Roma, techno e sperimentazioni, la carriera discografica di Eugenio Passalacqua

Eugenio Passalacqua è tra coloro che nei primi anni Novanta contribuiscono a fare di Roma la techno city. Guidato da uno spiccato pionierismo e da un fare agli antipodi dell’accademico, approccia alla produzione di musica elettronica attraverso metodologie artigianali perfezionate nel corso del tempo. Innamoratosi presto della techno arrivata da Detroit che allora inizia la mutazione europea, Passalacqua instaura un rapporto viscerale con la Roland TB-303 con cui modella alcuni dischi, su tutti “Quark EP” di Solid State e “Trauma” di Trauma, rispettivamente finiti sulla britannica Peacefrog Records e sull’olandese Djax-Up-Beats. Passalacqua però non è un individualista, nel Dump Studio collabora con svariati amici a partire da Andrea Prezioso con cui realizza, nel 1992, “Tetris” di Game Boys, riadattamento ballabile del tema dell’omonimo videogioco in auge in quel periodo, e il remix di “James Brown Is Dead” degli L.A. Style. L’attività prosegue per buona parte degli anni Novanta, abbracciando via via produzioni più crossover.


Che ascolti hanno contraddistinto la tua adolescenza?
Da piccolo fui influenzato dai gusti di mio padre, grande appassionato di jazz e musica brasiliana.

Hai mai frequentato il conservatorio o studiato qualche strumento?
No, ma mi sarebbe piaciuto. Ho sempre suonato da autodidatta e “a orecchio”, gli unici veri studi che ho fatto sono quelli sugli strumenti elettronici e sui primi software musicali.

Come ti sei avvicinato alla produzione discografica?
Avvenne in modo naturale, essendo appassionato di computer familiarizzai presto coi primi software e strumenti che permettevano il campionamento di suoni. Allestii il mio primo micro studio in casa, con un mixer e un campionatore.

Ci fu qualcuno a spiegarti i rudimenti del mestiere?
No, nessuno, tutto quello che ho imparato è frutto di una continua sperimentazione.

Passalacqua + Prestipino (1987 circa)
Eugenio Passalacqua e Michele Prestipino tra 1986 e 1987 (foto tratta dal gruppo Facebook “Ventanni Di Roma By Night”)

I tuoi primi interventi tecnici in studio di registrazione risalgono al 1987, quando entri nel team Full Beat ed affianchi Michele Prestipino per alcune pubblicazioni su etichette della Capitale come Good Vibes, Full Time, Tendance e Mix Juice: come e cosa ricordi di quelle esperienze?
Io e Michele operavamo sotto la sapientissima guida di Faber Cucchetti nello studio di registrazione di Claudio Simonetti, in Via Della Farnesina, ad appena trenta metri da casa mia. Lì divenni molto amico di Giuseppe Ranieri, storico fonico di Simonetti, da cui “rubavo” con gli occhi i segreti del mestiere. Per le pubblicazioni sulle etichette citate, si trattava prevalentemente di lavoro eseguito su Revox, e in quel caso devo tutto a Faber e al fratello Luca. Erano una conseguenza dell’arrivo mio e di Michele Prestipino a Dimensione Dance, uno dei primissimi e seguitissimi programmi di musica dance trasmesso da Radio Dimensione Suono, noto prima nella Capitale e poi in tutta Italia.

Di cosa ti occupavi nello specifico e con quali strumenti lavoravi?
Per le compilation operavamo prevalentemente con giradischi, Revox, nastri Ampex, taglierino e scotch, impiegando ore per fare operazioni che oggi si ottengono in un secondo premendo un tasto. Era comunque meraviglioso perché per noi era innovazione assoluta, anche se a risentire certe cose adesso mi accorgo che qualche volta esageravamo. Il nostro lavoro consisteva nel mixare i brani e lo facevamo perlopiù utilizzando i giradischi, editando per ridurre il tempo o remixare. Poi andavamo in studio qualora nascesse l’esigenza di inserire effetti particolari. Il passo successivo fu scandito dal Casio FZ-1, sintetizzatore-campionatore che, con fatica, portavamo anche nelle serate.

Tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, quando partecipi alle selezioni regionali dei campionati DMC, house e techno rivoluzionano la scena musicale. Come ricordi l’avvento di questi due macrogeneri?
Per quel che ho vissuto io, gli anni Ottanta erano molto hip hop e funky. Il passaggio alla house per me fu un vero colpo di fulmine (decisamente meno l’hip house, di cui apprezzavo pochissime cose) e ricordo che quando cominciammo a proporre quel genere la gente guardava stranita. Non a caso iniziai a mettere musica house prevalentemente durante le feste pomeridiane con un pubblico parecchio giovane. Da “Your Love” di Frankie Knuckles in avanti le cose cambiarono radicalmente. Il passaggio dall’hip hop alla house avvenne per gradi, anche a livello di bpm, e ciò facilitò le sequenze mixate senza dover ricorrere a tagli netti. Ricordo inoltre che alcune delle prime produzioni house inglobavano già micro caratteristiche techno: per chi come me era costantemente alla ricerca di cose innovative, quel nuovo genere poteva essere considerato una naturale evoluzione.

Ci fu qualcuno, tra i discografici con cui eri in contatto, a sottovalutare la portata di house e techno e a liquidarle come le ennesime mode passeggere?
No, al contrario tutti i discografici che conoscevo, in primis Claudio Donato e Alvaro Ugolini, investirono presto su quei generi nuovi sapendo che non si trattava affatto di trend temporanei.

Prestipino, Cucchetti, Moratto, Eugenio (1989)
da sinistra Michele Prestipino, Faber Cucchetti, Elvio Moratto ed Eugenio Passalacqua immortalati in uno scatto del 1989 (foto tratta dal gruppo Facebook “Ventanni Di Roma By Night”)

Il Dump Studio era il tuo studio personale: con quali strumenti era equipaggiato?
Inizialmente lo allestii in casa con pochissime cose come un mixer a 24 canali, una batteria Roland TR-909, un Juno-106, un compressore, un reverbero, un campionatore (mi pare Yamaha) e un computer Amiga. In seguito, con l’arrivo di Andrea Prezioso, affittammo un garage dove ricollocammo tutto e poi, con l’entrata di Claudio Donato, finimmo nel sottoscala del vecchio Goody Music. A disposizione avevamo un’infinità di strumenti analogici pilotati dall’Atari ST 1040.

Perché optasti per quel nome?
Mi lasciai ispirare dal dump che presentavano i primi nastri digitali DAT quando veniva raggiunto il picco di volume.

Esiste ancora?
Purtroppo no, il Dump Studio è stato completamente smantellato.

Sono tanti i brani del tuo repertorio legati a generi, etichette e team di produzione differenti. Di “130 BPM” di Break The Bonds ad esempio, uscito nel 1991 sulla bolognese DFC First Cut, cosa ricordi?
Si tratta di un pezzo nato da una collaborazione instaurata col noto rapper romano Antonello Aprea e col musicista Elvio Moratto (di cui parliamo qui, nda) con cui entrai in contatto ai tempi dei dischi di Afroside, su Full Time. Credo che “130 BPM” sia stato il mio primo esperimento techno in assoluto.

Pass The Water - Venom EP
“Venom EP”, l’unico disco che Passalacqua realizza con lo pseudonimo Pass The Water

Traducendo ironicamente il tuo cognome in inglese, nel ’92 ti ribattezzi Pass The Water per il “Venom EP” sulla Sysmo. Come si sviluppò la lavorazione dei tre brani racchiusi all’interno, a cui si aggiunsero un intro e due interludi?
L’idea del nome anglofonizzato fu di Massimo Mariotti, icona dei flyer dei rave romani di quel periodo, e fu proprio lui a curare il logo che si vedeva sul disco. In quel momento eravamo all’apice del fenomeno techno romano e l’EP fu completamente realizzato nello studio di Paul Mazzolini, meglio noto come Gazebo, e prodotto dallo stesso. Chi lo avrebbe mai detto che un interprete di classici italo disco (come “Masterpiece”, “I Like Chopin” o “Lunatic”, nda) avrebbe creduto nella techno! Ai tempi non potevo assolutamente staccarmi dalla mia TB-303, fu amore a prima vista. Avevo varie tracce aperte sull’Atari con esperimenti fatti a casa, sviluppate a mo’ di editing col Revox quindi prendendo microporzioni e facendo cut and paste. Poi in studio ci fu la scelta per le sonorità e gli strumenti da adoperare. L’idea dell’intro mi venne pensando alle performance che facevo ai rave dove suonavo spesso dal vivo con gli strumenti e non coi dischi come i DJ. Quella traccia della durata di poco più di un minuto mi tornava utile proprio per aprire i live.

Solid State + Trauma
Solid State e Trauma, due punti forti del repertorio di Passalacqua

Per “Quark EP” di Solid State, inizialmente pubblicato dalla X Energy, raggiungi un’etichetta di assoluto pregio ancora in attività, la britannica Peacefrog Records. Cosa voleva dire ai tempi approdare su una label di quella caratura?
Solid State è un altro dei progetti a cui tengo particolarmente e che, secondo me, ha avuto il merito di differenziarsi da quelle che erano le altre (comunque valide) produzioni techno romane. Credo che in virtù di ciò nacquero i presupposti per l’uscita su Peacefrog. Per me fu come vincere un premio internazionale! A quel che ricordo, fu l’etichetta d’oltremanica a contattare la X Energy per rilevare la licenza e questo è ulteriore motivo di orgoglio. L’intero disco fu realizzato in casa, nel primo Dump Studio, con una TB-303 non ancora midizzata. Tutto il sync tra batteria e bassline venne realizzato a mano, come se stessi mettendo tempo due dischi.

Un altro colpo lo metti a segno con “Trauma” di Trauma, realizzato in tandem con Andrea Prezioso, pubblicato dall’olandese Djax-Up-Beats e impreziosito dalla grafica di Alan Oldham. Come raggiungeste l’etichetta di Miss Djax?
Non lo ricordo, probabilmente mandammo un demotape e la loro reazione fu piacevolmente inaspettata. Analogamente a Solid State, pure Trauma venne realizzato nel primo Dump Studio, tra le mura casalinghe, subito dopo l’acquisto di un campionatore e qualche effetto. A ripensarci, da quel posto sono uscite le cose migliori, era un periodo di buona creatività.

Con Andrea Prezioso realizzi pure “Universe” di MIR, un disco particolarmente ricercato dai collezionisti. Come lo ricordi?
MIR lo producemmo nel Dump Studio riallestito da Claudio Donato, forse uno dei primi a essere creato lì. Era un disco piuttosto basico tanto che decidemmo di firmarlo in SIAE coi nostri pseudonimi. Credo vendette meno di mille copie, per questo oggi è un titolo parecchio ambito.

Game Boys
“Tetris” dei Game Boys (1992)

Dalla tua discografia emergono anche tracce che hanno raggiunto platee più grandi come “Tetris” di Game Boys, del 1992. Come raccontavi nell’intervista finita in Decadance Appendix nel 2012, l’idea di riproporre la melodia del noto videogame ideato dal russo Pažitnov ti venne nel periodo in cui eri in fissa col Game Boy: «collegai il videogioco all’impianto e sovrapposi il tema melodico a un beat» affermasti. In una recensione del luglio 1997 relativa a “Gabber Over” uscita su Mokum però, Faber Cucchetti scriveva che l’idea di riadattare in chiave ballabile il tema di Tetris venne al compianto Walter One ma che poi gli fu, letteralmente, «trafugata da abili mani». Cosa voleva dire?
Mah, secondo me in quell’occasione Cucchetti si è confuso e credo volesse riferirsi a “Dukkha” di Precious X Project (di cui parliamo qui, nda), nato inizialmente dalla collaborazione tra Andrea Prezioso e Walter One, peraltro presente sui crediti del disco, e poi ultimato dallo stesso Andrea e David Calzamatta nello studio di quest’ultimo (intervistato qui, nda). Detto questo, non credo ci siano punti di connessione tra Walter One e “Tetris”, e “Dukkha” tra l’altro uscì parecchi mesi prima di Game Boys.

Come andarono i due pezzi seguenti dei Game Boys, “Phantom” (che sul lato b vedeva “Mario & Luigi”, a rimarcare il legame col mondo dei videogiochi) e “Move”? Con quest’ultimo volevate forse coprire un segmento di utenza diverso, più vicino all’eurodance?
Effettivamente provammo a cavalcare quella scia ma non essendo propriamente pezzi che sentivamo nelle nostre corde raccolsero il poco successo che obiettivamente meritavano.

A godere dell’airplay radiofonico furono anche i due pezzi realizzati insieme ai fratelli Prezioso come Corporation Of Three tra 1993 e 1994, “The Bear”, costruito sul bassline campionato da “Happy Answer” di Rob Acid, e “Body Strong”, con l’hook tratto da “Keep That Body Strong (That’s The Way)” dei Dead Or Alive. Il nome era una sorta di risposta a Corporation Of One dell’americano Freddy Bastone? Il supporto di uno speaker assai determinante per il comparto dance come Albertino si tradusse in maggiori vendite, come avvenuto per “Tetris”? Nell’intervista sopraccitata dicevi che a decretare il successo di un artista o di un brano erano quasi sempre e solo i grossi network radiofonici.
Lo dicevo nel 2012 e credo sia ancora così, o forse adesso il ruolo delle grosse emittenti è stato persino soppiantato dai social network. Giorgio era entrato a far parte dell’organico di Radio DeeJay e il successo di “Tetris” ci facilitò le cose e alimentò le vendite. Per quanto riguarda il nome, no, nessun riferimento a Corporation Of One, era più banalmente un modo per siglare la collaborazione tra tre persone, io, Andrea e Giorgio.

A proposito di personaggi di Via Massena: nel ’92 Giorgio Prezioso remixa “New York – London – Paris – Chicago” di Soup e “X-Paradise” di Hole In One per la bresciana Downtown del gruppo Time ma il tuo nome, insieme a quello del fratello Andrea, appare comunque tra i crediti. Chi faceva cosa in studio?
Il lavoro in studio era svolto prevalentemente da me e da Andrea ma le richieste di quei remix arrivarono tramite Giorgio. Per utilizzare un termine molto di moda ai giorni nostri, eravamo una specie di duo di ghost producer.

In “Get On Up” di Giorgio Prezioso invece cosa facesti di preciso?
Lavorai durante la realizzazione e come fonico per il missaggio finale. A firmare il pezzo in SIAE, oltre a Giorgio, fummo anche io, Andrea e il musicista Guglielmo Guglielmi.

In ambito eurodance nel ’94 realizzi pure “Forever” di Nova Featuring Asiha, l’unico finito su Dump Records.
Era un pezzo melodico interpretato vocalmente da Antonella Aiesi, la sorella di un nostro amico. Se la memoria non mi inganna, la Dump Records nacque dalla collaborazione tra la Discomagic di Severo Lombardoni e Claudio Donato. Probabilmente fu il primo brano che incidemmo con la voce di una cantante in carne e ossa e non ricorrendo a campionamenti.

Nel 1995 è la volta di Younguns, team in cui oltre a te figurano Andrea Prezioso e 2/3 dei futuri Medusa’s Spite, Antonello Aprea e Stefano Daniele. “Don’t Walk Away” finisce nell’orbita di una multinazionale, l’Ariola del gruppo BMG, ma con risultati non sorprendenti. Nello stesso anno realizzi con Andrea Prezioso e Alessandro Moschini anche “Take A Ride In The Sky” di Format, ceduto alla Zac Records, e due versioni di “Feeling Good” di Debbie per la Dance Groove. Come mai virasti verso un genere “cheesy” come l’eurodance?
Younguns è una delle cose che mi è piaciuta di più realizzare, “Don’t Walk Away” la riascolto ancora oggi e non ho mai capito la ragione per cui non raccolse successo. Secondo me, per i tempi in cui uscì era una bomba. Sono così certo di questa cosa che ogni tanto mi viene voglia di riproporlo in chiave moderna. Dopo i primi anni vissuti prevalentemente con la techno virammo verso l’eurodance, in primis per esigenze economiche. Non si trattava di un disco commissionato, sia chiaro, ma una nostra creazione adattata alle mode del momento. Diciamo che intorno al 1995 era ormai terminata la “fase sperimentale” e cercammo di essere più pragmatici.

Nel tuo repertorio c’è pure “Try Jah Love” di P.D.P. (Dig It International, 1993), cover dell’omonimo dei Third World di circa dieci anni prima ricantata da Glen White dei Kano e con le percussioni di Tony Esposito. Sulla carta il progetto pareva davvero forte ma credo abbia fallito l’obiettivo, come mai?
Ecco, “Try Jah Love” di P.D.P. faceva parte di una serie di lavori su commissione. Nel 1993 la testa era da tutt’altra parte, probabilmente fu ciò a decretare il motivo dell’insuccesso.

Un’altra cover a cui hai lavorato è stata “I Need Your Lovin'” di Crime Of Passion (X Energy, 1992), riadattamento house dell’omonimo di Teena Marie edito dalla Motown nel 1980. Come andò in quel caso?
Di Crime Of Passion ho davvero pochi ricordi, credo quindi di essermi occupato solo del mixaggio. L’idea era di Stefano Gamma.

Dal Dump Studio esce davvero un fiume di produzioni, tante delle quali realizzate coi fratelli Prezioso e Alessandro Moschini, il futuro Marvin, da Entity a Illegal (con cui rielaborate “Moments In Love” degli Art Of Noise), da K.S. a Omega passando per Ramset 1, K.O.E. e remix per Ike Therry. Lavorare in team poteva garantire risultati diversi rispetto a chi invece operava da solo? Quali erano i pro e i contro del lavoro di gruppo?
Il così alto numero di produzioni derivava direttamente dalle varie correnti di pensiero e dal perenne confronto tra di noi. Alessandro era l’unico musicista diplomato del team, Andrea era (ed è ancora) la Treccani della musica mentre io ero il tecnico, una sorta di scienziato pazzo. Trascorrevamo le giornate ad ascoltare musica di ogni genere e dialogavamo di continuo. A tal proposito ricordo ancora la disquisizione sul giro di pianoforte di “Mille Giorni Di Te E Di Me” di Claudio Baglioni che feci con Alessandro mentre Andrea voleva spaccare le casse spia. A volte si litigava ma il bello del team è anche questo, relazionarsi e non rimanere arroccati sulle proprie posizioni.

In passato l’uso degli pseudonimi era una consuetudine, oggi invece sembra prevalga più l’utilizzo del proprio nome anagrafico. Un chiaro segno di come la musica dance si sia “industrializzata” e avvicinata alle tipiche dinamiche produttive del pop/rock?
Probabilmente sì, è così, ma parli con uno che come DJ non ha mai usato uno pseudonimo pur non potendo contare su un nome “facile”.

Paolo Zerla, Andrea Pelino, Passalacqua (1992)
Andrea Pelino, Eugenio Passalacqua e Paolo ‘Zerla’ Zerletti in una foto del 1992

Nei primi anni Novanta Roma era una roccaforte della techno, vantava DJ, produttori, etichette, negozi, studi, locali, organizzatori e persino un polo distributivo coordinato da Marco Passarani e Andrea Benedetti, come raccontato qui. Cosa è rimasto di tutto ciò a distanza di circa un trentennio?
Possiamo vantarci di ciò che è stata Roma in quegli anni. Oltre ai momenti indelebili, quello che è rimasto dell’epoca è la gratificazione: ancora oggi, facendo il mio nome, c’è chi si ricorda di quel periodo e mi inorgoglisce il fatto di aver avuto la possibilità di farne parte. Pian piano sto iniziando a raccontare tanti aneddoti a mio figlio.

Quali sono stati i pregi e i difetti della scena house/techno romana?
Tra i pregi, sicuramente quello di essere stato un gruppo davvero all’avanguardia. Potenzialmente il polo elettronico capitolino poteva diventare una realtà di livello mondiale come è stato per Detroit ad esempio, ma a remare contro è stata la tipica mentalità provinciale romana che, sia chiaro, non abbraccia solo il campo musicale ma è proprio insita nel romano ab Urbe condita.

Viviamo un’era di continui ripescaggi, citazioni del passato e ritorni. Tu stesso, qualche anno fa, hai fatto risorgere Solid State attraverso tre volumi condivisi con I.vy sulla sua Chinese Laundry, pieni zeppi di acid techno con occhiate al primo Plastikman che, come mi raccontasti anni fa, resta uno dei tuoi miti. Prevedi di incidere nuovi dischi come Solid State in un prossimo futuro?
Chissà. Spesso mi sveglio con qualche idea che mi ronza in testa. Con I.vy c’era un rapporto di grande amicizia e mi ha spronato molto a ridare vita a Solid State.

Se potessi rivivere un giorno o un anno del “mondo” che abbiamo raccontato in questa intervista, quale sceglieresti e perché?
Come emozione e soddisfazione, sicuramente il momento del mio live all’Ombrellaro Rave, quindi il 1992, ma fu un periodo pazzesco che rivivrei tutto dall’inizio alla fine.

(Giosuè Impellizzeri)

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BXR, una squadra di DJ alla conquista del mondo

Negli anni Novanta la musica destinata alle discoteche, composta da DJ e team di musicisti ed arrangiatori, è in prevalenza marchiata con pseudonimi. Ciò avviene per moda, per questioni legate ad esclusive discografiche ma anche per differenziare le inclinazioni stilistiche del proprio repertorio. «L’effetto fondamentale è il distanziamento, una rottura col tradizionale impulso pop di associare la musica ad un essere umano in carne ed ossa» scrive Simon Reynolds in “Futuromania”. «L’anonimato ha l’effetto di scardinare i meccanismi della fedeltà al gruppo o al marchio, l’abitudine di seguire la carriera degli artisti tipica del pubblico rock». In egual modo le etichette indipendenti diffondono i propri prodotti attraverso un fiume di sublabel, marchi creati ad hoc per diversificare l’offerta e nel contempo evitare l’inflazione vista l’alta prolificità. La bresciana Media Records di Gianfranco Bortolotti, attiva sin dalla fine del 1987, è tra quelle che nel corso del tempo collezionano più sottoetichette. Ad inizio decennio già vanta la Baia Degli Angeli, la GFB, l’Inside, la Pirate Records, la Signal (contraddistinta da una singolare numerazione del catalogo), l’Underground, la Heartbeat (a cui abbiamo dedicato qui una monografia) e la Whole Records. A queste, nel 1992, se ne aggiunge un’altra, la BXR, il cui nome deriverebbe dall’antica denominazione della città di Brescia, Brixia, opportunamente modificata in una sorta di sigla a fare il paio con la citata GFB, acronimo di GianFranco Bortolotti. A sottolineare la connessione con le fasi storiche del comune lombardo è pure il logo, la testa di una leonessa, citando Giosuè Carducci che ne “Le Odi Barbare” parla di Brescia come “leonessa d’Italia”. Il payoff invece è il medesimo dell’etichetta-madre, “The Sound Of The Future”.

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Sopra il disco di debutto della BXR (1992), sotto il primo logo dell’etichetta

1992-1994, un avvio nell’ombra
Il primo brano pubblicato su etichetta BXR, nel 1992, è “Space (The Final Frontier)” di DJ Spy. Ispirato al suono nordeuropeo che scavalca la palizzata dei rave e fa ingresso nelle classifiche di vendita (il 1991 ha visto consacrare dal grande pubblico tracce come “James Brown Is Dead” di L.A. Style, “Activ 8 (Come With Me)” degli Altern8, “Dominator” degli Human Resource, “Inssomniak” di DJPC, “Mentasm” di Second Phase, “Ambulance” di Robert Armani, “Adrenalin” degli N-Joi, “Who Is Elvis?” dei Phenomania – di cui parliamo qui, “Charly” ed “Everybody In The Place” dei Prodigy, “Pullover” di Speedy J ed “Anasthasia” dei T99, quasi tutte provenienti dall’area anglo-germanica-olandese), il pezzo è un veloce riassunto del modello edificato su amen break e stab. Prodotto da Max Persona e Pagany, che insieme ad Antonio Puntillo e Roby Arduini formano il team veronese ai tempi al lavoro in pianta stabile presso la struttura di Bortolotti, quello del fittizio DJ Spy è un veloce, ingenuo e non troppo ragionato assemblaggio di frammenti tratti da altri brani più fortunati del catalogo Media Records di quel periodo, come “What I Gotta Do” di Antico, “The Music Is Movin'” di Fargetta (di cui parliamo qui nel dettaglio), “Take Me Away” di Cappella, “Mig 29” di Mig 29, “We Gonna Get…” di R.A.F. e “2√231” di Anticappella, giusto per citarne alcuni dietro cui, peraltro, armeggiano gli stessi autori. Il sample vocale principale è tratto dal monologo di Star Trek e ciò spiega la ragione del titolo. L’assenza di un’idea compiuta e definita rende però “Space (The Final Frontier)” solo una delle centinaia di cloni generati dal filone rave, che attrae pletore di produttori sparsi in tutto il continente ambiziosi di replicare i risultati economici delle hit ma talvolta senza particolari slanci creativi.

Calamitate dagli elementi caratteristici che segnano il boom commerciale della (euro)techno tra 1991 e 1992 sarebbero state pure Marina Motta e Donatella Valgonio, le due ragazze che avrebbero operato dietro le quinte di Davida. La loro “I Know More”, secondo disco edito da BXR, rappresenta perfettamente la declinazione italiana della techno nordeuropea, ottenuta con la fusione di pochi elementi presi a modello e semplificati il più possibile per essere “digeriti” da un vasto pubblico. In realtà la Valgonio, conduttrice e speaker radiofonica contattata per l’occasione, rivela di non aver mai partecipato al progetto Davida. «Conobbi Gianfranco Bortolotti quando iniziò a muovere i primi passi nel mondo della musica» spiega, «e in quel periodo era Mario Albanese, all’epoca mio marito, ad occuparsi dei contatti con musicisti e discografici. Io, semplicemente, cantavo, così come feci prima con “Baby, Don’t You Break (My Heart)” di Argentina, l’unico pubblicato dalla Media Records nel 1986 (quando si chiama ancora Media Record, nda) e poi con “Summer Time”, sempre di Argentina ma finito sulla Memory Records a mia insaputa, ai tempi mi dissero che sarebbe stato ricantato da un’altra cantante. Non ho più avuto la possibilità e la fortuna di collaborare con la Media Records che nel frattempo divenne un colosso della discografia. Mi sono sempre chiesta come sarebbe stata la mia vita artistica se avessi collaborato con Bortolotti. Tengo a precisare comunque che Mario Albanese non ha alcuna colpa perché la prima a non crederci fino in fondo ero proprio io che continuavo a sentirmi come un pesce fuor d’acqua nonostante i suoi ripetuti incoraggiamenti». È plausibile dunque ipotizzare che i nomi della Valgonio e della Motta siano stati usati a mo’ di pseudonimi, così come avviene per “I’m The Creator” di DJ Creator finito nel catalogo di un’altra etichetta della Media Records, la Pirate Records. I risultati di vendita non esaltanti delle prime due uscite, uniti alla progressiva attenuazione della popolarità della rave techno palesatasi nel corso del ’92, probabilmente convince Bortolotti a non insistere su quella formula. Il terzo 12″ su BXR, difatti, guarda nella direzione della garage house, quella che arriva da Londra e da New York. Enrico Serra, Gianluca Brachini e Gianluigi Gallina realizzano, presso l’H.O.G.I.C.A. Studio, “Here With Me” di Miss Mary, pezzo da cui emerge il calore del funk e dell’r&b e che riporta in vita certe atmosfere tipiche della prima house pianistica nostrana con cui qualche anno prima proprio la Media Records si impone all’attenzione internazionale. Nonostante i buoni spunti, Miss Mary non lascia il segno e si rivela incapace di far decollare il marchio BXR temporaneamente messo in stand by. Riappare nel 1994 con “Day By Day” di Laura Becker, che Alex Pagnucco e Davide Ageno realizzano mescolando i classici elementi dell’eurodance ottenendo una sorta di ibrido tra Le Click, Intermission e Corona ma con meno appeal per l’assenza di un efficace ritornello. La prevedibilità e la scontatezza dei suoni e della stesura fanno il resto lasciando il progetto nel quasi totale anonimato, quello stesso anonimato che una manciata di decenni più avanti lo trasforma in un cimelio per i collezionisti disposti a spendere cifre consistenti per entrare in possesso delle pochissime copie in circolazione. È l’ultimo tentativo di riscatto per la BXR, un’iniziativa che, a dirla tutta, in questa prima fase non conta su particolari energie e risorse. Basti pensare all’esigua quantità delle pubblicazioni (appena quattro in un biennio circa, decisamente un’inezia per i tempi) ma anche alla quasi inesistente promozione. Se a ciò si somma la scarsa identità, dovuta ad un mancato focus stilistico, è facile comprendere le ragioni per cui il tutto appaia soltanto un progetto embrionale dal basso potenziale, un’idea non sviluppata a dovere, col fiato corto ed incapace di farsi largo in mezzo ad una giungla di realtà discografiche indipendenti. Ma è solo questione di tempo, la BXR si riprenderà tutto e con gli interessi.

La rinascita sotto una nuova stella
Il 1995 imprime bruschi cambiamenti al mainstream dance italiano a partire dalla velocità di crociera che, complice l’influenza mutuata dalla scena tedesca, aumenta sino a toccare soglie inimmaginabili sino a poco tempo prima. Il fenomeno, iniziato negli ultimi mesi del ’94, si consolida e trascina gran parte dei principali esponenti dell’ambiente danzereccio nostrano, dai Bliss Team a Molella, dai Mato Grosso ai Club House, da Ramirez a Z100 passando per Cerla & Moratto, Double You, Da Blitz, JT Company e Digital Boy che è tra i primi a dare il la a questa adrenalinizzazione ritmica arrivata a sfondare la soglia dei 160 bpm. Nella seconda metà dell’anno, insieme alla velocizzazione e all’avvicinamento a filoni come makina ed happy hardcore, si registra un secondo sostanziale mutamento rappresentato dalla popolarizzazione di formule sino a quel momento adottate in prevalenza nelle discoteche specializzate. La cosiddetta progressive fa breccia in un numero sempre più consistente di ascoltatori sino a prevalere sulla eurodance tradizionale costruita su strofa, ponte e ritornello. La spallata decisiva giunge grazie a Robert Miles che con la Dream Version della sua “Children” (di cui parliamo qui) di fatto inaugura una stagione inedita che vede la supremazia quasi assoluta di brani strumentali. È una sorta di nuovo 1991-1992 insomma, ma questa volta non è una tendenza importata dall’estero bensì germogliata e svezzata entro i nostri confini.

secondo logo BXR
Il secondo logo con cui la BXR torna sul mercato nel 1996

Tale nuova fase risulterà decisiva per la BXR che rinasce proprio sotto la stella della progressive, forma ammorbidita della techno/trance d’impostazione mitteleuropea segnata da evidenti presenze melodiche che attingono dall’ambient, dalle colonne sonore cinematografiche, dal funky, dall’afro e dalla new beat. Così l’etichetta riappare dopo circa due anni di silenzio con più vigore e consapevolezza, accompagnata da una nuova numerazione col prefisso 10 e soprattutto un nuovo logotipo meno anonimo del primo, forgiato su caratteri di bladerunneriana memoria (la B è simile ad un 3 ed infatti inizialmente c’è chi crede che il nome sia 3XR) ed immerso in una dimensione spaziale che rispecchia la vocazione più internazionale, in contrasto con quella di partenza fin troppo legata alla realtà autoctona bresciana. Al nome viene altresì aggiunto un suffisso, Noise Maker, usato a mo’ di payoff, derivato da quello dell’etichetta sulla quale tra 1994 e 1995 Gigi D’Agostino, artista che tiene a battesimo la BXR, pubblica alcuni brani determinanti per la nascita della (mediterranean) progressive, la Noise Maker per l’appunto, gestita dalla Discomagic di Severo Lombardoni.

Homepage del primo sito Media (1996)
L’homepage del primo sito della Media Records (1996)

La nuova immagine della BXR proiettata nel futuro coincide anche col lancio del primo sito internet della Media Records che, tra le altre cose, permette di fare un tour virtuale nella sede a Roncadelle, accedere al cyber shop in cui acquistare il merchandising nonché immergersi nel suono di un juke-box virtuale, una specie di Spotify ante litteram fruibile attraverso il lettore multimediale RealPlayer. A guidare artisticamente la BXR è Mauro Picotto che, come racconta nel suo libro “Vita Da DJ – From Heart To Techno” (recensito qui), voleva radunare dei disc jockey che suonavano nei club, «veri, non quelli usati come immagine dalle grandi case discografiche». Ed aggiunge: «Parlai a Bortolotti del mio progetto e l’idea gli piacque subito visto che aveva già tentato una sortita simile con la Heartbeat. Il primo DJ che contattai ed invitai ad unirsi fu Gigi D’Agostino, uno degli ideatori del party torinese Le Voyage. Ricordo ancora il suo arrivo all’Hotel Continental di Roncadelle (ubicato nello stesso stabile della Media Records, nda) con una vecchia Chrysler Voyager da sette posti, era già un personaggio. […] Gigi però uscì quasi subito dal progetto, evidentemente soffriva qualcosa o qualcuno del mondo BXR, non mi è mai stato chiaro. Comunque gli offrimmo l’opportunità di creare una sua label esclusiva, la NoiseMaker, per continuare ad esprimersi secondo la sua stessa direzione artistica».

Mediterranean progressive, una parentesi su genesi, evoluzione e dissolvimento
Come raccontato nel 2015 da Gianfranco Bortolotti in questa intervista, il termine “mediterranean progressive” fu da lui approvato su suggerimento di Mauro Picotto o di Riccardo Sada (giornalista ai tempi in forze alla Media Records) dopo aver letto una recensione di Pete Tong che parlava, per l’appunto, di mediterranean progressive in riferimento a quei dischi provenienti dall’Italia (come “Sound Of Venus” di Lello B., Subway Records, “Atmosphere” di Voice Of The Paradise, Area Records, o “Advice” di Nuke State, Metrotraxx) che finivano in un’area grigia non essendo facilmente incasellabili nella techno, nella house e tantomeno nella progressive d’oltremanica in stile Sasha e John Digweed. Un filone che da noi pulsava già da qualche anno, irradiato da etichette indipendenti localizzate prevalentemente tra Lombardia, Toscana e Piemonte, ma senza ottenere riscontri commerciali importanti ed infatti Roland Brant lamenterà, in un’intervista, di essere stato ignorato dal grande pubblico nonostante seguisse questo genere da diverso tempo.

RAF by Picotto e compilation Diva
Sopra “Bakerloo Symphony” di R.A.F. By Picotto (GFB, 1995), pare il primo disco a raggiungere il mercato con la dicitura “mediterranean progressive”, usata nello specifico come titolo della versione principale; sotto le copertine di due compilation curate da Claudio Diva uscite nel 1996

Alla Media Records intercettano la tendenza che vede salire le quotazioni commerciali della progressive e pianificano strategicamente di adottare tale dicitura in occasione del (ri)lancio della BXR, nei primi giorni del 1996. Sulle riviste, allora primarie fonti di informazione, la BXR viene presentata come l’etichetta che seguirà un nuovo genere, la mediterranean progressive, catalizzando l’attenzione del grande pubblico. «Il fine era distinguerci da ciò che altri facevano nel Nord Europa» spiega Bortolotti nell’intervista sopraccitata. «Per un fatto oggettivo l’Italia era (ed è) un Paese mediterraneo, quindi da lì nacque la fusione». È bene rammentare però che la tag “mediterranean progressive” aveva già timidamente fatto capolino nel mercato discografico attraverso “Bakerloo Symphony” di R.A.F. By Picotto, pubblicata su un’altra etichetta della Media Records, la GFB, nell’autunno inoltrato del 1995, seppur il successo giunga a distanza di qualche mese, quando per l’appunto esplode il fenomeno progressive in tutta Italia e nei negozi arrivano un paio di compilation intitolate proprio “Mediterranean Progressive” edite dalla Discomagic e compilate da Claudio Diva, alla guida della Subway Records considerata tra le antesignane dei filoni dream e della stessa mediterranean progressive.

Il 1996, per il mainstream nostrano, è quindi l’anno della progressive, glorificata anche sull’etere da un numero imprecisato di programmi, incluso il Molly 4 DeeJay di Molella su Radio DeeJay di cui parliamo dettagliatamente qui. Produttori e promoter puntano tutto su questo genere, investendo denaro ed ambendo a sostanziosi ritorni. La Media Records, ad esempio, riporta in vita sotto il segno della progressive Antico, uno dei marchi che aveva contraddistinto la prima ondata “italo techno” ed ormai assente dal mercato da un quadriennio, ma anche un paio di etichette ibernate come la Pirate Records e la Underground (il nuovo corso di quest’ultima comincia con “The Test” di Mauro Picotto analizzato qui), oltre a contagiare la GFB, sulla quale appaiono i brani di R.A.F. By Picotto, e la Whole Records. Prevedibilmente la progressive diventa il nuovo pop e ciò attrae come una calamita parecchie critiche di chi è convinto che si tratti solo di un’indebita appropriazione di suoni, così come avvenuto qualche tempo prima con la techno. In un’intervista di Paolo Vites pubblicata ad ottobre del 1996, Killer Faber parla di grossa speculazione: «si incidono dischi copiati spudoratamente da altri, si creano mode musicali inesistenti, si immettono sul mercato centinaia di compilation tutte uguali saturando il mercato. Bisognerebbe rischiare e lanciare pochi ma veri artisti dance». A gennaio ’97 Massimo Cominotto raccoglie altre testimonianze in un’inchiesta intitolata “Prog E Contro”, come quella di Paolo Kighine: «Ultimamente la progressive ha preso i connotati da fenomeno di massa e per questo viene additata come commerciale. Questo, secondo me, dovrebbe essere un motivo in più per stimolare i miei colleghi ad offrire un prodotto di qualità elevata […]. L’etichetta “progressive” comunque lascia molto spazio all’immaginazione, puoi scartabellare tra vecchi pezzi acid house per curvare sugli Orb o KLF e magari finire sul made in Italy, l’importante è far stare bene il proprio pubblico». Più disilluso e diretto appare invece Christian Hornbostel: «Il termine “progressive” è già sprofondato nel caos, così come era avvenuto a suo tempo per l’omologo “underground”, diventando la risposta più inflazionata alla fatidica domanda “che genere suoni?”. Migliaia di DJ affermano di proporre progressive ed alcuni di loro si fanno addirittura la guerra per dimostrare al popolo italico di esserne gli assoluti inventori. Sono passati più di quattro anni da quando il vero fenomeno progressive (tutt’altra musica!) faceva la sua comparsa nel Regno Unito ma ecco che in Italia qualcuno ha pensato che il solo utilizzo del bassline 303 bastasse a giustificare la creazione di una nuova corrente musicale chiamandola “progressive”. Nessuno pertanto all’estero capisce l’italianissimo modo di definire progressive tracce che godono di ben altre definizioni. Non parliamo poi della confusione creata dalle compilation che di progressive hanno solo il nome. Dobbiamo dunque accettare a denti stretti che il significato di progressive sia un’amorfa terminologia creata per vendere incoerenti compilation in un mercato discografico già agonizzante, per dar lustro a DJ che si vantano di suonarla (mixando Alexia con DJ Dado ed una traccia su Attack) e per far contenti alcuni proprietari di locali che nella stessa serata propongono, con innocente orgoglio, revival, underground, liscio, latinoamericano e… progressive».

