Discommenti (febbraio 2024)

Slowaxx - Shapes Interfusion

Slowaxx – Shapes Interfusion (Broken District)
Si tratta del primo album che Riccardo Chiarucci ha realizzato combinando parti registrate in studio a sessioni live condivise con vari musicisti. Il lavoro è pervaso da atmosfere in perenne bilico tra funk, acid jazz, abstract e broken beat, con punte di straordinaria vitalità e virtuosismi (si senta “Pantere Rosee”, dove le improvvisazioni generano un percorso un filo cervellotico ma decisamente d’impatto). Il featuring del rapper Young A.M.A. decora “Y.B.A” e “No Secret”, costruite tenendo bene a mente l’estetica e il piglio compositivo che marchiò a fuoco etichette come Mo Wax e Talkin’ Loud, “Emoyeni” mette in loop meccanico il rhodes suonato da Luca Sguera, “Femmes” si cala in un mood lounge, ma Chiarucci si supera con “Stazione Funk”, col telaio ritmico ridotto all’osso sul quale si innestano a stantuffo irresistibili pistonate boogie. Il risultato lascia immaginare un’ipotetica jam session tra George Clinton e James Lavelle a indicare la strada di possibili nuove collisioni musicali.

Jimy K - She's Gone Away

Jimy K. – She’s Gone Away (Bordello A Parigi/Giorgio Records)
Diversi mesi fa Massimo Portoghese della barese Giorgio Records ne preannunciò l’uscita proprio attraverso le pagine di questo blog (si legga Discommenti di settembre 2023): a essere riportato in superficie dal buio dell’oblio in cui era piombato è “She’s Gone Away”, un pezzo italo disco prodotto nel 1984 da Rodolfo Grieco e scritto insieme a Naimy Hackett. Uscito ai tempi su Eyes, ora si ripresenta su un 12″ stampato in tandem dalla citata Giorgio Records e l’olandese Bordello A Parigi che, oltre alla Vocal 12″ Version e all’Instrumental 12″ Version, vogliono pure la Vocal 7″ Version, quarant’anni fa destinata alla versione 45 giri. Tutte sono state restaurate dai nastri originali da Tommy Cavalieri presso il Sorriso Studio di Bari. Particolarmente ambito dai collezionisti (nel 2023, attraverso il marketplace di Discogs, è stato venduto per 250 €), “She’s Gone Away” torna dunque a pulsare di vita coi suoi tagli oscuri, orli frastagliati funkeggianti e l’alternanza vocale maschile/femminile.

Ten Lardell - Anterspace 03

Ten Lardell – Anterspace 03 (Anterspace)
Dal 2022 Ten Lardell è apparso sul mercato con la sua pseudo etichetta, l’Anterspace, e dischi simili a white label promozionali. Nessuna info aggiuntiva oltre al numero di catalogo e titoli delle tracce, un’essenzialità tipica di chi è fermamente convinto che la musica sia sufficiente a trasmettere il proprio messaggio. Anche a questo giro il misterioso artista mantiene intatta la comunicazione con una techno/electro di matrice tipicamente drexciyana e di red planetiana memoria, basta poggiare la puntina su “The Far Moog Sector” o “Black Gaze” per capire quali siano i suoi riferimenti. Contorsioni acquatiche sorrette da accordi che squarciano le tenebre si ritrovano pure in “Vibranium Prt 1” mentre “Year 6900” lascia scorrere immagini distopiche di città rase al suolo da orde di robot ribelli. Ma chi opera dietro Ten Lardell? Un giovane talento appassionato o un veterano esperto che gioca a nascondino? Le ipotesi, al momento, restano tutte aperte.

l'oggetto - Musica Da Discoteca Vol.3

l’oggetto – Musica Da Discoteca Vol.3 (MKDF Records)
È tempo del terzo (e pare ultimo) volume per Marco Scozzaro, artista multidisciplinare italiano di stanza nella Grande Mela che dal 2021 veste i panni de l’oggetto, scritto rigorosamente senza maiuscole. L’intento resta quello di trovare un’identità ben definita esplorando e tributando la vicendevole contaminazione che riguardò la house music in un ping pong continuo di influenze tra Chicago, Detroit, New York e… la riviera adriatica italiana. “Aquatico” si muove sotto il pelo dell’acqua, incrociando pesci e vegetazione marina in un caleidoscopio di colori, “Fluido” mette in relazione nervosismi ritmici con rassicuranti pad e sinuose arcature filo acide per un risultato che gioca con perizia sui contrasti, “DeepOrg” solletica l’ascolto con pennellate chiare su fondo scuro, “AltVers” tira il sipario con una serie di soluzioni che sembrano uscire dal catalogo Irma o MBG International Records. Il tutto a 120 bpm, le pulsazioni di un sogno sincronizzato sulla musica della discoteca di un tempo che fu.

The Exaltics - Das Heise Experiment - The Remixes

The Exaltics – Das Heise Experiment – The Remixes (Solar One Music)
Escono su vinile arancione marmorizzato quattro remix di altrettanti brani tratti dall’album “Das Heise Experiment” che The Exaltics pubblicò nel 2013 sulla britannica Abstract Acid. “Dreizehn” diventa “Dreizehn Habits” e rivive per mano degli ADULT. in un trattamento che ripialla la materia ritmica e la interfaccia a rigonfiamenti new wave, “Sieben” viene riletta da Gesloten Cirkel (l’unico remixer qui a non essere nativo di Detroit) in un moto sussultorio con darkismi funerei, “Acht” è ciberneticizzata da K1 (Keith Tucker) e per finire “Zwoelf” rimodulata da Arpanet arpionando atmosfere ambientali e geometrismi post kraftwerkiani. Dedicato ai collezionisti è invece il box set pensato per celebrare il decennale dell’album che contiene, oltre ai remix sopra descritti, la riedizione dell’album stesso in colore bianco, un 7″, un CD, una cassetta, una collection di file, un fumetto, un poster e degli adesivi. Appena cento le copie, già sold out ovviamente.

Dopplereffekt - Infinite Tetraspace

Dopplereffekt – Infinite Tetraspace (Curtis Electronix)
Trincerato dietro Rudolf Klorzeiger, Gerald Donald torna ad animare uno dei progetti più apicali della sua carriera, Dopplereffekt, pietra angolare dell’electro dell’ultimo trentennio, affiancato per l’occasione dalla moglie Michaela To-Nhan Barthel e da una certa Beatrice Ottman. Il disco è diviso idealmente in due sezioni: la prima si muove su materie ritmiche con “Programmable Organism” ed “Entity From Tetraspace”, segnate da riverberi metallici, striscianti bassline, effetti che salgono e scendono a spirale, arpeggi velenosi e un brillante impasto cromatico; la seconda invece si tuffa nelle ambientalizzazioni attraverso “Tachyon Intelligence”, un sogno-incubo, e “Computronium”, immersa in un’atmosfera pensosa e fantascientifica. A pubblicare il 12″ è un’etichetta italiana, la barese Curtis Electronix, che negli ultimi anni si è fatta notare in primis per le produzioni di CEM3340 ma ospitando pure diverse incursioni estere di artisti come Detroit’s Filthiest, Galaxian e DJ Overdose.

Global Goon - Nanoclusters

Global Goon – Nanoclusters (Central Processing Unit)
Sebbene non sia proprio recentissimo, questo mini album che Jonathan Taylor firma col suo moniker più noto non merita affatto di passare inosservato nel diluvio quotidiano di nuove pubblicazioni. L’artista britannico si diverte a flirtare con più riferimenti stilistici, come del resto faceva già negli anni Novanta nelle prime apparizioni su Rephlex. In “Nanoclusters” regna un pulsare dinamico di emozioni, ora rivelate da scuffiate sintetiche (“Khroxic Mould”), poi da irradiamenti dark (“Metallik”), varchi armonici malinconici (“Syntheseers”, “Digit Six”, l’eccelsa “Calcula” che lascia dietro una scia cosmica siderale) e pure sapienti lavori sui filtri che sottolineano i movimenti arcuati dei suoni (“Metro Esc”). Non manca il volo nel freestyle agghindato di funky (“Snapterisk”) e persino un’escursione in madide ruderie in botta hardcore (“Metal Glass”), dalle cadenze ritmiche più accentuate.

Various - You Can Trust A Man With A Moustache Vol. 5

Various – You Can Trust A Man With A Moustache Vol. 5 (Moustache Records)
Analogamente a quanto avvenuto col Vol. 4 del 2022, anche questo quinto atto della serie “You Can Trust A Man With A Moustache” sta destando attenzioni così forti da mandare in sold out la tiratura di 500 copie a pochi giorni dall’uscita e, conseguentemente, alimentare le speculazioni da parte dei venditori privati. Difficile poi capirne poi il perché visto che si tratta di un various dignitoso ma privo di particolari slanci da renderlo un must have. Dentro c’è l’italo disco 2.0 di Tending Tropic (“Hondebrok”), l’electro house che Cafius ha scolpito riciclando il riff di un classico eurodance dei Le Click (“Tonight Is The Night”), la post EBM degli Im Kellar (“Not To Be Compromised”) e per finire una versione sotto steroidi che Adrian Marth ricava dall’eurodisco (“Icon Of The Night”). Un 12″ senza infamia e senza lode, che pare uscito dagli anni che seguirono il boom electroclash.

The Hacker - No Senor

The Hacker – No Señor (Italo Moderni)
Michel Amato non ha mai fatto mistero della sua viscerale passione per la new wave e l’industrial più oscure e tenebrose parimenti a tutta la scuola EBM, e questo disco, uscito da poco sull’iberica Italo Moderni, ne è ulteriore testimonianza. “No Señor” ripesca a piene mani dal campionario di Liaisons Dangereuses, Cabaret Voltaire, No More, Front 242, D.A.F. e soprattutto Nitzer Ebb (mettete su “Let Your Body Learn” e magari provate a mixarli insieme) e l’effetto viene ulteriormente riverberato nel remix di Terence Fixmer, un altro che in tempi non sospetti rimise mano a tutto quel repertorio declinandolo in chiave technoide e ottenendo quella che fu ribattezzata TBM (techno body music). A completare il quadro le due parti di “Me & My Sequencer”: la prima con l’aggiunta di tocchi di matrice dopplereffektiana, la seconda con un piglio ancora più militaresco con vampate di spippolamenti analogici.

Abyssy - Extra Meta

Abyssy – Extra Meta (New Interplanetary Melodies)
È un progetto decisamente sostanzioso quello messo in piedi da Andrea ‘Mayo Soulomon’ Salomoni che torna sull’etichetta fiorentina di Simona Faraone (intervistata qui) con un album, in uscita il 22 febbraio, a cui si aggiungerà un EP il 14 marzo. Mediante un ricco armamentario fatto di intramontabili cimeli che, alla stregua dei migliori whisky, più invecchiano e più diventano ambiti (dai classici Roland – MC-202, TR-808, TR-909, Juno-60 – a Yamaha DX100 passando per Korg MS-10 ed E-mu SP 1200), il compositore bolognese colloca le sue opere in scansioni ritmico-armoniche non convenzionali e si lancia a capofitto in un’avventura che muove più corde dei suoi gusti e sensibilità. Si fluttua su materie gassose e ritmi destrutturati (“Samba Temperado”, “Quantum”, “Vectrex”) ma poi si torna coi piedi per terra per marciare insieme a grovigli di ricordi chicagoani (“Mars Trax”, “Acid Rio”, “A Mixed Feeling”) e poi attivare la connessione con la rivisitazione di stilemi italo disco (“Italodoppler”) ma con l’aggiunta di elementi onirici. Nell’EP Salomoni infonde altre tangibili prove del suo talento, prima disegnando arazzi kraut di göttschinghiana memoria (“Busy Line”, “C3C6”, un possibile omaggio al monolitico “E2-E4”?) e poi rituffandosi nelle atmosfere soleggiate e ridenti di un suono meticcio tra house e italo disco (“Lower Milky Way”). A tutto questo si sommano quattro ulteriori tracce destinate al solo formato digitale, “Supernova”, “Ordinateur Numerique”, “Choices” e “Drumatic”, tra iniezioni di theme music, divagazioni low-fi, esplorazioni ambientali issate su scheletri ritmici e misteriosi tam tam che rompono il silenzio delle oscurità spaziali.

Innershades - Explorer EP

Innershades – Explorer EP (Altered Circuits)
Terza apparizione su Altered Circuits per Thomas Blanckaert che in questo extended play continua a spingere verso l’alto una techno frammista a preponderanti elementi electro. I riferimenti a Detroit si palesano proprio nella title track, “Explorer”, un susseguirsi di lanci melodici e cortine fumogene filo acid su una rete ritmica in sincopi. L’aderenza allo stile della Città dei Motori si rende ancora più evidente in “Aquaculture”, un incrocio tra il primo Atkins su Metroplex e il suono acquatico dei Drexciya e il titolo, in tal senso, non lascerebbe adito ad alcun dubbio. Dallo stesso ceppo il prolifico produttore belga ricava pure “Super 6” e “Unknown Depths”, ulteriori slanci verso quel suono che, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, ha fatto sognare un’intera generazione facendole sentire l’accelerazione del futuro ben prima dell’arrivo di internet, degli smartphone o dell’intelligenza artificiale.

(Giosuè Impellizzeri)

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Dieci brani del repertorio di Claudio Coccoluto che forse non conosci

Life

Life – For What Is It To Love? (1987)
Life era una band di Formia innamorata di gruppi come Talk Talk, Spandau Ballet o Duran Duran. Nati da un’idea del batterista Stefano De Blasio, il bassista Roberto Vellucci e il cantante Alessandro Lucci, arrivano a Coccoluto, ancora residente a Gaeta, attraverso amici comuni. «Dopo aver ascoltato i nostri pezzi si propose per elaborarne delle parti in un modo diverso dal solito» racconta qui De Blasio. «La prima cosa nostra su cui mise le mani fu “Secret Memories”, pubblicato nel 1986 e incluso nella compilation “Live At The Blue Angel”. Il ricordo del suo magistrale lavoro col campionatore (un E-mu Emulator II acquistato nel 1984 per ben 17.000 dollari, nda) su voci e cori è ancora nitido nonostante siano trascorsi oltre trentacinque anni». Dopo “Secret Memories” tocca dunque a “For What Is It To Love?” di stampo new wave/new romantic, pubblicato dalla Blue Angel Records nel 1987 e per cui Coccoluto, menzionato nei crediti come Cocco Dance, effettua il lavoro di remix ed editing, ruoli ai tempi affidati ai DJ col fine di ravvivare le parti ritmiche e rendere il risultato più ballabile e adatto alle esigenze in discoteca. In tal senso è indicativo ascoltare l’Extended Version e la Dub Version le cui stesure sono ricche di misure che facilitano il mix in entrata e uscita, oltre a break conditi con scratch che accentuano l’idea di movimento. Gesti istintivi e primordiali di un DJ produttore dalla creatività spontanea. A oggi rimane la produzione più datata accreditata all’artista gaetano.

Jinny

Jinny – Never Give Up (Hype Remix) (1992)
Partito in sordina nel 1990 con “I Need Your Love” ma esploso (all’estero) l’anno dopo con “Keep Warm” come raccontato qui, Jinny è uno dei tanti studio project che animano le pubblicazioni dell’Italian Style Production di cui parliamo dettagliatamente in questa monografia. Nel ’92, proprio con “Never Give Up”, il marchio trasloca sulla label principale del gruppo guidato da Giacomo Maiolini, Time, oggetto di un rebranding e di una rinumerazione del catalogo. Cantato da Debbie French, il brano è scritto e prodotto da Walter Cremonini, Alex Gilardi e Claudio Varola, prossimi al successo internazionale con “Open Your Mind” di U.S.U.R.A., e si inserisce nel filone della post spaghetti house. Uno dei remix solcati su un secondo disco giunto a poca distanza dal primo è quello di Coccoluto, introdotto a Maiolini dall’amico Fabietto Carniel del Disco Inn di Modena che, contattato per l’occasione, rammenta di aver parlato col boss della Time al telefono: «ci bastavano appena due minuti per trovare un accordo». Coccoluto smonta l’apparato originario e isola frammenti delle parti vocali per utilizzarle alla stregua di inserti ritmici e poi lanciarsi in una sovrapposizione tra il prog britannico, l’italo nostrana (con qualche occhiata agli arrangiamenti di “Everybody Everybody” dei Black Box) ed echi funkeggianti, una commistione in cui predominano comunque suoni brillanti e luminosi. Il titolo della versione è Hype Remix, probabile tributo all’Hipe Club di Caserta dove Coccoluto si esibisce spesso ai tempi. «Claudio venne in studio da noi, a Brescia, per realizzare quel remix» ricorda qualche anno fa Alex Gilardi. «Anziché adoperare la Roland TR-909, usata praticamente da tutti, decise di costruire il groove con la sua drum machine che portò appositamente, una E-mu SP-12 Turbo». Il 12″, che annovera una seconda versione del britannico Philip Kelsey alias PKA, è facilmente reperibile sul mercato dell’usato per pochi euro ma curiosamente qualcuno, il 7 dicembre 2022, ha speso 113 € per accaparrarsene uno su Discogs. La collaborazione con la Time non si esaurisce con Jinny: dopo aver mixato la compilation “Atmosphera – Best Of Garage”, Coccoluto realizza il remix per “Been A Long Time” di The Fog (di cui parliamo qui), preso in licenza dalla Miami Soul e finito su etichetta Downtown. Seguirà, nel 1998, un altro remix, quello per “Another Star” di Coimbra, pezzo nato nel solco del successo internazionale di “Belo Horizonti”.

Jamie Dee

Jamie Dee – Get Ready (Coco Deep Dub) (1993)
La romana Marina Restuccia alias Jamie Dee, figlia del noto batterista Enzo, viene introdotta alla Flying Records nel ’91 da Paul Micioni, come ricorda Angelo Tardio, co-fondatore del gruppo discografico campano. Il brano di debutto è “Burnin’ Up” prodotto da Roberto Ferrante, lo stesso che si occupa di “Memories Memories” insieme ai cugini Frank e Max Minoia, reduci dallo strepitoso successo ottenuto con Joy Salinas di cui parliamo qui. Dopo “Two Time Baby”, con cui il team di produzione prende le misure di un nuovo segmento stilistico più votato all’eurodance, arriva “Get Ready” che cerca apertamente il successo mainstream. Sul lato b del disco trova spazio la Coco Deep Dub, rivisitazione che mette da parte gli istinti pop a vantaggio di soluzioni che, nella parte centrale, sfiorano formule garage. In rilievo l’elaborazione di alcuni vocalizzi che citano, in modo neanche troppo velato, una club hit di qualche tempo prima, “Deep Inside (Of You)” di Shafty, pubblicata dalla Heartbeat a cui abbiamo dedicato qui un’accurata monografia. Tra pianoforti segati col campionatore, tappeti atmosferici e brevi accenni di sax, scelti forse per creare una connessione con “Angels Of Love” di Cocodance di cui parliamo qui, Coccoluto trasforma letteralmente il brano di partenza dotandolo di uno sfondo illuminato da folgorazioni, ora incandescenti, poi fredde, e rendendolo appetibile per le piste “che adorano l’underground”, una dimensione agli antipodi per il prosieguo artistico di Jamie Dee che prima passa alla X-Energy Records e poi imbocca definitivamente la strada del pop come Marina Rei.

Alma Latina

Alma Latina – To Get Up (1994)
Negli anni Novanta i DJ si sbizzarriscono nel creare musica e siglarla di volta in volta con alter ego diversi. Ciò avviene per evitare di inflazionarsi a causa della prolificità, per marchiare itinerari stilistici differenti ma anche per svincolarsi da eventuali esclusive discografiche. In questo caso Coccoluto è alle prese con un pezzo costellato da riferimenti latini, frammenti di fiati, percussioni, scampoli vocali: Alma Latina pare davvero lo pseudonimo più pertinente e adatto. Nella Cocodeepdub, lunga circa dieci minuti, il DJ centrifuga l’infinita passione per il vibe caraibico intrecciandolo a tessiture house, alla base dell’elaborazione del suo linguaggio stilistico. Con l’aiuto dell’amico Dino Lenny nelle vesti di ingegnere del suono, il calore della musica brasiliana si scontra con la (presunta) freddezza del sound pilotato dal sequencer e generato dalle batterie elettroniche. Sul lato b “To Get Up” si ripresenta nella Hard Mix a cura di Paolo Martini, affiancato per l’occasione da Ricky Birickyno e Christian Hornbostel che si occupa delle percussioni: il risultato ha un sapore più britannico che brasiliano, con volteggi centrali in aree progressive attraverso patch sinuose e accattivanti. Spazio infine alla Dub Mix di Savino Martinez che si lancia a capofitto in un tool ricolmo di strappi sampledelici a incorniciare una stesura fatta di efficaci start e stop, speziati ovviamente col solito vibe percussivo, autentico marchio di fabbrica per tanti brani usciti dall’HWW Studio di Cassino. «Si trattò dell’ennesimo pezzo nato dalla fusione di generi e colorito dalla spasmodica ricerca dei sample» racconta oggi Martinez. «La nostra vocazione per suoni diversi dalla house classica che funzionava per la maggiore in Italia in quel periodo probabilmente giocò un po’ a svantaggio, tante cose non vennero capite e passarono inosservate, proprio come avvenne ad Alma Latina». A pubblicare il disco è la Looking Forward, tentacolo house della LED Records di Luigi Stanga che ha provveduto a diffonderlo in formato digitale nel 2008.

Sunhouse

Sunhouse – The True Adventure Of Sunhouse (1995)
Creato sull’asse Italia-Gran Bretagna, Sunhouse è il progetto messo in piedi da Claudio Coccoluto e il collega d’oltremanica Ashley Beedle, ai tempi tra le menti dei Black Science Orchestra ed X-Press 2 su Junior Boy’s Own. Ad aprire le danze è “The First Adventure”, pezzo dal titolo chiarificatore che snocciola il consueto vibe percussivo, tra i trademark coccolutiani, abbinato a un hook vocale d’antan di Chuck Roberts che funge da articolazione per segmenti melodici. Derivata dalla stessa idea è “The CocoDub Adventure” in cui le atmosfere si incupiscono puntando a una maggiore dose di ipnotismo ottenuto attraverso la ripetizione ossessiva del “jack your body” di chicagoana memoria. Pubblicato dalla Nite Stuff fondata da Maurizio Clemente e Massimo Maga, che in catalogo aveva già dischi di Jovonn, Mike Dunn e Ralphi Rosario, “The True Adventure Of Sunhouse” resta l’unico episodio con cui Coccoluto e Beedle cooperano nello stesso studio, coadiuvati dai “soliti” Lenny e Martinez. Quest’ultimo aggiunge a tal proposito: «ricordo con piacere quei due/tre giorni trascorsi nel nostro studio con Ashley, il disco rappresenta perfettamente il risultato finale di un lavoro corale».

Dana Dawson

Dana Dawson – 3 Is Family (The Wedding Remix) (1995)
Nell’ambiente discografico sin da adolescente, Dana Dawson conosce l’apice della popolarità nell’estate del 1995 grazie a un fortunato remix firmato Dancing Divaz. Come descritto qui, il pezzo viene velocizzato e trascinato su una base disco house impostata su un ammaliante giro di pianoforte che pare citare “Drive My Car” dei Beatles e che forse ispira “Gimme Fantasy” dei Red Zone da cui nel 2002 Gianni Coletti trae il suo più grande successo. Entrato nel mainstream, “3 Is Family” rivive in una versione che devia per lidi diversi, il Wedding Remix di Coccoluto che, affiancato dal fido Martinez, ricostruisce nell’HWW Studio il brano della compianta cantante statunitense, sovrapponendo le felici pianate a un beat più serrato che nella parte centrale si increspa e ingloba armonie severe affogate in un mood dal gusto tipicamente britannico. Tranciata da più break e piroette di campionamenti di “We Are Family” delle Sister Sledge che giocano con l’assonanza fonetica del titolo, la versione riprende brio nella parte finale in cui riaffiora il pianoforte in una salsa più energetica ma non disperdendo la visione serena e gioiosa del pezzo originale. Il tutto pubblicato su un doppio mix prodotto dal DMC per la serie Remix Culture, volume 151, che annovera, tra gli altri, le rivisitazioni di due brani partiti dall’Italia, “Think Of You” di Whigfield e “Boom Boom Boom” degli Outhere Brothers.

