Negli anni Novanta il Cocoricò ha rappresentato per moltissimi la mecca dell’estremismo sonoro legato a techno (specialmente la più esasperata) e hardcore. La “piramide” di viale Chieti diviene un simbolo preso a modello da molte discoteche sparse per l’Italia ma in poche riescono a tenergli testa. Loris Riccardi, art director di allora, lo rende un divertimentificio che crea dipendenza e non teme rivali. «Non chiamatela discoteca, il Cocoricò è una discoteca come la sedia elettrica è una sedia: interpreta infatti le violenze più trattenute e le necessità più vitali di un certo tipo di gioventù in corsa verso il girosecolo. E quello che ti mostra non è una festa, è un bordello dei sensi vietati. È guerriglia musicale, lotta mimata, gioco di attacco e difesa» scrive Roberto D’Agostino su Repubblica il 30 maggio 1994. Riccardi, appena venticinquenne, descrive la sua creatura come «il Dse, un dipartimento scuola educazione ma alloggiato nel sottosuolo generazionale. Nessuno esige un certo comportamento, un certo modo di vestirsi, di atteggiarsi. Chi viene qui trova una completa libertà di espressione, nel senso fisico e mentale. L’immensa energia che c’è al Cocoricò non è droga, non è musica: è solo un punto di riferimento per capire quello che farà la prossima generazione». Il logo del club (fusione tra i simboli dell’uomo e della donna) è un trofeo del marketing, tutti nell’ambiente sanno di cosa si tratta seppur bypassi la forma estesa del nome, un po’ come avviene con lo swoosh della Nike.
Per creare un effetto altrettanto incisivo nel mondo discografico, nel 1994 viene creato l’album ufficiale affidando la produzione ad Antonio Bartoccetti che racconta: «Il progetto “Cocoricò” nacque da un incontro con Bruno Palazzi, l’allora proprietario del club, in un periodo di grandi cene e grandi somme di denaro. Palazzi propose ad Anthony (Rexanthony, figlio di Bartoccetti, nda) di realizzare dischi tematici sul suo locale. Cominciammo i lavori nel 1994 in collaborazione col grafico Marco Mussoni e l’art director Loris Riccardi, frequentando la discoteca per molte notti al fine di captarne l’atmosfera giusta, inglobarla nelle nostre menti e ri-vomitarla negli album. Circa due mesi dopo era pronto “Cocoricò 2”, con splendida copertina e contenuti decisamente progressive. Un paio di brani della tracklist vennero trasmessi da molte radio europee mentre in Italia passarono solo su Italia Network, 105 e parecchie piccole emittenti private. Ebbi una grossa soddisfazione quando trovai “Cocoricò 2” nello spazio classifiche su Rai 1. Aggiunsi il “2” al titolo perché esisteva già un fantomatico volume 1 ma privo di valore poiché non era un album bensì una compilation assemblata alla meglio e con poca cura. Non ricordo nemmeno se avesse il timbro SIAE. Il vero colpo gobbo avvenne comunque con “Cocoricò 3”, del 1995, un album studiato nei minimi particolari, di grande impegno e di immediate ed importanti classifiche e licenze. La copertina fu realizzata da me, Loris e da Massimone di Roma, nel suo studio grafico a Rimini: il logo del Cocoricò su tinte blu. L’artwork ed entrambi gli album sono miei sotto il profilo di publishing e copyright, cosa che mi è tornata utile per le dodici ristampe che sono riapparse negli anni passati e che verranno in futuro. Da quell’album abbiamo tratto svariati singoli ed anche “Capturing Matrix” nella sua versione più nota (che entra nella DeeJay Parade il 12 agosto, raggiunge la vetta il 30 settembre dove staziona per due settimane ed esce il 25 novembre, per essere sostituita la settimana successiva da “Polaris Dream”, nda).
Furono tantissimi i discografici che nel 1995 mi chiesero “Cocoricò 3” e “Capturing Matrix”, tra cui, degni di nota, Nicola Pollastri della Media Records e la britannica Warp Records, ma continuai a preferire il rapporto con Luigi Di Prisco della Dig It International, perché con quella label ero totalmente libero di fare ciò che volevo, dischi, grafiche, live, immagini. Per questo album, rimasto trasgressivo e mitico negli anni, decisi di fare grandi investimenti economici in termini di promozione, su Videomusic, Match Music, Italia Network, Radio DeeJay e Radio 105. La mia teoria è stata sempre quella secondo cui prima raggiungi i vertici delle classifiche del Paese dove vivi e poi prendi la “valigetta di Fantozzi” e giri il mondo a caccia di licenze con più facilità.
