Discommenti (febbraio 2024)

Slowaxx - Shapes Interfusion

Slowaxx – Shapes Interfusion (Broken District)
Si tratta del primo album che Riccardo Chiarucci ha realizzato combinando parti registrate in studio a sessioni live condivise con vari musicisti. Il lavoro è pervaso da atmosfere in perenne bilico tra funk, acid jazz, abstract e broken beat, con punte di straordinaria vitalità e virtuosismi (si senta “Pantere Rosee”, dove le improvvisazioni generano un percorso un filo cervellotico ma decisamente d’impatto). Il featuring del rapper Young A.M.A. decora “Y.B.A” e “No Secret”, costruite tenendo bene a mente l’estetica e il piglio compositivo che marchiò a fuoco etichette come Mo Wax e Talkin’ Loud, “Emoyeni” mette in loop meccanico il rhodes suonato da Luca Sguera, “Femmes” si cala in un mood lounge, ma Chiarucci si supera con “Stazione Funk”, col telaio ritmico ridotto all’osso sul quale si innestano a stantuffo irresistibili pistonate boogie. Il risultato lascia immaginare un’ipotetica jam session tra George Clinton e James Lavelle a indicare la strada di possibili nuove collisioni musicali.

Jimy K - She's Gone Away

Jimy K. – She’s Gone Away (Bordello A Parigi/Giorgio Records)
Diversi mesi fa Massimo Portoghese della barese Giorgio Records ne preannunciò l’uscita proprio attraverso le pagine di questo blog (si legga Discommenti di settembre 2023): a essere riportato in superficie dal buio dell’oblio in cui era piombato è “She’s Gone Away”, un pezzo italo disco prodotto nel 1984 da Rodolfo Grieco e scritto insieme a Naimy Hackett. Uscito ai tempi su Eyes, ora si ripresenta su un 12″ stampato in tandem dalla citata Giorgio Records e l’olandese Bordello A Parigi che, oltre alla Vocal 12″ Version e all’Instrumental 12″ Version, vogliono pure la Vocal 7″ Version, quarant’anni fa destinata alla versione 45 giri. Tutte sono state restaurate dai nastri originali da Tommy Cavalieri presso il Sorriso Studio di Bari. Particolarmente ambito dai collezionisti (nel 2023, attraverso il marketplace di Discogs, è stato venduto per 250 €), “She’s Gone Away” torna dunque a pulsare di vita coi suoi tagli oscuri, orli frastagliati funkeggianti e l’alternanza vocale maschile/femminile.

Ten Lardell - Anterspace 03

Ten Lardell – Anterspace 03 (Anterspace)
Dal 2022 Ten Lardell è apparso sul mercato con la sua pseudo etichetta, l’Anterspace, e dischi simili a white label promozionali. Nessuna info aggiuntiva oltre al numero di catalogo e titoli delle tracce, un’essenzialità tipica di chi è fermamente convinto che la musica sia sufficiente a trasmettere il proprio messaggio. Anche a questo giro il misterioso artista mantiene intatta la comunicazione con una techno/electro di matrice tipicamente drexciyana e di red planetiana memoria, basta poggiare la puntina su “The Far Moog Sector” o “Black Gaze” per capire quali siano i suoi riferimenti. Contorsioni acquatiche sorrette da accordi che squarciano le tenebre si ritrovano pure in “Vibranium Prt 1” mentre “Year 6900” lascia scorrere immagini distopiche di città rase al suolo da orde di robot ribelli. Ma chi opera dietro Ten Lardell? Un giovane talento appassionato o un veterano esperto che gioca a nascondino? Le ipotesi, al momento, restano tutte aperte.

l'oggetto - Musica Da Discoteca Vol.3

l’oggetto – Musica Da Discoteca Vol.3 (MKDF Records)
È tempo del terzo (e pare ultimo) volume per Marco Scozzaro, artista multidisciplinare italiano di stanza nella Grande Mela che dal 2021 veste i panni de l’oggetto, scritto rigorosamente senza maiuscole. L’intento resta quello di trovare un’identità ben definita esplorando e tributando la vicendevole contaminazione che riguardò la house music in un ping pong continuo di influenze tra Chicago, Detroit, New York e… la riviera adriatica italiana. “Aquatico” si muove sotto il pelo dell’acqua, incrociando pesci e vegetazione marina in un caleidoscopio di colori, “Fluido” mette in relazione nervosismi ritmici con rassicuranti pad e sinuose arcature filo acide per un risultato che gioca con perizia sui contrasti, “DeepOrg” solletica l’ascolto con pennellate chiare su fondo scuro, “AltVers” tira il sipario con una serie di soluzioni che sembrano uscire dal catalogo Irma o MBG International Records. Il tutto a 120 bpm, le pulsazioni di un sogno sincronizzato sulla musica della discoteca di un tempo che fu.

The Exaltics - Das Heise Experiment - The Remixes

The Exaltics – Das Heise Experiment – The Remixes (Solar One Music)
Escono su vinile arancione marmorizzato quattro remix di altrettanti brani tratti dall’album “Das Heise Experiment” che The Exaltics pubblicò nel 2013 sulla britannica Abstract Acid. “Dreizehn” diventa “Dreizehn Habits” e rivive per mano degli ADULT. in un trattamento che ripialla la materia ritmica e la interfaccia a rigonfiamenti new wave, “Sieben” viene riletta da Gesloten Cirkel (l’unico remixer qui a non essere nativo di Detroit) in un moto sussultorio con darkismi funerei, “Acht” è ciberneticizzata da K1 (Keith Tucker) e per finire “Zwoelf” rimodulata da Arpanet arpionando atmosfere ambientali e geometrismi post kraftwerkiani. Dedicato ai collezionisti è invece il box set pensato per celebrare il decennale dell’album che contiene, oltre ai remix sopra descritti, la riedizione dell’album stesso in colore bianco, un 7″, un CD, una cassetta, una collection di file, un fumetto, un poster e degli adesivi. Appena cento le copie, già sold out ovviamente.

Dopplereffekt - Infinite Tetraspace

Dopplereffekt – Infinite Tetraspace (Curtis Electronix)
Trincerato dietro Rudolf Klorzeiger, Gerald Donald torna ad animare uno dei progetti più apicali della sua carriera, Dopplereffekt, pietra angolare dell’electro dell’ultimo trentennio, affiancato per l’occasione dalla moglie Michaela To-Nhan Barthel e da una certa Beatrice Ottman. Il disco è diviso idealmente in due sezioni: la prima si muove su materie ritmiche con “Programmable Organism” ed “Entity From Tetraspace”, segnate da riverberi metallici, striscianti bassline, effetti che salgono e scendono a spirale, arpeggi velenosi e un brillante impasto cromatico; la seconda invece si tuffa nelle ambientalizzazioni attraverso “Tachyon Intelligence”, un sogno-incubo, e “Computronium”, immersa in un’atmosfera pensosa e fantascientifica. A pubblicare il 12″ è un’etichetta italiana, la barese Curtis Electronix, che negli ultimi anni si è fatta notare in primis per le produzioni di CEM3340 ma ospitando pure diverse incursioni estere di artisti come Detroit’s Filthiest, Galaxian e DJ Overdose.

Global Goon - Nanoclusters

Global Goon – Nanoclusters (Central Processing Unit)
Sebbene non sia proprio recentissimo, questo mini album che Jonathan Taylor firma col suo moniker più noto non merita affatto di passare inosservato nel diluvio quotidiano di nuove pubblicazioni. L’artista britannico si diverte a flirtare con più riferimenti stilistici, come del resto faceva già negli anni Novanta nelle prime apparizioni su Rephlex. In “Nanoclusters” regna un pulsare dinamico di emozioni, ora rivelate da scuffiate sintetiche (“Khroxic Mould”), poi da irradiamenti dark (“Metallik”), varchi armonici malinconici (“Syntheseers”, “Digit Six”, l’eccelsa “Calcula” che lascia dietro una scia cosmica siderale) e pure sapienti lavori sui filtri che sottolineano i movimenti arcuati dei suoni (“Metro Esc”). Non manca il volo nel freestyle agghindato di funky (“Snapterisk”) e persino un’escursione in madide ruderie in botta hardcore (“Metal Glass”), dalle cadenze ritmiche più accentuate.