Visions

Visions – Coming Home (Claudio Coccoluto Vocal Mix) (1996)
Appartenente a una serie di brani scritti a Detroit da Anthony Shakir e prodotti da Juan Atkins, poi rilevati da Angelo Tardio per la Flying Records che ne deteneva i diritti di esclusiva nel mondo a eccezione degli Stati Uniti, “Coming Home” viene pubblicato inizialmente nel 1993, per l’appunto su Flying Records. «Claudio se ne innamorò letteralmente e iniziò a suonarlo in modo sistematico nei suoi set» rammenta oggi Tardio. «Col passare del tempo crebbe in lui la voglia di personalizzarlo e quindi realizzare un remix, cosa che effettivamente avvenne, e fui io stesso a fornirgli i sample». Nel 1996 il remix in questione finisce nel catalogo della Stress fondata da Dave Seaman che aveva interpellato il DJ laziale già l’anno prima affidandogli una versione di “Turn Me Out” di Kathy Brown. La Vocal Mix di Coccoluto tutela, come suggerisce il titolo stesso, la voce di Dianne Lynn, riposizionata su un tappeto su cui collimano fraseggi jazz e tipiche modulazioni deep stemperate nell’oscurità. Il DJ realizza anche una seconda versione quasi interamente strumentale e intitolata Claudio Coccoluto Dub, forgiata su spunti ritmici tribaleggianti sui quali si innesta un’impalcatura di tanto in tanto sferzata da deviazioni funky. Dieci minuti al galoppo in cui si sentono distintamente le influenze del nostro ma che, per qualche ragione, la Stress decide di relegare al solo formato promozionale e a un triplo mix in edizione limitata destinato ai collezionisti. Il 20 agosto del 2021, a pochi giorni da quello che sarebbe stato il 59esimo genetliaco dell’artista, esce un remake di “Coming Home” intitolato “Visions (A Tribute To Claudio Coccoluto)”: a realizzarlo è il suo amico Gianni Bini.

Sesso Matto

Sesso Matto – Sessomatto (Do You Think I’m In Sexy Mix) (1997)
A scrivere il brano originale è Armando Trovajoli per il film del 1973 “Sessomatto” diretto da Dino Risi. Tre anni più tardi sul mercato arriva una versione riadattata per le discoteche da Jimmy Stuard, astro nascente del DJing newyorkese (per approfondire rimandiamo a questo articolo di Max De Giovanni) morto giovanissimo in circostanze tragiche dopo un incendio. Oltre a passare alla storia per essere stato il primo a essere pubblicato dalla West End Records di Mel Cheren, tra i finanziatori del Paradise Garage, il disco diventa un must per i DJ hip hop che si cimentano con la tecnica dello scratch grazie ai fantasismi ritmici inseriti da Stuard, incluse parti in reverse. Circa un ventennio più tardi l’etichetta milanese Right Tempo, fondata da Rocco Pandiani che riscopre in assoluto anticipo i tesori della musica italiana destinata prevalentemente al cinema e alle sonorizzazioni, pubblica “Experience”, raccolta di remix di “Sessomatto”. Edita dalla sublabel Temposphere nella serie Easy Tempo in triplo vinile e CD, “Experience” offre nuove visioni e prospettive del pezzo di Trovajoli attraverso rivisitazioni oblique tra cui quelle di Coccoluto. «Inizialmente Claudio mi contattò perché gli erano piaciute molto le uscite Easy Tempo» rammenta oggi Pandiani. «Era un vero uomo di musica, dall’immensa cultura, eterna curiosità e doti umane straordinarie. La sua perdita è stata devastante, ho pianto tutto il giorno. Ancora oggi faccio fatica ad accettare che non ci sia più, ma forse è sbagliato affermare ciò. Come disse Salvador Allende, di noi rimarrà ciò che abbiamo donato agli altri e lui ha dato davvero tanto, musicalmente e non. Posso tranquillamente dire che la sua collaborazione con Right Tempo ha fortemente contribuito alla diffusione internazionale dell’etichetta». Oltre alla Do You Think I’m In Sexy Mix, registrata insieme al sodale Martinez col supporto di Fabrizio Bianco alla chitarra e con l’editing di Gak Sato, Coccoluto realizza, come è sua abitudine, pure una seconda versione, la Do You Think I’m In Dub Mix a 123 bpm, cesellando alcuni elementi e temprando la struttura ritmica. «A quelli per “Sessomatto” vanno aggiunti anche i remix che fece di “Mah-Na Mah-Na” e “Bob E Hellen” di Piero Umiliani finiti sempre su Easy Tempo» conclude Pandiani mentre gli fa eco Savino Martinez: «vivevamo un momento galvanizzante per il successo di “Belo Horizonti” e mettere le mani su musiche di maestri come Trovajoli e Umiliani fu un vero onore nonché una grande opportunità, realizzammo quei remix sapendo di cogliere un’occasione unica».

Rio

Claudio Coccoluto – Rio (1998)
Nel 1998 esplode a livello mainstream il combo disco house che, per una serie di circostanze, la stampa internazionale ribattezza french touch. In realtà di house venata da campionamenti funk/disco ne circola a iosa da anni e a produrla non sono affatto solo i francesi (a cui va riconosciuto comunque il merito di averla portata nelle classifiche di vendita) ma soprattutto americani e britannici e pure qualche italiano come Leo Young e i Tutto Matto di cui parliamo rispettivamente qui e qui. Coccoluto è promotore sin da tempi non sospetti di quel filone inizialmente battezzato nu funk e nel ’98, con l’inseparabile Martinez, appronta nell’HWW Studio un pezzo che si inserisce a pieno titolo in tale suddivisione stilistica. Si intitola “Rio” e all’interno riecheggiano campionamenti tratti da “Rio De Janeiro” di Gary Criss uscito su Salsoul Records circa un ventennio prima, ricollocati in una stesura condita con frustate funk.

Il DAT di Rio (1998)
Il DAT conservato nell’archivio di Savino Martinez con la registrazione di “Rio”

Il pezzo, pare destinato alla milanese Reshape, etichetta house del gruppo Dipiù guidato da Pierangelo Mauri, però non vedrà mai ufficialmente la luce. Un paio di minuti finiscono sul canale Soundcloud della thedub una decina di anni fa, su Discogs invece affiora solamente nel 2021 ma Savino Martinez è perplesso: «non sapevo fossero stati stampati dei test pressing di “Rio”, io non ho mai posseduto una copia e credo che nemmeno Claudio l’avesse. Non rammento neanche le ragioni per cui rimase nel cassetto, forse per difficoltà nell’ottenere il clearance del sample, forse perché volevamo destinarlo alla thedub o forse perché non eravamo del tutto convinti. Tuttavia conservo il brano su DAT quindi non escludo una possibile pubblicazione futura o un re-edit, seppur occorra aggiornare i suoni visto che si tratta di un pezzo prodotto 25 anni fa».

Domani

Claudio Coccoluto – Domani (2007)
«Musica senza filtri che sgorga come dalla sorgente, senza essere imbottigliata. Ecco perché sono un nemico giurato dei CD e degli MP3: la loro facile possibilità di manipolazione e di fruibilità toglie al DJ vero la possibilità della ricerca e il percorso che ogni ricerca richiede col relativo arricchimento culturale. Avere le cose troppo facilmente ne sminuisce il valore intrinseco e, in termini di pathos, ne mortifica il potenziale emotivo». Così si legge nel libro “Io, DJ”, edito da Einaudi nel 2007, scritto da Claudio Coccoluto e Pierfrancesco Pacoda e recentemente ripubblicato in una versione aggiornata e integrata con immagini a cura del figlio dello stesso Coccoluto, Gianmaria. Mai disposto a digitalizzare il suo banco professionale da DJ, Coccoluto non si esime però dal pubblicare musica in formati liquidi come avviene per “Domani”, sbarcato in Rete il 5 gennaio 2007. Cinquantesima uscita su thedub, la traccia è tra quelle realizzate in solitaria, senza l’apporto di Martinez, e proietta l’ascoltatore in una dimensione in cui la componente sonora vive sotto una campata di malinconia e mestizia mentre il tracciato ritmico elude la tradizionale programmazione destinata alla musica da ballo. L’autore dipinge, alla stregua di un pittore, un paesaggio pregno di emozionalità ma il timing limitato a poco più di una manciata di minuti fa del tutto una fuga breve ed estemporanea verso lidi che respingono i confini della house. Rimasto disponibile su Apple Music, Amazon Music e Spotify, “Domani” scruta dunque verso nuovi scenari forse pensando a ciò che sarà e verrà (e il titolo, in tal senso, assumerebbe un significato più che pertinente) e rispolvera l’entusiasmo compositivo di circa quindici anni prima, quando le potenzialità espressive della house music sembrano non finire mai.

Sulle medesime latitudini esce, proprio oggi, “Trip”, un’escursione sui pendii scoscesi del downtempo e del future jazz, con broken beat ricchi di modulazioni caleidoscopiche, accelerazioni e dilatazioni protese verso soluzioni ambientali, rumorismi glitch e immancabili frammenti di scorci latini affogati in misture astrattiste. Un progetto che scardina la prevedibilità e ci consegna un Coccoluto differente rispetto a quello acclamato dal grande pubblico delle discoteche, con un piglio più vicino ad artisti tipo Trüby Trio, Minus 8, Tosca, Mo’ Horizons, Jan Jelinek, Thievery Corporation, Jazzanova, Fauna Flash o Susumu Yokota e di cui si era già avvistato qualcosa in tempi recenti attraverso pezzi come “El Gato Negro”, “Chris The Dog”, “Urban Jungle”, “Querida Playa” e “Doin’ Our Best”, quest’ultimo destinato alla tedesca Compost Records di cui parliamo qui. In tracklist figura una traccia che sfiora l’omonimia proprio con “Domani”, una sorta di preludio rispetto a “Trip”, ossia “DoMai”, psichedelia in salsa leftfield e kraut. Questo album postumo di inediti, composti tra il 2004 e il 2020 come rivelano le note di copertina, apre il progetto “Infinito”, «serie di pubblicazioni atte a raccogliere tutta l’eredità delle registrazioni lasciate al figlio Gianmaria che saranno pubblicate negli anni a venire» (dalle note introduttive diffuse dall’etichetta in fase di lancio). Le opere dei grandi non vengono mai azzerate dalla morte, a cambiare è solo il modo di comunicare coi fruitori che dalla connessione fisica passano a una spirituale. La musica di Coccoluto continuerà quindi a vivere convincendoci che lui sia ancora lì, indaffarato nel suo studio a ideare e calibrare nuove prospettive sonore da autentico discepolo del suono.

(Giosuè Impellizzeri)

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UMM, un’avventura memorabile

Block - Block
“Block” di Block, primo disco pubblicato dalla Flying Records nel 1988

Napoli, 1988: la Flying Records, con la sede al 25 di Via Santo Strato, a Posillipo, pubblica “Block” dell’artista omonimo, un brano a metà strada tra house e hip hop sul modello marrsiano proveniente dal catalogo della britannica Vinyl Solution e prodotto da Jonathan Saul Kane. È il primo tassello di un’incredibile avventura imprenditoriale che durerà circa un decennio e lascerà un profondo solco del proprio passaggio nella scena musicale italiana e non solo. Fondata da Flavio Rossi e Angelo Tardio, la società in accomandita semplice Flying Records opera inizialmente come distributore, importando musica dall’estero e ripubblicando in Italia alcuni titoli stranieri per cui nutre interesse, le “licenze”, allora strategiche e determinanti perché in grado, da un lato, di garantire prestigio, dall’altro, potenziali riscontri economici importanti. Il team della Flying Records brillerà presto sotto questo profilo rivelandosi scaltro nell’individuare con tempismo musica e artisti nuovi su cui scommettere e trasformare il tutto in opportunità di crescita. È il caso di “Let’s Play House” dei Kraze, giunto dopo la hit “The Party”, “Let There Be House” di Deskee, “Wiggle It” dei 2 In A Room e “3 Feet High And Rising”, primo album dei De La Soul. L’attività poi si consolida attraverso la produzione di musica inedita di artisti messi sotto contratto come Joy Salinas, Dino Lenny e Digital Boy, di cui parliamo rispettivamente qui, qui e qui: in breve Flying Records diventa una sorta di polo industriale, organizzato sul modello di grandi realtà estere e mosso da una vocazione che intreccia imprenditoria e creatività.

Tardio nel deposito Flying Records di Posillipo (intro)
Angelo Tardio nella prima sede della Flying Records a Posillipo (1989 circa)

I tempi per la musica da discoteca sono propizi, il mercato è letteralmente invaso da produzioni house e techno e i numeri lasciano intravedere un più che roseo futuro. Ciò permette la nascita e la proliferazione di un numero indefinito di etichette messe nella condizione di poter esprimere il proprio potenziale anche senza cercare necessariamente il consenso del grande pubblico. Questo avviene in virtù della fitta rete di DJ sparsi nel mondo disposti a supportare quel tessuto connettivo che si autoalimenta grazie a continue novità, nomi nuovi e inedite traiettorie stilistiche. La musica underground brulica nel sottosuolo e non ha affatto bisogno di essere gestita come quella delle multinazionali con ingenti investimenti in attività promozionali, tournée nazionali e internazionali o costosi videoclip. Gran parte dei mix è priva persino della copertina, rimpiazzata da generiche bianche o nere col buco centrale, economiche ma pratiche perché consentono ai DJ di consultare istantaneamente i titoli. In buona sostanza si tratta di musica che nasce e vive di passione, senza sovrastrutture legate al divismo da stadio pop/rock, immessa sul mercato talvolta macinando poche centinaia di copie ma a volte svariate migliaia, a seconda di particolari condizioni. Nella maggior parte dei casi, inoltre, il nome degli autori è celato dietro alter ego di fantasia, totalmente anonimi, e questo rende il tutto ancora più viscerale perché disconnesso da fidelizzazioni di sorta, ma del resto la storia di generi come house e techno è ancora agli inizi e sono davvero pochi gli artisti a vantare repertori discografici di rilievo. Proprio in questa dimensione nel 1991, tra le mura della Flying Records, nasce UMM, acronimo di Underground Music Movement, l’etichetta che Angelo Tardio, ex DJ in discoteca, nelle radio private e con qualche esperienza sul piccolo schermo, crea con lo scopo di dare voce alla musica che più gli piace, non tenendo conto delle classifiche, delle esigenze e delle richieste del mercato mainstream, coperte invece dal brand omonimo del gruppo campano, Flying Records per l’appunto.

UR feat. Yolanda
“Living For The Nite” di Underground Resistance Feat. Yolanda, prima licenza messa a segno da UMM nel 1991

1991, fiammata rave
A tagliare il nastro inaugurale della UMM è un disco prodotto tra Perugia e Londra dai D.B.M., apparente duo formato da Kurt D.J. e Giulio Benedetti. Il brano si intitola “Real Dream” e pesca a piene mani dal repertorio ravey, con spezzettamenti ritmici breakbeat, voci campionate, pianate e qualche stab ad acuire la tensione. Simili le coordinate entro cui è inscritto “The Voice Of Rave” del progetto omonimo dietro cui armeggia il ligure Luca Pretolesi, giunto da poco alla Flying Records come Digital Boy. In rilievo uno dei pezzi sul lato b, “Raveology”, dove pulsa un groviglio di ritmo e bassline rivelando la sua potenza insieme a voci gutturali, probabilmente quelle dell’MC di Pretolesi stesso, l’americano Ronnie Lee, il futuro Ronny Money ed MC Rage di cui parliamo qui. Dopo una doppietta italiana sul piatto arriva la prima licenza messa a segno da Angelo Tardio, “Living For The Nite” degli Underground Resistance, un disco proveniente da Detroit dalle matrici house interpretato vocalmente da Yolanda Reynolds che riporta ai grandi successi ottenuti pochi anni prima da Kevin Saunderson e Paris Grey come Inner City. Tra i remix pubblicati a distanza di qualche settimana, oltre alla Deep In The Nite Mix approntata dallo stesso Tardio sotto l’alias Funk Master Sweat, due sono firmati da Digital Boy che così ripaga quello che gli Underground Resistance realizzano per la sua “This Is Mutha F**ker!”. Detroit è una parola di riferimento per chi ai tempi opera in ambito house/techno come Ivan Iacobucci, da Bologna: il suo EP, intitolato “Detroit 909” e firmato KGB, è un anello di congiunzione tra l’italo house sognante e più agitate partiture ritmiche. Alla delicatezza della title track si contrappone la ruvida “Scream (Wake Up!)” che riagguanta il mood rotolante di “Theme From S-Express” di S’Express con un graffiante vocal (di A Bitch Named Johanna?), e la percussiva “Bondage” sul lato b, con slanci technoidi. Chiari riferimenti al modello della musica rave si incontrano anche nell’EP di Tony Carrasco intitolato, per l’appunto, “Selections From The Rave”: il DJ newyorkese, con esperienze maturate al mitico Studio 54, mette a segno pezzi di estrazione eterogenea, dalla sinuosa “Trip City” alla rilassata “Funky-Ology” passando per l’ossessiva “Time Bomb (I Can’ttt Wait)” e la deliziosa “Swiss Chocolate” scritta insieme al sassofonista Nicola Calgari con cui continua a collaborare per “The System” di The Faust, a cui mette mano anche Andrea Panigada. Maggiormente proiettato nel cosmo technoide, il disco vede l’inserimento di parti rappate di Fausto Guio, da Brooklyn, seppur il suo nome non figuri tra i crediti. Il medesimo team appronterà nel Bips Studio di Milano un secondo disco che UMM pubblica nel corso dell’anno, “Buckwild”.

A metà strada tra house e techno è anche “Angel Of Love” di Jo Smith, cantante britannica diventata nota anni dopo interpretando pezzi eurodance (su tutti “Wonder” di Cerla & Moratto) per l’occasione prodotta da Paolo Casa col supporto del citato Elvio Moratto e Fulvio Zafret e remixata a Roma da Luca Cucchetti. Viene proprio dalla Capitale “Secret Doctrine” di The True Underground Sound Of Rome Featuring Stefano Di Carlo, collettivo fondato da Chicco Furlotti e animato dai DJ Leo Young e il compianto Mauro Tannino. Messo inizialmente in circolazione dalla Male Productions in formato promozionale, viene ripubblicato da UMM con l’ambizione di diffonderlo più capillarmente oltremanica e oltreoceano. Proviene giusto dagli States “These Are My People” dei Members Of The House, un disco house/garage partito dalla Shockwave Records (la stessa sulla quale, poco tempo dopo, debuttano i mitologici Drexciya con “Deep Sea Dweller”) e prodotto dagli Underground Resistance, lieti di riapparire sulla label di Tardio a poca distanza da “Living For The Nite”. Torna pure Iacobucci, questa volta come DJ Ivan, con “All Night” prodotta insieme a Enrico Mantini, a cui fa seguito “Your Body” con cui Iacobucci stringe la collaborazione con Nicola Dragani e Andrea Cosma. Seppur ascritto ancora a quella (club) house italica, riscaldata da fiati ed eterei pad, in “Carbonized (You Gotta Put Me On)” vibrano linee ruvide che lambiscono l’acid, contestualmente a balbettanti frammenti vocali. A produrlo, dietro il nome Aspro Marinetti, è il torinese Stefano Righi meglio noto come Johnson Righeira e passato alla storia con l’amico Stefano Rota coi Righeira. A bazzicare contemporaneamente house e techno è pure Emanuele Luzzi alias Onirico col suo “Stolen Moments” a cui abbiamo dedicato qui un ampio approfondimento. Tra i più ricercati del catalogo, l’EP è stato ristampato un paio di volte, l’ultima nel 2022. Le porte di UMM si aprono anche per Lino Lodi e Stefano Mango che nel loro S.MA.L.L. Studio di Maniago, in provincia di Pordenone, assemblano “Check It Out” di Eighteenhours, avvalendosi di un remixer d’eccezione, Mr. Marvin, che cura le due versioni dai toni sensuali sul lato b. Lodi e Mango proseguiranno la carriera prediligendo un suono crossover (Face The Bass, Pan Position, Express Of Sound tra i loro act più noti) e lasciando nel dimenticatoio Eighteenhours. Dal Veneto arrivano i fratelli Gianni e Paolo Visnadi con “NOFutureNOPast”, quasi un mini album tante le tracce racchiuse all’interno, ben sei, con divagazioni tribaleggianti (“Hunts Up”), luccichii trance (“Asaid Asaid”), affondi downtempo (“Dreams”, “The Good Place”). Romana invece la provenienza del disco dei G.M. (G per Giancarlino – Battafarano, M per Micioni – i fratelli Pietro e Paolo), un quattro tracce da cui emergono l’estatica “L.O.V.E. Ambient” e “You Got Your Love” in cui fa capolino la voce di Giulia Puzzo alias Julie P., pure lei dalla Città Eterna. La prima annata di UMM, dunque, rivela un’attività tentacolare: Tardio ha le idee chiare su che musica investire denaro e risorse, sia quella importata dall’estero, sia quella prodotta entro i confini nazionali, e questo ribalta la sua posizione da sfegatato esterofilo emersa ai tempi di Musical Soup su Telepartenope nel 1981, quando poco più che ventenne viene definito “Il Mister Fantasy del Vesuvio” paragonato a Carlo Massarini e passa in tv i pezzi di Adam And The Ants e di altri gruppi new wave britannici.

