Marco Passarani – DJ chart marzo 1994

Marco Passarani, Tunnel, marzo 1994

DJ: Marco Passarani
Fonte: Tunnel
Data: marzo 1994

1) Unit Moebius – Untitled
Inizialmente alimentata dai lisergici tracciati acid techno degli Unit Moebius, collettivo dei Paesi Bassi devoto ad un suono rude, scabro e virulento, la Bunker Records è la quintessenza dell’underground più sotterraneo, spietato e battagliero, agli antipodi del divismo. Per farsi un’idea più concreta di questa atipica etichetta decentrata rispetto alle classiche realtà discografiche del Vecchio Continente, sia per stile musicale che per organizzazione distante galassie dal fare aziendale, basti pensare che alcune pubblicazioni, contraddistinte dalla quasi totale assenza di riferimenti autoriali, pare siano state stampate col denaro raggranellato dalla vendita di LSD nei party organizzati negli squat. L’LP scelto da Passarani, ristampato nel 2018, include sette untitled (i titoli affiorano soltanto una quindicina di anni fa circa attraverso il sito internet del team) tenuti insieme da un’atmosfera sospesa che lascia scrutare in quelle dimensioni parallele raggiungibili mediante additivi psichedelici. Strutture ritmiche ad anelli, sciabolate di sintetizzatori, corrosioni acide, accartocciamenti timbrici: questi gli ingredienti della musica degli Unit Moebius dietro cui operano I-f, Guy Tavares, Nimoy e Duracel. Dopo circa una trentina di pubblicazioni la Bunker Records è costretta a chiudere, sembra per mancati pagamenti dei distributori. Riapre nel 1998 adoperando una nuova numerazione del catalogo e patrocinando una folta schiera di artisti (tra cui anche un italiano, il romano Composite Profuse) dediti a techno, acid ed electro. Per una visione d’insieme si rimanda a questo articolo scritto da Ivo D’Antoni per Electronique e pubblicato il 19 marzo 2014.

2) Mescalinum United – Vs. Evil (A New Level)
Inciso solo da un lato su vinile verde trasparente, “Vs. Evil (A New Level)” è un pezzo in cui l’autore, Marc Trauner, campiona il reticolato ritmico di “II Evolve The Future” dei Dynamix II per ricavarne qualcosa che ne rammenti l’atmosfera, in bilico tra electro e rintocchi industriali ed imbevuta da una sorta di inquietudine, ma proiettandola su scenari dalle tinte più gotiche. Trauner, meglio noto come Marc Acardipane, è ricordato come uno dei principali protagonisti della europeizzazione della techno avvenuta ad inizio anni Novanta, quando lancia etichette come Dance Ecstasy 2001 e la Planet Core Productions. Proprio nel catalogo di quest’ultima è racchiuso “Vs. Evil (A New Level)”, diventato un pezzo piuttosto raro per i collezionisti a causa della scarsa reperibilità.

3) Neuropolitique – Mind You Don’t Trip
A pubblicare la traccia in questione, nel 1990, è la Interface Records di Juan Atkins, ma solo in formato white label e sembra in appena 500 copie. Tre anni più tardi la britannica Peacefrog Records (per cui Passarani tempo dopo inciderà un album, “Sullen Look”) riesuma il progetto forse con l’intento di distribuirlo più capillarmente. “Mind You Don’t Trip” del compianto Neuropolitique è uno splendido arazzo techno fatto da nervose trame ritmiche attorcigliate ad onde concitate di chord che si infrangono su un granitico bassline. A fare da collante micro frammenti vocali lanciati in un gorgo sonico che rivela già una certa abilità tecnica nonostante per Matt Cogger fosse la prima esperienza discografica. Insieme a lui, sul disco, Anthony Shakir con “Sonar 123” e Reel By Real con “Surkit”. “Sundog” di Atkins viene invece rimpiazzata da un altro brano, “Sunlight”, che lo stesso Atkins firma però con lo pseudonimo Infiniti.

4) Outlander – Aural Scent
Rimasto negli annali grazie a quel “Vamp” che nel 1991 frulla acidismi a stab in cascata di memoria rave, Marcos Salon tiene in vita il progetto Outlander col costante supporto della R&S Records che in quel periodo è tra le etichette europee più influenti. È proprio la label gestita da Renaat Vandepapeliere a pubblicare, nel 1994, “Aural Scent”, un doppio in cui l’autore bilancia sapientemente techno, electro ed una patina trance che affiora in modo evidente da brani come “Beyond Computation” e “Shades Of Perception”. Con “Fragments Of A Hologram Rose” Salon si avvicina all’acid più tagliente mentre per la chiusura riserva un’escursione nei meandri più reconditi della sua creatività, “Turnin’ Down The Hyperbole” che, probabilmente, andrebbe suonata a 45 giri e non ai 33 indicati sull’etichetta centrale.

5) Alien Signal – Markarian 231
Ingiustamente ricordato solo per “Atomic”, diventato quasi un classico per gli amanti del filone dream progressive all’italiana, il capitolino Alex Silvi ha inciso altre meritevoli gemme come i due album firmati Alien Signal e pubblicati dalla belga Upland Recordings nel ’93. Il brano indicato nella classifica, nello specifico, è tratto da “Celestial Sights Of The Future” in cui l’autore si cimenta in quello che risulta essere un vero dittico sonoro. Da un lato lancia spettrali linee armoniche che, passando in un tunnel, si trasformano in un rigoglioso scrosciare melodico. L’effetto è simile a quando i maghi infilano qualcosa nel cilindro come delle carte da gioco o dell’acqua per poi estrarne, tra lo stupore degli astanti, un coniglio vivo o un mazzo di fiori. Nella fase finale si torna lì dove tutto è iniziato, a bordo di un sinistro tappeto soundtrackistico per riprendere il viaggio nelle tenebre spaziali verso le remote galassie di Markarian.

6) µ-Ziq ‎- Tango N’ Vectif
“Tango N’ Vectif” è il primo album inciso per la Rephlex da µ-Ziq, ai tempi un duo formato da Mike Paradinas e Francis Naughton. Aderente al filone braindance, è un disco che rivela quanto grandi possano essere i confini della musica elettronica a patto che non manchi la creatività. A livello tecnico viene realizzato con mezzi relativamente contenuti e già con qualche anno sulle spalle (sintetizzatori Yamaha DX 11, Roland D50, una batteria Alesis HR-16, un registratore multitraccia Fostex 280, un computer Atari 1040 ST e davvero poco altro) ed è l’ennesimo degli esempi che contribuisce a smontare il falso mito che per fare musica avveniristica occorrano strumenti altrettanto avveniristici e costosi. Dagli intricati reticoli ritmici di “Swan Vesta” e “µ-Ziq Theme” alla celestialità di “Burnt Sienna”, dalle atmosfere surreali di “Iesope” alle dissonanze di “Ad Misericordiam” passando per gli spasmi psicotici di “Die Zweite Heimat” e i rumorismi russoliani di “The Sonic Fox”: Paradinas e Naughton offrono un ottimo spaccato della IDM, quella dance music “intelligente” che vorrebbe arginare le derive subite dalla techno dopo l’esplosione dei rave considerate «sinonimo di corruzione e commercializzazione», così come scrive Simon Reynolds in “Energy Flash”. Ps: la foto in copertina è di Richard James alias Aphex Twin.

7) Tournesol – ?
I Tournesol si fanno notare grazie ad un’affascinante mistura tra breakbeat, IDM e trance ambientale, rivelando ottime capacità di andare oltre la prevedibilità della cassa in quattro. Non è ben chiaro però se Passarani si riferisse all’album edito da R&S Records nel 1993, o al lato b di “Kokotsu” o “Henka”, finiti invece nel catalogo della sublabel Apollo nel 1994. Nonostante le ottime premesse, dopo l’uscita del secondo LP nell’estate del 1995, “Moonfunk”, i danesi archiviano la partnership.

8) The Martian – Base Station 303
Dietro la Red Planet di Detroit opera il misterioso The Martian (collettivo guidato da Mike Banks o, come riportato sul retro della copertina della compilation “LBH – 6251876”, pseudonimo di un certo Will Thomas?), artefice di un sound prevalentemente a metà strada tra techno ed electro, irrorato da ritmiche pneumatiche e graffiato da artigli di TB-303. La traccia in questione è racchiusa nel doppio “The Long Winter Of Mars” in cui il serpente sinuoso dell’acid si infila nei pertugi di una batteria flangerizzata, entrando e uscendo proprio come fa un rettile che cerca riparo nelle rocce. Vale davvero la pena rammentare la presenza, sul lato a, di “Wardance”, impreziosita da un aquatic assault programming di Drexciya. Detroit techno di livello esagerato e meritevole di ristampa seppur ciò contribuirebbe a sottolineare, per l’ennesima volta, che per certa musica il futuro fosse ieri.

9) Sprawl – Subsonic Attack
Tratta da “Alien Language”, il primo 12″ che Andrea Benedetti firma Sprawl, “Subsonic Attack” è una traccia edificata su beat sghembi e dall’incedere meccanico, ma non è electro nel senso più stretto del termine. La fantastica ricchezza di elementi giustapposti (clap, hihat, cimbali, crash) ne fanno piuttosto una variante della techno intesa come musica sganciata da regole e stereotipi. Prodotto con Simone Renghi e Giampiero Fagiolo prossimi al debutto come T.E.W., il brano trova spazio sul disco inaugurale della Plasmek, etichetta curata dallo stesso Benedetti rimasta in vita sino al 2003 e saldamente ancorata a techno ed electro con partecipazioni di tutto rispetto, tra tutte quelle del sopraccitato I-f, Ra-X e Keith Tucker, a sottolineare quanto fosse cruciale ed internazionale la tappa romana negli anni Novanta.

10) ADSX – DSL 26
Di Andre Fischer alias ADSX ne abbiamo parlato già qui: questa “DSL 26”, edita dalla sua Injection Records nel 1993, risente in modo piuttosto palese di influssi aphexiani sia per quel che concerne la struttura e lo sviluppo della sezione ritmica, sia per l’uso delle pennellate melodiche, a metà strada tra le curve sinuose di nuvole ambient e il gorgogliare cristallino di un pianista jazz in salsa chiptune. Quando viene ripubblicato in digitale nel 2016, il pacchetto annovera due inediti, “Windscreen” e “303++”.

(Giosuè Impellizzeri)

© Riproduzione riservata

Molecular Recordings, la chimica dell’amore per la techno

“A molecule is the smallest particle of substance that exhibits the chemical properties of that substance. Molecules are group of ARTISTS held together by chemical bonds.Each molecule of a given substance contains the same number and kinds of atoms. In a chemical REACTION (303 programmation) the bonds are broken and rearrangements of atom takes place to form new substances (ACID TRACKS). The number of atom in molecules ranges from two to hundreds or thousands. Examples thereafter range up to huge UNKNOWN molecules with many thousands of atoms”.

La storia della Molecular Recordings inizia con queste poche righe informative stampate su un semplice foglio A4 infilato nelle white label promozionali di un 10″. È il 1996, la techno vive ancora un buon momento anche se, a posteriori, la seconda metà degli anni Novanta si configurerà come un periodo creativamente discendente. A tal proposito Claudia Attimonelli scrive in “Techno: Ritmi Afrofuturisti”: «Il 1995 viene considerato l’apice della techno. Da questo momento in poi, secondo molti, la techno non si sarebbe più evoluta ripetendosi in stilemi stereotipati». Per la Molecular Recordings il credo principale risiede proprio nella techno. A fondarla sono due italiani, Marco Lenzi e Marco D’Arcangelo. Il primo, nato a Livorno ma cresciuto a Roma, entra in contatto con la musica elettronica mediante alcuni dischi di suo padre, un ingegnere della NASA. Stockhausen, Henry, Ligeti ed altri compositori simili gli aprono le porte di nuove tecniche di composizione e di sperimentazione sonora. D’Arcangelo invece, romano, produce musica col fratello (gemello) Fabrizio, prima per etichette nostrane (Hot Trax, Disturbance) e poi per altre estere come la canadese Suction Records di Solvent e Lowfish e la britannica Rephlex di Richard D. James e Grant Wilson-Claridge. I due però, curiosamente, non stringono la partnership in Italia bensì a Londra, dove Lenzi vive sin dal 1988. Come racconta qui D’Arcangelo, si incontrano nel ’94 nel negozio di dischi di cui Lenzi è tra i soci fondatori, Silverfish, in Charing Cross Road. Lì decidono di creare la Molecular Recordings.

Molecular 000

Sopra la prima pubblicazione su Molecular Recordings, il 10″ degli Intemolecular Forces. Sotto il foglio descrittivo che accompagna le copie promozionali

1996, il primo anno d’attività
Nata tra le mura di Silverfish, negozio di dischi londinese fondato nel ’91, la Molecular Recordings si rende operativa attraverso la musica dei suoi stessi fondatori. Marco Lenzi e Marco D’Arcangelo creano il progetto Intermolecular Forces a cui si aggiunge anche il fratello di quest’ultimo, Fabrizio. Il primo del catalogo è un 10″ contenente due brani, “Ion” ed “Electron”, a cui fanno seguito quattro EP (“Raw Mini”, “Attramol”, “The Test” ed “Encore”), tutti firmati Intermolecular Forces e saldamente ancorati al ramo dell’acid techno. Poi il gruppo viene implementato. Il primo a fare ingresso è DJ Bone, da Detroit, con “Electronic Birth EP” in cui la techno sfuma nell’electro. Seguono “Alliance EP” di DJ Lukas (lo svizzero Luca Tavaglione noto anche come Raimond Ford, qualche anno dopo nei Racket Knight di cui abbiamo parlato qui, insieme a Walter Albini e Massimo Cominotto) e “Urban Society EP” del britannico Inigo Kennedy. Quindi è la volta dei remix di “Metoh” dei Monomorph alias i fratelli D’Arcangelo, un brano uscito l’anno prima sulla Sphere Records a cui ora mettono mano Kelli Hand, pure lei da Detroit, e Jim Eliot. Infine “010 EP” ancora degli Intermolecular Forces.

1997, un anno di transizione
Il 1997 si apre col disco di Zombie Assassin a cui fa seguito “Electron Opaque” attraverso cui i già citati Tavaglione ed Albini danno vita ai D-Ex. La loro techno prende le mosse dal detroitismo millsiano e si inserisce a pieno titolo in quel filone che britannici, come Mark Broom, Luke Slater, Neil Landstrumm, Justin Berkovi, Dave Tarrida, Chris McCormack, James Ruskin, Oliver Ho, Surgeon, Ben Sims, Dave Angel e Ben Long, giusto per citarne alcuni, percorrono incessantemente in quegli anni. In “Amplitudal Vibration EP”, a cui partecipa Guido Gaule, gli Intermolecular Forces rivelano un istinto più groovy iniziando a perdere i connotati acidi di partenza. Sono appena tre le uscite nel ’97 contro le dieci dell’anno precedente, e le cose non cambieranno molto in futuro.