Gg e Picotto 1996
Gigi D’Agostino e Mauro Picotto in due foto del 1996, quando vengono lanciati dalla Media Records come alfieri della mediterranean progressive

Ma cosa è la progressive che si impone tra 1995 e 1997 al grande pubblico nostrano? «Forse è la sorellina della techno» sostiene Mauro Picotto in un’intervista raccolta da Riccardo Sada a novembre 1996. «È sicuramente nata grazie ai DJ della Toscana sotto altri nomi come “virtual music” per colmare un vuoto perché con un certo tipo di techno eravamo arrivati all’apice e c’era voglia di ripartire da zero, svuotando i brani di tanti suonini e suonacci superflui […]. Le produzioni progressive italiane si discostano da quelle estere perché hanno molta melodia, ormai l’Italia ha il suo imprinting». È la melodia, dunque, il punto focale di questo filone, e a tal proposito DJ Panda, ancora intervistato da Sada e quell’anno nelle classifiche con “My Dimension” di cui parliamo nello specifico qui, afferma che «a noi italiani la melodia viene fuori d’istinto perché abbiamo un animo mediterraneo. L’unico rischio è che questa progressive diventi troppo pop». I timori dell’artista si rivelano fondati ed infatti la sbornia progressive (o meglio, popgressive) del 1996 renderà sterile il filone, sino ad inflazionarlo ed obbligarlo ad una costante e netta flessione nel corso del 1997.

D'Agostino Planet 1
“Fly” di D’Agostino Planet riapre il catalogo della BXR dopo circa due anni di silenzio

1996-1997, il biennio della mediterranean progressive
Corrono i primi giorni del 1996 quando la napoletana Flying Records distribuisce “Fly” i cui promo girano tra gli addetti ai lavori già da qualche settimana. Autore è Gigi D’Agostino dietro il moniker D’Agostino Planet, nome perfetto per la nuova dimensione spaziale della BXR anzi, a dirla tutta qualcuno ritiene che l’etichetta possa gravitare esclusivamente intorno alla sua musica e che il pianeta immortalato sulla logo side del disco sia proprio il suo. Tale teoria sembrerebbe trovare riscontro in questa intervista a cura di Leonardo Filomeno e pubblicata da Libero il 14 settembre 2014, in cui D’Agostino afferma: «Nell’autunno del ’95 chiesi di poter fondare un’etichetta con dei principi precisi, libertà dei suoni, dei ritmi, dei tempi. In Media Records mi dissero che avevano una label sulla quale, in passato, avevano pubblicato dei brani e che in quel momento non era in uso, la BXR. Ricordo il primissimo 1001, il 1002, il 1003 e ricordo benissimo le ragioni del blocco della pubblicazione del 1004. Il resto ho preferito rimuoverlo». Il DJ torinese di origini salernitane, noto nelle discoteche piemontesi tipo il Due di Cigliano o L’Ultimo Impero di Airasca, ha già maturato diverse esperienze discografiche, come “Creative Nature” o “Hypnotribe” di cui parliamo rispettivamente qui e qui, ma rimaste sostanzialmente confinate alla platea dei soli appassionati. Con l’arrivo in Media Records le cose cambiano e “Fly”, primo tassello della rinnovata BXR, diventa anche il trampolino di lancio dell’ormai ufficializzata mediterranean progressive. Riadattamento ballabile del tema “Il Tempo Passa” composto da Giancarlo Bigazzi per il film “Mediterraneo” diretto da Gabriele Salvatores, “Fly” plana su struggenti melodie e lunghi accordi che si tuffano tra le onde di un sequencer ipnotico e rotolante che sembra autoalimentarsi per inerzia, senza mai perdere vigore per quasi tutti i nove minuti di durata.

Seguono altri tre brani sul 1002, “Melody Voyager”, “Marimba” ed “Acidismo”, che esaltano lo stile d’agostiniano di allora, stratificato, ritmicamente minimale ed asciutto, adornato da melodie intrecciate ad armonie tra il romantico e il malinconico con frequenti cambi tonali che giocano sui contrasti e fluttuano su nuvole cangianti. In un’intervista rilasciata a Federico Grilli per il magazine Tutto Discoteca Dance a marzo 1996, D’Agostino parla della progressive come «un suono emozionale, energetico e molto convincente» ma ammette di essere conscio che si stia entrando nella fase della commercializzazione: «se prima era un genere destinato a fare tendenza, ora è rivolto alla grande massa che ne fruirà in maniera positiva, come spesso accade in fenomeni simili. Il pubblico reagisce bene e sicuramente ora la risposta è amplificata dato che il fenomeno sta cambiando, prima era ristretto ad alcune realtà locali». Pochi mesi più tardi, ad agosto, l’artista affiderà alla stessa testata un’altra affermazione che conferma la fase ascendente e il desiderio di sfondare i confini alpini: «Credo che la progressive nostrana abbia buone possibilità per imporsi nel mercato europeo e quindi cercheremo di spingerla in ogni occasione, come ho fatto lo scorso 5 luglio al Ministry Of Sound di Londra», ed aggiunge: «la mediterranean progressive è nata dalla personalizzazione da me apportata alla progressive, con suoni minimali e melodie orecchiabili, un po’ spagnole, forse latine, no ecco, proprio mediterranee».

A trainare BXR e Gigi D’Agostino è la compilation “Le Voyage ’96” che Media Records realizza insieme alla Virgin. Gran parte della tracklist è occupata dai suoi brani e remix ma non mancano le già citate “Children” e “Bakerloo Symphony”, “Goblin” della coppia Tannino-Di Carlo ed un paio di titoli d’importazione, “Hit The Bang” di Groove Park (dal catalogo Bonzai, l’etichetta di Fly intervistato qui) e “Groovebird” dei Natural Born Grooves. Le 80.000 copie vendute de “Le Voyage ’96” e le 60.000 dell’album “Gigi D’Agostino”, in tandem questa volta tra BXR e RTI Music, testimoniano che l’intuizione di scommettere sulla musica strumentale sia giusta e fanno da volano per nuove produzioni dello stesso D’Agostino come “Gigi’s Violin”, dove troneggia un violino talmente ammaliante da far ricordare i Rondò Veneziano di Gian Piero Reverberi, ed “Elektro Message”, versione vitaminizzata di “Live Line” dei tedeschi You. Nel frattempo BXR mette a segno la prima licenza, “Electronic Pleasure” degli N-Trance, ma optando per le versioni trance (quella che si sente in radio finisce invece nel catalogo Signal).

Mauro Picotto - My House
“My House” di Mauro Picotto viene ritirato dal mercato per ragioni ignote

Mauro Picotto si prende il 1004 con la sua “My House”, naturale seguito a “Bakerloo Symphony” che viene per l’appunto remixata sul lato b in due versioni a creare una sorta di tessuto connettivo. Per ragioni mai chiarite del tutto, il disco verrà ritirato dal commercio pochi giorni dopo essere stato distribuito nei negozi. “My House” riappare, insieme ad “Halleluja”, su Pirate Records nel “Progressive Trip”, l’unico che l’artista firma MP8, accorciamento dell’anglofonizzazione M-Peak-8 usata per la poco nota “I Can’t Bear” l’anno precedente. Considerati gli alfieri del movimento mediterranean progressive dell’etichetta bresciana, Picotto e D’Agostino realizzano a quattro mani “Angels’ Symphony” da cui emergono distintamente tutti gli elementi salienti del filone, forse già all’apice del successo. Sul mercato giunge una tiratura che parrebbe frutto di un errore o di un ripensamento, contenente due versioni (Plastic Mix e Tranxacid Mix) che spariscono dal 12″ distribuito con lo stesso numero di catalogo, 1006. I buoni riscontri procurano ad entrambi alcuni ingaggi come remixer, Picotto rilegge “Mantra” dei Datura, D’Agostino invece “The Flame” dei redivivi Fine Young Cannibals, oltre a spartirsi rispettivamente “Turn It Up And Down” e “U Got 2 Know” dei Cappella, un marchio ormai quasi sulla via del tramonto. Alla Media Records poi arrivano nuovi DJ ad infoltire le fila della BXR: il toscano Mario Più, prima con l’estivo “Mas Experience”, una romanza elettronica agghindata da virtuosi sentimentalismi sintetici utilizzata per lo spot dell’Aquafan di Riccione, e poi con l’autunnale “Dedicated”, dedicato alla futura moglie Stefania alias More ed aperto da una citazione straussiana del poema sinfonico “Così Parlò Zarathustra”, il veneto Saccoman con “Pyramid Soundwave” (di cui parliamo nel dettaglio qui), una sorta di rilettura trancey del classico dei Korgis, “Everybody’s Got To Learn Sometime”, e il laziale Bismark, invitato dall’amico Gigi D’Agostino, che con “Double Pleasure” mette a punto un suono bifase lanciato su tensioni alternate che ha già sperimentato in pezzi usciti precedentemente come “Brain Sequences” o “Chrome”.

D'Agostino-RondoVeneziano
Similitudini grafiche tra le copertine dell’album “Gigi D’Agostino” e de “La Serenissima” dei Rondò Veneziano: androidi argentei che suonano strumenti a corda con città futuristiche sullo sfondo

Gigi D’Agostino torna con “New Year’s Day”, rivisitazione strumentale dell’omonimo degli U2. Sul lato b la lunga “Purezza”, quasi dieci minuti di un ribollire celestiale che i fan hanno già conosciuto grazie al citato album “Gigi D’Agostino”, quello col robot violinista e lo skyline di una città del futuro in copertina che sembra rimandare (intenzionalmente o involontariamente?) alle androidizzazioni a cui talvolta vengono sottoposti i menzionati Rondò Veneziano – si veda l’artwork de “La Serenissima”, 1981. Ma in fondo la mediterranean progressive della BXR per certi versi potrebbe essere considerata una proiezione modernista dell’ensemble diretto da Reverberi, coi suoi barocchismi e contrappunti ricamati su arie melodiche zuccherose innestate su arrangiamenti melliflui. L’eurodance delle annate 1992-1994 adesso sembra davvero lontanissima e simbolo di un’età conclusa, rimpiazzata da un suono nuovo proiettato verso il futuro che avanza. «Fatta eccezione per i Cappella, che riscuotono ancora successo in Francia, stiamo invadendo l’Europa con la progressive» afferma con decisione Gianfranco Bortolotti in un articolo di Billboard risalente al 22 giugno 1996. «Il nostro slogan è “The Sound Of The Future” e credo che il più grande vantaggio della dance indipendente sia quello di potersi trasformare rapidamente abbracciando le nuove tendenze. Dalla nostra parte abbiamo quattro dei migliori rappresentanti della scena mediterranean progressive incluso il fondatore, Gigi D’Agostino». Per l’occasione il manager bresciano si conferma come un sostenitore convinto delle nuove tecnologie ed avanza un’ipotesi profetica: «Grazie alla collaborazione con Zero City, provider milanese che offre l’accesso gratuito ad internet, stiamo entrando in un progetto che ci permetterà di avere una visione chiara sul futuro dell’industria musicale. Prima di quanto previsto, la musica verrà venduta attraverso il web, coi clienti che pagheranno uno o due dollari ogni volta che scaricheranno le nostre ultime uscite». A fine ’96 arriva un altro DJ a dare manforte alla squadra della BXR, Riccardo Cenderello, da Sarzana (La Spezia), acclamato in discoteca come l’angelo biondo. Inizialmente noto come Ricky, si trasforma in Ricky Le Roy dopo aver prestato l’immagine ad un progetto di Alex Neri, DJ Le Roy per l’appunto, destinato alla Palmares Records. “First Mission” è, dunque, la sua prima missione discografica ufficiale, uno slancio nel cielo più terso a bordo di un tappeto volante che si ritaglia, grazie all’edenica vena melodica, un posto nell’airplay radiofonico nostrano.

Il 1997 si apre attraverso “My World” di Bismark con cui il DJ romano intinge i pennelli in una mistura agrodolce per realizzare un quadro dalle tinte cromatiche giustapposte. Alla luminosità degli archi corrispondono vortici acidi, binomio che viene ulteriormente sviluppato nei due remix approntati in Belgio da Jan Vervloet, in quel momento all’apice del successo col progetto Fiocco, che la BXR pubblica su un 10″ colorato. A realizzare una versione di “My World” è anche Pablo Gargano, italiano trapiantato nel Regno Unito intervistato qui, seppur questa non finisca nel catalogo dell’etichetta bresciana. Aria di remix pure per “Dedicated” di Mario Più, analogamente solcato su un 10″ splatter blu/nero. Nel contempo il DJ toscano rilegge “I Just Can’t Get Enough” dell’elvetico DJ Energy per la GFB, campionando “Conflictation” di Cherry Moon Trax. Il successo primaverile è comunque “No Name” di Mario Più & Mauro Picotto, una sorta di summa tra “Mystic Force” dell’omonimo artista australiano e “Landslide” dei britannici Harmonix condita con una melodia ricavata da “Close To Me” dei Cure e frammenti ambientali presi dalla pellicola spielbergiana “Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo”. Le potenzialità sono tante al punto che la Media Records lo pubblica anche in formato CD singolo. Si rifanno sentire Saccoman con “Open Your Heart”, trance di facile impatto issata da una melodia triggerata, e Ricky Le Roy col cupo “Tunnel”, più cavernoso e vitreo rispetto al precedente e per questo chiuso in un contesto che riduce al minimo la possibilità di raggiungere l’airplay radiofonico.

Con “Music (An Echo Deep Inside” D’Agostino cerca nuove dimensioni stilistiche. È il primo BXR ad includere l’inserto cartaceo su cui si rinvengono titoli e crediti

Discorso a parte per “Music (An Echo Deep Inside)” di Gigi D’Agostino, brano con cui il DJ torinese inizia ad allontanarsi dalla dimensione iniziale del suo sound, in primis con l’inserimento di una parte cantata incorniciata da una serie di frasi zigzaganti di violino ed un sibilo filmico morriconiano. Nella parte centrale il lirismo vocale è accentuato ed un po’ rammenta quanto sperimentato pochi mesi prima da Marco Grasso in “Melodream” di Bakesky (sulla milanese Diamond Pears diretta da Nando Vannelli) che sovrappone non memorabili stilemi progressive all’italiana agli elementi di un’orchestra (violini, viole, violoncelli, contrabassi, oboe, fagotto ed altro ancora). Anche a livello grafico c’è qualcosa di nuovo: la label copy è occupata, su entrambi i lati, da una foto dell’artista pertanto titoli e crediti finiscono su un inserto di carta infilato all’interno della copertina. La presenza di tale inserto diventa fissa quando l’etichetta rinnova la brand identity (con “Lizard”, 1998), e nel corso del tempo sarà oggetto di variazioni nelle dimensioni. Con “Music (An Echo Deep Inside)” D’Agostino prende le misure di una nuova dimensione artistica in cui immergersi, ma prima di avventurarsi sul percorso che lo trasformerà in uno degli idoli della seconda ondata italodance, si cimenta in una serie di tracce da cui affiora sia la passione per la sampledelia, sia il desiderio di creare qualcosa ex novo, che non assomigli al suo più recente passato forse perché si è già reso conto che l’epoca della mediterranean progressive sia ormai agli sgoccioli e il mercato si è stancato di brani strumentali. La cesura, tuttavia, non è netta ed immediata, “My Dimension”, “Psicadelica” (una specie di nuova “Fly” con ridotti varchi melodici), “Living In Freedom” e “Wondering Soul” (rilettura di “No Time” dei Guya Reg, edita dalla DBX Records di Joe T. Vannelli) contengono ancora chiari retaggi dell’epoca progressive ma in “Bam”, “Tuttobene” e “Locomotive” (rivisitazione di “New Gold Dream (81-82-83-84)” dei Simple Minds, già riadattata con successo dagli U.S.U.R.A. in “Open Your Mind” nel ’92) l’artista dimostra la chiara volontà di andare oltre e rimettersi in discussione, anche a rischio di scontentare parte dei fan. Nella vivace “Rumore Di Fondo” rispolvera reticoli ritmici breakbeat, in “All In One Night” trova rifugio in una specie di trance epica trainata da un basso lanciato al galoppo, in “Gin Tonic” rallenta atipicamente i bpm. Non c’è un filo conduttore, sono tracce discontinue che abbracciano un’ampia gamma di sfumature sulla base di impeti creativi nuovi ed un pizzico eccentrici, ad attestare la voglia dell’artista di sperimentare mettendo in comunicazione e in relazione passato e presente, così come avviene in “Gin Lemon”, a posteriori configuratosi come un ibrido tra i cut-up meccanici di “Bla Bla Bla” o “Cuba Libre” e la vocalità umana di “Elisir”. Il pezzo è sequenziato su un sample celebre quanto simbolico per la house music continentale, il “pump up the volume” preso da “I Know You Got Soul” di Eric B. & Rakim ed eternato dai M.A.R.R.S. in “Pump Up The Volume” per l’appunto, di cui parliamo qui. Tutto questo avviene nel “Gin Lemon EP”, un avventuroso, eterogeneo e bizzarro triplo mix disponibile anche in versione colorata (verde, giallo, rosso) diventato ambito per i collezionisti. Altrettanto ricercata l’edizione su CD decorata dall’artwork di Tiberio Faedi intervistato in Decadance Extra, per cui sono stati già sborsati 450 €. Dall’extended play vengono estratti vari brani incisi su un 12″ contenente anche il remix di “Music (An Echo Deep Inside)” a firma Mario Scalambrin, vicino al modello utilizzato per la sua Van S Hard Mix di “Baby, I’m Yours” dei 49ers di cui parliamo qui. Nel contempo anche “Gin Lemon”, l’unico a colpire nel segno e finire nelle rotazioni radiofoniche, viene riversato su un singolo sul quale, tra le varie versioni, c’è pure una R.A.F. Zone Mix di Picotto in bilico tra hard house d’oltremanica e pizzicato style teutonico.

Mario Più (1997)
Mario Più in una foto del 1997

Progetto-miscellanea è anche quello di Bismark che incide un doppio mix intitolato “Project 696”, omonimo del programma radiofonico in onda su Power Station ai tempi condotto con Luca Cucchetti così come lui stesso racconta qui. All’interno sei tracce sviluppate intorno alla trance ma con ampie divagazioni che toccano solarità (“Female Vox”, “Trance Sensation”) e stratificazioni più scure (“Synthesis”) passando per echi mediterranean progressive (“Shadow”), rimbalzi à la “Chrome” (“Space Is The Place”) ed impervie modulazioni drum n bass miste a pulsioni speed garage (“Give Yourself 2 Me”). “Project 696” avrebbe dovuto anticipare l’uscita dell’album, così come annuncia lo stesso Bismark in un’intervista rilasciata a Barbara Calzolaio a novembre 1997, ma il progetto non andrà mai in porto. Sempre in autunno la BXR tira fuori un’altra hit destinata alle radio e al circuito più commerciale, “All I Need” di Mario Più Feat. More, un brano costruito sulla falsariga dei successi dei tedeschi Sash! che conquista licenze sparse per il mondo, Regno Unito e Stati Uniti inclusi con l’interesse mostrato dalla MCA. Una delle versioni remix, la Love Mix, uscita un paio di mesi più tardi, ricalca invece i suoni di “Come Into My Life” di Gala. Parallelamente Mario Più incide la strumentale “Your Love”, con l’aiuto e il supporto di Mauro Picotto e Francesco Farfa, destinata alle discoteche e per questo siglata con l’appellativo Club aggiunto al suo nome.

1998, un anno di transizione
Il primo BXR del 1998 è “All 4 One”, un EP contenente quattro tracce di altrettanti artisti. Da un lato Mario Più e Gigi D’Agostino, rispettivamente con una versione semistrumentale di “All I Need” (un possibile edit della Massive Mix?) e con la citata “All In One Night” presa dal descritto “Gin Lemon EP”, dall’altro Mauro Picotto e Ricky Le Roy, il primo con “Jump”, rivisitazione del marziale “Mig 29” di Mig 29, un classico hooveristico del 1991 tratto dal catalogo Pirate Records realizzato da Mauro ‘Pagany’ Aventino e Francesco Scandolari, il secondo con “Bridge”, riapparso poco tempo dopo col titolo “Speed” e modellato sulla falsariga dei successi dei B.B.E., “Seven Days And One Week” e “Flash”. Ai più attenti non passa inosservato il salto di parecchi numeri di catalogo, quasi una ventina (dal 25 al 43): ai tempi la Media Records spiega che la serie compresa tra il 1026 e il 1042 è destinata ad uso interno e non per dischi commercializzati ma in seguito emergerà una ragione più plausibile legata al fallimento del distributore, la Flying Records, a cui subentra temporaneamente la milanese Self. Sembra che il disallineamento del catalogo possa essere stato causato da quel passaggio ma non è dato sapere se ai diciassette numeri mancanti furono effettivamente attribuiti dei brani rimasti in archivio. Nei primi mesi dell’anno nei negozi arriva anche il nuovo di Saccoman, “Magic Moments”, ascritto a quel tipo di trance che il DJ programma come resident al Cocoricò di Riccione. A ruota segue Ricky Le Roy con “Speed”: se la Blond Angel Mix ha il tiro della hard house britannica sul modello di “Keep On Dancing” dei Perpetual Motion, la Sara Song Mix (già in circolazione col titolo “Bridge”, come annunciato poche righe sopra) batte più sul filone franco-teutonico con svirgolate acide e pause melodiche. Due i remix: quello techno di Francesco Farfa nascosto dietro Mr. Message, pseudonimo utilizzato poco tempo prima per lanciare la Audio Esperanto, e quello di Tony H chiamato Strobo Mix, presentato in anteprima nel suo programma del sabato notte su Radio DeeJay, “From Disco To Disco”, e costruito sullo stampo di “Black Alienation” che il compianto Zenith destina alla IST Records di Lenny Dee.

Mauro Picotto - Lizard
“Lizard”, il disco della svolta internazionale per Picotto e per la stessa BXR

La BXR naviga in una sorta di limbo: ormai la mediterranean progressive è un ricordo, per alcuni persino scomodo, ed urge scovare un nuovo filone da battere per tenere alto l’interesse. La svolta è dietro l’angolo ma nessuno lo sa ancora, incluso l’autore del brano che sancirà il “next step”, Mauro Picotto. L’accoglienza riservata alla sua “Lizard”, nella primavera del 1998, è piuttosto tiepida. Le quattro versioni racchiuse sul mix sono radicalmente diverse l’una dall’altra, ma una di esse risulterà determinante per gli sviluppi futuri, la Tea Mix, contraddistinta da un particolare disegno di basso (simile a quello della Explorer Version di “Dune” di Valez, Subway Records, 1994) la cui genesi viene raccontata dall’artista nel suo libro, “Vita Da DJ – From Heart To Techno” e che noi già svelammo, attraverso l’intervista al musicista Andrea Remondini, in Decadance Appendix nel 2012. L’effetto Larsen avvenuto al Joy’s di Mondovì genera una reazione euforica del pubblico e così Picotto, con l’aiuto del citato Remondini, cerca di riprodurlo in studio e il risultato lo si sente per l’appunto nella Tea Mix. La prima tiratura di “Lizard” passa inosservata ma l’indifferenza si trasforma in enorme curiosità quando, un paio di mesi più tardi, arrivano i remix. In particolare, come raccontato qui, è la Megavoices Mix, realizzata dallo stesso Picotto e sviluppata partendo dalla Tea Mix, a cambiare lo status quo. Con una stesura che sfiora i dieci minuti, la traccia si ripresenta in una formula più organica, arricchita da un sample vocale e una lunga pausa melodica centrale ispirata da “1998” dei Binary Finary e, forse, dal riff di “Prophecy” dei WW 3 (l’assonanza è particolarmente evidente nella Marathon Mix). Corre voce che a dare la spinta decisiva al brano sia stato Junior Vasquez dopo aver convinto John Creamer, l’A&R della Empire State Records (division della nota Eightball Records), a licenziarlo negli States. A ruota seguono Judge Jules, Graham Gold e soprattutto Pete Tong che lo inserisce in Essential Mix su BBC Radio 1 e che, poco tempo dopo, ribattezza Picotto con l’appellativo “The Lizard Man”. Il pezzo farà il giro del mondo aprendo una fase carrieristica dal sapore internazionale per il DJ piemontese. “Lizard” è anche il primo disco che BXR pubblica con un rebranding grafico, contraddistinto ancora dall’immagine del pianeta ma avvolto in una sorta di spirale ciclonica e che per qualche tempo viene utilizzato (in ordine randomico?) insieme al primo, in uso dal 1996. Titoli e crediti, come preannunciato nel precedente paragrafo, finiscono su un inserto cartaceo allegato.

Gigi D'Agostino - Elisir
“Elisir” di Gigi D’Agostino, un successo dell’estate 1998 che però “disarciona” la BXR dalla posizione legata a generi come progressive e trance

Con l’arrivo dell’estate escono due dischi dichiaratamente pop che seguono la strada aperta da “All I Need”, “Sexy Rhythm” di Mario Più, ispirata da “Your Love” dei canadesi Lime, ed “Elisir” di Gigi D’Agostino, interpretata in incognito da David Michael Johnson che per la Media Records ha già inciso alcuni brani tempo prima tra cui la cover di “I Say A Little Prayer”. Come emerso dai contenuti del “Gin Lemon EP” uscito negli ultimi mesi del 1997, D’Agostino è in cerca di un’evoluzione e la trova, come lui stesso afferma in un’intervista del settembre ’98, in una via di mezzo tra house e progressive, «sempre con sonorità energetiche ma senza ritmi troppo ossessivi. I tempi cambiano, le ore corrono e si è già arrivati al nuovo capitolo». A dirla tutta di progressive in “Elisir” resta poco e niente, in prima linea c’è la marcetta che prende le mosse dalla verve sampledelica di “Gin Lemon” e la parte vocale (con qualche similitudine che vola a “Closer” di Liquid) esplosa nel ritornello sorretto dal pianoforte, ma questo non è il piano imperante in stile “Children” di Robert Miles, è piuttosto un elemento coadiuvante che l’autore adopera, con la complicità del musicista Paolo Sandrini, per creare un nuovo standard della dance. La posizione da DJ attivo solo in club di settore forse inizia a stare stretta a D’Agostino, vuole una nuova collocazione nella scena ma soprattutto nel mercato discografico, e questo lo si intuisce sin dai tempi di “Music (An Echo Deep Inside)” che intende andare oltre l’inflazionata mediterranean progressive. Ora riesce a trovare la quadra con una formula alchemica inaspettata per i suoi fan più incalliti e destinata a gettare i semi della seconda ondata italodance, attesa dalle grandi platee generaliste dopo la parentesi del biennio ’96-’97. “Elisir”, licenziato in parecchi Paesi europei ma anche negli States dove la Tommy Boy lo pubblica col titolo “Your Love”, viene salutato con tripudio dalle radio ed anche dalle tv. Memorabile l’apparizione ad “Italia Unz” su Italia 1, in cui D’Agostino sceglie di starsene comodamente sdraiato su un materassino gonfiabile piuttosto che mimare imbarazzanti performance in playback, lasciando invece il compito a David Michael Johnson di occuparsi del (pare necessario) lip-sync. Quella di “Sexy Rhythm” ed “Elisir” è una doppietta, disponibile anche in formato CD, che garantisce ottimi risultati alla Media Records, specialmente in riferimento ad “Elisir”, ma che nel contempo lascia spiazzato chi pensa alla BXR come etichetta legata a soluzioni meno commerciali e più vicine alla progressive (prima) e trance (poi). Che fine hanno fatto gli intenti di sfondare la barriera del prevedibile formato canzone? C’è forse la necessità di tornare a formule più canoniche e tradizionali per mantenere viva l’attenzione del pubblico?

Una foto dell’autunno 1998 in cui si scorge l’ideogramma che Picotto si “tatua” sui capelli: da lì a breve il simbolo diventa un elemento identificativo della sua immagine

A diversificare l’offerta, tenendo un piede nella dimensione più appetibile ai club e al frangente internazionale, sono comunque Tony H con “Zoo Future” (la versione destinata alle radio, la Lion Mix, ricicla il riff di “Get The Balance Right!” dei Depeche Mode) e Bismark con “Street Festival”, pensato come colonna sonora dell’omonimo evento che si tiene a Roma domenica 21 giugno e il nome delle quattro versioni (Colosseum Mix, Fori Imperiali Mix, Piazza Venezia Mix, Circo Massimo Mix) non lascia adito a dubbi sul legame con la Città Eterna. Alla manifestazione, organizzata sul modello della berlinese Love Parade ideata quasi dieci anni prima da Dr. Motte e Danielle de Picciotto intervistata qui, partecipano decine di DJ che si alternano su consolle allestite su camion. La Media Records ha un proprio carro sul quale si esibiscono praticamente tutti gli artisti della scuderia. Quell’estate al debutto su BXR ci sono anche i fratelli Giorgio ed Andrea Prezioso ed Alessandro ‘Marvin’ Moschini con “I Wanna Rock”, un divertente cut-up pubblicato pure su CD (con la copertina curata da Tiberio Faedi) ottenuto incrociando su una trascinante base hard house le chitarre di “Should I Stay Or Should I Go?” dei Clash ed un frammento vocale di “It Takes Two” di Rob Base & DJ E-Z Rock. L’idea però non raccoglie consensi analogamente a “Burning Like Fire / The Pinzel” che i tre firmano Stop Talking su GFB poche settimane prima. La rivincita, come si vedrà avanti, arriva circa dodici mesi più tardi. Ad anticiparla è “Hardcat” che Giorgio Prezioso realizza con Picotto come Tom Cat ma su Underground. La tornata autunnale continua ad alternare pezzi di estrazione trance/hard trance ad altri crossover: si passa così da “Distant Planet” di Saccoman, adorato da Talla 2XLC, a “Unicorn” di Mario Più, da “Under The Sea” di Ricky Le Roy ai remix di “Zoo Future” di Tony H (tra cui quello dei tedeschi DuMonde prossimi all’affermazione mondiale), da “Honey” di Mauro Picotto, ricamato sul giro di “Two Tribes” dei Frankie Goes To Hollywood ed affiancato sul lato b dalla coriacea “Smile” con una risata beffarda, a “Cuba Libre” di Gigi D’Agostino, un’ossessiva marcetta (licenziata negli States dalla Jellybean Recordings di John “Jellybean” Benitez ma col nome Noise Maker) sincronizzata sui vocal di “Caught, Can We Get A Witness?” dei Public Enemy, già rispolverati con successo tempo prima dai Natural Born Chillers in “Rock The Funky Beat” in chiave drum n bass. A fine anno giunge “Spectra”, il primo col centrino su fondo verde e il pianeta irriconoscibile per la gradazione cromatica, con cui Mario Più e Mauro Picotto rinnovano il sodalizio e campionano la sezione ritmica di “Spastik” di Plastikman per innestare all’interno l’essenza del nuovo “BXR sound” che marchierà l’annata seguente.

Gigi D'Agostino - Bla Bla Bla
“Bla Bla Bla”, il primo successo messo a segno dalla BXR nel 1999

1999, verso ambiziosi obiettivi con hit internazionali e un nuovo logo
Per BXR il 1999 si apre all’insegna della neo eurodance di Mario Più Feat. More con “Run Away”: il DJ toscano continua ad alternare produzioni trance/hard trance ad altre di stampo prettamente pop come questa in cui, col tocco di Paolo Sandrini come arrangiatore, cerca di riagguantare l’essenza che ha fatto la fortuna dell’eurodance/italodance nostrana tra 1993 e 1994 con ovvi update del banco suoni e con l’esclusione del rap maschile a vantaggio di un’unica voce, quella femminile. Sul 12″ e sul CD singolo figura anche una versione di estrazione filo drum n bass, la Free Style Mix, forse pensata per il territorio britannico dove alcuni esperimenti simili, tipo quello di “Before Today” degli Everything But The Girl, destano particolare interesse. Il primo centro dell’anno, seppur in circolazione da diversi mesi (a dicembre ’98, quando è ancora privo di titolo, Picotto lo recensisce sulle pagine di DiscoiD definendolo «un pezzo che ha dell’incredibile»), è rappresentato da “Bla Bla Bla” di Gigi D’Agostino: edificato su una base simile a quella di “Elisir” e di “Cuba Libre”, la traccia diventa presto un autentico tormentone grazie al fulminante e ribaltante uso di un campionamento vocale tratto da “Why Did You Do It” degli Stretch, tagliato e montato a mo’ di filastrocca nonsense («l’ho realizzato pensando a tutta quella gente che parla tanto senza dir niente» dichiarerà poco tempo dopo l’autore, che in copertina vuole una massima del filosofo Voltaire). Il lato b è occupato per intero dalla Africanismo Mix di “Voyage”, poco più di quindici minuti trasognati e vissuti all’interno di uno shaker che frulla una particolare scansione ritmica che travalica i generi, a riprova della volontà di D’Agostino di dare costantemente una spinta in avanti alla sua musica. “Bla Bla Bla”, per cui viene realizzato un video-parodia de La Linea di Osvaldo Cavandoli, entra in dozzine di compilation e conquista il vertice di un numero imprecisato di classifiche. È il primo disco che BXR affida ad un nuovo distributore, la campana Global Net, lì dove lavora Daniele ‘Dany T’ Tramontano che a tal proposito rammenta: «Un mattino arrivarono in prima battuta diecimila copie di quel BXR e la sera ne erano rimaste forse appena cinquecento».

label variation
Due variazioni grafiche utilizzate dalla BXR tra 1998 e 1999

In primavera si ripresenta Mauro Picotto con “Pulsar”, un pezzo trance dedicato alla figlia primogenita Alessia che ricalca prevedibilmente lo schema di “Lizard” con l’aggiunta di un hook vocale che fa lo spelling del nome dello stesso artista. Tante le versioni approntate, due delle quali finite su un secondo 12″ codificato come Deeper Mixes. Nella stagione dei fiori si fanno risentire anche Bismark con gli affreschi melodici di “Parapapa”, e Tony H con “Sicilia…You Got It!”, che passa dalla tempestosa hard trance con tagli lavici acid della Etna Vulcan Mix alla ridente Taormina Mix, una specie di risposta a “Bla Bla Bla” che usa il campione vocale di “Ride The Pony” dei Peplab abbinato ad una linea melodica in stile “Profondo Rosso”. Curiosità: la Stromboli Mix viene pubblicata quasi contemporaneamente su Pirate Records ma con titolo ed autore differenti, “Mutation” di Pivot. Poco tempo dopo per la medesima etichetta Tony H realizza, con Picotto, “Venezia” di Venice, scandito da un fraseggio di violini che rilancia le atmosfere mediterranee di qualche anno prima. Riappare pure Saccoman con “The Bounce”: le due versioni sulla logo side, la Jumpin’ e la Pumpin’, girano sul classico disegno trance che il DJ veneto spinge in discoteca, mentre sulla info side trovano spazio la Surfin’, con una stesura ed evoluzione progressive che ricorda un classico di quattro anni prima, “Pleasure Voyage” di X-Form al quale abbiamo dedicato qui un articolo, e la Teain’ a firma Picotto, un incrocio tra la sua “Lizard”, un frammento di “Communication” di Mario Più di cui si parla più avanti, e le percussioni di “20Hz” di Capricorn. A ridosso dell’estate BXR prende in licenza per l’Italia “The Launch” dell’olandese DJ Jean, rivisitazione di “The Horn Song” di The Don del 1998 che funziona nei Paesi del Nord Europa ma che da noi fatica a spopolare seppur finisca in diverse compilation tra cui quella dedicata all’Energy mixata da Molella, e “Dream A Dream” dei Captain Jack, act hard dance di Colonia prodotto da Eric Sneo e remixato dai DuMonde. È tempo pure di una tripletta di remix, “Unicorn” di Mario Più, “Tunnel” di Ricky Le Roy e “Lizard” di Mauro Picotto che sbarca ufficialmente oltremanica attraverso la VC Recordings del gruppo Virgin. Proprio su “Lizard” mettono le mani il britannico Tall Paul, reduce dal successo di “Let Me Show You” di Camisra, e Gigi D’Agostino che disfa e ricostruisce il puzzle riciclando un frammento ritmico della sua “Elisir”. Proprio Picotto riporta in vita, per l’ultima volta, l’alter ego R.A.F. By Picotto per “America”, ennesimo derivato di “Lizard”. Sul lato b il remix di “Tuttincoro”, pubblicato a fine ’98 sulla Pirate Records e germogliato su “Leave In Silence” dei Depeche Mode.