1992-1993, esplosione underground
I fratelli Visnadi dimostrano di avere un mucchio di frecce al proprio arco e tirano fuori un altro EP da sei tracce che firmano CYB, “Snake Bit”, trainato dal brano omonimo, una serpentina ipnotica spinta a lambire il bleep e l’acid. Poi stab nervosi (“Ovverture”), un’altra scorribanda all’interno di un suono gommoso ed elastico (“Five”) e una visione deep house velocizzata (“Unisound”). Spietata techno hooveristica si ritrova in “Fury” degli Underground Resistance, un’altra licenza tratta dal catalogo dell’etichetta detroitiana che sul lato b vede l’altrettanto ciclonica “Cyclone”. Provenienti dall’estero sono pure “Endangered Music” di Endangered Species, un disco particolare ai confini tra jazzdance e deep house partito dalla britannica V4 Visions, e “Strong To Survive / Fuck You Up” di Blake Baxter, originariamente sulla Incognito di Detroit. Completamente italiana invece la produzione di “Desafinado” a firma Rhythm 3 Request, team veneto in cui figurano Paolo Verlanzi e Vic Palminteri che nello Yellow Studio di Jesolo approntano un dolciastro anthem italo house issato su un pattern tribaleggiante, forse ispirato da “Koro-Koro” di No Smoke. Romana invece la produzione del primo volume di Progetto Tribale, nuova avventura di Giancarlino Battafarano e dei fratelli Micioni alle prese con un sound che, come annuncia il nome stesso, attinge a piene mani dalla musica africana. È sufficiente ascoltare “Tribal Makossa” per capire quanto fossero in ritardo coloro che, almeno dieci anni più tardi, si sono illusi di aver creato la corrente tribal house. Suadenti fiati si rincorrono in “Don’t You Ever Stop” di Tranquil, act one shot del newyorkese ma di chiare origini italiane Dino “Blade” Bellafiore. Sul lato b “Smoke Signals” remixata da un altro statunitense figlio di immigrati italiani, Ralph D’Agostino noto come Ralphie Dee. Sono rave techno, con flessioni breaks e urla da stadio, sia le matrici di “F.U.C.K.” di M.A.S.E.R., un’altra produzione proveniente dalla Capitale a cui mette mano pure il compianto Stefano Facchielli alias D. Rad, sia quelle di “Elevator EP” dei Noisee Boyz, da cui si ergono bene pezzi come “Most Illogical” o “Quadra Wave”, ricolmi di suoni a onda quadra collocati in stesure cervellotiche. I Visnadi riappaiono con la dream house di “Don’t Make Me Wait” di EDN a cui segue “Chrystol Dance” di Nu-World, pezzo venato di funk con un sample all’interno tratto da “Crystal World” dei Crystal Grass e preso in licenza dalla Tom-Tom Club d’oltremanica. Verlanzi e soci ritornano col secondo disco di Rhythm 3 Request, “Form The Pages Of Our Mind” (ma è plausibile che per un refuso il “from” sia diventato “form”), un EP in c’è dolcezza (“Feel The Rhythm”, “Delicious”) ma anche energia percussiva (“Back Frog”). Secondo atto per i capitolini Progetto Tribale intitolato, semplicemente, “Volume 2”, ed è spiccatamente tribaleggiante anche la vena di “Baa. Daa. Laa.” degli A.T.S., (acronimo di African Tribal System) dietro cui si celano i fratelli Maurizio e Michele Divito e Antonio Ursi. A distanza di qualche mese il brano riappare attraverso un paio di remix dei Visnadi. Più aderente al suono soffuso e “foggy” tipico della house prodotta in quel periodo per i club sono i sei pezzi racchiusi nel “Volume 1” dei Transitive Elements, nome che tiene insieme l’asse creativo di Argentino Mazzarulli ed Enrico Mantini. Su tutti spicca la radiosità di “Octivation (Zone Dub)”, ripescata nel 2017 nel secondo volume della compilation olandese “Welcome To Paradise”, e “Artico”, un metti e togli tra ritmo e vocalità. L’utilizzo delle percussioni afro è predominante anche in “Let The Bongos Sing” degli Home-Grown (Miles Morgan e Sean Casey), proveniente dalla Tomato Records. Giunge d’oltralpe (dall’olandese Natural Records) pure “Pot Of Gold” dei Chestnut, house solidificata intorno a slanciate vene percussive e rivista in più remix tra cui quello di Frank De Wulf. È il primo doppio mix per la UMM.

L’attenzione che Angelo Tardio riserva alla sua etichetta è tangibile. Perennemente intento ad ascoltare musica nuova proveniente da ogni angolo del globo, individua un nuovo gruppo britannico, i Lionrock, prodotti dal DJ Justin Robertson, che vuole su UMM con “Roots ‘N’ Culture (Part 1)” e “Lionrock”, per l’appunto, e a ruota “Set Me Free” dei Nightmares On Wax, proveniente dal catalogo Warp Records, e “Life / This” dei Tribal Technology / MAD @ Chris (questi ultimi col supporto vocale di Tori Amos), individuati in una raccolta della t:me di Nottingham. Ralphie Dee & Dino Blade nuovamente in azione con “Calypso Interlude”, altra parentesi aperta sulle infinite potenzialità offerte dalla combinazione tra house e afrobeat. Il brano verrà ripescato l’anno seguente con due remix provenienti dai Paesi Bassi, uno di Maarten van der Vleuten alias DJ G-Spot, l’altro di Hole In One, spinto dal successo di “X-Paradise”. Come un autentico fiume in piena, la UMM intercetta “Nush” dei debuttanti Nush (Danny Harrison e Danny Matlock) e “Samba” con cui Todd Terry avvia un nuovo act, House Of Gypsies. Il DJ newyorkese, tra i guru della house, riappare poco dopo con “Can You Feel It” di CLS, pubblicato prima su un doppio e poi su un singolo destinato ai remix di Giuseppe ‘MAN-D.A.’ Manda, ai tempi venditore per Flying Records, e i Fresh n’ Funk ovvero Carmine Tortora (partner in crime di Tardio nel progetto Kwanzaa Posse) e Roberto Masi dei Blast.

Visnadi - Four Journeys
La copertina di “Four Journeys” dei Visnadi

Tardio continua a credere nelle facoltà compositive dei Visnadi pubblicando “Four Journeys” (all’interno pure una traccia dai riflessi techno prodotta con Floriano Fusato, “Transpassage”), supporta Maurizio Verbeni con “Pump The Voice”, scandito da un esotico xilofono, e il team dei Submission (Ivan Iacobucci, Ennio Carusillo e Sergio Macciocu) che per la loro prima (e unica) apparizione sfoderano un piacevolissimo pezzo garage, “Trouble”. Altrettanto convincente l’esordio degli Statement (tra gli autori i DJ Fernando Opera e Patrizio Squeglia, ai tempi grafico per Flying Records) con “Our Concept”, in cui i confini tra house music, jazz e funk diventano labili. Un altro colpaccio messo a segno da Tardio è rappresentato da “Work In Progress EP” dei britannici Rejuvination (Glenn Gibbons e Jim Muotune), preso in licenza dalla neonata Soma. È il cinquantesimo mix dell’etichetta partenopea. A seguire arriva “Naked” di Alessandro Tognetti, inciso nel Bass Recording Studio di Alex Neri e Marco Baroni. Il brano galleggia sulle classiche atmosfere della italo (deep) house di quel periodo. A spiccare è la Carol Version, scandita da un sax e una suadente voce femminile erroneamente scambiata per quella di Carolina Damas, la venezuelana diventata nota qualche anno prima per “Sueño Latino”. A sgombrare ogni dubbio è lo stesso Tognetti in questa intervista: «La voce era tratta da un’acappella inglese. Optammo per Carol Version perché, banalmente, in quel periodo la mia fidanzata si chiamava Carol». Tardio è sempre sul pezzo: dalla britannica Guerilla prende in licenza “Land Of Oz” degli Spooky e dalla newyorkese One Records “The Conversation” degli Orchestra 7 prodotto da un vero fuoriclasse della house d’oltreoceano, Roger Sanchez. Il materiale accumulato è talmente tanto da riempire una compilation, edita sia su doppio vinile in formato gatefold che CD, intitolata “The Remixes”. All’interno, come è facile presumere dal titolo, solo remix, da Progetto Tribale a KGB e Visnadi passando per House Of Gypsies, Underground Resistance Feat. Yolanda e Blake Baxter. In copertina, sulla vista aerea della costa campana, si rinviene un messaggio in cui Tardio alias Funk Master Sweat prima spiega le motivazioni che lo hanno spinto a creare un’etichetta non disposta a sposare le classiche leggi commerciali e poi rimarca come il termine “underground” sia finito con l’identificare altro nel mercato generalista, in netto contrasto coi dettami di UMM. Per l’occasione promette di restare fedele al credo di partenza e lo dimostra subito mandando in stampa “Dreams EP” di The Neverending Dreams, team di produzione in cui, tra gli altri, spicca il nome del compianto Costantino “Mixmaster” Padovano, “Don’t Give Up” degli Statement, “The Ultimate Result” di Enrico Mantini e “Solution EP Vol. 1” di Stefano Noferini registrato, analogamente a “Naked” di Tognetti, presso lo studio di Neri e Baroni in provincia di La Spezia, da dove proviene pure “Good Time” dei Mantras.

Alex Party - Alex Party
“Alex Party” del progetto omonimo, diventato popolare col titolo “Read My Lips”

Macinando più pubblicazioni al mese, UMM inizia a ritagliarsi un posto di assoluto rilievo tra le etichette house che contano a livello internazionale, e si accaparra altre licenze di pregio, come “Schmoo” degli Spooky (con remix degli Underworld sul lato b), “More Than Just A Dance” di Phantasia alias DJ Pierre, “This Some Bad Weed” dei Soundcraft, “Every Now And Then” di Ralph Falcon e “House Ala Carte” di Jovonn, che di fatto la pongono su un piedistallo e la elevano dal classico fare discografico italiano. La vocazione internazionale è palese, la direzione di Tardio non lascia adito a dubbi di sorta ma senza tradire un certo made in Italy, come quello dei Gradiva con cui i Visnadi allacciano i rapporti col DJ Alex Natale e tirano fuori “To The Funky Beat” che preannuncia lo stile di Alex Party, giunto poco dopo col brano omonimo in cui trovano alloggio uno stralcio vocale preso da “Read My Lips” dei DSK, già riciclato un paio di anni prima dai People In Town, e quello di “Weekend” dei Class Action, coverizzato con successo da Todd Terry nel 1988. Il brano esploderà nel Regno Unito nel 1994 col titolo “Read My Lips”. I Visnadi incidono nuove versioni di “Hunt’s Up” con suoni più elettronici (Christian Zingales, in “Techno”, descrive la Trance Mix come «una psicotica cattedrale sintetica lanciata ad alta velocità verso il nulla dove risuonano a grande effetto le mortali spirali da caduta libera di uno dei sample vocali più letali della storia, quello di “Scream For Daddy” di Ish già usato dagli S-Express in “Theme From S-Express”») e “Moovin’ Groovin'” con cui calano il sipario su EDN. Da Roma si fanno risentire i Progetto Tribale (Giancarlino, D. Rad e i fratelli Micioni) col “Volume 3”, l’ultimo destinato a UMM (il quarto finisce l’anno dopo nel catalogo D:vision). Nel brano di chiusura, “Tribal Thanx”, tributo downtempo a tanti miti della musica, c’è la voce di Marina Restuccia, ai tempi attiva come Jamie Dee e da lì a breve proiettata nella carriera pop come Marina Rei.

Fortemente determinato a proseguire con lo stesso passo, Tardio continua a iniettare linfa vitale nei circuiti della sua etichetta bilanciando produzioni nostrane ad altre importate dall’estero. In rapida sequenza escono “I Know You Can Hear Me”, unica apparizione dei The Miners (Giancarlino, Marco Scocchi e D. Rad), “Pleasures’ EP” dei 2 Guys (apparizione one shot dei Visnadi) trainata dalla estatica “Deep Blue Night”, “The Anixus EP” degli Anixus, richiestissimo sul mercato dell’usato e ristampato pochi anni fa, e “I Want You Now” dei Global Cut (Massimiliano Rovelli, Mimmo Mennito, dipendente Flying Records nel settore import, e Giampiero Mendola). D’oltralpe giungono invece il secondo volume di “Wildtrax” di Wildchild (che un paio di anni dopo spopola con “Renegade Master”), e “I Can’t Get No Sleep” dei Masters At Work Featuring India, originariamente sulla Cutting Records dei fratelli Aldo e Amado Marin e potenziato dal remix di Marc ‘MK’ Kinchen. L’interesse nutrito per la musica di Vega e Gonzalez convince a rilevare anche il loro primo LP intitolato, semplicemente, “The Album”. All’interno pezzi come “Can’t Stop The Rhythm”, “All That” e “The Buff Dance”. Il tutto viene pubblicato sia su vinile (doppio) che CD, scelta condivisa pure per “Gargantuan”, l’album degli Spooky. Doppia è altresì la compilation “Tribute – DJ Collection Vol. 2”, tratta dal catalogo della Hi-Bias Records, riempita con dodici tracce in perenne bilico tra deep house e garage. Dall’etichetta canadese giunge anche “Love Attack” di Groove Sector, progetto del DJ italo svizzero Stéphane Stillavato meglio noto come Willow. “Syxtrax” è un EP che, come promette il titolo, contiene sei tracce erranti tra progressive, trance e techno. A produrle gli infaticabili fratelli mestrini Visnadi che per l’occasione rispolverano il loro progetto più technofilo, CYB. Giungono da Cassino invece, in provincia di Frosinone, i tre amici (Claudio Coccoluto, Savino Martinez e Dino Lenny) che approntano “Friend”. Per l’occasione si fanno chiamare HWW, acronimo di House Without Windows ironizzando sul fatto che il loro studio amatoriale sia talmente piccolo da essere privo di finestre. È un periodo particolarmente florido per i DJ italiani che, sparsi un po’ in tutto lo Stivale, mettono su piccoli studi di registrazione facilitati da prezzi più accessibili delle strumentazioni, alcune tecnologicamente quasi obsolete ma perfette per le nuove forme della musica dance. Da Bologna arrivano i due volumi di “The Grunge EP” degli Underground Ghosts (Ivan Iacobucci e Nick Dragani), da Jesolo “Keep The Children Free”, ultima apparizione per i Rhythm 3 Request probabilmente ispirati dall’ipnotismo di “Plastic Dreams” di Jaydee di cui parliamo dettagliatamente qui, da Palermo i cugini Dario e Mario Caminita con “I Can’t Quite Understand / So Good” di Klaiff, da Pescara Enrico Mantini che, affiancato da Marco Fioritoni, appronta le quattro tracce per il secondo volume di Transitive Elements. Ultima volta su UMM pure per gli Statement con “C’Mon And Get It!”, con un sample carpito a “I Got My Mind Made Up” degli Instant Funk, a cui fa seguito “The Land Of Flux” di 3 Of Us, team perugino che destina tutti i lavori successivi alla SVR – Seven Valley Records. Il brano attinge a piene mani da “Fluxland” dell’omonimo artista olandese (Ramon Roelofs, meglio noto come Charly Lownoise) e conoscerà un successo generalista attraverso un’altra cover messa a segno dagli XL, edita dalla Reflex Records nel 1994.

Fathers Of Sound - Revelation
“Revelation” dei Fathers Of Sound

Tardio non perde mai di vista il mercato estero: dalla Vibe Music di Chicago prende “Strawberry” di Georgie Porgie, impreziosita dai remix di Maurice Joshua e degli UBQ Project (Aaron Smith e Terry Hunter), dalla One Records di New York invece “I Need You” di Nu-Solution, progetto one shot di Roger Sanchez accompagnato dalla voce di Tonya Wynne che conta così tanti remix (tra cui quelli di Ralph Falcon, StoneBridge e del nostro Luca Colombo) da necessitare un doppio mix. Ralphie Dee & Dino Blade approntano il seguito di “Calypso Interlude” ovvero “Deranged EP”, un extended play in cui si intersecano varie traiettorie stilistiche, mentre Maurizio ‘Jazz Voice’ Verbeni inaugura Degression con “Doctor Jazz” in cui, prevedibilmente, scorrono partiture jazzate in un caleidoscopico puzzle di sample. Ai nastri di partenza ci sono i Fathers Of Sound (i toscani Gianni Bini e Fulvio Perniola affiancati da Paolino Bova intervistato qui) con “Revelation”, una traccia che sintetizza le atmosfere nebbiose della prog d’oltremanica con divagazioni detroitiane di UR o Kevin Saunderson. Il disco è un single sided che sul lato b accoglie un disegno inciso per esteso su tutta la facciata, un etched come si dice in gergo. Sono sempre i Fathers Of Sound a occuparsi della produzione sia di “I Can’t Forget You” di Anthony White, cantante originario di Philadelphia che vanta un’apparizione sulla Salsoul Records, “I Can’t Turn You Loose” del ’77, sia di “Inside Out”, brano che segna il debutto discografico di Stefano Noto, affermato DJ fiorentino. Con un flusso produttivo che non conosce soste ed esitazioni, in circa un biennio di attività UMM raggiunge un ambito traguardo, la centesima uscita. Per l’occasione Tardio appronta una raccolta intitolata, per l’appunto, “Cento”, che raduna brani inediti realizzati da artisti che gravitano intorno all’orbita della sua etichetta. Da Alex Neri e Stefano Noferini con “In Progress” a Ivan Iacobucci con “All Right”, da A.T.S. con “Kio Kisinza” a “Love” di MAN-D.A. passando per una nuova versione di “C’Mon And Get It” degli Statement, “Insanity” di Valez remixata dai Fathers Of Sound e “Tribal Acid” di Claudio ‘Cocodance’ Coccoluto. Il tutto viene riversato su doppio vinile e CD, suggellato da una copertina decorata con caratteri argentei in rilievo.

UMM è un marchio consolidato ma il suo fondatore non dorme sugli allori anzi, si pone sempre nuovi obiettivi da raggiungere e questo gli permette di incrementare il catalogo e allargare il roster artistico. Tra i nuovi arrivati ci sono Joy Kitikonti e Francesco Farfa, intervistati rispettivamente qui e qui, uniti come Hoyos Corya: il loro pezzo si intitola “Oyo” e segue la scia della prima ondata progressive toscana, quella che ibrida la house con elementi presi da techno e trance. Un nuovo act è pure quello di Enrico Mantini e Pietro De Rosa, Mood 2 Create, sviluppato su quattro tracce deep house quasi interamente strumentali, riscoperte dall’olandese 4 Lux di Gerd che le ristampa nel 2017. “Victim Of Obsession”, costruita sul campionamento vocale preso da “Set It Out” di Midway, viene pubblicata invece come The White Fluid. La creatività di Mantini è al diapason e poco dopo giunge “The Device EP” con altri cinque brani (tra cui “U Can Use It” e “I Will Be True”) che contribuiscono a definire il filone della house italiana da club dei primi anni Novanta. Non sono da meno Ivan Iacobucci e Nick Dragani che per il “Sea EP” s’inventano un altro pseudonimo, Nottambula, e i fratelli Visnadi che dal cilindro magico tirano fuori “Racing Tracks”, un brano che, come racconta Paolo Visnadi in questa intervista, «fu prodotto di getto, in un pomeriggio, con strumenti come il sintetizzatore Sequential Circuits Prophet-5, un campionatore Kurzweil, un processore di effetti Lexicon PCM 70 e un mixer Soundcraft TS24» aggiungendo che fu suonato dal vivo e tutta la sua struttura venne sviluppata interamente in tempo reale. Contraddistinto da rumori stradali che lanciano un parallelismo con “Autobahn” dei Kraftwerk, “Racing Tracks” viene illuminato di nuova luce nel 2013 da Maceo Plex che lo riedita nel suo “DJ-Kicks” su Studio !K7 per poi essere ristampato nel 2018 dalla romana Mr. Disc Organization. Sul fronte licenze, arrivano “Critical (If You Only Knew)” dei Wall Of Sound (John Ciafone e Lem Springsteen, meglio noti come Mood II Swing), tre nuove versioni di “Little Bullet” degli Spooky, dal citato album “Gargantuan”, “Can’t Stop The Rhythm” e i remix di “When You Touch Me” dei Masters At Work (finiti su un singolo, un doppio e un triplo in edizione limitata), “You Don’t Know” di The Hot Project, con un vocione in stile Louis Armstrong, e “Deep Inside” di Hardrive, una club hit internazionale prodotta da Little Louie Vega, cantata da Barbara Tucker e proveniente dal catalogo Strictly Rhythm poi affidata, per ulteriori tre versioni, ad Alex Natale e i Visnadi. Sono proprio loro ad approntare il nuovo Alex Party trainato da “Nu-Nu-Now” (contenente due brevi campionamenti vocali tratti da “Don’t Make Me Wait” dei Peech Boys e “Let No Man Put Asunder” delle First Choice), rampa di lancio per un suono che nell’arco di qualche anno riesce a conquistare il mainstream. Dal loro 77 Studio di Mestre esce pure “See On” di Roby Sartarelli alias Long Leg. Gianni Bini e Fulvio Perniola si occupano del nuovo di Anthony White, “Love Me Tonight” riproposto un paio di anni dopo con nuovi remix e contenente un campionamento dell’acappella di “Let Me Love You” di Imarri (poi usata dagli Shapeshifters in “Lola’s Theme”), e di “Insanity (The Essence)” di Valez, pregustato in anteprima in “Cento”, poi “Gosp” dei veneti L.W.S. guidati dal DJ Walterino, con un sample trovato in una compilation di musica gospel, e Argentino Mazzarulli che inaugura il moniker A.R.G.E.N.T.I.N.O. con “Keeping Depth EP”, riscaldato di continuo da influssi tribaleggianti. Menzione a parte per “Take You Right” dei Blast, progetto che batte bandiera siciliana portato avanti dal cantante Vito De Canzio alias V.D.C., il DJ Roberto Masi e il tecnico del suono Fabio Fiorentino, destinati a uscire presto dalle tenebre dell’underground.

