit Studio il brano “Endless Wind” che firmano come Lifebeat. A trainarlo, ma senza particolari esiti, la versione di DJ Dado. A metà strada tra progressive e trance è “Magic Fly” di Atrax, progetto curato dai fratelli Visnadi che ripesca l’omonimo degli Space intrecciato ad un bassline che pare pagare il tributo al “Blade Runner (End Titles)” di vangelisiana memoria. Partorito in seno al fenomeno cover è pure “Original Sin” di Cremlins, remake del pezzo degli australiani INXS che giusto pochi mesi prima perdono tragicamente il loro cantante, Michael Hutchence. Una sorta di mash-up tra “The House Of God” di DHS e la base del pluridecorato remix di “It’s Like That” dei Run-DMC realizzato da Jason Nevins è “Tar-Zan” di BB’s. Dentro ci sono anche svirgolate di TB-303 ma soprattutto l’urlo di Tarzan che chiarisce la ragione del titolo. A produrlo, per la tedesca Orbit Records da cui Italian Style Production rileva la licenza, sono Ramon Zenker (quello degli Hardfloor, Interactive o Phenomania di cui si parla qui) e il compianto Gottfried Engels, fondatore tra le altre cose della popolare Tiger Records. A sorpresa riappare Deadly Sins col remix di “We Are Going On Down” rimodellato sulla base del citato remix di Nevins. DJ Zuul invece in “Feel The Music” rispolvera l’hook vocale di “Feel The Rhythm” di Jinny, collocandolo in un contesto eurotrance a cui crede la sopramenzionata Orbit Records che lo pubblica in territorio tedesco. Tratto dal catalogo della britannica Inferno è “Dreaming” di Ruff Driverz Presents Arrola, un grosso successo in Nord Europa esportato persino negli Stati Uniti ma che non riesce proprio ad attecchire in Italia dove la trance trova un terreno decisamente poco fertile. Sulla falsariga dei più recenti successi di DJ Dado (“Coming Back”, “Give Me Love”) che abbandona la dream progressive a favore della pop dance, si inseriscono i Seven Days con “Send Me An Angel”. Dietro le quinte operano i Devotional (Cristian Piccinelli, ex Media Records ed artefice del successo di Simone Jay di cui si parla qui) e Tiziano Giupponi. Luca Moretti, prossimo alla consacrazione con Triple X (prima) ed Antillas e Rhythm Gangsta (poi) porta in scena per l’ultima volta Sunrise con “Ayla”, rifacimento del brano omonimo del tedesco Ingo Kunzi alias Ayla, risalente al ’96 e diventato un classico della trance mitteleuropea. Sul lato b del disco è incisa “Loco Train”, prog trance trascinata dal sample di un treno, idea che nello stesso anno viene sfruttata con più efficacia da Robbie Tronco nella sua “Fright Train”.

Miss Kittin & The Hacker - 1982

“1982” di Miss Kittin & The Hacker è il disco che nell’autunno ’98 chiude in modo quasi definitivo l’attività di Italian Style Production

In autunno giunge “1982” del duo francese Miss Kittin & The Hacker, tra i brani che gettano le fondamenta dell’electroclash, genere all’apice nei primi anni Duemila. Il pezzo, preso in licenza dalla label tedesca di DJ Hell, l’International Deejay Gigolo Records, è «un viaggio a ritroso nel tempo attraverso un testo con rimandi a Jean-Michel Jarre (“Let’s go to the rendezvouz”), Klein & M.B.O. (“DJ play deja vu”), Visage (“I see your face fade to grey”), New Order (“just wait for the blue monday”), Kraftwerk (“you’re a robot, man machine”), Soft Cell (“I don’t want a tainted love”), Yazoo (“but don’t go”), Telex (“just play me moscow discow”), e Depeche Mode (“I just can’t get enough”)» (da Gigolography) e diventa un successo inaspettato entrando in numerose compilation, programmazioni radiofoniche e classifiche di vendita. Sul lato b si trovano “Gigolo Intro” e “Frank Sinatra”, rilanciata tempo dopo attraverso una versione più incisiva. È il disco che tira il sipario in modo quasi definitivo sull’Italian Style Production.

2004, una falsa ripartenza

ISP 2004

Sopra il 12″ di “Make It Right Now” di DJ Damm Vs Aladino (2004), sotto il cofanetto “The Best Of Italian Style” del 2014

I primi anni Duemila vedono l’affermazione di una seconda ondata italodance, partita intorno al 1998. Alcuni artisti e compositori, già protagonisti nella fase precedente, si ripresentano con nomi diversi (Eiffel 65, Paps N Skar, DJ Lhasa giusto per citarne alcuni), altri invece appartengono ad una nuova generazione cresciuta coi successi del decennio precedente e desiderosa di emularne lo spirito e i risultati. Il suono identificativo di tale passaggio, come descritto in Decadance Appendix, vede la preminenza di «basso in levare, ritmiche appena colorite dall’uso del charleston della batteria e riff portanti eseguiti con suoni corposi di sintetizzatore che riprendono la linea melodica vocale». Sono proprio questi ingredienti a riportare in vita l’Italian Style Production nel 2004, sia nel nome che nel layout grafico iniziale. Per i nostalgici è un vero tuffo al cuore, rimarcato peraltro dal contenuto musicale che attinge dagli indimenticati 90s. L’ISP 1400 infatti è un remix di “Memories” dei Netzwerk, un classico del ’95. A realizzarlo sono i Promise Land, coppia di DJ romani formata da Fabio Ranucci e Nazario Pelusi. Segue un secondo 12″ ancora legato a doppio filo con gli anni Novanta e, in questo caso, con la stessa Italian Style Production: solcate sul mix sono due nuove versioni di “Make It Right Now” realizzate dal fantomatico DJ Damm (in realtà acronimo di Diego Abaribi Mauro Marcolin, autori del brano originale del 1993). Abaribi, tornato ad occuparsi di musica dopo diversi anni di assenza, fa resuscitare Aladino nel 2002 con “Feel The Fire”, interpretato da un ancora poco noto Sagi Rei e pubblicato dalla Moremoney, sublabel del gruppo Melodica che lui stesso fonda qualche tempo prima insieme a Bob Salton. Per Italian Style Production però si tratta solo di una falsa ripartenza. Dopo l’uscita di DJ Damm l’etichetta bresciana si congeda definitivamente, fatta eccezione per la raccolta riepilogativa “The Best Of Italian Style”, uscita nel 2014 e racchiusa in un cofanetto contenente cinque CD con una manciata di brani tratti dal repertorio Line Music, e la conversione del catalogo in formato digitale avvenuta attraverso la T30, l’ennesimo marchio raccolto sotto l’egida del gruppo Time di Giacomo Maiolini.

grafici ISP

Grafici che sintetizzano l’attività di Italian Style Production: a sinistra l’istogramma relativo al numero di pubblicazioni annue, a destra l’aerogramma che evidenzia la categorizzazione stilistica. I dati presi in esame potrebbero essere soggetti a marginali errori (per quei dischi, ad esempio, pubblicati in un anno diverso rispetto a quello riportato sull’etichetta).

Un mercato che dà i numeri

L’impatto che internet (specialmente il peer-to-peer e la pirateria) ha sulla discografia dopo il 2000 è devastante ma già qualche anno prima il comparto dance inizia a risentire di una crisi, acuita dalla povertà di idee e clonazioni troppo frequenti che ingolfano e saturano il mercato. Inoltre la chiusura di aziende-simbolo come Flying Records e Discomagic non è incoraggiante ed infatti negli ultimi anni Novanta il business comincia a cristallizzarsi. Sono ormai lontani i tempi in cui Italian Style Production immette a nastro dischi sul mercato non lasciandosi intimorire da risultati altalenanti. Dallo studio allestito al 5 in Via Sabotino, a Brescia, esce davvero un mare di musica che adesso però necessita di un ridimensionamento. Giacomo Maiolini, in un articolo apparso sulla rivista Trend a dicembre 1998 a cura di Nello Simioli ed Eugenio Tovini, afferma che «il mercato diventa ogni giorno più difficile e solo un costante lavoro permette di mantenere una quota significativa dei 12″. Per i discografici della dance c’è anche lo scoglio della scarsa considerazione in cui è tenuto questo genere dai grandi media. Non si capisce perché un progetto come The Tamperer non possa essere ospitato a Sanremo con tutta la dignità che merita dopo aver venduto oltre un milione di copie. In ogni caso la mia società ha da qualche tempo deciso di ridurre radicalmente le uscite pubblicando solo quei dischi che hanno ricevuto un giudizio positivo nella fase di pre-release dalle radio o dai partner stranieri. Con questa strategia si raggiungono contemporaneamente due risultati: agevolare il compratore verso prodotti curati con particolare attenzione e garantire un’alta professionalità anche promozionale su ogni lavoro pubblicato dalle nostre etichette». Il calo delle pubblicazioni a cui si riferisce Maiolini appare evidente prendendo in esame lo storico di Italian Style Production che, è bene rammentarlo, è solo una delle sublabel del gruppo Time Records. Il biennio più prolifico di uscite risulta essere il 1993-1994, rispettivamente con 75 e 62 pubblicazioni. Dal ’95 in poi invece si avvia una drastica diminuzione che coincide in pieno con quanto il bresciano afferma in quell’intervista di fine ’98 di cui si è detto sopra. A livello stilistico invece, il filone maggiormente battuto è quello dell’eurodance con oltre 200 pubblicazioni. Seguono la house (poco più di 100), l’eurotechno (una quarantina) e dream progressive/trance (una trentina). Dal punto di vista collezionistico, infine, una stima, seppur parziale, la si ottiene analizzando i dati emersi dal marketplace di Discogs. “Sky” di Brenda, “My Love” di Torricana, “Dirty Tricks / Peer Gynt” di Neural-M e “Keep On Movin'” di Yama sono tra quelli pagati a prezzo più alto (rispettivamente 250 €, 160 €, 125 € e 104 €) e si difendono bene anche “Cannibal” di Black 4 White (100 €), “I Want Your Love” di Etoile e “Keep Me Going On” di D-Inspiration (entrambi 95 €), “The Big Beat” di Nouvelle Frontiere (89 €), “That Is Really Mine” di Black House (69 €), “U Love Me” di Delta (67 €) e “Baby” di Mytho (63 €). Sul fronte grafico, in ultima analisi, Italian Style Production alterna artwork studiati appositamente, adoperati in prevalenza nelle prime annate d’attività, a copertine decorate con lo stesso layout e colore dell’etichetta centrale sino a più banali ed economiche standard con sticker applicati nella parte superiore per cui si opta nell’ultima fase operativa. Con circa quattrocento pubblicazioni edite in otto anni, l’etichetta bresciana si è saputa imporre in Italia e all’estero, seppur con risultati alterni. Da un lato la prolificità ha alimentato una collana di brani che, in taluni casi, si specchiavano l’uno nell’altro differendo più per nomi che per stile, ma del resto quello della dance mainstream, è risaputo, è un mercato che ha sempre necessitato di novità costanti e il persistente utilizzo di nuovi alias orchestrati dai medesimi autori è servito a convincere il pubblico di avere a che fare di volta in volta con artisti diversi; dall’altro giovani ed intraprendenti DJ affiancati da validi musicisti sono riusciti a consegnare agli annali pezzi diventati “sempreverdi” o rivalutati a posteriori. Da rimarcare infine l’ingenuità delle prime annate, in cui non mancano spunti interessanti ma talvolta sviluppati in modo poco incisivo come avviene sovente all’italo house a cavallo tra ’89 e ’90. A conti fatti Italian Style Production lascia un ricordo indelebile nei cuori di tanti appassionati di dance music, oltre ad aver rappresentato una “palestra” dove moltissimi hanno fatto gavetta prima di spiccare il grande salto. (Giosuè Impellizzeri)

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Fargetta – The Music Is Movin’ (Marton & Media)

Fargetta - The Music Is Movin'Negli anni Ottanta e in buona parte dei Novanta comporre musica dance non è, come oggi, un “affare” quasi esclusivamente relegato ai DJ o perlomeno non si tratta di un’attività praticabile in forma autonoma dai disc jockey. Se da un lato gioca a svantaggio il costo ancora piuttosto proibitivo delle strumentazioni necessarie per allestire uno studio di registrazione, dall’altro vi è un limite di tipo compositivo perché non esiste ancora una totale indipendenza creativa, sviluppatasi contestualmente alla nascita di equipment più intuitivi per chi non sa leggere lo spartito e non possiede alcuna formazione teorica. I DJ lanciano idee e suggerimenti, talvolta anche determinanti, ma necessitano ancora spesso della presenza di arrangiatori, ingegneri del suono e musicisti per tradurre compiutamente le proprie suggestioni in brani pubblicabili.

Nello stuolo di professionisti provenienti da studi classici che in quel periodo iniziano la carriera con la dance, superando la non certo sottile barriera della resistenza pregiudiziale, c’è Max Persona, da Verona, che oggi racconta: «La musica è un’arte tramandatami da mio padre, tastierista e fisarmonicista. Nato a Legnago, nella bassa veronese, da giovane mise su una band col fratello che suonava la chitarra. Si esibivano nei migliori locali di Verona e furono anche un gruppo-spalla nelle trasmissioni Rai. Per sposare mia madre però decise di mollare. Ai tempi fare il musicista non era un mestiere abbastanza di valore e riconosciuto, quindi smise di suonare. Tuttavia la musica gli rimase nel sangue anche perché nell’immediato dopoguerra lavorava come commesso in un negozio di dischi. Così, praticamente da quando sono nato, la musica è stata una costante quotidiana nella mia vita. In casa avevamo la filodiffusione in ogni camera e in giro c’era sempre una radio. Quando avevo circa sei anni mio padre mi portò al conservatorio per prendere lezioni di organo elettronico. Imparai presto ma, poiché odiavo il solfeggio, decisi di lasciar perdere. Tuttavia la voglia di suonare l’organo che mio padre comprò per esercitarmi rimase, e quindi andavo spesso nella nostra casa in campagna a strimpellare. Lì credo di aver composto pure qualche melodia. La scintilla vera comunque scoccò quando, durante le vacanze estive tra la quinta elementare e la prima media, venne a trovarmi un caro amico di famiglia, Francesco Duprè, che ora fa il DJ, con cui mi misi a creare brani proprio con quell’organo elettronico, un Elka dotato di sezione ritmica. Un giorno gli chiesi che mestiere volesse fare da grande. Non lo sapeva ancora ma io, al contrario, sostenni con convinzione “il musicista!”. Ero già totalmente innamorato della musica però non ambivo a fare l’artista, il rischio di sparire dalle scene dopo un paio d’anni era forte, preferivo invece coprire ruolo di produttore, quello che restava dietro le quinte insomma.