Various - You Can Trust A Man With A Moustache Vol. 5

Various – You Can Trust A Man With A Moustache Vol. 5 (Moustache Records)
Analogamente a quanto avvenuto col Vol. 4 del 2022, anche questo quinto atto della serie “You Can Trust A Man With A Moustache” sta destando attenzioni così forti da mandare in sold out la tiratura di 500 copie a pochi giorni dall’uscita e, conseguentemente, alimentare le speculazioni da parte dei venditori privati. Difficile poi capirne poi il perché visto che si tratta di un various dignitoso ma privo di particolari slanci da renderlo un must have. Dentro c’è l’italo disco 2.0 di Tending Tropic (“Hondebrok”), l’electro house che Cafius ha scolpito riciclando il riff di un classico eurodance dei Le Click (“Tonight Is The Night”), la post EBM degli Im Kellar (“Not To Be Compromised”) e per finire una versione sotto steroidi che Adrian Marth ricava dall’eurodisco (“Icon Of The Night”). Un 12″ senza infamia e senza lode, che pare uscito dagli anni che seguirono il boom electroclash.

The Hacker - No Senor

The Hacker – No Señor (Italo Moderni)
Michel Amato non ha mai fatto mistero della sua viscerale passione per la new wave e l’industrial più oscure e tenebrose parimenti a tutta la scuola EBM, e questo disco, uscito da poco sull’iberica Italo Moderni, ne è ulteriore testimonianza. “No Señor” ripesca a piene mani dal campionario di Liaisons Dangereuses, Cabaret Voltaire, No More, Front 242, D.A.F. e soprattutto Nitzer Ebb (mettete su “Let Your Body Learn” e magari provate a mixarli insieme) e l’effetto viene ulteriormente riverberato nel remix di Terence Fixmer, un altro che in tempi non sospetti rimise mano a tutto quel repertorio declinandolo in chiave technoide e ottenendo quella che fu ribattezzata TBM (techno body music). A completare il quadro le due parti di “Me & My Sequencer”: la prima con l’aggiunta di tocchi di matrice dopplereffektiana, la seconda con un piglio ancora più militaresco con vampate di spippolamenti analogici.

Abyssy - Extra Meta

Abyssy – Extra Meta (New Interplanetary Melodies)
È un progetto decisamente sostanzioso quello messo in piedi da Andrea ‘Mayo Soulomon’ Salomoni che torna sull’etichetta fiorentina di Simona Faraone (intervistata qui) con un album, in uscita il 22 febbraio, a cui si aggiungerà un EP il 14 marzo. Mediante un ricco armamentario fatto di intramontabili cimeli che, alla stregua dei migliori whisky, più invecchiano e più diventano ambiti (dai classici Roland – MC-202, TR-808, TR-909, Juno-60 – a Yamaha DX100 passando per Korg MS-10 ed E-mu SP 1200), il compositore bolognese colloca le sue opere in scansioni ritmico-armoniche non convenzionali e si lancia a capofitto in un’avventura che muove più corde dei suoi gusti e sensibilità. Si fluttua su materie gassose e ritmi destrutturati (“Samba Temperado”, “Quantum”, “Vectrex”) ma poi si torna coi piedi per terra per marciare insieme a grovigli di ricordi chicagoani (“Mars Trax”, “Acid Rio”, “A Mixed Feeling”) e poi attivare la connessione con la rivisitazione di stilemi italo disco (“Italodoppler”) ma con l’aggiunta di elementi onirici. Nell’EP Salomoni infonde altre tangibili prove del suo talento, prima disegnando arazzi kraut di göttschinghiana memoria (“Busy Line”, “C3C6”, un possibile omaggio al monolitico “E2-E4”?) e poi rituffandosi nelle atmosfere soleggiate e ridenti di un suono meticcio tra house e italo disco (“Lower Milky Way”). A tutto questo si sommano quattro ulteriori tracce destinate al solo formato digitale, “Supernova”, “Ordinateur Numerique”, “Choices” e “Drumatic”, tra iniezioni di theme music, divagazioni low-fi, esplorazioni ambientali issate su scheletri ritmici e misteriosi tam tam che rompono il silenzio delle oscurità spaziali.

Innershades - Explorer EP

Innershades – Explorer EP (Altered Circuits)
Terza apparizione su Altered Circuits per Thomas Blanckaert che in questo extended play continua a spingere verso l’alto una techno frammista a preponderanti elementi electro. I riferimenti a Detroit si palesano proprio nella title track, “Explorer”, un susseguirsi di lanci melodici e cortine fumogene filo acid su una rete ritmica in sincopi. L’aderenza allo stile della Città dei Motori si rende ancora più evidente in “Aquaculture”, un incrocio tra il primo Atkins su Metroplex e il suono acquatico dei Drexciya e il titolo, in tal senso, non lascerebbe adito ad alcun dubbio. Dallo stesso ceppo il prolifico produttore belga ricava pure “Super 6” e “Unknown Depths”, ulteriori slanci verso quel suono che, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, ha fatto sognare un’intera generazione facendole sentire l’accelerazione del futuro ben prima dell’arrivo di internet, degli smartphone o dell’intelligenza artificiale.

(Giosuè Impellizzeri)

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Discommenti (maggio 2023)

Intergalactic Gary

Intergalactic Gary – Industrial Models (Viewlexx)
Per l’etichetta di I-f, gli ultimi anni sono trascorsi sotto il segno del ritrovato legame con le tinte gotiche e industriali che in questo caso vedono come protagonista John Scheffer alias Intergalactic Gary, DJ dalla poderosa preparazione e partner in crime proprio di I-f in act come The Parallax Corporation e The Conservatives che, nei primi anni Duemila, ridisegnarono le traiettorie italo disco in una salsa più scura. Non particolarmente prolifico sotto il profilo compositivo, Scheffer assembla quattro tracce che scrutano nelle tenebre contraddistinte da distorsioni e subitanee variazioni ritmiche. “Industrial Model” è la più appetibile per la pista, il resto si contorce sotto la spinta di pistoni e bracci idraulici che provocano scintille (“The ELKA Experiment”, “Remodel”) sino alla funerea “Elements And Space”. La colonna sonora di uno scenario distopico, con giganteschi poli industriali abbandonati sotto un cielo plumbeo carico di pioggia. Per certi versi, la musica più adatta ai tempi bui che viviamo.

Let's Go Into Space 7

Various – Let’s Go Into Space 7 (Private Records)
Settimo atto per la compilation tematica promossa da Private Records, tra le “etichette di salvataggio” più attive e propositive nell’ultimo decennio circa. Per l’occasione il fondatore/curatore Janis Nowacki mette insieme otto pezzi tratti dall’archivio della cecoslovacca Supraphon: filo conduttore, oltre al genere musicale, tendenzialmente synth disco, è l’ardua reperibilità sul mercato dell’usato. «Materiale che non ha nulla da invidiare all’italo disco in termini di rarità e valore collezionistico» afferma con sicurezza Nowacki, invitando a sincerarsi delle quotazioni su Discogs, fatta eccezione giusto per una manciata di titoli abbordabili a costi irrisori. Da “Digi – Digi” delle Filigrán, una specie di risposta cecoslovacca alle Flirts di Bobby Orlando, a “Jupiter” di Odysseus, da “Módní-Líbezná” di Magda Malá e Allegro a “Kolik Týdnů Ještě Zbývá” e “Báječně Spát” di Kamila Olšaníková & Sirius, da “Hodili Mě Do Vody” dei Maximum Petra Hanniga a “Den Co Den” di Arnošt Pátek per finire su “Diskotango” di Arašid. Una collection di pregio per i collezionisti, con qualche inevitabile deriva kitsch, ma che con molta probabilità è destinata a diventare a sua volta una rarità anche in virtù della tiratura limitata alle 500 copie.

Gina Breeze

Gina Breeze Ft. Ted Rogers – Freak (DJ Hell Queer Rave Retouch 2023) (The DJ Hell Experience)
Originariamente pubblicata nel 2020 sulla Me Me Me (era in “Live For Love”), “Freak” rivive in una versione di Hell che inietta energia nei circuiti ritmici e spinge verso sponde techno EBM con un imprinting abrasivo e graffiante che fa il verso a quello del Fixmer di inizio carriera che proprio Hell supportò dal 1999 in avanti. Un buon punto a vantaggio della DJ britannica di stanza a Manchester, new entry per The DJ Hell Experience, l’etichetta che il noto DJ tedesco ha lanciato pochi anni fa e che sembra aver preso definitivamente il posto dell’indimenticata International DeeJay Gigolo, inattiva ormai dal 2019.