Monomorph - Technomorphine EP

“Technomorphine EP” dei Monomorph sigla la ritrovata collaborazione tra i fratelli D’Arcangelo e la Molecular Recordings

1998, quando la techno “circolare” prende il sopravvento
Archiviate le origini acid, la Molecular Recordings prosegue il cammino supportando una techno figlia del loopismo più ipnotico in stile Basic Channel, che marcia a BPM serrati e con poche variazioni sul tema. Torna a farsi sentire Inigo Kennedy (che da lì a poco lancerà la sua Asymmetric) con “Spatial EP” e “Techniques EP”, e i fratelli D’Arcangelo con “Technomorphine EP” firmato Monomorph. Poi tocca ai D-Ex che palesano l’aderenza al segmento groovy prima con “Micro” e “Macro”, realizzate con Lenzi, e poi con “Chain Reaction EP”, in formato doppio mix. Nel 1998 nasce anche la XX, serie in edizione limitata a 500 copie priva di titoli ed indicazioni sull’autore. Appena cinque le pubblicazioni (due del ’98, altrettante del ’99, ed una del 2000).

Chris Liebing - Koller

“Koller” è il primo dei due dischi che Chris Liebing realizza per la Molecular Recordings

1999, la famiglia continua ad allargarsi
Nel ’99 in casa Molecular Recordings giunge un nuovo artista destinato a diventare molto popolare negli anni a seguire, Chris Liebing. Alle spalle il DJ originario di Francoforte sul Meno ha già diverse produzioni su Fine Audio Recordings e Primate Recordings, oltre ad alcuni remix che lo aiutano sensibilmente a mettersi in evidenza, su tutti quelli di “Breakthrough” e “Huri-Khan” realizzati rispettivamente per Sven Väth e per gli Storm di cui abbiamo parlato qui. Il disco, firmato con le sole iniziali anagrafiche, CL, si intitola “Koller” ed è realizzato insieme all’inseparabile Andrew Wooden, suo partner in vari act come Stigmata. Poi tornano i D-Ex con “Drum Attack EP” ma il progetto più rilevante ed ambizioso dell’anno è senza dubbio il primo volume della “Bio Molecular Rhythms”, compilation con cui la label approda ad un nuovo formato, il CD. La raccolta conta su dieci tracce firmate da nomi di tutto rispetto, da Regis a Jay Denham, da Umek agli Spacecops e Chris Liebing con l’esclusiva “Tiktak”, passando per i tedeschi Andrew Richley & Ryan Rivera (già noti come Tesox) e i giapponesi DJ Shufflemaster & Chester Beatty. Particolarità del progetto è la presenza di ben cento loop, encodati in formato WAV ed estraibili attraverso il computer. Un concept analogo ma riversato su 12″ conta invece trentasei locked groove programmati da altri DJ come Ben Long, Jamie Bissmire, Gadget, Colin McBean e Nils Hess. Due gli italiani coinvolti, oltre a Lenzi: Davide Squillace e Gaetek ossia Gaetano Parisio. A distribuire sia la compilation su CD che la raccolta di locked groove, è la Integrale Muzique Limited di Birmingham che prende il posto della Intergroove.

Bio Molecular Rhythms

I tre volumi della compilation “Bio Molecular Rhythms”

2000, un anno sotto il segno dell’hardgroove
L’atteso nuovo secolo/millennio porta alla Molecular Recordings un nuovo nome, quello dell’olandese Jeroen Schrijvershof (oggi prevalentemente attivo come Jeroen Search), già noto come DJ Groovehead e spesso in coppia con DJ Misjah sulla sua X-Trax. Due i brani racchiusi sul 10″ di “Many Ways To Go”. Quattro invece i tool radunati in “Locke” con cui Chris Liebing raddoppia la presenza sulla label inglese. Anche Colin McBean, che ha lasciato al solo Cisco Ferreira le redini di The Advent, incide un disco per Molecular Recordings, “The Outcast”, uno dei primi firmati Halcyon Daze. Il progetto locked groove viene portato avanti da Inigo Kennedy & Marco Lenzi mentre il secondo atto della “Bio Molecular Rhythms”, contenente altri cento loop in formato WAV, conferma la propensione a battere il percorso dell’hardgroove con artisti del calibro di Jamie Bissmire dei Bandulu, Access 58, Richard Harvey, Oliver Ho, Diversion Group (ovvero Surgeon, Regis e Female) e Clemens Neufeld, senza dimenticare remixer d’eccezione come Claude Young e Pacou.

2001, techno vs tech house
Nei primi mesi del 2001 esce “El Robo EP” di Marco Lenzi, un disco dedicato al padre che contiene due tracce prive di titoli e sei locked groove. Sia per stile che concept, la release rammenta il modus operandi adottato in quel periodo dai DJ napoletani (Carola, Parisio, Vigorito, Cerrone, Markantonio, Squillace) in progressiva ascesa all’estero. Una techno meno funky e più squadrata si ritrova invece in “Elevation Seven EP” di Inigo Kennedy, mentre strutture “rotonde” con un retrogusto tech house caratterizzano “Searchin’ EP” di Halcyon Daze. A metà strada tra questi due mondi si ritrova “Cold Sweat / Unbreakable” dello scozzese Andrew McLauchlan, reduce del successo ottenuto l’anno prima con la latineggiante “Love Story” edita dalla Bush. È tempo anche per il terzo (ed ultimo) volume della “Bio Molecular Rhythms” che questa volta annovera, tra gli altri, Claude Young, Jeff Mills e la coppia Adam Beyer/Marco Carola. Inalterata la ricca porzione di loop (cento, come nei precedenti volumi) estraibili attraverso il PC.

Marco Lenzi - Distance

“Distance” di Marco Lenzi è l’ultimo disco edito su Molecular Recordings nel 2005

2002-2005, gli ultimi anni di attività
Con un ritmo operativo che va progressivamente perdendo intensità, la Molecular Recordings apre il 2002 con un 12″ realizzato in cooperazione con la tedesca Fine Audio Recordings. Su un lato due brani della coppia Michael Burkat/Lars Klein, sull’altro Marco Lenzi in solitaria con “Smooth Transition”, un tool groovoide. È l’unica uscita dell’anno, escludendo la nuova tornata di locked groove. Appena una pubblicazione anche nel 2003, “Taboo” di Lenzi, vigorosa techno funky irrobustita da Oliver Ho nel suo remix. Ormai rimasto da solo alla guida dell’etichetta, Lenzi pubblica “Take It Away” nella primavera del 2004, in cui sposa techno, tech house e riferimenti progressive house. Qualche mese più tardi ritorna con “The Riddler”, questa volta insieme al brasiliano Anderson Noise. L’ultimo, il venticinquesimo, è “Distance”, sempre di Lenzi ed uscito nel 2005. La title track si infila nel corridoio dell’hardgroove, “Hotspot” è house-friendly ed è oggetto di due reinterpretazioni ad opera di Danilo Vigorito: nella prima il DJ campano elabora il ritmo con inserti tribali, nella seconda concede spazio a quel tipico layout audio (si sentano “Imaginary Boy”, “Grid” o “Heat”) che rende la techno partenopea unica tra la fine anni Novanta e primi Duemila.

Marco Lenzi in studio (2000 circa)

Marco Lenzi in studio nel 2000 circa

La testimonianza di Marco Lenzi

Cosa ricordi del momento in cui decidesti, insieme a Marco D’Arcangelo, di fondare un’etichetta discografica?
A Londra si viveva un periodo particolarmente fertile per la musica elettronica, soprattutto la techno. Lavorando da Silverfish, che era diventato un autentico punto di riferimento per svariati artisti, anche internazionali, maturai l’idea di creare una casa discografica che potesse in qualche modo rappresentare la mia idea di techno. Marco sposò in pieno il progetto e insieme ideammo il nome, Molecular Recordings, sviluppato da un concetto legato ad atomi e molecole paragonati a suoni e persone che ruotavano intorno al nostro genere musicale di riferimento.

Silverfish (1994 circa)

Una foto scattata intorno al 1994 svela l’interno del Silverfish

Riguardo Silverfish invece?
Silverfish era un negozio di dischi situato in Charing Cross Road, fondato da me, il compianto Alex Oppido (meglio noto come DJ Lowenbandiger, nda) e i fratelli Nils ed Hans Hess. Era un locale abbastanza alternativo per i tempi, provvisto di uno smart bar ed una art gallery in cui piazzavamo opere di artisti emergenti in qualche modo connessi alla musica. Oltre ovviamente ad una sostanziosa selezione di dischi, in prevalenza house e techno (all’epoca non esistevano così tante sottocategorie come oggi). Tra i clienti c’erano Sven Väth, Claude Young e Jeff Mills, quando erano a Londra facevano sempre un salto da noi, ma anche tanti DJ del posto come Ben Sims, Aphex Twin e davvero tantissimi altri. Durante il weekend spostavamo gli scompartimenti coi dischi e gli accessori per creare uno spazio più grande dove organizzavamo piccole serate come quelle della Rephlex, a cui partecipavano cento/centocinquanta persone al massimo. Non era certamente paragonabile ad un club ma garantisco che il clima all’interno fosse quello giusto. Al piano superiore, infine, c’era l’ufficio della distribuzione dell’Underground Resistance: molto spesso i ragazzi che lavoravano lì venivano in negozio a lasciarci promo ed anteprime.

Che budget era necessario ai tempi per iniziare un’attività discografica di quel tipo?
Se ben ricordo servirono 800 sterline per le tirature iniziali limitate a 1000 copie. Ad aiutarci a stampare i primi dischi del catalogo fu la Wasp Distribution. Solo qualche anno più tardi registrammo l’etichetta presso la MCPS (Mechanical-Copyright Protection Society).

Le prime uscite sono tutte vostre, firmate Intermolecular Forces. Con quali strumenti realizzaste quegli EP?
Il primo fu un 10″: ci piaceva l’idea di esordire utilizzando un supporto leggermente diverso dal classico 12″. Sopra erano incisi due brani realizzati esclusivamente in analogico usando una Roland TR-606 ed una Roland TB-303 con effetti a pedale. Registrammo a casa di Jason Mendonca, l’attuale frontman degli Akercocke, e di Bob Bailey della Zero Tolerance: entrambi ai tempi erano protagonisti della scena hard techno molto attiva in quel di Brixton presso il VFM (Value For Money). Non avevamo nessuno studio però, i pezzi li incidemmo utilizzando un DAT portatile che Marco portò con sé quando si trasferì a Londra, dopo aver realizzato i primi EP di Automatic Sound Unlimited con Max Durante (di cui parliamo qui, nda) sulla Hot Trax, dischi che peraltro vendemmo da Silverfish.

L’idea iniziale era creare una piattaforma per autosovvenzionare i propri dischi o avevate già messo in cantiere l’ipotesi di investire tempo e denaro anche sulla musica di altri artisti?
In principio volevamo stampare e distribuire materiale realizzato da noi ma comunque con l’ambizione di crescere, anche nell’aspetto qualitativo. Se le cose sarebbero andate per il verso giusto avremmo ampliato il progetto aprendo la possibilità a collaborazioni esterne, cosa che effettivamente avvenne.

I primi ad entrare nella Molecular Recordings sono stati DJ Bone, da Detroit, lo svizzero DJ Lukas e il britannico Inigo Kennedy. Furono loro a mandarvi delle demo o voi ad avanzare la proposta di collaborazione?
A metterci in contatto con DJ Bone fu un amico comune. A quel punto Eric ci fece recapitare una cassetta coi brani e decidemmo di pubblicarli, dando ufficialmente avvio alla sua carriera discografica visto che “Electronic Birth EP” è il primo disco in assoluto che lui abbia inciso. Con Tavaglione invece fu un po’ diverso: eravamo già amici da tempo e quando sentimmo le sue nuove produzioni gli offrimmo il contratto per uscire anche con noi. Con Inigo Kennedy, infine, avvenne quasi per caso. Lui era uno dei clienti del negozio e un giorno mi lasciò una demo tape con vari inediti. Da quel momento divenne un grande amico ma anche uno degli artisti principali della Molecular Recordings.

Chi si celava dietro il nome Zombie Assassin?
Gary Griffith e Leon Thomson, meglio noti come Holy Ghost Inc., che nel 1991 raccolsero particolare successo con “Mad Monks On Zinc”, diventato ormai un classico. Dal 1996 iniziarono a collaborare con la berlinese Tresor. Thomson era un amico di una mia ex che all’epoca lavorava per MTV e che ci presentò durante un party. Ci conoscevamo reciprocamente solo di nome ma dopo appena una manciata di minuti eravamo già a parlare di musica e dischi come due vecchi amici.

Lenzi & Marco D'Arcangelo (2000 circa)

Marco D’Arcangelo e Marco Lenzi immortalati in una foto del 2000 circa davanti ad Eukatech Records, il negozio di dischi londinese che raccoglie l’eredità del Silverfish

Nel 1996 pubblicate ben dieci dischi ma dall’anno successivo la frequenza di uscite inizia a calare e proseguirà con un ritmo altalenante. Come mai?
In quel periodo ci fu una scissione tra il Silverfish e la nuova gestione arrivata dalla Germania capitanata dalla UCMG che ci diede nuovi spazi, dove aprimmo il negozio Eukatech Records e un ufficio di rappresentanza per gestire meglio sia l’attività produttiva che quella distributiva. Tutto ciò comportò un grande lavoro e purtroppo mancò il tempo per elaborare nuove cose destinate a Molecular Recordings.

Quante copie vendeva, mediamente, ogni 12″ edito da Molecular Recordings?
Con le prime quattro uscite ci fermammo, come anticipavo prima, alla soglia delle 1000 copie cadauna col supporto di Intergroove. Vendevamo la metà alla tedesca Neuton cercando di piazzare il resto aiutandoci coi contatti personali ed ovviamente col negozio. Quando giunsero i nuovi distributori, la Integrale Muzique Limited di Birmingham e la tedesca EFA, le cose cambiarono in meglio. Vendevamo in media 3000/4000 copie ad uscita, alcune molto di più ma erano solo eccezioni.

Qual è il bestseller del catalogo?
“Koller” di CL (Chris Liebing): non facevamo a tempo a ristamparlo che giungevano altre richieste. Alla fine vendemmo 18.000 copie col supporto della EFA che solo in Germania ne piazzò oltre 10.000. Anche il secondo disco di Liebing, “Locke”, andò bene, toccando la soglia delle 14.000 copie. Dischi veri, mica download o streaming come oggi.

Nel 1999 Molecular Recordings approda ad un formato ai tempi ancora poco sfruttato dai DJ, specialmente in ambito techno, il CD. Quali furono le ragioni che vi spinsero a cimentarvi nelle compilation, attraverso i tre volumi di “Bio Molecular Rhythms”?
Senza dubbio il mercato. Le compilation erano tanto richieste e le grandi distribuzioni, come Virgin e Tower Records, riuscivano a venderne veramente moltissime. Tuttavia anche in questo caso c’era la voglia di differenziarci offrendo un prodotto diverso dal solito, e così inventammo i “Bio Molecular Rhythms”, che sposavano in pieno la filosofia Molecular Records seppur fossero destinati più all’ascolto che al DJing.

Perché inseriste cento loop (in formato WAV) in ogni volume?
In circolazione c’erano parecchi CD con librerie di loop, solitamente acquistati dai neofiti che volevano approcciare alla composizione. Con quella trovata desideravamo incoraggiare la creatività di chi seguiva la nostra etichetta, offrendo loop in regalo.