Max Persona, giugno 1973

Un giovanissimo Max Persona mentre sostiene l’esame del primo anno di organo elettronico, a giugno 1973

Nonostante la giovanissima età quindi dentro di me nacque il credo di voler diventare un produttore discografico e da quel momento in poi tutta la mia vita si sarebbe proiettata verso quel preciso obiettivo, tanto che ripresi a studiare musica iscrivendomi ad una scuola di pianoforte che frequentai per un paio di anni. Inizialmente mio padre approvò la scelta, in seguito un po’ mi osteggiò ma alla fine è stato contento della carriera che ho fatto. Scelsi la dance perché sentivo che fosse la tipologia musicale a me più vicina, forse per “colpa” della sezione ritmica dell’organo Elka di cui parlavo prima che assomigliava ad una sorta di batteria elettronica minimale ad 8 bit che mi portava a pensare immediatamente alla musica da ballo. Inoltre, essendo nato nel ’66, vissi in pieno l’epopea della discomusic di Village People o Chic ma anche di Cerrone e dei fratelli La Bionda che in Italia rappresentarono il faro di quel movimento. Mio padre comprava ogni settimana i dischi della serie Hit Parade ed io mi fiondavo sistematicamente sui pezzi “dance”. Poi, intorno ai quattordici anni, cominciai ad improvvisare mixaggi casalinghi con un mixer, un giradischi ed un registratore a cassette. Per non perdere il contatto con la musica suonata presi lezioni di batteria. Durante il periodo delle scuole superiori mettevo dischi come DJ e parallelamente fondai una band che si esibiva con cover di gruppi britannici tipo Simple Minds, Cure, Duran Duran e Spandau Ballet. La lineup era composta da due chitarristi (di cui uno anche cantante) ed un tastierista, oltre a me che suonavo la batteria ed ero il capo band. Le cose cambiarono quando nacque l’esigenza di sostituire il tastierista. Misi un annuncio su un giornale di Verona, Arena Bazar, così come si usava fare ai tempi, e si fecero avanti cinque/sei persone tra cui Antonio Puntillo con cui trovai presto la giusta intesa, seppur lui venisse da un ambiente più vicino al rock e al cantautorato. Gli feci la stessa domanda che posi qualche tempo prima a Duprè e la sua risposta fu secca: voleva vivere di musica, proprio come me. Gli dissi di seguirmi perché avevo le idee molto chiare e sciolsi immediatamente la band. Per “vivere di musica” però avevamo bisogno di venderla, quindi incidere dischi. In quel momento si aprì un capitolo molto interessante della mia vita.

Io e Puntillo facevamo sul serio e così andammo a Bologna presso il negozio Casa Dell’Orchestrale per comprare il necessario che servisse a creare uno studio di registrazione. Prendemmo un registratore ad 8 piste della Tascam, un mixer ad 8 tracce della Fostex, un microfono, una tastiera, un sintetizzatore Siel Opera 6, una coppia di casse ed una batteria elettronica, la Drumulator della E-mu. Ci indebitammo con cambiali che avremmo dovuto pagare nell’arco di un paio di anni ma fummo bravi al punto da estinguerle tutte in circa sei mesi. Iniziammo a fare spot pubblicitari e basi musicali per la radio ma due contatti si rivelarono determinanti per ciò che avvenne da lì a breve. Puntillo conosceva Mario Natale, un amico di vecchia data di Verona ai tempi coinvolto in numerosi brani di tanti artisti dell’italo disco. Ci diede un po’ di dritte su come muoverci ed operare in quell’ambiente ma la vera svolta avvenne quando, recitando con la compagnia teatrale La Barcaccia, fui chiamato come corista a prendere parte alla colonna sonora di uno spettacolo. Avremmo dovuto registrare a Lugagnano presso il Factory Sound Studio di Mauro Farina e Giuliano Crivellente, due tra i player principali della musica hi NRG. In quello studio incontrai per la prima volta Laurent ‘Newfield’ Gelmetti, il quale si accorse, durante la mia performance, che fossi intonato ed andassi a tempo con la base. Uscii per ultimo dallo studio mettendolo al corrente che pure noi stessimo iniziando a produrre musica dance e chiedendogli se fosse disposto ad ascoltare una cassetta coi nostri demo. Mi rispose positivamente e gli portai il nastro che consegnò a Farina. Poco tempo dopo quest’ultimo ci convocò proponendoci di collaborare con la sua casa discografica, la Saifam. Da lì partì ufficialmente l’avventura nella dance.

Iniziammo a produrre hi NRG prima per Farina e poi per il suo ex socio Giacomo Maiolini, fondatore della Time, e per Sergio Dall’Ora, titolare dell’Havana Studios a Peschiera del Garda a cui era collegata l’etichetta Havana Productions. Quell’esperienza ci spinse a coprire dei ruoli: Puntillo, bravissimo pianista, suonava mentre io, pur contribuendo alla scrittura delle melodie, svolgevo l’attività di produttore. Erano gli anni in cui iniziava ad emergere la house music e mi resi conto che servisse un apporto in più così mi misi alla ricerca di qualche DJ in linea coi nostri scopi. Trovai Mauro Aventino, in arte Pagany. Gli proposi di partecipare al progetto, accettò con piacere e ci mettemmo al lavoro. La prima cosa che facemmo insieme fu “Love Can Do” di Blue Tattoo che proponemmo a Roberto Turatti, socio del citato Mario Natale, a cui piacque e che a sua volta inoltrò alla X-Energy Records di Alvaro Ugolini e Dario Raimondi Cominesi che lo pubblicò nel 1989. Per qualche mese lavorammo con Turatti, facendo la spola tra Verona e Milano. In quel periodo Roby Arduini, che incontrammo negli studi di Dall’Ora, fu colpito dalla nostra intraprendenza e lanciò l’idea di fare un brano insieme che poi portò ad un produttore con cui aveva collaborato anni prima, Gianfranco Bortolotti. Questo, riconoscendo immediatamente la qualità della traccia, “I Don’t Know What It Is” di Sined Roza, (reinterpretazione house di “Witness The Change” di Pete Shelley, un cult del periodo “afro” già ripreso nel 1982 dal tedesco Pit Löw alias P.L., nda) ci propose immediatamente di entrare a far parte della sua Media Records. Accettammo e all’unico studio attivo allora se ne aggiunsero altri due, uno per me, uno per Arduini ed uno per Puntillo. Pagany lavorava a rotazione con tutti. A quel punto servivano altri DJ ed iniziarono ad arrivare giovani promesse come Mauro Picotto, Francesco Zappalà e Lorenzo Carpella».

A Roncadelle, alle porte di Brescia, la Media Records del vulcanico Bortolotti segue un preciso modus operandi per le proprie produzioni: mette in stretta comunicazione i suggerimenti dei DJ e le capacità tecniche dei musicisti. Il binomio risulta efficace e genera ottimi frutti attraverso prodotti che seguono le nuove tendenze in atto captate dai nuovi eroi dei giovani mantenendo, nel contempo, alto lo standard qualitativo della scrittura e composizione. «Fu proprio così, ed io avevo intuito l’idea di Bortolotti visto che avevo già cercato la presenza di un DJ nel team per dare il giusto sound alle nostre produzioni» dice in merito Persona. «Quando eravamo in studio veniva posta sistematicamente la stessa domanda: “lo metteresti in una tua serata? Nel momento clou? All’inizio del set? Alla fine?” Insomma, il giudizio del disc jockey rappresentava un importante parametro per ottenere suggerimenti utili a finalizzare meglio le nostre proposte da arrangiatori e compositori. In Media Records c’erano DJ più propositivi, che lanciavano anche qualche idea, ed altri invece più passivi che si limitavano a fornire solo feedback. Quel compromesso tra disc jockey e musicisti, rivelatosi vincente, per me era perfetto e credo lo sia tuttora, a distanza di ormai trent’anni. Oggi però il DJ e il produttore coesistono nella stessa persona e ciò, probabilmente, non permette di avere un orecchio oggettivo nel valutare la qualità e il valore della produzione. Un tempo invece i ruoli erano separati ed ognuno aveva la sua valenza. In Media Records poi le coppie si formavano quasi autonomamente, seguendo il sentore e il giudizio a pelle. Io, ad esempio, mi sono trovato sempre benissimo con Lorenzo Carpella».

produzioni Media Persona

Alcune delle produzioni di successo della Media Records a cui ha collaborato Max Persona

Il connubio tra figure professionali fino a poco tempo prima quasi antitetiche, insomma, fa la differenza anche se talvolta, per portare in scena le hit di allora, come illustrato in questo reportage, non si fa affidamento né ai DJ né ai musicisti, preferendo assoldare invece personaggi-immagine col fine di dare un volto a progetti da studio concepiti e sviluppati da chi non è disposto a prendere parte ad apparizioni pubbliche, che siano ospitate televisive o spettacoli in discoteca. Persona, ad esempio, è tra gli artefici di brani come “We Need Freedom” di Antico, “2√231” di Anticappella, “Move Your Feet” di 49ers, “Take Me Away” e “U Got 2 Know” di Cappella, “Find The Way” di Mars Plastic e “Dancing Through The Night” di Sharada House Gang giusto per citarne alcuni, ma senza che il grande pubblico abbia mai visto il suo volto e talvolta abbia nemmeno letto il suo nome, comunque riportato regolarmente tra i crediti in copertina. «Come accennavo prima, la mia idea era proprio quella di fare il produttore e non l’artista» spiega il musicista veneto. «Tuttavia non mi sono mai sentito un ghost producer come quelli di oggi, che approntano la canzone e la vendono a terzi senza figurare da nessuna parte. Io mi sento legittimamente coinvolto in tutti i brani di allora e credo che gli addetti ai lavori comprendessero che dietro a quei pezzi ci fosse la presenza di un nutrito team di produttori. Non ho mai sentito il bisogno di mettermi in primo piano anche perché non era certamente quello il momento giusto per farlo. Ripensandoci oggi, col senno di poi, forse sarebbe stato meglio produrre musica a proprio nome ma per come funzionavano le cose ai tempi avrei dovuto firmare un contratto con la Media Records che mi attribuisse la proprietà dei marchi ma non credo sarebbe stato fattibile. In quegli anni non c’era la possibilità di emergere partendo dal completo anonimato, bisognava farsi le ossa e la giusta gavetta. Poi Bortolotti faceva rispettare sempre i ruoli di ognuno mantenendo saldamente il controllo della situazione, ed era giusto che fosse così, anche io avrei fatto lo stesso nella sua posizione».

Marton & Media

Il logo della Marton & Media, etichetta che nel 1992 ufficializza la partnership tra la Marton Corporation di Claudio Cecchetto e la Media Records di Gianfranco Bortolotti

Nel copioso repertorio di Persona figura anche il singolo di debutto di un DJ destinato ad una rosea carriera, Mario Fargetta. “The Music Is Movin'” esce nel 1992 su un’etichetta inaugurata pochi mesi prima con “Free” del collega Molella («brano che avevo prodotto ed arrangiato nel mio studio a Roncadelle insieme allo stesso Molella e Filippo Carmeni alias Phil Jay» chiarisce il musicista), la Marton & Media, nata per ufficializzare e suggellare la partnership tra la Marton Corporation di Claudio Cecchetto e la Media Records di Gianfranco Bortolotti, iniziata già l’anno precedente con la joint venture FRI/Media come attestano i crediti sulla copertina di “Revolution!” del citato Molella. Stilisticamente il brano si muove all’interno delle maglie di una eurodance mischiata a suoni trapiantati dalla hardcore techno dei rave britannici, quella piena di sirene, stab e reticoli ritmici filo breakbeat. «Eravamo nel pieno trend della techno promossa dagli artisti d’oltremanica ed uscivamo da pezzi come “Take Me Away” dei Cappella o “2√231” degli Anticappella per cui ricorremmo a suoni particolarmente “duri”» spiega Persona. «Ad ispirarci principalmente per quel genere di tracce erano i Prodigy nonché il clima post industriale da cui giungevano continuamente nuovi input come, ad esempio, il “martello” utilizzato sullo snare proprio in “The Music Is Movin'”. Quel pezzo lo realizzammo con una valanga di campionatori Akai S1100 abbinati all’expander EX1100: credo ne avessi almeno sei per un totale di ben 24 uscite stereo a disposizione che equivalevano ad una potenza incredibile per i tempi. La sirena derivava da un Roland Juno-106 e gli altri suoni da un Roland MKS-70, insieme a vari campionamenti mixati a sintesi additive con cui ottenevamo un suono nuovo. La patch del “pianoforte”, ad esempio, era influenzata da “I Like It (Blow Out Dub)” di Landlord Featuring Dex Danclair, del 1989. Mixammo il tutto su una consolle Soundcraft finalizzando il prodotto finale in una quindicina di giorni circa. Sulla copertina venne scritto “recorded by Mars Plastic Sampler 1.0”, una delle tante trovate di Bortolotti per alimentare con un pizzico di mistero il nome Mars Plastic scelto per la versione principale, la Mars Plastic Mix per l’appunto nonché nome di un progetto che partì proprio quell’anno col brano “What You Wanna Be” (prodotto da Arduini, Aventino e Picotto, nda). A cantare “The Music Is Movin'” fu invece Ann-Marie Smith con cui iniziammo a collaborare qualche tempo prima. In studio, con me, c’era Lorenzo Carpella, piazzato davanti al piatto con borse piene zeppe di dischi a destra e a sinistra. Era lui a fornirmi “pezzettini” di suoni che campionavo e poi mettevo dentro, girandoli, tagliuzzandoli e testandoli più volte in svariate combinazioni. Se non ricordo male, in questa maniera nacquero anche i due sample iniziali, “eeeh paaa” (tratti da “Notice Me” della compianta Sandee, nda). Molto spesso partivamo da un suono che suggeriva il movimento e poi, su quello, sviluppavamo la melodia, magari traendo spunto da un campionamento, un sovracampionamento o un mix tra due suoni o due synth campionati a loro volta. Per ricreare l’effetto Prodigy nella ritmica, quella volta, andammo a ripescare il famosissimo “Hot Pants – I’m Coming, Coming, I’m Coming” di Bobby Byrd, del 1971, che si trovava in decine di dischi, opportunamente tagliato. Pur non eguagliando i risultati della band di Liam Howlett, non potemmo certamente lamentarci. “The Music Is Movin'” fu licenziato nel Regno Unito, in Francia, in Spagna, in Australia e negli Stati Uniti ma non saprei quantificare con esattezza le copie vendute. Il remix che approntai poco tempo dopo, uscito come Mars Plastic Remix sul disco infilato nella copertina gialla, secondo me andò persino meglio rispetto alla prima versione. A svettare lì era il suono del pianoforte che poi è quello che ha recentemente ispirato Calvin Harris».