Blast + CYB
Sopra “Crayzy Man” dei Blast, tra i primi successi internazionali di UMM, sotto “It’s Too Funky” dei CYB, scelto per inaugurare la UMM Progressive

1994/1995, consolidamento ed exploit: il doppio binario di UMM
Il grande boom mainstream dell’eurotechno, scoppiato tra 1991 e 1992, va progressivamente esaurendosi nel 1993. Il pubblico generalista, spesso influenzato dalle programmazioni dei network radiofonici, è in cerca di una nuova tendenza da seguire e la trova nella house music che torna quindi a fare crossover tra i club underground e le maxi discoteche, come avvenuto già alla fine degli anni Ottanta con l’invasione della cosiddetta “spaghetti house”. Un crescente numero di brani nati per un pubblico ristretto di DJ e amatori si ritrovano quindi nelle programmazioni delle radio e persino nelle classifiche di vendita. È il caso di “Crayzy Man” dei Blast che, dopo i tiepidi riscontri di “Take You Right”, vengono proiettati in una scena completamente diversa da quella di partenza. «Buona parte del merito nel successo di “Crayzy Man” va riconosciuto ai Fathers Of Sound che, con la loro F.O.S. In Progress, stravolsero l’originale dotandola di sonorità più aperte e tipiche della house internazionale» afferma il cantante del gruppo, Vito De Canzio, in questa intervista, aggiungendo che i toscani riuscirono a valorizzare le idee «portando il brano a un livello superiore, facendolo uscire dai confini della house da club e traghettandolo nel mondo commerciale con un appeal vendibile e radiofonico». Il successo è tale da richiedere un videoclip girato al Cretto di Burri, vicino ai ruderi di Gibellina: «era un paesaggio lunare reso ancora più alieno dalla fotografia del regista Emanuele Mascioni e dalle idee visionarie di Patrizio Squeglia. Poi ci fu la trovata della palla, un grosso globo dipinto di argento che molti ipotizzarono fosse stato inserito digitalmente in post produzione seppur in quel periodo di digitale c’era ancora ben poco. In realtà si trattò solo di una palla gonfiata spinta dal vento che soffiava quel giorno» conclude De Canzio. Uscito a fine febbraio, “Crayzy Man” conquista un’audience sempre più vasta ed eterogenea. Tra i supporter anche Albertino che, a metà aprile, vuole il brano nella DeeJay Parade settimanale dove resta per cinque settimane. Si fa avanti la multinazionale MCA che lo pubblica negli Stati Uniti e nel Regno Unito con altri remix tra cui quello di Junior Vasquez. Si tratta di uno dei primi dischi targati UMM a raccogliere risultati di questo tipo e, per la gioia delle casse della Flying Records, non l’ultimo. La vocazione di Tardio però non è cercare pezzi che facciano intenzionalmente gola ai programmatori delle radio anzi, per lui certi responsi sono completamente irrilevanti ai fini del leitmotiv della UMM che, per definizione, deve continuare a rappresentare il movimento della musica underground. Il caso vuole però che dopo “Crayzy Man” dei Blast giunga un altro brano capace di sparigliare le carte e incuriosire anche i DJ non specializzati, e a firmarlo sono i fratelli Visnadi nelle vesti di CYB. Il disco, come testimonia il titolo in copertina, nasce in virtù di due remix di “Now”, originariamente incluso in “Syxtrax”, ma ad avere la meglio è la traccia incisa sull’altro lato, “It’s Too Funky”, dove a fare da padrone è l’ipnotico riff di tastiera che corre su un ritmo serrato dal quale, come un geyser, erutta a più riprese un breve ma efficace hook vocale. Le richieste sono tante e giustificano la pubblicazione anche su CD, ai tempi formato secondario e quasi irrilevante per i DJ. Non è propriamente house però, piuttosto un ibrido che si spinge a lambire le sponde progressive e infatti Tardio per occasione vara una sorta di etichetta sussidiaria, la UMM Progressive, ma senza ricorrere a un nuovo logo e numerazione. L’unica indicazione, oltre a un layout grafico marginalmente modificato, è la presenza delle lettere PR accanto al catalogo, monogramma che si rinviene nelle quattro uscite successive: “Spice” di Timeless, ennesima incarnazione artistica dei Visnadi, “State Of Panic” di Sonar (Dino Lenny e Savino Martinez affiancati da Coccoluto come sound engineer nel solito HWW Studio), sviluppato sul campionamento di un pezzo senza titolo di Emmanuel Top uscito l’anno prima, “Context Control EP” dell’olandese Trance Induction e “1/2 Transphunk EP” dei francesi Motorbass. Italianissima invece la produzione di “Let Yourself Go” di L.W.S. Featuring Long Leg, un mosaico di sample afro e funky loopati su base house, e “Locomotive Vocale” dei Lineout, prodotto ancora da Walterino come remake dell’omonimo del compositore francese Hugues Le Bars, sincronizzato in uno spot televisivo del liquore Grand Marnier negli ultimi anni del decennio precedente. A “Crayzy Man” dei Blast UMM aggiunge ora un’altra hit internazionale, presa in licenza con assoluto tempismo dalla newyorkese Strictly Rhythm. Trattasi di “I Like To Move It” dei Reel 2 Real, progetto lanciato un paio di anni prima da Erick Morillo e Ralph Muniz che ora si afferma grazie a un brano, interpretato da Mark Quashie alias The Mad Stuntman, che incrocia house e raggamuffin. Supportato da un videoclip diretto da Craig K. McCall, “I Like To Move It” vende oltre un milione di copie in tutto il mondo e trova modo di eternarsi nel nuovo millennio col riadattamento per il film d’animazione “Madagascar”. Proveniente da un’altra etichetta newyorkese d’eccezione, la Easy Street, è “Get By” di Gayland che, per la pubblicazione in Italia, viene arricchita dai remix di Roberto ‘Hard Corey’ Corinaldesi e Paolo Martini. Importati dall’estero sono pure “Morel’s Grooves Pt. 5” di George Morel, “No Love Lost” di Ce Ce Rogers, “Fall Down / Freedom” dei Punchin’ e “The Frenzy Dance” dei Juzt 2 Brothers, pezzo prodotto dai fratelli Danny e Victor Vargas sulla falsariga di “I Like To Move It” dei Reel 2 Real e affidato, pochi mesi dopo, alle mani di Franco Moiraghi che realizza un incisivo remix. Prodotti “in casa” sono invece “People” dei Degression, il terzo volume (conclusivo) di Transitive Elements e “Ohh-D-Dub” di Frank Ozono, quest’ultimo ad opera dal team L.W.S. composto da Leonardo Bertoncello Brotto, Walterino Biasin e Stefano Amerio, prossimi a un exploit internazionale.

X-Static - I'm Standing
“I’m Standing”, il primo successo degli X-Static

A flirtare con le classifiche che contano sono pure i Visnadi che, insieme a Max Artusi e Ricky Stecca, creano un nuovo (ed ennesimo) progetto, X-Static. Il brano si intitola “I’m Standing”, è cantato da Cristina Dori e viene pubblicato oltremanica dalla Positiva insieme a vari remix tra cui quello dei Kamasutra, edito anche da UMM in un secondo 12″ col centrino viola. A innamorarsi del pezzo, con un pizzico dello stile di StoneBridge nella Velvet Mix e con una linea più aggressiva nella Heavy Organ Mix, sono tanti influenti DJ britannici tra cui Pete Tong, Judge Jules e Jeremy Healy. Percorso inverso, dalla Gran Bretagna all’Italia, per “Best Thing” di Miss Bliss, la DJ londinese Ayalah Bentovim meglio nota come Sister Bliss da lì a breve nella formazione dei Faithless. L’unica versione solcata sul disco, col solito logo inciso sul lato b, è realizzata dai Fathers Of Sound. A seguire, dai Paesi Bassi, c’è “Pepper” di Speedy J, diventato popolare dalle nostre parti per “Pullover” e “Something For Your Mind”, alle prese con un suono più trancey e warpiano, e infatti l’etichetta è UMM Progressive. Sospinta verso lidi simili è anche la raccolta in limited edition, edita su CD e triplo vinile, “UMM In Progress”, selezionata da Francesco Zappalà. All’interno diverse gemme che il DJ promuove nel suo Virtual Sound, da “Heaven” di Moby a “Flex” dei Bandulu, da “Joy” di Quadripart a “Electronique (Live At The Casino Montreux)” di Pink Elln & Atom Heart passando per l’esclusiva “Slave To The Moon” dei Visnadi, “(RE:EVOLUTION) Live At The Warfield” degli Shamen, “State Of Panic” di Sonar e un paio di sue stesse produzioni, “Free Brain” di Virtual Age e “Raggamountain” di The Kosmik Twins, prodotte rispettivamente con Ferdinando ‘Mr. Ferdy’ Colloca e Biagio ‘Baby B’ Lana. Il package è impreziosito dalle fotografie di Emanuele Mascioni effettuate su una scultura di Patrizio Squeglia, “Ettore & Andromeda”, perfettamente calata nel contesto del “suono virtuale” a cui si fa riferimento in copertina. Il Code 1 lascia ipotizzare un seguito che però non arriverà mai.

Nella scia della trance che va diffondendosi sempre più capillarmente in Europa si inseriscono i trevigiani Attraction col brano omonimo mentre decisamente più house oriented sono “Tossin’ N Turnin'” di Darryl Pandy, “Nadir” di Mark Ray Featuring Natalie Mundy, “New York Express” di Hardhead (un’altra “mina” presa dalla Strictly Rhythm e prodotta da Armand Van Helden) e “No Pay Day”, secondo e ultimo brano di Gayland riproposto in seguito coi remix di Paolo Martini e Roberto ‘Hard Corey’ Corinaldesi. In mezzo a queste licenze estere c’è anche un made in Italy, “I’m A Bitch”, con cui il team degli L.W.S. fa il giro d’Europa. Ispirato dall’omonimo di quattro anni prima di A Bitch Named Johanna uscito sulla statunitense Project X Records, Biasin, Bertoncello Brotto e Amerio coniano un progetto ex novo chiamato Olga. La versione principale è la House Nation Mix (un nome-tributo per uno dei capisaldi della house chicagoana, “House Nation” di The House Master Boyz And The Rude Boy Of House, Dance Mania, 1986), in cui i vocal di Johanna Jimenez troneggiano su una trascinante base venata da un suono portante simile a quello di un organo, allora particolarmente in auge nei club. «Partimmo proprio dall’acappella di A Bitch Named Johanna a cui sovrapponemmo un groove ritmico e un basso» spiega Biasin in questa intervista. «Optammo per Olga perché ci sembrò un nome adatto a rappresentare la prostituta (bitch, nda) di cui si parlava nel testo. Visto il successo ottenuto anche nel mainstream, affidammo l’immagine del progetto a un’amica, Simona Sessa, che portò “I’m A Bitch” in tutte le discoteche italiane» (e che finisce sulla copertina del singolo pubblicato da UMM oltremanica, nda). Sull’onda dell’entusiasmo, Biasin e soci affidano a UMM un’altra loro produzione, “Afrikaans’ Holiday” di Afrikaans, a metà strada tra house e progressive trance, che fatica però a uscire dall’anonimato. Di tutt’altro regime invece l’andamento dei Reel 2 Real che, dopo i remix di “I Like To Move It” a firma Alex Party, riappaiono sull’etichetta campana con un nuovo brano, “Go On Move”, che in realtà tanto nuovo non è. La prima versione circola dal 1993 su Strictly Rhythm ma è con la Erick ‘More’ 94 Vocal Mix che Morillo riesce a fornire il giusto follow-up ad “I Like To Move It”, escludendo le parti funkeggianti a favore di una linea melodica che fa il verso al precedente e una parte vocale più estesa interpretata da Mad Stuntman. Accompagnato da un videoclip e reintitolato “Go On Move ’94”, il pezzo diventa un successo estivo. Le versioni a disposizione sono tante al punto da spingere UMM a pubblicarle su due mix, il primo col centrino bianco, il secondo nero. A separarle, nel catalogo in costante crescita, è “Just A Little Bit Higher” di Johnny Vicious.

adv Reel 2 Real
L’advertising che nell’autunno ’94 annuncia l’uscita dell’album dei Reel 2 Real su UMM

Dino Lenny e Savino Martinez firmano un nuovo UMM Progressive, “No More Mind Games” di B.O.D., in linea col suono di etichette britanniche come Platipus e Hooj Choons. Dallo scrigno Strictly Rhythm Tardio prende “Congo” che David Morales firma The Boss, un susseguirsi di ritmi latini intrecciati a pianate e organi, e “Las Mujeres (The Women)” di Fiasco, pure questo nato sul crocevia tra house music e percussioni latino americane. Con “The Bang EP” Roberto Carbonero, Marcello Salerno e Roberto Corinaldesi danno avvio al progetto U.S.E., acronimo di Underground Sound Evolution. Come “contorno”, Tardio rileva un altro paio di licenze, “La Fiesta” di The Spanish Society, dalla “solita” Strictly Rhythm, e “Dub It / Set Me Free” di Coco Steel & Lovebomb dalla britannica Warp Records. Ad affiancarle i due remix di “Te Ame Con Salsa” di Hildelgard (il primo realizzato da Carmine ‘KeyB’ Tortora e Beppe ‘MAN-D.A.’ Manda, il secondo da Robert Passera che pochi anni prima incide un piccolo cult, “Neue Dimensionen” di Techno Bert di cui parliamo dettagliatamente qui) e quello di “Love Me Or Leave Me” di Armante a firma Fathers Of Sound. In autunno è tempo di un nuovo Reel 2 Real, “Can You Feel It?”, costruito da Morillo ancora sullo schema di “I Like To Move It” e ripubblicato da UMM su due mix, attigui nel catalogo e con un punto in comune, la presenza su entrambi della Erick ‘More’ Club Mix, quella che si sente in radio. Il resto spazia nelle sfaccettature house coi remix di Roger Sanchez, DJ Duke e Jules & Skins sino a toccare, inaspettatamente, l’eurodance con la versione dei Factory Team in uno stile simile a quello dei bortolottiani Cappella mashuppato al telaio ritmico che il team veronese appronta in quei mesi per “Only Saw Today / Instant Karma” e “Sweet Music” del britannico Amos. “Can You Feel It?” è uno dei singoli estratti da “Move It!”, il primo album dei Reel 2 Real che la UMM si aggiudica per l’Italia pubblicandolo su doppio vinile, CD e cassetta. Ispirato proprio al suono dei Reel 2 Real è “I’m A Real Sex Maniac” di Dick, racchiuso in un’ironica copertina (doppiata su un adesivo allegato) che rimanda alle illustrazioni dei test psicologici e tematicamente collegato a Olga da riferimenti sessuali. A produrlo ancora gli L.W.S. con risultati apprezzabili in tutta Europa. Le licenze continuano a iniettare linfa vitale nei circuiti della UMM, seppur non sempre con l’appoggio dei DJ e della critica. Dalla britannica Zoom Records di Billy Nasty e David Wesson arriva “Throwing Caution To The Wind” dei Sourmash, con spinte goane, mentre dall’olandese NANADA Music l’EP di Ethics, trainato dal brano “La Luna” che vivrà una seconda vita a distanza di circa un anno. Passato praticamente inosservato è pure “The New Wave”, tratto dal catalogo della scozzese Soma, contenente tre pezzi (più un edit di uno di essi) di matrice techno (“The New Wave”, “Assault”, “Alive (New Wave Final Mix)”) messi a punto da un esordiente duo francese, i Daft Punk.

Alex Party - Don't Give Me Your Life
“Don’t Give Me Your Life”, una sonora conferma per gli Alex Party

Dopo i remix di “Gosp” di L.W.S. e “Joy” di Quadripart (quest’ultimo in formato doppio), arriva il nuovo degli Alex Party, “Don’t Give Me Your Life”, che ricalca alcuni elementi di “Nu-Nu-Now” (dal precedente “Alex Party 2”) amplificandone la portata pop grazie a una parte vocale interpretata da Robin Campbell alias Shanie. L’effetto è esplosivo e tra i primi a “capitolare” ci sono i britannici: come certificato da BPI (British Phonographic Industry), il brano diventa disco d’oro con 400.000 copie vendute oltremanica. Un gradito ritorno è anche quello dei Blast con “The Princes Of The Night”: a fare la differenza è ancora il remix dei Fathers Of Sound intitolato F.O.S. In Progress, ma le versioni sono tante (incluse quelle di JX e Red Jerry) da occupare due 12″, venduti separatamente e con copertine di colore differente. Bini e Perniola, infaticabili, trovano il tempo per approntare sia “Keep Looking Up” di Rhona Johnson, un pezzo garage portato al Midem di Cannes a inizio ’95, e “Want Me, Love Me”, brano di debutto di una giovane newyorkese di origini italiane che si affermerà nel mondo del piccolo e grande schermo, Justine Mattera. Reduce dal successo britannico di “Cocaine” del ’91, Dino Lenny sposta la sua attenzione verso scenari trance e progressive. Con una mano riattiva, per l’ultima volta, Sonar mediante “Mellow Monday”, lasciandosi affiancare dai fidi Martinez e Coccoluto, con l’altra inaugura S.O.P. con “Esta Buena”. S.O.P. e il citato B.O.D. sono collegati non solo dalla tipologia sonora ma anche da un’ironica linea concettuale promossa dall’artista cassinese: S.O.P. è l’acronimo di Sister Of ♀ (Pussy), B.O.D. di “Brothers Of ♂ (Dick). Si trincerano dietro una sigla pure Pietro De Rosa ed Enrico Mantini che raccolgono tre tracce (tra cui “Use It (… To Eliminate You)”) in un EP firmato DM Construction. In solitaria Mantini realizza invece “What U Want” con la voce di Cameron Borrelli alias X Woman, ristampato proprio di recente su Purism. Batte bandiera olandese “Yell Song” di Clusia Fortal, attorcigliato a suoni forse un po’ datati, e arriva un nuovo singolo dei Reel 2 Real, “Raise Your Hands”, simile ai precedenti ma con minori potenzialità commerciali, ottenuto rimaneggiando “Asuca” che Morillo firma R.A.W. l’anno prima sempre su Strictly Rhythm. Un’altra licenza di indiscusso valore è rappresentata da “Jumpin'” di Todd Terry, incisa su un single sided e con campionamenti presi da “Bostich” degli Yello e “Keep On Jumpin'” dei Musique, brano che l’americano coverizzerà pochi anni dopo con le voci di Martha Wash e Jocelyn Brown.

depliant merchandise
Uno dei primi depliant del merchandise griffato UMM

Su CD arriva “Mixes Collected”, una pregevole raccolta dei Visnadi a cui segue il “Conception EP” degli Alito, progetto one shot romano animato da Massimo Berardi (intervistato qui) e Luca Cucchetti a cui si affianca, per “Take Control”, Paolo Zerla. Colorito da una sezione con un’armonica a bocca è “Everybody Clap Yo Hands”, da “Voices Of Faith EP” di Victor Simonelli, tribaleggiante la linea portante di “Higher (Feel It)”, ultimo pezzo che Erick Morillo firma R.A.W., in bilico tra garage e un suono più ruvido le versioni di “House Music” di MAN-D.A. & Keyb T., proteso in modo chiaro verso la trance è l’EP degli Upgrade One Point Two. Tra le voci più emozionanti della house a stelle e strisce, Ce Ce Rogers approda sull’etichetta napoletana con “Come Together”, Michele Violante e Paolo Martini si uniscono come Old Skool, Alessandra Argentino esordisce con “Work This Pussy” (prodotto da Roberto Ferrante e Vincenzo Bottiglieri e pubblicato anche su CD singolo) che fa il verso alle liriche piccanti di Olga, Paolo Martini, Michele Violante e Roberto Corinaldesi si occupano di “We Got A Love” sviluppata da un’idea di Major Healey, cantata da Sabrynaah Pope e poi data in pasto ai Fathers Of Sound e Alex Neri, Erick Morillo remixa “Them Girls Them Girls” dei pupazzi Zig + Zag facendone quasi un nuovo Reel 2 Real che, nel contempo, riappaiono col quinto singolo estratto da “Move It!”, “Conway”, giunto sul mercato attraverso una miriade di versioni tra cui quelle di Armand Van Helden e dei CYB che UMM pubblicherà in un secondo 12″ nei primi mesi del 1995. L’ottima reputazione dell’etichetta sortisce continue attenzioni internazionali anche in virtù di una ricca linea di abbigliamento e merchandising promossa a partire dal 1993 attraverso semplici depliant inseriti nelle copertine dei dischi. La ricetta pare semplice ma non è facilmente replicabile: «prendiamo ritmi house, li speziamo con melodie italiane e serviamo caldo il risultato» dichiara ironicamente lo schivo Angelo Tardio a David Stansfield di Billboard in un articolo pubblicato il 2 luglio ’94, uno dei pochi in cui è possibile ritrovare le sue testimonianze di allora. E aggiunge: «abbiamo dato in licenza “Crayzy Man” dei Blast a un’etichetta del Regno Unito e ora il pezzo è praticamente in tutte le classifiche d’oltremanica. Ci sono grandi piani anche per i Fathers Of Sound, artefici della versione di punta di “Crayzy Man”. Alla luce di questi strepitosi risultati mi sento di dire che il 1994 sia stato l’anno migliore per la dance targata Flying Records».

The Bucketheads - The Bomb EP
The Bucketheads, successo di proporzioni planetarie portato in Italia da UMM

Diventata con merito un avamposto italiano della house music, la UMM inizia il 1995 tagliando il traguardo delle duecento pubblicazioni e confermando il suo ruolo primario nel segmento underground, tag identificativa di un genere-contenitore che va dalla garage alle dub strumentali dai suoni ombrosi. Arrivano “Mayo” dei Flying Squad (Fabio Locati e Salvo Doria), tra saliscendi di conga afro e striature progressive, “Dance Now” di Franco Moiraghi Feat. Amnesia, dove emerge un canto spiritual, “Swing & Move” di Orbiting Eskimo Dance Society, prodotto da Craig Bevan e remixato dal team degli L.W.S., e “Delicious Poem” dei Delicious Inc. (Nello Nicita, Jamie Lewis, Jose Orellana e René S.) al lavoro sul ritaglio ritmico preso dal brano di Bucketheads edito qualche mese prima sulla newyorkese Henry Street Music di cui si parlerà più avanti. I Visnadi propongono il nuovo CYB, “Come On Boy”, ipnotica marcetta pubblicata anche su CD che non divide nulla con l’omonimo dei modenesi DJ H. Feat. Stefy di qualche anno prima a eccezione del titolo e dell’hook vocale, e un’apprezzata licenza è “Just Can’t Take It” di Reggie Rough Feat. Annette Taylor impreziosita dal remix dei Fathers Of Sound seppur a funzionare di più sia la Club Mix di Joey Moskowitz, già presente nella prima tiratura su E Legal. Aria di remix pure per “Don’t Give Me Your Life” degli Alex Party, ritoccata tra gli altri da Dancing Divaz, ai tempi una sorta di “re Mida” della house d’oltremanica. Dalla Planet Blue arriva “Jungle Dreams” dei Naked Souls e dalla citata Henry Street Music di Johnny “D” De Mairo “The Bomb EP” del citato Bucketheads, progetto di Kenny “Dope” Gonzalez. L’impulso creativo di uno dei due brani inclusi, “These Sounds Fall Into My Mind”, viene espresso mediante il magistrale uso di un sample preso da “Street Player” dei Chicago, e diventa presto una smash hit di dimensioni planetarie, con relativo videoclip a basso costo diretto da Guy Ritchie e Alex De Rakoff girato nel centro di Londra con una super8. Il successo è tale da rendere quasi inutile la presenza del brano finito sul lato b, “I Wanna Know”, pure questo ispirato da un pezzo del passato, “Motivation” degli Atmosfear.

Salerno, Carbonero e Corinaldesi con una mano danno alle stampe il secondo U.S.E. intitolato “Bad Boy”, con l’altra approntano “Danger Zone” di Dangerous Society, Justine Mattera ritorna con “Be Sexy”, ancora prodotto dai Fathers Of Sound ormai consacrati a livello internazionale (nel ’96 mixeranno uno dei volumi della saga “Renaissance”) e riappare pure Ce Ce Rogers con nuove versioni di “Come Together”, preso in licenza dall’americana Groove On di George Morel. Tra i remix, usciti anche all’estero, quello degli L.W.S. e dei New Wave Explorers (Mario Conte e Patrizio Squeglia). Arrivano da oltre i nostri confini la doppia a-side “Juice / The Way” dei portoghesi A. Paul e J Daniel, “Love” di Quadripart (sormontato dal campionamento di “The Visitors” di Gino Soccio) e “The Tribal Recordings” di Kuyoe’s Children in origine su Nervous Records da cui emerge l’afro house di “Mosquito Drums”. Made in Lazio invece “Play House” di Sohante Feat. B.S.J., un pezzo senza troppe pretese prodotto da Claudio Coccoluto, remixato da Dino Lenny e sui mettono le mani pure Enrico ‘BSJ’ Ferrari e Sante Pucello, quest’ultimo trasformatosi da lì a breve in Santos. I Visnadi, nel frattempo, riportano in vita per l’ultima volta il progetto Cool Jack inizialmente coprodotto con Angelino Albanese, partito nel ’92 con “Just Come” e proseguito l’anno dopo con “Try The Feeling” con la voce di Tom Hooker. È proprio il cantante americano, noto per aver interpretato alcuni brani di successo di Den Harrow, a occuparsi di “Get Me Going”. Tra le tante versioni anche il remix degli onnipresenti L.W.S. e di Walterino. Sono sempre i Visnadi a produrre, insieme a un certo Gianfri DJ, il nuovo Gradiva intitolato “I Gotta Know”, una sorta di Alex Party ma con meno potenzialità di airplay radiofonico. Coccoluto e Martinez invece si ribattezzano ironicamente Mimì E Cocò per “Bandit”, una traccia animata dalle percussioni e vari campionamenti funk/disco. Marchiate col catalogo Progressive sono le uscite di Xyrex (Franco Canneto, Enrico Aprico e David Rossato sotto la guida di Zenith), “Heaven” dei già citati New Wave Explorers, “Volume 1” di Esoteric Society (Floriano Fusato, Emanuele Vola e Alberto Guerretta), i remix di “Traum” di Positive & Gianni Parrini, “Los Parajso De Los Locos” di Mediterraneo Feat. Franchino (prodotto da David Togni e Alessandro Del Fabbro con remix annesso di Mario Più) e “You Got To Be There” del team iberico Kadoc. Batte bandiera portoghese invece “Work In Progress” di L.L. Project (Luís Leite e il noto Rui Da Silva) a cui seguono “A Lollipop For You” di Dick, poco fortunato follow-up di “I’m A Real Sex Maniac”, “Justify” dei Bound Beat, “Let Me In” degli Old Skool, “Come Together” dei Double FM, “Don’t Give A Damn” di Vena, “Inner Waterfall” di Positive Shah, “Back To Roots” dei Delicious Inc., “20 Hz” di Channel 3 e diverse licenze estere, “God’s An Astronaut” dei Blunt Funkers (con remix di StoneBridge & Nick Nice), “Black, Sinister, Science EP” dei Kings Of Tomorrow, “Mad House (Volume 1)” di Charlie Casanova trainato da “You Can Have It”, suonatissima nei club house d’oltreoceano, “The Dynamic Cutz Vol. 2” di Johan S., “Dance With Me” di Latin Impact e “Can U Feel It” di The Squad, progetto nato a Miami dalla collaborazione tra il nativo George Acosta e l’italiano, ma trapiantato in Florida, Chicco Secci. Prodotto da Mousse T. per la Peppermint Jam e avvalorato dal remix di StoneBridge & Nick Nice e da una versione di Bini e Perniola, “We’ve Got Love” di Ve Ve Brown è annunciata come una potenziale hit ma nonostante gli ottimi presupposti non riesce a scavalcare la palizzata dell’underground.