L’operazione era forse connessa ai tre 12″ di locked groove contrassegnati col catalogo MOL LG?
L’idea della MOL LG (ossia Molecular Locked Groove) fu mia: volevo creare dei tool per i DJ che suonavano con tre giradischi. Si trattò di una serie limitata, ne stampavo appena 300 copie per recuperare almeno le spese di pressaggio.

Nel 1998 viene lanciata la serie XX, contraddistinta dall’edizione limitata ma soprattutto dall’assenza di titoli e riferimenti all’autore. Quali ragioni dettarono tale scelta? Ad ormai venti anni di distanza dall’ultima uscita XX, puoi rivelare gli autori ed eventualmente confermare se quelli riportati da Discogs siano veritieri?
La serie XX nacque per promuovere una techno più particolare ma soprattutto per lasciare carta bianca agli artisti, liberi di esprimersi e sperimentare al 100%. Decisi di non apporre alcun nome affinché la musica parlasse da sola, senza “introduzioni”. Il primo era di Inigo Kennedy, il secondo e il terzo miei, il quarto mio e di Inigo Kennedy e il quinto ancora di Kennedy. In dirittura d’arrivo c’è il sesto.

Nel corso degli anni il roster artistico dell’etichetta si amplia. C’è stato qualcuno che avresti voluto ospitare ma che per qualche ragione è rimasto escluso?
La lista, purtroppo, è parecchio lunga.

Che tipo di relazione allacciaste con gli artisti napoletani?
Li ho sempre rispettati perché capaci di creare un sound molto interessante quanto particolare. Conobbi Marco Carola e Gaetano Parisio tramite Andrea Benedetti che importava dalla ELP Medien la Design Music. Da quel momento intrecciai ottime relazioni con loro, specialmente con Carola che vedevo spesso quando abitava a Londra. Sia lui che Parisio erano di casa ad Eukatech, dove ho costantemente spinto la loro musica sin dall’inizio. In seguito coinvolsi su Molecular Recordings anche un altro napoletano, Danilo Vigorito.

Eukatech Records, negozio di dischi che apri insieme a Nils ed Hans Hess nel cuore di Covent Garden e che raccoglie l’eredità del Silverfish, è legato all’omonima etichetta discografica lanciata nel 1995 (a cui poi si aggiungono la Eukahouse e la Eukabreaks per coprire rispettivamente segmenti stilistici house e breaks). C’era un rapporto tra la Molecular Recordings e la Eukatech o erano due progetti che correvano su binari paralleli?
La nostra era una famiglia ed anche le etichette finirono con l’imparentarsi in qualche modo. Hans e Nils però viaggiavano più sulla house, io continuavo a propendere per la techno quindi direi che, seppur raccolti sotto lo stesso tetto, fossero progetti paralleli senza intersecazioni.

Qual è stato il momento più emozionante e gratificante raggiunto con la Molecular Recordings?
Senza dubbio quando il leggendario John Peel suonò la serie XX nel suo programma radiofonico su BBC.

Sino a quando hai gestito l’etichetta con Marco D’Arcangelo?
Nel 1996 Marco e Fabrizio si legarono alla Rephlex ed iniziarono a concentrare i loro sforzi su uscite più IDM o braindance, come quella musica fu definita più tardi. Per forza di cose Marco si interessò meno a Molecular Recordings ma quando possibile abbiamo mantenuto attiva la collaborazione, e il “Technomorphine EP” di Monomorph, del 1998, lo testimonia. Nel ’95 demmo avvio anche ad un’etichetta che in catalogo conta appena un’uscita, la Sphere Records. I due brani di Monomorph lì incisi, “Metoh” ed “Hyperlight” li ripubblicammo l’anno dopo su Molecular Recordings in due remix a firma Jim Eliot e Kelli Hand.

Molecular Recordings si ferma nel 2005: quali furono le ragioni che ti convinsero a smettere?
Avvenne quando Eukatech chiuse a causa di motivi finanziari. Da un giorno all’altro raddoppiò il canone di affitto e nel contempo, con la diffusione di internet e dei formati digitali, i dischi non si vendevano più come una volta. Decidemmo quindi di abbassare la saracinesca. Nel frattempo divenni papà di due bambine ed ho dovuto trovare un’altra occupazione, completamente diversa, in una banca d’investimento. A quel punto il lavoro e le figlie assorbirono totalmente il mio tempo.

Da anni sul sito della label si legge “opens feb 2010”. Hai annunciato un possibile rilancio anche attraverso la tua biografia su Resident Advisor e credo ci siano finalmente novità su tal fronte.
Esattamente, siamo ripartiti giusto da un paio di mesi rilanciando in digitale alcune uscite del catalogo su Bandcamp, visto che i brani del repertorio Molecular Recordings non sono mai stati disponibili in formato liquido. Nel contempo stiamo finalizzando l’accordo con un distributore per qualche pubblicazione su vinile. Abbiamo già quattro release pronte, due nuovi capitoli della serie XX e i remix della mia “Taboo”, uscita originariamente nel 2003 ed adesso rimaneggiata da Lory D, Jeroen Search, Davide Squillace, Leo Anibaldi, Florian Meindl ed Anderson Noise.

Come vorresti che fosse ricordata la Molecular Recordings tra qualche decennio?
Come una delle etichette techno londinesi più all’avanguardia.

(Giosuè Impellizzeri)

© Riproduzione riservata

La discollezione di David Love Calò

DL Calò 1

Una parte della collezione di dischi di David Love Calò

Qual è stato il primo disco che hai acquistato nella tua vita?
“Reggatta De Blanc” dei Police. Lo presi nel 1979 all’Upim vicino casa che vendeva dischi selezionati in modo abbastanza casuale. All’epoca i miei ascolti erano legati a quelli di mio fratello maggiore che sparava prog rock a tutto volume alternata ad un po’ di new wave.

L’ultimo invece?
“Abolition Of The Royal Familia” degli Orb. Thomas Fehlmann ormai ha abbandonato il gruppo ma la collaborazione coi System 7, Youth dei Killing Joke, Gaudi e la new entry Michael Rendall dà buoni frutti, soprattutto nei pezzi dub della seconda parte. Resta inalterato l’approccio compositivo che definirei molto “nineties”.

Quanti dischi conta la tua collezione?
Qualche migliaio ma l’ultima volta che li ho contati ero appena un ventenne. Compro dischi dai primi anni Ottanta ma poiché ho pochissimo spazio sono stato costretto a dividerli fra casa dei miei e dove abito ora. Inoltre ho lasciato duecento dischi a casa di amici e nella radio dove lavoravo. Circa cinque anni fa invece, per problemi economici, ne ho venduti circa trecento, tra cui le prime stampe di hip hop americano ma anche elettronica, rock e library music.

DL Calò 4

Altri dischi della raccolta di Calò

Come è organizzata?
Non sono mai stato ordinato e aver traslocato decine di volte non mi ha di certo aiutato. Tengo i dischi assolutamente mescolati, senza alcuna distinzione di genere. Questo “non ordine” mi impedisce di trovare subito ciò che cerco ma nel contempo mi offre la possibilità di riscoprire cose che magari non ascoltavo da tempo.

Segui particolari procedure per la conservazione?
Assolutamente no. Qualcuno lo ho sigillato poiché comprato in doppia copia ma in generale ho sempre acquistato dischi per suonarli, prima in radio e poi nelle serate. Per me il disco deve essere usato e strapazzato.

Ti hanno mai rubato un disco?
Purtroppo è un’esperienza che ho vissuto. Anni fa mi rubarono due borse dalla macchina, cosa che è avvenuta anche ad altri colleghi ed amici come in una sorta di leitmotiv del perfetto DJ. Erano proprio i flightcase che usavo per fare le serate e quindi ho dovuto ricomprare almeno una cinquantina di dischi che all’epoca per me erano (e sono) fondamentali, tipo “Bytes” di Black Dog Productions o cose della Mo Wax. Ai tempi non c’erano i social network e l’unico modo con cui provai a cercarli fu lasciare la lista ad alcuni negozi di dischi che trattavano usato con la speranza che qualcuno saltasse fuori ma purtroppo non li ho mai ritrovati. Chissà che fine hanno fatto.

DL Calò 3

Calò con “You Gotta Say Yes To Another Excess” degli Yello, l’album uscito nel 1983 a cui dichiara di tenere maggiormente

Qual è il disco a cui tieni di più?
“You Gotta Say Yes To Another Excess” degli Yello perché nel 1983 mi aprì un nuovo mondo. Avevo solo dodici anni e quello era uno dei dischi più trasmessi da Controradio di Firenze, emittente che da lì a poco avrei iniziato a frequentare. Ero fortemente affascinato dalla radio e il mio più grande desiderio era poterci lavorare. Scrissi persino una lettera chiedendo di registrarmi su cassetta quel disco: essendo poco più di un bambino avevo pochi soldi in tasca per potermelo permettere. Mi telefonarono dicendomi di andare a prendere la cassetta nella loro sede e una volta entrato negli studi rimasi completamente ipnotizzato. Tornando al disco, ciò che mi colpì di più degli Yello fu la capacità di fare musica pop in un modo che a me sembrò del tutto nuovo.

Quello che ti sei pentito di aver comprato?
Sono tanti. È molto facile passare da essere un appassionato ad un consumatore seriale, soprattutto quando hai l’alibi che li compri per fare le serate. Dischi annessi ad un certo pop britannico con venature elettroniche risalenti ai primi anni Novanta, tipo Eskimos & Egypt, Sheep On Drugs o Mulu, giusto per fare i primi nomi che mi tornano in mente, non sono riuscito a venderli perché non hanno valore, né economico né tantomeno musicale.

Quello che cerchi da anni e sul quale non sei ancora riuscito a mettere le mani?
Mi affascina moltissimo il materiale post punk dei primi anni Ottanta. Per fortuna tante cose sono state ripubblicate ma c’è ancora un mucchio di roba introvabile uscita solo su 7″ o cassetta, dal prezzo esagerato. Un esempio è offerto dalla compilation “One Stop Shopping” pubblicata su doppia cassetta nel 1981 dalla Terse Tapes, etichetta australiana attiva in quel periodo e il cui nome di punta era rappresentato dai Severed Heads. Conteneva pezzi notevoli ma incisi in bassa qualità quindi non credo che nessuno si prenderà mai la briga di ristamparla.

Quello di cui potresti (o vorresti) disfarti senza troppe remore?
Ho diversi singoli di fine anni Ottanta/primi Novanta di musica commerciale, comprati quando iniziai a mettere i dischi nei locali e che ho sistemato nella cantina dei miei genitori. Di quelli potrei davvero fare a meno.

DL Calò 2

Calò con “Bitches Brew” di Miles Davis, del 1970, a suo parere tra i dischi con la copertina più intrigante

Qual è la copertina più bella?
Dovendo sceglierne una direi quella di “Bitches Brew” di Miles Davis realizzata da Mati Klarwein, ma ho un debole pure per quella di “Sextant” di Herbie Hancock, firmata da Robert Springett.

Che negozi di dischi frequentavi quando hai iniziato ad appassionarti di musica?
A Firenze i primi sono stati Contempo ed Ira Records dove compravo principalmente rock e new wave. Poi c’era la Galleria Del Disco che oltre a roba dance vantava una bella sezione di hip hop d’importazione. Trovandomi alla periferia di quello che era considerato l’impero musicale, dovevo accontentarmi perché i dischi arrivavano in poche copie e solitamente se le aggiudicavano i big DJ. Questa situazione mi ha spronato a cercare una terza via.

Intendi acquistare per corrispondenza?
Sì, esattamente. Negli anni Novanta lessi un articoletto su The Face che parlava di un certo Mark O’Shaughnessy della Resolution Records che vendeva roba introvabile, tra library e dischi strani. Non aveva un negozio vero e proprio ma un piccolo fondo adibito a magazzino nel quartiere di Brixton, a Londra, che si poteva visitare previo appuntamento. In compenso mandava, attraverso una mailing list, l’elenco di dischi usati disponibili divisi per genere. Lì ho comprato tanto materiale interessante ma molto costoso. L’alternativa era farsi, tre o quattro volte all’anno, il giro di Londra passando dai soliti Record Exchange, Rough Trade, Atlas, Intoxica…Poi, con l’avvento su larga scala di internet, tutto è stato molto più semplice.

DL Calò 5

Un altro scorcio della collezione di Calò

L’e-commerce ha annullato il rapporto tra venditore ed acquirente. Tu come vivevi tale rapporto?
Il colpo di grazia è stato inflitto dal digitale, ma devo ammettere che il 70% dei negozianti che frequentavo non eccellevano mica per simpatia. Ricordo però con piacere Fish che vendeva dischi prima alla Galleria Del Disco e poi in un negozio tutto suo, e il mitico Kaos Records (con Ennio e il Boccetta), un negozio specializzato in elettronica che non avrebbe affatto sfigurato neppure su una piazza esigente come quella londinese. Poi c’era Simone Fabbroni che, oltre ad essere un grande DJ, “spacciava” dischi fenomenali da Smile e Danex, che peraltro resiste ancora oggi. Andando verso la riviera, Bologna rappresentava un passaggio obbligato con le capatine al Disco D’Oro da Luca Trevisi. Ciò che rammento con maggior piacere di quegli anni era l’incontro con altri DJ ed acquirenti con cui si poteva instaurare un rapporto umano. Oggi vendo io stesso dischi, da Move On, e mi rendo conto che la vendita online spalanca le porte di un mondo incredibile con algoritmi pazzeschi, ma se non c’è qualcuno che conosce i tuoi gusti e ti guida, non sempre riesci a trovare le cose giuste, soprattutto se si è in cerca di pubblicazioni di nicchia.

Dopo diversi anni di silenzio, il 2016 ha visto tornare in attività Loudtone, il progetto che hai creato nel 2006 con Umberto Saba Dezzi a cui si aggiunse il parallelo Plan K finito sulla Kindisch. Al 7″ pubblicato dalla Pizzico Records però non ha più fatto seguito altro. Segno di quanto sia ormai poco remunerativo il comparto del disco o scelta intenzionale?
Coi Loudtone iniziammo a produrre musica quando ormai il mercato discografico stava esalando gli ultimi rantoli quindi non abbiamo mai guadagnato granché. Tuttavia abbiamo continuato a comporre pezzi a mio avviso interessanti che prossimamente caricheremo su Bandcamp ma senza velleità economiche, ci basterebbe semplicemente essere ascoltati. Oggi è necessario trovare nuove forme di promozione extra musicali.

Conservi tutti i dischi (e CD) che hai prodotto nella tua carriera?
Ho un paio di copie delle uscite su Mantra Vibes e Kindisch che lascerò come (sola) eredità ai miei figli.