Nei primi giorni di aprile 2020 Harris pubblica “Moving”, rework di “The Music Is Movin” che firma come Love Regenerator, ma non è il primo a ripescare la hit made in Media Records. Ci pensano i G.T. con la quasi omonima “The Muzik Is Movin'” provvista di rimembranze faithlessiane, nel 1996, i System X con l’happy hardcore di “Rush Hour” nel 1997 e i Cortina con una reinterpretazione hard house edita da Nukleuz nel 1999, nel 2001 tocca all’olandese Geal con “Losing My Feelin” e più recentemente pure a Ummet Ozcan, giovane pupillo della Spinnin’ Records, con “Lose Control” del 2015, e a Janika Tenn con “Moving” del 2019. «Sono molto orgoglioso che un personaggio come Calvin Harris abbia scelto di riutilizzare “The Music Is Movin” per una sua uscita» afferma Persona. «Ritengo abbia esaltato il brano nella giusta maniera e il risultato, ad oggi, ha già totalizzato cinque milioni di ascolti su Spotify e circa 500.000 su YouTube con un “video” che mostra solo la copertina, e la cosa mi inorgoglisce ulteriormente».

Max Persona e Fargetta, tra 1992 e 1993

Il musicista veronese e Mario Fargetta in una foto scattata tra 1992 e 1993

In relazione al rapporto tra DJ e musicisti di cui si parlava prima, in un’intervista rilasciata a Clara Zambetti e pubblicata a dicembre del 1995, Fargetta dichiara testualmente: «Ho iniziato a fare il produttore quando Gianfranco Bortolotti mi propose di fare un disco che era già pronto, “The Music Is Movin'”, dovevo solo aggiustarlo secondo i miei gusti». Ci si chiede dunque cosa cambiò nel brano rispetto alla versione approntata presso la Media Records. «Effettivamente quando arrivò Mario avevamo già realizzato almeno metà del pezzo» rammenta a tal proposito Persona. «Lui ammise subito senza giri di parole di non sapere come fare dischi così lo invitai a farmi sentire ciò che gli piaceva di più, anche selezionando singoli suoni come basso, cassa o passaggi melodici che lo avevano particolarmente colpito. Dopo un po’ tornò con vari sample che aveva ritagliato su bobina e dai quali campionammo qualcosa che mettemmo nella traccia. Di quel particolare momento, in cui nasceva il sodalizio tra Cecchetto e Bortolotti, rammento anche alcune partite a calcio organizzate come “contorno” a tutto ciò che si stava sviluppando negli studi a Roncadelle».

Fargetta - Music

“Music” è il follow-up di “The Music Is Movin'”, realizzato ancora con Max Persona

La sinergia tra Fargetta e Persona non si esaurisce: nell’autunno del 1992 realizzano il follow-up di “The Music Is Movin'” ossia “Music”, cover dell’omonimo di John Miles, con cui prendono le distanze dall’impronta eurotechnodance a favore di una scelta melodica più schietta, ulteriormente riverberata dalla versione italodance del 2002 firmata dallo stesso Fargetta e Gabry Ponte e ricantata da un altro personaggio proveniente dalla scuola Media Records, Carl Fanini (East Side Beat, Club House, di cui si parla qui e qui). «Considero “Music” la mia più grande soddisfazione professionale» risponde schiettamente Persona. «Mario mi propose di rifare il pezzo di Miles ma inizialmente ero particolarmente scettico. Il brano originale era molto distante dalla dance, con parti melodiche in 4/4 che poi passavano in 7/8, si sviluppava tra crescendo e calando tipo un’opera lirica e mostrava evidenti complessità nella struttura. Tuttavia riuscì a convincermi e gli dissi che avrei fatto un tentativo per vedere cosa potesse venirne fuori. Alla fine quel brano-opera si trasformò in un’opera-dancepop, traslata tutta in 4/4 e soprattutto con un ritornello riscritto ex novo che nel pezzo di Miles non c’è. A figurare nella nostra versione era infatti una porzione inedita che scrissi io e che feci cantare ad Ann-Marie Smith. Mi accorsi che nella stesura melodica originale, molto romantica, mancava una sorta di “esplosione” fondamentale nella dance e così, utilizzando la linea del pianoforte di Miles, scrissi il ritornello. Dopo averlo ascoltato per la prima volta Mario era contentissimo ed entusiasta. Poi lo rifinimmo insieme. Credo che “Music” sia la canzone maggiormente riconoscibile del mio repertorio oltre ad essere quella ad avermi dato una soddisfazione enorme, derivata anche dai complimenti di John Miles giunti in diretta su Radio DeeJay. Il britannico definì la versione molto interessante e ben realizzata».

Persona lavora a Roncadelle dal 1990 a metà del 1994, un arco di tempo ricchissimo di produzioni. «Alla Media Records tornai anche dopo il 2000 come direttore degli studi, seppur per un breve periodo» precisa il musicista. «Quei tre anni e mezzo iniziali furono meravigliosi: insieme ad Arduini, Puntillo ed Aventino, partivo ogni mattina da Verona in macchina, una Volvo comprata all’uopo. Giunti a destinazione facevamo velocemente colazione al bar dell’Hotel Continental e poi ci chiudevamo in studio sino a pranzo. Dopo un panino di nuovo in studio fino a sera, quando tornavamo a casa. La nostra vita di quegli anni fu sostanzialmente questa. In principio eravamo in pochi: oltre a noi quattro, c’era Bortolotti, il socio Diego Leoni (intervistato qui, nda), le segretarie e non più di un paio di DJ. Insomma, forse una decina in tutto, ma ci divertivamo come matti. Inoltre ogni pezzo che tiravamo fuori aveva una magia ed un’aura particolare. Erano tempi particolarmente floridi per la discografia, solitamente si facevano dalle tre alle cinque ristampe per uscita. Dei pezzi meno fortunati invece ne vendevamo almeno diecimila copie, sommate a tre/quattro licenze estere. Si lavorava parecchio ma le soddisfazioni ripagavano alla grande. Ricordo con particolare piacere i primi brani incisi per la Media Records, come “We Need Freedom” di Antico, a cui donai la mia voce: la parte urlata fu ideata anche da me, ispirata dai vocal di “The Party” di Kraze uscito pochi anni prima. Mi mandarono in sala canto dove pronunciai più volte lo slogan “we need freedom!” ma senza esito. Poi decisi di urlarlo e fu perfetto, ma rimasi senza voce per tre giorni. Sono particolarmente legato pure a “Take Me Away” e “U Got 2 Know”, entrambi di Cappella, due brani che testimoniano in pieno il desiderio di esprimere il nostro lato “techno mediterraneo”, prestando particolare attenzione a melodie ed armonie, e non posso non citare “Music” di Fargetta, nata come una vera sfida e fortunatissima dal punto di vista creativo. Un pensiero, infine, è rivolto anche a “2√231” di Anticappella, scritto inizialmente per Cappella. Ero convinto che avesse tutte le carte in regola per funzionare ma Bortolotti era titubante. Lo pubblicò ugualmente ma con un nome diverso col fine di creare un antagonista tra le mura della stessa casa discografica e così nacque il progetto Anticappella che raccolse ottimi riscontri nel mondo (a licenziarlo in Germania, Regno Unito e Stati Uniti sono rispettivamente tre etichette-cardine, la ZYX di Bernhard Mikulski, la PWL Continental di Pete Waterman e la Next Plateau di Eddie O’Loughlin, nda)».

adv Union Records, 1995

Due advertising della Union Records risalenti al 1995

Nel 1994 la compagine veronese formata da Persona, Arduini, Puntillo ed Aventino lascia la Media Records per fondare una nuova società discografica, la Union Records. Sotto il suo “ombrello” verranno piazzate varie etichette tra cui la Molotov Records, destinata alle produzioni house, e la Tube spalleggiata da uno dei DJ veneti più amati, Marco Dionigi, intervistato qui. «Seppur fossimo il cuore pulsante della Media Records, decidemmo di abbandonare il gruppo di Bortolotti perché i tempi erano propizi per camminare con le nostre gambe» spiega Persona. «La Union Records nacque rilevando gli spazi un tempo occupati dal Factory Sound Studio, proprio dove partì tutto pochi anni prima. Andò discretamente, almeno sino al 1997 quando ci fu uno sciagurato incontro con una società che si propose di curare tutto, dalla distribuzione alle edizioni, ma purtroppo non fece un buon lavoro, non so se intenzionalmente o per negligenza. In appena sei mesi fummo messi nelle condizioni di cedere tutto a quella stessa società che invece avrebbe dovuto amministrarci».

MKZE - Shining Ray

“Shining Ray” di M.K.Z.E., edito dalla Next Records nel 1995, sigla la ritrovata collaborazione tra Mario Fargetta, nascosto dietro l’acronimo Mafa, e Max Persona

Durante gli anni di operatività della Union Records, Persona si ritrova a collaborare nuovamente con Fargetta ma con risultati diversi rispetto ai precedenti. Nel 1995 esce “Shining Ray” di M.K.Z.E., progetto di Miko e A-Enzo prodotto negli studi veronesi della Union ma pubblicato dalla Next Records del gruppo Energy Production. A scriverlo sono Persona, Puntillo e Fargetta, quest’ultimo trincerato dietro l’acronimo Mafa. Nonostante qualche passaggio nel DeeJay Time di Albertino, il brano non riesce ad uscire dall’anonimato ma resta comunque ancorato al cuore degli appassionati dell’eurodance analogamente ad un altro brano personiano ricercato sul mercato del collezionismo con discrete valutazioni, “I Need I Want” di Vince B, costruito sugli accordi di “Birdland” dei Weather Report ed un sample vocale preso dall’acappella di  “Was It Just A Game” di Solution Featuring Tafuri.

Maiolini-Persona-Pagany (1994)

Un’altra foto scattata nel ’94 risalente al periodo della Union Records: insieme a Max Persona (al centro) e Pagany (a destra) c’è Giacomo Maiolini della Time Records

II post Union Records per Persona inizia a Milano dove, tra 1997 e 2001, lavora negli studi della X-Energy Records. «In quel periodo incisi discreti successi come “Down Down Down” insieme a Stefano ‘Gambafreaks’ Gambarelli ed altri che funzionarono bene in Francia e Germania» rammenta. «Nel 2001 ho creato Persona Music, label indipendente a cui due anni più tardi si è aggiunta Nexus3, agenzia di comunicazione multimediale. Uno dei due soci che mi affiancano in questa avventura è Eugenio Chicano Carnevali, un regista e creativo pubblicitario di origini spagnole. Nexus3 poggia, come anticipa lo stesso nome, su tre business unit: produzioni audiovisive, comunicazione (incluso studio del logo e naming per le aziende che partono da zero) e una divisione management per gli eventi. Ad un certo punto della mia vita ho avvertito una sorta di rifiuto per la musica. Pur continuando a comporre, anche per etichette di un certo spessore come Sony ed Universal, non comprendevo più dove si stesse dirigendo l’ambito musicale, interessato peraltro da troppa confusione sui supporti e sul ruolo del digitale che avanzava. Così ho preferito allontanarmi per un periodo piuttosto lungo, dal 2006 al 2013. La voglia di comporre però non è mai scemata del tutto così ho rimesso in piedi lo studio di registrazione con le poche cose che mi erano rimaste della Persona Music integrandole a qualche nuovo acquisto. Il primo risultato è stato “Fight For Your Fantasy” realizzato a quattro mani con Alex De Magistris che mi ha fatto riavvicinare progressivamente alla dance. Nell’ultimo anno ho prodotto parecchi nuovi brani, tutti pronti per essere pubblicati. Devo ammettere che un’ulteriore spinta, insieme ad una piacevole dose di notorietà, me la sta fornendo Calvin Harris col suo rework di “The Music Is Movin'”.

Seppur defilato dal punto di vista lavorativo, ho costantemente seguito l’evoluzione delle declinazioni più pop della musica da ballo, quella che personalmente ritengo debba far divertire la gente e celebrare al meglio il momento in cui si stacca la spina dai problemi della quotidianità. Per me la dance ha esattamente questo scopo, come qualsiasi musica che faccia ballare, che sia latina o il reggaeton. Quando un brano, a prescindere dallo stile, riesce a dare una scossa spingendo a muoversi, ad empatizzare con la melodia e generare un totale coinvolgimento, ha raggiunto lo scopo. Dal punto di vista creativo invece, purtroppo oggi non trovo nulla che suoni veramente nuovo. Sussiste la voglia di sperimentare e trovare una personalità ma ciò avviene puntualmente con qualcosa che ripesca nel passato e gode di contaminazione tra uno stile e l’altro. In tal senso mi piacciono i Major Lazer, Kygo o Alan Walker che ha portato una forte melodicità in pezzi come “Faded” ed “Alone”, ma nessuno di loro ha fatto nulla di autenticamente nuovo. A lasciare le orme più profonde ed avanguardiste restano miti come Kraftwerk, Cerrone, Moroder, Vangelis, Quincy Jones o Nile Rodgers: sono loro ad aver scritto la storia. Fatico a trovare chi abbia fatto altrettanto in tempi più recenti, forse una marcia in più rispetto a tanti altri l’aveva Avicii che purtroppo non è più con noi». (Giosuè Impellizzeri)

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Marco Trani – DJ chart marzo 1997

Marco Trani, DiscoiD marzo 1997
DJ: Marco Trani
Fonte: DiscoiD
Data: marzo 1997

1) Solar Band – Brazilian House
Quello della fittizia Solar Band è un brano mai dato alle stampe e non è neppure accertato che ai tempi fosse stato realmente inciso su acetato, come invece questa chart lascerebbe supporre. Si presume fosse un pezzo prodotto dallo stesso Trani, testato durante le sue serate. A fugare qualche dubbio a tal proposito è Pierangelo Scognamiglio alias Peter Kharma, da Bologna, che con Marco Trani condivide una collaborazione durata diversi anni: «Di Solar Band ho un ricordo molto vago. Faceva probabilmente parte di una serie di brani che realizzammo nel periodo in cui io, Marco e mio fratello Emiliano Ramirez mettemmo su una società discografica, la Sure Shot Division. Marco aveva tantissimo materiale a disposizione tra cui acappellas ufficiali o parti suonate che alcuni discografici gli affidarono dandogli carta bianca sulla realizzazione. Ai tempi Marco era il numero uno e chiunque avrebbe fatto carte false per poterlo avere nella propria scuderia. Conservo, su DAT, oltre una decina di brani prodotti allora, mai dati alle stampe. Sure Shot era un nome creato alcuni anni prima proprio da Marco ed adoperato per i remix di “Funky Guitar” dei TC 1992 (di cui abbiamo parlato nel dettaglio qui). Il progetto iniziale prevedeva la presenza dell’etichetta principale, Sure Shot Division per l’appunto, affiancata da due sublabel, la Warm Up Records e la Golden Globe ma quest’ultima, pensata per produzioni soul, purtroppo non fu mai realizzata. Conobbi Marco ad una serata in cui lui era special guest. Per me era già un mito e colsi l’occasione per avvicinarlo quando suonò un disco di mio fratello, pubblicato dalla MBG International Records di Giorgio Canepa. A serata conclusa mi chiese di vederci l’indomani nel mio X-File Studio che avevo allestito da poco. Tra noi scattò subito un grande feeling tanto da prendere la decisione di acquistare strumenti di livello più alto e diventare soci a tutti gli effetti, seppur non fu mai steso un atto notarile bensì una scrittura privata e soprattutto una bella stretta di mano. Da quel momento io e mio fratello diventammo la sua ombra, lo seguimmo in tutte le serate e ci inserì in diversi eventi come al Pascià di Riccione, dove quell’anno era resident. Il primo brano che incidemmo fu “Disco Connection” di Peter K, nel 1995. Gli feci sentire una mia bozza sviluppata usando un sample dei T-Connection (“Do What You Wanna Do” del 1977, nda) e lui si entusiasmò a tal punto da volerlo finalizzare ma tenendo il mio nome. Nonostante fosse un veterano pluriconosciuto ed io solo un ragazzino alle prime armi, non volle attribuirsi la paternità del disco perché l’idea era partita da me. Questo fu un gesto di grande correttezza oltre che di grande umiltà».