Alex Party - Wrap Me Up
“Wrap Me Up”, la hit estiva degli Alex Party

Osannato dalle radio sparse per il globo (in particolare quelle italiane, britanniche, francesi, spagnole e australiane) è invece “Wrap Me Up” con cui gli Alex Party toccano uno dei punti più alti della carriera. Il brano, doverosamente accompagnato da un videoclip, è una sorta di modernizzazione della vecchia italo house di fine anni Ottanta, con pianoforti in evidenza ma senza uso e abuso di campionamenti a favore di una parte vocale cantata ancora da Shanie che lo colloca, di fatto, in contesti eurodance. Tra i successi estivi made in UMM, oltre a The Bucketheads in licenza dagli States, anche il nuovo dei Blast, “Sex And Infidelity”. Sul lato b compare il remix dei Ti.Pi.Cal. ma a fare la differenza è la versione confezionata in Svezia dagli infaticabili StoneBridge & Nick Nice. Per una curiosa coincidenza Alex Party, The Bucketheads e Blast appaiono consecutivamente nella tracklist del secondo volume della “Alba” di Albertino, tra i bestseller italiani della stagione nel settore compilation. Non sottraendosi proprio al redditizio mondo di quel comparto, la UMM pubblica su CD e cassetta “The Bomb Collection”, una raccolta house con tracce prevalentemente tratte dal catalogo (tra le eccezioni “Dance Your Funky” di Pagany Feat. Shaneen e “Planet Funk” di Alex Neri). Il tutto mixato da Paolo Martini. Dopo circa due anni riappare “I Can’t Get No Sleep” dei Masters At Work Featuring India: sul precedente i remix erano di Mark “MK” Kinchen, adesso sono firmati da James Preston e David Morales. Analogamente a quanto avvenuto sullo UMM 072, anche in questo caso la logo side è occupata dal simbolo della Cutting Records da cui, per l’appunto, il brano è preso in licenza. Ulteriori versioni vengono solcate su un secondo mix. Importato dall’estero è anche “It Must Be Love” di Club Freaks interpretato da Angel Williams che, peraltro, firma come artista la versione originale su Herbal House Records. A contraddistinguere la stampa italiana sono due remix dei Kamasutra (Alex Neri, Marco Baroni e Mr. Muzak). Con un frammento preso da “Atom-B” di Atomizer, gli italiani S-Naked costruiscono la loro “Now I Know”. Ad armeggiare dietro le quinte sono Daniele Tignino, Riccardo Piparo e Vincenzo Callea, meglio noti come Ti.Pi.Cal., che orchestrano il tutto su una voce che ricorda quella di VDC dei Blast. Progetto nuovo di zecca è pure quello di Gianmarco Silvi, Mimmo Turone e Monia Piazzi, The Grind Company, che consuma la sua unica apparizione col poco noto “When We Grind” scandito da una voce maschile suadente e ammiccante in stile “Men Adore…” dei Fierce Child. Scarsi riscontri per “Just A Groove” di Geetraxx, prodotto a Milano presso il Gianburrasca Studio di Marcello Catalano, intervistato qui, insieme a Walter Bassani. Sul lato b il remix di un certo Alex Gee, salernitano che lavora nel capoluogo lombardo come promoter per la Flying Records e destinato a una rosea carriera con le sue coordinate anagrafiche, Alex Gaudino.

In autunno è tempo del nuovo The Bucketheads che però non riesce a replicare i fasti del precedente. “Come And Be Gone” si muove su coordinate simili, un metti e togli di sample disco/funk su telai house, ma è privo del quid che potrebbe trasformarlo in una hit trasversale. Sul lato b c’è un remix di “These Sounds Fall Into My Mind”, a onor del vero più simile a un re-edit piuttosto che a un remix. Un altro one shot nato e morto su UMM è 123 Prospect: con un occhio allo stile dei morilliani Reel 2 Real, Ciro ‘DJ Bubu’ Sasso e Martin ‘Monster’ Aurelio approntano “Get Loose” con l’intervento vocale di David Lavoy. Insieme a nuove licenze messe a segno da Tardio, “El Cojo” di Boriqua Brothas, “The Thing I Like” di Aaliyah coi remix di Paul Gotel e “Love Rendez Vous” degli M People, arrivano “Heroes” di Gianni Parrini Feat. Principe Maurice (cover del classico di David Bowie), “Neid” di DJ Ginger, il primo volume di “Save The Planet” dei Divine Dance Experience, “Revenge” di Kriminal Elements, il secondo volume di Esoteric Society e nuove versioni di “My House / No More Mind Games” di B.O.D. (tutti su UMM Progressive), i remix di “We Got A Love” di Violante Project e di “Wrap Me Up” degli Alex Party e “Blow” di Ricky Soul Machine & Jackmaster Pez, un doppio mix a cui abbiamo dedicato un articolo qui e impreziosito da una versione di Johnny Vicious. Tocca poi a “Don’t You Want My Love / Disco Boom” di Mauro MBS, un altro collage sampledelico (assemblato con Albino Barbero nel suo Rockhattle Studio di Cavallirio, in provincia di Novara) che attinge a piene mani dall’immenso campionario disco funk degli anni Settanta, “You Can’t Touch” di The Tribute, un single sided realizzato in Svizzera da Dario Mancini alias Djaimin intervistato qui, e “The World Around”, traccia con cui Roberto Carbonero, Marcello Salerno e Roberto Corinaldesi chiudono la trilogia di U.S.E. partita circa un anno prima.

Moiraghi - Feel My Body
“Feel My Body” di Moiraghi Feat. Amnesia garantisce ottimi riscontri nell’autunno ’95

Menzione a parte merita “Feel My Body” di Frank ‘O’ Moiraghi Feat. Amnesia, un pezzo edificato come una specie di mash-up tra la base di “Utopia – Me Giorgio” di Giorgio Moroder e i ritagli vocali di “Feel My Body” di Talena Mix. Il successo, supportato adeguatamente da un videoclip, abbraccia prima i club e poi le discoteche generaliste. Pensata come etichetta destinata ai DJ, la UMM convoglia la quasi totalità delle sue pubblicazioni su 12″ ma di tanto in tanto concedendo spazio anche a qualche raccolta come “100% Rendimento Compilation”: il primo volume esce in autunno, prevede la pubblicazione sia su CD che cassetta, e raccoglie sedici tracce selezionate da Christian Hornbostel (intervistato qui) ed estratte dall’omonimo programma in onda su Radio Italia Network. Pochi mesi dopo è la volta del secondo volume la cui tracklist accoglie (prevedibilmente) alcune tracce del catalogo UMM. Sull’onda di “Feel My Body” Franco Moiraghi e Marco Dalle Luche realizzano “Listen To The Rhythm” come Manumission ma con risultati diversi. Alessandra Argentino torna (per l’ultima volta) sulla label campana con “Love 2 Love”, ancora prodotta da Roberto Ferrante e Vincenzo Bottiglieri e contando su un remixer come Don Carlos che con “Alone”, di cui parliamo qui, aveva dato una nuova spinta alla house nostrana a inizio decennio, Positive Shah sgancia il suo “The Shah EP” su due dischi di cui uno single sided, Violante e Corinaldesi si reinventano come VHC e il pezzo “You” che vola sulle ali della garage più sognante, i Visnadi (all’opera su uno dei remix della rediviva “Deep Inside” di Hardrive) e Massimo Zennaro dei Fishbone Beat e Paraje, intervistato qui, confezionano “No Smoking” come Ashman. Sono sempre i Visnadi, in compagnia di Roberto ‘Long Leg’ Sartarelli e la cantante Cristina Dori, ad approntare il nuovo X-Static, “Move Me Up” di cui parliamo qui, pensato per replicare i fasti di “I’m Standing” ma con risultati meno dirompenti sul fronte internazionale, analogamente a quanto accade a “Lick It Up” di Olga, questa volta realizzato dal team L.W.S. con Johanna Jimenez giunta appositamente in Italia dagli States. Successo quasi esclusivamente italiano è anche quello raccolto da “I Try” degli Activa, team di produzione in cui figurano Andy Mathee, Paolo Reverdy, Gino Cavazzana e Gabriele Pastori. La voce è di Kimberly Lawson mentre il remix di Alex Gee (Alex Gaudino). Durante l’ultimo scorcio del ’95, tra gli anni maggiormente prolifici per UMM, escono “It’s Time To Come” dei CYB, che un po’ ricorda “Petal” dei Wubble-U, “Eau De Chanté” dei Delicious Inc., “Atmosphere” di House Culture che Marcello Salerno produce con Moreno Pezzolato, “Sam Traxx EP” di Sam Traxx alias Samuel Paganini, “The Lion And Other Stories” dei Visnadi, “A Forest” degli L.W.S. (cover dell’omonimo dei Cure) e “I Wanna See You Jumpin’ Around” ancora degli L.W.S. ma pubblicato a nome Jack Romer, l’ennesimo dei nom de plume coniati col fine di eludere l’inflazione. Il 1995 è l’anno in cui UMM pubblica più dischi in assoluto, circa un centinaio. La Flying Records ormai è un colosso internazionale con filiali in due Paesi chiave del business discografico, Regno Unito e Stati Uniti e, come afferma Angelo Tardio in un articolo di Mark Dezzani pubblicato da Billboard l’1 luglio, «rappresentiamo la più piccola major e la più grande indipendente ma, a parte le infrastrutture, siamo consapevoli che sia la musica a muovere il mercato». Gli esordi ormai sono lontani, la società conta su un efficiente ramo distributivo e un poderoso parco clienti, tuttavia la situazione sta per ribaltarsi radicalmente.

Future Traxx Vol. 1
Con “Future Traxx Vol. 1” la UMM raggiunge la pubblicazione numero 300

1996, il vento sta cambiando
Con occhiate decise al fortunato stile dei siculi Blast, i The Groovers (Roberto Bajotti e Antonello Ferrari) assemblano “Ride On The Power” avvalendosi della voce di Wayne Lewis, Gianni Parrini invece, spalleggiato da Floriano Fusato, riempie un doppio mix con quattro versioni di “Cosmopolis” oltre a compilare e mixare il terzo volume di “Trance & Progressive”, compilation su CD e cassetta. In copertina una rielaborazione futuristica dell’uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci. UMM raggiunge quindi l’uscita numero 300, “Future Traxx Vol. 1”, compilation edita su triplo vinile, CD e cassetta che, fedele al titolo, raccoglie e anticipa alcune delle pubblicazioni imminenti e future. Un’approfondita lettura dei crediti rivela un importante cambiamento dietro le quinte: Angelo Tardio abbandona la Flying Records lasciando le redini della UMM nelle mani di due nuovi A&R, Giuseppe Manda e Maurizio Clemente. Accanto a loro Paolo D’Alessandro opera nel ruolo di international business affair manager. Frammisto tra trance e progressive è “Dream To The Beat” di I.D.C.C., neo progetto attivato da Floriano Fusato e Gianni Parrini col contributo vocale di Who alias Dr. Felix. Su UMM Progressive confluiscono anche “Tinnitus” di Timelock alias Marcel Franke, “Pianosphera” di DJ Ginger, in chiave smaccatamente dream, “Friends” dei F.E.N., l’EP di Mediterraneo Feat. Franchino, contenente pezzi osannati dai “guerrieri” della progressive toscana come “Viaje” e “C’era Una Volta”, “The Nighttrain” degli spagnoli Kadoc, diventato un successo mainstream, “Age Of White” di Spiritualist, il secondo volume di “Save The Planet” dei Divine Dance Experience (Sergio Datta, Maurizio De Stefani e Michele Generale), le cui vendite vengono alimentate da un paio di tracce finite nell’airplay radiofonico come “To The Piano” (con un innesto melodico ispirato da “Fantasia” di Cosmic Baby) e “To The Rhythm”, e “Bassline” di S.O.P., ennesima produzione generata nell’HWW Studio a Cassino da Dino Lenny, Claudio Coccoluto e Savino Martinez. Una delle prime hit house dell’anno è “Deep In You” di Tanya Louise, pezzo in circolazione sin dal 1994 ma che adesso trova modo di affermarsi grazie al remix di StoneBridge usato per sincronizzare il videoclip. Le versioni a disposizione sono così tante da riempire un doppio e un singolo.

L’attività sul fronte licenze, determinante per l’etichetta, viene debitamente tenuta in vita: arrivano “Do It / It’s Gone / Ball Chains” di Glenn Underground, “I’m So Grateful” dei Kings Of Tomorrow (un doppio che raduna remix prestigiosi di Angel Moraes, Matthias Heilbronn e Joey Negro), “I’ll Take You To Love” di Naked Music NYC, “Treat Me Right” di Temple Of The Groove, anche questo in doppio mix, “Shout-N-Out” dei Lood, triumvirato tra Little Louie Vega e i Mood II Swing, e “In Your Soul” dei Latino Circus. Tra i made in Italy, invece, “Talking About” di Male Force, i remix di “Crayzy Man” dei Blast a firma Kamasutra, l’EP di Roberto Masi e Fabio Fiorentino, “Jam Experience Part 1 EP” di Walterino 4 L.W.S., “One Night” di Saxation, “Odissey” di Mell Ground, “Free Your Mind” dei Funkcyde e “Hold On” di House Tribute. La mole del materiale, come è facile presumere dal numero dei titoli elencati, è ancora tanta, UMM mette sul mercato più dischi al mese ma qualcosa sta iniziando a cambiare. In primis c’è da considerare l’ondata progressive che domina il mercato italiano e conquista la priorità. Il successo di “Children” di Robert Miles, di cui parliamo qui, apre di fatto una tendenza che finisce col penalizzare la house music, specialmente quella sul versante garage. Gli effetti non tardano a palesarsi: Frank ‘O Moiraghi prova a bissare “Feel My Body” con “Baby Hold Me”, attingendo gli elementi vocali ancora da “Feel My Body” di Talena Mix, ma non riuscendoci, e obiettivi falliti sono pure quelli dei The Groovers con “You’re My Woman” e di Tanya Louise con “Lovely Day”, pubblicata speranzosamente anche su CD. Giungono nuove versioni di “Read My Lips” degli Alex Party che aiutano a tenere alte le quotazioni del brand sul mercato internazionale ma con poca presa su quello domestico rapito, per l’appunto, dalle formule della dream progressive. Vale davvero la pena ricordare però che i Visnadi, nel frattempo, spopolano con “Don’t Stop Movin'” di Livin’ Joy, progetto partito nel ’94 con “Dreamer” che macina oltre un milione di copie oltremanica ma viene snobbato in Italia, con la voce di Janice Robinson poi sostituita da Tameka Starr e sotto la guida della Undiscovered che, tra i fondatori, annovera Angelo Tardio, ex honcho della UMM.

Sunset People - Dreaming Ain't Enough
“Dreaming Ain’t Enough” dei Sunset People è l’unico UMM a essere pubblicato in formato 10″

Dall’estero Manda e Clemente prendono in licenza “Where Love Lives” di Alison Limerick, con remix di Dancing Divaz, David Morales, Frankie Knuckles, Romanthony e i Perfecto di Paul Oakenfold, “Final” degli Hustlers Convention (meglio noti come Full Intention), “I Love You” di Vicky Martin, “Dreaming Ain’t Enough” dei Sunset People (Andrew “Doc” Livingstone, Victor Simonelli, l’unico del catalogo a essere solcato in formato 10″), “I Wanna Live 4 U” dei Rhythm Of Soul, “Alright Now” di Soul Symphony, “Theme From Circus” di Energy Factor alias Ralphi Rosario e “Love Commandments” di Gisele Jackson che troverà successo l’anno dopo col futuro remix speed garage dei Loop Da Loop. Grandi energie vengono spese per assemblare “Feel The Light” di The Family Presents A Tony Humphries Project, pubblicato anche su CD singolo e anticipato da un doppio promo con vari remix tra cui quelli di Victor Simonelli e Oscar G dei Murk. Confinati ai club restano “Move On Your Body” del trevigiano Lys, “Don’t You Know” del napoletano Corvino Traxx, prodotto insieme a Marco Carola, e “Gimme Love” dei Kasto, nuova incarnazione dei siculi Ti.Pi.Cal. con la voce di John Biancale. I New Wave Explorers si fanno risentire per l’ultima volta con “Whatever”, garage di ottima fattura meritevole di raccogliere più frutti, e un discorso simile spetta anche a “2 Be Free” di Funk Revelation, neo act messo su dai cugini Frank e Max Minoia reduci dall’exploit internazionale ottenuto con Joy Salinas nei primi anni Novanta di cui parliamo qui. In scia arrivano i remix di “Back Home” di Joe Smooth realizzati da Tommy Musto, “Never Again” di The Groove Master, “Be Yourself” di Sawaya, “Do You Want It” di The Sound Of One (alias Lenny Fontana), “4 Your Love” di House Of Taste, “Good Tymz” di Romanthony, “National Groove EP” di Luis Radio & Studio 32 e “Assassin” di Martini, rivisitazione del brano scritto da Peter Nashel per lo spot del noto drink. A firmare le due versioni sono Junior Vasquez e Joe T. Vannelli con la voce di Justine Mattera. Riservata al solo CD la compilation “The Best Of The Best” che setaccia il catalogo raccogliendo poco più di una decina di tracce con particolare predilezione per conclamati successi internazionali come Alex Party, Blast e X-Static. In alcune copie finisce la LSC – Levi’s Stretch Cash, tessera che permette di accedere a iniziative nelle jeanserie del noto marchio statunitense, lo stesso che due anni dopo coinvolge numerosi DJ italiani (da Francesco Farfa a Massimino Lippoli, da Leo Mas a MBG, da Mario Scalambrin a Joe T. Vannelli passando per Francesco Zappalà, Leo Sound, Tony Cosa, Lisa Alison, Killer Faber, Alex Neri, Gigi D’Agostino, Massimo Cominotto e altri ancora) in un’iniziativa legata al modello 417.

CYB - I Love You Darling
“I Love You Darling” dei CYB, un discreto successo commerciale

1997, la disfatta
Nei primi mesi del ’97 la dream progressive, che ha tenuto banco per tutto l’anno precedente, inizia a perdere quota. Il mercato italiano è saturato da prodotti simili o smaccatamente uguali (difficile tenere il conto esatto dei cloni usciti di “Children”) e questo determina anche la veloce parabola discendente di un movimento nato nei club e lontano dalle classifiche di vendita, dalle radio e dal pubblico generalista. Tuttavia l’eclissi non è repentina, nel primo scorcio dell’anno funzionano ancora tracce strumentali o quasi, come “I Love You Darling” di CYB, progetto che i Visnadi riportano per la penultima volta nei negozi con la complicità di Ottorino ‘Ottomix’ Menardi. Convogliato prevedibilmente sul tentacolo Progressive e anche in formato CD, il pezzo, non pretenzioso e forse fin troppo cheesy per apparire su UMM, conquista il favore di Albertino che lo inserisce nella compilation “DeeJay Parade” tornata dopo la pausa occupata dai sei volumi “Alba” usciti tra ’95 e ’96. UMM Progressive pure per il terzo e ultimo volume di Esoteric Society, curato da Floriano Fusato, e per “The Grid EP” degli Upuaut (Steve Battarra e Andrea Bracconi). Solcato su un 12″ rosso è “Desire” di The 3angle, ennesimo progetto proveniente dal team palermitano di Tignino, Piparo e Callea che, nel frattempo, mantengono vivo Ti.Pi.Cal. inaugurando una nuova fase della carriera con la cantante Kimara Lawson.

Alex Party - Simple Things
Con “Simple Things” gli Alex Party non riescono a ripetere il successo dei precedenti

In primavera tornano gli Alex Party: “Simple Things”, cantato ancora da Shanie, riparte lì dove era finita “Wrap Me Up” circa due anni prima ma, forse a causa di un ritornello non efficace, risulta incapace di garantire gli stessi risultati e a poco servono i due remix incisi sul lato b realizzati oltremanica dai Rhythm Masters. Prodotto a Londra da Cricco Castelli è “Time’s Gonna Work” di Lorraine Lowe mentre arriva dagli States “Love Tight” di Victor “Overdose” Sanchez. Assemblato in Liguria da Miki Talarico è “Gost” di Future Bass, dalla Campania giungono “Please Come” di Money System, “Itaparica” di Wigwam e “Test Pressing EP” di The Quartet prodotta da Salvatore Oppio e Salvatore Trinchillo. Su UMM Progressive tocca a “Vibrations” di D.S.P., “Orange” di Lys e “Racing Tracks ’97” dei CYB. Prodotto da Nick Morris e Jamie Lewis al B.S.S. Studio di Messina è “Paradise People” di N.J.P., Daniele Danieli ed Enrico Santacatterina si occupano di “Hold Me Back” di Rosa Garett, Oscar B. & Fabio “Red” Faltoni firmano “Don’t Stop” e i siciliani Tignino, Piparo e Callea tirano fuori dal loro Entroterra Studio “Message Of Love” di S-Naked.