Italcimenti

Italcimenti – Under Construction (Bosconi Records)
Un album che proprio nuovo non è visto che risale al 2005, quando viene pubblicato solo in formato CD. Diciotto anni più tardi ci pensa la fiorentina Bosconi Records a solcare l’LP di Maurizio Dami e Lapo Lombardi per l’occasione nascosti dietro lo pseudonimo Italcimenti, ironica parodia di Italcementi con trasformazione annessa dei due musicisti in operai con tanto di pala e piccone, intenti a prendere la vecchia italo disco e strapazzarla aggiornandola coi suoni dell’electro house che a metà anni Duemila vive il suo momento dorato. Tanti i pezzi racchiusi all’interno, tutti opportunamente rimasterizzati da Niccolò Caldini del suo Tea Room Mastering, da “Trigger Happy”, rigato da melodie cinematografiche, a “Disco Tamarro”, ancorato a un mood squisitamente pfunk, dal sinuoso “Bencio” (in circolazione dal 2004, si veda la raccolta “Pop Fiction” sulla francese Hot Banana di Kiko) a “Bela Lugosi Is Dead”, cover synth technoide del classico dei Bauhaus sino a “Like A Dreamer”, una sorta di take della pietra miliare che Dami realizza nel 1983 come Alexander Robotnick, “Problèmes D’Amour”, di cui parliamo approfonditamente qui. All’appello rispondono pure due inediti, l’Italo Club Mix di “Beyond The Mind” (l’unico che vide luce su 12″ nel 2005), e “Somewhat You Need” che i più attenti però conoscono già visto che su YouTube, dal 2008, c’è un divertente videoclip home made che a oggi conta più di cinquantamila visualizzazioni.

Speakwave

Speakwave – Cartographic Venture (Bordello A Parigi)
L’artista originario di Strasburgo affida alla prolifica Bordello A Parigi questo EP con cui rimaterializza l’alter ego Speakwave. Nel complesso pare una summa delle declinazioni stilistiche che il francese convoglia, da ormai un ventennio a questa parte, nei suoi due progetti, il più noto Dynarec, ricco di influssi e diramazioni drexciyani, e Chris Kalera, attraverso il quale dà sfogo alla passione per l’electro pop in stile Pet Shop Boys, band di cui è accanito fan. Questo lo capiamo subito da “Coming On Monday” con una sezione vocale, da lui stesso interpretata, che suona come chiaro omaggio a Neil Tennant. “Exposition To Revolution” si lancia a capofitto in atmosfere incantate mentre “Cartographic Venture” galleggia su un materasso di nuvole e fioriture melodiche poi sospinte sui declivi stereofonici di un sogno scandito da interventi vocali che un po’ ricordano “Konfektion” di Heckmann ed Henze.

Art P

Art P/Die Synthetische Republik – Genscher Pull ‘N’ Push/Der Böse Osten (The Outer Edge)
La retromania teorizzata da Simon Reynolds nell’omonimo libro del 2011 è ormai diventata parte integrante del nostro presente, basti pensare al retro marketing attraverso il quale un numero crescente di aziende fa leva sul passato e sulla nostalgia per catturare l’attenzione del pubblico. In questo momento storico il passato offre un’idea di certezza che controbilancia con efficacia le tante incognite del presente, tra pandemia, crisi economica, conflitti bellici e preoccupanti cambiamenti climatici. L’ambito discografico, nello specifico, ha registrato un aumento esponenziale delle realtà interamente dedite al recupero di materiale vintage, edito e non, e nel 2022 alla lista si è aggiunta la berlinese The Outer Edge, diretta da DJ Scientist, che per l’occasione torna a riabilitare la musica degli Art P dopo “No Message” dello scorso autunno. Creato a Brema nel 1982 dall’incontro tra Jens-Markus Wegener e Frank Grotelüschen, il progetto resta confinato per ben quarant’anni in nastri di cassette autoprodotte su una pseudo etichetta, la P.A.P., acronimo di Programming Art Productions. Ora è giunto il tempo di una diffusione maggiore e soprattutto non più legata ai confini geografici, difficilmente valicabili ai tempi in assenza di una casa discografica ben organizzata. Sul 12″ finiscono “Genscher Pull ‘N’ Push”, registrato nell’ottobre ’82 e contenente un testo politico rivolto ad Hans-Dietrich Genscher, allora ministro federale degli affari esteri della Germania Ovest, una versione remix di “Polaroid” ritoccata dal citato Scientist e “Der Böse Osten” di Die Synthetische Republik (Wegener e Olav Neander), recuperata da un nastro del 1984. Nelle note introduttive la Outer Edge parla di proto techno ma fondamentalmente si tratta di minimal synth, «un filone apparentemente inesauribile di elettronica do-it-yourself dei primi anni Ottanta, low budget e di norma pubblicata in proprio spesso solo su cassetta, da gruppi che sarebbero diventati i Depeche Mode o i Soft Cell se fossero stati capaci di scrivere una canzone, oppure cloni dei Suicide, DAF e Fad Gadget» come descrive Reynolds nel sopraccitato libro. Vista la presenza di testi in tedesco, appare sensato parlare più di Neue Deutsche Welle che di techno. In un futuro non lontano potremmo forse aspettarci i reissue di Dual Frequency, Eiskalte Engel, Die Hornissen o Partner Eins?

Giano Electronics Vol. 1

Various – Giano Electronics Vol. 1 (Giano Electronics)
Partenza esaltante per la romana Giano Electronics che mette nero su bianco le sue intenzioni con un ricco extended play composto da cinque tracce. T/Error sfodera beat taglienti in “Neuromancer” che incorniciano sussulti electro e graffiate acide, JFrank, con “Premeditatio Malorum”, si cala in cervellotiche poliritmie, Akkaelle batte sull’incudine la materia di “Capacitor Discharge” spappolandola in mille frammenti che volano via come lapilli vulcanici. Poi gli Anywave con “Cphrigyan Acid”, decorata da riccioli di 303 e un metti e togli di elevazioni breaks, e a chiudere “A Few Thoughts Away” di Heinrich Dressel che intaglia con maestria synth music dall’imprinting cinematografico, sospesa in atmosfere tenebrose, a tratti spettrali, sotto le quali si dipana un’algida marzialità meccanica.

Ekman

Ekman – The Strange Vice Of.. Ekman – Part 1/2 (Crème Organization)
Uscirà tra poche settimane questa raccolta di inediti suddivisa in due 12″ che colloca al centro la musica dell’olandese Ekman e riporta in attività l’etichetta di DJ TLR, destandola dal torpore in cui era piombata negli ultimi anni. Facendo leva su un suono che vaga tra electro scarnificata e dark ambient con qualche piacevole deriva acid, Roel Dijcks merita di essere accostato a connazionali come Rude 66, Legowelt, I-f o Ra-X ai quali, probabilmente, si è ispirato per creare la sua musica ma senza correre il rischio di essere liquidato come l’ennesimo dei copycat. La sua visione genera tracce che eludono l’epigonismo, e l’ascolto di alcuni dei pezzi qui radunati come “A Way Home”, “How Deep The Grooves”, “Witching World”, “The Remains Of Zion” e “Devil Birds Of Deimos” depongono pienamente a suo favore.

Obergman

Obergman – Invariant Hyperbola (Infiltrate)
Destinato a una delle sublabel della londinese Constant Sound di James ‘Burnski’ Burnham, questo nuovo EP conferma le doti di Ola Bergman alias Obergman. Partito nel 2001 dalla Skam con un suono fortemente connesso all’IDM britannica più astrattista, lo svedese si è progressivamente avvicinato all’electro di matrice donaldiana che ha messo a punto nell’ultimo decennio attraverso una serrata serie di pubblicazioni su etichette come Abstract Forms, Brokntoys e soprattutto la Stilleben Records di Luke Eargoggle. Qui è alle prese con quattro tracce dalle venature cibernetiche, accomunate sia dalla ciclicità meccanica delle parti, sia dal minimalismo della tavolozza sonora come si evince da “Norma Cluster”, spinta da un disegno di basso robotico. Pad quasi romantici scandiscono “Dragonfly44” mentre “Sterile Neutrino” (forse un’allusione a “Sterilization” e “Myon-Neutrino” di Dopplereffekt?) riproduce lo sferragliare di androidi. Infine la title track, “Invariant Hyperbola”, probabilmente la più riuscita del disco, ideale soundtrack per un viaggio interspaziale che porta sul pianeta Nettuno: dopo aver macinato milioni di chilometri però lo sconcerto nello scoprire che qualcuno ha misteriosamente impiantato lì delle ciclopiche pale eoliche.