La collaborazione tra Marco Trani e i fratelli Scognamiglio prosegue con “Hypno Party” di Miguel Rayes sulla citata Warm Up Records e col remix di “Love Has Changed My Mind” di Vicki Shepard sulla Reform del gruppo Discomagic, entrambi del 1995. L’anno seguente invece Kharma e Trani producono “Set You Free” di Low Noise per la Dance Pollution del gruppo Arsenic Sound, ai confini con la dream trance/progressive, a testimoniare l’assenza di “paletti” che potessero delimitare l’operatività in stili musicali diversi. «Il sound delle nostre produzioni era orientato tendenzialmente alla house e alla cosiddetta “underground”» prosegue Scognamiglio. «Per una compilation del Disco Inn di Modena realizzammo il brano “Trani’s Santa Tribe”, nato da un giochino che Marco faceva spesso durante le serate. Tamburellava col dito il centrino del vinile imitando una percussione e il pubblico rispondeva battendo le mani, e così in un locale ci venne in mente di adoperare quel “botta e risposta” sincronizzandolo col groove di “Don’t Let Me Be Misunderstood” dei Santa Esmeralda. In quel periodo Marco notò la mia predisposizione verso trance e progressive, generi che si stavano imponendo anche a livello commerciale, e mi incitò a cimentarmi in ogni tipo di produzione che mi venisse in mente. Il suo mood era soul ma si emozionava tantissimo quando suonavo qualsiasi tipo di melodia. Essendo più giovane, credo che da quel punto di vista fossi io a dargli qualcosa. Con estrema umiltà mi ascoltava e cercava di capire meglio quel mondo per lui sconosciuto come la trance o addirittura la jungle, mettendoci del suo a seconda delle sensazioni percepite durante la realizzazione del brano. Nessuna casa discografica ha mai interferito nel nostro lavoro, ed è stato proprio questo il motivo per cui andavamo in studio sentendoci liberi di fare tutto quello che volevamo. Talvolta trascorrevamo lì dentro ore ed ore al punto da chiamare ironicamente quella stanza “la miniera”.

Marco inoltre era sempre attivo nel cercare nuove collaborazioni. Un giorno ci propose di realizzare una traccia per un noto brand di abbigliamento, El Charro. Realizzai una base lenta, in stile r&b, che lui portò in uno studio romano dove fu scritto il testo e dove venne cantato da Toma Man dei Papasun Style. Avute le voci, realizzammo altre tre versioni (house, dub e jungle) che formarono il CD singolo, dato in omaggio come gadget nei negozi che vendevano El Charro. Se la memoria non mi inganna, di quel CD ne vennero stampate circa 80.000 copie. Dopo quell’esperienza però ci dividemmo. Avevo intenzione di proseguire sulla linea trance/progressive e cominciai a produrre per l’Arsenic Sound di Paolino Nobile (intervistato qui, nda) rimanendo comunque in buoni rapporti con Marco, tanto che negli ultimi tempi ipotizzammo di ricominciare a fare qualcosa insieme.

Peter Kharma studio

Uno scorcio dello studio di Peter Kharma. Al muro è appesa una foto-poster in ricordo dell’amico

Lo ricordo come un fratello. Abbiamo vissuto alcuni anni totalmente in simbiosi e il rapporto andava oltre il lavoro. Mi ha insegnato tantissime cose, sia umanamente che professionalmente e per questo sto realizzando un singolo accompagnato da un videoclip dedicato proprio a lui. Di Marco rammento soprattutto l’incredibile carisma e quello che riusciva a trasmettere alle persone. Tecnicamente resta il più grande DJ che abbia mai sentito suonare, e il termine “suonare” è intenzionale perché il modo in cui selezionava i dischi e li mixava era unico. Cercava voci che si intonassero col basso del brano precedente e l’evoluzione che dava al suo set portava puntualmente la pista al delirio. Queste cose per me sono state fondamentali. Mi ha trasmesso la sensibilità di sentire il mood del pubblico che porta a capire come e quando mettere un determinato pezzo. Ecco perché lo considero, oltre che un grande professionista, un autentico artista della consolle. Non meno importante l’umiltà che riservava alle persone alle quali era affezionato. Quando parlava di affari invece, mi ripeteva: “fatte rispettà perché sennò te se magnano pure er core!”. Una volta presi i suoi flight case nel parcheggio di un locale e mi incamminai verso l’ingresso, ma mi bloccò e disse: “aó, ma che stai a fa’? Tu sei Peter Kharma e me porti e valiggette a me?” Durante un’altra serata invece ci trovavamo davanti ad una discoteca di Roma, la sua città. Un ragazzo gli si inchinò davanti dicendo: “massimo rispetto a te grande Marco, sei n’imperatore!”. Ecco, Marco Trani era davvero l’imperatore della consolle».

2) DJ Disciple – The Sidebar EP
David Banks alias DJ Disciple, inizialmente devoto al gospel e che nel 1994 fa ingresso nella classifica britannica dei singoli con “On The Dancefloor”, è tra i produttori house più attivi degli anni Novanta con pubblicazioni sparse su label di tutto rispetto tra cui la nostra D:Vision Records. Nel 1997, col supporto della Soundmen On Wax, fonda la sua etichetta, la Catch 22 Recordings, inaugurandola proprio con l’Extended Play in questione. Dentro ci sono quattro brani di cui tre da lui stesso prodotti: “Steal Away” di Dawn Tallman, “Burning Up” di Brown Girl e la sua “Tribal Confusion”, a cui si aggiunge “Down Packed Evolution” di One Cool Cuban, meglio noto come DJ Dove. Le matrici sono garage, venate di inserti jazzistici e potenti voci soul, così come tramanda la house della Grande Mela. Le prime white label promozionali distribuite agli addetti ai lavori annoverano un brano diverso rispetto al disco messo in commercio, “Funky Stuff” di Speedy, mai pubblicato ufficialmente e sostituito per ragioni ignote dal citato “Tribal Confusion”.

3) Kookie Scott – Believe In Me
“Believe In Me” di Kookie Scott esce sulla romana Active Bass Music, una delle tante etichette che gravitano intorno al gruppo Antibemusic. Si tratta di un brano house garage, creato sul modello newyorkese/londinese e prodotto da Joe Smooth che in quel periodo avvia una stretta collaborazione con la struttura capitolina guidata da Claudio Donato. La Club Mix sul lato a è quella di maggior impatto e forse pensata per le classifiche d’oltremanica, sul b altre due versioni, Atmosphere Mix ed Early Morning Service Mix, che spostano il baricentro verso soluzioni maggiormente le ritmiche. Inspiegabile la ragione per cui venga spacciato per un acetato visto che è in circolazione sin dal 1996.

4) Big Moses Feat. Kenny Bobien – Brighter Days (Remix)
Tre i remix pubblicati dalla King Street Sounds di quello che potrebbe essere considerato uno dei brani più noti di Big Moses. La calda voce di Kenny Bobien viene reimpiantata da Stephan Mandrax (affiancato dal tastierista Scott Wozniak) in due rivisitazioni, la fascinosa Liquid Club Mix e l’altrettanto intensa Liquid Dub, che non è proprio una riproposizione strumentale della stessa. L’edit di Matthias Heilbronn, tedesco trapiantato negli States, continua a muoversi nelle stesse latitudini stilistiche, tra deep house e soul garage di fattura spiccatamente newyorkese. A completare è l’Instrumental approntata dallo stesso Big Moses che in futuro vedrà ritoccare ancora il suo brano da artisti come Mousse T., Pound Boys, Groovylizer e, più recentemente, Crazibiza.

5) Karen Jones – Aquarius (Trani’s Hard Dub)
Karen Ann Jones, americana trasferitasi in Italia, è una delle vocalist che aiuta l’italo house a trovare una collocazione sul mercato internazionale, dopo maldestri tentativi di italo disco memoria che spinsero diversi produttori italiani ad avvalersi di acappellas anziché affidarsi a cantanti nostrane dall’imbarazzante pronuncia inglese. Da “To The Rock Groove” del 1989 a “Come Together” del 1990, passando dai featuring per i Bit Machine (uno dei progetti che Daniele Davoli, Mirko Limoni e Valerio Semplici varano in parallelo a Black Box), Daybreak e Paradise Orchestra (con Corrado Rizza, Dom Scuteri e Gino “Woody” Bianchi, artefici di Black Connection di cui abbiamo parlato qui), la Jones si afferma con merito nel circuito house. “Aquarius”, edito dalla Deep del gruppo Dance Pool, è la cover dell’omonimo dei The Fifth Dimension e mette in risalto le qualità vocali della cantante su tessiture downbeat. Svariate le versioni approntate tra cui le due di Trani, la Love Message e la Hard Dub: dalla prima emerge la solarità del funk e del soul, dalla seconda una più marcata enfasi del beat in cui le voci vengono scomposte in moduli ed adoperate a mo’ di elementi di raccordo ritmico. Degne di menzione anche la Industry Mix di Intrallazzi e Fratty e la Drum N Bass Version, ulteriori sviluppi creativi di un brano passato piuttosto inosservato.

6) Moodlife Feat. Sonya Rogers – Movin’ On
“Movin On'” è il brano con cui Sandro Russo ed Andrea Arcangeli duplicano la vena creativa creando Moodlife, progetto parallelo al più noto M.A.S. Collective. Pubblicato dalla Suntune diretta da Angelo Tardio nel post UMM vissuto tra le mura della bresciana Time Records, il pezzo è coscienziosamente allineato allo stile garage house statunitense a cui i due DJ nostrani accedono lasciandosi affiancare da alcuni musicisti (il tastierista Maurizio Somma, il trombettista Stefano Serafini, il bassista Cico Cicognani) e vari vocalist tra cui Ce Ce Rogers, Sonya Rogers e il rapper Master Freez. I due remix (Club Mix, Dub Mix) sono di Tommy Musto, stella del clubbing newyorkese, a cui pochi mesi più tardi si aggiungono quelli di Stephan Mandrax e Fathers Of Sound.

7) Nuyorican Soul Featuring India – Runaway
Nuyorican Soul è il prestigioso side project che Little Louie Vega e Kenny Dope Gonzalez affiancano dal 1993 al più noto Masters At Work. La prima apparizione avviene sulla Nervous Records col “The Nervous Track” ristampato nel 2014, poi le collaborazioni strette con George Benson e Jocelyn Brown (rispettivamente per “You Can Do It (Baby)” e “I Am The Black Gold Of The Sun”) forniscono quel quid che fa di Nuyorican Soul un eccelso punto di unione e scambio tra musica latina, soul, funk, r&b, jazz ed house. Nel ’96 incidono il primo (ed unico) album per la blasonata Talkin’ Loud in cui figurano nuove sinergie con eminenti musicisti e cantanti (il percussionista Vincent Montana Jr., la vocalist Lisa Fischer, i pianisti Terry Burrus ed Eddie Palmieri, il vibrafonista Roy Ayers) e dal quale vengono estratti vari singoli tra cui “It’s Alright, I Feel It!” e “Runaway”, quest’ultimo cover della quasi omonima “Run Away” della Salsoul Orchestra del 1977. La voce di Loleatta Holloway viene sostituita da quella di India, unita in nozze col citato Vega per alcuni anni. Il doppio mix che Marco Trani inserisce nella chart annovera, oltre all’Original Flava 12″, autentico tributo al philly soul, tre remix: il Jazz Funk Experience e il Soul Dub di Mousse T. sono trainati da un impianto ritmico molto simile a quello che il DJ turco/tedesco adopera per affermarsi in modo definitivo nel grande pubblico sin dall’anno seguente (“Horny ’98”, i fortunati remix per “Sex Bomb” di Tom Jones e “Saturday” di Cunnie Williams Feat. Monie Love), mentre il Mongoloids In Space di Armand Van Helden riformula tutto sullo schema dell’epocale versione di “Professional Widow” di Tori Amos, riducendo al minimo le parti vocali sovrastate da tessere funky sequencerate in un velenoso groove speed garage. Spazio anche alla Ronnie’s Guitar Instrumental, versione strumentale su cui troneggia la chitarra di Ronnie James della Salsoul Orchestra, il tool Philly Beats e l’India’s Ambient Dream, celestiale chiusura di quello che probabilmente può essere ricordato come il disco più rappresentativo della breve parentesi che Vega e Gonzalez siglano come Nuyorican Soul. A pubblicarlo in Italia è la Zac Records, che mette le mani pure sul seguente “It’s Alright, I Feel It!” remixato, tra gli altri, dai Mood II Swing e Roni Size.