“Cocoricò 3” fu realizzato nel mio recording studio su un banco Yamaha a 48 canali e su piattaforma Apple Power Mac ProTools. I generatori di suono erano quasi tutti Roland a cui si aggiunse un Sequential Circuits Prophet-5 , un Sequential Circuits Prophet-600, un ARP 2600 ed un Oberheim OB-X. Le drum machine, inutile sottolinearlo, erano Roland TR-909 e TR-808, a cui si aggiunse l’immancabile Bassline TB-303. Poi microfoni Neumann, per le mie voci, di Anthony, di Loris, di Ricci, di Principe Maurice e di due vocalist, una credo fosse Nicoletta Magalotti, che ci mandò Bruno Palazzi. Per quanto riguarda i tempi operativi, cominciammo a gennaio e finimmo a maggio 1995. Poi lo presentammo in un concerto esclusivo, naturalmente al Cocoricò, generando il sold out di pubblico. A metà luglio Giuliano Saglia, manager della Dig It International, ci riferì che l’album cominciava a muoversi molto bene a livello di vendite e che Albertino iniziava ad amare il remix di “Capturing Matrix” di Rexanthony, che fu estratto come singolo (la “Trancegression Version” invece ottiene solo un paio di passaggi nel DeeJay Time a maggio di quell’anno, quando Albertino la annuncia erroneamente come “Computer Matrix”, nda). Da agosto in poi è storia.
“Cocoricò 3” rimane uno degli album più innovativi al mondo creati in Italia. Musiche e testi sono interamente del team di Musik Research, anche se la direzione del Cocoricò mandò nei nostri studi come testimonial due DJ, Saccoman e Ricci. Quest’ultimo arrivò carico, dinamico, unico. Entrammo nella sala A ed iniziò a cantare dicendo di voler fare un brano col testo che recitasse “co-co-ri-cò”. Continuava a ripetere quelle sillabe all’infinito, genialmente, incredibilmente e magistralmente. Registrai al volo la sua voce ed era già tutto finito. Un nuovo brano sarebbe entrato nella storia dell’immortale techno/trance. Poi giunse Rexanthony, accese le tastiere, scrisse tutte le musiche, gli arrangiamenti e i montaggi col suo Mac. Era nata “The Symbol”. Saccoman invece, molto ermetico, diede un contributo minimale. Nessuna idea dall’esterno, in nessuna misura o per lo meno in modo apprezzabile. Molella si coordinò con Anthony solo via telefono ed insieme ipotizzarono un paio di frasi che lo stesso Anthony trasformò in “Cocoacceleration”. Comunque nelle mie produzioni i DJ hanno sempre contato poco o niente. Loris Riccardi invece era un grande creativo. Aveva idee forti, anche utopistiche, e questa era la sua carta vincente. Decidemmo di incidere qualcosa che, seppur racchiuso in “Cocoricò 3”, avrebbe mantenuto l’indipendenza dal concept dello stesso. Divenne “Chagrin Et Plasir” della fantomatica band U Fisty Fussy, ossia Riccardi e Principe Maurice, sotto la direzione artistica di Doris Norton (a cui abbiamo dedicato una monografia qui, nda). Ricordo di averli chiusi in studio senza intervenire su quanto facevano. Il risultato (quattro brani destinati al solo CD, “Illegal”, “J’Accuse”, “Woulewu No” e “Contamination”, nda) mi convinse e diedi i miei tocchi finali per completare quella “follia”.