NicoNote e Calò (199x)

David Love Calò in compagnia di Nicoletta ‘NicoNote’ Magalotti, in una foto scattata nella seconda metà degli anni Novanta

Negli anni Novanta sei stato il DJ del Morphine, zona di decompressione del Cocoricò ideata da Loris Riccardi. Come ricordi quell’esperienza e che brani passavi con più frequenza in quell’ambiente?
Il Morphine ha vissuto varie fasi. Durante la prima, tra 1994 e 1995, mettevo cose tendenti all’ambient e al trip hop tipo Nav Katze, Aural Expansion, Pete Namlook, Nonplace Urban Field, Reload, Spacetime Continuum e Richard H. Kirk miste ad altre più vecchie come Cluster, Jon Hassell o White Noise. Poi, dal 1996, con l’arrivo di artisti tipo Tipsy e Sukia, aggiunsi suoni stile elevator music in scia a Jean-Jacques Perrey e Bruce Haack. A queste due “onde” si aggiunse infine un’anima più funk/soul e disco. Durante gli stessi anni c’erano altre realtà in parte simili, come il Link a Bologna e il Maffia a Reggio Emilia, locali indipendenti con programmazioni fenomenali, ma la fortuna del Morphine risiedeva nel rappresentare un piccolo spazio slegato dalla necessità di far ballare e, di conseguenza, fondato sulla frequentazione prevalente di gente del tutto diversa rispetto alle due sale principali del Cocoricò. Nel corso del tempo, grazie a Loris Riccardi e Nicoletta ‘NicoNote’ Magalotti, abbiamo potuto contare su tante ospitate non solo di DJ ma pure di performer, teatranti, filosofi ed astronomi. La reazione del pubblico “normale” inizialmente è stata di assoluto stupore, seguita poi quasi sempre dalla soddisfazione di aver trovato qualcosa di davvero originale.

Ricordi quale fu il disco che suonasti la prima volta che mettesti piede al Morphine, nel settembre del 1994, insieme a Mixmaster Morris?
Certo: era “The Number Readers” dei Subsurfing, un pezzo che aveva dentro tre elementi perfetti per quel periodo, ambient, dub e un sample di voce recitante in lingua giapponese. Arrivare al Cocoricò per me fu un flash non da poco e trovarmi di fronte un maestro del calibro di Mixmaster Morris mi aprì nuovi orizzonti. Quella notte lui fece un set fenomenale miscelando sapientemente pezzi di Vapourspace, un promo di Wagon Christ, tracce ambient techno e pure un disco di Alan Watts.

Estrai dalla tua collezione dieci dischi a cui sei particolarmente legato illustrandone le ragioni.

Psychick Warriors Ov Gaia - Obsidian (Organically Decomposed)Psychick Warriors Ov Gaia – Obsidian (Organically Decomposed)
Uscito nel 1992 sulla KK Records, questo disco rappresenta la vetta assoluta del gruppo olandese. Tra i must del primo periodo del Morphine, mi era utilissimo perché diviso in due parti: la prima ambient, adatta ad una zona di decompressione, la seconda più veloce, perfetto anello di congiunzione con materiale acid o techno in stile Likemind. Purtroppo resta l’unico esempio di ambient che io ricordi per gli Psychick Warriors Ov Gaia, maggiormente spinti verso suoni techno. Trovai fondamentale anche il progetto solista di Robbert Heynen, fondatore della band, ovvero Exquisite Corpse, sempre pubblicato dalla KK Records.

Prince Far I - Crytuff Dub Encounter (Chapter I-IV)Prince Far I – Crytuff Dub Encounter (Chapter I-IV)
Nei primi anni Novanta, a Londra, mi capitò di partecipare ad un paio di eventi Megadog. Nel primo, tenuto alla Brixton Academy nel 1993, c’era la sala centrale coi live di Eat Static, Orbital, Aphex Twin, Drum Club e gli Underworld ancora sconosciuti ai più (era uscito da poco il singolo “Rez”) mentre nei corridoi fu posizionata una consolle dietro cui si alternavano vari personaggi fra cui Alex Paterson che conoscevo bene per i suoi live con gli Orb ma che non avevo mai sentito nella veste di DJ. Fece una selezione dub bellissima da cui emersero pezzi di Prince Far I. La mia conoscenza del dub allora si limitava alle cose classiche tipo King Tubby e soprattutto le uscite su On-U Sound, ma il suo set mi aprì orecchie e cuore. Il giorno dopo, spinto dall’entusiasmo per ciò che avevo sentito, “saccheggiai” vari negozi specializzati tra Soho e Brixton accaparrandomi i quattro capitoli di “Cry Tuff Dub Encounter” di Prince Far I.

US69 - Yesterdays FolksUS69 – Yesterdays Folks
Per me un “faro”, soprattutto a livello radiofonico, è sempre stato Gilles Peterson. Durante una delle sue session di Brownswood Basement, in cui trasmetteva dischi sconosciuti e supercool, fra un David Axelrod d’annata e un Sun Ra iperspaziale, tirò fuori questo gioiellino della band psichedelica statunitense US69. Pur non essendo mai stato un fanatico del periodo di fine anni Sessanta, soprattutto a livello rock, questo disco mi ha permesso di apprezzare la parte più onirica del genere, insieme ai Silver Apples e agli United States Of America.

Tortoise - Rhythms, Resolutions & ClustersTortoise – Rhythms, Resolutions & Clusters
Gli anni Novanta sono stati anche quelli del post rock e la Thrill Jockey ha rappresentato una delle etichette più importanti del genere. Questo è il secondo album dei Tortoise che comprai insieme ad uno dei primi singoli di Photek, quello col titolo in giapponese. Entrambi uscirono nell’estate del 1995, un periodo prolificissimo in cui anche nel clubbing si faceva strada il termine “eclettismo”. “Rhythms, Resolutions & Clusters” contiene una serie di remake risuonati interamente dalla band che ricorse anche ad elementi hip hop.

Pete Rock & C.L. Smooth - Mecca And The Soul BrotherPete Rock & C.L. Smooth – Mecca And The Soul Brother
Nel corso degli anni Ottanta i miei ascolti erano prevalentemente post punk e new wave ma nel 1983, forse grazie alla copertina che ritraeva Afrika Bambaataa e la Soulsonic Force nelle vesti di supereroi Marvel, mi ritrovai a comprare “Renegades Of Funk!” scoprendo l’hip hop. Ascoltando il programma Master su Radio Rai, con Luca De Gennaro e Serena Dandini, e Giuliano ‘Larry’ Bolognesi di Controradio che faceva anche il DJ al Tenax (e a cui chiesi una cassetta che conservo ancora!) mi innamorai di quelle sonorità. Non erano dischi facili da trovare ma nella seconda metà degli anni Ottanta la popolarità di etichette come la Def Jam Recordings permisero una maggior reperibilità di quel tipo di prodotti anche dalle mie parti. “Mecca And The Soul Brother”, uscito nel 1992 su Elektra, era una miscela perfetta di jazz ed hip hop che poi sarebbe diventata celebre coi Digable Planets e Guru coi volumi di “Jazzmatazz”. La forza del primo hip hop stava anche nell’uso sapiente dei sample che all’epoca erano legali e sconosciuti ai più.

Dick Hyman & Mary Mayo - Moon GasDick Hyman / Mary Mayo – Moon Gas
Questo LP rappresenta un perfetto esempio di space age music. Uscito nel lontano 1963, secondo me resta il disco meglio riuscito di Hyman grazie all’apporto vocale di Mary Mayo. Un album perfetto già a partire dalla copertina, utile a spezzare il ritmo di una serata ed adatto a fare da collante fra momenti ambient e tracce da ballo. È un ricordo di tante nottate a ritmo di Raymond Scott, Matmos ed electro, condivise coi DJ del Link, Peak Nick ed Ilo uniti come Beat Actione.

The Lisa Carbon Trio - PolyesterThe Lisa Carbon Trio – Polyester
Negli anni Novanta uscivano delle compilation chiamate “Trance Europe Express” che all’interno includevano sempre un booklet con interviste agli autori dei brani. Nel terzo volume Mike Paradinas citava The Lisa Carbon Trio come un progetto innovativo da non lasciarsi assolutamente sfuggire. Dopo un po’ di ricerche riuscii a trovare il singolo d’esordio, “Opto Freestyle Swing”, pubblicato nel ’92 dalla Pod Communication a cui seguì due anni più tardi uno strepitoso album su Rephlex, “Polyester” per l’appunto. Soltanto tempo dopo venni a sapere che dietro ci fossero Uwe Schmidt, mente geniale artefice di Atom Heart, Señor Coconut e decine di altri marchi, e Pete Namlook. Un disco incredibile che ai tempi ben si legava a “Monkey Boots” dei Gregory Fleckner Quintet uscito all’incirca nello stesso periodo su Clear. Proprio Mark Fleckner venne in Italia coi due fondatori della label, Clair Poulton ed Hal Udell, a suonare in una situazione tutt’altro che consueta ossia al centro sociale l’Indiano, in fondo al Parco delle Cascine di Firenze. Insieme a loro i miei due amici e mentori Simone Fabbroni e Liam J. Nabb.

Conrad Schnitzler - ConalConrad Schnitzler – Conal
Le vacanze estive della mia famiglia facevano tappa fissa ad Imperia dove vivevano i miei zii. Quelle tre settimane però, durante il periodo dell’adolescenza, cominciavano a pesarmi ed ogni via di fuga rappresentava una boccata d’aria. Grazie a mio fratello Daniele, che ha dieci anni più di me, scoprimmo un negozio di dischi ad Oneglia gestito da una fanciulla che vendeva roba incredibile, soprattutto per un pischello come ero io ai tempi: Laibach, Hafler Trio, Nurse With Wound giusto per citarne alcuni. Lì acquistammo questo disco racchiuso in una copertina rossa. Sopra erano incisi due lunghissimi brani della durata di venti minuti ciascuno. Dopo l’entusiasmo dei primi mesi rimase dimenticato sullo scaffale sino a quando iniziai a mettere i dischi al Morphine, nel 1994.

Tones On Tail - PopTones On Tail – Pop
Il periodo che preferisco musicalmente è quello compreso tra il 1979 e il 1982, quando il punk incontrò la black music con incastri sorprendenti. Questo album uscì nel 1984 ma il gruppo era partito proprio nel 1982 come side project dei Bauhaus, firmando incredibili singoli come “There’s Only One!” e “Burning Skies”. “Pop” si muove su territori tra dark gothic ed elettronica ed è ancora uno dei miei dischi preferiti degli anni Ottanta. A colpirmi parecchio fu pure la copertina, decisamente inquietante.

Holger Czukay - MoviesHolger Czukay – Movies
Un personaggio per cui ho nutrito un’adorazione completa è stato certamente Czukay, con e senza i Can. Il suo primo album che comprai fu “Der Osten Ist Rot” del 1984 ma “Movies”, uscito nel 1979, resta uno dei capisaldi. Non ho idea di come il disco venne accolto quando arrivò sul mercato ma penso sia stato compreso a fondo solamente diversi anni dopo. So per certo che uno dei brani racchiusi al suo interno, “Persian Love”, lo passasse Daniele Baldelli: diversi frequentatori della Baia Degli Angeli che venivano al Morphine avevano quasi le lacrime agli occhi quando lo suonavo.

(Giosuè Impellizzeri)

© Riproduzione riservata

Max Durante – DJ chart marzo 1994

Max Durante, Tunnel, marzo 1994

DJ: Max Durante
Fonte: Tunnel
Data: marzo 1994

1) Biochip C. – Limited Edition
Edizione chiaramente limitata (e il titolo fuga ogni dubbio) quella che Martin Damm affida alla Force Inc. Limited, “sorella” della Force Inc. Music Works di Achim Szepanski. Quattro i brani incisi sul 12″, tutti untitled, in cui l’artista leviga la sua techno sperimentalista dalla filigrana intenzionalmente low-fi, alternando sapientemente beat spezzati (A2) a canoniche misure in 4/4 (B1), toccando in alcuni punti ambientazioni trancey (B2) e gorghi di forsennata acidcore.

2) ADSX – Introducing DSL
Andre Fischer alias Audiosex, qui ulteriormente trincerato dietro l’acronimo ADSX, è uno dei primi in Germania a dedicarsi alle diverse sfumature che assume la dance elettronica negli anni Novanta. La sua serrata attività produttiva contrassegnata da una copiosa lista di alias abbraccia techno, trance ed acid ma talvolta si spinge sino a lambire sponde braindance, proprio come accade in questo 12″ autoprodotto sulla propria Injection Records tornata recentemente in attività sul fronte digitale. “DSL 25” e “DSL 26” si sviluppano sul medesimo costrutto: una linea melodica ambientale graffiata da un battente broken beat dalle venature distorte, con un effetto finale che potrebbe ricordare l’Aphex Twin di quel periodo (e l’uso dell’acronimo ADSX ammiccherebbe coerentemente a quello usato da James, AFX). Sul disco, oltre a brevi interludi, si rinviene anche il remix di “DSL 25” a firma di un decano dell’acid techno teutonica, Rob Acid.

3) Drexciya – Molecular Enhancement
In perpetuo bilico tra electro e techno, il suono di Drexciya è tra i più peculiari e distintivi che la scena underground americana abbia mai generato. “Molecular Enhancement”, terzo disco del misterioso progetto le cui coordinate biografiche diventano più nitide solo nel 2002 quando uno dei due componenti, James Stinson, muore prematuramente, si muove su matrici soniche letteralmente stranianti. “Intensified Magnetron” ed “Hydro Cubes”, con abrasivi bassline ben piantati in trainanti telai ritmici, sembrano continuare il discorso lasciato in sospeso da un EP uscito un paio di anni prima ma firmato con uno pseudonimo diverso, L.A.M., (“Balance Of Terror”, 1992) mentre “Antivapor Waves” ed “Aquatic Bata Particles” aggiungono ulteriori dettagli genomici alla mitologica produzione drexciyana diventata punto di partenza per un numero indefinito di epigoni sparsi in tutto il globo e a cui è stato meritatamente dedicato un libro illustrato da Abu Qadim Haqq, presentato in anteprima in Italia un paio di mesi addietro. Il disco viene pubblicato nel 1994 dalla Rephlex su licenza della Underground Resistance ma riappare l’anno seguente su Submerge con due ulteriori tracce, “Anti-Beats” e “Bata-Pumps”.

4) Mike Dearborn – ? / Storm – Storm
Sembra un pari merito quello che Durante piazza al quarto posto della sua classifica. Entrambi gli artisti vengono d’oltreoceano (Mike Dearborn, uno dei protagonisti della seconda ondata di Chicago, e Steve Stoll sotto uno dei numerosi pseudonimi, Storm) e ad accomunarli è il logo della Djax-Up-Beats di Miss Djax. Purtroppo non aver specificato il titolo del primo non permette l’identificazione certa ma solo l’avanzamento di congetture. Potrebbe trattarsi di “Chaotic State” o forse del più agitato “Unpredictable”. Altrettanto tagliente è la musica di Stoll, che prima concede spazio alle sincopi (“Cloud Fall”) e poi si immerge nel turbinio minimalista di “Halo”, pigiando il pedale dell’acceleratore con “Carbon Fury” e chiudendo con un’acid techno lambiccante (“Radio Dust”), trademark dell’etichetta olandese della bella Saskia Slegers ricordata anche per gli eccelsi artwork a firma Alan Oldham.

5) Automatic Sound Unlimited – Tu*4*Bx/0 = E.P.01 + Tu*4*Bx/2 = E.P.02
Edito dalla Hot Trax, sublabel della più nota ACV, questo doppio EP mette ulteriormente in risalto le doti compositive degli Automatic Sound Unlimited, terzetto formato da Max Durante e dai gemelli Fabrizio e Marco D’Arcangelo, di cui abbiamo già parlato dettagliatamente qui qualche anno fa. Facendo tesoro della lezione del futurista Luigi Russolo, il team capitolino esalta il rumorismo intrecciandolo con maestria ad una techno dura, scarnificata e ai confini col noise hardcorizzato (“Reflection”, “Index System”, “Psychout”, “Damaging Of A 303”, “Synthetic Material”). I sobbalzi della cassa incorniciano atmosfere tetre, demoniache e plumbee (“Logout”, “Daemons Init”) e rivoli acidi (“Tu*4*Bx”, “Workmen”, “Matrix A.S.U.”). Un disco-macigno, rimasto insieme ad altri di quel periodo a testimonianza di quanto fosse profondo e viscerale il rapporto tra Roma e la techno.