8) The Sun Project – Wear Yourself Out (Remix)
Nato nel 1995 da un’idea di Pagany e Fabio Slaider (oggi Slider), The Sun Project parte con una house ravvivata da ispirazioni 70s (tra i sample presenti in “The Sound”, su Molotov Records, c’è quello di “Bim Sala Bim” degli Hudson County edito nel 1975 dalla RCA) per poi svilupparsi su territori garage attraverso “Wear Yourself Out” interpretata vocalmente da Yvonne Shelton. Marco Trani sceglie il 12″ coi remix realizzati dai M.A.S. Collective (ancora affiancati dai musicisti Maurizio Somma e Gabriele ‘Cico’ Cicognani, si veda posizione 6), Franz e Deep Bros. Russo ed Arcangeli, nella loro Philly Club, saldano due mondi ai tempi particolarmente comunicanti, quello del soul e quello della house. La Kolo Mix di Franz distilla elementi deep e funk e in scia si inseriscono le due versioni dei Deep Bros, No Doubt e Fusion Mix, spiccatamente garage la prima, più sensuale ed avvolgente la seconda. Figura infine la Simply Sound Dub, in cui prende il sopravvento la carica ritmica. The Sun Project riappare qualche anno più tardi ma la produzione passa nelle mani di Simone Farina (figlio di Mauro Farina, boss della Saifam) che si lascia affiancare da Gianni Bova in “Brazilian’s Affairs” del 2001 e da Nicola Fasoli in “My Fire” del 2004.

9) Various – It’s A DJ Thing 4
“It’s A DJ Thing” è la raccolta ideata nel 1996 dalla britannica Defender Music, andata avanti per ben tredici volumi, tutti in formato doppio, sino al 2002. Il quarto, preso in esame per l’occasione, ingloba “Make Me Feel” dei 95 North e “Doo Wop” dei Room Zero, stampati come singoli solamente l’anno dopo. Poi ci si imbatte in “Hit The Conga” dei nipponici Paradise Yamamoto & Tokyo Latin Mood Deluxe, remixata da Eric Kupper e François Kevorkian, e due esclusive, “Dee’s Groove” di TC Project alias Felix Hopkins, e “Future” di Javen Souls, prodotto a quattro mani da Jan Cooley e Maurice Fulton. L’occasione è giusta per inserire pure una gemma del passato, “Hiroshi’s Dub” dei giapponesi Tiny Panx Organization, meglio noti con l’acronimo TPO, risalente al 1989 e riproposta nel ’98 dalla Nite Grooves. La versione scelta è la Savanna Mix realizzata da un giovane con gli occhi a mandorla destinato a lasciare il segno, Satoshi Tomiie.

10) Bruce Wayne Vs. H.A.N.Z.- In The Dog House
Il brano in questione occupa il lato b di un 12″ edito dalla tedesca Plastic City, etichetta che allora flirta sia con la house (Terry Lee Brown Jr., The Timewriter) che con la techno (Tesox, , AWeX, di cui abbiamo parlato qui, Kriss Dior). “In The Dog House” gira su uno schema più meccanico rispetto a quello delle produzioni house statunitensi o britanniche, con una parte vocale incastrata geometricamente nella gabbia ritmica montata a sua volta su una serie di suoni tenuti in vita dal loop. A firmare il tutto sono il prolificissimo Jürgen Driessen, per l’occasione nascosto dietro il nomignolo Bruce Wayne ispirato dall’omonimo personaggio dei fumetti della DC Comics, Batman, e Hans Centen che in quel periodo mette su il progetto Decadance con René Runge alias Jaspa Jones del noto duo Blank & Jones. Il 12″ esce anche negli States attraverso la Twisted America Records. In Italia invece la licenza è messa a segno dall’iperattiva Zac Records nata da una joint venture tra Emilio Lanotte e il gruppo Sugar presieduto da Filippo Sugar, figlio di Caterina Caselli.

(Giosuè Impellizzeri)

(si ringrazia per il prezioso supporto Corrado Rizza, autore di vari libri tra cui “Anni Vinilici. Io e Marco Trani 2 DJ” e del docufilm “STrani Ritmi – La Storia Del DJ Marco Trani” di cui si consiglia lettura e visione)

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La storia dell’American Records di Modena: dall’italo disco alla techno/progressive trance

Parte della storia relativa a dischi ed etichette operative nella fase pre-internet deve ancora essere riscoperta e scritta. In alcuni casi non è impresa facile vista la quasi totale assenza di fonti diverse dalle stesse pubblicazioni discografiche che, peraltro, non sempre indicano una strada precisa da seguire. È preferibile quindi ricorrere ai racconti affidati alla tradizione orale ma talvolta pure questi possono venir meno a causa dell’irreperibilità degli attori protagonisti proprio come nel caso dell’American Records, etichetta modenese di Roberto Attarantato attiva tra 1984 e 1999 circa. Rintracciato telefonicamente poche settimane fa, Attarantato dichiara di essere attualmente impegnato nella composizione della colonna sonora di un film ma non rivela alcun dettaglio in merito e declina l’intervista per problemi di tempo. Non è stato possibile rintracciare invece uno dei suoi più stretti collaboratori, Filippo Lo Nardo, pare trasferitosi in Sud America dove si è sposato ed ha messo su famiglia. Sembra che nel Dream Studio, da cui venne fuori la produzione discografica del periodo 1995-1999, non fu mai scattata una sola foto perché Lo Nardo era particolarmente restio a farsi immortalare e a svelare l’identità delle macchine da lui usate seppur qualche tempo dopo, sul sito dell’etichetta, sia apparsa una pagina apposita con la lista dettagliata di tutti gli strumenti del setup. Con tali premesse è facile intuire che questa sia una storia fitta di mistero ed incognite, ma le laboriose ricerche durate circa tre mesi ora offrono contorni decisamente più nitidi.

La prima decade di attività: 1984-1994
Tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta l’industria musicale italiana è fortemente infatuata dalla cultura angloamericana e dal ruolo esercitato in tale ambito da Stati Uniti e Regno Unito. In tanti, tra gli indipendenti, usano nomi e loghi dichiaratamente esterofili per apparire più internazionali di quel che in realtà siano, e in tal senso si possono citare la bergamasca American Disco nata nel retrobottega del negozio di dischi del DJ David Zambelli, a Petosino, da cui emergono Scotch, Finzy Kontini e P. Lion, e brani come “In America” di Riccardo Cioni & D.J.F.T. Band ed “America” dei Cruisin’ Gang. Anche a Modena, a Calle Di Luca per la precisione, sorge un negozio di dischi, l’American Records, che rimarca la presunta nazionalità statunitense anche attraverso lo “stars and stripes” usato nel logo. Il proprietario è un DJ, Roberto Attarantato, che nel 1984 fonda accanto al negozio avviato da qualche anno una piccola etichetta discografica, in modo analogo a quanto descritto prima per l’American Disco di Zambelli. I tempi sono propizi per la discografia seppur comporre musica non sia alla portata di tutti visti i proibitivi costi degli studi di registrazione che allora molti usano prendere a nolo. Il 12″ che apre il catalogo dell’American Records è “Everybody Go!” di Rudy & Co., ossia il DJ veronese Rudy Corradi il quale, contattato per l’occasione, racconta:

Rudy & co

La copertina di “Everybody Go!” di Rudy & Co, il primo 12″ pubblicato dall’American Records nel 1984. A causa di un errore lo spelling di Rudy vede la I finale anziché la Y

«Tutto iniziò nel 1983. Pensai che un disc jockey non dovesse limitarsi a mettere dischi ma anche a farli. Lavoravo in varie discoteche toscane e una sera due clienti con cui scambiavo opinioni su questo argomento mi dissero che avevano realizzato qualche pezzo dance. Erano Eugenio Vinciguerra e Paolo Marioni. Io volevo qualcosa che, ritmicamente e melodicamente, richiamasse “Big In Japan” degli Alphaville e loro mi fecero sentire la bozza di quello che poi è diventato “Everybody Go!”, il mio primo disco. Sul rapporto con Roberto Attarantato si potrebbe scrivere un libro intero. Devo molto a lui. Cominciai amichevolmente a rompergli le scatole quando faceva il DJ, nel 1974. Io ero solo un ragazzino desideroso di imparare, lui lavorava tutte le sere in una discoteca di Modena gestendo da solo la consolle. La domenica, approfittando del flusso minore di pubblico, gli chiedevo di farmi mettere i dischi e una sera, dopo tanta insistenza, me lo concesse. Misi musica per quasi un’oretta e la fortuna volle che nel locale ci fosse il proprietario di una sala da ballo (non discoteca!) che mi chiese se fossi interessato a riempire le pause dell’orchestra che lavorava da lui. Accettai e da lì non mi sono più fermato. Da oltre quarant’anni metto dischi e lavoro in radio. Nel 1978 fu sempre Attarantato a fare il mio nome a Graziano Tagliati, noto impresario modenese insieme a Dino Corvini, per assumermi come DJ al Verona 2000, un’enorme discoteca. Fu un momento magico. Nel frattempo Bob One aprì il negozio di dischi, l’American Records, ed andavo sempre da lui per rifornirmi di materiale nuovo. Mi disse che intendeva creare anche un’etichetta, vendendo dischi aveva già molti “agganci” con le case discografiche e ciò gli diede la spinta a cominciare quell’attività parallela. Colsi quindi l’occasione per fargli ascoltare il demo che gli piacque. “Everybody Go!” fu finalizzato in un casolare di campagna dove Auro Lugli aveva allestito una piccola sala di registrazione. Tutti, in qualche modo, collaborammo alla riuscita del disco: le voci erano di Auro, di Bob e mia, quella femminile invece di una ragazza che portò Auro, i suoni di Vinciguerra e Marioni. Insomma un vero lavoro di squadra (e il suffisso “& Co” aggiunto al nome dell’autore sulla copertina lo rimarca, nda). Non ho mai saputo il numero preciso di copie vendute, Bob mi disse diecimila ma tanti anni dopo mi hanno riferito che in Messico e in altri Paesi dell’America Latina il pezzo divenne un’autentica hit. Un aneddoto capitato in studio? Insistevo nell’inserire dei suoni di bongo nella ritmica e gli altri iniziarono ad ironizzare chiamandomi “bongo!” e lanciandomi noccioline. Un clima esilarante insomma. Una vicenda altrettanto curiosa riguarda la copertina del disco. Erano gli anni in cui il football americano approdava in televisione e la figura primaria era quella del mitico quarterback Joe Montana dei San Francisco 49ers. Ai tempi a Verona nacque una squadra di football, i Redskins Verona, ed alcuni giocatori erano soliti venire in discoteca dove lavoravo. A loro chiesi di prestarmi le due divise usate sulla copertina del disco che indossammo io ed una mia amica di Verona. Da quella volta prima di scendere in campo i Redskins intonavano sempre il ritornello del pezzo, “Everybody Go, Everybody Go, oh oh oh!”. Oltre a fare il DJ nelle discoteche sparse per l’Italia, ai tempi lavoravo a Radio Blu di Villafranca, l’emittente più ascoltata di Verona e provincia, e nel team c’era pure Amedeo Sebastiani, il futuro Amadeus. Riflettendo sulla mancata profezia teorizzata dai Buggles nella loro “Video Killed The Radio Star” mi venne l’idea di dedicare un disco alla radio. “Mama Radio” lo realizzai nello studio di Mauro Farina e Giuliano Crivellente, autori di decine di cult dell’epoca, e venne pubblicato dalla bresciana Time Records, allora gestita da Giacomo Maiolini e dagli stessi Farina e Crivellente. Proseguii con loro anche per “Play The Game (Lolly Dance)”, del 1986. Rimasi in contatto con Attarantato sino alla fine degli anni Ottanta ma poi ci perdemmo di vista e quindi non ho avuto modo di seguire l’evoluzione della sua etichetta ma ribadisco ancora che gli sarò sempre grato e riconoscente per ciò che ha fatto».

L’American Records inizia a pubblicare dischi con regolarità anche se la vocazione, almeno nei primi tempi, non è internazionale contrariamente a quanto il nome lasci supporre, anzi, in un certo senso pare tenda a preservare l’italianità a partire dai nomi stessi degli artisti non oscurati da pseudonimi anglofonizzati (Stefano Puviani, autore di “That’s A Wide World” co-prodotto da Attarantato ed Enzo Persueder e coi backing vocals di Antonella Pepe – Fun Fun, Hot Cold -, Dante Meschiari e la sua “Vai Ferrari” che è un autentico tributo ad uno dei simboli iconici del Belpaese, sino a “Verona Dai!” de I Ragazzi Della Curva e “Sto Correndo” del calciatore Beppe Galderisi). A differenza di Rudy Corradi che dal 1985 passa alla Time Records, Vinciguerra e Marioni continuano a collaborare con Attarantato dando alle stampe altri brani (“Mira La Baia Del Sol” di Ted Marvin, “Freeway To Love” e “Cleopatra” di Kono, “…Like Sombreros” di Dee-Facto) in cui la formula dell’italo disco più classica non varia. Decisamente diverso invece lo scenario prospettato dai Marilyn 44, band di matrice rock su cui Attarantato investe producendo un 7″. Identico formato per “Sabato Jazz / Music Tonight”, disco di debutto dei Ladri Di Biciclette di Paolo Belli, finiti su EMI pochi anni più tardi. Del 1986 è invece l’album “Sesta Traccia” di Meo (Daniele Mei), uno dei DJ che alla fine degli anni Settanta danno avvio al cosiddetto movimento “afro” insieme a Daniele Baldelli, T.B.C., l’Ebreo, Spranga, Pery, Gianni Maselli, Beppe Loda ed altri. Nell’LP figurano anche un paio di brani tratti dal 12″ uscito nel 1985 sulla bolognese Base Record, “Fine Corsa”, ed altri due inediti seguono più tardi, “Cikuana / Alturas“. Sul fronte album ristampa “Samba Do Amigo” di Giulio Camarca & Trinidad, del ’78, originariamente su Shirak e particolarmente ricercato dai cultori del rare groove. A curare l’artwork delle copertine è Antonio Attarantato, fratello di Roberto, e ciò rivela un’attività a conduzione familiare o poco più. La produzione dell’American Records infatti, sebbene sia costante, non è paragonabile per numeri ed organizzazione a quella di società come Il Discotto di Roberto Fusar-Poli o Discomagic di Severo Lombardoni ma riserva spesso pezzi curiosi ed interessanti, come ad esempio la cover di “Prisencolinensinainciusol” di Adriano Celentano realizzata nel 1987 da George G, uno dei volti di Match Music nel decennio seguente.