X-Static - True Love
“True Love” di X-Static tira il sipario sulla UMM di casa Flying Records

Sebbene il seguito di “Deep In You” non centri l’obiettivo, UMM pubblica il primo e unico LP di Tanya Louise intitolato, banalmente, “The Album”. Dal lavoro edito su triplo vinile in edizione limitata e in CD, viene estratto anche un singolo, “Tougher”, scritto insieme a Joe Smooth. Limitato a una tiratura su white label è il disco di Key Dopa Feat. Adri, prodotto da Giancarlo Chieco e Donato Settanni, incapace di uscire dall’anonimato. A passare inosservato è pure il nuovo X-Static intitolato “True Love”, prodotto dai Visnadi e Ricky Stecca con evidenti rimandi ad Alex Party e cantato dalla triestina Federica Micheli, già voce per alcune produzioni uscite dal Palace Recording Studio di Andrea Gemolotto come “Automatik Sex” ed “Elektro Woman” di Einstein Doctor DJ, intervistato qui, ed “Eins, Zwei, Polizei” di Mo-Do. È l’ultimo disco che la Flying Records pubblica su UMM: la struttura napoletana, dopo aver vissuto anni memorabili, non riesce a risolvere le criticità gestionali e finanziarie e fallisce schiacciata dai debiti. Ma la storia della UMM non è ancora finita.

grafico uscite UMM
Un grafico che mostra l’attività della UMM dal 1991 al 1997 in relazione al numero di pubblicazioni annue. L’apice nel 1995 quando sul mercato arrivano circa 100 uscite nell’arco di 12 mesi
Abduction - Proud Mary
Con “Proud Mary” di Abduction la Media Records riavvia la UMM nell’autunno ’98

Marchio uguale mood diverso, la UMM del post Flying Records
Brescia, 1998: dopo aver acquisito i diritti per l’utilizzo in ambito discografico, la Media Records di Gianfranco Bortolotti rilancia il marchio UMM. Così, in autunno, il brand nato sette anni prima torna nei negozi di dischi con “Proud Mary” di Abduction, progetto curato da Mario Più e Mauro Picotto. Il brano gira su campionamenti tratti dall’omonimo dei Creedence Clearwater Revival scritto da John Fogerty e annovera una versione di Enrico Rossi e Stefano D’Andrea. Sotto il profilo grafico, l’etichetta si ripresenta con un logo simile a quello originale ma abbinato a immagini dell’iconografia religiosa, in quel periodo usate da Bortolotti per declinare alcuni advertising della Media Records. Sui dischi invece le diciture “this side” e “that side” vengono sostituite da “Jesus Icon” e “Apostles Icon”. Nel 1999 seguono “Keep On” degli House Breaker (Luca Lento, Roberto Terranova e Vincenzo Callea) in scia al cosiddetto french touch che prende piede nel mainstream, e “For Your Love” di Jim De Vitt, arrangiato da Raf Marchesini e Paolo Sandrini. Poi una nuova e lunga pausa sino al 2001, quando la direzione artistica viene affidata a Enrico Ferrari alias Barry Saint Just, reduce dal successo internazionale di “You See The Trouble With Me” di Black Legend. Per Ferrari si tratta di una sorta di ritorno su UMM, per la quale nel 1995 ha già inciso “Play House” di Sohante, insieme ai ragazzi dell’HWW Studio (Coccoluto, Martinez, Lenny). Con Angelo ‘Fun-K’ Raggi realizza “Everybody Everywhere” e “That’s A Trip” di Elephant & Shepherd a cui collabora il tastierista Gianni Abruzzese. Sul fronte remix i due ritoccano “New School Fusion” dei Rhythmcentric, un pezzo preso in licenza dagli States prodotto da DJ Foxx e DJ Sensé che sul lato a annovera due versioni dei Basement Boys. In solitaria invece “Electro Y.A.M.”, che celebra il vibe tribaleggiante degli anni migliori della UMM. Il 2002 è una delle annate più prolifiche del nuovo corso, seppur il cambio di passo rispetto ai tempi più rosei della Flying Records sia ben più che evidente. Arrivano “Shake Da Shake” di Furilla, “No Reason” dei Mambana (con remix di Axwell), “Kiss Me More” di CRW Feat. Veronika, “My Heart” dei redivivi 49ers, “Blow Your Mind (I Am The Woman)” di LP Project alias Lisa Pin-Up, “I Want Your Sex” di Soho Boy, cover dell’omonimo di George Michael prodotto da DJ Pagano con la voce di Alessandro Perrone, “To Me / Time Flies” di Masters, i remix di “Like I Love You” di Justin Timberlake a firma Deep Dish e Basement Jaxx, “Macumba / Voodoo” di Dogon Tribe e “On The Road” di Funky Punk, rimaneggiamento di “On The Road Again” degli spagnoli Barrabas.

Il mercato discografico dei 12″ destinati ai DJ sta per entrare nella crisi più nera, da un lato alimentata dalla diffusione della pirateria informatica e dei software peer-to-peer, dall’altro dai nuovi sistemi messi a disposizione dalle aziende come CDJ più performanti e sistemi digitali tipo Final Scratch. Il disco in vinile non è più l’unico supporto adoperabile dai DJ e questo rivoluziona irreversibilmente il comparto incidendo negativamente sulle vendite che crollano in modo verticale. Le conseguenze emergono presto, con moria generalizzata di etichette indipendenti e chiusura di distributori. Nessuno esce indenne dalla digital storm, neppure le realtà più consolidate come la Media Records costretta a ridurre progressivamente il numero di pubblicazioni annue. Nel 2003 su UMM è la volta di “Good Enough” di Fabio M, “I Won’t Be Waiting” e “Make A Move” di Furilla (la Plastic Dub Mix viene messa in moto dal campionamento di “Lost Angeles” di Giorgio Moroder), “Talk 2 Me” dei K-Klass, “Move Your Feet” dei Junior Senior potenziata dal remix dei Filur, “Get Set” di Masters, le versioni di Furilla di “Let The Sunshine In” dei 49ers, “Number One” di The Cat & Mr Cool e “Gipsy” dei tedeschi Gipsy, ripubblicata anche con remix di Robbie Rivera. Seppur il marchio resti lo stesso, appare evidente una discontinuità col passato, non tanto per la quantità di pubblicazioni la cui soglia viene erosa dalle ragioni economiche legate al mercato non più ricettivo come quello degli anni Novanta, quanto al mood profondamente differente. La UMM rinata a Brescia nel ’98 appare radicalmente diversa rispetto a quella partorita a Napoli nel ’91. Un’operatività portata avanti a fasi alterne sommata a un non chiaro obiettivo finisce con lo smontare l’apparato originario. All’etichetta ripartita in Lombardia manca dunque la visione, la ricerca e soprattutto l’incubazione di nuovi talenti. Tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila la casa discografica bortolottiana punta quasi tutto su BXR che garantisce risultati di assoluto pregio, così come raccontiamo qui, e probabilmente è anche ciò a determinare un livello di attenzione ridotto per UMM e un’altra storica etichetta house nata tra le sue mura, Heartbeat, a cui abbiamo dedicato qui una monografia, entrambe protagoniste di una parabola in costante flessione. Qualche stimolo in più viene destinato alla Shibuya Records partita nel 2000 e affidata ad Alberto Casella, intervistato qui, sulla quale “atterrano” nomi come Bob Sinclar e Celeda, ma pure quello si rivelerà essere un fuoco di paglia.

La corsa di UMM riprende nel 2004 con “My Mood” ed “Anything Is Mother” di Furilla, “Just Fuck” di Tom Neville, “Essential” di Fabrizio Rubessi, “Fast Driving / Helium” dei finnici Dallas Superstars e “Slip Away” di Mohito Feat. Howard Jones con remix di Steve Angello. La discografia è claudicante e si sta impantanando, Bortolotti ha lasciato la direzione della casa discografica a Filippo Pardini e non c’è più tanta pianificazione o strategia. Alla manciata di uscite anonime del 2005, “You And I” di Junior Brasco e “Fuck Me” di Greg Access & Pawel Labrentz, segue nel 2006 “2K6 EP” di Club House, edificato sulle cover di “Speed Of Sound” e “Don’t Stand So Close To Me” rispettivamente dei Coldplay e dei Police, e nel 2007 una doppia compilation su CD banalmente intitolata “Best Of UMM” che fruga nel catalogo mettendo insieme classici di un passato ormai remoto e nuovi remix usciti poco tempo prima come quello di “Now” dei CYB realizzato dai Cosmic Gate e quello di “I’m Standing” di X-Static approntato da Francesco Diaz. Nel frattempo il brand UMM passa ancora di mano e viene utilizzato dal team della filiale britannica della Media Records diretto da Pete Pritchard e David Louca che lo usa per marchiare una serie di pubblicazioni tipo “Be Free With Your Love” di Miami Dub Machine, “Jus Luv Bass” di Deepgroove, “Moonlight Party” di Fonzerelli e “What You Gonna Do?” di Jonathan Ulysses, musicalmente agli antipodi di quello che erano i contenuti dell’etichetta diretta da Tardio.

UMM last logo
Il logo UMM che accompagna l’ultimo tentativo di rilancio

A gennaio del 2017, dopo dieci anni di silenzio, Gianfranco Bortolotti “riaccende” la fiammella di UMM: nei negozi arrivano due 12″, “Eighteen EP” di Ten Words e “Snow In The Desert EP” di Joy Kitikonti, entrambi annessi alla corrente della “bigroom techno”. Gli scarsi riscontri convincono a tirare i remi in barca e rivedere la strategia per rispondere meglio a un mercato dinamico e in perenne evoluzione e ripartire, questa volta solo in digitale, nel 2018 con un nuovo A&R, Marco Dionigi. «La UMM cambia veste e rotta, del resto sono stato chiamato proprio per cambiare tutte le carte in tavola» afferma il DJ veneto in un comunicato stampa diffuso in Rete. «Bortolotti mi ha interpellato perché voleva dare a UMM una nuova identità. Proprio come me, lui non ama guardare al passato: è un visionario come lo sono io, ed è rimasto molto colpito dalle produzioni nu disco. Mi ha chiesto quindi di prendere in mano la label e costruirci sopra una nuova realtà musicale che mantenga però la posizione di fare musica d’avanguardia e puro clubbing sound». Per l’occasione Dionigi aggiunge che punterà su vari artisti senza dimenticare demo, sia italiane che estere, ma alla fine otto delle nove uscite finite negli store sono firmate da lui. Il sipario si chiude a maggio del 2019 col “Deeper EP” del salernitano Francesco Romano.

La testimonianza di Angelo Tardio

Tardio @ Flying Posillipo
Tardio intento ad ascoltare dischi nella prima sede della Flying Records a Posillipo (1989 circa)

Cosa ricordi dei primi anni di attività della Flying Records?
A Posillipo eravamo in due garage attigui, in uno allestimmo l’ufficio, nell’altro, più simile a uno scantinato, la parte amministrativa. Cominciammo in sordina comprando dischi dai distributori milanesi tipo New Music International, Non Stop, Discomagic e Giucar e vendendo limitatamente ai confini regionali della Campania. Poi, circa un anno dopo, convinti delle nostre capacità, pensammo di espanderci e a quel punto tirai dentro Mario Nicoletti che divenne una persona chiave per l’azienda. Avevamo voglia di crescere e l’ambizione non ci mancava ma non era sufficiente, essere meridionali e nuovi nel settore purtroppo giocò a nostro svantaggio. Tanti negozianti del nord ci chiudevano il telefono in faccia ma, a conti fatti, fu proprio questo atteggiamento a spronarci ulteriormente. Cominciammo a prendere le prime licenze dall’estero e poi a stampare produzioni italiane, anche di successo. Nell’arco di poco tempo proprio quelli che quando dall’altra parte della cornetta sentivano nominare la Flying Records riappendevano il ricevitore senza neanche salutare furono costretti a ricredersi e a fare ordini da noi. Ricordo ancora quando importammo “Bad” di Michael Jackson dal Canada, con copertina in formato gatefold non ancora disponibile in Italia: ne vendemmo migliaia! La Sony, che in quel periodo acquisì la Epic, ci accusò di rovinare il suo fatturato. Insomma, la Flying Records dei primi tempi era un luogo in cui si faceva ricerca continua, con una predilezione per le cose più appetibili che potevano trovare un consenso nel mercato italiano.

Quali motivi ti spinsero a creare la UMM nel 1991?
Mi nutro di musica da sempre e negli anni Settanta ho fatto anche il DJ. Rock, soul, jazz, synth pop, new wave, dub, house, techno, breakbeat, trance, ambient, l’unica distinzione che ho sempre fatto è quella tra musica bella e brutta. Rincorrere le cose commerciali non era ciò che sognavo di fare e, sentendo crescere in me un impulso creativo, avvertii presto l’esigenza di creare qualcosa di completamente mio e di cui avrei potuto sentirmi diretto artefice. La UMM fu il risultato.

UMM Alter
Il fuoristrada Alter, uno dei modelli più noti della casa automobilistica portoghese UMM

Ricordi qualcosa sulla creazione del nome e del logo?
Per l’occasione svelo un dettaglio che non avevo mai raccontato prima di questo momento: il nome dell’etichetta nacque su suggerimento del mio socio di allora, Flavio Rossi, che era un patito di auto fuoristrada. Tra le sue preferite c’era la portoghese UMM (acronimo di União Metalo Mecânica, nda) e lanciò l’idea di usare la medesima sigla. A quel punto studiai un nuovo significato da attribuire alle tre lettere, in linea con quanto avessi in mente. Non mi interessava nulla delle classifiche, avevo semplicemente il desiderio di selezionare la musica che più mi piaceva, anche a rischio di vendere pochissime copie. L’accordo stretto con Rossi prevedeva che nessuno, tranne me, avrebbe dovuto e potuto sindacare sulle scelte legate a UMM. Per quanto riguarda il logo invece, ci pensò Patrizio Squeglia, amico con cui collaboravo sin dal 1983, anno in cui realizzò la copertina del primo disco che produssi, “Come On Closer” di Pineapples Featuring Douglas Roop. Lui creava idee, io vagliavo e proponevo eventuali alternative. In merito al logotipo, ricordo che optammo per un font mai più usato da nessuno in seguito, per quanto concerne il logo invece, la scelta cadde su un globo contraddistinto da una sorta di rete, quasi una connessione internet primordiale, la rappresentazione grafica del movimento della musica underground irradiato sul pianeta.

Cosa ti torna in mente ripensando ai primi mesi di UMM?
Il destino volle che proprio mentre nasceva UMM vivessi un periodo assai doloroso della mia vita dovuto alla malattia e alla prematura morte di mio padre. Per qualche mese fui costretto quindi a trascurare un po’ il lavoro e infatti le prime uscite su UMM furono il frutto di scelte condivise, al 70% mie e al 30% di altri, tra venditori e referenti della sede britannica della Flying Records che aveva aperto da poco a Londra. Alcune pubblicazioni, come “Detroit 909” di K.G.B. ad esempio, vennero pubblicate prima oltremanica e a testimonianza c’è anche il numero di catalogo diverso, 003, che divenne 004 per l’Italia. “Powerful” di Fighting 4 uscì su UMM solo nel Regno Unito, da noi fu deciso di convogliarlo su etichetta Flying Records. Lo 001, “Real Dream” dei D.B.M., venne scelto da Flavio Rossi dopo averlo fatto sentire ai venditori, lo 005 invece uscì solo in white label ed era di Shamal, progetto dietro cui operava il team siciliano formato da Daniele Tignino, Riccardo Piparo e Vincenzo Callea (con quella ragione sociale nel 1992 firmeranno “Freedom Party” per la milanese Palmares Records, nda). A volte stampavamo qualche centinaio di copie per capire se il progetto potesse funzionare o meno e quindi vagliavamo se proseguire con la pubblicazione ufficiale. La Flying Records dei primi anni Novanta contava su un team di circa una settantina di persone sparse tra Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti (fra le quali il promoter Claudio Arillotta, intervistato qui, nda), e visto l’importante ruolo che giocava allora la scena britannica, alcune decisioni erano determinate da chi operava a Londra e aveva il polso della situazione. Dopo aver avuto il tempo di organizzarmi però, ebbi il pieno controllo di UMM, etichetta che ho concepito in modo diverso dalle classiche, soprattutto quelle italiane. Per rimarcarlo decisi di sostituire il lato A e B con le indicazioni This Side e That Side. Non volevo seguire il modello della discografia tradizionale abituata a solcare sul lato A il pezzo forte e relegare al B il resto, per me non esisteva quella suddivisione.

Nel corso degli anni alcuni numeri del catalogo sono stati saltati, tra cui il 200. Errori o “buchi” intenzionali?
Difficile dare una spiegazione dopo così tanto tempo. Poteva trattarsi di white label a cui assegnammo il numero di catalogo e poi decidemmo di non pubblicare per qualche ragione, ma anche di banale casualità dovuta alla miriade di vorticosi avvenimenti di allora. In alcuni periodi UMM ha immesso sul mercato più di dieci uscite al mese quindi è legittimo pensare a qualche svista.

Conservi una copia di tutti gli UMM?
No, nemmeno uno. Del resto non ho avuto l’accortezza di conservare neanche una t-shirt o le mie produzioni tipo Kwanzaa Posse.

C’è un brano che avresti voluto prendere in licenza per UMM ma al quale, a causa di accordi non andati in porto, hai dovuto rinunciare?
Certo, più di uno. Il primo che mi viene in mente è “Plastic Dreams” di Jaydee (intervistato qui, nda), originariamente su R&S Records: feci di tutto per averlo ma Giacomo Maiolini offrì una cifra spropositata accaparrandoselo per la sua Downtown. Non mi sono mai piaciute le aste ma quella volta forse avrei fatto meglio a gareggiare, è una spina che mi è rimasta nel fianco. Un altro titolo è legato ancora al gruppo R&S Records di Renaat Vandepapeliere, “Selected Ambient Works 85-92” di Aphex Twin, che però uscì sulla sublabel Apollo. In quel caso non c’entrava il denaro bensì la precisa scelta, di Vandepapeliere, di non licenziarlo a nessuno per mantenere il completo controllo dell’opera. Potrei citarne anche un terzo, “Some Lovin'” dei Liberty City, progetto dei Murk e rilevato per l’Italia dalla D:vision Records. Tuttavia riuscii a coinvolgere ugualmente Oscar Gaetan e Ralph Falcon che vennero nello studio della Flying Records per registrare il remix di “Musika”, un singolo del mio progetto Kwanzaa Posse uscito nel 1993. Proprio in quello studio, allestito sul progetto acustico di Robert Quested ed equipaggiato con un magnifico mixer Amek Angela, qualche tempo dopo giunse Todd Terry e mi fece ascoltare in anteprima “Jumpin'” che presi all’istante per UMM.

Qual è stata la licenza più complicata da acquisire?
Senza ombra di dubbio “I Like To Move It” dei Reel 2 Real, ma non a causa di ragioni economiche come qualcuno potrebbe pensare, visto che ero in ottimi rapporti con Mark Finkelstein della Strictly Rhythm e questo mi metteva peraltro su una corsia preferenziale rispetto ai competitor. Le problematiche sorsero invece con Erick Morillo che impose una lunga serie di condizioni a cui dovetti sottostare, ma ero talmente convinto delle potenzialità del pezzo da non arrendermi di fronte a tutte quelle difficoltà.

Daft Punk + Blake Baxter
Daft Punk e Blake Baxter, tra le pubblicazioni meno fortunate della UMM

Tra le svariate decine di artisti sbarcati nel nostro Paese attraverso UMM ci sono stati anche i Daft Punk: come ricordi “The New Wave”, ormai diventato un cult sul mercato del collezionismo?
Ascoltai un promozionale a Miami che mi fecero sentire gli amici della Soma, etichetta per cui nutrivo molto rispetto e che pubblicò la musica del duo francese prima di essere messo sotto contratto dalla Virgin. La sensazione che provai dopo aver ascoltato “The New Wave”, “Assault” ed “Alive” fu simile a quella che generò in me l’anno prima “Racing Tracks” dei Visnadi. Era musica che viaggiava su un suono diverso, non paragonabile a nient’altro in circolazione ai tempi. Rimasi fortemente affascinato da quel disco e, da supporter del suono fuori dai canoni tradizionali, lo volli nel catalogo UMM nonostante in Flying Records non piacesse praticamente a nessuno, tranne a me e a Patrizio Squeglia. I risultati purtroppo furono impietosi, vendette forse un centinaio di copie e i resi finirono al macero. Non avevo certamente la pretesa di vederlo in cima alle classifiche di vendita ma ero convinto che, in virtù di quanto fatto sino a quel momento, ci saremmo potuti permettere di pubblicare anche pezzi così particolari ma i fatti non mi diedero ragione. “The New Wave” dei Daft Punk, a malincuore, resta uno dei più grandi flop targati UMM.

Che responsi sortirono invece le uscite degli Underground Resistance e di Blake Baxter del 1991?
Le licenze degli Underground Resistance andarono decisamente meglio rispetto a quella dei Daft Punk, complice il momento d’oro che viveva la musica dei rave. In numeri, credo viaggiassero dalle duemila alle tremila copie, non di più. Di “Strong To Survive / Fuck You Up” di Blake Baxter invece ne vendemmo poche centinaia. Con Jeff Mills e Mike Banks, incontrati al New Music Seminar a New York (come raccontato qui, nda) dove parlammo a lungo di musica, c’era stima e rispetto reciproci. Ai tempi tante cose nascevano così, in modo spontaneo, senza sovrastrutture o pianificazioni a tavolino ma per puro amore nei confronti di ciò che si stava facendo. Credo che gli Underground Resistance capirono subito che dall’altra parte ci fosse un amante della musica e non qualcuno che volesse speculare sulla loro creatività.

Quali sono stati i bestseller del catalogo UMM?
Per quanto riguarda le produzioni italiane, senza dubbio “Alex Party”, successivamente nota come “Read My Lips”, “Don’t Give Me Your Life” e “Wrap Me Up” degli Alex Party e “I’m Standing” degli X-Static. Pure “Crayzy Man” dei Blast (di cui parliamo qui, nda) raccolse ottimi risultati e pochi mesi dopo lo seguì “I’m A Bitch” di Olga (di cui parliamo qui, nda): il successo fu tale da richiedere la presenza di una ragazza a cui affidare l’immagine del progetto e che tenne centinaia di serate nelle discoteche. Sul fronte licenze invece, i primi che mi vengono in mente sono “These Sounds Fall Into My Mind” di Bucketheads, “I Like To Move It” dei Reel 2 Real, “Jumpin” di Todd Terry e “Deep Inside” di Hardrive, successi conclamati ovunque.

Quale invece il meno fortunato e che, a tuo avviso, avrebbe meritato di più?
“NOFutureNOPast” dei Visnadi, uscito nel ’91, un disco bellissimo, seminale per tante idee racchiuse all’interno, da cui fu estratto “Hunt’s Up” in varie versioni tra cui la memorabile Live Mix registrata in presa diretta con improvvisazioni stranianti, analogamente a quelle che i Visnadi riproposero in “Racing Tracks”, altro pezzo alieno incompreso soprattutto qui in Italia. Solamente venti anni più tardi (2013) se ne iniziò a parlare, grazie a Maceo Plex che ne fece un edit per il suo “DJ-Kicks”, e Richie Hawtin e Ricardo Villalobos che lo hanno ripetutamente inserito nei loro set e questo mi ha gratificato, seppur con immenso ritardo. Non ho rimpianti comunque, sono sempre stato convinto delle mie scelte e l’obiettivo di UMM non era certamente quello di muovere grandi numeri seppur in qualche caso ciò sia avvenuto.

Quanto incideva UMM sul fatturato della Flying Records? Ci sono state annate più floride di altre?
Quando mollai la società, a fine ’95, Flying Records fatturava 43 miliardi di lire annui di cui una quindicina provenienti da UMM. Gli anni d’oro furono quelli compresi tra 1992 e 1995 e a farmelo capire sono stati anche i negozi di dischi più importanti del mondo, sparsi tra Londra, New York e Miami, che destinavano uno scaffale esclusivamente alle uscite UMM. Per me fu davvero appagante.

Nel 1994, con un disco dei CYB, si apre il sentiero parallelo della UMM Progressive. Fu la necessità di trovare un più corretto incasellamento stilistico a spronarti nel creare una variazione del brand?
Esattamente: decisi di avviare UMM Progressive per raccogliere quei brani che finivano in territori differenti dalla house. Da divoratore di musica globale, non accettavo di rinchiudermi in un solo genere o pormi confini di sorta ma piuttosto avevo l’ardente desiderio di abbracciare qualsiasi cosa mi piacesse, che fosse di matrice house o techno. Forse avrei dovuto varare UMM Progressive già l’anno prima, quando pubblicai diversi brani e l’album degli Spooky, dal catalogo della Guerilla di William Orbit. Apprezzavo molto quel nuovo filone, progressive per l’appunto, che nasceva nel Regno Unito e in cui confluivano elementi house, breakbeat, techno, ambient e trance. Poi è capitato che, tra i tanti, ci fossero pure pezzi più commerciali finiti nelle programmazioni radiofoniche e nelle compilation dance, come “It’s Too Funky” dei CYB, ma non fu un’operazione intenzionale anzi, mi stupii nel trovare allineati i gusti del mercato generalista coi miei.