6) Biochip C. – Freedom 7 / Jammin’ Unit & Walker – Rudolph Valentino
Un secondo pari merito: da un lato “Freedom 7” del già menzionato Biochip C., alle prese con l’acid selvaggia di “The Mindclearer” e con l’altrettanto animalesco “Untitled” inciso sul lato b, dall’altro Jammin’ Unit & Walker, che ritroveremo poco più avanti come Air Liquide, con altri due pezzi senza titolo a rappresentare vigorose e sfibranti spirali acid techno. Entrambi i dischi sono editi dalla Propulsion 285, piccola etichetta fondata da Ingmar Koch rimasta attiva per appena cinque uscite, tutte del 1993.

7) 303 Nation – ?
L’assenza del titolo impedisce di stabilire con esattezza a quale disco Max Durante qui si riferisca, ma in base al periodo è fattibile ipotizzare che fosse “Strobe Jams II” o “Strobe Jams III”, entrambi editi dalla Dance Ecstasy 2001. Il duo, di stanza a Francoforte e formato da Fernando Sanchez e Patrick Vuillaume, rientra tra i grandi virtuosi del “303 sound” ma a causa della scarsa operatività (appena cinque i dischi incisi, tra 1992 e 1994) finisce immeritatamente nell’oblio. Val la pena rimarcare la presenza dei 303 Nation nel primo volume della “Outer Space Communications”, indimenticata serie di compilation della barese Disturbance (gruppo Minus Habens) di Ivan Iusco, intervistato qui.

8) Mono Junk – Mono Junk
Kim Rapatti è uno dei personaggi-chiave della scena techno finlandese. Autosostenutosi attraverso la sua Dum Records, si ritaglia meritevolmente un posto nel frenetico mercato europeo catalizzando pian piano l’attenzione di altre etichette come la Trope Recordings di Thomas P. Heckmann, a Magonza, che assembla un EP di inediti e qualche traccia ripescata proprio dal catalogo Dum. I brani di Rapatti riflettono un’estetica minimalista, con pochi suoni, stesure alternate tra 4/4 e ritmi spezzati ed intrusioni acide. Qui si passa dai beat battaglieri di “Psycho Kick” ai geometrismi di “I’m Okey”, dai gorghi tranceggianti di “Beyond The Darkness” ed “Osaka House” per finire alle spavalderie acide compresse in “Sweet Bassline” ed “Another Acid”. Una gallery audio di quelle che sono le principali ispirazioni dell’artista finnico, tuttora attivo e ricordato anche per l’avventura New York City Survivors condivisa con Irwin Berg.

9) Kinesthesia – German
“German” è uno dei brani inclusi nel primo volume che Chris Jeffs realizza come Kinesthesia affidandolo ad un’etichetta d’eccezione, la Rephlex. A neanche diciotto anni il britannico si rivela capace di costruire una techno dalle tinte astrattiste, dai rintocchi industriali e virata IDM nelle restanti tracce dell’EP (“Kobal”, “4J” e “Church Of Pain”, quest’ultima con febbricitanti vampate ravey). Dopo qualche anno ed un’altra manciata di pubblicazioni, Jeffs archivia il progetto Kinesthesia rimpiazzandolo con un altro con cui continuerà la proficua collaborazione con Rephlex, Cylob.

10) Air Liquide – Nephology – The New Religion
Dopo una serie di EP gli Air Liquide (Cem Oral ed Ingmar Koch, da Francoforte sul Meno) incidono i primi album. “Nephology – The New Religion” è il secondo, dopo “Air Liquide”, e sviscera in toto l’abilità dei due nell’assemblare una techno mischiata a fluttuazioni ambient/IDM: è sufficiente ascoltare “Kymnea”, “Stratus Static”, “Semwave” o l’inquietante “Nephology”, da vero girone dantesco, per comprendere quanto la scrittura qui rifugga ogni semplice definizione. Immancabili le svirgolate acide (“THX Is On”), peculiarità fortemente caratterizzante del duo scioltosi nel 2004.

(Giosuè Impellizzeri)

© Riproduzione riservata

Zenith – DJ chart maggio 1997

Zenith, DiscoiD maggio 1997DJ: Zenith
Fonte: DiscoiD
Data: maggio 1997

1) Aphex Twin – Alberto Balsalm
Nella tracklist di “…I Care Because You Do” pubblicato dalla Warp nella primavera del 1995, “Alberto Balsalm” è uno dei brani che mettono meglio in risalto il genio creativo di Richard David James. L’artista disegna malinconiche traiettorie melodiche su un foglio ritmico ottenuto, pare, con rumori registrati sul campo tra cui un lambiccante sferruzzare di forbici da parrucchiere. Da qui partono le teorie formulate dai fan che spiegherebbero la ragione del titolo, gioco fonetico di una nota marca di shampoo, Alberto Balsam.

2) Zenith – A Journey Into My Hallucination
Uscito dopo “The Flowers Of Intelligence”, “A Journey Into My Hallucination” è il secondo dei due dischi che Zenith realizza per la IST Records, sublabel della nota Industrial Strength Records di Lenny Dee, e prosegue l’incredibile trip che Federico Franchi effettua in quegli anni tirandosi dietro elementi dell’hard trance, della techno, dell’ambient/IDM e dell’hardcore, raccolti poi nell’album del ’99 “Flowers Of Intelligence”, prodotto ancora da Lenny Dee su The Music Cartel e contenente un ipotizzato terzo singolo, “A Tear In Heart”. Pezzo trainante è “Black Alienation” (ai tempi programmato spesso da Tony H in “From Disco To Disco”, in onda il sabato notte su Radio DeeJay), una specie di acid trance ad alto voltaggio percorsa da scariche elettriche e da un retrogusto cinematico rivelato prima dallo spoken word dell’intro e poi dal lungo break intriso di atmosfere tenebrose e a tratti orrorifiche.

Zenith (1997)

Zenith in una foto del 1997

«Credo mi abbia contattato Franchi quando IST Records stava diventando un’etichetta piuttosto popolare nel circuito underground techno» rammenta oggi Lenny Dee. «Ricordo sorprendenti dettagli nella produzione, e lo spirito della sua musica resta notevole anche a distanza di tanti anni. Fu un assoluto pioniere oltre ad essere un amico, ed è dannatamente triste che non sia più tra noi a realizzare musica ispiratrice come allora. Ricordo bene quando venne a trovarmi, fu un piacere portarlo per le vie di Brooklyn e New York, ci divertimmo un sacco».

Sia “The Flowers Of Intelligence” che “A Journey Into My Hallucination” sono tra i 12″ più richiesti (e quotati sul mercato dell’usato) della discografia di Franchi ma ad oggi la IST Records ha ristampato solo il primo, nel 2008, per placare la “sete” dei collezionisti. «Non sono convinto di poter effettuare nuovi reissue su vinile, chiederò alla francese Toolbox Records che si occupa della stampa dei nostri dischi per capire se ci sia la possibilità. Giusto qualche mese fa abbiamo commercializzato in digitale lo stupendo album “Flowers Of Intelligence”, con una potente rimasterizzazione. Ci consideriamo fortunati ad averlo pubblicato su CD anni fa. All’Awakenings del 2018 Nina Kraviz ha suonato “Black Alienation” ed è stato fantastico. La DJ siberiana ci ha contattati per avere la versione digitale poiché aveva solo quella incisa su vinile e a quel punto abbiamo deciso di rimettere in circolazione l’intero LP in formato liquido. È rincuorante sapere che anche le nuove generazioni possano scoprire la straordinaria musica di Zenith» conclude Lenny Dee. Alcuni brani di “Flowers Of Intelligence” riappariranno nel 2007 attraverso “Ambient Works ’89-’95”, una raccolta diffusa esclusivamente in digitale contraddistinta da un titolo che ammicca chiaramente a “Selected Ambient Works 85-92” di Aphex Twin, punto di riferimento e di ispirazione per Franchi nei suoi primi anni di carriera.

3) Steve Reich – The Cave
“The Cave” viene dato alle stampe solo nel 1995, due anni dopo rispetto a quando la composizione viene eseguita pubblicamente con la Steve Reich Ensemble. Divisa in tre atti, West Jerusalem (May – June 1989), East Jerusalem (June 1989 And June 1991) e New York City / Austin (April – May 1992), “The Cave” è, come descrive Enzo Restagno in “Reich. Con Un Saggio: La Svolta Americana”, «un progetto drammaturgico con cui l’autore approda ufficialmente al mondo del teatro». L’idea di partenza è un luogo che l’illustre esponente del movimento minimalista definisce “un’incarnazione della storia”, la grotta di Machpelah a Ebron, lì dove il musicista si reca, insieme a Beryl Korot, con telecamere e registratori per iniziare il meticoloso lavoro di raccolta di immagini e materiali sonori. «Il ricorso alle tecniche della speech melody, gli strumenti che raddoppiano e avviluppano ritmicamente le voci, la flessibilità dei ritmi e delle situazioni armoniche, l’uso quanto mai sofisticato della tecnologia video e delle registrazioni sembrano trovare in “The Cave” un grandioso compendio» scrive ancora Restagno nel citato libro.

4) Björk – Violently Happy (Remix)
È complicato risalire a quale versione qui faccia riferimento Zenith: di remix di “Violently Happy”, brano incluso nel primo album dell’artista islandese uscito nel 1993, ne sono usciti diversi, tutti a firma di nomi blasonati come Masters At Work, Graham Massey degli 808 State e Nellee Hooper. Considerando i gusti di allora di Franchi però, potrebbe trattarsi di una delle due versioni – Well Tempered (Non Vocal) o Even Tempered (Vocal) – realizzate dai Fluke, team britannico attivo sin dal 1988 ma balzato agli onori della cronaca proprio nel 1997 con l’album “Risotto” e i singoli “Absurd” e soprattutto “Atom Bomb”, quest’ultimo finito in popolari videogame come “Wipeout 2097” e “Gran Turismo”.

5) Zenith – Elektronic Death
Inciso sul lato b di “Fantasy” di Fabietto DJ (cover dell’omonimo di Taucher scritto insieme a Torsten Stenzel), “Elektronic Death” incarna tutte le caratteristiche con cui Zenith “disegna” la sua hard trance in quel periodo. Velocità di crociera sostenuta, beat di costruzione minimalista, riff corti e ripetitivi, insomma pochi elementi ma dosati in modo perfetto da non far sentire l’assenza di altro. La formula magica è la medesima utilizzata nel progetto Shadow Dancers messo a punto con Biagio Lana e di cui abbiamo parlato nel dettaglio qui. Proprio Lana, tra pochi giorni, pubblicherà sulla sua iElektronix “The Voyager”, un brano inedito che riporterà in superficie il nome Shadow Dancers in memoria dell’amico prematuramente scomparso il 18 marzo 2018. Chissà se in futuro anche Elvio Moratto possa decidere di “resuscitare” Sonar Impulse, progetto nato con Franchi nel ’97 attraverso “The Door To Eternity”.

6) Leo Anibaldi – Void
“Void”, uscito nel ’96, porta il DJ/produttore capitolino sull’ambita Rephlex di Aphex Twin e Grant Wilson-Claridge. Messi da parte i ritmi brutali e le scorribande acide di “Cannibald – The Virtual Language”, Anibaldi continua ad intingere i pennelli in colori lividi e spappola quasi del tutto i canonici 4/4 ottenendo broken beat astratti, anticipati da una bolla ambientale e via via agghindati con rumori industriali. Una summa che raduna le intuizioni e le visioni messe a segno durante il primo lustro dei Novanta su ACV nel citato “Cannibald – The Virtual Language” (1992) e in “Muta” (1993), e che chiude l’ideale trilogia facendo di Anibaldi uno dei più intriganti artisti techno italiani negli anni in cui techno vuole essenzialmente dire saper scrutare nel futuro.

7) Caustic Window – ?
La poca attenzione nel riportare la dicitura esatta di un altro cimelio della discografia di Richard D. James mette nuovamente di fronte ad un dubbio amletico impossibile da sciogliere: si tratta del “Joyrex J9” o del “Joyrex J9 EP”? Entrambi risalgono al 1993 ma, nonostante il titolo praticamente identico, tra i due corrono sostanziali differenze. Il primo, stampato in trecento copie su un vinile shaped particolarmente ricercato sul mercato del collezionismo che da un lato riproduce un Roland Bass Line TB-303 e dall’altro un Roland Drumatix TR-606, include “Humanoid Must Not Escape” e “Fantasia”. Il secondo, con la tiratura estesa alle novecento copie (a cui se ne sommano altre cento della Disco Assault Kit con allegati un sacchetto di caramelle ed una t-shirt), conta invece quattro tracce di cui solo una presente nel precedente, “Fantasia”, a cui si aggiungono “Clayhill Dub”, “We Are The Music Makers (Hardcore Mix)” e la più nota “The Garden Of Linmiri”, scelta qualche anno più tardi dalla Pirelli per lo spot televisivo col velocista Carl Lewis.

8) Prezioso – Raise Your Power (Zenith Remix)
Nel suo lungo peregrinare da una label all’altra, Giorgio Prezioso approda anche alla Trance Communications Records (il cui catalogo, è bene ricordarlo, annovera i primi dischi di Bochum Welt prima che approdasse alla Rephlex), creando con Zenith e il socio Mario Di Giacomo il progetto The Alternative Creators sviluppato attraverso “Sound Creation”, “The Beast” e “Rave Invention” usciti tra 1996 e 1998 e di cui abbiamo parlato dettagliatamente in Decadance contando sull’intervista esclusiva dello stesso Franchi. In quell’arco di tempo esce pure un suo singolo prodotto dai citati Zenith e Di Giacomo, “Raise Your Power”, non tra i più noti nel circuito generalista italiano ma forse quello che gli fa conquistare più credibilità nel settore dell’hard trance internazionale. Con una miscellanea sonora molto simile a quella usata per The Alternative Creators, il brano si aggiudica le licenze sulla britannica TeC, appartenente al gruppo Truelove Label Collective, e sulla tedesca Tetsuo di Talla 2XLC che decide, peraltro, di realizzarne un remix. La versione presa qui in esame è però la Hardhypno di Zenith, calata in atmosfere tetre (parecchio simili a quelle dei citati brani finiti sulla IST Records di Lenny Dee) e sorretta da un pulsante ritmo a cui l’autore associa la sua classica marcetta ipnotica. Tra gli altri remix si segnalano infine quello hardcore degli Stunned Guys e quello hard house dei Knuckleheadz.