Negli ultimi anni Ottanta l’italo disco (ai tempi gergalmente chiamata disco-dance o più semplicemente dance) viene totalmente cannibalizzata dal mainstream, dalle multinazionali, dai network radiofonici e dalle televisioni. Ciò genera una forte inflazione che non gioca a favore della creatività livellata verso il basso. Nel contempo la house inizia a scalpitare ed è questo il genere a cui l’American Records aderisce a partire dal 1988 con “Snoopy’s Count House” di J.M.B.I., oggetto di diverse licenze all’estero. L’influenza del suono di Chicago mischiato agli assoli di pianoforte della ribattezzata “spaghetti” si palesa in “Stranger In The House” di B.L.S.R., nell’ironica “Drive House” coi sample vocali del paninaro di Drive In Enzo Braschi firmata Koxò Band (nome che rievoca il progetto di pochi anni prima Koxo del compianto Leonardo Re Cecconi), in “People Of All Nations” di Rick Duglas, in “Acid Voice” di Acid Machine e nel per nulla profetico “No More House” di Seven Valley, tutti del 1989.

Pagany

La copertina di “The Bronx” di Pagany, tra i primi dischi house pubblicati dall’American Records

Tra 1989 e 1990 esce pure “The Bronx” di Pagany: «È stato uno dei primissimi pezzi che feci con Antonio Puntillo e Max Persona, coi quali poi proseguii, insieme a Roby Arduini, a sfornare musica per anni» racconta oggi l’autore. Ed aggiunge: «Usammo un notevole numero di floppy disk per i campionatori Akai visto che nel brano c’erano decine di sample tra voci, loop ritmici, suoni, pianetti ed effetti. Allora si usava mettere tutto su floppy e con tanta pazienza si attendeva che la macchina caricasse i dati. Arrivai a Bob One perché facevo il commesso in un negozio di dischi a Verona che si riforniva da lui. L’American Records, prima di essere un’etichetta, era un magazzino/grossista, come quelli ai tempi operativi a Milano. Gli feci sentire l’idea, gli piacque e stampò il mix». “The Bronx” è il primo su cui appare il nuovo logo. Archiviato l’insetto con le cuffie e il buffo pupazzetto che con una mano indica il nome della label e con le dita dell’altra fa il simbolo della vittoria, Attarantato sceglie una più semplice ed essenziale sigla, A.R., dai caratteri bianchi su fondo nero. Con questo nuovo look grafico più minimalista la sua etichetta approda in un decennio che riserverà più di qualche sorpresa e radicale rivoluzione. La musica house prende totalmente il sopravvento e parte una nuova collaborazione con un team di produzione perugino in cui spiccano i nomi di Giulio Benedetti e Leandro Papa. Sono loro gli autori di dischi come “Just Hold Back Feeling” di Red Zone Company (nome che allude chiaramente all’omonimo locale di Perugia, il Red Zone), “My Dream” di Stonehenge e soprattutto “Last Rhythm” di Last Rhythm, probabilmente il primo vero successo internazionale per la società discografica modenese che lo concede in licenza alla britannica Stress Records fondata da Dave Seaman.

Per il resto il primo lustro degli anni Novanta per l’etichetta di Attarantato trascorre senza particolari exploit. La causa probabilmente risiede in una non particolarmente accesa creatività e nella poca propensione all’innovazione. Il mieloso downtempo di “So Good” dei Black Roots, la house jazzata di “It’s Not Over Now” di Change Inc., la spaghetti mista a richiami new beat di “Phaedrus” di Over Noise, i collage di sample, alcuni diventati particolarmente noti, di “T-Dance” di Virus e “Ponta De Lanca Africano” di Zendy, le pianate di “Pump The Rhythm” di Jepson oltre al malcelato intento di seguire la scia di hit internazionali (“Beat Summer” di Marika Lenny, “Orion” di Over Noise, “Feel The Sound” di O.O.T.T., ed “Only For The Headstrong E.P.” di Teknoboys) non portano grossi risultati seppur in catalogo figurino pezzi discreti destinati ad essere riscoperti come “Why Not Jazz?” di B.F.I., “Fixation” di Techno Age Featuring DJ Phil Anthony, “Hoom” e “Sonar” di Virtual Roots, questi ultimi due prodotti da Daniele Baldelli e Claudio Tosi Brandi.

evoluzione del logo

L’evoluzione grafica del logo dell’American Records

Di tanto in tanto Attarantato concede ancora spiragli al rock come avviene per “Friends”, l’album dei T.M.A. del 1991 diventato quasi un cimelio, e all’eurodance che tra 1993 e 1996 domina il mainstream europeo e a cui si accosta con la cover di “Orinoco Flow” di Enya a firma Joy’s ed altri progetti minori come F.B., B.F.I. e Retrovision. Nel 1995 un nuovo input. Piero Zannoni alias Piero Zeta, DJ sin dal 1975 e che ha già accumulato qualche esperienza in studio di registrazione, propone ad Attarantato di rilanciare l’etichetta ma in modo nuovo. L’American Records risorgerà presto dal torpore con una ricca serie di nuovi nomi e pure un nuovo logo, una sorta di Statua della Libertà robotizzata, quarta (ed ultima) declinazione grafica che la accompagnerà sino al nuovo millennio.

Il progetto DJ’s United Grooves
“DJ’s United Grooves” è l’iniziativa discografica curata da Piero Zeta e patrocinata da Roberto Attarantato che nel 1995 apre di fatto un’era inedita dell’American Records ed inaugura le prime due etichette del nuovo corso, Sushi e Tomahawk. Raccolte in un doppio mix sono otto tracce, quattro sotto il segno di Sushi ed altrettante sotto quello di Tomahawk. Iniziano Stefano Noferini e Massimo Cominotto, rispettivamente con “Trumba Lumba” ed “Hall 9000”: entrambe si inseriscono nel solco della minimal techno con inserti percussivi ed acidi. Sul lato b ci sono “Sarhythm” di Piero Zeta & MC Hair e “Reflex Noise” di Killer Faber, con maggiori spunti progressive trance. Il 12″ della Tomahawk invece accoglie nei suoi solchi “Firing Line” di Alfredo Zanca, “Corvette” di Marco Bellini, “X-Fire” di Buba DJ (all’anagrafe Fabrizio Malpezzi) e “Glass Pyramid” di Simona Faraone di cui abbiamo parlato dettagliatamente qui. Il tutto viene stampato anche in formato 10″ con due dischi colorati ed acquistabili separatamente ma privati della copertina (e quindi delle fotografie degli artisti coinvolti) sostituita da una busta plastificata.

Il progetto DUG

Le copertine di “DJ’s United Grooves”, in alto quelle del volume 1, in basso quelle del volume 2

“DJ’s United Grooves” raccoglie feedback positivi dai DJ orientati alla techno/progressive, piacevolmente sorpresi nel vedere raccolti sotto un’unica ala (in modo analogo a quanto avviene con la bresciana BXR del gruppo Media Records), molti nomi noti delle consolle. Prevedibile quindi che l’etichetta tenti di replicare il successo ed infatti nel dicembre 1996 esce “DJ’s United Grooves Vol. 2” che reca molte novità a partire dal maggior numero di artisti coinvolti, ben diciannove. A Sushi e Tomahawk inoltre si aggiunge una terza etichetta, Kyro, e vista l’entità del progetto Attarantato opta sia per il triplo vinile (picture disc e classico nero) che per il doppio CD. Riconfermati Stefano Noferini (con “Red & Yellow”), Alfredo Zanca (con “Fist Of Iron”) e Massimo Cominotto (con “The Wale”) a cui si aggiungono Marco Dionigi (con “The Warriors Woops”), The Big Buddha DJ Ivo Morini (con “The Poisonous”), Claudio Diva (con “The Twirl”), DJ Ricci (con “The Challenger”), Sinus (con “Sop”), Lello B. (con “Shining Ray”), Max B (con “Complex Journey”), DJ Ginger (con “Commander”), Gabry Fasano (con “Explosion K”), Fabietto Cataneo (con “Upper Horizon”) e Luca Morris (con “Sirius IV”). Più spazio anche alle DJ donne: Paola Peroni, Lady Max e Nadja presenziano rispettivamente con “D.A.S.H.”, “Momentary Trembling” e “Deviated Orbit”. Immancabile il curatore Piero Zeta, questa volta affiancato da Nevio M. con cui firma “Kiss Of Snake”. La versione in CD contiene una bonus track, “Dangerous Mission” di Bajotti. Col secondo atto di “DJ’s United Grooves” (che, come si vedrà più avanti, costituisce il “serbatoio” da cui vengono sviluppati progetti individuali per gran parte degli artisti coinvolti) la squadra dell’American Records fidelizza nuovi fan e consolida la propria posizione nella scena italiana anche grazie al supporto di DJ noti per le selezioni alternative come Francesco Farfa, Vincenzo Viceversa, Massimo Cominotto e Stefano Noferini che recensiscono con entusiasmo le pubblicazioni e le inseriscono nelle proprie top ten sui magazine di settore. Per una gestione più ottimale degli artisti inoltre nasce, nel ’96, il management Sirius X, facente capo alla stessa American Records.

Le etichette

SushiSushi
Tra le label “apripista” della fase creativa 2.0 dell’American Records, Sushi si fa notare sin da subito con un suono progressive trance talvolta ai margini di deviazioni goa. Ad inaugurare il catalogo sono due EP che Piero Zeta realizza con l’amico ravennate MC Hair (il futuro Andrea Doria). Zannoni, da buon A&R e coordinatore, coinvolge di continuo altri giovani desiderosi di incidere dischi come Alessandro Foietta (anche lui si farà notare tempo dopo come Alex D’Elia) e Luca Pirazzoli: con loro crea il progetto P.F.Z. partorendo la trance/hard trance di “Love To The Future (Change Your Man)”, che nella versione Hard riprende lo stile e le atmosfere del maggior successo dei tedeschi Sunbeam, “Outside World”. Più rarefatto invece il suono dei By-Pass e di Lady Max. Nel ’96 Zeta incide un altro EP, “Metamorphosis”, che include la cover di “Lucifer” degli Alan Parsons Project. Il volto del “DJ-diavolo” in copertina è di Attarantato. Segue il “Damned Fear EP” di Killer Faber, “The Return From Venus” di Venusia Feat. Nebula e “The Butterfly Flight” di Luca Cangini, anche quest’ultimo segnato da un remake, “Tenebre” di Claudio Simonetti, Fabio Pignatelli e Massimo Morante. Con un sound piuttosto spigoloso che di volta in volta bilancia l’apparato melodico con quello ritmico, la Sushi si presenta nel 1997, anno in cui è tra i partner del Trend In Tour organizzato dalla rivista Trend Discotec, con la coppia già rodata Ricci – Moratto. La loro “Lofty Journey” riesce a conquistare anche il pubblico teutonico e finisce in una compilation della Vision Soundcarriers in compagnia di artisti del calibro di Marino Stephano, Binary Finary, Yves Deruyter e Da Hool. Più marcatamente italiano lo stile del “Dolphin EP” di Alex V., Cristiano e Peo DJ. Ricci poi cede alla Sushi un suo nuovo brano, “The X-Clone”. Sul lato b c’è “Let It All Hang Out” in cui trovano alloggio sample presi dall’omonimo rock degli Hombres. “X Clone” riappare pochi mesi più tardi attraverso due remix realizzati da Miss Groovy (in stile hardcore) e Sinus che così ripaga la versione approntata dal compianto Testoni per “Blob”. Tra i nuovi artisti messi sotto contratto ci sono Billy e Luca Fares che firmano insieme “The Night Eyes”. Fares torna anche in versione solista con “Analog Key EP” in cui alterna soluzioni hard e soft con qualche citazione di hoover sound ed una capatina nel minimal. Fra gli ultimi invece ad approdare su Sushi ci sono gli ancora attivi The Dolphins (Alessandro Veneri, Cristiano Valentini e Giacomo D. Peo), Shock DJ e Corrado Monti.

TomahawkTomahawk
Pur rimanendo ancorata a matrici progressive trance, la Tomahawk si propone di rinverdire un filone quasi del tutto dimenticato negli anni Novanta, il cosiddetto afro o cosmic disco legato a locali come Baia Degli Angeli, Cosmic, Typhoon, Chicago, Ciak e Melody Mecca e che ai tempi in pochissimi (come Marco Dionigi) continuano a coltivare. Il concetto di afro, mischiato con la cultura dei nativi americani, genera dunque il concept della label graficamente simboleggiata da un totem e dalla tipica ascia da battaglia delle tribù indiane immortalata in centinaia di tavole del Tex Willer bonelliano, il tomahawk per l’appunto. I primi EP li firmano Buba DJ, DJ Spada e Simona Faraone a cui seguono quelli di The Big Buddha (Ivo Morini), Alfredo Zanca e Claudio Diva. Particolarmente rilevante è il “Totem EP” del 1996 firmato da due alfieri dell’afro, Daniele Baldelli e Claudio Tosi Brandi alias T.B.C.: battuta rallentata ed una spruzzata di psichedelia virata 90s sono i punti salienti del loro lavoro. Per Attarantato non è la prima esperienza nel mondo “cosmico” visto che esattamente dieci anni prima pubblica “Sesta Traccia” di Meo. Tra 1997 e 1998 alla squadra si aggiungono Eric King, cultore dell’afro sound, il salentino Kristian Caggiano, DJ resident al Metropolis di Surbo, DJ Quick & Paolo Cecchetto. Gli ultimi ad incidere prima della chiusura, nel 1999, sono invece Alex Neve e il misterioso Giant’s, nomignolo adottato presumibilmente da Attarantato per confezionare nuove versioni di “Trumba Lumba” di Stefano Noferini, inclusa nel primo volume di “DJ’s United Grooves”.

KyroKyro
Trainata dal payoff “alternative sound”, la Kyro debutta con gli EP di Luca Facchini, Alby – Slot – Steve J.D. e Dave Devil. A differenza di Sushi e Tomahawk, Kyro vorrebbe muoversi verso scenari differenti anche se poi resta vincolata a soluzioni progressive trance tinte, a seconda delle occasioni, di acid, techno e minimal. “Hunting” degli S.M. System (DJ Silver e Luca Morris), “Carlotta’s EP” di Max-B e Pepe DJ, “Purple Eyes EP” di Bajotti ed “Explosive Formula EP” di Luca Facchini aiutano la diffusione del marchio ma a rivelarsi particolarmente fortunato è l’arrivo di Nadja, ex ballerina jazz e speaker radiofonica diventata DJ su suggerimento di Angelo Ferruzza, suo manager. Tra 1996 e 1997 la milanese, a cui piace sfoggiare capelli colorati a tinte forti, è regular guest in locali come il Sinatra di Vergiate (Varese) e l’Hacienda di Finale Ligure, e viene coinvolta dalla rivista Trend Discotec sia come resident DJ del Trend In Tour, sia in qualità di reviewer sulle proprie pagine. “6th Orbit” è il primo dei tre EP che incide su Kyro. Morris torna anche in solitaria col “The Droid Experience EP” contraddistinto da una copertina in stile sci-fi, ma sarà Massimo ‘Max B’ Bonomi l’artista più attivo dell’etichetta con ben sei EP incisi tra 1995 e 1999. Fugaci comparsate invece per Ginger (Il Comandante), Hattacker e Max Giola.