Prezioso e Mario Più
Altre due hit annuali della BXR, “Tell Me Why” di Prezioso Feat. Marvin e “Communication” di Mario Più

Dopo il poco fortunato “I Wanna Rock”, i fratelli Prezioso si prendono la rivincita: accompagnati dalla voce di Marvin e con la collaborazione di Paolo Sandrini, incidono “Tell Me Why”, una hit dell’estate ’99 per cui viene girato un videoclip e che finisce al Festivalbar quell’anno presentato da Fiorello ed Alessia Marcuzzi. Nel pezzo i più attenti riconoscono due principali ispirazioni, la tastiera di “Talking In Your Sleep” dei Romantics e la strofa di “Family Man” di Mike Oldfield, ma quello dei Prezioso Feat. Marvin non è un collage figlio della sampledelia più macchinosa, sullo stile dei programmi radiofonici “blobbistici” di Giorgio, ma una canzone solare e perfetta per le platee delle megadiscoteche, non solo italiane a giudicare dal numero di licenze macinate in diversi Paesi del mondo. Va particolarmente bene in Svizzera, in Danimarca ma soprattutto in Austria e in Germania, piazzato rispettivamente in seconda e decima posizione della classifica di vendita. Proprio nella terra dei crauti i tre tengono parecchie serate ed apparizioni televisive come questa su RTL. Un’altra mina lasciata deflagrare dalla BXR nell’estate ’99 è “Communication” di Mario Più: colorita dal suono dell’interferenza del telefono cellulare, parallelamente usato dai Dual Band (Paolo Kighine e Francesco Zappalà) in “GSM” sulla modenese Stik, la traccia attinge (ancora) le forze dallo schema di “Lizard”, mietendo consensi grazie ad una potente dinamica del suono e rumorose rullate che fanno impazzire gli amanti dell’hard trance. Sul lato b figura “Hertz”, cover di un brano che Mario Più suona spesso nelle sue serate, “Pleasure” dei belgi The Squeakers pubblicato nel ’98 su etichetta Hertz. Il grande successo di “Communication” viene garantito però da un remix che giunge a distanza di qualche mese, quello realizzato oltremanica da Yomanda, scelto per sincronizzare il videoclip e sviluppato sulla base della More Mix. Il brano conquista il vertice della Top 40 Club Chart UK con circa 200.000 copie vendute, e l’autore viene ribattezzato “il Fatboy Slim italiano”. In autunno è tempo di una versione di Picotto firmata come Lizard Man. Parallelamente esce “Serendipity” con cui Mario Più rispolvera la melodia di “Showroom Dummies” dei Kraftwerk ed ufficializza la paternità del progetto DJ Arabesque, partito nel ’97 su etichetta Underground. Dopo i vari featuring per Mario Più, More (ex frontwoman dei T-Move Experience inizialmente nota come Jody Moore) incide il primo singolo da solista, “4 Ever With Me”. Il pezzo si inserisce in quella rosa di dance made in Italy al femminile interpretata da cantanti come Kim Lukas, Ann Lee o Neja. A fronte di ciò, il progetto traslocherà presto sulla division pop della BXR, la W/BXR, di cui si parla più avanti.

Mauro Picotto - Iguana
“Iguana”, il follow-up di “Lizard”, è una conferma per la carriera internazionale di Mauro Picotto

Se sino al 1998 il successo dell’etichetta è stato episodico ed occasionale, dal 1999 i trionfi diventano quasi sistematici. È il momento in cui la BXR catalizza l’attenzione della stampa internazionale che ne parla come squadra composta esclusivamente da DJ attivi nelle discoteche di settore e per questo particolarmente abili nell’intercettare i gusti del pubblico. «Abbiamo messo sotto contratto i più importanti disc jockey provenienti da differenti regioni italiane offrendo loro facoltà di produrre la musica che amano proporre durante le proprie serate» spiega Picotto in un articolo di Mark Dezzani pubblicato su Billboard il 12 giugno 1999. «Ci siamo accorti che esiste un grande mercato per la musica progressive/techno seppur le emittenti radiofoniche italiane, fatta eccezione per quelle specializzate, continuino a preferire house e pop dance» prosegue Bortolotti. «Abbiamo dunque deciso di alimentare e sviluppare ulteriormente questi generi più sperimentali e sfruttare internet per promuoverli anche se i software per scaricare illegalmente dalla Rete brani in formato MP3 metteranno presto in ginocchio il mondo della musica. Piuttosto che ignorare questa nuova realtà, però, useremo la tecnologia per portare online il nostro catalogo». Due le importanti novità autunnali: la prima riguarda il cambiamento di logo, con la X rossa in evidenza che manda definitivamente in soffitta le declinazioni grafiche precedenti, la seconda l’avvio di tre serie, Claxixx, Club e Superclub, rispettivamente contraddistinte dai colori bianco, nero ed argento e nate col fine di categorizzare in modo più accurato le pubblicazioni in base ai suoni e il pubblico di riferimento. Questa gradazione cromatica abbraccia inoltre le copertine generiche, sino a questo momento stampate in cinque colorazioni (rosso, nero, blu, giallo, celeste). Il primo ad essere interessato dal nuovo ordine/raggruppamento è “Iguana” di Mauro Picotto, follow-up di “Lizard” in cui l’autore torna ad utilizzare un sample vocale (preso da un live dei Kiss in cui la band esegue “Hotter Than Hell”) che ha già inserito nella sua prima produzione destinata alla Media Records, “We Gonna Get…” del 1991, ai tempi “ritagliato” da “Adrenalin” degli N-Joi. Sono svariate le versioni approntate tanto che nel complesso “Iguana” occupa tutte le serie, la Claxixx, la Club e la Superclub. Nel pacchetto è incluso anche un remix a firma Blank & Jones con cui i tedeschi ripagano la versione che Picotto realizza per la loro “After Love” uscita quasi in contemporanea. Il successo di “Iguana” tocca tutta l’Europa, in particolare la Germania dove resta per settimane al vertice delle classifiche di vendita. Viene prevedibilmente girato un videoclip diretto da Oliver Sommer e finito in high rotation su MTV, VIVA e tutte le principali tv musicali.

BXR Superclub apertura
Uno degli advertising con cui viene annunciata l’apertura del BXR Superclub, il 9 ottobre 1999

A consolidare ulteriormente la posizione, la promozione e la comunicazione di BXR, sono due progetti collaterali: uno su Italia Network, prossima a trasformarsi in RIN, chiamato Maximal, che porta in scena i DJ dell’etichetta con selezioni musicali in cui vengono palesate le coordinate dei brani selezionati, l’altro sul fronte discoteca con l’apertura, sabato 9 ottobre presso lo Shibuya di Rezzato, del BXR Superclub, il miglior palcoscenico che i DJ della Media Records potessero avere in quel momento, seppur rimanga in attività per appena una stagione (la serata di chiusura è del 20 maggio 2000). Maximal e il BXR Superclub veicolano in modo ferreo il suono del pianeta BXR, non più quello celeste del periodo mediterranean progressive bensì uno fiammeggiante rosso fuoco ben visibile sulla copertina del primo volume della “BXR Superclub Compilation”. Entrambe si rivelano presto come due straordinarie vetrine pubblicitarie in un periodo in cui il pubblico, o perlomeno quella parte di esso rappresentata dai fan più sfegatati, si emoziona e si sente fortunata ad ascoltare in anteprima i nuovi brani dei propri beniamini della consolle. Scommettendo su nomi nuovi anche a rischio di non centrare perfettamente l’obiettivo, la BXR mette a segno altre tre licenze, “Gouryella” dei Gouryella alias Tiësto e Ferry Corsten (dal catalogo Tsunami), il remix di “Madagascar” degli Art Of Trance (dal catalogo Platipus), e “The Day” di Lunatic House Sounds (dal catalogo DiKi Records, quella di Age Of Love di cui parliamo approfonditamente qui). Spazio anche agli artisti interni come Bismark con “Reactivate”, Massimo Cominotto con “Minimalistix” (il primo inciso per la BXR dopo un biennio vissuto su Underground), e Tony H con “Tagadà / www.tonyh.com”. «Il tagadà è una giostra techno con un movimento tipo centrifuga, e questo movimento mi fa pensare ad una rullata devastante con effetto energizzante sul corpo, lo stesso che il mio disco vuole ricreare» spiega l’autore ai tempi. «A “Tagadà” si aggiunge “www.tonyh.com”, proprio come il mio nuovo sito internet» conclude. Poi tocca a “Slave To The Rhythm”, cover dell’omonimo di Grace Jones realizzata dai PPK, progetto one shot nato sull’asse italo-britannico formato da Pete Pritchard, Mauro Picotto e Ben Keen alias BK (PPK è l’acronimo dei loro cognomi). Negli ultimi giorni dell’anno arriva infine “Arabian Pleasure” di Mario Più & Mauro Picotto, trance dolcemente immersa in atmosfere orientaleggianti rimarcate dalla grafica in copertina da cui affiorano i loghi degli autori.

Gigi D'Agostino - Tanzen
La copertina di “Tanzen” che nel ’99 apre il catalogo di W/BXR

Canalizzazioni tematiche per fare ordine
Il catalogo della BXR inizia a essere troppo eterogeneo: a produzioni di stampo progressive e trance se ne aggiungono altre prettamente pop ma tale sovrapposizione di mondi musicali, oltre a risultare dispersiva, disorienta i seguaci. Al fine di convogliare tutti quei pezzi dichiaratamente mainstream quindi, nel 1999 viene creata una “filiale” apposita, la W/BXR, partita col triplo “Tanzen” di Gigi D’Agostino che al suo interno raccoglie futuri successi (“The Riddle”, la strumentale “Passion” poi diventata “La Passion”, “Another Way”), nuove marcette ipnotiche à la “Cuba Libre” (“Acid”, “Movimento”, pubblicata l’anno prima su Underground e firmata come Noise Maker, “Coca & Havana”), rimembranze tranceoidi rilette a suo modo (“One Day”), una nuova versione di “Bla Bla Bla” intitolata Dark Mix, una sorta di remix della stessa, “A. A. A.”, realizzato da Mario Più e Ricky Effe, ed anche una hit mancata, “Star”. Per un anno circa la W/BXR raduna le ramificazioni della BXR destinate alle grandi masse generaliste, da “Let Me Stay” dei Prezioso Feat. Marvin ad “Around The World” di More passando per “Ritual Tibetan” dei Kaliya e le versioni vocali di “Techno Harmony” di Mario Più e di “Arabian Pleasure” di Mario Più & Mauro Picotto, quest’ultima interpretata dalla cantante algerina Amel Whaby. Dopo diciassette uscite, il progetto viene assorbito dalla ex Noise Maker ora NoiseMaker, riavviata con l’album “L’Amour Toujours” attraverso il quale D’Agostino si consacra a livello planetario radunando attorno a sé un oceano di supporter estatici, talvolta animati da una devozione ai limiti del fanatismo.

BXR Club, Gold, Sacrifice
I dischi inaugurali di BXR Club, BXR Gold e Sacrifice

Sempre del 1999 è una sottoetichetta di BXR chiamata BXR Club, nata con lo scopo di raccogliere le produzioni dal carattere più schiettamente clubby e con nessuna probabilità di fare crossover. A tagliare il nastro inaugurale è Gabry Fasano con “Jaiss Bangin'”, presto seguito da “Metempsicosi” di Ricky Le Roy (omonimo del gruppo di DJ a cui appartiene, fondato nella primavera del 1997), “Imperiale” di Mario Più & Mauro Picotto (con una pausa sonorizzata sulla melodia di “Merry Christmas Mr. Lawrence” di Ryuichi Sakamoto, dal film “Furyo”) e “Red Moon” ancora di Ricky Le Roy, che arriva a fine ’99 e chiude la breve parentesi rimpiazzata dalla categorizzazione distinta tra Claxixx, Club e Superclub di cui si è già detto sopra. Nell’estate del 2000 nasce la BXR Gold, espediente con cui la Media Records rimette in circolazione alcuni pezzi del repertorio BXR (ma non solo, qualcosa proviene dai cataloghi GFB ed Underground), organizzati in diversi EP che fanno felici i collezionisti seppur alla fine il progetto pecchi un po’ come esercizio autocelebrativo. Pochi mesi più tardi parte invece Sacrifice, etichetta che si colloca in posizione mediana tra Underground e BXR, sia per declinazione grafica che sonora. A marchiare la maggior parte delle pubblicazioni sono le lettere dell’alfabeto ellenico usate per siglare i nomi degli autori. A suggellare il tutto una linea di merchandising e l’apertura di branch sparse per l’Europa (Regno Unito, Germania, Benelux) che rappresentano un supporto valido ed utile per penetrare più capillarmente nei territori esteri.

Mauro Picotto - Pegasus
Sopra la copertina di “Pegasus”, sotto la foto da cui viene sviluppata la grafica

2000-2001, alla conquista del mondo con la supertechno
Uscita indenne dal temuto millennium bug, la BXR inizia il nuovo anno/secolo/millennio lanciando il sito web, che include anche un frequentatissimo forum, e riprendendo il discorso lasciato in sospeso a fine ’99 con “Arabian Pleasure” con canti esotici che fanno venire subito in mente dune, palmeti e qualche oasi. Adesso a marciare verso la calura desertica a bordo di un rullo compressore che fa il verso ai disegni di basso hi NRG di Bobby Orlando è Ricky Le Roy con “Tuareg”. Pronto probabilmente dall’autunno, esce in pieno inverno “Autumn” che dà avvio al progetto Lava, nato tra Italia e Germania dalla collaborazione tra Mauro Picotto, Riccardo Ferri e Tillmann Uhrmacher, DJ tedesco e noto speaker radiofonico su Sunshine Live dove conduce il programma Maximal, che divide solo l’omonimia con quello prima descritto e trasmesso da Italia Network. Come solista, Mauro Picotto sfodera “Pegasus”: la Tea Mix contiene ancora elementi lizardiani ma appare subito chiaro che il DJ si stia stancando di riciclare il basso “wuooom wuooom” ricavato da un vecchio BassStation Novation abbinato ad infinite rullate di snare, schema peraltro imitato da un numero sempre più consistente di competitor già dal 1998 (si sentano, ad esempio, “Enjoy” di Alex Castelli o “Zi-Muk” di CAP). La Superclub Mix di “Pegasus” difatti sposta il baricentro verso costrutti più intrisi di (hard)groovismo post millsiano, arricchito da una vena italo/europea. È uno dei primi brani con cui si inizia a parlare di supertechno, un nuovo filone che BXR, quell’anno premiata dalla rivista tedesca Raveline e corteggiatissima al Midem di Cannes e al Winter Music Conference di Miami, annuncia di seguire per scrollarsi di dosso il passato e restare fedele allo storico payoff della casa madre, “the sound of the future”. In copertina finisce l’elaborazione grafica di una foto scattata nei corridoi della Media Records da cui spicca il pittogramma asiatico giallo che Picotto si “tatua” all’altezza della tempia sinistra sin dall’autunno del ’98 e che diventa una vitale caratteristica della sua immagine pubblica nonché tag identificativa sulle copertine dei dischi. 

Mario Più - Techno Harmony
“Techno Harmony” conferma l’exploit internazionale di Mario Più

Analogamente a Massimo Cominotto, anche Joy Kitikonti approda su BXR dopo aver inciso svariati brani, pure sotto pseudonimi, su altre etichette del gruppo bortolottiano (Underground, GFB, Audio Esperanto). Il debutto sulla label, privo di botto ma solo posticipato di un anno circa, avviene attraverso “Agrimonyzer” in cui il DJ toscano fa sfoggio di numerose linee tambureggianti, retaggio delle esperienze giovanili come batterista. In particolare in una delle quattro versioni, la Hacker’s Mix, campiona il suono emesso dagli ormai obsoleti modem analogici a 56k, quella specie di telefonata non vocale che permetteva di entrare in Rete, un mondo che in quel momento inizia la corsa alla popolarizzazione su larga scala. Reduce dallo strepitoso successo oltremanica ottenuto con “Communication”, Mario Più appronta un follow-up mirato ad espandere la propria fanbase oltre i confini nazionali. In primavera è quindi la volta di “Techno Harmony”, una traccia nata in seno al fermento eurotrance che diventa canzone col titolo “My Love” grazie all’apporto vocale di Maurizio Agosti meglio noto come Principe Maurice, celebre performer del Cocoricò di Riccione. Come da copione, secondo una procedura in uso sin dai primi anni Novanta, la Media Records appronta un alto numero di versioni incise su vari 12″ e sul CD singolo. Gli sforzi vengono premiati, il brano vola alto nelle classifiche internazionali e conquista numerose licenze in primis nei Paesi chiave per la discografia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti.

Mauro Picotto - Komodo
Con “Komodo” Mauro Picotto chiude la trilogia dei rettili e tocca l’apice della popolarità

Non da meno è certamente Mauro Picotto con “Komodo”, con cui chiude la trilogia rettiliana iniziata (non intenzionalmente) nel ’98. Annunciato come “Komodo Dragon” e col featuring dei Deep Forest che sarebbe stato legittimato da un campionamento della loro “Sweet Lullaby”, il pezzo, descritto dalla stampa come una specie di medley tra trance e world music, viene poi commercializzato più semplicemente come “Komodo” e trainato da un videoclip ancora diretto da Oliver Sommer in cui Picotto veste i panni di un investigatore che indaga su una serie di morti sospette. Il testo scritto ex novo sulla melodia di “Sweet Lullaby” diventa “Save A Soul” usato come sottotitolo. Sul 7″ allegato al doppio mix che la BXR pubblica in primavera inoltrata figura “Come Together”, brano downtempo (praticamente un mix tra “Save A Soul” e “Komodo”) che riflette un lato inedito di Picotto legato alla musica lounge e chillout. È il momento in cui l’artista piemontese tocca l’apice commerciale della carriera, finendo nelle lineup di eventi dalla risonanza internazionale come MayDay, Love Parade, Time Warp, Gatecrasher, Atlantis ed Homelands, in club come il Twilo di New York, nella Top 100 DJs di DJ Mag (al 27esimo posto) e sul palco di Top Of The Pops dove non mima azioni su una consolle spenta, così come solitamente è costretto a fare chi viene dal mondo delle discoteche per sottostare agli stringati tempi televisivi. Senza ovviamente tralasciare la sfilza di remix già approntati per artisti del calibro di System F e Blank & Jones a cui ne seguono molti altri di cui si parla più avanti. In Germania è un vero trionfo dove “Komodo” vende circa 300.000 copie. Davvero tante le versioni sfornate negli studi in Via Martiri Della Libertà come quella di Megamind, nome che Picotto usa prima con ruolo di remixer e poi come artista a partire da “Listen To Me” dell’autunno ’98, e quella di Saccoman. Quest’ultimo riappare con “Metamorph”, ennesima escursione nella trance di matrice tedesca ma variata, nella Part One Mix, in qualcosa di diverso e meno prevedibile. È quella che alla Media Records chiamano supertechno, «un’ulteriore evoluzione della tech-house classica ma rivista nello stile BXR» dirà in merito Mauro Picotto qualche tempo dopo. All’esordio su BXR c’è anche Franchino, vocalist popolarissimo in Toscana in locali come Imperiale ed Insomnia. Anche per lui, come per Cominotto e Kitikonti, dopo un paio di anni di training su Underground e GFB, si aprono le porte marchiate dalla X rossa e ciò avviene con “Calor”, traccia senza troppe pretese costruita su una parte più solare, trainata da un basso in ottava, ed una più scura ma un po’ anonima.

Svariati i pezzi presi in licenza dall’estero: i remix di “Schall” – inclusi quelli di Pascal F.E.O.S. e Thomas P. Heckmann – di Elektrochemie LK alias Thomas Schumacher (nel ’98 già approdato su GFB con “When I Rock”, su segnalazione di Picotto), “Communication Part II” di Armin Van Buuren, “Oasis” di Y.O.M.C., cover dell’omonimo dei Paragliders uscito cinque anni prima e diventato uno dei dischi del repertorio BXR più quotati sul mercato collezionistico, “Something About U” di The Act, “Pussylovers” di DJ Balloon (con uno stralcio vocale preso dal film “From Dusk Till Dawn” del ’96), “Digital Dialogue” di Nick Sentience, i remix di “Don’t Laugh” di Winx tra cui uno a firma Mauro Picotto (all’opera anche su “Time To Burn” degli Storm, “See The Light” dei DuMonde e “Running” dei Tyrell Corp.), e quelli di “Science Fiction” di Taucher, un buon successo in Germania sul quale mettono le mani i Cosmic Gate e Mario Più. Proprio quest’ultimo, dopo aver ottenuto un discreto responso oltralpe con “Serendipity”, ci riprova come DJ Arabesque e fa centro grazie a “The Vision”, eurotrance a presa rapida che fa letteralmente il giro del mondo macinando decine di licenze ed affermandosi completamente nel 2001. Più contenuti i risultati di “Dolphin” di Gee Moore, il DJ del Bora Bora di Ibiza con cui il team della Media Records inizia a collaborare l’anno prima con “All Fat Boys Dancing” finito su Underground. Fedele alla linea trance è Bismark che con “Make A Dream” europeizza il suo suono e fa breccia nella Kontor Records che lo ripubblica in Germania col remix di Azzido Da Bass. Dopo diversi mesi di programmazione su Italia Network, Maximal si trasforma in una compilation. Il primo volume, affidato a Ricky Le Roy, include tra le altre “Happy” di Cominotto e “Year 2000” di Tony H, rimaste confinate al formato CD.

La supertechno targata BXR continua a propagarsi in autunno con “Species” del citato Cominotto («un “disco da viaggio” privo di ritornelli a guidare l’ascoltatore, crossover tra trance e techno con qualche occhiata alla Detroit anni Novanta» come lo descrive ai tempi l’autore) ed un paio di feroci 12″ di Picotto contenenti quattro tracce tratte dal suo primo album (“Underground / Baguette”, “Bug / Eclectic”) ma non indirizzate al frangente radiofonico. Il follow-up di “Komodo” infatti è “Proximus” in cui trova alloggio un campionamento tratto da “Adiemus” di Karl Jenkins e che gli italiani hanno facoltà di ascoltare in anteprima attraverso un servizio messo a punto da Omnitel che trasforma il telefono cellulare in un juke-box chiamando il numero 2552. Immancabile il videoclip che chiude la serie diretta da Oliver Sommer, iniziata con “Iguana” e proseguita con “Komodo”: come Alberto Beltrame scrive qui il 27 maggio 2020, «al regista viene commissionato il compito di narrare le vicende dell’investigatore Mauro Picotto e della sua sexy antagonista, la misteriosa donna dagli occhi di drago […], un’assassina seriale che (nel video di “Proximus”, nda) sembra essere diventata ancora più potente e sfuggente, ma l’investigatore riuscirà a trovarla alla fine di un inseguimento» (a bordo di una Ferrari, nda). Negli ultimi frame il colpo di scena, la donna si trasforma in iguana e gli occhi di Picotto diventano gli stessi della donna-lucertola. Le numerose versioni aiutano la diffusione del brano sul fronte estero, quello a cui BXR ormai sembra ambire in modo deciso e non a caso il 20 dicembre Picotto raccoglie diversi premi ai German Dance Awards tenutisi ad Amburgo.

Mario Più - Sfyflex
Dopo circa cento pubblicazioni, la BXR abbandona il payoff Noise Maker

Nel frattempo i DJ della label bresciana continuano a radunare migliaia di adepti provenienti da diverse regioni d’Italia ogni sabato notte. Un autentico nomadismo che si alimenta anche grazie a nastri doppiati a profusione sui quali si rinvengono tanti dei pezzi che vengono testati con diversi mesi d’anticipo rispetto alle date di uscita ufficiali. È il caso di Mario Più con “Sfyflex”, finito sul lato b dei remix di “Techno Harmony” (con cui BXR perde definitivamente il payoff Noise Maker, diventato il nome di un’altra etichetta della Media Records curata artisticamente da Gigi D’Agostino), e di “Matrix”, pubblicato insieme a “Morpheus” in cui riaffiorano elementi di “Tryouts For The Human Race” degli Sparks, prodotta da Giorgio Moroder nel 1979, gli stessi riportati in superficie da Trisco nella sua “Musak”. Proprio “Matrix” è dedicata all’omonimo club, prima ospitato presso il fiorentino Central Park e poi al Ritmodromo di Coccaglio, dove Mario Più e i colleghi del gruppo Metempsicosi si trasferiscono nell’autunno 2000 dopo la fine del sodalizio con l’Insomnia di Ponsacco. Negli ultimi mesi dell’anno escono in rapida sequenza “All The Way” di Ricky Le Roy, trainato da una base in stile “Kernkraft 400 (Remix) di Zombie Nation o “The Greatest DJ” di Lexy & K-Paul, “Ogni Pensiero / È Controllo” di Franchino, al lavoro su una serie di interpolazioni prese dal film “Matrix”, “Just A Moment” di Bismark e “Global Players (My Name Is Techno)” di Mr. X & Mr. Y (WestBam ed Afrika Islam), preso in licenza dalla berlinese Low Spirit ed impreziosito dal remix di Beroshima. A questi si aggiungono “Weltklang” firmato da una new entry proveniente dalla filiale tedesca della BXR capeggiata da Robin Ewald ovvero Marco Zaffarano, consolidato nome che vanta produzioni su Harthouse e due album sull’indimenticata MFS, e “Tenshi” dei Gouryella, che non riesce però a raccogliere gli stessi risultati ottenuti all’estero.

Il 2001 vede proseguire la marcia trionfale di Mauro Picotto, nuovamente sotto i riflettori con un altro estratto dall’album, “Like This Like That”, melodicamente derivato da “Blue Fear” di Armin del 1997. Il DJ originario di Cavour, un piccolo paesino in provincia di Torino, conquista per l’ennesima volta le classifiche di vendita d’oltralpe con licenze sparse in tutto il mondo. Il videoclip, trasmesso massivamente da VIVA, contribuisce alla popolarizzazione della sua immagine. A dirigerlo è ancora Oliver Sommer che, come scrive Alberto Beltrame nel già citato articolo del 2020, «si basa sul parallelismo per opposizione di due mondi in un bellissimo gioco sul bianco e nero. Gli unici elementi che possono far ricordare la video-serie (“Iguana”, “Komodo”, “Proximus”, nda) sono l’intro e l’outro alla James Bond, potenzialmente leggibili come un vago richiamo all’investigatore Picotto ed alle sue avventure». È un momento propizio anche per Mario Più che torna con l’album “Vision”, una raccolta dei suoi maggiori successi con qualche anticipazione su ciò che avverrà nei mesi a venire come “Love Game”, ancora interpretato da Principe Maurice. Ispirato da “Back To Earth” di Yves Deruyter è Saccoman che riappare con “The Recall” seguito da Franchino e la sua “Magia Technologika” in cui rivivono fraseggi quasi mediterranean progressive. “Spring Time (Let Yourself Go)” è il follow-up di Lava che il compianto Tillmann Uhrmacher produce ancora con Picotto e il fido Riccardo Ferri. Dall’estero arrivano l’irlandese Darren Flynn, il britannico Simon Foy e l’elvetico DJ Pure, rispettivamente con “Spirit Of Sp@ce”, “Insideout” e “My Definition”, tutti in stile trance.

Joy Kitikonti - Joyenergizer
“Joyenergizer” porta il nome di Joy Kitikonti all’attenzione del grande pubblico

Su “My Definition” mette le grinfie, come remixer, Joy Kitikonti che si ripresenta con “Joyenergizer”, una traccia sviluppata, come lui stesso racconta qui, «partendo da una kick ottenuta col sintetizzatore Access Virus A, poi lavorata con LFO e processata attraverso vari plugin durante la costruzione su Logic». La Psico Mix travolge e stravolge con un’effettistica strisciante e liquefatta, particolarmente efficace nei break. Senza ombra di dubbio è la matrice del suono a fare la differenza e a giocare sull’unicità. Diversamente dalle sue precedenti produzioni, questa entra in classifica di vendita e ciò impone la realizzazione di un videoclip girato ad Ibiza.

Mentre Kitikonti dà alle stampe un pezzo capace di abbracciare un pubblico più eterogeneo e trasversale, Picotto (che ritocca “Joyenergizer” in un remix madido di sudore) prende qualche distanza dal mondo delle hit a presa rapida orientate alle radio e al pubblico generalista convogliando nel “Metamorphose EP” cinque tracce incise su un doppio mix pensate e destinate ai soli club. Allineati all’hardgroove che vive un momento particolarmente galvanizzante, i pezzi del piemontese mescolano tribalismi demolitori di scuola millsiana (“Prendi & Scappa”, “Wake Up”) a svirgolate di techno frammista ad affilate linee di sintetizzatore sullo stile dello sloveno Umek (“Verdi”, “Kebab”) passando per un intro ambientale beatless (“Luna“). 

Picotto - Metamorphose Awesome
Con “Metamorphose EP” e “Awesome!!!” Mauro Picotto inizia a prendere le distanze dal collaudato schema delle sue hit più popolari

«Ora preferisco fare dischi con più sound e meno melodia» dichiara l’artista pochi mesi prima dell’uscita dell’EP in un’intervista di Riccardo Sada pubblicata a febbraio. «So che così facendo perderò una buona fetta di mercato, magari quello italiano, ma probabilmente potrò conquistarne tanti altri. In Germania il vento soffia a mio favore così come nel Regno Unito e ad Ibiza che è una cosa a sé rispetto alla Spagna». Picotto ormai è nel gotha del DJing mondiale, vede riconfermare la propria presenza nella Top 100 DJs del magazine britannico DJ Mag in ottava piazza (posizione più alta in assoluto sinora conquistata da un italiano) e fa da apripista a colleghi che militano con lui tra le fila della BXR ossia Mario Più (54esimo) e Gigi D’Agostino (98esimo). Poi è la volta di Cominotto con “Trouble”, «una produzione in cui credo molto dopo aver visto gli effetti in locali tipo Cocoricò, Red Zone, Alter Ego e Supalova» come afferma lo stesso autore che aggiunge: «all’interno c’è una versione sfacciatamente tech-house, neologismo che tra le ilarità generali uso da qualche anno e che casualmente oggi rappresenta il crossover più seguito, non certamente per merito mio ma in questa porca Italia sono stato tra i primi a crederci». Seguono Ricky Le Roy con “Dancer” e Bismark con “Triplet”, entrambi con lo shuffle applicato alla batteria in memoria di un successo tedesco di qualche tempo prima, “The Darkside” di Hypetraxx. Accolti su BXR, dopo un “praticantato” su Underground, sono Sandro Vibot con “Everyday”, Zicky (ormai non più “Il Giullare”) con “Follow Me” e Fabio MC con “Mimic”. Lasciandosi alle spalle la comparsata del ’99 sulla effimera BXR Club, riappare pure Gabry Fasano: il “cacciabombardiere” del Jaiss, così come lo chiamano affettuosamente i fan, firma una doppia a side racchiusa in una cornice sonora dai tratti impetuosi e che trasuda energia, “Catapulta”, con un frammento ritmico carpito da un EP di Christian Fischer su Statik Entertainment del ’99 opportunamente velocizzato, e “Ringmo”, che si avvicina alla scuola di Chris Liebing. Attratti dalle manipolazioni del beat sono pure Mario Più, che in “Ayers Rock” inserisce il suono di un didgeridoo, ed Athos Botti, semplicemente noto come Athos, con l’incalzante “Infect”.

In autunno tornano l’ibizenco Gee Moore col percussivo “G-Tribe”, Bismark con “Primitive Love” e Saccoman con “Revelation” mentre Mario Più e Fabio MC (che su Underground danno avvio al progetto TK 401) firmano “Invaders / Away”. In solitaria invece Mario Più realizza “Sensation”, altro estratto dall’album “Vision” in chiave smaccatamente trance. Menzione a parte merita il secondo doppio mix dato alle stampe da Mauro Picotto, “Awesome!!!”, naturale prosieguo al “Metamorphose EP” di pochi mesi prima. Appare sempre più evidente come al DJ inizi a stare stretto il ruolo da coordinatore dell’etichetta e che soprattutto sia stanco di confezionare follow-up standard per accontentare le richieste del mercato discografico più mainstream. Non è certamente un caso che nessuna delle sei tracce incluse (tra cui “Cyberfood”, “Hong Kong” e “Bangkok”) attinga elementi dalle sue hit nazionalpopolari. A cambiare, oltre ai suoni, sono le stesure e soprattutto il mood. «Avevo saturato il mio gusto commerciale ed avvertii la necessità di compensarlo con qualcosa di più club» dirà lui stesso qualche mese più tardi. Picotto cerca nuove strade per rivoluzionare la sua carriera e le trova. Il cambiamento radicale arriverà alla fine del 2002.

“Gula-Matari” è l’ennesimo dei dischi con cui Cominotto traduce il suo spirito eclettico da DJ

2002, i primi scricchiolii
Massimo Cominotto è tra i DJ della scuderia BXR a saper resistere al richiamo della popolarità generalista. «Ci fu una corsa a chi faceva canzonette orecchiabili ma io non ne sono stato capace oppure, più semplicemente, non mi interessava comporle» dichiara in questa intervista del 2020. Alla sua fermezza da DJ si somma quindi la coerenza stilistica delle produzioni discografiche a cui ora si aggiunge “Gula-Matari”. Da un lato la Techno Mix che arde in loop circolari, dall’altro la Funky Mix che sovverte il rodato schema sonoro dell’etichetta bresciana con patchwork di micro sample fusion (presi da “Gula Matari” di Quincy Jones) inchiodati su un sostenuto pianale ritmico. «Vorrei vedere la faccia dei technofili mentre ascoltano fiati, chitarre wah wah e voci femminili» ironizza l’autore ai tempi dell’uscita. Più canonico invece il carattere che Ricky Le Roy infonde in “One Day”, tra suoni cristallini in cascata e aggressività hardgroove, la stessa che qualifica pure il “Percutor EP” di Fabio MC trainato dal pezzo “Klaude”. Ascritto al comparto techno groovy è anche Marco Zaffarano con “Re-Take” che sul lato b vede il remix di “Playback” a firma Picotto con inserti latini in scia a vari successi internazionali di quel periodo realizzati da artisti come Tomaz vs. Filterheadz, Cristian Varela o Renato Cohen. Fedelmente ancorato alla trance resta invece Bismark con la sua “E.R.K.”, ed è trance anche quella di “Like A Dream” del tedesco Andy Jay Powell, arricchita da un remix degli RMB (proprio quelli di “Universe Of Love” di cui parliamo dettagliatamente qui), e di “Believe Me”, quinto brano che Mario Più firma come DJ Arabesque. Retrogusto inaspettatamente house/disco invece per Franchino che ritorna con “Ficha No Caixa”, una specie di french touch velocizzato ai confini con apparati technoidi, segno della fusione tra mondi musicali che avviene nei primi anni Duemila quando la distanza tra house e techno diventa sempre più labile o si azzera del tutto.

Dopo diverse esperienze consumate su Underground, sbarca su BXR come artista anche Riccardo Ferri alias Ricky Effe, collaboratore di vecchia data di Media Records e fedele spalla di Mauro Picotto. Le due tracce solcate sul 12″, “Rectifier” e “Trythis”, occhieggiano all’hardgroove teutonica, la medesima con cui Picotto sta progressivamente sostituendo la formula techno trance, oggetto di un’evidente inflazione, ma non prima di lanciare i remix 2002 di “Pulsar” (tra cui uno a firma Tiësto ma stranamente ora escluso dalla pubblicazione italiana) e soprattutto “Back To Cali”, riverberato da un remix dell’infaticabile Push, tra gli artisti chiave della Bonzai. Col follow-up “Joydontstop”, costruito sul giro portante della citata “Schall” di Elektrochemie LK e per cui viene approntato un videoclip, Joy Kitikonti prova a bissare il successo di “Joyenergizer” ma raccogliendo solo parzialmente i risultati attesi mentre Athos campiona le voci da una puntata della serie televisiva “South Park” per “Oh My God!!!” che si afferma nel circuito dei club. Saccoman ritorna con “Deep In The Woods”, Zicky con “Yeah Man Bomboclat”, Fabio MC con “Prisma EP” e Bismark con “Fluid” ma qualcosa nel BXR Sound comincia a mutare. Se da un lato la costante vocazione all’europeizzazione (quell’anno la Media Records inaugura le filiali iberiche e scandinave) rende i prodotti appetibili sul fronte internazionale, dall’altro tende ad allinearli troppo ad uno standard che gioca a svantaggio dell’identità. Alcune nuove uscite, come “Into The Blue” di Saccoman o “Kiss Me” di Ricky Le Roy ad esempio, non lasciano il segno, tuttavia la spinta ottenuta nelle annate precedenti è talmente forte da non incrinare del tutto gli equilibri. Nella Top 100 DJs di DJ Mag infatti Picotto è 14esimo, Mario Più 82esimo e Joy Kitikonti 91esimo.

Mentre il tenace Cominotto continua ad incidere ciò che più gli aggrada (“Iron Butterfly”) senza preoccuparsi di trovare il modo per penetrare nelle classifiche di vendita, Bismark produce a quattro mani “The Theme Of Sphere” con lo svizzero Philippe Rochard. Alla brigata si aggiunge poi Angelo Pandolfi che come Pan Project firma “L’Amour Pour La Musique” ed “NRG”, due brani influenzati dallo stile di Gigi D’Agostino che però dividono poco e niente con la linea intrapresa dalla BXR, e a dirla tutta anche la resurrezione di “U Got 2 Know” dei Cappella, attraverso i remix di R.A.F. e Joy Kitikonti, non pare proprio una mossa azzeccata. Decisamente più pertinenti risultano “Capsule / Random” di Trasponder, secondo (ed ultimo) atto del progetto messo su l’anno prima da Gabry Fasano e Riccardo Ferri su Underground, “Flair / Return Of Memory” di Fabio MC (“Return Of Memory”, in particolare, è una piroetta nel suono belga della Bonzai, con rimandi a “Synthetic Apocalypse” dei Musix) e “96 Street” di Sandro Vibot. Una deviazione hard house, sullo stile di Sharp Boys, Tony De Vit, Malcolm Duffy ed Alan Thompson, viene presa grazie a Pagano, fattosi notare con alcune pubblicazioni sulla Fragile Records (etichetta del gruppo Arsenic Sound di Paolino Nobile intervistato qui) quell’anno nominato A&R della Nukleuz Italy: prima con “Work It”, realizzata con Marco ‘Maico’ Piraccini, e poi con “(You Better Not) Return To Me” (ripescando frammenti vocali di “Return To Me” di Fits Of Gloom, Baia Degli Angeli, 1994), il DJ nativo di Catania tenta di aprire nuovi spiragli nel mercato estero, in primis quello britannico dove il filone hard house vive uno spiccato fermento.