Komakino

Komakino – Outface (30 Yrs Jubilee Edition) (Esprit De La Jeunesse)
Nel mare magnum infinito di ripescaggi, remix, cover e reissue finiscono pure i Komakino (i tedeschi Ralph Fritsch, meglio noto come Fridge, e Detlef Hastik) con uno dei brani più noti del loro repertorio che quest’anno taglia il traguardo dei trent’anni. Incluso in “Energy Trance EP” edito nel ’93 dalla Suck Me Plasma di Talla 2XLC, “Outface” polarizza l’attenzione europea due anni più tardi quando viene rimesso in circolazione dalla Maddog in una nuova versione, la Full Size, diventata un classico dell’hard trance e accompagnata da un videoclip che aiuta a guadagnare una platea più ampia e trasversale (da noi lo mette spesso Molella nella prima edizione di “Molly 4 DeeJay”, come descritto qui, e un paio di comparsate le registra persino nel DeeJay Time di Albertino). Anticipato a febbraio dalla reinterpretazione dell’italiano Dusty Kid in battuta spezzata e con un frammento pare carpito da “Technotronic” di The Pro 24’s (poi diventata “Pump Up The Jam” dei Technotronic), il pacchetto messo sul mercato dalla Esprit De La Jeunesse, etichetta del gruppo Systematic capeggiato da Marc Romboy, codificato come Jubilee Edition e accompagnato da un artwork che riadatta quello del menzionato “Energy Trance EP”, conta tre remix: Egbert trapianta senza particolare inventiva frammenti dell’originale in una nuova base ritmica che pecca di anonimato, Robert Babicz plana tra luccicanti riflessi melodici e intrecciature acide, e infine Petar Dundov ondeggia tra paratie armoniche e incantate sequenze di arpeggi che poi precipitano in un gorgo impetuoso. Curiosità: sul vinile è finita la Full Size nonostante titolo e durata in copertina facciano riferimento alla G60 Mix ossia la versione del ’93 che però è stata diffusa in digitale.

(Giosuè Impellizzeri)

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CPR – Lymbic Resonance (Closing The Circle)

CPR - Lymbic ResonanceDietro la sigla CPR, acronimo di Cyber Punk Romance, opera un duo di cui si conosce poco e nulla. Si sa che vivono a Berlino, si chiamano Tobias Lisius ed Alexandra Ismalone e pare siano compagni non solo artisticamente ma pure nella vita reale. Nient’altro. Qualche decennio fa sarebbe stata ordinaria routine parlare di un disco di sconosciuti ma oggi, nell’epoca dei social network, della sovraesposizione mediatica e dell’apparire che sembra valga molto di più dell’essere, risulta veramente strano non poter fare affidamento su nulla tranne che la musica. Nessuna nota biografica, nessun rimando a qualche diretta mandata in onda durante i mesi di lockdown causato dall’emergenza coronavirus, nessuna foto promozionale. Niente. Anche la loro pagina Soundcloud testimonia appieno la quasi totale anonimia e persino i crediti sulla copertina del disco sono ridotti all’osso. Il loro è un approccio totalmente libero da ogni costrizione e svincolato da divagazioni non connesse alla musica.

«Non abbiamo creato i CPR con l’ambizione di diventare una band mainstream o far parte del mondo dei social network bensì per esprimere le nostre emozioni e i nostri sentimenti che sarebbe difficile veicolare in modo diverso» spiega Alexandra Ismalone. «La musica può essere usata per sviscerare le parti più profonde del proprio ego artistico di cui si potrebbe persino ignorare la stessa esistenza. Nel momento in cui si dà vita ad un certo sound, attraverso la voce o mediante la miscela dei giusti elementi, la musica diventa terapica. Quando esco dallo studio mi sento rigenerata, con la mente libera e senza più tensioni, e per me quella è una grande soddisfazione. Non avendo uno stile preciso da seguire e non ricercando il successo con la conseguente pressione tipica dell’industria discografica dei grandi numeri, riteniamo di poter fare a meno dei post su Instagram o Facebook per raccogliere consensi. La “terapia” di cui parlavo prima diventa ancora più potente ed efficace se il suono ottenuto viene trasmesso direttamente dal proprio animo, senza interferenze di sorta. La chiave di tutto, insomma, è essere se stessi. Io e mio marito Tobias abbiamo cominciato a comporre poco dopo esserci incontrati, nove anni fa. Sin dal primo momento intendevamo simboleggiare attraverso la musica il nostro romanticismo e la passione per un certo stile di vita, l’attrazione per la nightlife e la sua decadenza. Fondendo questi elementi siamo giunti al nome Cyber Punk Romance che abbiamo ridotto all’acronimo CPR dopo la prima performance pubblica in un festival».

CPR

I CPR (Alexandra Ismalone e Tobias Lisius) in uno dei pochi scatti fotografici disponibili

“Lymbic Resonance” attraversa luoghi onirici (“To Dare”), spettrali (“Nocturnal”), lande desolate (“Methamorphose”) e trasfigurazioni astrali (“Spectrum”), sino ad infilarsi negli inferi danteschi (“Seek”, “Lust”) e far ritrovare l’ascoltatore nell’oltretomba (“Athe”). Dark ambient, drone, krautrock: queste le coordinate di un album che nel formato digitale, disponibile qui, conta tre bonus track, “A Moment”, “Piano In Danger” ed “Organic”, pronte ad alimentare ulteriormente una direzione quasi orrorifica. «La maggior parte dei brani qui raccolti è stata generata dalla parte più intima del nostro animo artistico» prosegue la Ismalone. «Non cerchiamo la perfetta combinazione melodica, il vocal meraviglioso o l’estetica nerdistica della composizione bensì quello stato mentale che possa liberare tanto i lati luminosi quanto gli oscuri del proprio io. Le migliori session di registrazione sono quelle in cui suoni, ritmi e voci esprimono fedelmente tutto ciò che è stato dettato dall’animo. Dal punto di vista tecnico abbiamo usato un Moog, un Microkorg, una chitarra, una batteria ed altri piccoli strumenti acustici. La maggior parte dei suoni proviene da rumori registrati in presa diretta da me e Tobias, successivamente trasformati in una sorta di strumenti virtuali. Le ispirazioni variano a seconda dell’indirizzo musicale che intendiamo seguire. I nostri gruppi di riferimento sono i Nocturnal Emissions, Zoviet France o i Barn Owl ma a suggerirci un itinerario da percorrere di volta in volta è anche una particolare sensazione opportunamente tradotta in musica».

Ogni traccia dell’album equivale ad un viaggio in una dimensione diversa per chi ascolta, lontano dalla routine musicale quotidiana. Ecco perché “Lymbic Resonance” potrebbe essere l’ideale colonna sonora da usare in una pinacoteca o in una galleria d’arte, per aiutare la mente del visitatore a calarsi in modo totale in un’esperienza nuova. «Ogni pezzo deriva da una precisa idea e proietta un diverso messaggio che, effettivamente, trova origine in una dimensione parallela» dichiara ancora Alexandra Ismalone. «L’idea iniziale era proprio quella di realizzare l’album in esclusiva per una gallery e proiettare specifiche immagini sincronizzate su ogni traccia. A mio avviso molte fotografie di Jan Saudek sarebbero perfette. Abbiamo impiegato sette anni per completare “Lymbic Resonance” che non è stato studiato a tavolino e quindi non è frutto di un piano prestabilito. È successo e basta, e non sappiamo cosa avverrà in futuro. Non facciamo progetti ma al momento siamo particolarmente attivi in studio» conclude l’artista.

dettaglio copertina CPR

Un dettaglio della copertina di “Lymbic Resonance” che rivela l’effetto similpelle

A pubblicare il disco, limitato alle 300 copie ed infilato in una copertina che richiama le grinze di un contenitore in pelle, è la Closing The Circle di cui abbiamo già parlato qui qualche tempo fa, divisione della Private Records destinata alla pubblicazione di prodotti “nuovi”, dove per “nuovo” si intende ciò che risiede al polo opposto della ristampe et similia come nel caso di “Lolita Am Scheideweg” di Gerhard Heinz e “Final Alley” di Alex Cima, usciti praticamente in contemporanea. «”Lymbic Resonance” è destinato a diventare un oggetto da collezione per i fan del Berghain» aggiunge Janis Nowacki, proprietario della Private Records. «Il duo si è già esibito nella Halle, la sala del noto locale berlinese aperta solo poche volte all’anno in occasione di eventi speciali» chiosa il discografico tedesco. (Giosuè Impellizzeri)

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Max Durante – DJ chart marzo 1994

Max Durante, Tunnel, marzo 1994

DJ: Max Durante
Fonte: Tunnel
Data: marzo 1994

1) Biochip C. – Limited Edition
Edizione chiaramente limitata (e il titolo fuga ogni dubbio) quella che Martin Damm affida alla Force Inc. Limited, “sorella” della Force Inc. Music Works di Achim Szepanski. Quattro i brani incisi sul 12″, tutti untitled, in cui l’artista leviga la sua techno sperimentalista dalla filigrana intenzionalmente low-fi, alternando sapientemente beat spezzati (A2) a canoniche misure in 4/4 (B1), toccando in alcuni punti ambientazioni trancey (B2) e gorghi di forsennata acidcore.