9) Lory D – ?
Non è possibile identificare a quale disco della Sounds Never Seen si riferisse Zenith. Se fosse stato quello uscito nell’anno della chart si tratterebbe allora di “Friski”, l’unico edito nel ’97, che al suo interno contiene “Fludoiscki” e “Sotodiscki”, entrambi contraddistinti da grovigli ritmici coi quali il DJ romano spinge ancora la techno nei meandri della IDM più cervellotica. Ma questa è solo una supposizione perché l’artista avrebbe potuto indicare pubblicazioni antecedenti al 1997, così come testimoniano altri brani sparsi nella sua top ten.

10) Lenny Dee – ?
Nella discografia di Lenny Dee il part II di “Emotional Response” non esiste. “Emotional Response”, costruito su un intreccio tra hard trance ed hardcore, esce nel ’96 sulla LD Records. L’anno dopo, quando questa chart viene pubblicata, è la volta di “Forgotten Moments”, costruito su elementi simili e l’ultimo edito dalla LD Records. È forse questo il disco a cui si riferisce Zenith? Contattato pochi giorni fa, Lenny Dee spiega che inizialmente Emotional Response fu pensato come un nuovo pseudonimo: «Il primo 12″ che uscì su LD Records, contenente il brano omonimo realizzato con Marcos Salon, doveva essere commercializzato proprio come Emotional Response (cosa che avviene solo per le licenze tedesche su ZYX Music, nda), ma poi cambiai idea e decisi di firmarlo come Lenny Dee, analogamente a quanto avvenne col seguente “Forgotten Moments”». Alla luce di queste dichiarazioni è plausibile dunque supporre che Zenith intendesse proprio “Forgotten Moments”, coprodotto con Mike Marolla e Steve Gibbs ed oggi piuttosto ambito dai collezionisti.

(Giosuè Impellizzeri)

© Riproduzione riservata

Hard Wax – chart settembre 1997

Hardwax Raveline, settembre 1997
Negozio: Hard Wax
Fonte: Raveline
Data: settembre 1997

1) Push Button Objects – Cash
Edgar Farinas, da Miami, è Push Button Objects. Debutta sull’etichetta dei Phoenecia, la Schematic, con questo EP che vaga tra l’hip hop sperimentale e l’IDM raschiato dal glitch. Quattro i brani racchiusi al suo interno, “Lockligger”, “Striffle”, “Trot” e “Maercs”, inseriti nell’album “Dirty Dozen” uscito tre anni dopo e contraddistinti da broken beat, suoni segmentati e qualche scratch a rimarcare l’appartenenza ad un mondo allora fortemente legato all’arte del turntablism. La prima tiratura viene commercializzata con una copertina di plastica trasparente di tipo ziplock.

2) Monolake – Occam / Arte
Dietro Monolake, ai tempi, operano in due, Gerhard Behles e Robert Henke, che da lì a breve daranno vita ad uno dei software più celebri e rivoluzionari, Ableton Live (per approfondire si veda qui). Alfieri della minimal techno ben prima che questa divenisse uno specchietto per le allodole e rappresentasse una presunta novità da offrire al pubblico del nuovo millennio proprio mentre impazza la “Ableton generation”, i tedeschi qui elaborano due brani per la DIN dell’amico Torsten “T++” Pröfrock, entrato per un periodo a far parte dello stesso team. “Occam”, registrata live il 28 dicembre 1996 a Lucerna, in Svizzera, viaggia su taglienti minimalismi tangenti il dub in stile Basic Channel, “Arte”, prodotta in studio a Berlino, mostra scenari simili ma riducendo l’apporto ritmico ed avvicinandosi all’ambient. Da qualche anno in Rete si dibatte sulla velocità alla quale dovrebbe essere suonato il disco: c’è chi sostiene sia meglio a 33 giri, chi parteggia per i 45, chi ritiene di alternare 33 per un lato e 45 per l’altro. Sul disco non è riportata alcuna indicazione chiarificatrice ma nell’album “Hongkong”, pubblicato dalla Chain Reaction dei sopracitati Basic Channel, “Arte” suona a 33 giri mentre “Occam” a 45.

3) Luke Vibert – Big Soup
“Big Soup” è il primo album che Vibert firma col suo nome anagrafico ma giunto dopo altri ammirevoli lavori sotto pseudonimo (Wagon Christ, Plug) con cui mette a soqquadro il mondo drum n bass e trip hop. Pubblicato dalla Mo Wax, “Big Soup” potrebbe essere paragonato ad un altro album epocale presente nel catalogo della label di James Lavelle ossia “Endtroducing…..” di DJ Shadow. I beat si accartocciano come se fossero fogli di carta appallottolati, i sample sono assemblati secondo una fantasia funambolica che ad un orecchio poco allenato potrebbe suonare come disordine ma che in realtà segna le tappe di una ulteriore evoluzione dell’elettronica. Tra le più convincenti “Reality Check”, “C.O.R.N.” ed “Am I Still Dreaming?”, con un tiro à la Propellerheads, “Stern Facials” con tessiture di jazz destrutturato, e “2001 Beats”, piacevolmente accelerata e lanciata verso sponde drum n bass.

4) Plug – Cut (’97 Remix)
Inciso sul 12″ intitolato “Me & Mr. Sutton” e pubblicato dalla britannica Blue Planet Recordings, il remix ’97 di “Cut” (la versione originale si trova nell’album “Drum’N’Bass For Papa” uscito circa un anno prima) è virtuosa drum n bass con cui l’autore, Luke Vibert, di cui si è già detto poc’anzi, dimostra la genialità assoluta nel ricontestualizzare un campione preso da “Love Won’t Let Me Wait” di Major Harris. Soul del 1974 che dopo poco più di venti anni muta e si ripresenta come nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

5) Robert Henke – Floating.Point
I sette brani racchiusi in “Floating.Point” sono stati prodotti nel quinquennio 1992-1997: Henke, affiancato dall’amico Gerhard Behles con cui allora anima il progetto Monolake (si veda posizione 2), scava nell’inconscio ed ottiene un incredibile tunnel ambientale lungo poco più di 52 minuti in cui di tanto in tanto fanno capolino suoni tratti dalla natura ricavati forse da registrazioni sul campo.

6) Jeswa – Skone
Joshua Kay dei già citati Phoenecia è Jeswa. “Skone”, l’unico disco che firma con questo pseudonimo, fa scricchiolare i glitch su patine di IDM intellettualoide, con frequenti controtempi e suoni dub. Quello di Kay è un suono ascrivibile all’IDM sperimentale ed astrattista, paragonabile a quello di artisti come Autechre, Jan Jelinek o Vladislav Delay.

7) Various – From Beyond
“From Beyond” è il mega progetto che l’Interdimensional Transmissions vara nel 1997 e che, per il formato vinilico, si compone di quattro volumi, l’ultimo dei quali pubblicato nel 1998 quando il tutto viene raccolto anche su CD ma senza i vari locked groove e loop caratteristici dell’etichetta degli Ectomorph. La chart non specifica a quale qui si faccia riferimento, ma per inquadrare il contesto è sufficiente menzionare qualche nome degli artisti coinvolti come DJ Godfather, Mike Paradinas, Le Car, Phoenecia, Flexitone, Sluts’n’Strings & 909 e Will Web. Di matrice marcatamente electro, “From Beyond” viene ricordata anche per aver incluso nella tracklist “Space Invaders Are Smoking Grass” dell’olandese I-f, presa in licenza dalla originaria Viewlexx e debitamente pubblicata negli States come singolo nel ’98, seppur raccolga il meritato successo solo diversi anni più tardi quando in Europa scoppia il fenomeno electroclash.

8) Bochum Welt – Feelings On A Screen
Si narra che nel 1994 un giornalista del magazine britannico NME attribuì erroneamente la paternità di “Scharlach Eingang” ad Aphex Twin. A programmare le immaginose tracce di quel disco fu invece l’italiano Gianluigi Di Costanzo, entrato nelle grazie di Richard D. James e Grant Wilson-Claridge che da quell’anno lo arruolano nella squadra della Rephlex. L’EP della chart, stampato sia su vinile che CD shape, si muove su un suono a metà strada tra geometrismi electro (“Greenwich”, “Feelings On A Screen”) e più rilassate deviazioni ambient (“Fortune Green”, “La Nuit (Slumber Mix)”), con qualche assonanza melodica orientale a fare da collante.

9) Various – Plug Research & Development
Nel 1997 la Plug Research, oggi di base a Los Angeles, in California, lancia un progetto analogo a quello dell’Interdimensional Transmissions descritto poche righe più sopra. “Plug Research & Development” raccoglie al suo interno un buon numero di tracce techno (otto sul doppio vinile, dieci sul CD) realizzate da artisti poco noti al grande pubblico e per questo ingiustamente passate inosservate. Da Smyglyssna a Phthalocyanine, dai Wrench a Ravens Over Venice passando per l’australiano Voiteck, Lucid Lung, R.E.A.L.M. e i Mannequin Lung. Da segnalare anche la presenza dei Nine Machine (Mark Broom e Steve Pickton) e di Mr. Hazeltine, tra i primi alias di John Tejada rispolverato proprio recentemente.

10) Kotai – Back At Ten
Il brano in questione si presenta in due versioni: la Slow, che si inerpica su un percorso electro in battuta rallentata, e la Fast che prevedibilmente pigia sul pedale dell’acceleratore avvicinandosi alla minimal techno più ammaliante. A programmare le sequenze insieme al viennese Klaus Kotai (quello di “Sucker DJ”) c’è Gabriele ‘Mo’ Loschelder, ai tempi nell’organico di Hard Wax e con cui Kotai fonda l’Elektro Music Department, piccola etichetta in attività dal 1995 e che circa un anno fa ha pubblicato “Reat”, l’album postumo di Mika Vainio.

(Giosuè Impellizzeri)

© Riproduzione riservata

MAT101 – Goodbye Mum! (Balance)

MAT101 - Goodbye Mum!Roma, negli anni Novanta, è stata un crocevia per la musica elettronica, soprattutto quella dai tagli più avanguardistici. Il periodo dorato dei rave di inizio decennio (si legga l’articolo su Automatic Sound Unlimited con contributi di Max Durante) dà le giuste spinte per generare un fitto reticolo di realtà discografiche che rivelano grande intraprendenza e voglia di rompere gli stereotipi. I DJ/produttori della capitale hanno le idee chiare e materializzano le propensioni al nuovo attraverso numerose pubblicazioni (Sounds Never Seen, Plasmek, Mystic Records, Sysmo, X-Forces, Elex Records, Habitat, Eclectic, la più popolare ACV con le sublabel Hot Trax o Out Of Orbit, giusto per citarne alcune), snobbate dai circuiti generalisti ma meritevoli di essere ricordate per aver raggiunto particolari obiettivi.

In questo contesto si inseriscono i MAT101 (Mario Pierro, Francesco De Bellis ed Emiliano Tortora) che debuttano discograficamente nel 1997 con “eNiAc”, un EP dichiaratamente electro. «Circa un anno prima incontrai Emiliano in università e scoprendo il comune interesse per la musica elettronica decidemmo di vederci per suonare a casa sua, a Roma, usando la sua collezione di sintetizzatori vintage, il mio campionatore Akai ed un computer. Proprio durante queste session conobbi Francesco De Bellis e, attraverso lui, Marco Passarani a cui portò le registrazioni fatte a casa di Emiliano». A raccontare è Mario Pierro, che prosegue: «Dopo diversi rifiuti, la prima traccia ad essere pubblicata fu “Entereg”, racchiusa nella compilation “The Dark Side Of The Sword” sulla Plasmek di Andrea Benedetti. Ai tempi Andrea lavorava con Marco nella distribuzione discografica Finalfrontier, e fu proprio Marco a decidere di pubblicare il nostro EP su Nature, “eNiAc”. Scegliemmo di chiamarci MAT101 in modo abbastanza casuale e senza alcun particolare significato, se non un vago riferimento al Roland SH-101 che usavamo parecchio. Solo in seguito scoprii che MAT101 è il codice internazionale dell’esame di analisi matematica, corso grazie al quale incontrai Emiliano».

MAT101 - zilofvideo

Mario Pierro in un frame del video di “Zilof”, diretto da Cosimo Alemà nel 1997

La passione dei tre romani per un certo tipo di suono è autentica, viscerale e mai dettata da velleità commerciali, e ciò spiega il motivo per cui la loro attività discografica prosegua in modo piuttosto discontinuo. Nel 1999, anticipato dal singolo “Goblin 101”, esce l’album “Goodbye Mum!”, ancora saldamente ancorato all’electro (si sentano brani come “Danni Morali E Fisici”, “Level One” e “Crash Hero”) a cui ora si aggiungono melodie chiptune (“Zilof”, per cui viene realizzato un divertente videoclip diretto da Cosimo Alemà, “Arcade”) ed ambientazioni new wave (“Mennen”). «Dopo aver inciso “eNiAc” cominciammo ad usare in maniera stabile il mio “bedroom studio” allestito a casa dei miei genitori. Ci vedevamo un paio di volte alla settimana ed Emiliano portò parecchie delle sue macchine (tra le tante Korg MS-20, Roland TR-808 e Roland MC-202). Vivendo letteralmente nello studio avevo parecchio tempo a disposizione per poter sistemare il materiale registrato ma continuavo comunque a suonare come tastierista in diversi gruppi jazz-funk non collegati a MAT101 ed usando le mie macchine “professionali” anni Novanta come la Roland XP-50 e l’Akai S-950. Per registrare “Goodbye Mum!” attrezzammo uno studio nei locali della distribuzione Finalfrontier: disponevamo davvero di un mare di roba, Emiliano aveva per le mani addirittura uno Yamaha CS-80! C’erano così tante macchine che un giorno, tornando dalla pausa pranzo, trovammo tutti i synth bloccati su una singola nota generata forse da qualche contatto difettoso. Il pad che ne usciva fuori era bello e scurissimo, e fu così che nacque “Tecnologia Casuale” inclusa nel disco. Musicalmente eravamo parecchio influenzati da Warp e Rephlex, la vetta assoluta in quegli anni. Lavorando sulle tracce però cominciammo a riscoprire aspetti più personali, legati alla nostra infanzia e ai videogiochi – qualcosa che in un modo ci influenzava inconsapevolmente da sempre e che cercammo di rendere esplicito in “Goodbye Mum!” – dalla musica alla copertina su cui Infidel costruì un intero mondo. Credo che vendette circa 1000/1500 copie, anche se i numeri esatti li ricorda sicuramente meglio Marco Passarani. “Goodbye Mum” fu pubblicato addirittura da un’etichetta creata per l’occasione, la Balance, essendo una co-produzione tra la Plasmek di Andrea Benedetti e la Nature Records di Marco».