Above & Beyond - Far From In Love
“Far From In Love” di Above & Beyond, tra i primi 12″ attraverso cui filtra la nuova veste grafica della BXR

In autunno arrivano due licenze, “Ligaya” di Gouryella, nel frattempo diventato progetto solista di Ferry Corsten, e “Far From In Love” del trio Above & Beyond, oggetto di forti interessi nell’Europa centrale ma praticamente ignorati da noi. Sono tra i primi dischi con cui BXR rinnova ancora il layout grafico, minimalizzato e spinto verso il bicromatismo bianco/nero già adoperato da qualche anno per Underground e Sacrifice. La notizia che chiude il 2002 intristendo migliaia di fan è quella dell’abbandono di Mauro Picotto che lascia l’etichetta di Bortolotti dopo undici anni. «La Media Records è stato il mio primo sogno realizzato con successo» dichiara nell’intervista rilasciata allo scrivente pubblicata a dicembre, la prima in cui annuncia pubblicamente la decisione. «La scelta di lasciare è legata agli impegni e soprattutto ai miei sogni, e lo dico in modo chiaro perché vorrei che non venisse fuori nessuna storia strampalata o riportata in modo traviato. L’ultimo anno mi ha visto parecchio impegnato in giro per il mondo come DJ e questo mi ha portato, inevitabilmente, a trascurare gli studi di registrazione. Perché quindi continuare ad essere responsabile di un prodotto se non posso più controllarne la qualità? Così ho maturato la decisione di lasciare e per me è stata una cosa naturale, ho bisogno di obiettivi e stimoli nuovi. Per quanto riguarda le produzioni, continuerò a seguire il mio istinto, come ho sempre fatto. Farò quello che mi pare a seconda del mio umore e soprattutto senza vincoli, perché vorrei decidere in autonomia la data di pubblicazione di un nuovo brano. “Back To Cali”, ad esempio, è uscito ad un anno dalla sua produzione, quando ormai non era più in linea con ciò che proponevo nei miei set da DJ. Insomma, vorrei condividere le cose col mio pubblico nel momento in cui emozionano anche me e non vederle bloccate dalle leggi di mercato delle varie aziende». Per l’occasione Picotto spiega anche le ragioni che lo allontanano dalla trance da classifica e lo fanno uscire dalla comfort zone: «Mi sembra che nella trance non ci siano grandi novità e non ho più voglia di produrre brani in stile “Lizard”. Preferisco piuttosto rischiare e cercare cose nuove, non amo ripetermi eccessivamente. Talvolta i cambiamenti sono stimolanti e permettono di vedere nuove frontiere. Attenzione però, non sto rinnegando il mio recente passato. Sarò sempre legato a “Lizard”, che ho suonato per la prima volta su un acetato domenica 7 dicembre 1997 all’Ultimo Impero di Airasca e che, a mio avviso, ha aperto le porte ad uno stile musicale e rimarrà una pietra miliare. Il fatto che in Italia non venne presa in considerazione dai network radiofonici è stata la sua fortuna: essendo una club hit, ha visto allungarsi la vita più del doppio rispetto ai classici successi trasmessi in FM». L’occasione è giusta pure per fare dei paragoni con l’estero: «Musicalmente i club europei non hanno nulla a che vedere con la maggior parte di quelli italiani anche perché non vengono influenzati dai network. All’estero inoltre i palinsesti delle emittenti radiofoniche includono programmi tematici che accrescono l’informazione musicale del pubblico ed influiscono positivamente sulle vendite dei dischi. Tante produzioni che sono in classifica da noi invece non vengono minimamente prese in considerazione oltre le Alpi. […]. Il successo di questi anni mi ha portato un ricco bottino di soddisfazioni e sono fiero di essere stato il primo e sinora l’unico italiano ad aver solcato l’ambita soglia della top 10 della classifica annuale di DJ Mag. Non che sia così determinante nella vita di un DJ, sia chiaro, ma una certa visibilità non guasta mai. Adesso inizio a sentirmi appagato delle tante fatiche spese ad inizio carriera quando qualcuno, tra i colleghi, rideva dei miei sogni».

2003, il primo anno post Picotto
Il 2003 consegna una BXR con evidenti differenze rispetto a quella che il grande pubblico ha conosciuto negli anni precedenti, a partire dalla nuova impostazione grafica che minimalizza il logo ora ridotto alla sola X sino alla scuderia artistica che inizia a disgregarsi. Alcune partenze però sono presto rimpiazzate con nuovi arrivi. Attraverso “Trip On The Moon / M.I.R.” ed “Elektronic Atmosphere”, ad esempio, debuttano rispettivamente Paola Peroni, che già collabora con Media Records una decina di anni prima, e il DJ bresciano Giovanni Pasquariello alias Exile. A pochi mesi di distanza dall’esordio riappare Pagano con la doppia a side “Packet Of Peace” (cover dell’omonimo dei Lionrock, portato in Italia esattamente un decennio prima proprio attraverso una delle etichette della Media Records, la GFB) / “Blade“, e viene accolto l’olandese Marco V con “Simulated”, su licenza ID&T. Riconfermate le presenze del capitolino Bismark con “In My Heart” e del livornese Mario Più con “Devotion” contenente “C’era Una Volta Il West”, cover dell’omonimo di Ennio Morricone per cui viene girato un videoclip a Bormio, in montagna, sullo sfondo di un paesaggio innevato.

Mario Più e Joy Kitikonti in una foto del 2003, anno in cui diventano gli A&R della BXR

I prescelti per guidare la BXR post picottiana sono Mario Più e Joy Kitikonti che prima realizzano “Strance” firmata con gli pseudonimi DJ Arabesque e Jakyro e poi producono “Mossaic” del DJ colombiano Moss, approdato su Underground nel 2001 con “Bogotá Experiences”, e “Light My Fire” come Rocktronic Orchestra, cover dell’evergreen dei Doors. Saranno sempre loro due, uniti in parallelo come MariKit, gli artefici di gran parte delle versioni remix apparse durante l’annata su BXR. La linea stilistica predominante di questa fase è divisa tra trance/hard trance ed hardgroove, come attestano la nuova licenza per Marco V (“C:\del*.mp3 / Solarize”), “Freedom” di Ricky Le Roy, “Roraima / Logic Guitar” di Mario Più ed “Harem” di Paola Peroni, che tanto ammicca alla techno latina di cui si è già detto sopra. Il cremonese Eros Ongari alias Ronnie Play appronta “It’s Time To Dance”, una specie di rilettura italica dell’electroclash costruita sul giro di accordi di “Fade To Grey” dei Visage, Fabio MC staziona sul segmento hardgroove con la doppietta “Impact / Zelig” e “Priority / Reality”, Kitikonti prova ancora a sfruttare la scia di “Joyenergizer” con “Pornojoy”, trascinato in tv da un videoclip ispirato dai film erotici degli anni Settanta e per questo censurato a causa di contenuti considerati troppo espliciti, e Gee Moore si rifà vivo con “Slam Dunk Funk”. Sul fronte licenze tocca all’argentino DJ Dero (quello di “Batucada” e “La Campana”) con “Revolution 07”, scovato da Kitikonti e con remix annesso di Robbie Rivera, e ai tedeschi Tube-Tech con un’altra cover dei Doors di Jim Morrison, “The End”, arricchita dal remix dei Vanguard reduci dal successo ottenuto poco tempo prima col remake di “Flash” dei Queen.

Della BXR «che guardava avanti e che prende spunto dai DJ che suonavano musica diversa lasciando spazio alla creatività, senza supervisioni dei capi», come la descrive Bismark in un’intervista pubblicata a gennaio 2003, resta ormai ben poco. In autunno arrivano gli Spolvet (Andrea Vettori e Niccolò Spolveri) con “Rock The Sun”, in posizione mediana tra hardgroove ed hard trance, Joman (una delle tante impersonificazioni di Joy Kitikonti) con “Tronic Toys”, Zicky con “The Party Goes On” e i Kiper (Joy Ki-tikonti e Paola Per-oni) con “The Land Of Freedom”. A chiudere è “Incanto Per Ginevra” di Mario Più, dedicata alla nascita della figlia Ginevra immortalata in copertina. Nel frattempo Picotto e l’inseparabile Riccardo Ferri approdano alla britannica Primate Recordings con “Alchemist EP” trainato da “New Time New Place”: il doppio mix vende oltre dodicimila copie ma non genera introiti economici a causa del fallimento del distributore, la Prime Distribution. Picotto però non demorde e vara la sua personale etichetta, la Alchemy, inaugurandola con “Playing Footsie / Amazing” e sulla quale ospiterà alcuni artisti che lo seguono dopo l’abbandono della BXR ossia Massimo Cominotto, Gabry Fasano e il prematuramente scomparso Athos.

2004-2005-2006, gli ultimi anni di attività
L’inizio del nuovo millennio è nefasto per la discografia mondiale. Innumerevoli etichette indipendenti chiudono battenti sopraffatte dalla pirateria e dalla crisi che sembra non conoscere fine. L’atteso salto nel futuro che avrebbe garantito il 2000 in realtà riserva solo strade in salita e prospettive tutt’altro che rosee: le soglie di vendita di pochi anni prima («numeri notevoli sia in Italia che all’estero, che partivano da ventimila copie o giù di lì per nomi tipo Picotto, Più o Kitikonti» rammenta ancora Daniele Tramontano della Global Net in relazione a BXR) si assottigliano sensibilmente, la maggior parte dei distributori fallisce e l’invasione di nuovi equipment digitali sferra il colpo di grazia al mercato del disco in vinile, ridotto ormai ad una nicchia di utenza sempre più esigua. A tutto ciò si aggiunge l’introduzione dell’euro, un cambiamento epocale che mette a dura prova il potere di acquisto di chi, in Italia, continua a credere nel supporto analogico. La Media Records non esce indenne da questa “tempesta”, nonostante fosse preparata ed avvezza da anni alle nuove forme di fruizione della musica, e l’allontanamento di Gianfranco Bortolotti, ormai impegnato come architetto, e l’attività ridimensionata della BXR e di tutte le etichette del gruppo ne sono palesi testimonianze.

Mario Più - Champ Elisées
Con “Champ Elisées” Mario Più tenta di tornare al grande successo

Il senso di confusione e smarrimento sul versante stilistico non aiuta di certo gli A&R della label, disorientati come tanti di fronte a repentini mutamenti che vedono crollare tutte le vecchie certezze. «I DJ che suonano house si sono appropriati di sonorità techno, progressive ed elettroniche» dichiara Mario Più in un’intervista rilasciata a Riccardo Sada ad aprile 2004. Ed aggiunge: «C’è stato un notevole avvicinamento dei generi. Io stesso adesso posso esibirmi in locali house perché propongo un suono meno “duro”». Proprio Mario Più incide prima l’anonimo “Green Day EP” e poi “Champ Elisées” in compagnia di Gare Mat K, con cui prova a rilanciarsi nel mainstream abbracciando il mondo electro house che pare la tendenza più importante del momento. Il brano, immerso in atmosfere piuttosto malinconiche ed annunciato come primo singolo del nuovo album “From Dusk Till Dawn” rimasto nel cassetto sino al 2015, è interpretato vocalmente da una certa Catalina B. ed è imperniato su un giro di chitarra che fa il verso a quello di “A Forest” dei Cure. Exile ritorna con “Tragic Error…”, in balia di una techno frammista ad elementi elettronici, Ronnie Play ci riprova con “Walking On The Sunshine”, electro house un filo maldestra e grossolana con qualche propaggine rockeggiante, mentre Franchino (con la K nel nome al posto della ch) si ripresenta con “Solidão”, trance dai riflessi mediterranei forse composta pensando ai bei tempi che furono.

Spazio anche al team dei Trilogy con “Navaho”, che a seconda della versione imbocca sentieri progressive house ed electro house, e ad un paio di licenze estere, “White Scale” dei Subnerve (uscito originariamente nel 1996) e “One Way Out” di Niels Van Gogh col remix di Martin Eyerer che da lì a breve fonda la Kling Klong. A mitigare il proprio apparato stilistico è persino un integralista della techno, Fabio MC, in “Tridonic / Meteor-A”, composte ancora con Simone Pancani. I fasti della BXR ormai sono lontani. A rammentarli è “Iguana” di Mauro Picotto che riappare attraverso due versioni, A Different Starting Mix e il remix del giapponese Yoji Biomehanika che precipita in pozzi hardstyle. Nel corso dell’anno anche Mario Più lascia la Media Records per fondare la sua etichetta, la Fahrenheit Music, nonostante dichiari, in un’intervista pubblicata ad aprile, di non avere alcuna intenzione di mettersi in proprio: «Non andrei molto lontano, specialmente in questo periodo, e non avrei ragione di farlo perché in Media Records mi trovo benissimo, da una struttura così solida e consolidata ho tutto il supporto che mi serve». Per BXR il destino è ormai segnato. Ad inizio 2005 esce “Pulsar 2K5” di Mauro Picotto, ennesimo tentativo di tenere a galla un transatlantico che si sta inesorabilmente inabissando. In copertina si fa riferimento a due “unreleased mix” mai pubblicati in Italia ma che i fan conoscono bene, la Megavoices Mix e il remix di Tiësto. A tirare il sipario è Joy Kitikonti, prima insieme a Cristian Vecchio per il “Finally EP” e poi con Joys Audino per “Started”, nel segno dell’electro house.

BXR last logo
Il logo, il quinto, con cui la BXR riappare nel 2017

2017, un’effimera ripartenza
Tra le etichette che Gianfranco Bortolotti prova a lanciare e rilanciare a partire dal 2015 col gruppo Media Records EVO, oltre ad Underground, UMM ed Heartbeat, c’è anche la BXR, affidata all’A&R Philipp Kieser e marchiata con un nuovo logo. L’idea prende corpo ad inizio del 2016 ma bisogna attendere febbraio dell’anno successivo per vederla concretizzata attraverso la pubblicazione del “No Mercy EP” di 6470 alias Davide Piras. Il 12″ raduna quattro brani (“Our Cognitive Dissonance”, “No Mercy”, “Introspection”, “September 10”) affini alla techno ormai definitivamente sdoganata nel mainstream e richiesta nei circuiti EDM. A giugno segue, questa volta solo in formato digitale, “Mapping A Messiah EP” del bulgaro Ghost303 alias Ivan Shopov, ulteriore tentativo di salire sul treno in corsa di quella techno di cantiere drumcodiano adorata da folle oceaniche ma vacua sotto il profilo delle sollecitazioni creative. Si parla di una possibile terza uscita che avrebbe contato sulle jam session registrate in studio da Kieser, Piras e Shopov, ma il progetto non va in porto. L’altoatesino Kieser, in un comunicato stampa diramato a febbraio 2016, dichiara che il suo intento non è quello di limitarsi ad una strategia copia-incolla: «Ci lanceremo sulla scena con un sound autentico e totalmente all’avanguardia. Punteremo anche su facce nuove e nuovi talenti». Bortolotti aggiunge: «Nuovo A&R, nuovo vestito, nuova strategia, nuovo sound. BXR, come un caccia in ricognizione, sarà affiancata da due label, una alla sua sinistra, la Underground, l’altra alla sua destra, la Divergent, e come per UMM, sarà ricerca e stile orientati verso i clubgoer. Sarà dark, essenziale e culturalmente evocativa. Sara la mia anima. Essere, non esserci, è il suo destino».

Claxixx
Insieme a BXR si ripresenta anche Claxixx, questa volta come etichetta e non serie

Dell’annunciata futuretechno però, che avrebbe dovuto raccogliere il testimone della mediterranean progressive e della supertechno, non resta niente se non un’idea dall’esito caduco. Contestualmente alla temporanea riapparizione di BXR si segnala pure la nascita, a settembre del 2017, della Claxixx, contenitore che utilizza il medesimo nome di una delle serie della BXR con la finalità di rilanciare nuove versioni di classici tratti dal catalogo della Media Records, analogamente a quanto avviene su EDMedia. Alla fine il progetto si arena sul nascere col remix di “Tuareg” di Ricky Le Roy realizzato dal greco George V a cui fa seguito un inedito di Nicola Maddaloni intitolato “L-R”.

Rimasta operativa per circa dodici anni, la BXR lascia un’eredità importante, sia sotto il profilo manageriale per metodo di lavoro, creatività e capacità progettuale, sia sotto quello strettamente musicale raccolta da tantissimi fan sparsi per il mondo. L’alta tiratura e l’ampia disponibilità, fatta qualche eccezione, non la ha (ancora) trasformata in una label appetibile sul fronte ristampe ma senza ombra di dubbio rimane un ottimo esempio che attesta come la visione d’insieme, l’affiatamento e lo spirito di squadra possano fare la differenza in un Paese come l’Italia in cui la cooperazione, specialmente nel contesto musicale, è ancora una meta utopica.

(Giosuè Impellizzeri)

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La discollezione di Massimo Berardi

Una panoramica su parte della collezione di dischi di Massimo Berardi. La foto è di Ivan Vonchesterfield, autore anche delle seguenti

Qual è il primo disco che hai acquistato nella tua vita?
Credo un 45 giri di Lucio Battisti. La mia prima passione, negli anni adolescenziali, è stata la musica italiana e le canzoni d’amore, complici il mangiadischi, le festicciole tra gli amici e i balli lenti. Spesso il sabato pomeriggio ci riunivamo nel garage della nostra amica del cuore, Daniela, visto che il suo papà lavorava nel mondo del cinema e portava a casa una marea di 45 giri tra cui c’era di tutto, dal pop al rock passando per la disco, il funky e la musica italiana. Ne ricordo uno in particolare che ben fotografa quel periodo spensierato, “Rock The Boat” di The Hues Corporation, uno dei primi 7″ disco che mi sia passato tra le mani. Ad attirarmi, oltre alla musica leggera, erano le colonne sonore dei film, in particolar modo quelle delle serie di fantascienza tipo “A Come Andromeda” di Mario Migliardi, “UFO” e “Spazio 1999” di Gerry Anderson, “Gamma” del Maestro Enrico Simonetti e tanti altri capolavori di cui si riesce a capirne il valore solo oggi. Il primo album che ho comprato invece è stato “Foxtrot” dei Genesis, uno dei gruppi che ho apprezzato di più insieme ai Pink Floyd. Il mio preferito però resta “Selling England By The Pound” che ascoltavo sul mio primo fantasmagorico giradischi, uno Stereorama 2000 De Luxe della Reader’s Digest, un modello compatto degli anni Settanta particolarmente di moda in quel periodo. Ho seguito molto anche i gruppi italiani come la Premiata Forneria Marconi o Il Banco del Mutuo Soccorso che a mio parere non avevano davvero nulla da invidiare a quelli esteri, anzi. Ho sempre pensato che la mia generazione sia stata davvero fortunata a vivere un periodo musicalmente tanto ricco.

L’ultimo invece?
Uno degli ultimi acquisti, sul fronte dell’usato, è stato “Just Can’t Help Myself (I Really Love You)” di Common Sense, un 12″ del 1980 discretamente quotato ed edito dalla BC Records di Began Cekic, fondatore dei Brooklyn Express. Continuo ovviamente a comprare anche molti dischi nuovi.

Quanti dischi conta la tua collezione?
Dopo un calcolo approssimativo, credo fra i 7000 e gli 8000, tra LP e 12″. Ho anche 500/600 CD, un supporto che continua a piacermi molto specialmente per le compilation rare grooves in cui a volte ci si può imbattere in versioni differenti da quelle incise su vinile. Possiedo inoltre una discreta quantità di 7″, circa 400, supporto che adoro. Da qualche anno a questa parte ho cominciato a vendere tutti quei dischi di cui sento di poter fare a meno, le doppie copie (tantissime) e quelli degli anni a cui sono musicalmente meno legato. Sinora penso di aver venduto dai 3000 ai 4000 dischi.

Riusciresti a quantificare il denaro speso?
No, ma non ho alcun rimpianto e rifarei davvero tutto.

Una foto che testimonia l’ordine nella collezione di Berardi

Come è organizzata?
Pur non essendo particolarmente fiscale, l’ordine mi piace ma pulire, catalogare e sistemare i dischi, quando sono tanti, diventa un vero e proprio lavoro. Per quanto riguarda i mix funky e disco, ho optato per un ordine in base alle etichette storiche (T.K. Disco, Prelude Records, Salsoul Records etc). Le label minori invece sono organizzate per generi ed annate. House e techno infine sono incasellate per anni mentre gli album per genere.

Segui particolari procedure per la conservazione?
Utilizzo le classiche foderine plastificate per proteggere le copertine dall’usura. Man mano che catalogo i dischi, li pulisco con un panno morbido ed un liquido apposito. Quelli più sporchi invece li porto da un amico che possiede la macchina lavadischi e li fa tornare come nuovi.

Ti hanno mai rubato un disco?
Sì, una volta hanno trafugato un’intera valigia dal bagagliaio della macchina. Fortunatamente non erano dischi particolarmente difficili da ritrovare ma non fu possibile placare la rabbia nel momento in cui me ne accorsi.

“Woman” di John Forde, tra i dischi a cui Berardi è più affezionato

Qual è il disco a cui tieni di più?
Tutti hanno lo stesso valore e fanno parte del percorso di vita. Alcuni rappresentano istantanee che mi ricordano momenti più o meno belli, altri invece compagnie, luoghi, discoteche… Forse quelli che mi emozionano di più sono i pezzi che ascoltavo nelle cassette registrate nella Baia Degli Angeli, un luogo di culto per i DJ della mia età e di cui ero letteralmente affascinato quando non ero ancora un professionista. Uno su tutti “Don’t You Know Who Did It” di John Forde, che continua a darmi le stesse emozioni di quando lo ascoltai per la prima volta, e a seguire “Africano” di Timmy Thomas, “Love For The Sake Of Love” di Claudja Barry, “Moon-Boots” degli O.R.S. e “Sneakers (Fifty-Four)” dei Sea Level, insomma, tutto quel filone che mi ha introdotto ad una ricerca più scrupolosa dei dischi da proporre nelle mie serate.

Quello che ti sei pentito di aver comprato?
Nessuno, perché dietro ogni disco acquistato c’è sempre un motivo ben preciso. Sicuramente non è mancato quello che ha disatteso le mie aspettative ma lo avrò già venduto.

Quello che cerchi da anni e per cui saresti disposto a spendere una cifra importante?
Non sono un collezionista e quindi non ho mai investito grosse somme per accaparrarmi un disco e poi riporlo sullo scaffale (sarebbe rischioso portarsi un cimelio nei locali). Cerco piuttosto di comprarne ad un prezzo ragionevole, scegliendo quelli che diano ancora modo di emozionare il mio pubblico.

Berardi e la sua copia di “Animals”

Quello con la copertina più bella?
“Animals” dei Pink Floyd, immersa in un’atmosfera industriale. In quelle foto c’è tutta la storia dei brani incisi sul disco, guardarle mentre la puntina legge i solchi aiuta a comprendere meglio ciò che intendo. Poi, se si ha la possibilità di andare a Londra e passare davanti alla Battersea Power Station, l’immaginazione diventa realtà. L’energia che scaturisce da questo LP del 1977 è pari a quella che sviluppava l’ex centrale termoelettrica sulla rive del Tamigi. Provo sentimenti profondi ogni volta che lo riascolto, un disco essenziale per la mia crescita musicale nonché compagno di vita.

Che negozi di dischi frequentavi in passato?
Ho comprato i primi dischi nel negozio di elettrodomestici del mio quartiere che aveva un angolo dedicato agli album e ai 45 giri. Dopo qualche anno passai ai negozi specializzati, il primo fu Sound City, sulla via Tuscolana, credo tra il 1974 e il 1975. Erano i tempi di “The Sound Of Philadelphia” di MFSB, le radio private spuntavano come funghi e il sabato pomeriggio si organizzavano sempre feste a casa di qualcuno. La musica era una forma di aggregazione nel vero senso della parola. Allora ebbi la fortuna di conoscere, casualmente, il proprietario di una piccola emittente di quartiere, proprio nel negozio di dischi di cui parlavo prima. All’inizio la potenza era assai flebile, bastava spostarsi di un solo isolato per perdere il segnale ma col tempo fu potenziato sino ad essere venduto ad un network. Gli studi erano allestiti all’ultimo piano di un palazzo e, pur essendo molto piccola, disponeva di tutto quello di cui c’era bisogno. Il mondo della radio mi affascinava tantissimo e l’unico modo per imparare a “far girare i dischi” era guardare per ore ed ore i professionisti e rubare con gli occhi. Il proprietario mi diede l’opportunità di stare lì mentre mandava avanti il suo programma pomeridiano e così appresi tantissime cose. Dopo un po’ di tempo fui “promosso” ed iniziai a selezionare musica per quella piccola radio. Un altro negozio che ricordo con piacere è Magic Sound, a Piazza dei Re di Roma, dove le mie cassette mixate andavano a ruba. Lì ebbi la fortuna di arricchirmi musicalmente con Roberto che curava il reparto soul, jazz e fusion. Un posto altrettanto fornito era Discoteca Laziale, luogo tranquillo e silenzioso, perfetto per i veri audiofili, dove ho acquistato tantissimo materiale, specialmente album di musica elettronica come Alan Parsons Project, Kraftwerk e Jean-Michel Jarre che adoro. Poi naturalmente andavo nei negozi per DJ, quello in cui trascorrevo più tempo era Best Record in via Vodice: il proprietario, Claudio Casalini, solitamente lavorava nell’ufficio al piano superiore mentre Peter, con la sua calma anglosassone, era sempre disponibile a far ascoltare tutte le novità. Atmosfera leggermente più chic si respirava invece in Città 2000, in viale Parioli. Era il negozio di Peppe Farnetti, il primo DJ del Piper già nel 1965, e fu un autentico punto di riferimento dei più importanti DJ della capitale e non solo. L’ultimo baluardo rimasto è il mitico Goody Music che è stato, a quanto ricordo, il primo a far ascoltare dischi attraverso due casse poste agli angoli e piazzate su due colonne che ti “spettinavano”. Tutti i pezzi sembravano belli! Aveva una selezione di dischi d’importazione veramente notevole. In tutti questi negozi si respirava un’aria di sana competizione tra i DJ più o meno famosi, nella continua lotta per riuscire ad accaparrarsi un disco in più rispetto agli altri. Negli anni Ottanta, è bene ricordarlo, erano i proprietari delle discoteche a stanziare il denaro per comprare i dischi pertanto più era alto il budget e più c’era la possibilità di avere un buon repertorio di novità da parte. E lì entrava in moto anche il meccanismo della doppia copia personale.

Il crate digging online è differente rispetto a quello che un tempo si praticava nei negozi?
Direi proprio di sì, non c’è paragone e, un po’ come tutte le cose che si acquistano su internet, non sai mai cosa ti aspetta veramente seppur la scelta non manchi vista l’esistenza di tante piattaforme specializzate. A trarne beneficio è stata senza dubbio la conoscenza, basti pensare che chi si affaccia oggi al mondo del DJing può comprare, oltre al nuovo, una miriade di ristampe e, possibilità economiche permettendo, addirittura gli originali di cui magari si ignorava l’esistenza. Negli anni Settanta ed Ottanta i mezzi erano pochi per approvvigionarsi di dischi “differenti”, era necessario spostarsi in altre città e nel mio caso cito il Disco Più e la Dimar a Rimini, dove riuscivo a trovare cose fuori dai canoni disco.

Ritieni che la digitalizzazione abbia intaccato irrimediabilmente il valore attribuito alla musica?
Paradossalmente la tecnologia, pur rappresentando le fondamenta della musica contemporanea, ha generato un effetto boomerang. Aver reso tutto facilmente accessibile, troppo direi, ha finito col provocare un appiattimento dei gusti e delle conoscenze, e non solo nell’ambiente musicale. Ormai non si fatica più per scoprire qualcosa, a prescindere dall’area di interesse, e in alcuni casi l’uso del vinile, considerato come oggetto di resistenza alla digitalizzazione stessa, si è trasformato in un modo per apparire e darsi un tono. Comunque, al di là di ogni congettura, credo sia ormai sotto gli occhi di tutti che l’avvento del CD (prima) e del download (poi) abbia ucciso definitivamente la discografia, impoverendo le produzioni come non mai. Ormai un brano non dura più di una settimana sulle piattaforme, al massimo due se alle spalle c’è una grossa etichetta, poi solo il dimenticatoio. Prima dell’avvento del web si investiva sulla musica in maniera diversa, dalla grafica per la copertina alla scelta degli studi di registrazione passando per i musicisti e i cantanti. Adesso, con la tecnologia a basso costo ormai diffusa capillarmente in ogni angolo del globo o quasi, si può produrre un disco dalla a alla z con pochi mezzi e in casa. Tuttavia, secondo me, il disco in vinile continuerà a rappresentare meglio questo mondo rispetto ad altri supporti, e ci sarà sempre chi lo supporterà per l’amore di ascoltare o proporre ad altri quelle musiche. Il disco ha bisogno di uno spazio fisico che si materializza tra gli scaffali e questa è una delle ragioni che terrà in vita il valore della musica.

Il retro della copertina di “Walking In The Street” con le foto del Penny Club

Una delle prime produzioni su cui appare il tuo nome è stata “Walking In The Street” di Gold Rush And The Sun-Shine-Sisters, edita dalla Best Record di Claudio Casalini nel 1985. Come ricordi le tue primissime esperienze in studio di registrazione? Quali motivi spingevano allora i DJ come te a cimentarsi nella composizione?
Era il periodo in cui le discoteche sponsorizzavano i 12″ per farsi pubblicità, basti pensare allo Xenon di Firenze o a L’Altro Mondo Studios di Rimini. Per me era l’occasione giusta per oltrepassare la linea di confine tra DJ e produttore così avanzai la proposta a Carlo Bernaschi, proprietario del Penny Club, una splendida mega discoteca a Frascati, zona Castelli Romani, allestita in un palazzo dell’Ottocento e in cui ho lavorato come resident per parecchi anni. Accettò ed infatti sul retro della copertina vennero piazzate fotografie e logo del locale. Dal punto di vista musicale invece, Casalini, dopo aver ascoltato le mie idee, mi suggerì di svilupparle e registrare il tutto nello studio di Stefano Galante, compositore ed arrangiatore che insieme al bassista Paolo Del Prete aveva realizzato già diverse produzioni come “Sweepin’ Off” di High Resolution e “Do It Again” di Asso. La voce invece era di Orlando Johnson, presenza consolidata nelle produzioni italiane di quegli anni. Nello studio di Galante rimasi totalmente affascinato dalla strumentazione: il multitraccia, le batterie elettroniche, i campionatori, i sintetizzatori, ma a restare più impresso nella mia mente fu il processo di costruzione e stesura del brano, insomma, la creazione del pezzo musicale partendo dal nulla. Un anno dopo l’uscita di “Walking In The Street” fu la volta del mio primo remix, quello di “I Feel Good” di Herbie Goins pubblicato dalla Jumbo Records, una delle tantissime label raccolte sotto l’ombrello della Best Record di Casalini. Per l’occasione registrai, sempre su consiglio di Casalini, nel mega studio di Mario Zannini Quirini, oggi direttore d’orchestra. Dopo quelle due esperienze decisi che il mio futuro non sarebbe più stato solo nella consolle di una discoteca ma pure dietro il mixer di uno studio di registrazione. Cominciai gradualmente a comprare la strumentazione necessaria e alla fine degli anni Ottanta trovai un socio per aprire il primo studio. Da quel momento non avrei più trascorso i pomeriggi esclusivamente nei negozi di dischi ma anche nei punti vendita di strumenti come Musicarte e Cherubini. A spingere i DJ verso la creazione di musica in quegli anni ritengo sia stato il desiderio di sperimentare, alimentato fortemente da quelle “macchine infernali” che sprigionavano suoni mai sentiti prima, almeno per me fu così e credo che lo stesso valga per la maggior parte di coloro che gravitavano intorno a quel mondo. La voglia di spingersi sempre oltre era testimoniata anche dai dischi stessi, specialmente quelli provenienti dal Regno Unito che offrivano suoni in continua evoluzione. Il fermento era notevole quanto la condivisione: a tal proposito ricordo quando nell’ambiente romano si sparse voce dell’ottimo utilizzo che facevo del campionatore a tastiera Casio FZ-1 dal costo più accessibile rispetto ad altre macchine dai nomi maggiormente blasonati. Nel mio studio ci fu un bel via vai di amici armati di block notes per prendere appunti. Tra gli altri Michele Prestipino ed Eugenio Passalacqua del team Full Beat di Faber Cucchetti, e Claudio Coccoluto che mi chiese ragguagli sul tempo di campionamento e funzioni varie, seppur alla fine optò per un E-mu Emulator. Oggi le cose sono nettamente diverse, più produci e più ti metti in mostra cercando di ottenere ingaggi per le serate, rimasta praticamente l’unica maniera per guadagnare denaro. Prima gli introiti invece arrivavano principalmente dalle produzioni discografiche. I limiti erano rappresentati dal costo proibitivo delle strumentazioni. La mia prima produzione in assoluto, “The Story Is True” di Cut & Sew And The Partyrock, la feci con un mixer Tascam M-35, il campionatore Casio FZ-1 di cui parlavo prima, un expander Yamaha TX81Z, un multieffetto Lexicon ed una drum machine Yamaha RX5, oltre ad un Technics SL-1200 ed un registratore Revox B77. Fu un vero e proprio taglia e cuci autoprodotto, a cui parteciparono per l’editing Luca Cucchetti e Mauro Convertito, rispettivamente nascosti dietro gli alias L.L. Full C. e Moor Funk’s. Gli scratch invece erano di Ice One ma non ne sono proprio sicuro, sono passati così tanti anni.

Uno scatto che immortala alcune produzioni discografiche di Berardi, diversi flight case e il vecchio setup utilizzato. In particolare, a sinistra dall’alto in basso, si vedono Roland R-8, Casio FZ-10M, Oberheim Matrix 1000, E-mu Morpheus, E-mu Vintage Keys, E-mu Orbit 9090, Akai S3000 ed Akai S2000, accanto invece Casio FZ 1 e Roland JX-10 (Super JX)

Venivi da un passato fatto di rock, funk e disco. Come approcciasti alle “musiche nuove” come hip hop, house e techno?
Il mio approccio con la musica avvenne prima dell’avvento dell’elettronica da ballo, intorno agli undici/dodici anni, quando prendevo lezioni private di pianoforte e chiesi ai miei di regalarmi una batteria acustica (semiprofessionale ovviamente!) ed una pianola della Elka. Al DJing giunsi in seguito, verso i quattordici/quindici anni. Il primo locale in cui misi i dischi era un piccolo club di quartiere chiamato Marilyn. Passare dal funk/disco all’hip hop fu quasi naturale. Chi, come me, aveva seguito personaggi come DJ Kool Herc, Grandmaster Flash & The Furious Five, Marley Marl, Afrika Bambaataa, Whodini, Kurtis Blow, Spoonie Gee, Sugarhill Gang ed altri ancora non faticò certamente ad apprezzare la nuova ondata innescata dai Run-DMC, LL Cool J, Public Enemy o Eric B. & Rakim. La transizione dall’hip hop alla (hip) house invece fu stuzzicata dai campionatori e da pezzi come “Beat Dis” di Bomb The Bass o “Theme From S-Express” di S’Express che cambiarono l’utilizzo del sample rispetto a quello in uso sino a quel momento nell’hip hop. Il resto avvenne grazie alla continua evoluzione e sperimentazione di suoni, d’altronde l’avvicendarsi dei generi musicali è andato di pari passo con le innovazioni tecnologiche.

Un flight case di Berardi decorato da Ice One nel 1988

A partire dal 1989 la tua attività in ambito discografico subisce una netta intensificazione. Col supporto della Energy Production di Alvaro Ugolini e Dario Raimondi Cominesi metti su la Mad DJ’s Band insieme a Luca Cucchetti e Sebastiano ‘Ice One’ Ruocco e poi produci musica (come il fortunato “You Don’t Get Stop”) con la sigla M.B., acronimo che ti accompagna tuttora. Potresti raccontare quella particolare fase creativa della tua carriera?
A fine anni Ottanta la musica hip hop imperversava nella capitale dove nascevano di continuo nuovi gruppi rap, grazie anche alla spinta dei film usciti qualche anno prima sulla break dance, uno su tutti “Beat Street”. In quel contesto nacque la Mad DJ’s Band insieme a Luca Cucchetti, fresco di consolle condivisa con Jovanotti e del remix del suo “Walking”, ed Ice One, giovanissimo rapper e talentuoso writer (mentre eravamo in studio lui disegnava su qualsiasi superficie gli capitasse a tiro, conservo ancora qualche flight case coi suoi graffiti e il primo logo di M.B. è proprio opera sua!). Nel progetto Mad DJ’s Band coprivamo ruoli precisi: io mi occupavo dei sample, della parte ritmica, della struttura e del mixaggio, i testi e gli scratch erano di Sebastiano mentre gli editing di Luca. Poi, a seconda delle esigenze, interpellavamo amici come Elvio Moratto, che suonò le tastiere nel singolo d’esordio, “Get Mad”, o il giovane talento Stefano Di Carlo che si occupò delle linee melodiche dei brani pubblicati in seguito. Gli scratch addizionali invece erano degli italiani usciti vittoriosi dalle gare del DMC come Francesco Zappalà, Giorgio Prezioso e Andrea Piangerelli. Realizzammo tre singoli ed un doppio album a cui si aggiunse pure un 12″ con su incise basi ed effetti vari, “Mad DJ’s Grooves Volume 1”. M.B. invece nacque come avventura solista per poter identificare il mio lavoro in studio. Qualche viaggio oltremanica e le uscite che arrivavano dagli Stati Uniti mi spinsero a cimentarmi in altri generi. La X-Energy Records mi chiese di dare un taglio hi NRG alle nuove produzioni e in tal senso credo di aver campionato davvero tutto il campionabile. Avevo scatole piene di floppy disk con sample di bassline e sequencer in stile Giorgio Moroder, Patrick Cowley e Bobby Orlando. Per “Fast And Slow” del 1989, ad esempio, usai un frammento di “Hills Of Katmandu” di Tantra, prodotto da Celso Valli esattamente dieci anni prima. La grafica in copertina in stile murales era di Ice One. Per i dischi a seguire invece cambiai marcia anche grazie all’apporto di Stefano Di Carlo che suonava le tastiere. “The Beat”, del 1990, è quello a cui sono più legato e penso mi identifichi meglio, ma quell’anno uscì pure “You Don’t Get Stop” che riscosse un discreto successo e venne licenziato in Germania dalla Logic Records degli Snap! e in Spagna dalla Boy Records. I due singoli successivi, “Feel The Heat” e “Make It Right”, erano contraddistinti da un suono più duro influenzato dai rave di allora che riuscivano a raccogliere folle immense di pubblico anche di 5000 persone. All’Ombrellaro del 4 aprile 1992, a cui partecipò pure un giovanissimo Aphex Twin, eseguii dal vivo “Make It Right” così come si può vedere in questo documentario, e quella fu l’ultima uscita su X-Energy Records che per me chiuse il filone della rave techno.