2) ADSX – Introducing DSL
Andre Fischer alias Audiosex, qui ulteriormente trincerato dietro l’acronimo ADSX, è uno dei primi in Germania a dedicarsi alle diverse sfumature che assume la dance elettronica negli anni Novanta. La sua serrata attività produttiva contrassegnata da una copiosa lista di alias abbraccia techno, trance ed acid ma talvolta si spinge sino a lambire sponde braindance, proprio come accade in questo 12″ autoprodotto sulla propria Injection Records tornata recentemente in attività sul fronte digitale. “DSL 25” e “DSL 26” si sviluppano sul medesimo costrutto: una linea melodica ambientale graffiata da un battente broken beat dalle venature distorte, con un effetto finale che potrebbe ricordare l’Aphex Twin di quel periodo (e l’uso dell’acronimo ADSX ammiccherebbe coerentemente a quello usato da James, AFX). Sul disco, oltre a brevi interludi, si rinviene anche il remix di “DSL 25” a firma di un decano dell’acid techno teutonica, Rob Acid.

3) Drexciya – Molecular Enhancement
In perpetuo bilico tra electro e techno, il suono di Drexciya è tra i più peculiari e distintivi che la scena underground americana abbia mai generato. “Molecular Enhancement”, terzo disco del misterioso progetto le cui coordinate biografiche diventano più nitide solo nel 2002 quando uno dei due componenti, James Stinson, muore prematuramente, si muove su matrici soniche letteralmente stranianti. “Intensified Magnetron” ed “Hydro Cubes”, con abrasivi bassline ben piantati in trainanti telai ritmici, sembrano continuare il discorso lasciato in sospeso da un EP uscito un paio di anni prima ma firmato con uno pseudonimo diverso, L.A.M., (“Balance Of Terror”, 1992) mentre “Antivapor Waves” ed “Aquatic Bata Particles” aggiungono ulteriori dettagli genomici alla mitologica produzione drexciyana diventata punto di partenza per un numero indefinito di epigoni sparsi in tutto il globo e a cui è stato meritatamente dedicato un libro illustrato da Abu Qadim Haqq, presentato in anteprima in Italia un paio di mesi addietro. Il disco viene pubblicato nel 1994 dalla Rephlex su licenza della Underground Resistance ma riappare l’anno seguente su Submerge con due ulteriori tracce, “Anti-Beats” e “Bata-Pumps”.

4) Mike Dearborn – ? / Storm – Storm
Sembra un pari merito quello che Durante piazza al quarto posto della sua classifica. Entrambi gli artisti vengono d’oltreoceano (Mike Dearborn, uno dei protagonisti della seconda ondata di Chicago, e Steve Stoll sotto uno dei numerosi pseudonimi, Storm) e ad accomunarli è il logo della Djax-Up-Beats di Miss Djax. Purtroppo non aver specificato il titolo del primo non permette l’identificazione certa ma solo l’avanzamento di congetture. Potrebbe trattarsi di “Chaotic State” o forse del più agitato “Unpredictable”. Altrettanto tagliente è la musica di Stoll, che prima concede spazio alle sincopi (“Cloud Fall”) e poi si immerge nel turbinio minimalista di “Halo”, pigiando il pedale dell’acceleratore con “Carbon Fury” e chiudendo con un’acid techno lambiccante (“Radio Dust”), trademark dell’etichetta olandese della bella Saskia Slegers ricordata anche per gli eccelsi artwork a firma Alan Oldham.

5) Automatic Sound Unlimited – Tu*4*Bx/0 = E.P.01 + Tu*4*Bx/2 = E.P.02
Edito dalla Hot Trax, sublabel della più nota ACV, questo doppio EP mette ulteriormente in risalto le doti compositive degli Automatic Sound Unlimited, terzetto formato da Max Durante e dai gemelli Fabrizio e Marco D’Arcangelo, di cui abbiamo già parlato dettagliatamente qui qualche anno fa. Facendo tesoro della lezione del futurista Luigi Russolo, il team capitolino esalta il rumorismo intrecciandolo con maestria ad una techno dura, scarnificata e ai confini col noise hardcorizzato (“Reflection”, “Index System”, “Psychout”, “Damaging Of A 303”, “Synthetic Material”). I sobbalzi della cassa incorniciano atmosfere tetre, demoniache e plumbee (“Logout”, “Daemons Init”) e rivoli acidi (“Tu*4*Bx”, “Workmen”, “Matrix A.S.U.”). Un disco-macigno, rimasto insieme ad altri di quel periodo a testimonianza di quanto fosse profondo e viscerale il rapporto tra Roma e la techno.

6) Biochip C. – Freedom 7 / Jammin’ Unit & Walker – Rudolph Valentino
Un secondo pari merito: da un lato “Freedom 7” del già menzionato Biochip C., alle prese con l’acid selvaggia di “The Mindclearer” e con l’altrettanto animalesco “Untitled” inciso sul lato b, dall’altro Jammin’ Unit & Walker, che ritroveremo poco più avanti come Air Liquide, con altri due pezzi senza titolo a rappresentare vigorose e sfibranti spirali acid techno. Entrambi i dischi sono editi dalla Propulsion 285, piccola etichetta fondata da Ingmar Koch rimasta attiva per appena cinque uscite, tutte del 1993.

7) 303 Nation – ?
L’assenza del titolo impedisce di stabilire con esattezza a quale disco Max Durante qui si riferisca, ma in base al periodo è fattibile ipotizzare che fosse “Strobe Jams II” o “Strobe Jams III”, entrambi editi dalla Dance Ecstasy 2001. Il duo, di stanza a Francoforte e formato da Fernando Sanchez e Patrick Vuillaume, rientra tra i grandi virtuosi del “303 sound” ma a causa della scarsa operatività (appena cinque i dischi incisi, tra 1992 e 1994) finisce immeritatamente nell’oblio. Val la pena rimarcare la presenza dei 303 Nation nel primo volume della “Outer Space Communications”, indimenticata serie di compilation della barese Disturbance (gruppo Minus Habens) di Ivan Iusco, intervistato qui.

8) Mono Junk – Mono Junk
Kim Rapatti è uno dei personaggi-chiave della scena techno finlandese. Autosostenutosi attraverso la sua Dum Records, si ritaglia meritevolmente un posto nel frenetico mercato europeo catalizzando pian piano l’attenzione di altre etichette come la Trope Recordings di Thomas P. Heckmann, a Magonza, che assembla un EP di inediti e qualche traccia ripescata proprio dal catalogo Dum. I brani di Rapatti riflettono un’estetica minimalista, con pochi suoni, stesure alternate tra 4/4 e ritmi spezzati ed intrusioni acide. Qui si passa dai beat battaglieri di “Psycho Kick” ai geometrismi di “I’m Okey”, dai gorghi tranceggianti di “Beyond The Darkness” ed “Osaka House” per finire alle spavalderie acide compresse in “Sweet Bassline” ed “Another Acid”. Una gallery audio di quelle che sono le principali ispirazioni dell’artista finnico, tuttora attivo e ricordato anche per l’avventura New York City Survivors condivisa con Irwin Berg.

9) Kinesthesia – German
“German” è uno dei brani inclusi nel primo volume che Chris Jeffs realizza come Kinesthesia affidandolo ad un’etichetta d’eccezione, la Rephlex. A neanche diciotto anni il britannico si rivela capace di costruire una techno dalle tinte astrattiste, dai rintocchi industriali e virata IDM nelle restanti tracce dell’EP (“Kobal”, “4J” e “Church Of Pain”, quest’ultima con febbricitanti vampate ravey). Dopo qualche anno ed un’altra manciata di pubblicazioni, Jeffs archivia il progetto Kinesthesia rimpiazzandolo con un altro con cui continuerà la proficua collaborazione con Rephlex, Cylob.