SinusSinus
La Sinus è tra le etichette di punta del gruppo American Records. A curarla è Fabrizio Pasquali, disc jockey che il pubblico della discoteca Le Cave di Vintebbio – Serravalle Sesia, in provincia di Vercelli, conosce bene come DJ Pareti. All’attivo Pasquali ha già qualche disco come il doppio “Perversione”, prodotto da Tony Carrasco nel ’92, “Machinery” e “Risonanza Magnetica”, ma per l’avventura con Attarantato opta per un nuovo nome, Sinus appunto. A tagliare il nastro inaugurale è “Novation”, un 12″ con la copertina sostituita dalla busta marrone usata dai panifici e in cui si scorgono alcuni elementi caratteristici del suo stile ossia ritmi minimali, implacabili rullate di snare e massiccio uso di suoni derivati dall’acid ma non riconducibili direttamente alla classica TB-303. Questi ingredienti sono alla base di “Blob”, suonatissimo nel circolo progressive, remixato da Ricci DJ e probabile ispirazione per “Taub?” che Mauro Picotto firma Megamind nel 1999. Analogamente a “Novation”, parte della tiratura viene commercializzata nella busta del pane ma bianca. “Blob” inoltre viene remixato anche dai tedeschi Nalin & Kane che lo licenziano in Germania sulla loro Superfly circa un anno prima del successo internazionale di “Beachball”. Ogni 12″ viene prodotto da Pasquali talvolta dietro il moniker J.J.Jam con l’intervento di personaggi non meglio identificati, come Phil Williams e DJ Thabata. Discreto successo nei club viene raccolto dal remix di “Es Como La Cocaina”, disponibile anche su vinile arancione, e “Sine Wave” edito su 7″ giallo. “Zoom”, dell’autunno ’98, è supportato da Christian Hornbostel in 100% Rendimento su Italia Network che ben accoglie pure “Antibody” di S&B (Sinus & Bob One), uscito ad inizio ’99 e preso in licenza per il territorio tedesco dalla 3 Lanka (che in catalogo ha i successi di Legend B, Cenith X e Orinoko) la quale ne commissiona un remix agli Aquaplex. In quel periodo a facilitare la distribuzione in Germania della Sinus è la Cosimo Records. Sempre nel ’99 tocca a “Go Blow EP” che contiene “Playful (Tripping)”, quasi una cover di “Phuture Vibes” di Mellow Trax, e a poco altro ma scarsamente rilevante sul piano creativo.

Speed ZoneSpeed Zone
Lanciata nel 1996, la Speed Zone si pone sul crocevia tra techno “all’italiana” e progressive trance centroeuropea. Dopo l’album dei The Fog Noise che apre il catalogo giunge l'”Idea Project EP” trainato da “Virtual Shadows” di Toni D.B., poco più di una copia di “Seven Days And One Week” dei B.B.E. ma che ottiene fortunati passaggi su Radio DeeJay. Attarantato e Lo Nardo poi producono una cover di “Sweet Child O’Mine” dei Guns N’ Roses che piace al “popolo della progressive” che balla con le zeppe della Buffalo e le tshirt della Magilla e BSA. Lo stile resta il medesimo per le pubblicazioni successive, con qualche intrusione nell’hard trance in stile Street Parade coi S.U.E.N. e la coppia Gianni Pellegrino/Battysta Parisi.

Sub GroundSub Ground
In scia al successo ottenuto da Serious Danger con “Deeper”, Attarantato fonda un marchio dedicato, almeno nella fase iniziale, alla speed garage. Nel 1997 nasce quindi la Sub Ground che parte con “Screen Test” di B.O. & F.L.N., sigla acronomizzata dietro cui si cela lo stesso Bob One e il fido collaboratore Filippo Lo Nardo. Il seguito, “We Can Make” di Labocca (Mauro Mbs ed Albino Barbero) è l’unico prodotto al di fuori del Dream Studio visto che i restanti due, “Burn Me Up Inside” di B.B.J. e “Triangle” di M’House-B, recano ancora la firma della coppia Attarantato-Lo Nardo. “Triangle”, nello specifico, è il brano con cui Max B si cimenta per la prima volta nella house, dichiarandolo anche attraverso l’alias rivelatore. La scelta di investire sulla speed garage non viene premiata giacché il genere, dopo un forte hype iniziale sbocciato nei club underground d’oltremanica, viene frettolosamente archiviato dal grande pubblico. Sub Ground diventa quindi il “tentacolo” con cui il gruppo modenese abbraccia la house music, sino a questo momento estromessa dal nuovo assetto organizzativo.

SilosSilos Records
Stilisticamente scollegata dalle altre etichette dell’American Records, la Silos Records parte nel 1995 con l’eurodance di Rayal ed è la label più pop del gruppo modenese che in tal modo riprende il discorso lasciato in sospeso dalla Projecto One, marchio varato nel ’92 e legato a deviazioni latine. Seguono altre produzioni nate per coprire il segmento italodance / eurodance come “Take Me To A Place So High” dei tedeschi Back To Back (preso in licenza dalla Prefix), “I Love You” di Six Sounds, “Lonely” di Power Master, i due 12″ della presunta interprete polacca Marzena Wisniewska che Attarantato produce come Robyerik, “Come On In My Way” di Two From Street e “Disco Bau” di Witty DJ e Dance Lab. Poi tocca al latino con “Pequeña Oración” di B.F.I. e con Antonio Da Costa che firma vari singoli (tra cui “Parranda”, un classico tra i balli di gruppo) ed anche un album, “Il Ginecologo Del Ritmo”, del 1998.

StartStart Records
Finanziata dal prematuramente scomparso Mauro Moroni e nata da un suggerimento del compositore Marco Angelici alias Mark Angel affiancato da due DJ capitolini, Luigi Di Filippo ed Emiliano Mosci alias D.Lewis & Emix, la Start Records viene distribuita e supportata editorialmente dall’American Records entrando ufficialmente a far parte del suo roster, così come attestano numerosi advertising dell’epoca. Il primo dei tre 12″ pubblicati, tutti nel 1997, è “Pulsar EP” di Mark Angel, coprodotto dai menzionati Di Filippo e Mosci ed oggi ben quotato sul mercato dell’usato perché particolarmente ambito dai collezionisti di progressive trance. Seguono due various: “Revolution EP” in cui viene coinvolto, oltre ai già citati Mark Angel, D.Lewis ed Emix, il toscano Sandro Vibot, e “Hallmark EP”, dove ai “soliti” Angelici, Di Filippo e Mosci si aggiungono Sandro De Leo e Vincenzo Viceversa. Il brano di quest’ultimo si intitola “Earthquake” e, come rivela lo stesso autore, viene inciso all’indomani del terremoto del 26 settembre 1997. «La grancassa che faceva da ritornello richiamava il boato che si sentì quando la terra iniziò a tremare, mentre il lamento vocale campionato simulava lo spavento provato per la scossa tellurica» spiega il DJ umbro.

StatusStatus Records
Anche la nascita della Status Records è legata al supporto economico di Mauro Moroni e per questo si può considerare come “sorella” della sopracitata Start Records. Stilisticamente imbocca un percorso più affine alla progressive techno che alla trance, presto rivelato dallo “Stypen EP” dei Model 2016, progetto di Luigi Di Filippo ed Emiliano Mosci apparso sul mercato nella primavera del 1997. Sono sempre loro gli autori del “Tin Plus EP” a cui ovviamente partecipa anche Mark Angel, in cui fanno sfoggio suoni iconici evergreen (TR-808, TB-303) con concessioni al bleepy. La ricetta non varia per gli ultimi due, “Polyhedric EP” di D.Lewis e “Double B EP” di Emix.

La testimonianza di Piero Zeta

Piero Zeta e Viceversa al Red Zone di Perugia, 1996

Piero Zeta e Vincenzo Viceversa al Red Zone di Perugia nel 1996

Come entri in contatto con Roberto Attarantato?
Lo conoscevo sin dai primi anni Ottanta, ero un cliente del suo negozio di dischi quando iniziai a lavorare per Le Cupole, un locale storico di Castel Bolognese, in provincia di Ravenna. Lì mi portò le prime volte Walter Malucelli di Bologna, gestore della discoteca.

A cosa si ispiravano Sushi, Tomahawk e Kyro?
Cercai di intraprendere un discorso più progressive trance/hardtrance con la Sushi, sulla linea che contraddistingueva le mie performance, ed una più tribal techno per la Tomahawk. A queste due etichette se ne aggiunse una terza, la Kyro, nata per seguire direzioni con bpm più bassi e sonorità electro, in riferimento a molte cose che si suonavano in occasione degli afterhour a Il Gatto E La Volpe di Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, dove ero resident con Ricci, Cirillo, MC Hair e Luca Morris. Proprio lì raccolsi i giusti contatti per sviluppare progetti importanti come i due volumi di “DJ’s United Grooves”, allargando maggiormente il giro delle conoscenze e della distribuzione dei dischi promozionali. In quegli anni gestivo anche un negozio di dischi, il Mixopiù a Faenza, attraverso cui ho seguito personalmente e per lungo tempo i maggiori DJ del settore techno/progressive, e ciò mi diede la possibilità di entrare in contatto con un numero sempre maggiore di persone.

Quanto vendeva mediamente un disco delle etichette da te curate?
Solitamente stampavamo mille, duemila o tremila copie di ogni pubblicazione, a cui si aggiungevano i promo white label. La tiratura variava a seconda dell’artista e del progetto. Per alcuni numeri di catalogo (fra cui le mie produzioni) superammo le ottomila copie vendute. I brani dei cataloghi Sushi, Tomahawk e Kyro inoltre furono inseriti in varie compilation ed entrarono nelle top chart del settore, oltre ad essere suonati dai maggiori DJ, sia italiani che stranieri.

Dove venivano realizzati i brani? Tutto avveniva nel Dream Studio coordinato da Filippo Lo Nardo oppure c’è stato chi li abbozzava altrove per poi finalizzarli a Modena?
Io avevo uno studio di registrazione a Ravenna già da qualche anno in cui realizzai diversi dischi con MC Hair per altre label ma, a quanto ricordo, il 90% dei pezzi del repertorio American Records furono realizzati nel Dream Studio, a Modena, con Filippo Lo Nardo.

C’è qualche artista che avresti voluto annoverare ma che per varie ragioni non è stato possibile mettere sotto contratto?
Credo di essere riuscito a coinvolgere tutti coloro che avrei voluto in squadra e continuai a scegliere artisti anche quando abbandonai l’American Records, all’inizio del 1997, per dedicarmi alla direzione di un paio di etichette della Enterprise Records di Claudio Zennaro alias Einstein Doctor DJ, ossia la Delta City e la Hex Sound Technology Research, ai tempi marketizzate dalla Media Records. Inoltre, sempre nel 1997, iniziai a produrre e stampare anche sulla mia label, la Gothic Ltd, coinvolgendo ulteriormente nuovi artisti.

Creare una squadra di soli DJ voleva, in un certo senso, rappresentare un’alternativa alla BXR della Media Records (dove peraltro finiscono un paio di artisti di DJ’s United Grooves, Massimo Cominotto e Gabry Fasano) e alla Stik?
I primi progetti di gruppo nacquero diversi anni prima e in ogni caso la Media Records non aveva mai fatto dischi con quel concept. Inoltre io non amavo legare contrattualmente i DJ infatti ognuno di loro ha seguito la strada che riteneva fosse migliore. In seguito ho dato vita ad altri progetti “various” su Subway, Ipnotika, Activa e Stik.

Piero Zeta, Buba DJ e MC Hair da ReMix, Roma, 1996

Piero Zeta insieme a Buba DJ (a sinistra) ed MC Hair (a destra) immortalati da ReMix, a Roma, nel 1996

Chi curava l’aspetto grafico?
Tutte le copertine, adesivi ma pure tshirt e gadget vari nati in quegli anni furono frutto di scelte mie e di Bob One. Penso di avere dato la giusta spinta al gruppo American Records per sviluppare altre etichette che si aggiunsero dopo il mio abbandono.

Nel 1999 l’attività di tutte le label nate all’interno dell’American Records inizia a diradarsi sino a sparire del tutto: cosa avvenne?
Non saprei perché ai tempi non facevo più parte del team di Bob One. Però se ad una casa togli i mattoni da sotto è facile immaginare cosa possa accadere.

Sei rimasto in contatto con Attarantato?
Negli ultimi quindici anni l’ho visto e sentito solo una volta: passando da Modena decisi di fermarmi per salutarlo.

Credi che in futuro i cataloghi potrebbero essere riversati in digitale, come avvenuto per molte altre etichette operative ai tempi?
Sarebbe un’ottima idea quella di digitalizzare i cataloghi ma non spetta a me tirarli fuori.

advertising tra 1995 e 1998

Vari advertising dell’American Records risalenti al triennio 1995-1998

I ricordi di alcuni artisti

Buba DJ
«Negli anni Novanta tutto era perfetto per la musica, i locali, i DJ, la gente e il vinile. Conobbi innumerevoli persone e seguii tantissimi DJ, ero un PR con la musica nel cuore. Restai affascinato nel vedere suonare e mixare i dischi ed ho trascorso anni dietro le consolle cercando di imparare. Poi iniziai a fare le prime feste private proponendo musica tribale/progressive in set che duravano circa tre ore e con stupore mi resi conto che quell’attività soddisfaceva sia me, musicalmente, ma soprattutto il pubblico che in poche settimane crebbe notevolmente. Una mattina, ad un afterhour da me organizzato e a cui presero parte oltre cinquecento persone, si presentò Piero Zeta. Mi portò a suonare in un locale storico dell’Emilia-Romagna ossia Il Gatto E La Volpe dove divenni resident il venerdì sera. Fu sempre Piero a suggerirmi di produrre un disco e mi presentò Bob One. All’American Records entrai per la prima volta in uno studio di registrazione e conobbi Filippo Lo Nardo con cui mi misi subito al lavoro. Impostammo la Tomahawk di cui vado veramente fiero, soprattutto perché fui il prescelto per “battezzarla” col mio “Alternative Sound EP” del 1995. Fu un’esperienza fantastica che però, come tutte le cose belle, finì. Avrei preferito gestire un’etichetta per promuovere il mio genere musicale ma ciò non fu possibile, pur avendo ottimi rapporti col management. Le potenzialità di quel team non furono utilizzate male ma secondo il mio punto di vista potevano essere gestite meglio. Recentemente sono tornato a produrre musica, questa volta con la mia personale label. La prima uscita su vinile vedrà luce a maggio 2018».