Underground Nation Undertour Sensation (sopra) e Cosmic Underground (sotto), due produzioni particolarmente ricercate del repertorio di Berardi

Tra 1992 e 1993 col citato Cucchetti realizzi “Save Me” di Underground Nation Undertour Sensation e “Trance Me EP” di Cosmic Underground, editi rispettivamente da Mystic Records ed R. Records, due tra le numerose etichette patrocinate dal negozio Re-Mix di Sandro Nasonte. Ai tempi i negozi di dischi potevano rappresentare punti di ritrovo e confronto tra addetti ai lavori e semplici appassionati. Alcuni si trasformarono in veri e propri quartier generali di etichette o freemag, come il Disco Inn di Modena e il Disco Più di Rimini o, all’estero, il Disco King di Mouscron e il Blitz da cui nacquero la DiKi Records e la Bonzai come raccontiamo qui e qui. Ritieni che il web abbia sostituito egregiamente quelle iniziative oggi rimaste tra le espressioni di un mondo che non esiste più? In caso contrario invece, cosa si stanno perdendo le nuove generazioni rispetto alle vecchie?
Tra ’91 e ’92 ci fu un cambiamento quasi radicale. La house continuava ad evolversi, specialmente nel genere deep che iniziò ad allargarsi a macchia d’olio in Italia dove nacquero tantissime accreditate realtà guidate da personaggi come MBG (che per me resta il maggior esponente italiano di quella scuola), Alex Neri ed Andrea Torre, il “pifferaio magico”. Per quanto mi riguarda, quel cambiamento fu espresso pienamente da “Save Me” di Underground Nation Undertour Sensation, prodotto ancora con l’amico Luca Cucchetti (fu sua l’intuizione di unire le forze con Torre) che curò il mixing finale e Stefano Di Carlo alle tastiere. La versione più emblematica è la Noneta del citato Andrea Torre. Il progetto sembrava fatto su misura per il movimento che gravitava intorno al suo seguitissimo programma radiofonico e le serate “tappetose” al Uonna Club, uno storico locale romano in cui si celebrava proprio questo genere. La prima volta che portai il provino a Torre fu subito amore, ricordo ancora i momenti della costruzione di quella versione. L’idea (geniale) di aggiungere la voce di una signora anziana che raccontava la poesia “Le Nuvole” di Fabrizio De Andrè fu di Peter, il commesso di Best Record menzionato prima, e non a caso “nuvolosità variabile” era uno slogan creato ad arte da Andrea per il suo programma mentre il nome del progetto prendeva spunto da Underground Nation, la classifica deep in onda su Radio Centro Suono, un’emittente romana che in quegli anni rappresentò l’epicentro di un vero e proprio movimento. Dulcis in fundo, l’uscita del disco coincise con la nascita di mio figlio Andrea menzionato tra i ringraziamenti sul centrino, e il sample del bambino nella versione Hardcore di Paolo ‘Zerla’ Zerletti non fu casuale. Il “Trance Me EP” di Cosmic Underground invece nacque un anno dopo e l’idea di partenza era realizzare un remix di “Save Me” ma con un arrangiamento più trance. A quella versione aggiungemmo due inediti, “Minimal Dream” ed “House Evolution”. A differenza di quando uscì, oggi è diventato un disco piuttosto ricercato e con un discreto valore per gli appassionati e ciò non può che rendermi felice. Ho già ricevuto diverse richieste di ristampa. Per quanto riguarda i negozi, credo che negli anni Novanta Re-Mix sia stato un vero e proprio quartier generale, un punto di riferimento per la quasi totalità dei DJ e produttori di quel sound ma anche per coloro che ascoltavano la radio e partecipavano agli eventi. Una tappa obbligata per gli addetti ai lavori che bazzicavano la club culture capitolina, per non parlare poi delle produzioni annesse. Basterebbe citare la Sounds Never Seen, la Plasmek, la Synthetic, la Nature Records o la Killer Clown Records che hanno visto come protagonisti Lory D, Andrea Benedetti, Mauro Tannino, Stefano Di Carlo, Marco Passarani, Cristiano Balducci e molti altri ancora, tutte realtà che hanno contribuito alla nascita di una scena riconosciuta anche all’estero. I giovani adesso sono abituati a comprare online, chi è passato da lavorare dietro il bancone di un negozio agli store virtuali ha fatto comunque un lavoro enorme. Noto con piacere il fiorire e il proliferare di realtà che combinano etichetta, produzione, mastering e distribuzione con intenzione di dare spazio sia a nuove proposte che a ristampe di classici o rarità del passato.

Nel 1994 il progetto Cosmic Underground si trasforma in Cosmic Galaxy ed apre il catalogo della Virtual World, etichetta distribuita dalla milanese Discomagic a cui, nello stesso anno, tu e Cucchetti destinate “Pussy” di The Fair Sex, altrettanto ambito per i collezionisti. Come arrivaste a Lombardoni?
Cosmic Galaxy è stata croce e delizia. Per me ha rappresentato uno dei momenti peggiori a livello personale e, di conseguenza, una fase di stanchezza mentale. Avevo un cassetto pieno di idee e progetti lasciati a metà, così provammo a mettere in ordine qualcosa e finalizzare le tracce incomplete. Ricavammo tre DAT ma non ricordo quanti pezzi fossero incisi sopra. Ad occuparsi di chiudere i contratti con le etichette è sempre stato Luca e quella volta partì alla volta di Milano. Negli uffici della Discomagic incontrò Emilio La Notte che ascoltò i brani e creò appositamente la Virtual World per prodotti di quel tipo, diciamo un misto tra techno, minimal e deep house. Furono stampate 500 copie di “Dream Girl” di Cosmic Galaxy ed altrettante di “Pussy” di The Fair Sex. A seguire arrivarono “Change Position” di A Girl Called Bitch su Subway Records e “You Don’t Get Stop” di Morena su Out. Era ciò che restava di quei DAT ma francamente non ho memorie in merito. “Dream Girl” è stato ristampato nel 2019 dalla Obscure World mentre il brano “Walkin’ On The Moon” è finito sull’olandese Safe Trip per il terzo volume della fortunatissima compilation “Welcome To Paradise”. Per maggio è atteso un EP su KMA60, la label di Jamie Fry e Dana Ruh, che su un lato conterrà “Save Me” ed “House Evolution” di Cosmic Underground e sull’altro “Cosmic” e “Virtual Transpose” di The Fair Sex. Mi rende felice sapere che a distanza di tanti anni questi brani facciano parte di una cultura musicale ben definita e che le nuove etichette ne siano consapevoli.

Gli Harlem Hustlers in una foto del 2001

Negli anni Novanta chi, come te, produceva tanta musica ricorreva all’uso intensivo di molteplici nomi di fantasia a differenza di oggi, con la scena contraddistinta da un individualismo assai più pronunciato. Alito, Base On Space, The Night Fever, Critical Release, Players Inc., Star Funk e The Hammer sono solo alcuni di quelli che ti riguardano, ma menzione speciale merita Harlem Hustlers, condiviso con Roberto Masutti sin dal 1996, con cui realizzi vari brani ma soprattutto remixi un numero abissale di artisti. C’era (e c’è) un preciso modus operandi nel vostro lavoro in studio?
Usare più pseudonimi contemporaneamente era nella norma. Avere almeno due produzioni nuove ogni mese, che il più delle volte diventavano tre o quattro, obbligava ad una scelta simile per non inflazionare il nome su cui si puntava di più. Poi entravano in gioco ragioni di direzione musicale o di esclusive strette con alcune etichette. Come Base On Space, ad esempio, ho prodotto per la Lemon Records (di cui parliamo qui, nda), per la Big Big Trax di Victor Simonelli e per la D:Vision, Star Funk era destinato alla milanese Hitland, Cyclone alla Propaganda… Harlem Hustlers invece nacque per pura casualità con la voglia di provare a cambiare lo status quo della house nella seconda metà degli anni Novanta. Conobbi Roberto Masutti tramite un amico in comune. Ad oggi abbiamo realizzato, tra remix e produzioni, quasi duecento brani. Lui è un vero esperto dell’hardware e software, sempre aggiornatissimo sulle novità e con una specialità per l’effettistica. È dieci anni più giovane di me ed ha un gusto musicale molto raffinato. Dopo i primi lavori portati a termine in studi diversi, decidemmo di metterne su uno tutto nostro, il Penthouse Studio, ancora esistente, situato all’ultimo piano di un edificio. Scelsi il nome Penthouse anche in virtù di un apprezzato programma radiofonico su Radio Centro Suono. Il nostro rapporto è andato oltre la semplice collaborazione lavorativa. A tenerci uniti, oltre ad una solida amicizia, è sempre stato un grande rispetto reciproco. Modus operandi? Ascoltiamo il brano da remixare, decidiamo la direzione da prendere ed una volta trovato il sample giusto da accostare, ci dedichiamo alla linea di basso, alla drum e all’arrangiamento. A seguire stesura e missaggio finale, da riascoltare dopo un paio di giorni di pausa. Ricordo ancora molto bene l’emozione che provammo quando, grazie alla D:Vision, ascoltammo il 24 piste originale di “Guilty” delle First Choice, in cui le cantanti ridevano, scherzavano e provavano gli strumenti. Prima di quel momento per noi era una cosa impensabile poter lavorare sui brani della Philly Groove Records. Poi avremmo messo le mani pure su “Put Yourself In My Place” di TJM, in origine su Casablanca, su “Lovin’ You Is Killing Me” dei Moment Of Truth, dal catalogo Salsoul, e su “Don’t Put Me Down” di Finishing Touch: la nostra Soul Reconstruction Mix era tanto cara a Frankie Knuckles. Qualche tempo fa Domenico Scuteri della Lemon Records, a mio parere tra i migliori musicisti, compositori e sound engineer italiani, definì gli Harlem Hustlers gli artefici del “cut off sampling”. Non so se effettivamente siamo stati i primi ma quando sento un disco nuovo che lavora col filtro passa basso e l’automazione non posso non ricordare che noi lo facevamo già venti (e passa) anni fa. Anche con gli A&R delle varie etichette con cui abbiamo lavorato e collaborato c’è sempre stato un profondo rispetto. In qualche caso, come con la Strictly Rhythm o la Azuli Records, le richieste riguardavano perlopiù piccole correzioni ma mai stravolgimenti. Con la X-Energy c’era un rapporto praticamente quotidiano e il confronto con Alvaro Ugolini portava tanti buoni consigli. Una volta Bob Sinclar ci chiese le parti del remix che realizzammo per la sua hit del 2006, “World, Hold On (Children Of The Sky)”: volle fare un editing della nostra versione migliorandola con un paio di correzioni sulla stesura. Il risultato su la Bob Sinclar Vs. Harlem Hustlers Remix. Con Sinclar, peraltro, ci furono precedenti molto lusinghieri. Già nel 2004 infatti remixammo “Sexy Dancer” e la nostra versione venne pubblicata pure sulla sua Yellow Productions, e grande soddisfazione giunse anche quando il remix che facemmo per “Give A Lil’ Love” venne scelto dalla Tim come sigla del campionato di serie A 2006-2007.

Con alcuni musicisti capitolini ti sei affacciato anche alla musica lounge con Joker Juice.
Esattamente. Joker Juice nasce come progetto commissionato dalla Energy Production a cui hanno preso parte diversi musicisti una quindicina di anni fa circa. La considero una meteora quasi sperimentale in un periodo in cui imperversava la musica lounge con le mitologiche compilation in stile “Buddha Bar”. Alcuni brani dell’album “Contrast” sono stati selezionati per numerose compilation specializzate nel settore.

Continui tuttora a rieditare pezzi per la Full Time Records: cosa pensi del re-edit “selvaggio” praticato da quelle etichette, fisiche e digitali, che sfruttano la musica di altri ma senza alcuna autorizzazione da parte di autori ed editori depositari dei diritti? È un fenomeno arginabile in qualche modo?
Il re-edit che definisci “selvaggio” è un problema culturale, praticato perlopiù da chi vuole solo cavalcare l’onda di un genere senza farsi troppi scrupoli e non conosce a fondo la materia o non gliene importa nulla di approfondire sulle radici del brano che sta utilizzando. Un ventenne alle prese con un pezzo anni Settanta/Ottanta non si pone troppi problemi e preferisce fare ciò che meglio crede, aiutato dai software che facilitano la manipolazione. Però per fare cose buone non basta mettere una cassa dritta su un sample. Il re-edit dovrebbe limitarsi ad isolare le parti migliori di un brano e sistemarle in modo da non avere quelle interruzioni o classiche pause dei pezzi disco/funk. In questa disciplina uno dei migliori per me resta Danny Krivit. Leggere il suo nome sui dischi mi fa subito pensare ad un prodotto concepito col massimo rispetto per l’artista. Per quanto mi riguarda, cerco di essere sempre molto attento a non oltrepassare il limite. Provo un rispetto profondo per l’artista su cui lavoro e d’altronde vengo dalla scuola in cui si potevano campionare dalle due alle quattro battute. In passato c’era più rigidità nel controllo dei sample, adesso se il brano funziona, che sia un edit o un remix, si trova un accordo tra l’etichetta/editore e il producer creando una buona opportunità di lavoro per entrambe le parti. Tornando alla domanda, non credo che la pseudo cultura di saccheggiare materiale altrui sia arginabile. Ci dovrebbe essere un’educazione musicale, una sorta di bon ton che indichi dove fermarsi prima di essere risucchiati nel mercato ormai troppo inflazionato del disco re-edit. Speriamo in un cambio di direzione e che si ritorni a scrivere qualche nota in più in onore della nostra amata house music. Collaborare con la Full Time per me è una gran bella soddisfazione. Avere la possibilità di lavorare su brani inavvicinabili quando iniziai la mia carriera è qualcosa di magico. Adesso, con tutto il rispetto possibile, cerco di renderli più attuali e fornire ad essi una marcia in più ma senza offendere le versioni originali.

La pandemia da coronavirus ha “congelato” il mondo delle discoteche da ormai un anno a questa parte. In Rete si sentono e leggono tanti buoni propositi legati all’agognata ripartenza di cui però al momento nessuno è in grado di prevedere l’inizio. Credi sia possibile ristabilire priorità, scala valori e meritocrazia in un settore come quello del nightclubbing che nell’arco di un trentennio circa ha remato costantemente verso la mercificazione dell’arte e della passione?
Secondo me la pandemia ha solo dato lo schiaffo finale ad un mondo che ormai non funzionava più da un pezzo. Ci vorrà tempo e un cambio generazionale non indifferente per tornare ai fasti di una volta, bisognerebbe creare qualcosa di autenticamente nuovo per dare un seguito a ciò che fu fatto di buono in passato. Spero che l’incubo del covid-19 possa finire al più presto, abbiamo bisogno psicologicamente dei nostri punti di riferimento ma soprattutto di musica.

Due ultimi scatti relativi ad altre parti della collezione di Massimo Berardi

Estrai dalla tua collezione dieci dischi a cui sei particolarmente legato aggiungendo per ognuno di essi un’accurata descrizione.

Pink Floyd – The Dark Side Of The Moon
Da ragazzo rimanevo affascinato da tutto ciò che era futuristico e fantasticavo sul fatto che nel 2000 le astronavi avrebbero sostituito le utilitarie. “The Dark Side Of The Moon”, uscito nel 1973, è in assoluto l’LP che mi ha accompagnato più di tutti in quel viaggio immaginario. Sperimentazione allo stato puro, sia per l’uso dei sintetizzatori che per i rumori d’ambiente utilizzati come mai nessuno aveva saputo fare prima. Per tutti quelli della mia età fu un’introduzione a sonorità da viaggio mentale, un vero e proprio apriscatole delle emozioni.

Cerrone – Love In C Minor
La storia della disco music è piena zeppa di nomi importanti che hanno dato vita ad essa e Cerrone è sicuramente uno di questi. La prima volta che lo ascoltai avevo circa quattordici/quindici anni, i gemiti femminili abbinati alla cassa dritta mi fecero andare letteralmente in estasi. Potrebbe essere definito quasi un pezzo proto house. Da metà in poi, con l’esplosione di accordi e i fraseggi, era come fare sesso con le note musicali. Sono particolarmente legato a questo disco perché mi ricorda un caro amico che non c’è più con cui trascorrevo i pomeriggi a selezionare ed ascoltare musica sul suo mega impianto.

Jean-Michel Jarre – Oxygene
Dire che questo disco mi abbia influenzato è poco, e per capirlo basta ascoltare “Dream Girl” di Cosmic Galaxy. Lo comprai quando ero molto giovane ma nonostante ciò diedi ad esso il giusto valore tanto da ascoltarlo ininterrottamente in cuffia quasi a stancarmene. Lo “incrociai” nuovamente qualche anno dopo cercando di scoprire qualcosa in più sull’autore e sull’utilizzo che fece degli “strumenti infernali” tra cui il primo modello del VCS3 della EMS di Peter Zinovieff, l’organo elettrico Eminent 310 Unique ed una drum machine Korg Mini Pops. Semplicemente spettacolare.

Rose Royce – In Full Bloom
Cercai questo album del 1977 per un brano in particolare, “Do Your Dance”, uno di quelli che si sentivano nella Baia Degli Angeli, il tempio che ha spinto tanti ad intraprendere l’avventura da DJ. Nella sua interezza, “In Full Bloom” è uno di quei dischi che si apprezzano col passare del tempo. Puoi ascoltarlo in qualsiasi momento della tua vita e ti sembrerà sempre di averlo appena comprato. A produrlo fu Norman Whitfield, uno dei creatori del cosiddetto Motown Sound. Tra gli altri brani contenuti segnalo “Wishing On A Star” scritto da Billie Calvin e riproposto nel 1998 da Jay-Z in una fortunata cover.

Herbie Hancock – Future Shock
Hancock è uno dei tanti leggendari musicisti che hanno suonato per la band di Miles Davis. “Future Shock”, uscito nel 1983, probabilmente non è il lavoro migliore del suo repertorio ma il più vicino ai poveri mortali amanti della disco/funk, come me. Un artista un po’ nomade a cui è sempre piaciuto passare da un genere all’altro e che per l’occasione si avvicinò sensibilmente all’elettronica sperimentandone le potenzialità insieme al grande bassista Bill Laswell. A venirne fuori fu un fantastico album electro funk trainato dalla hit “Rockit”, devastante in pista.

Gaznevada – I.C. Love Affair
Nei primi anni Ottanta le domeniche pomeriggio in discoteca erano musicalmente assai diverse rispetto al venerdì o al sabato, quando la selezione era più certosina ed elegante. L’età media del pubblico che frequentava i locali la domenica pomeriggio era più bassa e quindi c’era grande possibilità di sperimentare cose nuove. A me piaceva molto proporre le novità di matrice elettronica, specie il filone italo disco, ma senza abbassare troppo la qualità, e i Gaznevada, come i N.O.I.A. o gli International Music System (di cui parliamo qui e qui, nda), si prestavano perfettamente a tale scopo. “I.C. Love Affair”, pubblicato dalla bolognese Italian Records (a cui abbiamo dedicato una monografia qui, nda), è uno dei pezzi con cui ho rischiato quasi di svuotare la pista la prima volta che lo misi ma poi, armandomi di costanza e tenacia, sono riuscito a farlo diventare un inno. Agli amanti del genere consiglio i remix pubblicati nel 2015 raccolti nella Exclusive Edition.

Adonis – No Way Back
È doveroso per me ricordare la Trax Records, iconica etichetta di Chicago che ha sconvolto il mercato dance nella seconda metà degli anni Ottanta con una miriade di produzioni passate alla storia. La scelta è difficile ma è caduta su questo brano di Adonis del 1986 che mi ricorda il primo viaggio a Londra. Entrai in uno dei tanti negozietti di dischi sparsi per la città e c’era questo brano sparato da un mega impianto. Rimasi folgorato dai club e dal modo in cui lì si viveva la musica, passando dai negozi di abbigliamento in stile acid house ed ovviamente quelli di dischi. Un autentico percorso di vita.

University Of Love Featuring MBG – Vostok 3
Un vero colpo al cuore, “Vostok 3”, uscito nel 1992, ha fatto il bello e il cattivo tempo dei miei sentimenti, un quadro da appendere in un punto quasi nascosto della casa in modo da soffermarti a guardarlo ogni volta che ci passi davanti. Inneggia a momenti memorabili di un periodo glorioso della musica dance e del clubbing italiano, un’opera d’arte per me come tutto quel filone nostrano deep house che ancora oggi, a distanza di ormai un trentennio, continua ad avere un ottimo mercato.

Raymond Castoldi – Biosphere 2
Se un giorno qualcuno mi domandasse quale disco avrei voluto realizzare indicherei senza ombra di dubbio questo, pubblicato dalla statunitense X-Ray Records nel 1993. Sino a qualche tempo fa ne possedevo tre copie, una l’ho venduta ad un carissimo collega, una continuo ad usarla senza sosta, l’ultima invece la ho riposta con cura sullo scaffale. Un disco pieno di tutto ciò che un DJ ha bisogno, suoni acidi, melodia, una bassline dal suono retrò e tanto amore.

Danny Tenaglia – Tourism
Penso sia uno degli album house più completi mai incisi in assoluto. Pubblicato nel 1998, gira su suoni techno, tribal e progressive incorniciati da splendide melodie. Un quadruplo pieno di pezzi (tra cui l’arcinoto “Music Is The Answer (Dancin’ And Prancin’)”, nda) che fanno la differenza ancora oggi. Il mio preferito resta “Do You Remember” col featuring di Liz Torres. Al Penthouse Studio non passò inosservato, io e Roberto Masutti ne comprammo una copia a testa.

(Giosuè Impellizzeri)

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La storia di Italian Style Production, etichetta-laboratorio della Time

Nel 1990 la house music ha già conquistato in modo definitivo i gusti dei giovani europei. Le prime produzioni italiane di questo genere circolano sin dal biennio 1987-1988 (per approfondire si rimanda a questo dettagliato reportage), ma nel 1989, con l’exploit mondiale di artisti come Black Box, FPI Project, 49ers e Sueño Latino, l’attenzione delle case discografiche indipendenti si sposta in modo netto verso quella che inizialmente sembra solo l’ennesima delle mode passeggere provenienti dall’estero. Alla Time Records, in attività sin dal 1984 in ambito italo disco/hi NRG, si cercano nuovi stimoli e strade da percorrere e in tal senso la house appare la scelta stilistica più ovvia e rassicurante dal punto di vista economico. «Fino all’esplosione della house made in Italy avevo indirizzato la nostra produzione prevalentemente all’hi NRG e al mercato giapponese» spiega Giacomo Maiolini, fondatore della Time, in un’intervista del febbraio 1993. Ed aggiunge: «Una volta scoppiato il boom dell’italian style (non è chiaro se il manager si riferisse allo stile italiano della house che conquista le classifiche internazionali o specificatamente alla sua etichetta, nda) ho aggiunto al nostro catalogo un buon quantitativo di prodotti ricalcanti questa linea con notevoli risultati». Nasce così una label finalizzata a coprire un nuovo segmento stilistico, diverso da quello che la Time destina al Paese del Sol Levante. Per cavalcare il boom della house però Maiolini, come lui stesso illustra in questa intervista di Alfredo Marziano pubblicata da Rockol il 24 gennaio 2014, si affida a persone completamente diverse perché «chi lavorava sulle produzioni giapponesi non era in grado di lavorare sulla house e viceversa». La neo etichetta, tra le prime sublabel del gruppo Time, si chiama Italian Style Production e già nel nome evidenzia lo spirito patriottico. Ad accompagnarla, per diversi anni, è la tagline “House Evolution” e un design grafico che mostra una coppia stilizzata di un uomo ed una donna che ballano a cui si somma un logo simile al simbolo della pace rovesciato. Il divertimento, la musica e il senso di unione, del resto, sono il leitmotiv di quel periodo, soprattutto se si pensa alla Berlino post Muro. Il business discografico prospera e sul mercato non faticano ad arrivare anche quei pezzi nati con l’obiettivo di prendere le misure di una musica nuova e dall’evoluzione in divenire. A dirla tutta, Italian Style Production sembra proprio un’etichetta-laboratorio da cui escono, per anni, centinaia di pubblicazioni tra cui, di tanto in tanto, qualche successo nazionale ed internazionale. Parte del resto diventa materiale cult per appassionati e collezionisti attenti a tutto ciò che, per ragioni plurime, non finisce nelle classifiche di vendita e sotto i riflettori.

1990-1991, l’avvio nel segno dell’italo house

DJ Pierre - Move Your Body

“Move Your Body” di DJ Pierre (il bresciano Pierangelo Feroldi) è il primo disco pubblicato su Italian Style Production

Ad aprire il catalogo è “Move Your Body” di DJ Pierre (Pierangelo Feroldi), disc jockey bresciano già con diverse produzioni alle spalle e che, come si evince dalla biografia di Maiolini disponibile sul sito della Time Records, è co-fondatore della stessa Italian Style Production. Il brano, scritto insieme al veronese Roberto ‘Roby’ Arduini, mette insieme le pianate tipiche della spaghetti house con una base in stile Twenty 4 Seven e sample tratti da “Get Up! (Before The Night Is Over)” dei belgi Technotronic. Segue “Come On Come On” di Aysha, scritto da Arduini e Ronnie Jones sulla falsariga dell’hip house degli olandesi Twenty 4 Seven (di cui abbiamo parlato qui) e “I Need Your Love”, primo disco di Jinny, progetto destinato a raccogliere particolari consensi ma solo negli anni a venire. Prodotto da Walter Cremonini e scritto da Francesco Boscolo, co-autore di “I’m Alone” dei Club House uscito nel 1989 su Media Records e di cui si parla qui, il pezzo fa leva su un sample vocale preso da “It’s Too Late” di Nayobe. Da questo momento in poi, Cremonini diventa uno dei principali protagonisti dell’Italian Style Production. Sua la firma dell’hip house di “Come On Yours” di B Master J, arrangiato con un altro di cui si parlerà parecchio in futuro, Claudio Varola. Più schiettamente italo house è invece “Movin Now” di Pierre Feroldi Featuring Linda Ray, costruito sulle armonie di “System” di Force Legato e le voci di “Waited So Long” di Darcy Alonso, riprese dallo stesso autore nel ’93 in “Make It Together” di Drop ma in chiave eurodance. È sempre Feroldi, affiancato da Laurent Gelmetti, a realizzare “I Can’t Feel It” di Yankees, quasi un clone di “I Can’t Stand It” dei Twenty 4 Seven, e “Going On” di KC Element, un mosaico di sample assemblato a mo’ di medley (“Happenin’ All Over Again” di Lonnie Gordon, “Don’t Miss The Party Line” dei Bizz Nizz, “Poetry House Style” di J.D. Featuring Inovator Dee e “A Little Love (What’s Going On)” di Ceejay). Pare che prima di essere pubblicato su Italian Style Production il brano circoli su un promo firmato come J.D. Element, poi cambiato in KC Element probabilmente per non correre il rischio di essere facilmente collegato col J.D. (John Laskowski) campionato. La decima uscita vede debuttare un altro nome di cui si sentirà parlare negli anni successivi, Dirty Mind. “The Killer” attinge dal campionario sonoro new beat ma con una citazione funk/disco dei MFSB tratta da “Zach’s Fanfare #2” (dall’album “Philadelphia Freedom” del ’75). A produrla è il team dell’Extra Beat Studio, Antonio Puntillo, Sergio Dall’Ora e Roby Arduini, con la collaborazione di Pagany. A mixarla invece Max Persona, intervistato qui. Arriva dall’estero invece “The Future Is Ours”, l’album della coppia Musto & Bones preso in licenza per l’Italia dalla City Beat e da cui viene estratto il singolo “All I Want Is To Get Away”.

Feroldi ed Arduini sono due autentici fiumi in piena: realizzano “House Of Hell” di House Corporation strizzando l’occhio agli Snap!, “For Your Love” di Anita Adams, “Ain’t No Sunshine” di Soul To Love, “Walking Away” di Synthesis e “Get Round” di Blazer. L’uso intensivo di un nuovo pseudonimo per ogni disco rivela una pianificazione tutto fuorché strategica. La house, del resto, è musica fitta di incognite e misteri, sbocciata tra mille nomi di fantasia e sample raccattati a destra e a manca (e senza alcun credito riservato agli autori originali), e ciò alimenta parecchio la curiosità del pubblico. Si rifanno vivi i veronesi dell’Extra Beat, prossimi ad essere messi sotto contratto dalla Media Records, con un altro pezzo che incrocia new beat (in Italia a lungo spacciata per techno) ed hip house, “I’m A R.A.B.O.L.” di Fighter MC. Quella su Italian Style Production è praticamente una staffetta tra Verona e Brescia: Feroldi gioca ancora coi sample in “Work For More” di Linda Ray, “Thank You” di Synthesis, “What’s Happened” di Yankees, “Spaak” di Task Force, “No One Can Do It Better” di B Master J, “African Jungle” di African Jungle e in “The Beat” firmata a suo nome. A “Brain” collega l’acronimo P.F. mentre con Marcello Catalano realizza “Got To Try” di KC Element, “It’s A New Day” di Jennifer Payne, “OK Radio” di Soggetto, “No Groove” di House Of Crazy Sound, “Back Again” di Rap Delight, “Let Your Body Move” di MC Marshall (cantato da Valerie Still, affermata cestista statunitense che tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta tenta la carriera musicale e di cui parliamo qui nel dettaglio), “Visions” di Basic Experience, “Double U” di Hypnotik (sul giro di “Assault On Precinct 13” di John Carpenter), “Go Get It” di Smiling Frogs e “Tonight” di In House, quest’ultimo in battuta downtempo ammiccando alla hit degli Enigma, “Sadeness Part I”. Dirty Mind riappare prima con “The Dream” in cui scorre, tra le altre cose, un sample ritmico dei Kraftwerk, e poi con “What Time Is It”, entrambe estratte dall’album “The Killer”. Su basi house iniziano ad apparire sovente suoni sintetici annessi convenzionalmente alla techno, come avviene in “Stop Provin'” di X.B.T. prodotto a Verona ancora da Arduini, Puntillo e Persona. I primi due affiancano Francesco Scandolari in “New Life, New Civilization” di Doctor Franz. Cremonini e Boscolo, da Padova, firmano invece il downtempo/hip hop di “Party Time” di M.C. Tad (Tad è l’acronimo di The Absolute Dopest) e la euro techno di “Got To Be” di Hypnotyk mentre Marco Bongiovanni, ex bassista dei Gaznevada e in quel periodo alle prese col fortunato progetto DJ H. Feat. Stefy condiviso con Enrico ‘DJ Herbie’ Acerbi (di cui si parla qui), produce “Just Groovin'” come DJ D Lite usando un sample di “Video Games” degli Alien con qualche anno di anticipo rispetto ai Pan Position che lo inseriranno in “Elephant Paw”.

KC Element - What Time Is It

“What Time Is It?” di K.C. Element è il primo 12″ che la Italian Style Production pubblica col centrino di colore blu

Il primo ad essere pubblicato nel 1991 è “What Time Is It?” di KC Element, prodotto da Feroldi e Dall’Ora seguendo lo stile della hardcore techno britannica che comincia a vivere un periodo di forte esposizione commerciale. È anche il primo 12″ dell’Italian Style Production col centrino di colore blu, da questo momento usato alternativamente al nero. Forse inizialmente tale scelta viene presa per evitare la monotematicità grafica ma, come si vedrà più avanti, la distinzione cromatica poi servirà anche ad un fine preciso. Blu è pure il colore scelto per l’etichetta centrale di “Run To Me” di Ruffcut Featuring Carol Jones, ad opera di Feroldi, Ivan Gechele e Mauro Marcolin. Campionando il riff di “Let Me Hear You (Say Yeah)”, la hit di PKA, sovrapposto al rap preso da “Jam It On The Dance Floor” di Unity Featuring The Fresh Kid e un frammento di “(I Wanna Give You) Devotion” dei Nomad, la coppia Feroldi/Marcolin realizza “Jammin On The Dance Floor” di House Corporation a cui seguono, in rapida sequenza, “Get On The Floor” di DJ Pierre, “Make A Move” di P.F. e “Rock The House” di Synthesis.

M.C. Claude - Highlander

Attraverso “Highlander” di M.C. Claude, Italian Style Production vara un diverso layout grafico usato per anni in modo saltuario

Poi si fanno risentire Boscolo e Cremonini con “Highlander” di M.C. Claude (il primo apparso con un layout diverso con una combinazione grafica minimalista) e sbuca una nuova licenza, “Love Let Love” di Tony Scott, rilevata dall’olandese Rhythm Records. Dopo un anno di attività e con oltre cinquanta uscite all’attivo, l’Italian Style Production inizia a circolare capillarmente nel mercato discografico seppur non abbia ancora centrato l’obiettivo con una vera hit. La situazione cambia col ritorno di Jinny per cui questa volta Cremonini si lascia affiancare da Alex Gilardi e Claudio Varola. “Keep Warm” è ispirato dal quasi omonimo “Keep It Warm” di Voices In The Dark del 1987 (campionato nel medesimo periodo dai romani Groove Section nella loro “Keep It Warm” su Hot Trax) e scandito da un secondo sample preso invece da “Playgirl” di La Velle, lo stesso che compare in “Your Love” di Fargetta nel 1993. Come racconta Gilardi qui, la Next Plateau di Eddie O’Loughlin pubblica “Keep Warm” negli Stati Uniti considerandola una potenziale hit e nell’affare entra anche la Virgin Records che gestisce il prodotto per il resto del mondo. Il brano fa ingresso nella top ten dance di Billboard e in decine di altre rilevanti classifiche statunitensi, finendo in programmazione radiofonica insieme a colossi del pop/rock. Ottimi risultati giungono anche dal Regno Unito e dall’Europa continentale ma, stranamente, non dall’Italia dove “Keep Warm” passa del tutto inosservata almeno sino al 1995 quando la londinese Multiply Records pubblica nuovi remix, tra cui quello dei veneti Alex Party, e Jinny finisce a Top Of The Pops.

Feroldi e Marcolin continuano ad incidere brani su brani, da “Everybody Get Up” di Magic Marmalade (a cui collabora Carlo Paitoni ovvero Carlo Vanni del negozio di dischi bresciano Deejay Choice di cui parliamo in Decadance Extra) a “Jungle Beat” di African Jungle, da “Get Away” di Pierre Feroldi Featuring Linda Ray (il main sample viene da “Stop And Think” dei Fire On Blonde) a “Living” di New World passando per “Love Me Now” di M.C. Marshal, “I’ve Got The New Attitude” di Linda Ray, “I’m Gonna Get You” di Jennifer Payne (il campione, preso da “Love’s Gonna Get You” di Jocelyn Brown, è lo stesso che useranno l’anno dopo, ma con più fortuna, i Bizarre Inc) e “Fever” di Carol, costruito sulla falsariga di “Touch Me” dei 49ers ed “I Like It” di DJ H. Feat. Stefy. Da Verona giunge “Everybody Let’s Go”, nuovo singolo di Dirty Mind allacciato ai suoni della eurotechno che vive la prima fase di commercializzazione, mentre da Padova “You Got The Dance” di Open Billet, “I Can’t Stand It” di Sound Machine, “Peecher Rap” di Woody Band e “Let’s Go” di B Master J per cui viene adoperata ancora una grafica differente insieme ad “I Wanna Be Right There” di Jennifer H. Featuring Marco Larri. Marcello Catalano, questa volta in solitaria, appronta il secondo (ed ultimo) disco di House Of Crazy Sound, “Best You Can Get”.

Italian Style Compilation

La copertina della “Italian Style Compilation” mixata da Maurizio “Bit-Max” Pavesi, in quel momento all’apice del successo

La settantesima uscita è rappresentata dalla “Italian Style Compilation”, raccolta edita su LP, musicassetta e CD e mixata da Maurizio Pavesi in quel periodo all’apice del successo come Bit-Max (di cui parliamo qui). Poco tempo dopo ne arriva un’altra intitolata “Megastyle” e mixata da Feroldi. La corsa riprende con “A. O. (No Bunga Low)” di Soul To Love, in cui Walter Cremonini riesce a sposare un frammento di “Rebel Without A Pause” dei Public Enemy con “A-O (No Bungalow)” dei norvegesi Data, già ripresa nel 1984 dagli italiani Yanguru prodotti dal citato Pavesi e Stefano Secchi. Coi fidi Varola e Gilardi, Cremonini realizza invece “Barbaro” di M.C. Claude, sullo stile di Digital Boy. Feroldi e Marcolin, in compagnia di Walter Biondi, producono “Get It On” di The First Twins, con una matrice ripresa in “Time” di K-F.M., pubblicato sulla stessa label l’anno successivo. Biondi e Minelli, quest’ultimo reduce della produzione di “Antico” del progetto omonimo tenuto a battesimo dalla GFB del gruppo Media Records, assemblano le tre versioni di “Atto I°” di Analogic. L’instancabile e vulcanico Feroldi produce “Don’t Try To Tease Me” di DJ Choice dove riappare Paitoni (e ciò spiegherebbe la ragione dell’alias scelto) e in cui pare di assaggiare un’anticipazione dell’eurodance che si svilupperà in modo compiuto dal 1992. Ancorata al combo techno/house sdoganato dai britannici Bizarre Inc e cavalcato con successo dai Cappella è “Like Like This” di KC Element. Sono gli anni in cui si campiona di tutto e da tutto, compreso le preghiere come avviene in “Alleluja” di Dirty Mind. La parte vocale di “Buffalo Bill” degli Indeep finisce in “Let’s Dance” di Magic Marmalade e quella di “Not Gonna Do It (I Need A Man)” di Vicky Martin in “Anymore” di Brenda. Ulteriori stimoli eurodance affiorano in “Could Be Rock” di Open Billet (una risposta a “Rock Me Steady” di DJ Professor?) mentre “House Time” di Synthesis occhieggia ai 2 Unlimited, “Movin Up And Down” di Anita Adams e “Talk About” di Ruffcut puntano ancora alla piano house ed “Everybody Need Somebody” di A.R.T. replica lo schema di “We Need Freedom” degli Antico. Modelli più house sono quelli di “Wake Up” di Sound Machine a cui si somma “Don’t Stop” di Celine, prodotto dallo stesso team di Jinny sull’onda di “Keep Warm”.