10) Air Liquide – Nephology – The New Religion
Dopo una serie di EP gli Air Liquide (Cem Oral ed Ingmar Koch, da Francoforte sul Meno) incidono i primi album. “Nephology – The New Religion” è il secondo, dopo “Air Liquide”, e sviscera in toto l’abilità dei due nell’assemblare una techno mischiata a fluttuazioni ambient/IDM: è sufficiente ascoltare “Kymnea”, “Stratus Static”, “Semwave” o l’inquietante “Nephology”, da vero girone dantesco, per comprendere quanto la scrittura qui rifugga ogni semplice definizione. Immancabili le svirgolate acide (“THX Is On”), peculiarità fortemente caratterizzante del duo scioltosi nel 2004.

(Giosuè Impellizzeri)

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Ivan Iusco e la Minus Habens Records: una rara anomalia italiana

Ivan_Iusco“Il Paese della pizza, pasta e mandolino” recita uno dei più vecchi luoghi comuni sull’Italia. Per certi versi è vero ma non bisogna dimenticare che più di qualcuno si è dato attivamente da fare per azzerare o almeno ridurre i soliti pregiudizi. Tra questi Ivan Iusco che alla fine degli anni Ottanta, appena diciassettenne, diventa produttore discografico e crea un’etichetta per musica completamente diversa da quella che il nostro mercato interno prediligeva. Un ribollire di elettronica intellettualista, ambient, dark, industrial, quella che qualche tempo dopo sarebbe stata raccolta sotto la dicitura IDM (acronimo di Intelligent Dance Music) o braindance. Questa era la Minus Habens dei primi anni di intrepida sperimentazione, di registrazioni su cassetta vendute per corrispondenza ed effettuate da artisti che quasi certamente qui da noi non avrebbero trovato molti discografici disposti ad incoraggiare e supportare la propria creatività. Se oltralpe l’IDM viene consacrato da realtà come Warp Records, Apollo, Rephlex e Planet Mu, in Italia la Minus Habens pare non temere rivali. Dalla sua sede a Bari, tra le città probabilmente meno adatte ad alimentare il mito della musica sperimentale, irradia a ritmo serrato la musica di un foltissimo roster artistico che annovera anche band statuarie come Front 242 e Front Line Assembly. Iusco poi nel 1992 vara una sublabel destinata ad incidere a fondo nel sottobosco produttivo dei tempi, la Disturbance, approdo per italiani “molto poco italiani” sul fronte stilistico (Doris Norton, X4U, The Kosmik Twins, Baby B, Monomorph, Astral Body, The Frustrated, Xyrex, Dynamic Wave, T.E.W., Iusco stesso nascosto dietro la sigla It) e lido altrettanto felice per esteri destinati a lasciare il segno, su tutti Aphex Twin, Speedy J ed Uwe Schmidt. I Minus Habens e i Disturbance di quegli anni rappresentano il lato oscuro dell’Italia elettronica, quella adorata e rispettata dagli appassionati e che si presta più che bene per la locuzione latina “nemo propheta in patria”. Nel corso del tempo nascono altri marchi (QBic Records, Lingua, Casaluna Productions, Noseless Records, Betaform Records) che servono a rimarcare nuove traiettorie inclini a trip hop, nu jazz, funk, downtempo e lounge in senso più ampio destinato alla cinematografia anche con episodi cantautorali a cui Minus Habens Records, ormai vicina al trentennale d’attività, ha legato stabilmente la sua immagine. Al contrario di quanto suggerisce il nome (i latini indicavano sarcasticamente minus habens chi fosse dotato di scarsa intelligenza), la label di Ivan Iusco «è rimasta in piedi per un arco di tempo incredibilmente lungo, in cui numerose altre esperienze discografiche indipendenti, anche prestigiose, sono nate, cresciute e decedute», come si legge nel libro “Minus Habens eXperYenZ” del 2012 curato da Alessandro Ludovico, co-fondatore insieme allo stesso Iusco della rivista Neural, magazine pubblicato per la prima volta a novembre 1993 e dedicato a realtà virtuali, tecnologia, fantascienza e musica elettronica. Un’altra di quelle atipiche quanto meravigliose anomalie italiane.

Come e quando scopri la musica elettronica?
La musica elettronica iniziò a sedurmi verso la metà degli anni Ottanta in un percorso che mi portò rapidamente dai Depeche Mode ai Kraftwerk verso i Tangerine Dream, mentre esploravo parallelamente territori più oscuri con l’ascolto di gruppi come Virgin Prunes, Christian Death e Bauhaus per arrivare alle sperimentazioni dei Current 93, Nurse With Wound, Coil, Laibach, Diamanda Galás, Einstürzende Neubauten, Steve Reich, Arvo Pärt, Salvatore Sciarrino e tantissimi altri. Galassie musicali che ho scandagliato a fondo ascoltando migliaia di produzioni sotterranee. Acquistai il mio primo synth all’età di sedici anni.

Come ti sei trasformato da appassionato in compositore?
Non ho mai considerato la musica una passione o un amore ma una ragione di vita, un’entità magica, indispensabile e salvifica. Quando da bambino ascoltai per la prima volta il tema della colonna sonora “Indagine Su Un Cittadino Al Di Sopra Di Ogni Sospetto” di Ennio Morricone rimasi letteralmente ipnotizzato. Avevo sei anni e quella musica scatenò un terremoto nella mia testa, infatti ricordo ancora con chiarezza dov’ero in quel momento e cosa indossavo. Sono anche certo che aver avuto una nonna pianista e compositrice, oggi 94enne, contribuì a porre la musica al centro di tutto.

La tua prima produzione fu “Big Mother In The Strain” dei Nightmare Lodge, inciso su cassetta nel 1987. Come fu realizzato quell’album?
Considero quel lavoro un’eruzione di idee nebulose, frutto della collaborazione con due amici: Beppe Mazzilli (voce) e Gianni Mantelli (basso elettrico). Non eravamo ancora maggiorenni ma intendevamo valicare barriere innanzitutto culturali. Il nostro approccio era piuttosto anarchico, pur essendo seriamente intenzionati a produrre qualcosa di concreto. Registrammo il nastro nell’estate del 1987 in un piccolissimo studio in una via malfamata di Bari. In quel locale c’era un registratore a quattro tracce, un microfono, due casse, un amplificatore e nient’altro, se non la foto della fidanzata tettona del fonico. Le registrazioni durarono una settimana. Noi portammo un sintetizzatore, un basso elettrico ed una serie di nostre sperimentazioni sonore su nastro effettuate nei mesi precedenti. Gli interventi vocali di Beppe furono registrati nella toilette dello studio, unico ambiente al riparo dal caos proveniente dalla strada. Pubblicai la cassetta nel dicembre del 1987, utilizzando per la prima volta il marchio Minus Habens, in una micro-edizione di cento copie vendute attraverso il passaparola ed una serie di annunci su fanzine specializzate, la via di mezzo fra gli attuali blog e i web magazine.

L’album dei Nightmare Lodge segna anche la nascita della Minus Habens Records, inizialmente una “ghost label” come tu stesso la definisci in questa intervista del marzo 1998. Come ti venne in mente di fondare un’etichetta discografica? Il nome si ispirava a qualcosa in particolare?
In primis l’obiettivo fu diffondere la mia musica ma subito dopo intuii la possibilità di far luce su alcuni artisti italiani e stranieri che meritavano decisamente più attenzione, così cominciai a pubblicare lavori inediti di Sigillum S, Gerstein e i primi album di Teho Teardo. I budget erano molto limitati: 500.000 lire per ogni pubblicazione su cassetta e circa 3.000.000 di lire per il vinile, denaro che agli inizi mi procurai attraverso piccoli prestiti e lavorando nello showroom di una nota clothing company europea. Ero così giovane da non potermi permettere una sede indipendente quindi trasformai una camera della casa dei miei genitori in “quartier generale”. Il nome Minus Habens per me rappresenta la condizione dell’uomo rispetto alla conoscenza: un orizzonte inarrivabile che lo rende eternamente affamato e che svela al tempo stesso l’immensità e forse l’irrilevanza di un percorso senza meta. Lo spazio incolmabile che separa l’uomo dalla conoscenza.