Lo stile dei MAT101, pur stazionando nelle classiche propulsioni meccaniche e cibernetiche dell’electro, si arricchisce di nuove sfumature e suggestioni che lo personalizzano. Nel 2000 è tempo dei remix di “Arcade” a firma ADULT., D’Arcangelo e De Lisio, nel 2002 “Haunted House” finisce in “Tangent 2002: Disco Nouveau” su Ghostly International, mentre “The Ambush” viene adottata dalla Viewlexx, ma del nuovo album si perdono le tracce. «In realtà non abbiamo mai smesso di produrre pezzi per MAT101. Quello che è uscito nel 2015 su Cyber Dance Records, “Archives 1999-2001”, è il famoso secondo disco che non avevamo mai avuto l’occasione di terminare. “Haunted House” fu realizzata per suonare intenzionalmente come un pezzo “cheap disco” italiano dei primi anni Ottanta, compresa la risata, mentre “The Ambush” lo firmammo MAT101 anche se praticamente era un pezzo dei Jollymusic ma non sapevamo ancora cosa sarebbe avvenuto da lì a breve. Dopo aver pubblicato “Goodbye Mum!” io e Francesco, insieme a Gianmarco Jandolo, cominciammo a lavorare in radio ogni sabato notte per il programma “Frequency” su Radio Città Futura. Fu un’esperienza bellissima, avevamo libertà pressoché totale di decidere la scaletta e fu così che tra i consueti mix electro/techno Francesco propose la rubrica “Il giro del mondo a 33 giri”, utilizzando delle cassette preparate a casa con dei blob di dischi di ogni genere provenienti dal mercatino di Porta Portese. Presto capimmo che quello, in combinazione con gli strumenti acustici ed elettronici, poteva essere l’inizio di qualcosa di musicalmente unico, e le allora nuove possibilità di fare “hard disk recording” direttamente nel sequencer ci aprirono le porte di un mondo totalmente nuovo. Così nacque il primo disco dei Jollymusic su Nature, che annoverava collaborazioni con tutti gli amici che al tempo passavano a trovarci durante le trasmissioni. Tra questi ricordo Luciano e Valerio Raimondi che ora escono come Odeon su Edizioni Mondo: la storia, insomma, continua ancora oggi».

A portare avanti Jollymusic però sono i soli Pierro e De Bellis. «Giá dal 1998 Emiliano iniziò a lavorare su quella che poi sarebbe diventata la sua agenzia di promozione concerti, la Grinding Halt, e dunque era interessato a cose diverse da quello che io e Francesco stavamo facendo. Dopo un breve ritorno con MAT101 nel 2009, quando facemmo una singola data al Dancity Festival in Umbria, oggi Emiliano suona con un gruppo chiamato The Hand».

Jollybar

La copertina di “Jollybar” dei Jollymusic. L’album viene pubblicato oltremanica dalla Illustrious (gruppo Sony)

Jollymusic è dunque una specie di sentiero parallelo a MAT101 che Pierro e De Bellis percorrono dal 2000, anno in cui il loro album “Jollybar” viene pubblicato nel Regno Unito dalla Illustrious, etichetta del gruppo Sony. Per il duo romano sembra prospettarsi un exploit mainstream, dopo gli inizi nell’underground più defilato. «In “Radio Jolly” usammo un vecchissimo apparecchio anni Cinquanta che è sempre stato a casa dei miei e che registrammo per fare l’intro. La Sony si accollò le spese del video ufficiale e all’inizio della clip compariva proprio quella radio. Grazie alla Sony abbiamo avuto la possibilità di aprire lo studio al Pigneto, che poi fu la base di tutto quello che successe dopo. Secondo me fummo davvero fortunati ad essere pagati visto che pochi anni più tardi avremmo assistito al crollo verticale della maggior parte delle major stesse».

Scandito da vari brani estratti in formato singolo come il citato “Radio Jolly”, remixato da ADULT., The Parallax Corporation & Alden Tyrell, Agent Sumo e West London Deep, e “Talco Uno”, interpretato da Erlend Øye dei Kings Of Convenience e in high rotation su MTV, “Jollybar” resta, ad oggi, l’unico album dei Jollymusic, proprio come avviene coi MAT101. «Nel 2013 Francesco ha fondato l’etichetta Edizioni Mondo che è la realizzazione definitiva della visione iniziale dei Jollymusic. L’album intitolato “I Semi Del Futuro” che ha firmato come L.U.C.A. è assolutamente incredibile ed unico, e a mio avviso definisce Jollymusic oggi. Ogni tanto abbiamo lavorato insieme su qualche pezzo, come ad esempio “Blue Marine” incluso in “Precipizio”, il primo del catalogo Edizioni Mondo».

Dall’estero gli apprezzamenti per la musica di Pierro e De Bellis non si fanno attendere, in Italia invece, almeno inizialmente, molti addetti ai lavori non sapevano nemmeno chi fossero, scoprendoli solo dopo la licenza inglese della Sony. Snobismo, poca attenzione nei riguardi della produzione interna e forti dosi di esterofilia non sono certamente gli ingredienti adatti per crescere. «Con Jollymusic facemmo promozione nel Regno Unito ottenendo riscontri molto buoni. Ricevemmo ottime reazioni, fin da subito, anche da una parte della stampa indipendente italiana. Oggi mi pare sia tutto così frammentato e low budget da non poter più parlare di “esterofilia”, ognuno ha il suo orto e lo coltiva, o forse in realtà è sempre stato così. Degli anni Novanta mi manca l’opera di filtro fatta dalle etichette discografiche indipendenti. Eri costretto ad accettare un rifiuto e riflettere sulla tua musica e su quello che volevi comunicare. Questo processo portava gli artisti a crescere prima di pubblicare qualcosa. Oggi il numero di like o la feature su qualche blog conosciuto non riescono a svolgere la stessa funzione. La quantità prima della qualità sposta inevitabilmente l’attenzione sulle macchine e il processo anziché sugli artisti e l’immaginazione. L’attenzione maniacale per il processo produttivo e per la catalogazione del passato secondo me nascondono in realtà il desiderio di riappropriarsi della spinta innovativa e libera dei grandi classici, il che è una contraddizione, ma in cambio ci sono possibilità tecniche impensabili venti anni fa. Per affrontare alcuni di questi problemi ho fondato, insieme ad alcuni amici, un collettivo artistico, Distant Future attraverso cui promuovere le nostre cose. Nel frattempo continuo a lavorare ad un album di ROTLA (acronimo di Raiders Of The Lost ARP) che uscirà prossimamente su Edizioni Mondo». (Giosuè Impellizzeri)

© Riproduzione riservata

Ivan Iusco e la Minus Habens Records: una rara anomalia italiana

Ivan_Iusco“Il Paese della pizza, pasta e mandolino” recita uno dei più vecchi luoghi comuni sull’Italia. Per certi versi è vero ma non bisogna dimenticare che più di qualcuno si è dato attivamente da fare per azzerare o almeno ridurre i soliti pregiudizi. Tra questi Ivan Iusco che alla fine degli anni Ottanta, appena diciassettenne, diventa produttore discografico e crea un’etichetta per musica completamente diversa da quella che il nostro mercato interno prediligeva. Un ribollire di elettronica intellettualista, ambient, dark, industrial, quella che qualche tempo dopo sarebbe stata raccolta sotto la dicitura IDM (acronimo di Intelligent Dance Music) o braindance. Questa era la Minus Habens dei primi anni di intrepida sperimentazione, di registrazioni su cassetta vendute per corrispondenza ed effettuate da artisti che quasi certamente qui da noi non avrebbero trovato molti discografici disposti ad incoraggiare e supportare la propria creatività. Se oltralpe l’IDM viene consacrato da realtà come Warp Records, Apollo, Rephlex e Planet Mu, in Italia la Minus Habens pare non temere rivali. Dalla sua sede a Bari, tra le città probabilmente meno adatte ad alimentare il mito della musica sperimentale, irradia a ritmo serrato la musica di un foltissimo roster artistico che annovera anche band statuarie come Front 242 e Front Line Assembly. Iusco poi nel 1992 vara una sublabel destinata ad incidere a fondo nel sottobosco produttivo dei tempi, la Disturbance, approdo per italiani “molto poco italiani” sul fronte stilistico (Doris Norton, X4U, The Kosmik Twins, Baby B, Monomorph, Astral Body, The Frustrated, Xyrex, Dynamic Wave, T.E.W., Iusco stesso nascosto dietro la sigla It) e lido altrettanto felice per esteri destinati a lasciare il segno, su tutti Aphex Twin, Speedy J ed Uwe Schmidt. I Minus Habens e i Disturbance di quegli anni rappresentano il lato oscuro dell’Italia elettronica, quella adorata e rispettata dagli appassionati e che si presta più che bene per la locuzione latina “nemo propheta in patria”. Nel corso del tempo nascono altri marchi (QBic Records, Lingua, Casaluna Productions, Noseless Records, Betaform Records) che servono a rimarcare nuove traiettorie inclini a trip hop, nu jazz, funk, downtempo e lounge in senso più ampio destinato alla cinematografia anche con episodi cantautorali a cui Minus Habens Records, ormai vicina al trentennale d’attività, ha legato stabilmente la sua immagine. Al contrario di quanto suggerisce il nome (i latini indicavano sarcasticamente minus habens chi fosse dotato di scarsa intelligenza), la label di Ivan Iusco «è rimasta in piedi per un arco di tempo incredibilmente lungo, in cui numerose altre esperienze discografiche indipendenti, anche prestigiose, sono nate, cresciute e decedute», come si legge nel libro “Minus Habens eXperYenZ” del 2012 curato da Alessandro Ludovico, co-fondatore insieme allo stesso Iusco della rivista Neural, magazine pubblicato per la prima volta a novembre 1993 e dedicato a realtà virtuali, tecnologia, fantascienza e musica elettronica. Un’altra di quelle atipiche quanto meravigliose anomalie italiane.

Come e quando scopri la musica elettronica?
La musica elettronica iniziò a sedurmi verso la metà degli anni Ottanta in un percorso che mi portò rapidamente dai Depeche Mode ai Kraftwerk verso i Tangerine Dream, mentre esploravo parallelamente territori più oscuri con l’ascolto di gruppi come Virgin Prunes, Christian Death e Bauhaus per arrivare alle sperimentazioni dei Current 93, Nurse With Wound, Coil, Laibach, Diamanda Galás, Einstürzende Neubauten, Steve Reich, Arvo Pärt, Salvatore Sciarrino e tantissimi altri. Galassie musicali che ho scandagliato a fondo ascoltando migliaia di produzioni sotterranee. Acquistai il mio primo synth all’età di sedici anni.

Come ti sei trasformato da appassionato in compositore?
Non ho mai considerato la musica una passione o un amore ma una ragione di vita, un’entità magica, indispensabile e salvifica. Quando da bambino ascoltai per la prima volta il tema della colonna sonora “Indagine Su Un Cittadino Al Di Sopra Di Ogni Sospetto” di Ennio Morricone rimasi letteralmente ipnotizzato. Avevo sei anni e quella musica scatenò un terremoto nella mia testa, infatti ricordo ancora con chiarezza dov’ero in quel momento e cosa indossavo. Sono anche certo che aver avuto una nonna pianista e compositrice, oggi 94enne, contribuì a porre la musica al centro di tutto.

La tua prima produzione fu “Big Mother In The Strain” dei Nightmare Lodge, inciso su cassetta nel 1987. Come fu realizzato quell’album?
Considero quel lavoro un’eruzione di idee nebulose, frutto della collaborazione con due amici: Beppe Mazzilli (voce) e Gianni Mantelli (basso elettrico). Non eravamo ancora maggiorenni ma intendevamo valicare barriere innanzitutto culturali. Il nostro approccio era piuttosto anarchico, pur essendo seriamente intenzionati a produrre qualcosa di concreto. Registrammo il nastro nell’estate del 1987 in un piccolissimo studio in una via malfamata di Bari. In quel locale c’era un registratore a quattro tracce, un microfono, due casse, un amplificatore e nient’altro, se non la foto della fidanzata tettona del fonico. Le registrazioni durarono una settimana. Noi portammo un sintetizzatore, un basso elettrico ed una serie di nostre sperimentazioni sonore su nastro effettuate nei mesi precedenti. Gli interventi vocali di Beppe furono registrati nella toilette dello studio, unico ambiente al riparo dal caos proveniente dalla strada. Pubblicai la cassetta nel dicembre del 1987, utilizzando per la prima volta il marchio Minus Habens, in una micro-edizione di cento copie vendute attraverso il passaparola ed una serie di annunci su fanzine specializzate, la via di mezzo fra gli attuali blog e i web magazine.

L’album dei Nightmare Lodge segna anche la nascita della Minus Habens Records, inizialmente una “ghost label” come tu stesso la definisci in questa intervista del marzo 1998. Come ti venne in mente di fondare un’etichetta discografica? Il nome si ispirava a qualcosa in particolare?
In primis l’obiettivo fu diffondere la mia musica ma subito dopo intuii la possibilità di far luce su alcuni artisti italiani e stranieri che meritavano decisamente più attenzione, così cominciai a pubblicare lavori inediti di Sigillum S, Gerstein e i primi album di Teho Teardo. I budget erano molto limitati: 500.000 lire per ogni pubblicazione su cassetta e circa 3.000.000 di lire per il vinile, denaro che agli inizi mi procurai attraverso piccoli prestiti e lavorando nello showroom di una nota clothing company europea. Ero così giovane da non potermi permettere una sede indipendente quindi trasformai una camera della casa dei miei genitori in “quartier generale”. Il nome Minus Habens per me rappresenta la condizione dell’uomo rispetto alla conoscenza: un orizzonte inarrivabile che lo rende eternamente affamato e che svela al tempo stesso l’immensità e forse l’irrilevanza di un percorso senza meta. Lo spazio incolmabile che separa l’uomo dalla conoscenza.

Minus Habens nasce a Bari, città che non compare su nessuna “mappa” quando si parla di un certo tipo di musica elettronica, e che non è neppure alimentata dal mito come Detroit, Chicago, Berlino o Londra. Come organizzasti il tuo lavoro lontano dai canonici punti nevralgici della discografia italiana, in un periodo in cui internet non esisteva ancora? Risiedere in Italia, e in particolare nel meridione, ha mai costituito un problema o impedimento?
Non saprei dire in che misura la mia città natale abbia contribuito al concepimento della Minus Habens. Sono quasi certo che il grande vuoto nell’ambito della musica elettronica offerto da Bari e più in generale dal meridione negli anni Ottanta mi aiutò a covare un sogno e ad avvertire fin da subito un senso di responsabilità, ponendomi davanti ad una missione molto ambiziosa: cambiare le cose. A quei tempi tutto era più lento e macchinoso, i rapporti di corrispondenza avvenivano solo e soltanto attraverso le poste. Giorni e giorni di attesa per il viaggio di lettere scritte a mano o a macchina e pacchi da e verso l’Italia e il mondo. Ma ne valeva la pena: tutto questo alimentava inconsapevolmente il desiderio. Scoprivo di volta in volta le musiche e l’identità di gruppi e musicisti da produrre attraverso cassette, DAT, minidisc, foto, flyer e fanzine che arrivavano con quei pacchi. Era una cultura che si consumava a fuoco lento. Ricordo però che già nei primi anni Novanta una rivista intitolò uno dei suoi articoli sulla nostra attività “Bari capitale cyberpunk!”. E comunque non sono stato il solo a muovermi con costanza e caparbietà da queste parti. Bari vanta infatti da trent’anni la presenza di uno dei più interessanti festival al mondo di musiche d’avanguardia, parlo di Time Zones che ha portato nella città nomi come David Sylvian, Philip Glass, Brian Eno, Steve Reich, Einstürzende Neubauten ed alcuni dei nostri: Paolo F. Bragaglia, Synusonde, Dati aka Elastic Society e i Gone di Ugo De Crescenzo e Leziero Rescigno (La Crus).