Feroldi (ri)mette mano a “Movin Now” dell’anno precedente ora ripubblicata come “Perfect Love” ed attribuita a Linda Ray (presumibilmente un nome fittizio adoperato per giustificare la presenza vocale solitamente campionata da brani esteri) a cui seguono la sua “Everyday” e “We Don’t Need No Music” di Party Machine in cui sono rispettivamente allocati i sample di “No Frills Love” di Jennifer Holliday e “Crash Goes Love” di Loleatta Holloway. Il campionatore è lo strumento fondamentale nella house music di quel periodo, irrinunciabile specialmente per chi, in Italia, fatica a trovare vocalist madrelingua vedendosi costretto a ripiegare sulle acappellas incise su dischi d’importazione. Cremonini, Gilardi e Varola usano quella di “I Need You Now” di Sinnamon per “Give Yourself To Me” di Sonic Attack mentre Gelmetti e Marcolin optano per quella di “K.I.S.S.I.N.G.” di Siedah Garrett per “Uh La La” di Soul System. Italo house con grandi pianate in evidenza è pure quella di “Beet Oven” di T.E.E. (Cremonini con Ricky Stecca, Roby ‘Long Leg’ Sartarelli – intervistato qui – ed Andrea Acchioni), “Everything” di Spiritual (Mauro Marcolin e Valerio Gaffurini), e “Get Into My Life” di Local Area Network (Gelmetti e Marcolin). La prolificità è senza dubbio tra i segni distintivi dell’Italian Style Production che sortisce più interesse all’estero che in Italia: è il caso di “It’s Not Over” di Istitution, prodotto da Luigi Stanga, Ivan Gechele e Franco Martinelli in cui si intravede la formula che porterà tanta fortuna ai Livin’ Joy pochi anni più tardi. Il brano viene licenziato oltremanica dalla Brainiak Records che commissiona i remix ad Andrew “Doc” Livingstone (quello di “Bamboogie” di Bamboo) e al compianto Caspar Pound (la sua “RHL Mix” è inchiodata al giro di “Rock To The Beat” di Reese). Spetta al remix di “Let’s Dance” di Magic Marmalade toccare quota cento del catalogo. Il repertorio inizia ad essere consistente e, col fine di fare un sunto di ciò che è avvenuto negli ultimi tempi, viene approntata la “Italian Style Compilation Vol. II”. Martinelli, Gechele e Stanga tornano a farsi sentire prima come Pharaoh con la cover new beat di “Dance Like An Egyptian” dei Bangles e poi con “I Feel The Friction” di Black House. Ritorna pure il team House Corporation con “I Know I Can Do It”: a capitanarlo è il “solito” Feroldi che nel contempo si occupa di “Everybody Move” di KC Spirit, col campionamento di un classico della house statunitense, “Ride On The Rhythm” di “Little” Louie Vega & Marc Anthony. A fine anno Maiolini apre i battenti dei Time Studios (in una “megainaugurazione”, come scrive Eugenio Tovini in un articolo sulla rivista Tutto Disco), lì dove vengono prodotti moltissimi dei brani che usciranno in seguito.

1992-1993, l’alba dell’eurodance

La parabola fortunata dell’italo house, costruita essenzialmente su campionamenti vocali ed estensivi giri di pianoforte, è quasi al termine. A circa tre anni dall’exploit internazionale, la formula entra in una fase di stanca e di sterile ripetitività dovuta al ristagno creativo. L’Italian Style Production, che sinora ha praticamente puntato quasi tutto su tale filone, è costretta a rivedere la propria progettualità ma non prima di aver immesso sul mercato “Down Town” di DJ Cornelius, “Do It Now” e “Don’t Stop The Beat” di Magic Marmalade e “Let’s Talk About You And Me” di Ella Lund. La house pianistica comincia a lasciare il posto a costrutti imparentati coi suoni ruvidi tipici delle produzioni nordeuropee (come “George Bush” di Wash. D.C., il primo Italian Style Production a cui collaborano Giordano Trivellato e Giuliano Sacchetto, coppia destinata ad una rosea carriera) e a soluzioni affini all’eurodance come “Gone Away” di Danaeh. In parallelo nasce e si sviluppa una visione house più legata ai suoni ovattati in auge nelle discoteche specializzate. È il caso di “Love Will Make It Right” di Ruffcut prodotto da Cremonini & company, scandito dal suono di una campana usata a mo’ di refrein. Strascichi hip house si sentono in “Let’s Get Together” di Synthesis caratterizzato da un hook vocale che sembra annunciare “Move On Baby” dei Cappella mentre in “Tropical Movement”, secondo ed ultimo disco che Marco Bongiovanni firma come DJ D Lite, fanno prepotentemente capolino le congas e un giro di organo.

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Alcuni dischi comparsi nel catalogo Italian Style Production marchiati con nomi di personaggi storici

Cremonini e i suoi sono infaticabili e tirano fuori pezzi a raffica dal Prisma Studio: dalla house (“Hot For You” di Three D, “Believe You” di Tune Grooves) a forme ibridate tra eurodance ed house (“Feel The Power” di Open Billet, “Sky” di Brenda) passando per “Funk Express” di Brothers Of Funk, che occhieggia ad “How-Gee” di Black Machine di cui parliamo qui, e “Highlander Part II” di MC Claude con rimandi alla hardcore techno dei Paesi Bassi. Marcolin, dal canto suo, non se ne sta con le mani in mano e sforna “Waste Your Time” di House Corporation, “Are You Ready” di KC Spirit, “Paura” di Louis Creole, “Play My Games” di Contact One e “Can’t Stop” di B Master J. Menzione a parte per “I Need Loving You”, primo disco di Quasimodo curato proprio da Marcolin che inaugura una serie di pubblicazioni legate a nomi di personaggi storici (scrittori, pittori, astronomi, esploratori). Filo conduttore resta la serrata pratica del campionamento che in “I Need Loving You” si rivela attraverso il riadattamento del riff di “Sweet Dreams” dei britannici Eurythmics. Segue “My Obsession” che Cremonini, Gilardi e Varola firmano come Keplero ma raccogliendo pochi consensi. La situazione si ribalta con “Open Your Mind” di U.S.U.R.A., l’ennesimo dei nomignoli comparsi nel catalogo della label bresciana. Messo a punto da Cremonini, Varola e Comis a cui si aggiungono Claudio Calvello e la bella Elisa Spreafichi tempo dopo nota come Lisa Allison, il pezzo ruota sul sample (pare risuonato) di “New Gold Dream (81-82-83-84)” dei Simple Minds, ossessivamente scandito da un vocal tratto dalla pellicola “Total Recall” del 1990 controbilanciato da un frammento irriconoscibile di “Solid” di Ashford & Simpson. Stampato sia su etichetta blu che nera, “Open Your Mind” è, dopo “Keep Warm” di Jinny, la nuova hit internazionale messa a segno dalla Italian Style Production che macina licenze in tutto il mondo e vende centinaia di migliaia di copie, si dice almeno 700.000. Per l’occasione viene approntato un videoclip interamente basato sull’effetto morphing in cui passano in rassegna volti di celebrità tra cui Margaret Thatcher, Ronald Reagan, Joseph Stalin e Benito Mussolini. Visto il grandissimo successo (Italia inclusa), gli U.S.U.R.A. “migrano” sulla label principale del gruppo diretto da Maiolini, la Time per l’appunto, sin dal successivo singolo intitolato “Sweat”, analogamente a quanto avviene per Jinny dopo “Keep Warm”.

U.S.U.R.A. - Open Your Mind

Con “Open Your Mind” degli U.S.U.R.A. l’Italian Style Production torna nelle classifiche internazionali dopo “Keep Warm” di Jinny dell’anno prima

Galvanizzato dagli strepitosi risultati, il team patavino mostra subito la sua iperattività ed incide pezzi a nastro, da “Transilvania” di I.N.C.U.B., trainato dall’assolo sinfonico di un organo della L.S.A. Version, a “Bam Bam Show” di Andros, a cui prendono nuovamente parte Trivellato e Sacchetto, da “Rag Time” di P.I.A.N.O., con una performance pianistica di Gaffurini, ad “Old Times” di S.H.O.K. passando per “I Want Your Love” di Open Billet. Nel frattempo, a Brescia, Mauro Marcolin e i suoi collaboratori più stretti come il sopracitato Gaffurini e Silvio Perrone, “rispondono” con altre produzioni come “America” di Magic Marmalade, un mix tra ripescaggi del passato (“Last Night A D.J. Saved My Life” degli Indeep, “On The Road Again” dei Barrabas e “Come To America” dei Gibson Brothers) e linee melodiche contemporanee, “Breaking Down” di Synthesis, che incapsula elementi della hoover techno, “Tubular Noise” di Phantomas e l’ipnotico “Dream On Ecstacy” di Extasy. Poi, come Techno Hype Council, realizzano “Welcome To The Real World” pubblicato anche in Spagna dalla Blanco Y Negro ma con l’acronimo T.H.C., a cui seguono “Until The End” di Ethiopia che gira su un sample preso da “Chase Across The 69th Street Bridge” di John Carpenter ed Alan Howarth (dalla colonna sonora di “Escape From New York”), “Good Morning” di Copernico (il riff è quello di “Enola Gay” degli Orchestral Manoeuvres In The Dark) e “Shut Up” di Contact Two, prosieguo di “Play My Games” uscito un paio di mesi prima come Contact One. Cremonini, Gilardi e Perrone riciclano l'”everybody fuck now” di Sissy Penis Factory (remake di “Gonna Make You Sweat (Everybody Dance Now)” dei C+C Music Factory) intrecciandolo ad un breve riff di sintetizzatore preso da “Send Me An Angel” dei Real Life, coverizzato con successo dai Netzwerk proprio quell’anno: il risultato è “Everybody Fuck Now” di Extensive. Gli stessi autori si celano dietro “Trauma” di 479 Experience, colorito da scat vocali, “Rage Thumb” di Caliope, “Take My Hand” di Trance Fusion e “Funkystein” dell’omonimo Funkystein (un omaggio a “The Clones Of Dr. Funkenstein” dei Parliament di George Clinton?), un potpourri sampledelico venato di funk – in evidenza c’è un frammento di “Hang Up Your Hang Ups” di Herbie Hancock, lo stesso che l’anno seguente figura nella T.C. Funky Mix di “Come On (And Do It)” degli FPI Project – dai contenuti graficamente tradotti nell’ironica illustrazione sulla logo side. La voce di “Big House (We’ve Got The Juice)” di MC Miker G finisce in “Hyper” di 44 Megabyte e la malinconica melodia di un carillon scorre in “Music Box” di Nenja. Il campionatore è il “motore creativo” di quel periodo e più le fonti sono inusuali, più l’attenzione cresce. Così, se Max Kelly cattura la voce delle colonnine Viacard in “M.K.O.K.” su Wicked & Wild Records (di cui parliamo qui), in “Free Message” Cremonini e soci optano per il messaggio della segreteria telefonica della SIP, poi diventata Telecom. Il nome del progetto? S.I.P. ovviamente.

“James Bond” di Spectre è il remake del tema cinematografico scritto da John Barry mentre “Time”, è l’unico brano che Franco Moiraghi realizza come K-F.M.. Sound à la 2 Unlimited è quello di “Get Hip To This” di B Master J. e “People Come Together” di KC Element (quest’ultimo sfiora davvero il plagio di “Twilight Zone”). Più house oriented, col riff di “Change” dei Tears For Fears ripreso l’anno dopo da Z100 in “On The Low”, è “Somebody” di Dominoes. Il synth pop, il funk e il rock rappresentano un serbatoio immenso da cui si attinge deliberatamente. È il caso di “Coming Up” di Magellano, edificato sulla melodia di “Just Can’t Get Enough” dei Depeche Mode, di “The Picture” di Giotto, costruito sul giro di “Last Train To London” degli Electric Light Orchestra, di “Mamamelo” di Dirty Mind, in cui si incrociano “Fade To Grey” dei Visage ed “Anastasis” dei Rockets, di “Let It Out” di Quasimodo, in cui viene arpionato “Mammagamma” degli Alan Parsons Project, di “Space Dream” di Space Dream, rilettura di “Pulstar” di Vangelis già oggetto di un fortunato rifacimento del 1983 ad opera degli Hipnosis del compianto Stefano Cundari, o di “Over Me” di Pharaoh in cui viene rispolverato “Situation” degli Yazoo. Scritto, registrato e mixato da Ugo Bolzoni presso il suo New Frontiers Studio, a Rovigo, è “Sexual Intimidation” di X-Ray. Il suono dell’Italian Style Production inizia a battere con regolarità il sentiero dell’eurodance, genere che tra 1992 e 1993 promette sempre di più in termini commerciali. Escono “It’s Gonna Be There” di Car Max, “Alphabet Mode” di Alphabet (nato dal campionamento di “It Gets No Rougher” di LL Cool J e prodotto dal menzionato Max Kelly insieme ad Alex Bagnoli e Sabino Contartese, rispettivamente il futuro produttore di Neja e il protagonista in Santos & Sabino con Sante Pucello), “I Feel So Good” di Boxster (che sfrutta il sample vocale “hope, cause I’ve learned to cope” di “Hope” di Phil Asher, usatissimo in futuro), “Giving My Heart” di Glamour e il più “picchiato” “Do It Do It” di Yama. Tra febbraio e marzo del 1993 inizia a circolare “We Are Going On Down”, l’ennesimo dei brani costruiti su sample di vecchi dischi con cui il team cremoniniano riporta in vita, dopo circa due anni d’inattività, il progetto Deadly Sins nato sulla Line Music con “Together” di cui parliamo qui. Il successo è clamoroso e il pezzo, ribattezzato “disco dell’ottovolante” in virtù del video, entra in decine di compilation ma soprattutto nel secondo volume della “DeeJay Parade” edita da Time e diventato uno dei bestseller estivi. A finire nell’ambita tracklist della compilation di Albertino è pure un altro brano del repertorio Italian Style Production, “Make It Right Now” di Aladino, interpretato da Emanuela ‘Taleesa’ Gubinelli, già turnista in decine di progetti che la Time destina al mercato nipponico. Prodotto da Mauro Marcolin, Valerio Gaffurini e Diego Abaribi ispirati da “Angel Eyes” dei canadesi Lime uscito esattamente dieci anni prima, “Make It Right Now” (di cui parliamo qui nello specifico) diventa una hit in Italia e contagia anche qualche Paese estero, segnando una tappa importante di quella che sarà poi identificata come prima ondata italodance. Il successo da noi è tale da richiedere le esibizioni nelle discoteche. A quel punto Abaribi, che già lavora come DJ, diventa il frontman del progetto portando il brand Aladino nei locali di tutto lo Stivale.

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“Progressive House” di Mah-Jong e “In The Ghetto” di Jam 2 Jam sono gli unici dischi che Italian Style Production pubblica su etichetta di colore verde

Sino a questo momento i due colori usati per le etichette centrali e per le relative copertine sono il nero e il blu, fatta eccezione per alcune cover rosse usate sporadicamente nei primi anni. Come racconta Abaribi in un’intervista finita in Decadance, da un certo momento in poi l’alternanza serve a velocizzare il lavoro del distributore: i dischi col logo blu sono destinati all’Italia, quelli col logo nero invece relegati al mercato estero. Non sempre però questa categorizzazione cromatica risulta essere adeguata e “Make It Right Now” di Aladino, stampato su etichetta nera, ne è un esempio. Alcuni inoltre, come “Open Your Mind” degli U.S.U.R.A., “Suicide” di Phase Generator o “Dirty Love” di Infinity (un altro discreto successo italiano messo a segno da Cremonini & co., con la chitarra di “Sweet Child O’ Mine” dei Guns N’ Roses e un breve passaggio vocale di “Human” degli Human League), vengono stampati in entrambe le versioni, blu e nera. Come si spiega in Decadance Extra, nel 1993 viene scelto anche un terzo colore, il verde, riservato però ad appena una manciata di pubblicazioni orientate ai club, “Progressive House” di Mah-Jong, prodotto da Gianni Bini nel Brain Studio a Viareggio, e “In The Ghetto” di Jam 2 Jam, dietro cui armeggiano Franco Moiraghi e Marco Dalle Luche. Proviene dal Ghost Studio di Francesco Marchetti invece “Jericho” di Jericho, in cui riappare l’hook vocal tratto da “The Badman Is Robbin'” degli Hijack, già ripreso nel ’92 dai Prodigy in “Jericho” e, qualche anno più tardi, da DJ Supreme in “Tha Horns Of Jericho”. La prolificità dei team che lavorano per Maiolini non conosce pause ma spesso tradisce similitudini troppo evidenti come in “Do You Want My Love” di House Corporation, simile a “Make It Right Now” di Aladino, “Time Is Right” di Synthesis, prodotto sulla falsariga di “We Are Going On Down” di Deadly Sins, o ancora “I’m Your Memory” di Copernico e “Let Me Down” di Rock House con l’assolo rock rispettivamente di “Eye Of The Tiger” dei Survivor e “Money For Nothing” dei Dire Straits, che si riagganciano ai Guns N’ Roses ripresi in “Dirty Love” di Infinity, e “Movin’ Over” di Trivial Voice che suona come una sorta di nuova “Open Your Mind”. Con la media di una nuova uscita a settimana, l’Italian Style Production è davvero un pozzo senza fondo. Da “What’s Your Name” di KC Spirit ad “Arriba Arriba” di DJ Cartoons, da “Sex” di Spirits a “Got To Feel Good” di Anita Adams, da “I Wanna Give Up” di Intuition ad “I Love Music” di Louis Creole passando per “Wash” di Alverman ed “Open Your Eyes” di Gulliver che pare una miscellanea tra “Suicide” di Phase Generator e “Make It Right Now” di Aladino con l’aggiunta di un testo scritto da Silver Pozzoli.

Dirty Mind - Bocca Boca

A causa di un presunto errore, il titolo riportato sulla copertina di Dirty Mind è “Bocca Boca” anziché “Back To Future”

Particolarmente fortunato il ritorno di Dirty Mind che con “Back To Future” tocca forse il punto più alto di popolarità. Facendo leva su un riff di fisarmonica suonato da Elvio Moratto e campionato da “¡Hablando!” di Ramirez & Pizarro, Marcolin, Gaffurini e Perrone ottengono un martellante pezzo che si ritaglia spazio nella programmazione estiva e stimola l’interesse della Jelly Street Records che lo licenzia nel territorio britannico. In copertina finisce un titolo diverso, “Bocca Boca”, poi coperto da rettangolini adesivi che recano invece quello esatto. Promette bene ma non riuscendo ad esplodere “Won’t You Find A Way” di D.R.A.M.A., prodotta ed arrangiata da Cremonini e Gilardi sul testo scritto da Fred Ventura e cantato da Debbie French, turnista che un paio di anni prima presta la voce a “Do What You Feel” di Joey Negro e “One Kiss” di Pacha. La britannica frequenta gli studi della Time e in quel periodo interpreta, tra le altre, “Confusion” di Molella e “Do You Know My Name” di Humanize di cui si parlerà in seguito. Cremonini, Gilardi ed Abaribi sono pure gli artefici di “Bump” di House Corporation (lo spunto viene da “Baby, Do You Wanna Bump” dei Boney M.). Stilisticamente simili sono “Movement Of People” di M.O.P., “Check It For Me (One Time)” di Strawberry Juice, “Let’s Spend The Night Together” di KC Element, “Don’t Look Back” di Carol Jones (che sul lato b annovera “Feel Underground”, a fare il verso ai suoni di “Plastic Dream” di Jaydee di cui parliamo qui) e “Popeye” di DJ Cartoons. Un altro pezzo che, come D.R.A.M.A., pare avere tutte le carte in regola per sfondare ma non riuscendoci è “We’ve Got To Live Together” di Andromeda, una specie di “Make It Right Now” che corre sull’acappella tratta da “Why Can’t We See” di Blind Truth, la stessa ad essere utilizzata nel ’91 da R.A.F. in “We’ve Got To Live Together” e nel ’94 da Proce in “Jump” (ma ricantata) e dai Systematic nella fortunata “Love Is The Answer”. Gli autori, Gilardi e Cremonini (insieme ad Abaribi), si rifanno comunque con gli interessi con un brano parecchio simile pubblicato su Italian Style Production nell’autunno del 1993, “Allright” di Silvia Coleman. Nato nel 1991 con “Into The Night (Taira Taira)”, pare interpretato da una certa K. Hausmann ed apparso su un’altra sublabel della Time, la citata Line Music, il progetto Silvia Coleman (l’ennesimo dei nomi di fantasia, scelto da Gilardi per omaggiare la pianista dei Revolution, Lisa Coleman, come lui stesso spiega in questa puntata di 90 All’Ora con DJ Peter e Luca Giampetruzzi) ora conosce una popolarità inaspettata grazie ad un brano a presa rapida che ricorda parecchio “Make It Right Now” di Aladino. A cantarlo è la britannica Denise Johnson, in quegli anni corista dei Primal Scream con cui Gilardi e Cremonini collaborano poco tempo prima attraverso “Matter Of Time” di D-Inspiration uscito su Time. Lo stesso team di lavoro sviluppa “Listen Up” di Synthesis, che occhieggia all’eurodance teutonica di Maxx, Culture Beat, Masterboy, Fun Factory o Intermission, e medesimi riferimenti stilistici sono pure quelli seguiti in “Dreams” di B.S. & The Family Stone, “Rock The Place” di Institution, “Girlfriend” di Frankie & The Boys, “All The Things I Like” di Brenda, “House Is Mine” di Rhythm Act e “Somebody” di Transit. Un vago rimando alla fisarmonica di “Back To Future” lo si assapora in “Straight Down On The Floor” di Yama mentre “Love On Love” di Dominoes stuzzica l’appetito della RCA tedesca. La musica del passato, recente e meno, continua a rappresentare una decisiva fonte di ispirazione intrecciando stesure e sonorità tipiche dell’eurosound di quel momento come avviene in “Again ‘N’ Again” di Magic Marmalade, che all’interno cela un campione di “Here Comes That Sound Again” di Love De-Luxe (1979), in “Out Of Control” di Digital Sappers, dove si scorge un fraseggio simile a quello di “Ultimo Imperio” degli Atahualpa (1990) ed uno stralcio vocale preso da “Go On Move” dei Reel 2 Real che si afferma commercialmente con la versione del 1994, e “Loving You” di Phase Generator scandito dal riff (risuonato) di “Take On Me” dei norvegesi a-ha.

Aladino - Brothers In The Space

“Brothers In The Space” è l’atteso follow-up di Aladino giunto nell’autuno del 1993

Insieme ad “Allright” di Silvia Coleman, nell’autunno del ’93 si impone “Brothers In The Space” di Aladino, atteso follow-up di “Make It Right Now”. Per l’occasione commercializzato con una grafica ad hoc, né blu né nera, il brano impasta elementi simili a quelli del precedente inclusa la voce di Taleesa seppur ancora esclusa dai crediti. Gli ultimi mesi dell’anno vedono uscire in rapida sequenza circa una quindicina di 12″ di cui alcuni rimasti nell’anonimato come “Got The Power” di Copernico, “Don’t Stop The Motion” di Andromeda, “Do You Really Love Me?” di Stereo Agents (un tentativo di rispondere alle hit provenienti dall’estero di B.G. The Prince Of Rap o Captain Hollywood), “Dance To The Beat” di Trivial Voice, “Barracuda” di Barracuda, “Shake It Up” di Loren-X (che ricicla la base di “We’ve Got To Live Together” di Andromeda uscito pochi mesi prima), “I Let You Go” di House Corporation e “Do The Dance” di Vi-King. La concorrenza nella cheesy dance è fortissima e spietata, le etichette immettono sul mercato enormi quantità di dischi nella speranza che in mezzo a così tanto materiale ci sia sempre qualcosa che possa trasformarsi in un successo. Quando l’imperativo diventa vendere a tutti i costi la creatività va a farsi benedire e ne risente come avviene in “Let’s Get It” di Marasma, dove un’anonima base eurodance diventa il pianale per reinnestare il sample vocale di “Get On Up” di Silvia Coleman edito dalla Line Music l’anno prima e realizzato dagli stessi autori, pare ispirati da “Rock The House” di Nicole McCloud del 1988. A spingere verso quel “riciclo forzoso” è forse “Get On Up” di Giorgio Prezioso, uscita nel medesimo periodo con lo stesso campionamento vocale? Chissà, magari qualcuno deve aver sperato che la proprietà commutativa fosse valida anche in musica (cambiando l’ordine degli elementi il successo non muta). Eurodance assemblata coi soliti ingredienti e senza guizzi è pure quella di “Gimme The Love” di Darkwood che gira sul riff di “Sounds Like A Melody” degli Alphaville, ripreso con più successo dai bortolottiani Cappella in “U Got 2 Let The Music” negli stessi mesi. L’intro di “I Need I Want” di Alison Price mostra qualche evidente similitudine con “La Pastilla Del Fuego” di Moratto (di cui parliamo qui) incrociata al sample vocale preso da “Was That All It Was” di Solution Featuring Tafuri riciclato nel ’94 in “I Need I Want” di Vince B, “T.J.X.4.” di Algebrika strizza infine l’occhio allo stile di Ramirez. Piero Fidelfatti e Sandy Dian firmano “El Ritmo Del Universo” di Amparo, Cremonini e soci “Ohmm” di Tibet e “Just A Minute” di Castilla, ma nessuno di questi riesce a farsi notare. Sorti diverse invece per le ultime pubblicazioni del 1993 che si faranno ben sentire nei primi mesi del ’94: “Come Down With Me” di Deadly Sins, cantato da Glen White, ex vocalist dei Kano, e “Do You Know My Name” di Humanize, eurodance prodotta da Bruno Cardamone, Gianluigi Piano e Giuseppe Devito ed interpretata da Debbie French sul ritornello di un vecchio brano della già citata Nicole McCloud, “Don’t You Want My Love” (per approfondire rimandiamo all’articolo/intervista disponibile qui).

1994-1995, tsunami italodance

Per Italian Style Production il 1994 si apre all’insegna dell’eurodance, genere che quell’anno domina la scena pop senza rivali. Il primo ad uscire è “Temptation” di Swag, un brano registrato presso il Red Studio di Palermo che mescola suoni tipici del filone insieme al binomio voce femminile/rap maschile (rispettivamente di Sandra Walters e di un certo Aziz) ma che non riesce a districarsi nella miriade di pezzi simili in circolazione. Gli autori, Daniele Tignino e Vincenzo Callea, trovano più fortuna qualche mese più tardi insieme al conterraneo Riccardo Piparo e il cantante Josh Colow con “Illusion”, che lancia in modo definitivo i Ti.Pi.Cal. dopo il poco noto “I Know” dell’anno prima ma con uno stile diverso dall’eurodance. Giorgio Signorini e Sergio Olivieri firmano “End Of Time” di Synthesis a cui seguono “Find A Way” di Ruffcut, “Won’t You Come With Me” di KC Element e “Can’t Give Up” di Dominoes, cantata dalla corista dei Simply Red, Janette Sewell. Cardamone, Piano e Devito, dopo gli esaltanti riscontri di Humanize, realizzano “Eyajalua” come Rajah ma tradendo le aspettative. Riappaiono Danaeh con “Walk Away”, che strizza l’occhio al primo Aladino e a Jinny, e gli Amparo di Fidelfatti e Dian che consegnano a Maiolini il seguito di “El Ritmo Del Universo” intitolato “La Magia De Mi Musica” e scandito ancora dalla voce di Rosalina Roche R., un mix tra Amparo Fidalgo dei Datura e Carolina Damas dei Sueño Latino. I due si fanno risentire, poco più avanti, come Thor col brano “Gibil”, sempre prodotto presso il Sandy’s Recording Studio a Gambellara, in provincia di Vicenza. I quattro remix di “Come Down With Me” di Deadly Sins invece giungono dalla Germania: a firmarli sono Ingo Kays (Genlog, Padre Terra etc) ed Antonio Nunzio Catania, siciliano trapiantato nel Paese dei crauti e dietro una miriade di produzioni come quelle con DJ Hooligan ma soprattutto Scatman John. Attitudini eurodance, le stesse che caratterizzano la prima ondata italodance, si ritrovano in “Never Let It Go” di Dis-Cover (in scia a Silvia Coleman), “Everybody” di Carol Jones, “Underpower” di Algebrika, “That Is Really Mine” di Black House (su cui mettono le mani Maurizio Braccagni e Roberto Gallo Salsotto), “Loverboy” di Mr. Signo, “No Lies” di M.C. Claude, “Easy” di Magic Marmalade, “People All Around” di B Master J (con un intro che rimanda a quello di “Everybody” di Cappella) e “Life Love & Soul” di D-Inspiration. Ed ancora: “Baby” di Mytho, prodotta da Roby Borillo dei Los Locos con una citazione vocale di “Take Your Time (Do It Right)” della S.O.S. Band, “I Need Love” di Open Billet, “Sex Appeal” di KC Spirit, “Keep On Movin'” di Yama, diventato un cimelio per i collezionisti con un sound à la “The Key: The Secret” degli Urban Cookie Collective, “Mastermind” di Hyppocampus e “Why” di Star System. Tutti passano inosservati dalle nostre parti trovando più fortuna in Paesi come Spagna, Francia e soprattutto Sudamerica dove eurodance ed italodance vivono un autentico exploit. Molti progetti risultano one shot probabilmente perché ritenuti tentativi di successo andati a vuoto con più nessuna energia ulteriormente investita.

successi ISP estate 1994

Alcuni successi messi a segno da Italian Style Production nell’estate 1994: dall’alto “Call My Name” di Aladino, “All Around The World” di Silvia Coleman e “Sing, Oh!” di Marvellous Melodicos

L’inversione di tendenza avviene durante la stagione estiva con almeno una manciata di titoli, “Call My Name” di Aladino, orfano della presenza di Marcolin e l’ultimo ad essere prodotto da Abaribi e cantato da Taleesa (che in parallelo interpreta “Promise” di No Name, su Time), ed “All Around The World” di Silvia Coleman, trainata dalla U.S.U.R.A. Mix. A questi si aggiunge “Transiberiana” di Dirty Mind, a cui pare collabori Molella in incognito, e “Sing, Oh!” di Marvellous Melodicos, nuovo progetto messo in piedi da Trivellato e Sacchetto (ed Alberto ‘The Indian’ Lapris) che utilizzano la parte vocale di un classico della musica brasiliana. Il successo coinvolge pure la Francia in autunno, quando si ipotizza l’uscita dell’album di Aladino, iniziativa che però non andrà mai in porto. Come contorno giungono “Batman” di DJ Cartoons, progetto nato in seno a quella che alcune riviste ribattezzano “techno demenziale”, “Watching You” di Frankie (prodotta dai fratelli Paul e Peter Micioni), “Sending (All My Love)” di Andromeda, “I Need A Man” di Buka e “U Love Me” di Delta, un altro di quelli che hanno acquisito valore collezionistico col passare degli anni. Scarsamente accolti in Italia sono “Take Me To Heaven” e “Make My Day” di Nevada, “I Want Your Love” di Etoile (davvero simile ad “I Found Luv” di Taleesa), “For Your Heart” di Alison Price, “Pinga” di El Loco, “Keep Me Going On” di D-Inspiration e “Freedom” di KC Element. Degna di menzione, sul fronte estero, è la nascita della Italian Style UK, filiale britannica accorpata alla Disco Magic UK gestita da Roland Radaelli, società sulla quale è possibile leggere interessanti dettagli cliccando qui. L’iniziativa però si rivela effimera visto che conta su appena tre pubblicazioni (“I Know I Can Do It” di House Corporation, del 1991, “Feel Free” di Debbe Cole, uscita su Time nel 1992, e “Let Me Down” di Rock House del 1993). Altre licenze, come “Moving Now” di Pierre Feroldi, “Keep Warm” di Jinny, “Everyday” di DJ Pierre, “It’s Not Over” di Istitution, “Wake Up” di Sound Machine e la compilation mixata “Megastyle Volume 1” finiscono invece nel catalogo della stessa Disco Magic UK.

Torniamo in Italia: in autunno riappare per l’ultima volta Deadly Sins con “Everybody’s Dancing”, ancora cantato da Glen White su una filastrocca da luna park, atmosfera rimarcata dalla foto vintage scelta per la copertina curata da Clara Zoni. Ultima apparizione pure per Silvia Coleman con “Take My Breath Away”, quasi una copia di “All Around The World” che sul lato b include “Feeling Now The Music” particolarmente apprezzata in Germania e Spagna. Meno fortunato il ritorno degli Humanize con “Take Me To Your Heart”, nonostante tutte le carte in regola per bissare il successo del precedente. Si risente Quasimodo con “All I Want Is You”, sequenzato sia su una parte vocale davvero simile a quella di “Don’t Leave Me Alone” dell’olandese Paul Elstak uscita poco tempo dopo, sia su una chitarra flamenco in stile Jam & Spoon che si ritrova altresì in “Jungle Violin” di Stradivari, prodotto da Roby Arduini e Pagany negli studi della loro Union Records fondata dopo aver lasciato la Media Records proprio quell’anno. Un altro disco che, pur sviluppato con perizia sullo schema eurodance, non riesce ad affermarsi del tutto in Italia è “If You Wanna Be (My Only)” di Orange Blue. Prodotto da Arduini ed Abaribi con la voce della compianta Melanie Thornton, reduce dei clamorosi successi di “Sweet Dreams” dei La Bouche e “Tonight Is The Night” dei Le Click, esce in autunno e conquista Germania, Spagna, Francia, e il Sud America. In cambio Amir Saraf ed Ulli Brenner, produttori di La Bouche e Le Click, e il rapper Mikey Romeo, si occupano del citato “I Found Luv” con cui Taleesa torna come solista dopo il poco fortunato “Living For Love” del ’91 (firmato Talysha), l’esperienza accanto ai Co.Ro., Stefano Secchi, Aladino (seppur mai ufficializzata) ed una caterva di lavori come turnista. Scarso interesse è suscitato da “Do You Wanna Right Now” di Andromeda, costruito sui sample presi dall’omonimo dei Degrees Of Motion (cover del classico di Siedah Garrett del 1985 già ripreso da Taylor Dayne e parzialmente riadattato da Stefano Secchi in “We Are Easy To Love”) e da “Ghostdancing” dei Simple Minds scelto nel medesimo periodo dai Dynamic Base in “Make Me Wonder” sulla Welcome del gruppo Dancework. Provengono degli anni Ottanta pure i campionamenti celati in “Feel So Good”di Ruffcut Feat. Carol Jones (“Venus” degli Shocking Blue) e in “Anything For You” di Trivial Voice (le voci da “The Reflex” dei Duran Duran e il riff da “Rain” dei Cult). In entrambi la parte di chitarra è eseguita da Enrico Santacatterina, da lì a breve coinvolto dagli U.S.U.R.A. in “The Spaceman”. Poco noto da noi ma ben piazzato nelle classifiche teutoniche è “The Light Is” di The Dolphin Crew, prodotto da Andrea De Antoni, Franco Amato e William Naraine ossia gli artefici dei Double You. A mixarlo è Francesco Alberti, ingegnere del suono della DWA. Provenienti dalla label di Roberto Zanetti sono pure i Digilove che realizzano “Touch Me”, un clone di “It’s A Rainy Day” di Ice MC. Alex Baraldi ed Andrea Mazzali producono la veloce “I’m Losing My Mind” di L.O.V. (acronimo di Licensed On Venus) che inizia a battere il sentiero di una dance dopata nei bpm a cui aderiscono già diversi act tedeschi e che in Italia trova il la grazie a “The Mountain Of King” di Digital Boy. In tal senso si fa ben notare, a fine anno, “Strange Love” di Kina, un pezzo di Trivellato e Sacchetto che ricicla la melodia di “Reality”, tra i brani della colonna sonora del film “Il Tempo Delle Mele” composta da Vladimir Cosma. Molto simili i contenuti di “Chanson D’Amour” che Arduini ed Abaribi firmano come Savoir Faire insieme a Geraldine, e di “Open Your Hands” di Tatanka, solo omonimo del DJ Valerio Mascellino. Preso in licenza dalla tedesca Maad Records (con l’aggiunta di un remix realizzato nel Time Studio da Gianluigi Piano e Roby Arduini) è “Frozen Luv” di Polaris Feat. Minouche, mentre esportato con successo nel Paese della Torre Eiffel è “Ride On A Meteorite” di Antares in cui la voce di Clara Moroni è alternata al rap di Asher Senator, lo stesso che un paio di anni più tardi affianca con discreto successo i JJ Brothers e Molella. “Adottato” dalla tedesca Polydor è pure “Nevermind” di Phase Generator, prodotto dallo stesso team di Marvellous Melodicos. Tra gli ultimi ad uscire nel ’94 ci sono “The Sun And The Moon” proprio dei Marvellous Melodicos, che risente della velocizzazione a cui allora va incontro la pop dance, e “Come On Let’s Go” di The Dog, prodotta da Cremonini e Gilardi sulla falsariga delle hit estive transalpine de La Bouche/Le Click sul testo scritto e cantato da Orlando Johnson, ricordato per aver interpretato ad inizio decennio i più grandi successi di Stefano Secchi come “I Say Yeah” e “Keep On Jammin'”.

Il 1995 si apre con “I Believe”, ultimo disco del progetto Copernico rappato da Asher Senator a cui si somma “Virtual Dreams”, una specie di incrocio tra Kina ed “Over The Rainbow” della tedesca Marusha che in quel periodo vive uno strepitoso successo commerciale. A realizzarla sono i già incrociati Baraldi e Mazzali che si firmano Argonauts. Bpm serrati e melodie festaiole sono pure gli ingredienti di “In The Name Of Love” di Aqua prodotto dalla premiata ditta Trivellato-Sacchetto che coi medesimi elementi appronta il secondo brano di Kina, “7 Days”. Ultima apparizione per Quasimodo con “Memories” (a scandirlo è una melodia molto simile a quella di “Outside World” dei Sunbeam che, a cavallo tra ’94 e ’95, si sente pure in “Heaven Or Hell” degli italiani R.O.D.) a cui seguono a ruota “Up In The Sky” di Andromeda, “The Big Beat” di Nouvelle Frontiere e “Dreamlover” di Orion (con occhiate a “The Mountain Of King” di Digital Boy), tutti accomunati da echi epic trance desunti dal successo internazionale dei citati Sunbeam. La musica ad alta velocità è il trend imperante di quell’anno che traina “Music Of Belgium” di The Choir (il nome è dovuto alla presenza di una parte ecclesiastico-corale). Più canonicamente eurodance sono “I Keep Calling You” di Prophecy, remixata per l’occasione dai Ti.Pi.Cal. (le versioni dei siculi sono due, Underground Mix e Crossover Mix, incise sul lato b), “Cannibal” di Black 4 White, progetto di Massimo Traversoni e Roberto Calzolari mixato presso il Casablanca Studio di Zanetti da Francesco Alberti, “You’re The Best Thing” di Gorky, “The Beat Of The Flamenco” di Trivial Voice, “All I Wanna Do” di Phase Generator e “Don’t U Bring Me Love” di Nevada, decisamente in “DWA style” analogamente a “To Be Free” di Prime, prodotto da un giovane Federico Scavo affiancato da Riccardo Menichetti. Sfruttando il successo di Ini Kamoze i DJ B. (Benny DJ, Mitia ed Umberto Benotto) incidono la cover di “Here Comes The Hotstepper” presso il Gian Burrasca Studio di Marcello Catalano. Makina le matrici di “The Sugar Of Life” di Human Dragon, act rimasto nell’anonimato seppur orchestrato da Alex Quiroz Buelvas, frontman di uno dei progetti nostrani più fortunati di quel periodo, Ramirez. Trivellato e Sacchetto, con la vocalist Mireille, realizzano “Don’t U Know” di Pelican sullo schema seguito in parallelo per i singoli di Taleesa (“Let Me Be”, “Burning Up”, editi su Time). Maiolini affida loro il nuovo Orange Blue, “Sunshine Of My Life”, che conquista licenze in Spagna, Francia, Svezia e Canada come accade a “You Belong To Me” di Antares. I Discover riprendono “’74-’75” dei Connells ricantata da un certo Dominic.

tshirt ISP

Tre tshirt della Italian Style Production distribuite dalla Pro Mail tra 1994 e 1995

Con oltre dieci anni di attività alle spalle, la Time è tra le aziende discografiche italiane più consolidate. I tempi sono giusti per lanciare una ricca linea di gadget, merchandising ed abbigliamento tra cui orologi da parete e da polso, slipmat, flight case, borse portadischi in stoffa, bandane, camicie, cappellini, felpe ed alcune tshirt decorate con il logo Italian Style Production. A distribuire tutto questo materiale è la Pro Mail di Trento, specializzata in vendita per corrispondenza. In autunno arrivano due discreti successi messi a segno da Trivellato e Sacchetto: “Stay With Me”, il quarto (ed ultimo, almeno in questa fase) 12″ di Aladino, col featuring vocale ma non accreditato ufficialmente di Sandy Chambers, ed “Over The Rainbow”, ultima apparizione di Marvellous Melodicos ispirato da “Luv U More” del DJ olandese Paul Elstak, un successo estivo a metà strada tra eurodance ed happy hardcore. Torna anche Dirty Mind con un brano radicalmente diverso dai precedenti e che forse sarebbe stato più opportuno collocare su un’etichetta più legata alla house come la Downtown. Trattasi di “Make It Funky” in cui Walter Cremonini, Alex Gilardi e Ricky Romanini inseriscono il campionamento di “K-Jee” degli MFSB, un classico funk/disco estratto dal catalogo Philadelphia International Records. Chiudono l’annata la veloce “My Love” di Torricana, “Ridin’ On The Night” di Trivial Voice, “Wanna Move Up” di Ruffcut Feat. Carol Jones, “Take A Chance” di Dream Project (per cui Trivellato e Sacchetto ricorrono ancora alla voce della Chambers) ed “Everytime You Go” di Andromeda, annessi alla corrente eurodance ma probabilmente fuori tempo massimo visto che i suoni della dream progressive iniziano a farsi avanti e tutto sta per cambiare.