Minus Habens nasce a Bari, città che non compare su nessuna “mappa” quando si parla di un certo tipo di musica elettronica, e che non è neppure alimentata dal mito come Detroit, Chicago, Berlino o Londra. Come organizzasti il tuo lavoro lontano dai canonici punti nevralgici della discografia italiana, in un periodo in cui internet non esisteva ancora? Risiedere in Italia, e in particolare nel meridione, ha mai costituito un problema o impedimento?
Non saprei dire in che misura la mia città natale abbia contribuito al concepimento della Minus Habens. Sono quasi certo che il grande vuoto nell’ambito della musica elettronica offerto da Bari e più in generale dal meridione negli anni Ottanta mi aiutò a covare un sogno e ad avvertire fin da subito un senso di responsabilità, ponendomi davanti ad una missione molto ambiziosa: cambiare le cose. A quei tempi tutto era più lento e macchinoso, i rapporti di corrispondenza avvenivano solo e soltanto attraverso le poste. Giorni e giorni di attesa per il viaggio di lettere scritte a mano o a macchina e pacchi da e verso l’Italia e il mondo. Ma ne valeva la pena: tutto questo alimentava inconsapevolmente il desiderio. Scoprivo di volta in volta le musiche e l’identità di gruppi e musicisti da produrre attraverso cassette, DAT, minidisc, foto, flyer e fanzine che arrivavano con quei pacchi. Era una cultura che si consumava a fuoco lento. Ricordo però che già nei primi anni Novanta una rivista intitolò uno dei suoi articoli sulla nostra attività “Bari capitale cyberpunk!”. E comunque non sono stato il solo a muovermi con costanza e caparbietà da queste parti. Bari vanta infatti da trent’anni la presenza di uno dei più interessanti festival al mondo di musiche d’avanguardia, parlo di Time Zones che ha portato nella città nomi come David Sylvian, Philip Glass, Brian Eno, Steve Reich, Einstürzende Neubauten ed alcuni dei nostri: Paolo F. Bragaglia, Synusonde, Dati aka Elastic Society e i Gone di Ugo De Crescenzo e Leziero Rescigno (La Crus).

Le primissime pubblicazioni di Minus Habens erano solo su cassetta. Chi curò la distribuzione?
Nei primi due anni di attività mi affidai alla storica ADN di Milano, alla tedesca Cthulhu Records e ad alcuni store specializzati statunitensi. All’epoca occorreva avere dei radar al posto delle orecchie. Internet era agli albori mentre oggi siamo sommersi da dispositivi che ci permettono di accedere a qualsiasi informazione in tempo reale ed ovunque ci troviamo.

Nel 1989 inizi a pubblicare musica anche su vinile. Quante copie stampavi mediamente per ogni uscita? Quale era il target di riferimento?
Le prime pubblicazioni uscirono in tirature di 500/1000 copie, distribuite in Italia e nel mondo soprattutto da Contempo International, nota label e distribuzione di Firenze che vantava nel suo roster gruppi come Clock DVA e Pankow. Non ho mai avuto un’idea definitiva del nostro pubblico ma nel tempo ho constatato con piacere che i nostri clienti e sostenitori abbracciano fasce d’età e gruppi sociali sorprendentemente eterogenei.

Il catalogo di Minus Habens cresce con la musica di molti italiani (Sigillum S, Iugula-Thor, Red Sector A, Kebabträume, Pankow, Capricorni Pneumatici, Tam Quam Tabula Rasa, Brain Discipline, DsorDNE, Ultima Rota Carri) ma anche di esteri come Lagowski, Principia Audiomatica e persino miti dell’industrial e dell’EBM come Clock DVA, Front 242 e Front Line Assembly. Come riuscisti a metter su una squadra di questo tipo? Insomma, se tutto ciò fosse accaduto all’estero probabilmente Minus Habens oggi verrebbe paragonata a Warp, Rephlex o Apollo.
È avvenuto tutto molto gradualmente. Piccoli passi, giorno dopo giorno, fino ad arrivare a pubblicare album come quelli di Dive (Dirk Ivens) in 15/20mila copie o compilation come “Fractured Reality” con ospiti illustri tra cui Brian Eno, Depeche Mode, William Orbit, Laurent Garnier, Susumu Yokota e molti altri. Se la Minus Habens ti ha portato alla mente etichette come Warp, Rephlex o Apollo è perché in Italia non sono esistiti altri riferimenti di quel tipo, così la mia etichetta è diventata l’unico modello vagamente assimilabile a quelle realtà. È un’associazione ricorrente ma ci siamo distinti in modo inedito anche per aver raggiunto il cinema con numerose colonne sonore originali e pubblicazioni di artisti di rilievo come Angelo Badalamenti. Negli ultimi anni inoltre abbiamo avviato importanti collaborazioni nell’ambito dell’arte contemporanea tra le quali spiccano quelle con Cassandra Cronenberg e Miazbrothers.

Con quali finalità, nel 1992, crei la Disturbance?
L’idea seminale fu ibridare i suoni e le soluzioni concepite dai musicisti del circuito Minus Habens coi ritmi ipnotici della techno. Negli anni Novanta abbiamo pubblicato su Disturbance alcune decine di singoli in vinile con una discreta distribuzione internazionale in Germania, Francia, Benelux, Stati Uniti e Giappone.

Così come per Minus Habens, anche Disturbance vanta in catalogo gemme che meriterebbero di essere riscoperte, da Atomu Shinzo (Uwe Schmidt!) ai The Kosmik Twins (Francesco Zappalà e Biagio Lana), da Monomorph (i fratelli D’Arcangelo) ad altri estrosi italiani come Astral Body, Xyrex e Dynamic Wave. In termini di vendite, come funzionava questa musica? La costanza delle pubblicazioni mi lascia pensare che il mercato fosse vivo.
Significava insediarsi in un mercato fortemente influenzato da mode e tendenze. Ciononostante abbiamo raggiunto buoni risultati anche in quell’ambito. Ricordo che Mr. C degli Shamen e Miss Kittin suonavano spesso le nostre produzioni, mentre per una festa a Milano in occasione del Fornarina Urban Beauty Show coinvolgemmo Timo Maas ed Ellen Allen. Col marchio Disturbance abbiamo creato un repertorio davvero interessante con un’attenzione particolare al made in Italy.

Chi, tra i DJ, giornalisti e critici italiani, seguiva con più attenzione le tue etichette?
I giornalisti storici della stampa musicale italiana ci hanno sempre seguito con molto interesse: Vittore Baroni, Aldo Chimenti, Nicola Catalano, Luca De Gennaro, Paolo Bertoni e tanti altri. Fortunatamente negli anni abbiamo goduto della stessa attenzione anche da parte di numerosi giornalisti stranieri.

Hai mai investito del denaro in promozione?
Investiamo in promozione fin dagli esordi, anche se dal 1987 ad oggi abbiamo adeguato le nostre strategie al mutare dei media. Non ho mai pagato recensioni però, e dubito che esistano riviste che operano in questo modo e comunque lo troverei eticamente scorretto.

A proposito di riviste, nel 1993 hai fondato Neural con Alessandro Ludovico. Come nacque l’idea di creare un magazine con quel taglio avanguardista?
Anche nel caso di Neural cercammo di creare una pubblicazione che potesse rompere il silenzio editoriale in territori culturali che ci interessavano da vicino: tecnologie innovative come la realtà virtuale, hacktivism, new media art e musica d’avanguardia naturalmente. I primi numeri di Neural furono pubblicati in poche migliaia di copie diffuse da un distributore torinese, successivamente la rivista svegliò l’interesse dell’editore dello storico mensile Rockerilla e così, in seguito ad un accordo di licenza, Neural uscì in una tiratura di 15.000 copie distribuite nelle edicole italiane. Questa diffusione capillare catturò un pubblico ben più vasto ma dopo due anni la crisi dell’intero settore ci costrinse a scegliere un distributore alternativo. Atterrammo così nella catena Feltrinelli. Neural da allora, grazie all’impegno di Alessandro, non si è mai fermata. Esce tutt’oggi in versione cartacea ma si avvale anche di un sito costantemente aggiornato che offre ulteriori contenuti.

Recentemente ho letto questo articolo in cui si parla della scomparsa del pubblico delle recensioni. La diffusione e la democratizzazione di internet ha, in un certo senso, tolto valore ed autorevolezza a chi parla criticamente di musica? Insomma, così come proliferano i “produttori” pare nascano come funghi anche i “giornalisti”. Cosa pensi in merito?
Come per la musica e l’arte in genere, anche il giornalismo si manifesta attraverso la voce di autori che possono essere più o meno dotati di talento e capacità. Quando si leggono articoli deboli, senza fondamenta, noiosi e a volte dannosi, diventa difficile arrivare fino in fondo. Penso semplicemente che la curiosità culturale dei fruitori crei nel tempo gli strumenti necessari per scremare il meglio in ogni ambito.