UjaMM'n
Il logo della UjaMM’n

In quello stesso anno, il 1994, tra le mura della Flying Records nasce la UjaMM’n, a posteriori considerata una sublabel o comunque un’etichetta vicina a UMM viste le spiccate analogie del logo. In realtà però di similitudini sul fronte musicale, almeno nel primo periodo, ne correvano ben poche. Esisteva una relazione tra le due?
Flying Records era diventata un ombrello di una moltitudine di generi, incluso l’hip hop (dopo i De La Soul rinsaldammo la partnership con la Tommy Boy e portammo in Italia Naughty By Nature e Queen Latifah), il rock e la musica italiana. UjaMM’n, da pronunciare youjammin’, nacque per coprire il segmento soul, new jazz e fusion, e fu affidata al compianto Francesco Diana che mi teneva aggiornato facendomi puntualmente ascoltare tutto ciò su cui lavorava. Le analogie del logo a cui ti riferisci servivano, banalmente, a far capire che fosse un “satellite” della Flying Records. In assenza di uno strumento potentissimo come internet, ci si ingegnava in altri modi per lanciare messaggi agli acquirenti.

L’attività di UMM ti ha messo in contatto con centinaia di persone, tra musicisti, DJ e case discografiche. Quali sono i nomi che riaffiorano nella tua memoria ripensando a questa avventura?
I fratelli Gianni e Paolo Visnadi, tra coloro che hanno inciso più dischi in assoluto per UMM, da quelli rimasti nell’underground ad altri diventati hit planetarie. Ci conoscemmo nei primi anni Novanta discutendo di artisti che nulla avevano da spartire con la dance come Steve Reich e Brian Eno. Mi dissero che avevano proposto invano i loro pezzi a diverse case discografiche e dopo averne ascoltati alcuni capii immediatamente che fossero cose di spessore, ignorate dagli altri perché incapaci di comprenderne le potenzialità. Pubblicare i loro primi dischi per me fu una scelta coraggiosa, di pancia direi, perché si trattava di musica apparentemente senza mercato, specialmente per l’Italia. Fortunatamente potevo contare su un valido supporto distributivo giacché Flying Records, nel frattempo, aveva consolidato la propria attività e l’apertura di una filiale a Londra e poi una a New York, a Broadway, condividendo lo stesso stabile della Irma, mi aprì le porte del mondo intero. Il nostro rapporto si rinsaldò ulteriormente con “Four Journeys” e “Hunt’s Up”. Dopo aver messo in circolazione quei pezzi iniziò un vero e proprio pellegrinaggio da parte di tantissimi che ambivano a vedere la propria musica stampata su UMM compresi futuri grandi DJ di fama mondiale. Altri due amici con cui ho condiviso il percorso stringendo una relazione duratura sono stati Gianni Bini e Fulvio Perniola ossia i Fathers Of Sound. “Revelation”, del 1993, resta uno dei miei preferiti del catalogo. Quando me lo fecero ascoltare per la prima volta impazzii letteralmente al punto da non chiedere di approntare nuove versioni, quella era sufficiente e infatti il disco era un single sided, inciso solo da un lato, sull’altro c’era una favolosa serigrafia. Al brano è legato anche il ricordo di una UMM Night presso il Warsaw Ballroom di Miami, dove c’erano almeno duemila persone e non si riusciva neanche a camminare. Bini e Perniola aprirono il set proprio con “Revelation” e lasciarono il segno in un locale house per eccellenza, paragonabile al Warehouse di Chicago, mi viene ancora la pelle d’oca a ripensarci. Il resto lo fece un formidabile sound system. Tra i referenti di case discografiche mi tornano in mente i fratelli Marin della Cutting Records da cui presi in licenza il primo album dei Masters At Work: rimasero sorpresi quando si resero conto che stesse vendendo più la stampa italiana di quella americana! Esterrefatto fu pure il citato Finkelstein della Strictly Rhythm nel momento in cui sentì la Heavy Weather Mix di “Deep Inside” di Hardrive che commissionai ai Visnadi. Menzionerei infine Francesco Zappalà per la spettacolare raccolta “UMM In Progress – Code 1” accompagnata da una copertina altrettanto speciale, che immortalava una scultura futuristica realizzata da Patrizio Squeglia allestita in un cubo di vetro. Spero che qualcuno sia riuscito a salvarla dopo la chiusura della Flying Records.

Kwanzaa Posse
Sopra Tardio in consolle, sotto le copertine dei tre 12″ di Kwanzaa Posse usciti tra ’91 e ’93 e impreziositi dai remix di Jam El Mar & Mark Spoon, Massive Attack e Murk

Oltre a ricoprire ruolo di A&R, in quegli anni operavi anche in studio di registrazione come Funk Master Sweat e nel team Kwanzaa Posse. Quali sono i tuoi ricordi più belli legati a questi progetti?
Come Funk Master Sweat firmai diversi remix principalmente per dischi licenziati o prodotti dalla Flying Records come “Feel It” di Adonte, “Soul Magic” di YBU, “Friends” di Amii Stewart e “Living For The Night” di Underground Resistance Featuring Yolanda. Con quello pseudonimo produssi anche delle tracce tra cui “House Of Latin” e “Detroit” finite in un EP in cui ospitammo i KCC (Keith Franklin, Cisco Ferreira e Colin McBean, nda). Kwanzaa Posse invece nacque per dare sfogo a un’altra mia esigenza, miscelare gli stili che programmavo come DJ nel 1976 ovvero disco, rock, funk e tanta musica nera. Sostanzialmente una maniera con cui creare la musica che più mi piaceva senza dover sottostare agli obblighi di mercato, proprio come stavo facendo in parallelo per UMM. Alla base di Kwanzaa Posse (il termine “kwanzaa” lo presi in prestito dal vocabolario Swahili e significa “primizie”) c’era un melting pot di stili, musiche, culture e sonorità, un mix eterogeneo ma ragionato che rappresentava più che bene il mio lato artistico. Ad aiutarmi in studio furono Carmine ‘KeyB’ Tortora, musicista napoletano che conosceva benissimo jazz, funk, folk e musica africana in genere, ed Enzo ‘Soul Fingers’ Rizzo, ingegnere del suono che mise a disposizione la sua esperienza per ottenere il meglio di quel distillato sonoro. Debuttammo nel 1991 con “Wicked Funk”, brano a metà strada tra acid jazz, afro e funk contenente un campionamento (autorizzato, ci tengo a sottolinearlo) di “Sorrow Tears And Blood” di Fela Kuti. Tra i remix quello dei tedeschi Jam El Mar e Mark Spoon: incontrai Mark al New Music Seminar di New York e gli feci sentire il pezzo in albergo, seppur fosse poco più di una demo. Con la sua classica giovialità ed esuberanza, mi disse subito che lo avrebbe voluto pubblicare su Logic Records, etichetta per cui ai tempi ricopriva ruolo di A&R. Ma non era tutto: la traccia gli piacque al punto da volerne fare un remix insieme al suo amico Jam El Mar con cui stava lavorando a un album, “Breaks Unit 1”, e con cui avrebbero dato avvio al progetto Jam & Spoon. “Wicked Funk” vendette diverse migliaia di copie ma ad oggi non è mai stato ristampato. Girava a 104 bpm e questo lo rese assai coraggioso visto che era il periodo in cui la maggior parte dei produttori si lanciava a capofitto nella techno a velocità elevate. Gli ottimi riscontri ci fecero guadagnare parecchie richieste come remixer, specialmente per la Francia. Mettemmo le mani su “Qui Sème Le Vent Récolte Le Tempo” di MC Solaar, “Didi” di Khaled, “Vive Ma Liberté” di Arno, “Maman” di Nina Morato, “Voilà, Voilà…” di Taha, “Sexe Faible” di Jérôme Dahan, “C’est Déjà Ça” di Alain Souchon e diversi brani per la band Les Negresses Vertes che vinsero il disco d’oro e oggi sono considerati evergreen. Nel 1992 mi occupai anche del singolo di debutto dei 99 Posse, “Dì Original Trappavasciamuffin Stailì”, contenente “Rafaniello” e “Salario Garantito”, con cui tagliammo il nastro inaugurale della Crime Squad, l’etichetta hip hop della Flying Records sulla quale poi debuttarono gli Articolo 31, i Sangue Misto, DJ Flash, i Sottotono e tanti altri. A seguire i remix di “Curre Curre Guagliò” ancora dei 99 Posse, “Here Comes Bo Diddley” di Edoardo Bennato & Bo Diddley, “Qui Gatta Ci Cova” di Tullio De Piscopo, “New State” degli scozzesi Hue & Cry, “Señor Matanza” dei Mano Negra e altri ancora. Nel 1994, proprio per i Mano Negra e sempre sotto il moniker Kwanzaa Posse, produssi “Casa Babylon”, l’ultimo album prima del loro scioglimento. Manu Chao, entusiasta del risultato, tornò a Napoli e insieme realizzammo in circa un mese l’album “Radio Bemba”, di cui conservo ancora il master, che però non venne mai pubblicato. Parte di quel lavoro fu riciclato molti anni più tardi in “Radio Bemba Sound System” da cui fummo omessi dai crediti perché, a parere del francese, i pezzi furono completamente trasformati. Nel frattempo Kwanzaa Posse era andato avanti con altri due singoli, “African Vibrations” del 1992, che tra i remix annoverava quelli di MBG e dei Massive Attack realizzato a Napoli, e “Musika” del 1993, impreziosito dalle versioni dei Visnadi e, come dicevo qualche riga sopra, dei Murk.

fax David Byrne
Il fax spedito a Tardio da David Byrne il 21 maggio 1996

A differenza di UMM, Kwanzaa Posse era un progetto di mia proprietà e libero da oneri contrattuali e che potei proseguire anche dopo aver abbandonato la Flying Records. Nel 1996 infatti remixammo “Senza Rimorso” di Zucchero, “Memobox” degli Üstmamò ma soprattutto producemmo il primo album dei King Chango per la Luaka Bop, l’etichetta di David Byrne dei Talking Heads. Conservo ancora il fax che David mi mandò nella primavera di quell’anno. In seguito ci dedicammo alle colonne sonore e musica destinata alle sonorizzazioni televisive. “Visions”, ad esempio, fu utilizzata per circa quattro anni come sigla di testa e coda di un programma di moda della Rai, Oltremoda.

Nel 1996 abbandoni la Flying Records e stringi una collaborazione con la Time Records creando tre nuove etichette, Suntune, Sunlite e Moonlite, che si ritagliano presto spazio nello scenario discografico. A fortunate licenze (“Keep Pushin'” di Boris Dlugosch, “Fever” di Djaimin & Djaybee, “Get Up (Everybody)” di Byron Stingily, “Are You Ready For Some More?” dei Reel 2 Real, “U” di Scot Project, “Guitara Del Cielo” di Barcelona 2000 intervistato qui, “The Lost City” di Graham Gold) si sommano vari made in Italy (“Be (What U Wanna Be)” degli Activa, “Zoe” di Paganini Traxx, “Journey # One” di Nu-Bass alias Bini & Perniola, “The Deep” di Val Weller, “Live EP” di Walterino, “Ye, Ye” di Tribal FM) che, di fatto, innestano su quella triade di marchi bresciani parte dell’aura della UMM. Quali ragioni ti portarono via dalla casa discografica napoletana e come mai, nonostante i rincuoranti risultati, il sodalizio col gruppo guidato da Giacomo Maiolini durò appena un biennio?
Lasciai la Flying Records poiché in netto disaccordo con la politica gestionale del mio socio. Nel primo quinquennio degli anni Novanta l’azienda crebbe in maniera esponenziale, ci eravamo trasferiti da Posillipo ad Agnano, in via Raffaele Ruggiero, dove rilevammo un’immensa parte industriale destinata al deposito, allo studio a cui facevo prima riferimento, agli uffici dell’amministrazione, e al reparto publishing con la società editoriale Blue Flower. Senza ovviamente dimenticare la nascita delle filiali a Milano, in Via Mecenate, a Londra e a New York. Flying Records era diventata una S.p.A. ma poiché socio di minoranza, alla fine si faceva sempre quello che volevano loro. La goccia che fece traboccare il vaso fu il rifiuto di un’allettante proposta da quattro miliardi di lire avanzata da un’importante compagnia discografica olandese intenzionata a rilevare la proprietà. Per principio decisi di andare via, senza prendere un solo centesimo e vedendo tristemente polverizzarsi tutto il mio lavoro nell’arco di pochissimo tempo. A quel punto Maiolini, che mi conosceva già, mi propose di continuare a fare con lui ciò che avevo fatto con UMM. Sulla carta avevo la massima libertà e per circa un anno effettivamente fu così e credo che i risultati si siano visti. Suntune era quella che avrebbe raccolto l’eredità di UMM, Sunlite fu ideata per le ricette più pop e Moonlite l’equivalente della UMM Progressive, destinata quindi a prodotti di matrice trance/techno come ad esempio “Zoe” di Paganini Traxx, un pezzo in stile Underworld che raccolse grande successo all’estero, specialmente nel Regno Unito dove fu ripubblicato da una delle etichette dance della Sony. Il primo anno in Time lo ricordo pieno di passione, diedi anima e cuore a quel progetto per farlo funzionare sottraendo anche energie necessarie ad Undiscovered, etichetta che avevo creato nel ’94. Dopo la prima fase, incoraggiante direi, iniziarono però gli screzi con Maiolini e intuii che non ci fosse la sensibilità per capire che i progetti di successo si costruiscono col tempo, necessario per creare profilo, direzione e personalità. Del resto i primi dischi della UMM vendettero poche centinaia di copie ma a Brescia non avevano nessuna intenzione di attendere anzi, pretendevano tutto e subito. Lì non trovai nessuno spirito da musicofilo ma solo conti da ragioniere. Dopo il mio abbandono Suntune, Sunlite e Moonlite finirono nell’oblio ma Maiolini creò subito un marchio nuovo per proseguire su un percorso simile, Rise, che affidò, ironia della sorte, ancora a un ex dipendente della Flying Records, Alex Gaudino.

Poco fa parlavi della Undiscovered, etichetta nata nel 1994 sull’asse Napoli-Londra dalla sinergia tra te, Angelo Bernardo, Mario Nicoletti e Doug Osborne e trainata dai successi dei Livin’ Joy a partire da “Dreamer”, presto approdata a Top Of The Pops. Perché creasti una realtà parallela mentre eri ancora impegnato con la Flying Records?
I motivi erano i medesimi che mi spinsero a mollare tutto alla fine del 1995. Io puntavo alla sostanza, a coltivare nuovi talenti, a sinergie che avrebbero rivelato i frutti sulle lunghe distanze, Rossi invece spingeva per aumentare il volume di produttività delle compilation e investiva centinaia di milioni di lire in spot televisivi, su imitazione dei classici discografici milanesi e dell’Italia settentrionale in genere. Insomma, nell’aria si respirava già un certo malessere e così cercai di creare un’alternativa in caso di rottura. Ad aprire il catalogo di Undiscovered fu il promo di “Dreamer” dei Livin’ Joy che generò un risultato spiazzante, tutte le grandi compagnie avanzarono delle offerte ma alla fine scegliemmo la MCA dove lavorava una persona che stimavo molto, Steve Wolf, che a sua volta era amico stretto di Pete Tong. Come certificato da BPI, “Dreamer” ha conquistato un disco di platino, uno d’oro e uno d’argento pari a un milione e duecentomila copie vendute solo sul territorio britannico, ma ciò non fu sufficiente a destare l’interesse degli addetti ai lavori italiani che lo ignorarono, forse perché troppo distante dai loro gusti. A remare contro fu anche la totale assenza di promozione, io non potevo certamente sbilanciarmi perché lavoravo ancora in Flying Records. Qualcosa cambiò due anni dopo con “Don’t Stop Movin'”, disco d’oro nel Regno Unito con quattrocentomila copie vendute e arrivato in Italia grazie alla Zac Records che, nel frattempo, aveva stretto una partnership di esclusiva con MCA.

BPI Certificazioni
Le certificazioni BPI (British Phonographic Industry) relative alle vendite oltremanica di “Dreamer” e “Don’t Stop Movin'” dei Livin’ Joy. Si rinviene anche un dato più recente legato a “Don’t Give Me Your Life” degli Alex Party, disco d’oro con 400.000 copie all’attivo

In modo inversamente proporzionale rispetto alle tue interviste e dichiarazioni, tra cui quelle affidate a Billboard e Rossella Rambaldi, UMM ha vantato svariate decine di pubblicazioni annue toccando l’apice nel 1995 quando ne escono circa un centinaio: ritieni di aver peccato di troppa prolificità?
Nel 1995 sapevo che sarei andato via ma ritardai al massimo quella decisione perché nutrivo un vero affetto e amore per UMM. Conscio che la fine fosse comunque vicina, diedi fondo alle energie e il risultato fu avere così tante uscite. Sulle scelte, dunque, non ho rimpianti e rifarei tutto, sulla capacità di gestione, per tutelare il marchio ad esempio, col senno di poi mi sarei sicuramente dato più da fare visto ciò che avvenne dopo il mio abbandono.

Tra ’96 e ’97 la UMM viene guidata da Giuseppe Manda e Maurizio Clemente, dal ’98 in avanti riparte invece sotto l’egida della Media Records: che idea ti sei fatto su quelle fasi?
Sarò schietto: per me tutto quello che è uscito su UMM dal 1996 in avanti non rifletteva più il concept originale, dal logo alla musica. L’unico elemento comune nella gestione Manda/Clemente fu rappresentato da quei progetti che avevo già approntato io e che attendevano solo di essere pubblicati, per il resto mi sembra che ad avere la meglio fosse un riflesso commerciale, aumentato in modo sensibile negli anni a seguire.

UMD
Il logo dell’etichetta milanese UMD

Nel 1993 la milanese Dig It International lancia una nuova etichetta house, la UMD, acronimo di Underground Music Department: era una chiara risposta a UMM?
Più che risposta la definirei uno scimmiottamento totale, al 100%. Si trattò di un progetto partorito dalla tipica scuola milanese che puntava solo al mercato, pensando di poter sfruttare nomi e slogan per raggiungere velocemente i consensi del pubblico, un tipo di ideologia e approccio che non mi appartiene.

Nei primi anni Novanta il termine “underground” finisce con l’identificare un macro genere in cui confluisce un ampio range di house music, dalla solare garage con la vocalità in primo piano a soluzioni che privilegiano il ritmo e suoni più scuri e dub. Credi che a ispirare questo tipo di utilizzo del termine in Italia sia stata anche la UMM?
Il contributo offerto da UMM per collegare quella parola a un genere è sicuramente stato fondamentale. Come ho detto più volte, non ho mai pensato di soddisfare le esigenze commerciali o compiacere il mercato. Il mio intento era, semplicemente, far sentire alla gente quello che io reputavo valido perché in quel momento storico c’era tantissima musica interessante in circolazione. Non ho mai attuato strategie di marketing sotto il profilo di nomi e nomenclature, ho preferito rimarcare il valore che c’era dietro l’underground con la musica stessa e non con le parole come invece hanno fatto altri.

Ad aiutare la diffusione del marchio UMM è stato anche il comparto del merchandising, iniziato in Flying Records e poi proseguito con l’acquisizione da parte della società Moda&Musica dei fratelli Pasquale e Gennaro Cristillo. Che ricordi hai in merito?
L’idea sorse nel 1993 quando stampammo cento t-shirt destinate esclusivamente ai DJ e produttori con cui lavoravamo, dai Visnadi ai Fathers Of Sound passando per Claudio Coccoluto, DJ Pippi e David Morales. Le mandammo anche ai De La Soul visto che fummo noi a licenziare in Italia il loro primo album, “3 Feet High And Rising”, che nel 1989 vendette circa 45.000 copie facendoci guadagnare la stima incondizionata di Tom Silverman della Tommy Boy. L’iniziativa doveva finire lì ma il riscontro fu pazzesco e le richieste crebbero smisuratamente. Alle t-shirt abbinammo bomber, slipmat e borse portadischi ma non volevo separare il merchandising dalla musica, per me non doveva essere il mercato a dirci cosa fare bensì l’esatto opposto. Non mi piaceva l’idea, ad esempio, di inondare i negozi con decine di modelli diversi, era una strategia che non combaciava più con la natura della UMM. Quando Flying Records fallì, nel 1997, i diritti per lo sfruttamento del marchio UMM nel campo dell’abbigliamento, analogamente a quelli discografici passati nelle mani della Media Records, vennero ceduti ad una società campana che diede subito un segno di discontinuità col passato non usando più il font originale. Col rispetto per ciò che hanno fatto i Cristillo prendo però doverosamente le distanze: quella non era certamente la UMM e rimasi indignato per quanto venne riportato dopo la prematura scomparsa di Gennaro sia su Il Mattino, quando venne definito “il fondatore della storica etichetta discografica UMM”, sia su Caserta News che invece ne parlava come “l’ideatore del marchio UMM”.

Quanto Angelo Tardio c’è stato nella UMM?
Tolte alcune delle prime uscite del 1991 che scelsero altri per motivi prima esposti, UMM è stata al 100% mia tra 1992 e 1995. Ero pronto a raccogliere idee e suggerimenti ovviamente, ma a decidere sono stato sempre e solo io.

Se ipoteticamente domani potessi tornare alla guida della UMM, quali sono i brani o gli artisti che pubblicheresti?
Mi piace molto la musica di Henrik Schwarz e Dino Lenny, ma anche le cose più recenti che Paolo Visnadi ha realizzato con Matteo Bruscagin. Visto il fortissimo rigurgito degli anni Novanta che viviamo, tornerei dalle persone con cui ho instaurato un maggiore feeling e intesa proponendo di creare degli edit di alcuni pezzi pubblicati in passato per valorizzare idee non sviluppate a dovere. Inoltre, visto l’amore che nutro per il dub, l’afro e il downbeat, probabilmente creerei una sublabel destinata a questi stili così come feci con UMM Progressive.

Nel 2019 Nick Gordon Brown ha scritto un articolo per il sito della Defected annoverando, tra etichette come Warp, XL Recordings, Soma, Ninja Tune, R&S Records e Kompakt, anche UMM: per quali ragioni credi sia riuscita a lasciare un solco tanto profondo del proprio passaggio?
Forse perché è stata pura, vera e non ha strizzato l’occhio a niente. Contava su un progetto grafico accattivante che procedeva di pari passo alla musica, e poggiava su una logica dell’essenzialità, legata alla musica stessa e non ad altro. La nostra era una missione genuina e artigianale, alimentata dalla passione e non da velleità economiche, e questa onestà alla fine ha dato i suoi frutti. La gente capisce quando qualcosa è sincera e fatta col cuore. Il marchio divenne potente e ad accorgersene furono anche grandi nomi di fama mondiale che fecero ulteriormente crescere la nostra credibilità. Uscire su UMM era “figo”, faceva curriculum, in un periodo in cui house music voleva dire rivoluzione. Oggi invece è un genere come tanti altri, tristemente inghiottito dalla globalizzazione.

Quali sono le tre parole con cui sintetizzeresti l’epopea della UMM?
Ricerca, connessione e unicità.