Le primissime pubblicazioni di Minus Habens erano solo su cassetta. Chi curò la distribuzione?
Nei primi due anni di attività mi affidai alla storica ADN di Milano, alla tedesca Cthulhu Records e ad alcuni store specializzati statunitensi. All’epoca occorreva avere dei radar al posto delle orecchie. Internet era agli albori mentre oggi siamo sommersi da dispositivi che ci permettono di accedere a qualsiasi informazione in tempo reale ed ovunque ci troviamo.

Nel 1989 inizi a pubblicare musica anche su vinile. Quante copie stampavi mediamente per ogni uscita? Quale era il target di riferimento?
Le prime pubblicazioni uscirono in tirature di 500/1000 copie, distribuite in Italia e nel mondo soprattutto da Contempo International, nota label e distribuzione di Firenze che vantava nel suo roster gruppi come Clock DVA e Pankow. Non ho mai avuto un’idea definitiva del nostro pubblico ma nel tempo ho constatato con piacere che i nostri clienti e sostenitori abbracciano fasce d’età e gruppi sociali sorprendentemente eterogenei.

Il catalogo di Minus Habens cresce con la musica di molti italiani (Sigillum S, Iugula-Thor, Red Sector A, Kebabträume, Pankow, Capricorni Pneumatici, Tam Quam Tabula Rasa, Brain Discipline, DsorDNE, Ultima Rota Carri) ma anche di esteri come Lagowski, Principia Audiomatica e persino miti dell’industrial e dell’EBM come Clock DVA, Front 242 e Front Line Assembly. Come riuscisti a metter su una squadra di questo tipo? Insomma, se tutto ciò fosse accaduto all’estero probabilmente Minus Habens oggi verrebbe paragonata a Warp, Rephlex o Apollo.
È avvenuto tutto molto gradualmente. Piccoli passi, giorno dopo giorno, fino ad arrivare a pubblicare album come quelli di Dive (Dirk Ivens) in 15/20mila copie o compilation come “Fractured Reality” con ospiti illustri tra cui Brian Eno, Depeche Mode, William Orbit, Laurent Garnier, Susumu Yokota e molti altri. Se la Minus Habens ti ha portato alla mente etichette come Warp, Rephlex o Apollo è perché in Italia non sono esistiti altri riferimenti di quel tipo, così la mia etichetta è diventata l’unico modello vagamente assimilabile a quelle realtà. È un’associazione ricorrente ma ci siamo distinti in modo inedito anche per aver raggiunto il cinema con numerose colonne sonore originali e pubblicazioni di artisti di rilievo come Angelo Badalamenti. Negli ultimi anni inoltre abbiamo avviato importanti collaborazioni nell’ambito dell’arte contemporanea tra le quali spiccano quelle con Cassandra Cronenberg e Miazbrothers.

Con quali finalità, nel 1992, crei la Disturbance?
L’idea seminale fu ibridare i suoni e le soluzioni concepite dai musicisti del circuito Minus Habens coi ritmi ipnotici della techno. Negli anni Novanta abbiamo pubblicato su Disturbance alcune decine di singoli in vinile con una discreta distribuzione internazionale in Germania, Francia, Benelux, Stati Uniti e Giappone.

Così come per Minus Habens, anche Disturbance vanta in catalogo gemme che meriterebbero di essere riscoperte, da Atomu Shinzo (Uwe Schmidt!) ai The Kosmik Twins (Francesco Zappalà e Biagio Lana), da Monomorph (i fratelli D’Arcangelo) ad altri estrosi italiani come Astral Body, Xyrex e Dynamic Wave. In termini di vendite, come funzionava questa musica? La costanza delle pubblicazioni mi lascia pensare che il mercato fosse vivo.
Significava insediarsi in un mercato fortemente influenzato da mode e tendenze. Ciononostante abbiamo raggiunto buoni risultati anche in quell’ambito. Ricordo che Mr. C degli Shamen e Miss Kittin suonavano spesso le nostre produzioni, mentre per una festa a Milano in occasione del Fornarina Urban Beauty Show coinvolgemmo Timo Maas ed Ellen Allen. Col marchio Disturbance abbiamo creato un repertorio davvero interessante con un’attenzione particolare al made in Italy.

Chi, tra i DJ, giornalisti e critici italiani, seguiva con più attenzione le tue etichette?
I giornalisti storici della stampa musicale italiana ci hanno sempre seguito con molto interesse: Vittore Baroni, Aldo Chimenti, Nicola Catalano, Luca De Gennaro, Paolo Bertoni e tanti altri. Fortunatamente negli anni abbiamo goduto della stessa attenzione anche da parte di numerosi giornalisti stranieri.

Hai mai investito del denaro in promozione?
Investiamo in promozione fin dagli esordi, anche se dal 1987 ad oggi abbiamo adeguato le nostre strategie al mutare dei media. Non ho mai pagato recensioni però, e dubito che esistano riviste che operano in questo modo e comunque lo troverei eticamente scorretto.

A proposito di riviste, nel 1993 hai fondato Neural con Alessandro Ludovico. Come nacque l’idea di creare un magazine con quel taglio avanguardista?
Anche nel caso di Neural cercammo di creare una pubblicazione che potesse rompere il silenzio editoriale in territori culturali che ci interessavano da vicino: tecnologie innovative come la realtà virtuale, hacktivism, new media art e musica d’avanguardia naturalmente. I primi numeri di Neural furono pubblicati in poche migliaia di copie diffuse da un distributore torinese, successivamente la rivista svegliò l’interesse dell’editore dello storico mensile Rockerilla e così, in seguito ad un accordo di licenza, Neural uscì in una tiratura di 15.000 copie distribuite nelle edicole italiane. Questa diffusione capillare catturò un pubblico ben più vasto ma dopo due anni la crisi dell’intero settore ci costrinse a scegliere un distributore alternativo. Atterrammo così nella catena Feltrinelli. Neural da allora, grazie all’impegno di Alessandro, non si è mai fermata. Esce tutt’oggi in versione cartacea ma si avvale anche di un sito costantemente aggiornato che offre ulteriori contenuti.

Recentemente ho letto questo articolo in cui si parla della scomparsa del pubblico delle recensioni. La diffusione e la democratizzazione di internet ha, in un certo senso, tolto valore ed autorevolezza a chi parla criticamente di musica? Insomma, così come proliferano i “produttori” pare nascano come funghi anche i “giornalisti”. Cosa pensi in merito?
Come per la musica e l’arte in genere, anche il giornalismo si manifesta attraverso la voce di autori che possono essere più o meno dotati di talento e capacità. Quando si leggono articoli deboli, senza fondamenta, noiosi e a volte dannosi, diventa difficile arrivare fino in fondo. Penso semplicemente che la curiosità culturale dei fruitori crei nel tempo gli strumenti necessari per scremare il meglio in ogni ambito.

Tra il 1993 e il 1997 su Disturbance compaiono i quattro volumi di “Outer Space Communications”, compilation che annoverano nomi come Nervous Project (Holger Wick, artefice della serie in dvd Slices per Electronic Beats), il citato Uwe Schmidt (come Atomu Shinzo e Coeur Atomique), la prodigiosa Doris Norton, Pro-Pulse (Cirillo e Pierluigi Melato), i QMen (i futuri Retina.it) Speedy J, Planet Love (Marco Repetto, ex Grauzone), Exquisite Corpse (Robbert Heynen dei Psychick Warriors Ov Gaia), i romani T.E.W., Le Forbici Di Manitù e persino Richard D. James travestito da Caustic Window (con “The Garden Of Linmiri”, finito nello spot della Pirelli con Carl Lewis) e da Polygon Window. Insomma, una manna per chi ama l’elettronica ad ampio raggio.
Fu l’apice di un enorme lavoro di relazioni e networking. In quel periodo nacque anche un bel rapporto di collaborazione e stima reciproca con Rob Mitchell (RIP), co-fondatore della Warp Records. Vista la mole dei brani contenuti e l’importanza degli artisti che vi presero parte, i quattro volumi della serie diventarono immediatamente oggetti da collezione. Le compilation includevano uno spaccato del roster Disturbance affiancato da grandi artisti della scena elettronica internazionale. All’interno dei booklet inserivamo anche piccoli riferimenti a culture nascenti o comunque underground come la realtà virtuale, la robotica, il cybersex, i rituali, le brain-machines e la crionica.

Come entrasti in contatto con gli artisti sopraccitati? Usavi già le comunicazioni via internet?
Il primo indirizzo email di Minus Habens risale al 1993, in quegli anni eravamo in pochissimi ad utilizzare internet mentre il fax raggiunse la sua massima diffusione. Abbiamo sempre adoperato qualsiasi mezzo di comunicazione pur di raggiungere i nostri interlocutori.

Nell’advertising di Minus Habens apparso sul primo numero di Neural si anticipavano alcuni nomi del secondo volume di “Outer Space Communications” tra cui Biosphere che però in tracklist non c’era. Cosa accadde? La presenza di Geir Jenssen era prevista ma qualcosa non andò per il verso giusto?
Quando richiesi la licenza di pubblicazione del brano “Novelty Waves” di Biosphere l’etichetta mi rispose che era stato appena dato in esclusiva ad una nota agenzia pubblicitaria internazionale per essere utilizzato come colonna sonora dello spot dei jeans Levi’s (in Italia il pezzo verrà poi licenziato dalla Downtown, etichetta della bresciana Time Records, nda).

A metà degli anni Novanta Disturbance accoglie Nebula (Elvio Trampus), che si piazza in posizione intermedia tra techno e trance, connubio che viene battuto pure dalla QBic Records, rimasta in attività per soli tre anni, dal 1996 al 1999. Come ricordi quel periodo in cui un certo tipo di musica iniziò il processo di “mainstreamizzazione”?
Non essendo il mainstream uno dei nostri obiettivi, non abbiamo mai inseguito il fantasma del successo. I risultati sono giunti soprattutto grazie alla costanza, alla continua ricerca ed alla qualità delle pubblicazioni. Più di una volta i brani del catalogo Disturbance sono arrivati ai primi posti di classifiche dance italiane (come quella della storica Radio Italia Network) e straniere, mentre le produzioni Minus Habens hanno trovato terreno fertile in ambito cinematografico (in numerosi film con distribuzione nazionale) e televisivo (in trasmissioni come Le Iene, Report, Target e tante altre). Inoltre abbiamo partecipato a decine di festival e proprio quest’anno il trio Il Guaio, del nostro marchio Lingua, è stato candidato alle selezioni ufficiali di Sanremo.

Nei primi anni Duemila, proprio dopo gli ultimi lavori di Nebula, Disturbance vira radicalmente direzione e registro, passando al downtempo, al trip hop e al future jazz, facendo l’occhiolino alla Compost Records di Michael Reinboth. Forse l’elettronica con derive dance o sperimentali ti aveva stancato?
Come ben sai credo profondamente nell’evoluzione e nella diversità della musica e dei suoni. All’inizio del nuovo millennio la techno e la drum’n’bass raggiunsero il loro picco evolutivo terminando in un cul-de-sac. Successivamente sono emerse nuove declinazioni come la minimal techno o il dubstep ma nulla di radicalmente innovativo. Ecco il motivo per cui ho sentito la necessità di proseguire verso altre direzioni creando un incubatore in cui abbiamo sviluppato progetti musicali come Pilot Jazou, Gone, Dati, Appetizer o la più recente collaborazione fra il producer Andrea Rucci e il pianista jazz Alessandro Galati. Le produzioni musicali più interessanti emerse in questi primi quindici del nuovo millennio sono il frutto di incontri e collaborazioni di musicisti con esperienze negli ambiti più diversi, e pare che l’elettronica sia diventata il tessuto connettivo privilegiato.

La tua collaborazione con Sergio Rubini comincia proprio in quel periodo, lavorando alle colonne sonore di suoi film come “L’Anima Gemella” e “L’Amore Ritorna”. Come nacquero tali sinergie?
Incontrai Sergio una sera in un bar. Grazie a quell’incontro casuale nacque il nostro rapporto lavorativo che si concretizzò prima con la composizione del tema principale del film “L’Anima Gemella” e successivamente con la colonna sonora del film “L’Amore Ritorna”, le musiche addizionali di “Colpo D’Occhio”, fino al suo progetto filmico “6 Sull’Autobus” in collaborazione con sei giovani registi e prodotto dall’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Facendo qualche passo indietro, prima della collaborazione con Rubini, fui chiamato dal regista Alessandro Piva che mi commissionò le musiche dei film “LaCapaGira” (1999) e “Mio Cognato” (2003) con cui iniziai a raggiungere un pubblico più ampio anche grazie all’ottenimento di alcuni premi in Italia e all’estero.

Qualche sprazzo di dance elettronica torna a farsi sentire su Minus Habens tra 2005 e 2007, quando pubblichi anche una compilation di Alex Neri. Si rivelò solo una toccata e fuga però. Avevi già preso la decisione di dedicarti ad altro?
In quel periodo Minus Habens fu scelta dal festival Elettrowave (sezione elettronica di Arezzowave) per pubblicare le loro compilation ufficiali. Mi occupai personalmente della selezione degli artisti presenti nei diversi album. Considerando gli ospiti del festival, ebbi il piacere di ospitare grandi nomi fra cui Cassius, Modeselektor, Kalabrese, Stereo Total, Cassy, Mike Shannon, Zombie Zombie e molti altri. La musica elettronica è sempre stato il filo rosso della mia ricerca. È un universo dalle infinite possibilità e la missione della Minus Habens è quella di esplorarlo.

Il 2017 segnerà il trentennale di attività per Minus Habens Records. Avresti mai immaginato, nel 1987, di poter tagliare un così ambizioso traguardo?
È un sogno che si avvera, pur non avendolo mai immaginato come un traguardo.

Nel corso degli anni hai mai pensato di mollare tutto e dedicarti ad altro?
No, immagino da sempre le evoluzioni possibili della nostra attività cercando di incarnare soltanto le più ambiziose.

La sede è ancora in via Giustino Fortunato, nel capoluogo pugliese?
La sede e lo studio sono ancora a Bari anche se rispettivamente in zone diverse della città, ma proprio quest’anno abbiamo posto le basi per alcuni grandi cambiamenti.

Stai pensando già a qualcosa per festeggiare e celebrare i trent’anni di Minus Habens?
Stiamo lavorando ad un progetto che sta prendendo forma in queste settimane di cui però sarebbe prematuro parlarne adesso. Ci sono ancora troppi aspetti da sviscerare. Sarà una forma di condivisione celebrativa volta ad amplificare il concetto di collaborazione e di network. Naturalmente coinvolgeremo anche i musicisti che si sono uniti all’etichetta negli ultimi tempi come Andrea Senatore, Christian Rainer e Il Guaio.

Come vorresti che fosse ricordata la tua etichetta e la tua attività artistica, tra qualche decennio?
Sarebbe già davvero tanto se tutto questo fosse ricordato nel tempo. In fondo il libro Minus Habens eXperYenZ di 224 pagine pubblicato nel 2012 in occasione del venticinquesimo anniversario dell’etichetta ambiva proprio a questo: documentare, o come afferma nello stesso libro Dino Lupelli – fondatore di Elettrowave ed Elita Festival – “produrre per non dimenticare” le esperienze multiformi di un laboratorio che ha portato alla luce inusuali sperimentatori. Un’avventura alla ricerca di territori musicali inesplorati.

(Giosuè Impellizzeri)

© Riproduzione riservata

Questo slideshow richiede JavaScript.