1996-1997, in balia di happy hardcore e dream progressive

Con una fama ben consolidata oltralpe, il progetto Antares ricompare con “Let Me Be Your Fantasy” a cui partecipa nuovamente il rapper Asher Senator. In scia si inserisce “Runaway” interpretato dalla Chambers, che chiude definitivamente l’operatività di Orange Blue. Influssi dream à la Robert Miles scandiscono “Como El Viento” di Lullaby, seppur intriso in modo evidente di salsa eurodance. Il brano, scritto da Alessandro Sangiorgio, viene utilizzato nel medesimo periodo dai G.E.M. prodotti da Stefano Secchi per un medley con “Batufest”, su Propio Records. Giordano Trivellato e Giuliano Sacchetto ora sono tra i produttori più prolifici in forze alla scuderia maioliniana e sfornano un pezzo dietro l’altro come “Feels Like Heaven” di Nevada e “Wonderful Life” di Phase Generator, quest’ultimo una risposta a “Discoland” di Tiny Tot (di cui parliamo qui) e a tutto quel filone euro happy hardcore sdoganato dal citato Paul Elstak e Charly Lownoise & Mental Theo ma anche da tanti act tedeschi come Das Modul e Dune, di cui si può approfondire qui e qui. Elevati bpm sono altresì quelli di “I Wanna Make U Happy” di Free Jack in cui Asher Senator rappa un brano semi-emulo di “I Wanna Be A Hippy” dei Technohead, “Heaven”, ultimo disco di Andromeda costruito sulla falsariga di “Can’t Stop Raving” dei Dune da poco citati, e il quasi omonimo “Heaven’s Door”, ultimo per Kina ed ancora fortemente ispirato dalla happy hardcore teutonica di Dune e Blümchen. Curiosamente la parola “heaven” si ripete nel titolo in tre uscite attigue (Nevada, Andromeda, Kina): ambizione a finire nel paradiso della dance?

The Spy - The Persuaders Theme

“The Persuaders Theme” di The Spy è il primo disco che Ciro Pagano e Stefano Mazzavillani realizzano per Italian Style Production ad inizio ’96

Uscito intorno a febbraio è “The Persuaders Theme”, cover dell’omonimo tema composto da John Barry per la serie televisiva “The Persuaders” (“Attenti A Quei Due” in Italia) per cui Ciro Pagano e Stefano Mazzavillani dei Datura, che poco prima abbandonano la Irma Records in favore della Time, coniano un nuovo progetto one-shot, The Spy. Ad affiancarli nell’avventura è Guido Caliandro di cui si parlerà più avanti e che nel medesimo periodo realizza col compianto Ricci DJ “Electro Sound Generator” come Neutopia, unica uscita sulla E.S.P. (Extra Sensorial Productions), anch’essa raccolta sotto l’ormai enorme ombrello della label bresciana di Maiolini. Pagano e Mazzavillani aggiungono nel catalogo ISP altre due cover: “Il Clan Dei Siciliani” di Goodfellas (dalla colonna sonora dell’eterno Ennio Morricone dell’omonimo film del ’69) e “A Whiter Shade Of Pale” di Doomsday (l’originale è un classico dei Procol Harum, scritto da Gary Brooker e Keith Reid), co-prodotta con MC Hair (il futuro Andrea Doria di cui si parla qui) in chiave hard trance con graffiate acide. “Tears” di Overture, “Rapsody” di Skylab, “Once Upon A Time In The West” di Evolution (ennesima e non certamente ultima cover della morriconiana “C’era Una Volta Il West”) e “Treasure” di Globo seguono pedestremente lo stile di “Children” di Robert Miles. Un mix tra dream ed eurodance è quello di “Need Somebody” con cui Claudio Varola e Michele Comis degli U.S.U.R.A., a cui si aggiunge il DJ veneto Andrea Tegon, riportano in vita, a tre anni di distanza, il progetto Infinity. Anche questa volta l’ispirazione viene dal passato, precisamente da “Crockett’s Theme” di Jan Hammer (dalla soundtrack della serie “Miami Vice”). Cremonini, Gilardi e Romanini approntano “Whenever You Want Me” di Antares, questa volta in uno stile più house oriented che comunque convince la francese Scorpio Music di Henri Belolo a prenderlo in licenza.

Historya - Catch Me If I Fall

Con “Catch Me If I Fall” di Historya, Italian Style Production rinnova il suo layout grafico

Al ritorno dalle vacanze estive Italian Style Production si ripresenta con una veste grafica aggiornata: non c’è più la coppia che balla, sostituita da un logotipo in stile graffitista creato con le iniziali I ed S intrecciate. Il primo disco ad essere accompagnato da tale design è “Catch Me If I Fall” di Historya, prodotto dagli instancabili Trivellato e Sacchetto che riciclano una base simile a quella di “Seven Days And One Week” dei B.B.E. sulla quale innestano una parte cantata dalla compianta Diane Charlemagne, ex Urban Cookie Collective. Sull’onda dell’ormai iperinflazionata progressive totalmente cannibalizzata dal pop riesce ad affermarsi, anche oltralpe, “Clap On Top Of Me” dei M.U.T.E., prodotto da Cremlins & Zuul ovvero Max Boscolo e Luca Moretti che abbinano una base trainata da un basso in levare ad una melodia in pizzicato style à la Faithless. A fare da collante un breve hook vocale campionato da “Sweet Pussy Pauline” di Hateful Head Helen, del 1989. Il brano finisce in una celebre scena girata in un negozio di dischi de “Uomo D’Acqua Dolce”, film diretto ed interpretato da Antonio Albanese. Un altro brano-emulo dei transalpini B.B.E. è “Try” di Glissando, composto da Carl Fath (il futuro Io, Carlo) e Fabio Giraldo, a cui si sommano “Take Your Body” di Tunnel Groove, “Happiness” di 2 Ghosts, “Phrygian” di Euphonia (prodotto da Michele Generale), “Esperantia” di Cremlins e “You And I” di Luna, una sorta di “Summer Is Crazy” di Alexia cantata da Sandy Chambers, arrangiata da Ricky Romanini e Stefano Marcato con la produzione addizionale di Luca Pernici e Marco Rizzi.

In circolazione già da dicembre ’96 ma fattosi notare ad inizio 1997 è “The Bit Goes On” di Snakebite, brano proveniente dal Coco Studio di Bologna e costruito su un sample vocale preso da “The Beat Goes On” di Orbit Featuring Carol Hall dai già citati Pagano, Mazzavillani e Caliandro. A differenza di The Spy però questa volta il pezzo intriga la londinese Multiply Records che lo licenza nel Regno Unito commissionando un paio di remix agli Ispirazione (Gordon Matthewman e Mike Wells) e a Jason Hayward alias DJ Phats, che da lì a breve crea con Russell Small il duo Phats & Small. Segue “The Mission” di Sosa, progetto di Massimo Bergamini per l’occasione diretto da Roberto Gallo Salsotto. Il pezzo è stilisticamente allineato alla formula di DJ Dado, artista prodotto dallo stesso Gallo Salsotto ed entrato nell’autunno del ’96 in Time Records con “Revenge”. In seguito Bergamini approderà con più fortuna alla Media Records che, tra ’97 e ’98, gli mette a disposizione i suoi studi ma soprattutto i propri musicisti e produttori come Mauro Picotto, Andrea Remondini e Riccardo Ferri che confezionano “Wave” ed “Accelerator”, esportati entrambi all’estero col supporto della Tetsuo di Talla 2XLC e i remix di Taucher e Torsten Stenzel (intervistato qui). Nonostante il trend principale resti ancora quello della progressive, Italian Style Production non si esime dal pubblicare brani più inclini all’eurodance come “Thinkin’ About You” di Discover, prodotto da Ricky Romanini e Stefano Marcato e cantato in incognito da Simone Jay (analogamente a quanto avviene in “Keep The Spirit” di Sarah Willer, finito su Downtown), “I Dream Of You” di Nevada, “Jump To The Beat” di Dr. Beat (col sample dell’omonimo di Stacy Lattisaw), “It’s Time To Party Now” di Star System, “All I Need Is Love” di Celine ed “I Want Your Love” di Antares, ormai all’ultima apparizione e che vanta un remix house di Alex Gaudino, futuro A&R della Rise. Connessi all’eurotrance che inizia a farsi spazio soprattutto nelle classifiche estere sono “It’s The Day After The Party” di DJ Zuul, sul modello di “Bellissima” di DJ Quicksilver, e “Where’s My Money” di Skanky, side project dei M.U.T.E. edificato sul cocktail tra acid line e pizzicato style. In mezzo, a mo’ di farcitura di un sandwich, il sample vocale tratto da “Cantgetaman, Cantgetajob (Life’s A Bitch!)” di Sister Bliss & Colette. Il risultato colpisce il mercato francese, spagnolo e tedesco. Ingredienti simili per “Dirty Tricks / Peer Gynt” di Neural-M, con cui Pagano, Mazzavillani e Caliandro riadattano il “Peer Gynt” di Grieg, “Electronic Trip” di Woodland (l’ennesimo di Cremlins e Zuul) ed “Harmonic Fly” di Vortex, combo di Davi DJ e Maurizio Pirotta alias Pirmaut 70. Scritto insieme al compianto Federico ‘Zenith’ Franchi e Mario Di Giacomo, il brano viene remixato dal citato Sosa sempre presso lo Stockhouse Studio di Gallo Salsotto. Galvanizzati dal successo ottenuto pochi mesi prima con “Clap On Top Of Me”, Boscolo e Moretti approntano il secondo ed ultimo brano di M.U.T.E. che si intitola “She Loves Me” e conquista un paio di licenze in Francia e Spagna. Questa volta l’ispirazione giunge da “Petal” dei Wubble-U, un discreto successo britannico del 1994. Una sorta di Gala, ma meno fortunata, è Nancy Sexton che firma “Never (Don’t Need Your Love)” solo col suo nome. Il brano è prodotto da Molella & Phil Jay che nell’estate di quello stesso anno le affidano il featuring vocale della loro “It’s A Real World” con risultati ben più lusinghieri. La Sexton comunque si rifà qualche anno più tardi interpretando il trittico degli E.Magic, “Prepare Yourself”, “Stop” e “Go!”, finiti nel catalogo di un’altra label della Time, la Spy, allora guidata da Rossano ‘DJ Ross’ Prini. Riconfezionato in nuove versioni più adatte alle platee della progressive è “My Body & Soul” dei Marvin Gardens, un successo del ’92 nato come rifacimento dell’omonimo dei Delicious del 1986 e di cui parliamo approfonditamente qui. Il remix di punta è di Space Frog che quell’anno fa il giro del mondo con “X-Ray (Follow Me)” e i suoni, prevedibilmente, sono praticamente gli stessi. Sulla falsariga giunge “God Of House” di Central Seven, un discreto successo oltralpe ma che da noi fatica ad imporsi. Con l’eurodance di “Stay With Me” e “Never Gonna Say Goodbye” si tira il sipario su Trivial Voice e Discover: entrambi sono prodotti da Romanini e Marcato mentre a cantare come turniste sono rispettivamente Sandy Chambers e Simone Jay. Alle battute finali pure Tunnel Groove con “Hot Stuff”, remake dell’omonimo di Donna Summer, e The Dog con “Without You”, cantato da Gianfranco ‘Jeffrey Jey’ Randone dei Bliss Team e, da lì a breve, negli Eiffel 65. Una specie di “Clap On Top Of Me” con rimandi al sound di Klubbheads, DJ Disco, DJ Jean e Vengaboys è “Don’t Clap Anybody” di Black Mushroom, progetto one shot dietro cui operano Max Boscolo, Luca Moretti e Rossano Prini.

Sundance, Sven Vath

Un paio di licenze messe a segno da Italian Style Production nella seconda metà del 1997: sopra “Sundance” dei londinesi Sundance, sotto “Fusion/Scorpio’s Movement” del tedesco Sven Väth

Intorno a metà anno il trend progressive è ormai in vistoso calo, le platee mainstream si sono già stancate dei pezzi strumentali e richiedono nuovamente vocalità. Non si fanno trovare impreparati Cremonini, Gilardi, Comis, Varola e Tegon con “Dance Around The World” di Rio, brano orecchiabilissimo che ruota su un giro di pianoforte simile a quello di “Two Can Play That Game” di Bobby Brown remixato dai K-Klass ed una stesura che rammenta i successi internazionali dei Livin’ Joy dei fratelli Visnadi. Nonostante i buoni propositi però il pezzo fatica ad emergere dall’anonimato. Resa simile per “Get Down On It” di Gravity One, cover dell’omonimo di Kool & The Gang assemblata sempre dal team della Prisma Record a Padova. Un altro remake è quello di “Ring My Bell” di Anita Ward realizzato dagli Star System. Arriva dall’estero invece “Sundance” del progetto omonimo creato da Mark Shimmon e Nick Woolfson. Sfruttando un celebre sample di “The New Age Of Faith” di L.B. Bad del 1989, già ripreso nel ’93 dai Sabres Of Paradise capitanati dal compianto Andrew Weatherall in “Smokebelch II”, i londinesi creano un brano che in estate spopola nelle discoteche ibizenche e che contribuisce, insieme ad altri, a sancire la commercializzazione della trance. Passando per la poco nota “Mediterranea” di Mundo Nuevo si raggiunge l’ultima apparizione di Dirty Mind che avviene sotto il segno della progressive con “Millennium”, riadattamento del brano scritto da Mark Snow per l’omonima serie televisiva. Artefici sono DJ Dado e l’inseparabile Gallo Salsotto. Atmosfere progressive trance sono pure quelle di “How U Feel” di Headroom, traccia proveniente dalla Germania che vanta i remix di Sash! e dei Brooklyn Bounce ma insufficienti per intrigare il mercato italiano. Luca Moretti si inventa l’ennesimo alias, Sunrise, scelto per “Theme From Furyo”, reinterpretazione eurotrance del celebre tema cinematografico scritto da Ryuichi Sakamoto per “Merry Christmas Mr. Lawrence”. Chiude, a fine anno, un’altra licenza, “Fusion / Scorpio’s Movement” di Sven Väth. Entrambi i brani, estratti dall’album “Fusion” edito da Virgin, recano la firma del celebre DJ di Francoforte e del musicista Ralf Hildenbeutel (insieme erano i Barbarella nei primi anni Novanta). Sul 12″ presenziano pure i remix dei Fila Brazillia e Doctor Rockit alias Matthew Herbert.

1998, capolinea, si scende!

Gabriele Pastori ed Andrea Mathee, reduci del discreto successo raccolto qualche tempo prima con “I Try” di Activa su UMM, collaborano col DJ Alberto Castellari tirando fuori dal milanese Spirit Studio il brano “Endless Wind” che firmano come Lifebeat. A trainarlo, ma senza particolari esiti, la versione di DJ Dado. A metà strada tra progressive e trance è “Magic Fly” di Atrax, progetto curato dai fratelli Visnadi che ripesca l’omonimo degli Space intrecciato ad un bassline che pare pagare il tributo al “Blade Runner (End Titles)” di vangelisiana memoria. Partorito in seno al fenomeno cover è pure “Original Sin” di Cremlins, remake del pezzo degli australiani INXS che giusto pochi mesi prima perdono tragicamente il loro cantante, Michael Hutchence. Una sorta di mash-up tra “The House Of God” di DHS e la base del pluridecorato remix di “It’s Like That” dei Run-DMC realizzato da Jason Nevins è “Tar-Zan” di BB’s. Dentro ci sono anche svirgolate di TB-303 ma soprattutto l’urlo di Tarzan che chiarisce la ragione del titolo. A produrlo, per la tedesca Orbit Records da cui Italian Style Production rileva la licenza, sono Ramon Zenker (quello degli Hardfloor, Interactive o Phenomania di cui si parla qui) e il compianto Gottfried Engels, fondatore tra le altre cose della popolare Tiger Records. A sorpresa riappare Deadly Sins col remix di “We Are Going On Down” rimodellato sulla base del citato remix di Nevins. DJ Zuul invece in “Feel The Music” rispolvera l’hook vocale di “Feel The Rhythm” di Jinny, collocandolo in un contesto eurotrance a cui crede la sopramenzionata Orbit Records che lo pubblica in territorio tedesco. Tratto dal catalogo della britannica Inferno è “Dreaming” di Ruff Driverz Presents Arrola, un grosso successo in Nord Europa esportato persino negli Stati Uniti ma che non riesce proprio ad attecchire in Italia dove la trance trova un terreno decisamente poco fertile. Sulla falsariga dei più recenti successi di DJ Dado (“Coming Back”, “Give Me Love”) che abbandona la dream progressive a favore della pop dance, si inseriscono i Seven Days con “Send Me An Angel”. Dietro le quinte operano i Devotional (Cristian Piccinelli, ex Media Records ed artefice del successo di Simone Jay di cui si parla qui) e Tiziano Giupponi. Luca Moretti, prossimo alla consacrazione con Triple X (prima) ed Antillas e Rhythm Gangsta (poi) porta in scena per l’ultima volta Sunrise con “Ayla”, rifacimento del brano omonimo del tedesco Ingo Kunzi alias Ayla, risalente al ’96 e diventato un classico della trance mitteleuropea. Sul lato b del disco è incisa “Loco Train”, prog trance trascinata dal sample di un treno, idea che nello stesso anno viene sfruttata con più efficacia da Robbie Tronco nella sua “Fright Train”.

Miss Kittin & The Hacker - 1982

“1982” di Miss Kittin & The Hacker è il disco che nell’autunno ’98 chiude in modo quasi definitivo l’attività di Italian Style Production

In autunno giunge “1982” del duo francese Miss Kittin & The Hacker, tra i brani che gettano le fondamenta dell’electroclash, genere all’apice nei primi anni Duemila. Il pezzo, preso in licenza dalla label tedesca di DJ Hell, l’International Deejay Gigolo Records, è «un viaggio a ritroso nel tempo attraverso un testo con rimandi a Jean-Michel Jarre (“Let’s go to the rendezvouz”), Klein & M.B.O. (“DJ play deja vu”), Visage (“I see your face fade to grey”), New Order (“just wait for the blue monday”), Kraftwerk (“you’re a robot, man machine”), Soft Cell (“I don’t want a tainted love”), Yazoo (“but don’t go”), Telex (“just play me moscow discow”), e Depeche Mode (“I just can’t get enough”)» (da Gigolography) e diventa un successo inaspettato entrando in numerose compilation, programmazioni radiofoniche e classifiche di vendita. Sul lato b si trovano “Gigolo Intro” e “Frank Sinatra”, rilanciata tempo dopo attraverso una versione più incisiva. È il disco che tira il sipario in modo quasi definitivo sull’Italian Style Production.

2004, una falsa ripartenza

ISP 2004

Sopra il 12″ di “Make It Right Now” di DJ Damm Vs Aladino (2004), sotto il cofanetto “The Best Of Italian Style” del 2014

I primi anni Duemila vedono l’affermazione di una seconda ondata italodance, partita intorno al 1998. Alcuni artisti e compositori, già protagonisti nella fase precedente, si ripresentano con nomi diversi (Eiffel 65, Paps N Skar, DJ Lhasa giusto per citarne alcuni), altri invece appartengono ad una nuova generazione cresciuta coi successi del decennio precedente e desiderosa di emularne lo spirito e i risultati. Il suono identificativo di tale passaggio, come descritto in Decadance Appendix, vede la preminenza di «basso in levare, ritmiche appena colorite dall’uso del charleston della batteria e riff portanti eseguiti con suoni corposi di sintetizzatore che riprendono la linea melodica vocale». Sono proprio questi ingredienti a riportare in vita l’Italian Style Production nel 2004, sia nel nome che nel layout grafico iniziale. Per i nostalgici è un vero tuffo al cuore, rimarcato peraltro dal contenuto musicale che attinge dagli indimenticati 90s. L’ISP 1400 infatti è un remix di “Memories” dei Netzwerk, un classico del ’95. A realizzarlo sono i Promise Land, coppia di DJ romani formata da Fabio Ranucci e Nazario Pelusi. Segue un secondo 12″ ancora legato a doppio filo con gli anni Novanta e, in questo caso, con la stessa Italian Style Production: solcate sul mix sono due nuove versioni di “Make It Right Now” realizzate dal fantomatico DJ Damm (in realtà acronimo di Diego Abaribi Mauro Marcolin, autori del brano originale del 1993). Abaribi, tornato ad occuparsi di musica dopo diversi anni di assenza, fa resuscitare Aladino nel 2002 con “Feel The Fire”, interpretato da un ancora poco noto Sagi Rei e pubblicato dalla Moremoney, sublabel del gruppo Melodica che lui stesso fonda qualche tempo prima insieme a Bob Salton. Per Italian Style Production però si tratta solo di una falsa ripartenza. Dopo l’uscita di DJ Damm l’etichetta bresciana si congeda definitivamente, fatta eccezione per la raccolta riepilogativa “The Best Of Italian Style”, uscita nel 2014 e racchiusa in un cofanetto contenente cinque CD con una manciata di brani tratti dal repertorio Line Music, e la conversione del catalogo in formato digitale avvenuta attraverso la T30, l’ennesimo marchio raccolto sotto l’egida del gruppo Time di Giacomo Maiolini.

grafici ISP

Grafici che sintetizzano l’attività di Italian Style Production: a sinistra l’istogramma relativo al numero di pubblicazioni annue, a destra l’aerogramma che evidenzia la categorizzazione stilistica. I dati presi in esame potrebbero essere soggetti a marginali errori (per quei dischi, ad esempio, pubblicati in un anno diverso rispetto a quello riportato sull’etichetta).

Un mercato che dà i numeri

L’impatto che internet (specialmente il peer-to-peer e la pirateria) ha sulla discografia dopo il 2000 è devastante ma già qualche anno prima il comparto dance inizia a risentire di una crisi, acuita dalla povertà di idee e clonazioni troppo frequenti che ingolfano e saturano il mercato. Inoltre la chiusura di aziende-simbolo come Flying Records e Discomagic non è incoraggiante ed infatti negli ultimi anni Novanta il business comincia a cristallizzarsi. Sono ormai lontani i tempi in cui Italian Style Production immette a nastro dischi sul mercato non lasciandosi intimorire da risultati altalenanti. Dallo studio allestito al 5 in Via Sabotino, a Brescia, esce davvero un mare di musica che adesso però necessita di un ridimensionamento. Giacomo Maiolini, in un articolo apparso sulla rivista Trend a dicembre 1998 a cura di Nello Simioli ed Eugenio Tovini, afferma che «il mercato diventa ogni giorno più difficile e solo un costante lavoro permette di mantenere una quota significativa dei 12″. Per i discografici della dance c’è anche lo scoglio della scarsa considerazione in cui è tenuto questo genere dai grandi media. Non si capisce perché un progetto come The Tamperer non possa essere ospitato a Sanremo con tutta la dignità che merita dopo aver venduto oltre un milione di copie. In ogni caso la mia società ha da qualche tempo deciso di ridurre radicalmente le uscite pubblicando solo quei dischi che hanno ricevuto un giudizio positivo nella fase di pre-release dalle radio o dai partner stranieri. Con questa strategia si raggiungono contemporaneamente due risultati: agevolare il compratore verso prodotti curati con particolare attenzione e garantire un’alta professionalità anche promozionale su ogni lavoro pubblicato dalle nostre etichette». Il calo delle pubblicazioni a cui si riferisce Maiolini appare evidente prendendo in esame lo storico di Italian Style Production che, è bene rammentarlo, è solo una delle sublabel del gruppo Time Records. Il biennio più prolifico di uscite risulta essere il 1993-1994, rispettivamente con 75 e 62 pubblicazioni. Dal ’95 in poi invece si avvia una drastica diminuzione che coincide in pieno con quanto il bresciano afferma in quell’intervista di fine ’98 di cui si è detto sopra. A livello stilistico invece, il filone maggiormente battuto è quello dell’eurodance con oltre 200 pubblicazioni. Seguono la house (poco più di 100), l’eurotechno (una quarantina) e dream progressive/trance (una trentina). Dal punto di vista collezionistico, infine, una stima, seppur parziale, la si ottiene analizzando i dati emersi dal marketplace di Discogs. “Sky” di Brenda, “My Love” di Torricana, “Dirty Tricks / Peer Gynt” di Neural-M e “Keep On Movin'” di Yama sono tra quelli pagati a prezzo più alto (rispettivamente 250 €, 160 €, 125 € e 104 €) e si difendono bene anche “Cannibal” di Black 4 White (100 €), “I Want Your Love” di Etoile e “Keep Me Going On” di D-Inspiration (entrambi 95 €), “The Big Beat” di Nouvelle Frontiere (89 €), “That Is Really Mine” di Black House (69 €), “U Love Me” di Delta (67 €) e “Baby” di Mytho (63 €). Sul fronte grafico, in ultima analisi, Italian Style Production alterna artwork studiati appositamente, adoperati in prevalenza nelle prime annate d’attività, a copertine decorate con lo stesso layout e colore dell’etichetta centrale sino a più banali ed economiche standard con sticker applicati nella parte superiore per cui si opta nell’ultima fase operativa. Con circa quattrocento pubblicazioni edite in otto anni, l’etichetta bresciana si è saputa imporre in Italia e all’estero, seppur con risultati alterni. Da un lato la prolificità ha alimentato una collana di brani che, in taluni casi, si specchiavano l’uno nell’altro differendo più per nomi che per stile, ma del resto quello della dance mainstream, è risaputo, è un mercato che ha sempre necessitato di novità costanti e il persistente utilizzo di nuovi alias orchestrati dai medesimi autori è servito a convincere il pubblico di avere a che fare di volta in volta con artisti diversi; dall’altro giovani ed intraprendenti DJ affiancati da validi musicisti sono riusciti a consegnare agli annali pezzi diventati “sempreverdi” o rivalutati a posteriori. Da rimarcare infine l’ingenuità delle prime annate, in cui non mancano spunti interessanti ma talvolta sviluppati in modo poco incisivo come avviene sovente all’italo house a cavallo tra ’89 e ’90. A conti fatti Italian Style Production lascia un ricordo indelebile nei cuori di tanti appassionati di dance music, oltre ad aver rappresentato una “palestra” dove moltissimi hanno fatto gavetta prima di spiccare il grande salto. (Giosuè Impellizzeri)

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Phenomania – Who Is Elvis? (No Respect Records)

Phenomania - Who Is ElvisI primi anni Novanta vedono la diffusione e popolarizzazione della techno in Europa. Gran parte dei produttori del Vecchio Continente però non proseguono sul modello dei creatori di Detroit ma ne forgiano un altro che attinge prevalentemente dalla new beat e che punta ad essere immediatamente riconoscibile per l’utilizzo di suoni artificiali (ossia non riconducibili a strumenti tradizionali) e ritmiche incalzanti, spesso contraddistinte da una cassa marcata. Questo mix, che in Italia degenera in un fiume di pubblicazioni messe sul mercato da case discografiche che si appropriano di tale “nomenclatura” con fini meramente speculativi e che quindi davvero poco e nulla spartiscono con la techno, diventa un filone battuto per un paio d’anni circa e da cui provengono diversi impressionanti successi.

È il caso di “Who Is Elvis?” realizzato dai tedeschi Ramon Zenker (dietro agli Hardfloor e a dozzine di altri act come Bellini, Fragma o Perplexer) e Jens Lissat che per l’occasione coniano il progetto Phenomania, uno dei tanti “brand” utilizzati per marchiare la loro attività produttiva in quel decennio. «Facevo il DJ già da molto tempo» racconta oggi Lissat. «Nel 1978 acquistai il mio primo 12″, “Chase” di Giorgio Moroder. Poi, durante l’estate del ’79, vidi un DJ mixare al Trinity, famosa discoteca della mia città natale, Amburgo: quella notte fu determinante per la mia vita! Dopo pochi giorni comprai due giradischi Technics SL-B3 e un mixer ed iniziai a prendere dimestichezza con la strumentazione, senza alcun aiuto esterno. Ai tempi non esistevano mica i tutorial. Ad ottobre di quell’anno sapevo già mixare in modo professionale ed avevo appena quindici anni».

Jens Lissat @ Trinity (Hamburg Germany 1981)

Un giovanissimo Jens Lissat in consolle al Trinity di Amburgo, nel 1981, la discoteca dove solo un paio di anni prima scocca la scintilla per il DJing

Lo step successivo è la composizione, nonostante ai tempi non sia affatto facile procurarsi il necessario per produrre musica visti i costi ancora proibitivi degli strumenti. «La mia prima esperienza professionale in studio di registrazione risale al 1984 quando realizzai il remix di “Dancing In The Dark” di Mike Mareen» ricorda ancora Lissat. «Lo feci allo Star Studio, ad Amburgo, lì dove vennero registrati anche alcuni brani dei Modern Talking. Negli anni precedenti però ero già considerato il “re tedesco dei bootleg”. Realizzavo quelli che venivano chiamati medley e successivamente mash-up (pratica a cui abbiamo dedicato un ampio reportage qui, nda), stampandoli e vendendoli con successo. Ero particolarmente noto in Germania per questo tipo di attività e in virtù delle mie capacità nel 1986 mi offrirono la possibilità di realizzare un megamix ufficiale per Phil Collins che venne pubblicato dalla WEA. Lo realizzai nel Try Harder, lo studio di Peter Harder con cui avrei collaborato a lungo negli anni a seguire. Fu lui ad insegnarmi ad usare l’Atari 1040ST e il programma Creator per produrre musica. Sottolineo però di non aver mai studiato alcuno strumento classico anche se so suonare il pianoforte».

Work The Housesound

La copertina di “Work The Housesound”, il brano che Lissat realizza con Peter Harder nel 1987 come chiara imitazione dei pezzi provenienti da Chicago

Proprio con Harder, nel 1987, Lissat incide “Work The Housesound”, uno dei primi brani house realizzati in Germania. La copertina contiene chiare citazioni grafiche di “The House Sound Of Chicago”, la celebre serie della D.J. International Records, mentre la traccia suona come una sorta di rework di “Love Can’t Turn Around” di Farley Jackmaster Funk & Jesse Saunders sequenzata sul disegno ritmico di “Blue Monday” dei New Order. Pure i nomi degli autori, J.M. Jay ed Hardy, ammiccano a quelli che ai tempi giungono dalla discografia house d’oltreoceano. «”Work The Housesound” fu una delle mie prime produzioni in assoluto» spiega a tal proposito l’artista tedesco. «Nel 1986, durante un viaggio a New York, comprai un mucchio di dischi di un nuovo genere che stava iniziando a prendere piede, la house music, e proposi quel sound al Voilà, discoteca di Amburgo dove ero resident. Poco tempo dopo conobbi Harder e gli dissi che avrei voluto incidere un pezzo simile a “Love Can’t Turn Around”. Non sapevo davvero nulla sulle Roland TR-808, TR-909 e TB-303 ma cercai ugualmente di fare del mio meglio. Il risultato fu “Work The Housesound”, il primo disco house prodotto in Germania. Per l’occasione decisi di darmi un nome simile a quello dei ragazzi di Chicago, J.M. Jay, acronimo di Jack Master Jens. Vendemmo circa diecimila copie, mica male per un disco di debutto».

La house da lì a breve esplode in Europa e pochi anni più tardi, come anticipato, tocca anche alla techno, riconcepita su nuove basi ideologiche, più schiettamente connesse al ballo. «In realtà la techno di Detroit era più vicina alla house» sostiene Lissat, «mentre la techno europea nata ad inizio degli anni Novanta attingeva dalla new beat belga e dalla EBM tedesca. Techno, per me, è una “cosa” europea, mentre house ed acid invece sono riconducibili agli Stati Uniti e Gran Bretagna». Nel 1991 quindi, sull’onda crescente della europeizzazione della techno, esce “Who Is Elvis?”, contraddistinto da una costruzione tipicamente ravey ed un sample vocale di Elvis Presley che chiarisce la ragione del titolo. «Ero in tour oltremanica col progetto Off-Shore (quello di “I Can’t Take The Power”, nda) che era entrato nella top ten, e a Londra acquistai un sintetizzatore Roland SH-101» ricorda Lissat. «Tornato a casa andai in studio, insieme a Ramon Zenker, per provare questa nuova macchina ed iniziai a strimpellare una linea di basso con due dita, scegliendo un saw bass. A quel punto creammo un loop ritmico ispirato da “The House Of God” di D.H.S. e una drum part con la TR-909. Nella prima versione approntata c’era la mia voce ma alla fine optammo per quella campionata di Presley. In appena quattro ore il pezzo, diventato uno dei più grandi inni della techno di prima generazione, era pronto».

Sempre nel 1991 “Who Is Elvis?” viene ripubblicata ma utilizzando il nome Interactive, progetto che Zenker e Lissat fondano l’anno prima col brano “The Techno Wave”. Una maggiore spinta promozionale è garantita dal video che ne favorisce la diffusione nel mainstream. «Vendemmo all’incirca 15.000 copie di Phenomania (preso in licenza per l’Italia dalla Flying Records dietro segnalazione e suggerimento di Mimmo Mennito che lavora come import buyer presso il polo distributivo partenopeo, nda) ma poi decidemmo di sospendere la stampa e cambiare nome optando per Interactive, un altro nostro progetto che aveva già raccolto particolari consensi» spiega Lissat. «Come Interactive infatti finimmo col raggiungere la soglia di circa 180.000 copie vendute, entrammo nella top 20 tedesca e le compilation in cui il brano fu inserito superarono persino il milione di copie. Rammento pure una cover prodotta in Italia firmata Feno-Mania (sulla fittizia Unrespect Records del gruppo Discomagic, che parodiava ironicamente l’originaria No Respect Records, nda), del tutto illegale e che ebbe ovviamente meno successo della nostra traccia».

Jens Lissat e Ramon Zenker @ Studio Bolkerstrasse Düsseldorf 1993

Ramon Zenker e Jens Lissat nello studio in Bolkerstraße, a Düsseldorf, nel 1993

“Who Is Elvis?” è il brano che taglia il nastro inaugurale della No Respect Records, fondata ad ottobre del 1991 da Zenker e Lissat, rimasta in attività sino al 2000 per poi essere rilanciata, nella dimensione digitale, nel 2008. Nel catalogo annovera artisti come DJ Hooligan (il futuro Da Hool), Jürgen Driessen alias Exit EEE e i Mega ‘Lo Mania di “Close Your Eyes”, coverizzata dal nostro Moka DJ nel 1996. «La No Respect Records nacque proprio con “Who Is Elvis?”» chiarisce Lissat. «Ai tempi collaboravamo con diverse etichette a cui però avevamo già dato altri progetti quindi proposi a Ramon di crearne una nostra per pubblicare Phenomania. Lui annuì e in breve propose il nome, contrariamente a quanto accadeva di solito visto che ero io a creare pseudonimi. Insomma, fu proprio l’uscita di “Who Is Elvis?” a sancire la nascita della No Respect Records con la quale abbiamo lanciato un sacco di nuovi artisti destinati a diventare grandi nomi della scena. Ai tempi gestire un’etichetta discografica era piuttosto complesso ed impegnativo, bisognava continuamente far arrivare le white label ai DJ e soprattutto poter contare su un distributore efficiente. Per fortuna il nostro (Discomania, nda) lavorava benissimo».

Tra 1992 e 1993 i Phenomania remixano vari brani tra cui “Poing!” dei Rotterdam Termination Source, che di quella invasione rave techno è un inno insieme ad altri come “James Brown Is Dead” di L.A. Style, “Dominator” degli Human Resource, “Anasthasia” dei T99 e “Pullover” di Speedy J, ed incidono nuovi singoli come “Caramelle”, “Strings Of Love” (una sorta di mash-up tra “Strings Of Life” di Rhythim Is Rhythim e “All You Need Is Love” dei Beatles), “He Chilled Out” ed “Amazonas”, ma il successo pop sembra ormai essere sfumato. Non a caso la storia dei Phenomania si interrompe, anche se a tal proposito Lissat dice che la ragione fu legata a ragioni private. La coppia di dioscuri teutonici prosegue comunque la collaborazione puntando su progetti paralleli, in primis il menzionato Interactive, che inanella una serie di hit europee, da “Dildo”, per cui viene girato un ironico videoclip ad “Elevator Up And Down”, da “Amok” a “Can You Hear Me Calling” passando per l’happy hardcore di “Forever Young”, cover dell’omonimo degli Alphaville, “Living Without Your Love”, “Tell Me When” e “Sun Always Shines On TV”, rilettura del classico degli a-ha trainata da un video in cui viene coinvolto, come modello/attore, un giovane Tobias Lützenkirchen, poco tempo dopo finito anche nella line up di Paffendorf, ennesimo act curato da Zenker.