Claudio Diva
«Conoscevo Roberto (per me sempre e solo Bob One) sin dalla metà degli anni Ottanta, ma i nostri rapporti si strinsero soprattutto ai tempi della Discomagic, nei primi Novanta. Settimanalmente veniva ad approvvigionarsi di dischi per il suo negozio ma anche per portare le proprie produzioni in distribuzione. In quel periodo il fenomeno techno/progressive stava espandendosi a macchia d’olio in tutta Italia e su alcune etichette dell’American Records, come Sushi, Kyro e Speed Zone, confluivano i suoni e le produzioni di molti DJ, in particolare quelli vicini alla costa est italiana. Erano dischi che venivano proposti da parecchi DJ in auge allora. Tra le varie label mi piaceva molto la Tomahawk, di stampo progressive ma caratterizzata da suoni e stesure “dritte” e tribali. Ho sempre amato proporre questo tipo di sonorità e in virtù di ciò nacque la collaborazione che mi permise di accostare il mio nome su tre uscite discografiche ed una traccia racchiusa in un EP. Il progetto non durò tanto e col senno di poi potrei dire che si sarebbe potuto fare meglio, ma bisogna tenere conto che parliamo di una realtà sorta oltre venti anni fa. La struttura ai tempi era ridotta a poche persone e soprattutto non c’era la possibilità di comunicazione e promozione digitale come ora. Credo quindi che ogni situazione abbia il suo “tempo” ed è sempre difficile rapportare il tutto ai giorni nostri. I miei ricordi più belli sono legati alle prime produzioni di Sinus sull’etichetta omonima: ricordo come se fosse ieri quando Bob One mi portò il primo 12″ promozionale, la classica white label stampata solo da un lato. Si innescò una ricerca spasmodica per quel disco, negozianti e DJ aspettarono l’uscita ufficiale strappandosi di mano le copie ancor prima che fossero scaricate dal furgone e portate in magazzino».

Luca Morris
«Avevo iniziato da pochi anni la carriera da DJ e lavoravo molto in Emilia-Romagna in locali come Il Gatto E La Volpe, Picchio Rosso e Marabù. Conobbi Roberto Attarantato nel 1995 tramite un amico comune, il mitico Silver che mi portava con lui nel suo magazzino a comprare dischi. Il mio primo 12″ su Kyro, “Hunting” di S.M. System, era infatti una coproduzione con Silver, a cui fece seguito nel 1996 un EP, questa volta tutto mio, “The Droid Experience”, e un paio di tracce per dei various. Credo che il progetto di Bob One avesse molte potenzialità che però rimasero un po’ inespresse, sia perché uscì troppo materiale a scapito della qualità, sia perché la distribuzione non era capillare. Però queste sono solo mie teorie, magari totalmente sbagliate. Roberto lo ricordo in termini molto positivi, è stato bellissimo lavorare con lui e col suo team. In studio era veramente un grande e non ha raccolto quanto meritava, almeno in riferimento a quel periodo storico visto che non ho sue notizie dal 1998. Parlare di lui e dell’American Records mi ha dato l’occasione di ripensare ad un bel periodo della mia vita lavorativa».

Mark Angel
«Negli anni Novanta frequentavo l’ambiente radiofonico e di conseguenza anche quello dei DJ e della cosiddetta “musica di tendenza”. Essendo un appassionato di musica elettronica (possiedo l’intera discografia di Kraftwerk, Tangerine Dream e Jean-Michel Jarre, giusto per citarne alcuni) la mia stanzetta era un tripudio di sintetizzatori e vocoder. Mi venne l’idea di creare un’etichetta indipendente e parlai di questo progetto ad un caro amico, Mauro Moroni, con cui mi allenavo da tempo nella stessa palestra. Sapendo che a lui piacevano le trovate innovative e sperimentali, gli proposi di finanziare l’idea e senza battere ciglio accettò. A quel punto mancava il tocco del DJ che avrebbe reso ballabili le tracce, quindi mi rivolsi a Luigi Di Filippo (D.Lewis), disc jockey e producer affermato nell’ambiente house/progressive della capitale. Con la sua partecipazione entrò automaticamente nel team anche Emiliano ‘Emix’ Mosci, anche lui DJ/producer attivo nel genere progressive/techno. Tra di noi si creò subito un bellissimo rapporto lavorativo e di amicizia fatto di duro lavoro in studio ed affiatamento. Non ricordo nemmeno un solo momento di tensione o invidia, uno aiutava l’altro per la riuscita di ciò che stavamo facendo. Di quei ragazzi rammento con molto piacere l’elevato grado di professionalità, la cordialità e la simpatia. Per quanto riguarda i nomi delle etichette decidemmo tutti insieme e alla fine optammo per Start Records e Status Records, cercando di dare ad entrambe una collocazione stilistica (brani più “morbidi” sulla prima e tracce più spinte sulla seconda). Per quanto riguarda la distribuzione, se ne occupò Luigi visto che aveva già maturato conoscenze in quell’ambito. Mauro Moroni, figlio di un imprenditore, purtroppo ci ha prematuramente lasciati una ventina di anni fa per problemi di salute. Era il classico ragazzo della porta accanto, ricordo con piacere i viaggi condivisi con lui per andare all’American Records da Roberto Attarantato. In quel periodo demmo il massimo in relazione a ciò che la tecnologia dell’epoca permetteva di fare, l’unico rammarico è che tutto durò per un tempo limitato. Il mio “Pulsar EP” rimase parecchie settimane nella classifica progressive di Mondo Radio, la Working Progress Elevator, Emix aveva prodotto un pezzo strepitoso. Grazie alla sua traccia ci garantimmo la permanenza prolungata alle prime posizioni di quella classifica particolarmente seguita ai tempi. Andò discretamente anche a livello di vendite, conservo ancora qualche copia promozionale. Quella della Start e Status fu una bellissima avventura con persone eccezionali, eravamo tutti appassionatissimi di musica e non ci pesava affatto trascorrere la notte in studio. Un’esperienza assolutamente positiva che mi ha arricchito ed insegnato tanto e che rifarei ancora. Questi ricordi li dedico alla memoria del grande Mauro Moroni senza il quale quella bellissima avventura non avrebbe mai avuto inizio».

Massimo Cominotto
«Roberto Attarantato è stato un riferimento importante. Disponeva di un enorme magazzino di vinili, Dio sa quante perle ho trovato da lui oltre a materiale di importazione legato ai producer sconosciuti per il periodo come Jeff Mills, Plastikman e Steve Stoll che dovrebbero pagarci le royalties visto che li abbiamo opposti al grande pubblico italiano nei primissimi anni Novanta, quando la “tendenza” era rappresentata da quattro dischetti con la cassa in quattro e un organetto sopra. Erano tempi pionieristici, Attarantato aveva un piccolo studio di registrazione e un tecnico che faceva pressoché tutto, dal musicista all’ingegnere del suono, eppure con quelle etichette collaboravano gran parte dei DJ di riferimento del periodo. Allora si procedeva a tentoni, alla cieca. I suoni erano molto grezzi anche per i tempi ma era la caratteristica della label e comunque un elemento distintivo rispetto alle altre. Aneddoti? Roberto sembrava un po’ Lino Banfi ma era una persona di gran cuore, generosa. Lavorava moltissimo. Ricordo le cene ai vari ristoranti e il sabato sera, se ci si trovava nei pressi di Modena era impossibile non fermarsi per salutarlo. Amava stare coi ragazzi ed era molto attento a tutto quello che si diceva, alle tendenze e alla musica. Una grande persona».

Max B
«Quelli trascorsi all’American Records sono stati anni magnifici che hanno segnato la mia vita e che mi fa piacere ricordare. Tutto cominciò durante un piovoso pomeriggio autunnale modenese in quel di Via Repubblica di San Marino che poi divenne la mia seconda casa. Bob mi aspettava per programmare l’uscita di un EP su Kyro ma non ci conoscevamo ancora. Le label erano nate da poco ma da quel giorno divenimmo amici inseparabili per anni. Era un tipo particolare, di origini pugliesi e permaloso ma di gran cuore e con una cultura musicale incredibile. Aveva un passato da musicista orchestrale e poi si mise a fare il DJ quando la figura di questo era un misto tra l’animatore e lo speaker ed era chiamato per intervallare le pause delle orchestre. Divenne presto un mito per me, conosceva tutti quelli che lavoravano presso le distribuzioni milanesi e a Modena era un assoluto punto di riferimento per i DJ che compravano dischi nel suo negozio. In quell’enorme capannone, che lui chiamava “la miniera”, erano stipati migliaia di dischi. All’ingresso c’erano la moglie e la figlia che lavoravano con lui, al piano superiore il tecnico del suono, Filippo Lo Nardo, un altro personaggio incredibile che sembrava un ragioniere ma in grado di usare le macchine come un diavolo. La mente di tutto e il re assoluto di quel mondo restava sempre lui, Roberto Attarantato alias Bob One. Dopo un periodo di reciproca conoscenza partì il nostro connubio vincente. Lui gestiva alcune delle etichette che andavano per la maggiore in Italia, io lavoravo per Tendence Europe, magazine mensile della famiglia milanese Martinenghi che trattava moda e nightlife per cui curavo recensioni e classifiche nazionali di locali, PR e DJ, quindi il gioco era fatto: discografia e pubblicità nazionale generavano visibilità, ed anche i nomi più importanti cominciavano ad accorgersi che a Modena stesse nascendo qualcosa di incredibile e chiedevano in continuazione di collaborare. Sulle tre label principali del gruppo, Sushi, Tomahawk e Kyro, approdarono artisti del calibro di Ricci, Gabry Fasano, Stefano Noferini e Claudio Diva e il progetto “DJ’s United Grooves” andò letteralmente a ruba. In questa escalation di successi le produzioni uscivano a raffica, una dietro l’altra, e le date a livello internazionale seguivano lo stesso ritmo. Avevamo spazi sulla carta stampata e cominciai a lavorare per il programma televisivo Crazy Dance. Come se non bastasse, un giorno si presentò Fabrizio Pareti con un nuovo progetto che Bob adottò subito. “Blob” fu l’apoteosi, divenne uno dei pezzi più suonati nelle discoteche e finì anche in radio. Seguirono le tournée all’estero e maxi feste in Italia. Tutto andò per il verso giusto, furono anni di ostriche e champagne insomma, ma poi iniziò il declino. Nella sua centralità e gestione patriarcale, Bob non riuscì a dare un’impronta manageriale al tutto e con la fine del fenomeno progressive ognuno cambiò pelle. Venne a mancare la coesione, il progetto condiviso naufragò e quella fu la fine di un sogno. Attarantato tornò ad occuparsi di distribuzione di dischi, Lo Nardo passò alla concorrenza, io cercavo di rimanere a galla iniziando un ping pong tra un club e l’altro, cominciando ad organizzare eventi. Ci allontanammo sempre più sino a limitare i contatti agli auguri di Natale mandati via internet. Finì tutto sebbene avessimo in mano un bazooka caricato a nitroglicerina. Ho provato ad analizzare più volte la situazione ma non sono mai riuscito a darmi una risposta certa. Probabilmente la causa fu l’inesperienza nel gestire in maniera aziendale ciò che ci stava capitando, forse non furono fatti investimenti adeguati per fare il classico salto di qualità, preferendo una gestione troppo casalinga. Gianfranco Bortolotti con molto meno fece molto di più con la sua Media Records. Al di là di ciò, comunque, sono stati anni di furore e rifarei tutto, nel bene e nel male».

Nevio M.
«Serbo un buon ricordo degli anni Novanta, in particolare il periodo che va dal 1993 al 1998 in cui ebbi modo di conoscere Bob Attarantato e la sua American Records. Nel 1993, insieme all’amico e socio Piero Zannoni, aprii un negozio di dischi a Faenza. Con pochi soldi ma tanto entusiasmo nacque il Mixopiù (di cui abbiamo dettagliatamente parlato in Decadance Extra, nda) e a rifornirci di vinili, CD, cassette e persino parte dell’arredamento fu proprio Bob. Qualche anno più tardi Piero e Bob lanciarono le nuove etichette discografiche orientate a techno, trance, tribal e progressive. A qualche progetto collaborai anche io. Ai tempi ero resident al Cellophane di Rimini ed avevo la fortuna di ricevere le copie promozionali in assoluta anteprima rispetto agli altri. Fui il primo, ad esempio, a suonare l’acetato di “Trumba Lumba” di Stefano Noferini, con diversi mesi d’anticipo rispetto alla pubblicazione ufficiale. Quando arrivò nei negozi ne vendemmo tantissimi visto che si era creata una spasmodica attesa. Devo ammettere che Bob era un ottimo imprenditore, su certe cose ci vedeva davvero lungo».

Cosa resta oggi dell’American Records?

AmericanRecords googlemaps

La vista dall’esterno dell’ultima sede dell’American Records (Google Maps, 2016)

Scomparsa dal mercato discografico con l’arrivo del Duemila, l’American Records ha lasciato ben poche tracce dietro di sé. L’ultima sede legale è al 115/A di Via Vincenzo Monti, a Modena. Google Maps aiuta a sbirciare all’esterno con una foto scattata a giugno 2016: l’insegna è ancora lì.

Sul versante internet, il sito legato al dominio http://www.americanrecords.it, nato il 13 aprile del 2000, viene creato mentre l’attività di produzione discografica cessa o comunque rallenta in modo significativo. Il sito web, lanciato quando la sede è ancora al 20 di Via Repubblica di San Marino, sempre a Modena, non ha subito praticamente alcuna modifica nel corso degli anni ad eccezione dell’area shop varata nel 2001, un negozio online che tratta svariati generi, dal rock al metal passando per la musica leggera, il che lascia supporre che l’American Records, dopo l’exploit nella seconda metà dei Novanta, sia tornata ad essere quello che era in origine, un negozio di dischi.

sitoweb 2001

Screenshot del sito dell’American Records (2001)

Voci di corridoio asseriscono che Attarantato abbia impiantato, in Via Repubblica di San Marino, una nuova società, la Bob Due Edizioni, che si occuperebbe di arredamento domestico ma è difficile stabilire se la notizia sia fondata. Certo è invece che dopo aver concluso la collaborazione con l’American Records, Filippo Lo Nardo ne inizia una nuova con un’altra etichetta modenese che si fa strada tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, la Stik, per cui produce “Pitfall” insieme a Ginger e qualche remix per Chicken Buns, Cosmic Commando e Wintermücke, quest’ultimo preso in licenza dalla Stik Trance curata per qualche tempo da Piero Zeta.

(Giosuè Impellizzeri)

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