Tra il 1993 e il 1997 su Disturbance compaiono i quattro volumi di “Outer Space Communications”, compilation che annoverano nomi come Nervous Project (Holger Wick, artefice della serie in dvd Slices per Electronic Beats), il citato Uwe Schmidt (come Atomu Shinzo e Coeur Atomique), la prodigiosa Doris Norton, Pro-Pulse (Cirillo e Pierluigi Melato), i QMen (i futuri Retina.it) Speedy J, Planet Love (Marco Repetto, ex Grauzone), Exquisite Corpse (Robbert Heynen dei Psychick Warriors Ov Gaia), i romani T.E.W., Le Forbici Di Manitù e persino Richard D. James travestito da Caustic Window (con “The Garden Of Linmiri”, finito nello spot della Pirelli con Carl Lewis) e da Polygon Window. Insomma, una manna per chi ama l’elettronica ad ampio raggio.
Fu l’apice di un enorme lavoro di relazioni e networking. In quel periodo nacque anche un bel rapporto di collaborazione e stima reciproca con Rob Mitchell (RIP), co-fondatore della Warp Records. Vista la mole dei brani contenuti e l’importanza degli artisti che vi presero parte, i quattro volumi della serie diventarono immediatamente oggetti da collezione. Le compilation includevano uno spaccato del roster Disturbance affiancato da grandi artisti della scena elettronica internazionale. All’interno dei booklet inserivamo anche piccoli riferimenti a culture nascenti o comunque underground come la realtà virtuale, la robotica, il cybersex, i rituali, le brain-machines e la crionica.

Come entrasti in contatto con gli artisti sopraccitati? Usavi già le comunicazioni via internet?
Il primo indirizzo email di Minus Habens risale al 1993, in quegli anni eravamo in pochissimi ad utilizzare internet mentre il fax raggiunse la sua massima diffusione. Abbiamo sempre adoperato qualsiasi mezzo di comunicazione pur di raggiungere i nostri interlocutori.

Nell’advertising di Minus Habens apparso sul primo numero di Neural si anticipavano alcuni nomi del secondo volume di “Outer Space Communications” tra cui Biosphere che però in tracklist non c’era. Cosa accadde? La presenza di Geir Jenssen era prevista ma qualcosa non andò per il verso giusto?
Quando richiesi la licenza di pubblicazione del brano “Novelty Waves” di Biosphere l’etichetta mi rispose che era stato appena dato in esclusiva ad una nota agenzia pubblicitaria internazionale per essere utilizzato come colonna sonora dello spot dei jeans Levi’s (in Italia il pezzo verrà poi licenziato dalla Downtown, etichetta della bresciana Time Records, nda).

A metà degli anni Novanta Disturbance accoglie Nebula (Elvio Trampus), che si piazza in posizione intermedia tra techno e trance, connubio che viene battuto pure dalla QBic Records, rimasta in attività per soli tre anni, dal 1996 al 1999. Come ricordi quel periodo in cui un certo tipo di musica iniziò il processo di “mainstreamizzazione”?
Non essendo il mainstream uno dei nostri obiettivi, non abbiamo mai inseguito il fantasma del successo. I risultati sono giunti soprattutto grazie alla costanza, alla continua ricerca ed alla qualità delle pubblicazioni. Più di una volta i brani del catalogo Disturbance sono arrivati ai primi posti di classifiche dance italiane (come quella della storica Radio Italia Network) e straniere, mentre le produzioni Minus Habens hanno trovato terreno fertile in ambito cinematografico (in numerosi film con distribuzione nazionale) e televisivo (in trasmissioni come Le Iene, Report, Target e tante altre). Inoltre abbiamo partecipato a decine di festival e proprio quest’anno il trio Il Guaio, del nostro marchio Lingua, è stato candidato alle selezioni ufficiali di Sanremo.

Nei primi anni Duemila, proprio dopo gli ultimi lavori di Nebula, Disturbance vira radicalmente direzione e registro, passando al downtempo, al trip hop e al future jazz, facendo l’occhiolino alla Compost Records di Michael Reinboth. Forse l’elettronica con derive dance o sperimentali ti aveva stancato?
Come ben sai credo profondamente nell’evoluzione e nella diversità della musica e dei suoni. All’inizio del nuovo millennio la techno e la drum’n’bass raggiunsero il loro picco evolutivo terminando in un cul-de-sac. Successivamente sono emerse nuove declinazioni come la minimal techno o il dubstep ma nulla di radicalmente innovativo. Ecco il motivo per cui ho sentito la necessità di proseguire verso altre direzioni creando un incubatore in cui abbiamo sviluppato progetti musicali come Pilot Jazou, Gone, Dati, Appetizer o la più recente collaborazione fra il producer Andrea Rucci e il pianista jazz Alessandro Galati. Le produzioni musicali più interessanti emerse in questi primi quindici del nuovo millennio sono il frutto di incontri e collaborazioni di musicisti con esperienze negli ambiti più diversi, e pare che l’elettronica sia diventata il tessuto connettivo privilegiato.

La tua collaborazione con Sergio Rubini comincia proprio in quel periodo, lavorando alle colonne sonore di suoi film come “L’Anima Gemella” e “L’Amore Ritorna”. Come nacquero tali sinergie?
Incontrai Sergio una sera in un bar. Grazie a quell’incontro casuale nacque il nostro rapporto lavorativo che si concretizzò prima con la composizione del tema principale del film “L’Anima Gemella” e successivamente con la colonna sonora del film “L’Amore Ritorna”, le musiche addizionali di “Colpo D’Occhio”, fino al suo progetto filmico “6 Sull’Autobus” in collaborazione con sei giovani registi e prodotto dall’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Facendo qualche passo indietro, prima della collaborazione con Rubini, fui chiamato dal regista Alessandro Piva che mi commissionò le musiche dei film “LaCapaGira” (1999) e “Mio Cognato” (2003) con cui iniziai a raggiungere un pubblico più ampio anche grazie all’ottenimento di alcuni premi in Italia e all’estero.

Qualche sprazzo di dance elettronica torna a farsi sentire su Minus Habens tra 2005 e 2007, quando pubblichi anche una compilation di Alex Neri. Si rivelò solo una toccata e fuga però. Avevi già preso la decisione di dedicarti ad altro?
In quel periodo Minus Habens fu scelta dal festival Elettrowave (sezione elettronica di Arezzowave) per pubblicare le loro compilation ufficiali. Mi occupai personalmente della selezione degli artisti presenti nei diversi album. Considerando gli ospiti del festival, ebbi il piacere di ospitare grandi nomi fra cui Cassius, Modeselektor, Kalabrese, Stereo Total, Cassy, Mike Shannon, Zombie Zombie e molti altri. La musica elettronica è sempre stato il filo rosso della mia ricerca. È un universo dalle infinite possibilità e la missione della Minus Habens è quella di esplorarlo.

Il 2017 segnerà il trentennale di attività per Minus Habens Records. Avresti mai immaginato, nel 1987, di poter tagliare un così ambizioso traguardo?
È un sogno che si avvera, pur non avendolo mai immaginato come un traguardo.

Nel corso degli anni hai mai pensato di mollare tutto e dedicarti ad altro?
No, immagino da sempre le evoluzioni possibili della nostra attività cercando di incarnare soltanto le più ambiziose.

La sede è ancora in via Giustino Fortunato, nel capoluogo pugliese?
La sede e lo studio sono ancora a Bari anche se rispettivamente in zone diverse della città, ma proprio quest’anno abbiamo posto le basi per alcuni grandi cambiamenti.

Stai pensando già a qualcosa per festeggiare e celebrare i trent’anni di Minus Habens?
Stiamo lavorando ad un progetto che sta prendendo forma in queste settimane di cui però sarebbe prematuro parlarne adesso. Ci sono ancora troppi aspetti da sviscerare. Sarà una forma di condivisione celebrativa volta ad amplificare il concetto di collaborazione e di network. Naturalmente coinvolgeremo anche i musicisti che si sono uniti all’etichetta negli ultimi tempi come Andrea Senatore, Christian Rainer e Il Guaio.

Come vorresti che fosse ricordata la tua etichetta e la tua attività artistica, tra qualche decennio?
Sarebbe già davvero tanto se tutto questo fosse ricordato nel tempo. In fondo il libro Minus Habens eXperYenZ di 224 pagine pubblicato nel 2012 in occasione del venticinquesimo anniversario dell’etichetta ambiva proprio a questo: documentare, o come afferma nello stesso libro Dino Lupelli – fondatore di Elettrowave ed Elita Festival – “produrre per non dimenticare” le esperienze multiformi di un laboratorio che ha portato alla luce inusuali sperimentatori. Un’avventura alla ricerca di territori musicali inesplorati.

(Giosuè Impellizzeri)

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