Grazie all’originalità musicale e timbrica, alla grafica, al nome, al testimonial che lo ha riprodotto in formato live e alla massiccia campagna pubblicitaria, “Cocoricò 3” vendette davvero tanto, macinando numeri incredibili, forse troppo grossi. Entrò in tutte le classifiche, anche le più orrende, persino in quella di TV Sorrisi e Canzoni. Mancava solo Radio Maria. Nel corso degli anni ha continuato a vendere con una costanza che effettivamente fa un po’ paura. Attualmente il doppio CD autografato lo vendiamo per 100 euro a copia, ed anche i vinili sono entrati di diritto nelle collezioni cult. Con la Dig It International la situazione era eccellente: non dovevamo far altro che chiedere e tutto veniva assecondato. Motivo? Gli avevamo fatto vendere decine di migliaia di copie e per il grande Luigi Di Prisco contavi anche per quello che i tuoi prodotti vendevano. Inoltre, tramite l’export manager Stefano Ghilardi, Dig It International lavorava ottimamente sul fronte esportazioni, quindi pur senza concedere licenze i prodotti finivano nei mercati americani o asiatici nel giro di 48 ore. Sento di dover ringraziare pure il citato Giuliano Saglia per aver portato Rexanthony in Giappone, dove ha creato un mito primariamente coi brani “An.Tho.Ny” e “Gener Action”, usciti prima dei due album tematici sul Cocoricò. Se ci fossimo trovati in Inghilterra ed avessimo avuto alle spalle la Virgin Records, come è avvenuto per i Chemical Brothers, probabilmente ci saremmo spostati da un quartiere all’altro di New York con l’elicottero ed avremmo posseduto un paio di navi e un’isola. Ma siamo italiani, accontentiamoci di come è andata. Tra il 1993 e il 1997 il Cocoricò era eccezionalmente eccezionale. Lì dentro respiravi trasgressione ed innovazione. Guardare questo video rende bene l’idea di ciò a cui mi riferisco».
Oltre al fortunato remix di “Capturing Matrix” e “The Symbol” di Ricci DJ, “Cocoricò 3” annovera “Deltasygma” e “Sexo” di Doris Norton, “Biohazard” di Saccoman, “Pyramid Power” e “Nytzer Ebb” di Ricci DJ, “Cocoricò” e “Cocoacceleration” di Rexanthony ed “Exagon” di TSD Trance Mission Team (nessun legame col programma televisivo TSD – Tutto Sulla Disco Tutto Sulla Dance seppur ci fosse un grande rapporto con Musik Research visto che i live di Rexanthony erano spesso ospitati nei servizi, come testimonia questa clip), tutti nati sull’asse techno/hardcore in cui si fondono melodie incantatrici, spietati disegni di bassline TB-303 e ritmi metallurgici. La techno (e successivamente l’hardcore e l’hardstyle) diventa un marchio di fabbrica per Antonio Bartoccetti che si lascia alle spalle esperienze in area rock e metal gothic progressive (coi gruppi Jacula ed Antonius Rex negli anni Settanta) ed elettroniche (con la moglie Doris Norton negli anni Ottanta).
«Con l’arrivo dei Novanta entrammo nel mondo techno. Un giorno Anthony, che frequentava la terza media, arrivò a casa con un CD dei Technotronic. Lo ascoltai pensando che fosse un disco rovinato e registrato male, ma il giorno seguente riuscii a contattare telefonicamente il loro produttore che viveva in Belgio: mi disse che di quel disco ne erano state vendute già un milione di copie. La cosa si fece interessante. Nel 1992 Doris, in soli quattro giorni, realizzò il primo volume di “Techno Shock” che venne pubblicato su Sound Of The Bomb e raggiunse presto ottimi responsi di vendita, seppur con una promozione di appena due settimane su Italia Network. Seguì il secondo volume che venne spinto anche da Radio DeeJay e divenne un successo, sia per vendite che licenze. Proseguimmo con la saga sino al decimo volume. Erano a tutti gli effetti degli album ma in quel periodo praticamente nessuno produceva album techno perché si preferiva l’immediatezza dei singoli o degli EP. Poteva sembrare un’assurdità ma i nostri vendettero e diventarono dei cult. In particolare vengono ricordati i volumi 3 e 6 per essere state pietre miliari dell’hardcore. Oggi? Faccio lo psichiatra ma continuo a fare il produttore: in dirittura d’arrivo c’è “Colors” di Rexanthony e Principe Maurice, pronti anche in formato live, e stiamo progettando di riprendere “Blacklady Kiss” di Jacula per riaffidarlo alla loro creatività e farne un futuro inno del Cocoricò. Dal 2012 ho cominciato a fare anche il ghost producer».
La Piramide di vetro illuminata da abbacinanti luci stroboscopiche «trasformata dalla condensa causata dal calore dei corpi in un acquario dove pesciolini esotici ondeggiano paurosamente, si incrociano tirando occhiate, gesticolano come sordi ubriachi o come mute dee Kalì» parafrasando ancora quell’articolo di Roberto D’Agostino citato all’inizio, era il posto più adatto per i brani compressi in “Cocoricò 3”, dove la musica e l’atmosfera si fondevano generando qualcosa che, chi c’era, continua a considerare irripetibile. (Giosuè Impellizzeri)
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