Interactive (premiazione nel 1994)

Gli Interactive, nella loro lineup completa, premiati nel 1994 per le 500.000 copie vendute di “Forever Young”: da sinistra Marc Innocent, Ramon Zenker, Andreas Schneider e Jens Lissat

«Interactive fu una mia idea e Ramon divenne immediatamente partner nell’avventura» rammenta ancora Lissat. «Dietro il brano d’esordio, “The Techno Wave”, c’è una storia che mi riguarda in prima persona: facevo il DJ in un locale di Dortmund ma desideravo tornare nella discoteca in cui lavoravo prima, il Königsburg Krefeld, a Krefeld. Così chiesi al proprietario se potessi essere nuovamente il resident il sabato sera e per convincerlo gli offrii una produzione discografica, ovvero “The Techno Wave” con cui nacquero gli Interactive (sul retro della copertina, infatti, c’è uno speciale ringraziamento abbinato alle foto della discoteca dove peraltro viene girato un video, nda). Nel nostro repertorio vantiamo numerose hit ma nonostante ciò sono salito sul palco con la band davvero poche volte essendo un DJ e non un performer. A portare il progetto nella dimensione live furono invece Ramon e il cantante Marc Innocent. Il successo più clamoroso resta “Forever Young” che raggiunse la soglia delle circa 500.000 copie vendute. Erano gli anni in cui nasceva quella che mi piace definire “business techno” che però non rientra esattamente nei miei gusti. Cedemmo l’album “Touché” alla Blow Up del gruppo Intercord incassando un ottimo anticipo economico. Il mio preferito resta “Dildo”, del 1992».

Phenomania tour Italia 1992

Flyer del 1992: i Phenomania sono tra gli ospiti di rave romani

Molti singoli degli Interactive arrivano anche in Italia dove, inizialmente, il gruppo può contare sul supporto di Albertino che peraltro firma un remix, con Giorgio Prezioso, di “Dildo” (il Wighida Remix realizzato nello studio di David X, di cui abbiamo parlato qui). Lo stesso Prezioso si occupa di “Elevator Up And Down”. I tedeschi ripagano con la loro versione di “Je Le Fais Express (Satisfy)” dei Fishbone Beat, recensiti qui. Quasi contemporaneamente Lissat sbarca nel nostro Paese col brano “Energy Flow”, edito da R&S e preso in licenza dalla Time Records che nel 1993 lo convoglia su una delle sue sublabel, la Downtown. «L’Italia è stata fondamentale nella scena techno» dichiara Lissat, «ho tantissimi ricordi dei rave romani dei primi anni Novanta ma soprattutto del Cocoricò, la mia discoteca preferita in assoluto di quel periodo. Inoltre sono particolarmente legato ad “Energy Flow” perché fu il primo brano che firmai col mio nome anagrafico. Proprio l’anno scorso ho realizzato un remix con Ramon. Lo considero un pezzo senza tempo. Nel 2020 festeggio il quarantennale nel mondo dei club e non mi sono ancora stufato anzi, ho ancora tanta voglia di produrre buona musica» conclude il DJ tedesco. (Giosuè Impellizzeri)

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Zenith – DJ chart maggio 1997

Zenith, DiscoiD maggio 1997DJ: Zenith
Fonte: DiscoiD
Data: maggio 1997

1) Aphex Twin – Alberto Balsalm
Nella tracklist di “…I Care Because You Do” pubblicato dalla Warp nella primavera del 1995, “Alberto Balsalm” è uno dei brani che mettono meglio in risalto il genio creativo di Richard David James. L’artista disegna malinconiche traiettorie melodiche su un foglio ritmico ottenuto, pare, con rumori registrati sul campo tra cui un lambiccante sferruzzare di forbici da parrucchiere. Da qui partono le teorie formulate dai fan che spiegherebbero la ragione del titolo, gioco fonetico di una nota marca di shampoo, Alberto Balsam.

2) Zenith – A Journey Into My Hallucination
Uscito dopo “The Flowers Of Intelligence”, “A Journey Into My Hallucination” è il secondo dei due dischi che Zenith realizza per la IST Records, sublabel della nota Industrial Strength Records di Lenny Dee, e prosegue l’incredibile trip che Federico Franchi effettua in quegli anni tirandosi dietro elementi dell’hard trance, della techno, dell’ambient/IDM e dell’hardcore, raccolti poi nell’album del ’99 “Flowers Of Intelligence”, prodotto ancora da Lenny Dee su The Music Cartel e contenente un ipotizzato terzo singolo, “A Tear In Heart”. Pezzo trainante è “Black Alienation” (ai tempi programmato spesso da Tony H in “From Disco To Disco”, in onda il sabato notte su Radio DeeJay), una specie di acid trance ad alto voltaggio percorsa da scariche elettriche e da un retrogusto cinematico rivelato prima dallo spoken word dell’intro e poi dal lungo break intriso di atmosfere tenebrose e a tratti orrorifiche.

Zenith (1997)

Zenith in una foto del 1997

«Credo mi abbia contattato Franchi quando IST Records stava diventando un’etichetta piuttosto popolare nel circuito underground techno» rammenta oggi Lenny Dee. «Ricordo sorprendenti dettagli nella produzione, e lo spirito della sua musica resta notevole anche a distanza di tanti anni. Fu un assoluto pioniere oltre ad essere un amico, ed è dannatamente triste che non sia più tra noi a realizzare musica ispiratrice come allora. Ricordo bene quando venne a trovarmi, fu un piacere portarlo per le vie di Brooklyn e New York, ci divertimmo un sacco».

Sia “The Flowers Of Intelligence” che “A Journey Into My Hallucination” sono tra i 12″ più richiesti (e quotati sul mercato dell’usato) della discografia di Franchi ma ad oggi la IST Records ha ristampato solo il primo, nel 2008, per placare la “sete” dei collezionisti. «Non sono convinto di poter effettuare nuovi reissue su vinile, chiederò alla francese Toolbox Records che si occupa della stampa dei nostri dischi per capire se ci sia la possibilità. Giusto qualche mese fa abbiamo commercializzato in digitale lo stupendo album “Flowers Of Intelligence”, con una potente rimasterizzazione. Ci consideriamo fortunati ad averlo pubblicato su CD anni fa. All’Awakenings del 2018 Nina Kraviz ha suonato “Black Alienation” ed è stato fantastico. La DJ siberiana ci ha contattati per avere la versione digitale poiché aveva solo quella incisa su vinile e a quel punto abbiamo deciso di rimettere in circolazione l’intero LP in formato liquido. È rincuorante sapere che anche le nuove generazioni possano scoprire la straordinaria musica di Zenith» conclude Lenny Dee. Alcuni brani di “Flowers Of Intelligence” riappariranno nel 2007 attraverso “Ambient Works ’89-’95”, una raccolta diffusa esclusivamente in digitale contraddistinta da un titolo che ammicca chiaramente a “Selected Ambient Works 85-92” di Aphex Twin, punto di riferimento e di ispirazione per Franchi nei suoi primi anni di carriera.

3) Steve Reich – The Cave
“The Cave” viene dato alle stampe solo nel 1995, due anni dopo rispetto a quando la composizione viene eseguita pubblicamente con la Steve Reich Ensemble. Divisa in tre atti, West Jerusalem (May – June 1989), East Jerusalem (June 1989 And June 1991) e New York City / Austin (April – May 1992), “The Cave” è, come descrive Enzo Restagno in “Reich. Con Un Saggio: La Svolta Americana”, «un progetto drammaturgico con cui l’autore approda ufficialmente al mondo del teatro». L’idea di partenza è un luogo che l’illustre esponente del movimento minimalista definisce “un’incarnazione della storia”, la grotta di Machpelah a Ebron, lì dove il musicista si reca, insieme a Beryl Korot, con telecamere e registratori per iniziare il meticoloso lavoro di raccolta di immagini e materiali sonori. «Il ricorso alle tecniche della speech melody, gli strumenti che raddoppiano e avviluppano ritmicamente le voci, la flessibilità dei ritmi e delle situazioni armoniche, l’uso quanto mai sofisticato della tecnologia video e delle registrazioni sembrano trovare in “The Cave” un grandioso compendio» scrive ancora Restagno nel citato libro.

4) Björk – Violently Happy (Remix)
È complicato risalire a quale versione qui faccia riferimento Zenith: di remix di “Violently Happy”, brano incluso nel primo album dell’artista islandese uscito nel 1993, ne sono usciti diversi, tutti a firma di nomi blasonati come Masters At Work, Graham Massey degli 808 State e Nellee Hooper. Considerando i gusti di allora di Franchi però, potrebbe trattarsi di una delle due versioni – Well Tempered (Non Vocal) o Even Tempered (Vocal) – realizzate dai Fluke, team britannico attivo sin dal 1988 ma balzato agli onori della cronaca proprio nel 1997 con l’album “Risotto” e i singoli “Absurd” e soprattutto “Atom Bomb”, quest’ultimo finito in popolari videogame come “Wipeout 2097” e “Gran Turismo”.

5) Zenith – Elektronic Death
Inciso sul lato b di “Fantasy” di Fabietto DJ (cover dell’omonimo di Taucher scritto insieme a Torsten Stenzel), “Elektronic Death” incarna tutte le caratteristiche con cui Zenith “disegna” la sua hard trance in quel periodo. Velocità di crociera sostenuta, beat di costruzione minimalista, riff corti e ripetitivi, insomma pochi elementi ma dosati in modo perfetto da non far sentire l’assenza di altro. La formula magica è la medesima utilizzata nel progetto Shadow Dancers messo a punto con Biagio Lana e di cui abbiamo parlato nel dettaglio qui. Proprio Lana, tra pochi giorni, pubblicherà sulla sua iElektronix “The Voyager”, un brano inedito che riporterà in superficie il nome Shadow Dancers in memoria dell’amico prematuramente scomparso il 18 marzo 2018. Chissà se in futuro anche Elvio Moratto possa decidere di “resuscitare” Sonar Impulse, progetto nato con Franchi nel ’97 attraverso “The Door To Eternity”.

6) Leo Anibaldi – Void
“Void”, uscito nel ’96, porta il DJ/produttore capitolino sull’ambita Rephlex di Aphex Twin e Grant Wilson-Claridge. Messi da parte i ritmi brutali e le scorribande acide di “Cannibald – The Virtual Language”, Anibaldi continua ad intingere i pennelli in colori lividi e spappola quasi del tutto i canonici 4/4 ottenendo broken beat astratti, anticipati da una bolla ambientale e via via agghindati con rumori industriali. Una summa che raduna le intuizioni e le visioni messe a segno durante il primo lustro dei Novanta su ACV nel citato “Cannibald – The Virtual Language” (1992) e in “Muta” (1993), e che chiude l’ideale trilogia facendo di Anibaldi uno dei più intriganti artisti techno italiani negli anni in cui techno vuole essenzialmente dire saper scrutare nel futuro.

7) Caustic Window – ?
La poca attenzione nel riportare la dicitura esatta di un altro cimelio della discografia di Richard D. James mette nuovamente di fronte ad un dubbio amletico impossibile da sciogliere: si tratta del “Joyrex J9” o del “Joyrex J9 EP”? Entrambi risalgono al 1993 ma, nonostante il titolo praticamente identico, tra i due corrono sostanziali differenze. Il primo, stampato in trecento copie su un vinile shaped particolarmente ricercato sul mercato del collezionismo che da un lato riproduce un Roland Bass Line TB-303 e dall’altro un Roland Drumatix TR-606, include “Humanoid Must Not Escape” e “Fantasia”. Il secondo, con la tiratura estesa alle novecento copie (a cui se ne sommano altre cento della Disco Assault Kit con allegati un sacchetto di caramelle ed una t-shirt), conta invece quattro tracce di cui solo una presente nel precedente, “Fantasia”, a cui si aggiungono “Clayhill Dub”, “We Are The Music Makers (Hardcore Mix)” e la più nota “The Garden Of Linmiri”, scelta qualche anno più tardi dalla Pirelli per lo spot televisivo col velocista Carl Lewis.

8) Prezioso – Raise Your Power (Zenith Remix)
Nel suo lungo peregrinare da una label all’altra, Giorgio Prezioso approda anche alla Trance Communications Records (il cui catalogo, è bene ricordarlo, annovera i primi dischi di Bochum Welt prima che approdasse alla Rephlex), creando con Zenith e il socio Mario Di Giacomo il progetto The Alternative Creators sviluppato attraverso “Sound Creation”, “The Beast” e “Rave Invention” usciti tra 1996 e 1998 e di cui abbiamo parlato dettagliatamente in Decadance contando sull’intervista esclusiva dello stesso Franchi. In quell’arco di tempo esce pure un suo singolo prodotto dai citati Zenith e Di Giacomo, “Raise Your Power”, non tra i più noti nel circuito generalista italiano ma forse quello che gli fa conquistare più credibilità nel settore dell’hard trance internazionale. Con una miscellanea sonora molto simile a quella usata per The Alternative Creators, il brano si aggiudica le licenze sulla britannica TeC, appartenente al gruppo Truelove Label Collective, e sulla tedesca Tetsuo di Talla 2XLC che decide, peraltro, di realizzarne un remix. La versione presa qui in esame è però la Hardhypno di Zenith, calata in atmosfere tetre (parecchio simili a quelle dei citati brani finiti sulla IST Records di Lenny Dee) e sorretta da un pulsante ritmo a cui l’autore associa la sua classica marcetta ipnotica. Tra gli altri remix si segnalano infine quello hardcore degli Stunned Guys e quello hard house dei Knuckleheadz.

9) Lory D – ?
Non è possibile identificare a quale disco della Sounds Never Seen si riferisse Zenith. Se fosse stato quello uscito nell’anno della chart si tratterebbe allora di “Friski”, l’unico edito nel ’97, che al suo interno contiene “Fludoiscki” e “Sotodiscki”, entrambi contraddistinti da grovigli ritmici coi quali il DJ romano spinge ancora la techno nei meandri della IDM più cervellotica. Ma questa è solo una supposizione perché l’artista avrebbe potuto indicare pubblicazioni antecedenti al 1997, così come testimoniano altri brani sparsi nella sua top ten.

10) Lenny Dee – ?
Nella discografia di Lenny Dee il part II di “Emotional Response” non esiste. “Emotional Response”, costruito su un intreccio tra hard trance ed hardcore, esce nel ’96 sulla LD Records. L’anno dopo, quando questa chart viene pubblicata, è la volta di “Forgotten Moments”, costruito su elementi simili e l’ultimo edito dalla LD Records. È forse questo il disco a cui si riferisce Zenith? Contattato pochi giorni fa, Lenny Dee spiega che inizialmente Emotional Response fu pensato come un nuovo pseudonimo: «Il primo 12″ che uscì su LD Records, contenente il brano omonimo realizzato con Marcos Salon, doveva essere commercializzato proprio come Emotional Response (cosa che avviene solo per le licenze tedesche su ZYX Music, nda), ma poi cambiai idea e decisi di firmarlo come Lenny Dee, analogamente a quanto avvenne col seguente “Forgotten Moments”». Alla luce di queste dichiarazioni è plausibile dunque supporre che Zenith intendesse proprio “Forgotten Moments”, coprodotto con Mike Marolla e Steve Gibbs ed oggi piuttosto ambito dai collezionisti.

(Giosuè Impellizzeri)

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Precious X Project – A New Kind Of Sound Generated From Our Nevrotic Mind Vol. 1 (X-Energy Records)

Precious X Project - A New Kind Of Sound Generated From Our Nevrotic Mind Vol. 1La “Roma caput (rave) mundi” dei primissimi anni Novanta genera un mucchio di intuizioni e segna in modo indelebile un’epoca. C’è chi fa tesoro della lezione impartita dagli americani (Detroit, Chicago) ed elabora le proprie idee su tali dettami, ma anche chi innesta gli impeti creativi sulle deviazioni europeizzate filtrate attraverso quanto proviene in primis da Paesi come Olanda, Belgio e Germania.

La techno (soprattutto quella rinata nel Vecchio Continente, concepita quasi esclusivamente per essere ballata) è musica brutale, di rottura, che abbatte ogni stereotipo e vuole disegnare il futuro mediante suoni nuovi e ritmiche mai sentite prima d’ora. La missione è questa pure per Precious X Project, un progetto per l’appunto che si fa sentire nel 1992 con un EP dal titolo chiarificatore. «Fu il frutto della collaborazione che instaurai all’inizio di quell’anno con Davide Calzamatta alias David X, uno dei programmatori e produttori più innovativi dei tempi» racconta oggi Andrea Prezioso. Calzamatta, reduce dalla collaborazione con la Media Records, è un esperto in ambito campionatori ed infatti da lì a breve l’AID – Associazione Italiana Disc Jockey -, gli chiede di realizzare una serie di articoli per il proprio magazine ed un tutorial dedicato al Roland DJ-70, diffuso su VHS. Con Precious X Project i due siglano la sinergia ricorrendo all’inglesizzazione che, sin dai tempi dell’italodisco, serve soprattutto per conferire credibilità al prodotto e renderlo appetibile per il mercato internazionale.

L’EP contiene quattro brani con titoli ispirati dal Dylan Dog bonelliano e tutti “figli” della rave age: “Do Do Xabaras”, “Dukkha”, “Freaks” ed “Acid Cagliostro”. In ognuno di essi Prezioso e Calzamatta spingono martelli industrial, arpeggi lisergici a volte dissonanti, scorribande acid, frammenti bleepy e ritmi a trazione anteriore. «Elaborammo le idee nello studio di Davide, a Roma, con strumenti classici dei tempi (Roland TB-303, TR-909 etc), e poi assemblammo il tutto con sequencer hardware visto che non disponevamo ancora di un computer». Sui quattro pezzi ne svetta uno, a cui partecipa il compianto Walter One, finito presto nel circuito mainstream, ovvero “Dukkha” che in sanscrito indica “la condizione di sofferenza”. A contraddistinguerlo è l’ipnotismo e l’effetto “marcetta”. «Il riff del brano, ottenuto con un Roland Alpha Juno-1, lo portò in studio Walter e poi lo elaborammo insieme, mentre la partenza coi BPM rallentati fu del tutto casuale. Davide suonò il synth e poi lo fermò bruscamente e l’effetto mi fece venire l’idea della velocizzazione (Lil’ Louis docet). Le altre tre, meno note rispetto a “Dukkha”, seguivano lo stile della techno di Detroit o quella promossa dalla Plus 8 di Richie Hawtin e John Acquaviva, coi clap della TR-909 effettati col riverbero. Ultimammo tutto in appena due giorni ma “Dukkha” fu registrata di getto, proprio il secondo giorno. Pensammo di proporci alla X-Energy Records giacché conoscevo già Alvaro Ugolini (amavo Advance e Fun Fun) che, insieme al socio Dario Raimondi, era da sempre molto attento alle produzioni internazionali. Credo che il buzz intorno a “Dukkha” nacque sia quando la suonammo ai rave con Walter, sia quando Luca Cucchetti, personaggio a mio avviso fondamentale per il movimento techno della Capitale, la propose nel suo programma su Radio Centro Suono. Poi il disco arrivò nelle mani di Albertino che ne consacrò il successo in tutta Italia nei circuiti più popolari, in modo non diverso da quanto avvenne con “James Brown Is Dead” di L.A. Style, promuovendolo ironicamente come “disco citofono” (per via del suono iniziale che, effettivamente, somiglia a quello di un citofono, nda). A proposito di “James Brown Is Dead”, vorrei svelare un aneddoto: ero a New York con Lory D per suonare all’Italian Rave presso il Building Club, e facemmo un salto da Vinylmania, tempio della musica dance/black underground diventato un luogo di culto visto che era tappa obbligata per chi usciva dal Paradise Garage dopo aver sentito un set di Larry Levan. Ricordo bene la faccia schifata del DJ del negozio quando ce lo fece ascoltare, mentre al contrario io e Lorenzo impazzimmo al suono di quel disco, completamente diverso da tutto ciò che avevamo ascoltato sino a quel momento. Chiaramente lo comprammo».

L’EP di Precious X Project viene licenziato in Belgio dalla prestigiosa Music Man Records ed include pure due nuove versioni di “Dukkha”, il Citofono Remix prodotto dal fratello minore di Andrea, Giorgio Prezioso, già in forze a Radio DeeJay, e il Rome Remix realizzato dai citati Walter One e Luca Cucchetti. Contemporaneamente la X-Energy provvede a pubblicare le rivisitazioni pure in Italia. «Tra mix e remix vendemmo intorno alle 30.000 copie. “Dukkha” fu suonato in tutta Europa e mi diede la possibilità di uscire per la prima volta dall’Italia per un paio di rave in Svizzera».

Tetris

“Tetris” di Game Boys, fortunato rifacimento del tema del noto videogioco realizzato da Andrea Prezioso ed Eugenio Passalacqua

Nonostante il successo però la collaborazione tra Prezioso e Calzamatta termina e cala il sipario su Precious X Project, non soddisfacendo chi attendeva un ipotizzabile secondo volume di “A New Kind Of Sound Generated From Our Nevrotic Mind”. «In quel periodo cominciai a collaborare in studio con l’amico Eugenio Passalacqua dando avvio a nuovi progetti come Game Boys, Solid State, Corporation Of Three e Trauma. Quest’ultimo ottenne ottimi consensi nei club underground e fu pubblicato dalla mitica etichetta olandese Djax-Up-Beats di Miss Djax. Su “Tetris” di Game Boys invece, vorrei raccontare un altro aneddoto. Al rave Ombrellaro, svoltosi al Quasar, Lory D suonò un promo, probabilmente comprato a Londra dove andavamo ogni settimana in negozi tipo Vinyl Zone o Black Market, che all’interno conteneva la frase di Tetris, il gioco del Game Boy. Non era niente di speciale, il classico pezzo pieno di riff campionati che si sentiva spesso nei club londinesi, ma qualcosa scattò nella testa di Eugenio che mi guardò e mi invitò a lavorare su quell’idea nel Dump Studio. Lo approntammo in breve tempo e lo stampò Claudio Donato su Daily Music, sublabel della Full Time. Tra mix e remix (tra cui quello di mio fratello Giorgio) vendette oltre 40.000 copie dando vita ad una serie di parodie di pinocchi, polke, sigle di cartoni animati ed inni vari rifatti in chiave techno commerciale, che a mio avviso finirono col banalizzare il tutto. All’epoca produrre musica elettronica voleva dire trapiantare su vinile quello che vivevi quando suonavi in discoteca. Avevi un’idea durante il set e il giorno dopo provavi ad inventare un giro di bassline ed una ritmica con la TR-909, tutto in forma molto artigianale ma immediato, proprio come avvenne con Game Boy. Il primo impatto con quel mondo lo ebbi nel 1988 quando a Londra, con mio fratello Giorgio, assistetti alla finale del DMC vinta da Cash Money. In quel momento Londra era in pieno fermento, acid, new jack swing e rap esplodevano. Tornammo a Roma e cominciammo a suonare quei dischi al Veleno e i pomeriggi diventarono un riferimento per centinaia di ragazzi che riempivano la pista indossando le magliette con lo smile giallo. Poi fu il turno dell’Hysteria, storico locale romano in cui aveva lavorato Marco Trani. Anche lì proponevo parte della musica che compravo nei negozi di Londra insieme a Giorgio, Lory D, Max Lantieri (il mitico Supermax del Veleno), Eugenio Passalacqua, Paolo “Zerla” Zerletti e l’indimenticato Mauro Tannino. A mio avviso però l’evento che mutò radicalmente la percezione di tutto quello che stavamo vivendo fu la serata Rage all’Heaven di Londra, che si svolgeva il giovedì. Lì ascoltammo Colin Faver, che nel suo programma su Kiss FM suonò “Dukkha”, e la coppia Fabio & Grooverider (personaggi che, insieme a Derrick May ed altri, vengono menzionati tra i crediti di “A New Kind Of Sound Generated From Our Nevrotic Mind Vol. 1”, nda). Era un misto tra techno, hardcore britannica, i suoni di Frankie Bones e Tommy Musto e quello che emergeva dai primi vinili della Warp ed R&S. L’impatto fu micidiale. Lory D e Mauro Tannino, insieme a Chicco Furlotti, organizzarono presto una festa, il The Rose Rave, forse il primo rave romano. Da lì scoppiò il movimento con Adamski, Frank De Wulf, Richie Hawtin, Cybersonik, Joey Beltram… venivano tutti a Roma per suonare e per circa un anno e mezzo fu davvero il massimo».

Prezioso Feat Marvin

La copertina di “Tell Me Why”, il singolo che nel 1999 dà avvio al progetto pop Prezioso Feat. Marvin

Dal 1996, archiviato il periodo rave e il successo “nintendiano”, Andrea Prezioso inizia a collaborare con la Active Bass Music, etichetta varata all’inizio di quell’anno dal gruppo Antibemusic del citato Claudio Donato, sfoderando nuovi progetti di taglio progressive (Entity, K.S., Ramset 1, Omega). È una sorta di “palestra” che gli permette di affinare il tiro per approdare, nel 1998, alla Media Records attraverso “Burning Like Fire” di Stop Talking, a cui farà seguito l’anno seguente “Tell Me Why”, il primo tassello di Prezioso Feat. Marvin. «Lasciato alle spalle il periodo dei rave conobbi, tramite Fab Fab, altro DJ della old school romana, Alessandro Moschini alias Marvin. L’intesa musicale fu immediata e cominciammo a produrre molti brani. Alcuni di questi li portammo, attraverso Giorgio, alla Media Records che in quegli anni era come la Spinnin’ Records oggi. L’atmosfera a Roncadelle era impareggiabile, Mauro Picotto, Gigi D’Agostino, Mario Più, Riccardo Ferri, tutto ciò ci diede una carica non indifferente. A casa di Alessandro componemmo “Tell Me Why”, la facemmo ascoltare a Giorgio che ci propose di portarla alla Media Records. Lì, insieme a Paolo Sandrini, la mixammo. Avvenne lo stesso per il follow-up, “Let Me Stay”, nata nello studio casalingo di Alessandro, il Monte Cucco’s Studio, e poi finita con Andrea Remondini e Sandy Dian alla Media Records. All’inizio l’inciso era un altro ma non ci convinceva del tutto e così, con Giorgio, decidemmo di cambiarlo poco prima che il disco andasse in stampa. Il resto del primo album invece lo facemmo a Solero, in provincia di Alessandria, insieme a Steven Zucchini. Forse, a parte l’episodio di Benny Benassi, quello fu l’ultimo periodo in cui in Italia riuscì a nascere un suono dance “originale”, senza badare a cosa succedeva oltre i confini. Alla Media Records c’erano individualità molto forti coadiuvate da validi produttori, Gianfranco Bortolotti in primis, che scommettevano nel pubblicare prodotti privi di riferimenti preesistenti».

Nel post Duemila invece tutte le intuizioni di un tempo si trasformano in riciclaggi e “Dukkha”, già remixato nel ’99 dai Klubbheads e Marco V & Benjamin, viene “riesumato” ancora sia tra 2006 e 2007 attraverso le nuove versioni di Giorgio Prezioso, Orazio Fatman e dei Pornocult, sia nel 2015 dai Lookback in un remix/remake per cui Disco Citofono diventa persino il sottotitolo. «La cosa che oggi mi rende più felice è che alle nostre serate anni Novanta, gestite dalla Willy Marano Management, partecipano pure ragazzi sedicenni che cantano e ballano i brani del repertorio trovandoli attuali e piacevoli seppur non li abbiano potuti ascoltare all’epoca dell’uscita perché non ancora nati» conclude Andrea Prezioso. (Giosuè Impellizzeri)

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Tiny Tot – Discoland (D-Boy Records)

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Intorno alla metà degli anni Novanta, complice l’affermazione internazionale dei rave, alcuni generi (e sottogeneri) musicali solitamente relegati al clubbing e al DJing specializzato si impongono al grande pubblico. È il caso della musica happy hardcore, variante “felice” dell’hardcore contraddistinta ugualmente da velocità elevate ma addolcita da inserti melodici, come riff di pianoforte e parti cantate. Artisti come Paul Elstak (con “Luv U More”, cover di “Love U More” dei Sunscreem, o “Don’t Leave Me Alone”), Charly Lownoise & Mental Theo (con “Wonderfull Days”, col sample di “Help (Get Me Some Help)” di Tony Ronald ripreso successivamente in “Wonder” da Cerla & Moratto, o “Stars”), Scott Brown (con “Now Is The Time”), i Technohead (con “I Wanna Be A Hippy” nota per il remix di Flamman & Abraxas che da noi viene proposto a 33 giri), e DJ Hixxy & MC Sharkey (con “Toy Town”) fanno la fortuna del genere che attecchisce pure in Italia, seppur per un periodo piuttosto breve. L’effetto dinamo è creato anche dal programma radiofonico Molly 4 DeeJay (di cui potete leggere un ampio approfondimento qui) che, tra 1995 e 1996, sdogana un genere sino ad allora seguito dai soli appassionati e che viene battuto poco dai network, soprattutto nelle ore pomeridiane.

Di riflesso pure la più canonica pop dance tende a lasciarsi infatuare dalle alte velocità dell’hardcore e già nell’autunno del 1994 Luca Pretolesi alias Digital Boy fa centro con un pezzo come “The Mountain Of King” che, pur conservando le caratteristiche di un brano da airplay radiofonico, si spinge sino ai 160 bpm. Quella strana forma di eurodance “dopata” prende piede da noi in modo definitivo nel 1995 generando una vera e propria invasione di dance ad alta velocità (Ramirez, Bliss Team, Club House, Z100, Exit Way, Da Blitz, JT Company, Marvellous Melodicos, giusto per citarne alcuni). Alla lista va doverosamente aggiunto “Discoland” di Tiny Tot, pubblicato proprio dall’etichetta di Digital Boy, la D-Boy Records, nell’autunno del 1995. «Ai tempi si facevano prima i pezzi e poi nascevano i progetti» racconta oggi Bob Benozzo, uno dei produttori di Tiny Tot. «Avevamo quel pezzo in stile happy hardcore che doveva avere un cantato così Sharon Francis (Asia, interprete della citata “The Mountain Of King”, nda) scrisse il testo e la melodia. Però non volevamo che fosse riconoscibile quindi decidemmo di pitchare la sua voce col campionatore e il risultato fu quella strana e caratteristica vocina tipica dei bambini che ispirò il nome Tiny Tot (ossia bambino piccolo, marmocchio). Lo realizzammo nel Demo Studio Professional di Luca che era pieno zeppo di strumenti: un banco Amek Big con parecchi outboard, varie macchine Roland (TR-909, SH-101, TB-303, Alpha Juno-1, MKS-80, JV-1080), Minimoog, Korg MS-20 ed M3, Akai AX60, Waldorf Microwave, Novation Bass Station, un campionatore Akai S1100 ed uno E-mu. Ogni tanto qualche strumento nuovo si aggiungeva alla lista e per noi era motivo di nuovi spunti e grande entusiasmo. Per “Discoland” i lavori si svolsero in modo molto veloce, meno di una settimana, dall’idea al mixaggio. Non fummo ispirati da nessun brano in particolare ma ascoltavamo costantemente le novità per essere aggiornati anche se, ad onor del vero, quello era il sound che stava creando Luca in quel periodo.

Asia
Sharon Francis alias Asia, la cantante che, in incognito, interpreta “Discoland” di Tiny Tot

Arrivai a lui nel 1995, dopo aver frequentato un corso per tecnici del suono alla Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo che prevedeva uno stage in uno studio di registrazione. Tramite amici comuni riuscii a farlo presso il Demo Studio. Poiché Luca era alla ricerca di un collaboratore per la sua struttura, al termine di quella esperienza mi chiese di restare a lavorare lì. Uno dei primi progetti della D-Boy Records a cui partecipai fu “Don’t You Know (The Devil’s Smiling)” di Ronny Money Featuring Jeffrey Jey. Anche in quella occasione le cose andarono piuttosto velocemente, Luca preparò la base, c’era il riff e dovevamo aggiungere il cantato, così pensammo di coinvolgere Jeffrey. In una giornata appena fu scritto il testo, la melodia e fu registrata la voce. Nei giorni successivi realizzammo le versioni. Poche settimane dopo il brano suonava già in radio».

“Discoland” sfrutta i tipici elementi della happy hardcore, un riff di pianoforte ed una parte cantata. Viene fuori un discreto successo, sia per le radio che le discoteche. E per i negozi di dischi ovviamente. «Se ben ricordo in Italia vendemmo intorno alle 10.000 – 15.000 copie, ma il pezzo venne licenziato e venduto in tutta Europa quindi il totale fu di gran lunga maggiore. Tiny Tot piacque subito, alle radio ma anche a molti DJ e produttori, infatti vennero realizzati parecchi remix, come quelli di Giorgio Prezioso e di Z100 registrati nello studio di Luca e a cui partecipai, sia nella fase di realizzazione che di mixaggio. Di remix ne sono usciti molti pure negli anni a seguire, ogni tanto mi capita di scoprirne uno nuovo, fatto anche in anni recenti».

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La copertina del remix di “Discoland”: la ragazza che ora rappresenta l’immagine del progetto Tiny Tot è Alice Capelli

Inizialmente Tiny Tot è a tutti gli effetti uno studio project, ed infatti la D-Boy Records pubblica il mix in una sleeve generica. In occasione dei remix però in copertina figura una ragazza, la stessa che compare sull’edizione olandese della Samurai Records. «Visto il successo riscontrato si decise di dare forma al progetto e venne trovata un’immagine per poterlo promuovere adeguatamente, con gli spettacoli nelle discoteche e le interviste. La ragazza scelta come immagine era Alice Capelli, proprio quella che finì sulla copertina dei remix».

Oltre alle versioni di Sy & Unknown del 1997, la scozzese Q-Dup Records pubblica pure un secondo 12″ coi remix di Billy Reid, QFX e Paddy Frazer oggi particolarmente raro, tanto da raggiungere circa 250 euro di quotazione sul mercato dell’usato. «Francamente non ricordo tutte le versioni uscite nel corso degli anni ma credo che il successo fu decretato dal fatto che “Discoland” rappresentasse molto bene l’happy hardcore, con una melodia accattivante ed un’atmosfera divertente. Non a caso la D-Boy Records in quel periodo divenne un vero riferimento per l’happy hardcore ma anche per le più violente hardcore e gabber».

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Le D-Boy News, pubblicate tra novembre e dicembre 1996, che veicolano notizie relative al mondo hardcore, genere a cui si dedica la D-Boy Records

Tiny Tot torna nella primavera del 1996 con “La Bambolina”, cover di “La Poupée Qui Fait Non” di Michel Polnareff di trent’anni prima. Gli ingredienti sono i medesimi di “Discoland” ma non i risultati. «Non è mai facile bissare un successo. “La Bambolina” funzionò abbastanza bene ma non ai livelli di “Discoland”, probabilmente la moda dell’happy hardcore si stava già esaurendo e forse l’idea non era altrettanto forte come nel primo. Ad affiancare me e la Francis in quell’occasione fu Sergio Pretolesi, papà di Luca, grande musicista e ottima persona. Tutta la famiglia Pretolesi (inclusa la mamma, Francesca Musanti, co-autrice di “Discoland”, nda) partecipava alla gestione della D-Boy Records e Sergio, Gino per gli amici, ogni tanto tirava fuori dei giri di accordi o degli spunti che si sono trasformati in tracce di successo. Dal 1996 in poi il sound della D-Boy Records iniziò a diventare molto più “duro”, parallelamente all’irrobustirsi del movimento hardcore europeo (a tal proposito si vedano le D-Boy News, pubblicate tra novembre e dicembre 1996, nda). Visto che Tiny Tot era un progetto e non un artista decidemmo di andare avanti con altro e lo accantonammo».

Per Benozzo gli anni trascorsi alla D-Boy Records sono pieni di produzioni, come “Life Phase One” di Rebel Fiction, “Hallelujah” di Asia, “Fuck Macarena” di MC Rage, “Good Vibrations” di Oddness, “R.A.V.E.M.A.N. 2” di Raveman, “Jump Up You Bastard” di The Gabber Friends, “Talk About Me” di Vision (un cult per i collezionisti, oggi disposti a spendere anche oltre oltre cento euro per accaparrarsene una copia) e “The Summer Is My Life” di Davina. Insomma, il fatto che l’happy hardcore avesse esaurito il potenziale per il mainstream non lo ferma affatto. «Di quel periodo ricordo la creatività e la velocità con cui si facevano le cose. Lavorare con Luca è stata un’esperienza incredibile. All’epoca la dance aveva grande spazio nelle radio e rilievo nelle vendite e nel nostro caso, praticamente ogni cosa che facevamo funzionava ed aveva successo. “Fuck Macarena” di MC Rage, ad esempio, fu una hit clamorosa con oltre un milione di copie vendute in Europa. La mia avventura alla D-Boy Records finì nel 1997 quando Luca spostò l’attività da Melazzo a Milano e decisi di non seguirlo. Iniziavo ad interessarmi ad altri generi musicali e mi sembrò più logico iniziare una nuova avventura. Tuttavia siamo rimasti in ottimi rapporti di amicizia e stima, di tanto in tanto ci sentiamo compatibilmente con i nostri impegni. L’ultima volta che abbiamo parlato mi ha detto che noi facevamo l’EDM quando questa non aveva ancora un appellativo. Infatti l’EDM attuale ha molti punti in comune con la dance di venti anni fa.

Dopo aver prodotto ancora qualche pezzo dance (come “You Are The Dream” di Anette e “World Groove” di J. White, entrambi del 2001, e “2 Sides” di Andy J, 2002, poco prima che “Discoland” fosse coverizzata da Flip & Fill Feat. Karen Parry, nda) mi sono spostato verso generi molto più pop ma spesso contaminati con l’elettronica. Oggi sono un produttore artistico, arrangiatore, sound engineer e lavoro principalmente nel mercato spagnolo e latino, ma talvolta anche in Italia. Ho avuto dieci nomination ai Latin Grammy e gli album che ho prodotto, oltre cento, hanno venduto venti milioni di copie nel mondo ottenendo oltre cinquanta tra dischi d’oro e di platino. Ma, tra le altre cose, ho trovato il tempo per collaborare con un amico di vecchia data, Bottin, che di tanto in tanto mi coinvolge nei suoi progetti, come “Sage Comme Une Image” del 2012 e “Punica Fides” del 2014, a cui partecipo sempre molto volentieri». (Giosuè Impellizzeri)

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