La testimonianza di Patrizio Squeglia

Patrizio Squeglia alla consolle del My Way di Napoli (1989)
Un giovane Patrizio Squeglia in consolle al My Way di Napoli nel 1989

Come e cosa ricordi del periodo in cui ti venne chiesto di approntare il logo di UMM?
È importante fare qualche premessa. Dal 1988 stavo vivendo un momento magico come DJ. Ero molto popolare nella nightclubbing cosiddetta underground, proponendo musica che mi piaceva senza mediazioni, come avevo fatto già in passato durante le prime esperienze nei club punk e new wave. Questo approccio a un certo tipo di suono non banale, poco pop e per nulla convenzionale, fece sì che la mia visione estetica dell’underground fosse ben chiara e soprattutto molto sentita, senza fare alcuno sforzo mentale per cercare di capire o interpretare cosa stesse per succedere in quegli anni perché io stesso stavo partecipando attivamente al cambiamento. Quando mi fu presentato il progetto della label dedicata alla musica che amavo e proponevo quindi fu abbastanza semplice arrivare a una soluzione efficace, anche perché stavo realizzando qualcosa che piaceva a me e a quelli come me, senza pressioni esterne che potessero condizionarmi nelle proposte. Altra premessa che ritengo importante riguarda il mio metodo di lavoro come creativo. Non so se sia un difetto o un pregio che mi porto dietro dagli studi artistici e che nemmeno i docenti dell’epoca riuscirono a cambiare: non ricorro a bozze o a schizzi cartacei e non realizzo prove materiali su un progetto grafico, ma penso continuamente alla soluzione finale senza stendere giù appunti. Quando nella mia mente visualizzo ciò che mi piace metto in opera il quasi definitivo, e anche con UMM successe esattamente la stessa cosa. Ricordo la pressione del CEO della Flying Records, Flavio Rossi, che giustamente reclamava qualcosa da vedere senza però ottenere nulla da me per il motivo descritto. Poi un giorno, in tarda mattinata, misi insieme tutto quello che avevo in testa e in un’oretta circa buttai giù il logo UMM compreso dell’icona a forma di globo. Unica bozza, unica opzione, lo guardai pochi minuti e senza esitazioni lo presentai esclamando «questo è il logo UMM, per me è giusto così» e dopo un breve silenzio Flavio Rossi e Angelo Tardio approvarono. Pensai subito di aver centrato l’obiettivo. Quelle tre lettere bold così severe e imponenti avevano la giusta intenzione rappresentativa del mondo clubbing che stava scrivendo la storia della musica underground, erano qualcosa di esteticamente massiccio e solido in linea con la musica che dovevano rappresentare.

Come annunciavi poche righe fa, per UMM realizzi, oltre al logotipo, anche un simbolo/logo globoidale, utilizzato principalmente per le logo side dei dischi ma poi finito anche sulle copertine, sia dei mix 12″ che dei CD e cassette. Cosa rappresentava esattamente?
Il globo composto da una griglia imperfetta, dai tratti irregolari e brush, faceva riferimento a quello che era il lato “oscuro e misterioso” del club, fatto da un suono sperimentale per un pubblico che voleva appunto sperimentare qualcosa di nuovo da costruire e vivere liberamente senza porsi limiti.

cataloghi merchandise UMM (1994 e 1996-97)
Altri cataloghi del merchandising UMM: a sinistra quello del ’94, a destra quello del ’96/’97

Quanto fu determinante, nel successo di UMM, la creazione del merchandising e dell’abbigliamento streetwear brandizzato?
Logo e produzioni UMM vivevano in simbiosi correndo sullo stesso binario, uno si nutriva e supportava l’altro e questo rese credibile sia la grafica che i progetti pubblicati. La copertina generica nera, così come la scelta del colore della label che cambiava in base alla produzione, non era mai casuale, c’era una scelta accurata in base al brano che doveva rappresentare. Se l’etichetta avesse improvvisamente pubblicato musica pop non credo che il logo avrebbe avuto lo stesso riscontro nel merchandising, per il semplice motivo che non sarebbe stato credibile, soprattutto in un segmento come quello del club e quando parlo di club non intendo la discoteca generica. Le prime t-shirt con il logo UMM sul fronte e il globo sul retro, rigorosamente in nero con stampa argento (colore identificativo del brand) furono solo cento. Riuscii a farle realizzare dopo aver battagliato contro lo scetticismo della presidenza Flying Records anche perché i pochi esemplari sarebbero andati tutti in regalo ai top DJ internazionali che ricevevano periodicamente i promo dalla nostra distribuzione, quindi non potevamo sapere quale sarebbe stata la reazione, soprattutto degli americani che in quegli anni erano già maestri nel merchandising. Un giorno, uno di questi DJ di cui però non ricordo il nome, ci chiamò chiedendo cosa fosse quella t-shirt trovata nella spedizione insieme ai promozionali (i famosi white label), mostrando molto apprezzamento. A quel punto capii che avevo dato vita a qualcosa che stava andando oltre le aspettative. La prima vera collezione, se così si può definire, la realizzai alla metà del 1993 e da lì in poi fu un crescendo senza freni. Ricordo camion pieni di merchandising UMM che partivano per tutto il Paese e mezzo mondo.

Quello di UMM diventa un marchio talmente crossover da finire anche in posti davvero lontani dall’universo sonoro originario, come a un concerto dei Lùnapop o sulla t-shirt del bassista di Vasco Rossi al Festivalbar 2001 mentre esegue “Stupido Hotel”. Il brand stava contagiando anche chi non aveva la benché minima di idea di cosa fosse originariamente?
Quando avvenne ciò il marchio era stato rilevato da una compagnia di abbigliamento. Credo però che entrambi i casi da te segnalati fossero solo ed esclusivamente operazioni commerciali e non certamente scelte artistiche.

Essendo un’etichetta destinata ai DJ, gran parte delle copertine del catalogo UMM era monocolore col buco centrale. Tuttavia, di tanto in tanto, alcune pubblicazioni venivano accompagnate da artwork creati appositamente, come avviene per “Four Journeys” ed “Hunt’s Up” dei Visnadi, “Syxtrax” e “Come On Boy” dei CYB, “I’m A Real Sex Maniac” di Dick, “The Princes Of The Night” dei Blast, “Be Sexy” di Justine, “Don’t Give Up” e “C’Mon And Get It!” degli Statement, “Wrap Me Up” degli Alex Party e “Heroes” di Gianni Parrini Feat. Principe Maurice giusto per citarne alcune. In base a quale criterio si decideva se dotare un disco di copertina o optare per quella generica?
Solitamente la personalizzazione della copertina era condizionata dagli accordi contrattuali con l’artista e ovviamente obbligata quando il progetto in questione era un album, ma non esisteva una logica precisa. Tra le tante che ho realizzato ricordo con piacere quelle per i Visnadi, sempre attentissimi alla grafica, ma anche “Be Sexy” della giovanissima Justine Mattera che sfiancammo durante lo shooting che la ritraeva come una bambola gonfiabile. Con lei rammento grandi risate e complicità.

UMM In Progress
La scultura Ettore & Andromeda realizzata da Squeglia finita sulla copertina di “UMM In Progress” (1994)

Particolarmente intrigante era anche la copertina di “UMM In Progress”, raccolta selezionata da Francesco Zappalà uscita nel 1994 che ospitava la foto di una tua scultura, Ettore & Andromeda. Esisteva forse qualche nesso con Ettore E Andromaca di Giorgio De Chirico?
No, non c’era alcun riferimento specifico a qualcosa, era una scultura surreale animata da due personaggi inventati che riportavano i nomi della mitologia ellenica, Ettore e Andromeda per l’appunto. Creai quell’opera in maniera istintiva cercando di sposarla col suono proposto da Francesco. La scultura, ahimè, andò distrutta durante un trasloco ma in compenso conservo sia l’LP e il CD che gli scatti originali.

In un’intervista che ti feci diversi anni fa affermasti che «la grafica è stata una componente essenziale della musica, in passato non esisteva la comunicazione e lo scambio globale di informazioni di oggi quindi la scelta di un disco era spesso stimolata in modo sensibile dall’immagine che lo accompagnava». In relazione a questo concetto, credi che il messaggio veicolato dalla musica contemporanea sia parzialmente depotenziato rispetto a quello del passato, in cui l’artwork era chiamato a svolgere un ruolo importante, oppure quel vuoto è stato colmato da altro? La musica senza immagini (stampate), insomma, è assimilata e percepita in modo differente?
Nonostante ci siano diversi creativi molto capaci e propositivi, l’immagine di copertina adesso non riesce più ad avere lo stesso valore di un tempo perché è ridotta ai minimi termini attraverso i quali è impossibile apprezzare né i dettagli né l’impegno profuso per realizzare la stessa opera. La comunicazione su un nuovo progetto oggi parte prima dai numeri e dagli algoritmi, poi arriva tutto il resto, inutile girarci intorno. È il bello e il brutto dell’evoluzione dell’essere umano, nulla di grave.

Oltre a curare lo stile di UMM, hai inciso anche diversi brani confluiti nel suo catalogo coi team di produzione Statement e New Wave Explorers: cosa rammenti in merito?
Ricordo l’assoluta libertà di fantasticare senza pressione, di mettere insieme idee, suoni e sensazioni, di tenere al primo posto la voglia di creare qualcosa che mi piacesse veramente e che sarei stato orgoglioso di proporre nei club. Di questo sarò sempre grato a tutta la Flying Records che mi ha permesso di cimentarmi nelle vesti di produttore.

Analogamente ad Angelo Tardio, anche tu lasci la Flying Records nel 1996 iniziando nuove collaborazioni a partire da quella con la bresciana Time. Quanto fu doloroso abbandonare una realtà in cui avevate profuso così tante energie? E, ancor di più, quanto fu duro assistere al suo progressivo declino?
La scelta di abbandonare la Flying Records fu molto difficile ma inevitabile. La presidenza si era circondata di figure che si vendevano come pseudo manager e cominciavano a soffocare quella che invece era stata la vera forza della compagnia ovvero la libertà artistica, il curiosare, proporre e sperimentare. Si cominciava a parlare di commerciale, di budget, di licenziamenti ed altro simile, insomma si stava delineando quella che voleva essere una vera e propria azienda strutturata ma senza avere né i mezzi e forse tantomeno le figure giuste per diventarlo. I miei timori erano fondati visto che, a poco più di un anno dall’addio, la Flying Records fallì. Il ricordo più amaro che ho è legato ai giorni immediatamente successivi alla chiusura: mi recai presso lo studio di registrazione adiacente l’azienda e con grande rammarico notai sulla strada, accantonati come spazzatura, una montagna di master, pellicole, bobine e stampe fotografiche di quello che un tempo era l’archivio produzione. Stiamo parlando quindi degli originali di Blast, Articolo 31, Alex Party, 99 Posse, Joy Salinas e tantissimi altri.

Dopo il fallimento della Flying Records, la UMM viene riavviata a più riprese dalla Media Records che, dal 1998, la affianca a nuove declinazioni grafiche. Che idea ti sei fatto di quei tentativi?
Che Gianfranco Bortolotti e Diego Leoni siano stati due protagonisti indiscussi della scena dance/house degli anni Novanta, e che la Media Records abbia un posto di rilievo nella storia della musica italiana è fuori discussione, ma entrambi non hanno mai avuto un buon rapporto con la scena underground. Difatti il primo tentativo di rilanciare la UMM sfumò velocemente e, in tutta sincerità, non mi spiego nemmeno perché ci abbiano riprovato a distanza di anni. La magia di UMM ha una data ben precisa di nascita e di fine, pensare di rifare qualcosa che ha avuto successo in un determinato arco di tempo e in circostanze e/o momenti storici che non possono ripetersi non ha alcun senso.

Fanzine Gigantic
La fanzine che Gigantic ha dedicato a UMM nel 2021

Nel 2021 la galleria d’arte milanese Gigantic ha pubblicato, nell’ambito del progetto Night Of The Fanzines, il volume “1991/96 Dal Logo Alla Musica” dedicato proprio a UMM. Un riconoscimento al merito per ciò che ha rappresentato l’etichetta, nel panorama internazionale, negli anni più floridi?
I ragazzi di Gigantic organizzano ogni anno una mostra dedicata al mondo della fanzine. Partecipare per me ha rappresentato una grande gratificazione, soprattutto per il supporto che dovevo usare, una fanzine artigianale e grezza, così come è sempre stato nello spirito di UMM, nulla di patinato insomma. Alla mostra prendono parte vari artisti che presentano contenuti diversi con un unico filo conduttore, la fanzine. È stato molto bello e divertente, il tutto coronato da un grande apprezzamento da parte del pubblico che, in tutta onestà, non mi aspettavo.

Che eredità lascia la UMM?
Nel mio caso è, ad esempio, essere invitati nel 2022 alla presentazione di un album di un collettivo della scena rap milanese, Make Rap Great Again, e scoprire dagli stessi protagonisti di essersi liberamente ispirati al progetto UMM per quelle che sono state le impostazioni grafiche della loro etichetta. Ma potrei citare anche un episodio del 2020, quando la Defected pubblicò un post su Instagram dedicato alle “leggendarie etichette dance”: tra Warp, XL Recordings, Junior Boy’s Own, Soma, R&S Records, Kompakt, Nervous, Nu Groove, Trax Records, D.J. International e altre ancora spiccava benissimo la UMM.


La testimonianza di Giuseppe Manda

Giuseppe Manda alla Flying Records 1991-1992
Giuseppe Manda negli uffici della Flying Records in una foto scattata tra 1991 e 1992

Come ricordi la tua avventura con la Flying Records?
Iniziai a lavorare in Flying Records quando era ancora una piccola distribuzione con gli uffici e magazzini allestiti in un garage di Posillipo. In quel momento per me iniziò un fantastico percorso professionale e personale, eravamo una squadra imbattibile e a confermarlo sono i tanti risultati ottenuti. Qualche tempo dopo ci spostammo in una nuova location ad Agnano dove, insieme a Mimmo Mennito, mi occupavo della vendita sul territorio nazionale delle produzioni Flying Records e della miriade di dischi import che arrivavano dall’estero. Da lì a breve giunse l’ennesima intuizione di Angelo Tardio che aprì un mondo: nasceva UMM, supportata da una forte distribuzione nazionale e internazionale e da uno straordinario apparato grafico concepito da Patrizio Squeglia.

Come si profilò per te, nel 1996, la possibilità di ricoprire il ruolo di A&R della UMM insieme a Maurizio Clemente?
L’uscita di Angelo Tardio dall’assetto societario lasciò un vuoto che necessitava di essere colmato. Poiché negli anni precedenti avevo già collaborato con UMM, la proprietà decise di affidare a me e Maurizio Clemente la direzione di quella label. La Flying Records iniziava però la sua fase calante e questo non facilitò sicuramente le cose nel nostro breve percorso alla guida di una delle etichette italiane più iconiche del panorama mondiale. A Tardio devo tantissimo, grazie a lui iniziai a remixare e produrre musica presso lo studio della Flying Records ed ebbi l’onore di mettere le mani su brani di artisti del calibro di Blake Baxter, Todd Terry, Juan Atkins e Underground Resistance.

The Family - Feel The Light
“Feel The Light” di The Family (1996)

Quali sono le produzioni UMM uscite durante la tua direzione artistica che ricordi con maggior piacere?
Senza dubbio “Feel The Light” di The Family, un progetto di Tony Humphries. Martellai tanto Maurizio Clemente per convincere il DJ statunitense e, dopo un po’ di tentennamenti iniziali, riuscimmo nell’intento. Non fu semplice organizzare la cosa, sia da parte mia che di Maurizio che gestiva il contatto diretto con l’artista. Programmammo tanti remix del brano affidandoli ad Oscar Gaetan, DJ Vibe, Victor Simonelli e allo stesso Humphries ma alcuni uscirono solo su un doppio promo che anticipò la pubblicazione ufficiale. Anche io ebbi l’onore di mettere le mani sul pezzo confezionando la Man-Da Dub. Viste tutte le energie spese però, mi aspettavo che l’iniziativa, così laboriosa, raccogliesse qualche risultato in più.

Rispetto alle annate precedenti, il numero delle pubblicazioni UMM si riduce in modo sensibile tra 1996 e 1997. Certe uscite vengono persino confinate al formato white label, come avviene ad una delle ultime, la 384. Come mai?
Il mercato iniziava a conoscere una netta flessione e la Flying Records non aveva più la forza economica del passato. Alcune uscite furono limitate ai white label per evitare spese inutili e rientrare nei costi di tante compilation andate male e investimenti pubblicitari fallimentari. La chiusura di Flying Records fu un colpo al cuore, seppur per noi dipendenti fosse prevista. Terminava l’era di un’azienda che aveva fatto storia non solo nella dance ma anche nel rock e nell’hip hop. Nel 1997 finiva quindi un ciclo irripetibile della mia vita e di coloro che, come me, diedero l’anima in quegli anni.

Hai avuto modo di seguire la UMM del post Flying Records?
Ad essere onesto ne so ben poco. Dopo il fallimento della Flying Records seppi che i diritti del marchio UMM vennero ceduti a due aziende, una che si occupava di abbigliamento e una intenzionata a proseguire l’iter discografico. Sono sempre stato convinto che il successo di UMM sia stato decretato da un insieme di fattori ma soprattutto dalla collaborazione di persone in grado di far girare nel verso giusto gli ingranaggi della macchina, ma non rinunciando al divertimento. Alla luce di ciò resto del parere che non basta riprodurre un marchio per attribuire la stessa valenza a un prodotto, per giunta non appartenente a un determinato periodo storico.

Onirico repress 2022
La copertina della ristampa più recente di “Stolen Moments” di Onirico (Back To Life, 2022)

In tempi recenti hai creato la Flash Forward e la Back To Life, due etichette nate con lo scopo di ripubblicare brani house/techno del passato tra cui “Stolen Moments” di Onirico (UMM, 1991). Il lavoro svolto per l’etichetta napoletana circa venticinque anni fa ti ha in qualche modo aiutato a gestire una casa discografica, seppur il contesto in cui operi oggi sia profondamente differente da quello del passato?
Sì, senza dubbio. L’esperienza in Flying Records mi ha arricchito di informazioni che mi sono servite nei progetti nati successivamente, a partire da quelli nati quando lavoravo in Karma Distribuzioni e poi quelli di Flash Forward e Back To Life, etichette che guardano artisticamente al passato ma con la consapevolezza che sia tutto totalmente cambiato.

C’è un aneddoto legato alla Flying Records che vorresti raccontare?
Certo, ed è antecedente al periodo in cui svolsi ruolo di A&R. Come ogni anno partimmo per il Midem di Cannes dove la Flying Records aveva solitamente uno stand. La sera, terminata la giornata di lavoro, ci spostavamo in gruppo per seguire i vari eventi organizzati. All’uscita di un locale, appena messe le chiavi nella serratura dell’auto, spuntarono all’improvviso almeno una ventina di poliziotti delle forze speciali armati di pistole, mitra e fucili e, tra mille urla in francese, ci ammanettarono e scaraventarono in diverse auto, così come solitamente fanno coi peggiori criminali. Fummo portati in una grande centrale di polizia e, senza alcuna spiegazione, ci ritrovammo tutti insieme in una megacella di detenzione. A quel punto la paura crebbe a dismisura e iniziammo a nutrire sospetti l’uno dell’altro. Si passava dalla risata isterica del compianto Francesco Diana, che lavorava per il reparto hip hop, ai pianti di un giovane Alessandro Massara, in quel periodo in forze al reparto rock e in seguito diventato presidente della Universal. Trascorremmo circa due ore da incubo terminate con le scuse della polizia che aveva preso un evidente abbaglio, probabilmente dovuto alla targa di una delle nostre auto. La frittata però era fatta, l’indomani tra i corridoi del Midem ci salutavano tutti col sorrisino e mimando il gesto delle manette. Ogni volta che ripenso a quella storia rido come un bambino ma nel contempo mi tornano in mente i momenti terribili di quando mi fecero sdraiare a terra a faccia in giù e mi ammanettarono, proprio come un malvivente.


La testimonianza di Maurizio Clemente

Maurizio Clemente WMC 97
Maurizio Clemente al Winter Music Conference di Miami nel 1997

Tra 1992 e 1994 avevi già lanciato alcune etichette, la Rena Records, la Zippy Records e la Nite Stuff, a cui si aggiunse poi la Equal Records: quanto fu determinante ciò per il ruolo ricoperto in UMM?
Nite Stuff e Zippy Records erano distribuite proprio dalla Flying Records e rappresentavano prove tangibili dei buoni risultati raggiunti. In virtù di questo mi fu offerto il ruolo di A&R insieme a Giuseppe Manda. Fu un’esperienza fantastica dirigere un’etichetta dal profilo così alto e rispettato nell’ambito della dance music internazionale.

Ci sono produzioni UMM uscite durante la tua direzione artistica che ricordi con maggior piacere?
È difficile ricordare i titoli visto che sono trascorsi più di venticinque anni ma sicuramente “Feel The Light” di The Family, progetto di Tony Humphries. Andando un po’ più indietro invece, citerei la compilation “House Underground United” pubblicata nel ’94 su Nite Stuff e che lanciammo in occasione del SIB/Nightwave di Rimini.

Quali invece quelle da cui ti aspettavi risultati migliori?
Su tutti “We Got A Love” di Martini & Hardcorey con la voce di Sabrynaah Pope e remixata, tra gli altri, dai Fathers Of Sound, artefici di un suono che mi piaceva moltissimo.

Rispetto alle annate precedenti, il numero delle pubblicazioni UMM si riduce in modo sensibile tra 1996 e 1997. Alcuni numeri del catalogo sono saltati e certe pubblicazioni diffuse solo in formato white label: come mai?
Negli ultimi tempi puntavamo ai white label sia per risparmiare sul packaging, sia per stampare solo sul venduto. L’aria che si respirava in Flying Records in quel periodo era carica di tristezza, eravamo un team coeso ma sapevamo che le cose non stessero andando per il verso giusto. La maggior parte di noi attribuiva la debacle all’apertura degli uffici all’estero.

adv tour estivo '98
L’adv del tour estivo UMM nell’estate ’98

Nell’estate del 1998, poco prima che la Media Records rilanciasse il marchio, si tenne un tour della UMM in vari locali come l’Echoes, il Momà, l’Aqua Disco Village, il Sottovento e il Fabula con vari DJ tra cui Luca Fares, Lello Mascolo e il compianto Ricci: chi lo organizzò?
Si trattava di una tournée ideata per sensibilizzare i club. La organizzammo facendo leva sui miei contatti di allora intrecciati a quelli messi a disposizione dalla Media Records.

Nell’autunno di quell’anno l’etichetta di Gianfranco Bortolotti rimette sul mercato il marchio UMM. Hai avuto modo di seguire quella fase?
Sono a conoscenza dei vari tentativi nati con l’obiettivo di rilanciare UMM ma nessuno di essi mi sembra abbia dato i risultati sperati.

Che eredità lascia la UMM?
UMM nacque e si sviluppò in un periodo storico in cui le distribuzioni italiane erano in diretta competizione con gli Stati Uniti e riuscirono, con astuzia, a ritagliarsi grosse fette di mercato. A oggi, a detta di tutti, UMM resta l’etichetta italiana all’altezza di colossi d’oltreoceano come Nervous Records e Strictly Rhythm.

(Giosuè Impellizzeri)

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DWA, un faro per l’eurodance

Tra l’italo disco degli anni Ottanta e l’eurodance dei Novanta corre più di qualche analogia a partire dal formato canzone, passando per il modus operandi legato a turnisti e personaggi immagine, sino agli strabilianti risultati in termini di vendite. Uno di quelli che hanno creato un solido continuum tra le fogge stilistiche dei due decenni è Roberto Zanetti: nato a Massa, dopo aver militato tra le fila di alcune band come i Taxi (insieme a Zucchero) e i Santarosa, nel 1983 diventa un idolo dell’italo disco più romantica e malinconica nelle vesti di Savage realizzando ed interpretando successi internazionali, su tutti “Don’t Cry Tonight” con cui approda a Discoring dove viene annunciato come “una nuova firma della disco dance made in Italy”, ed “Only You”, ricamato su una placida delicatezza melodica da carillon.

Savage (198x)
Zanetti ai tempi in cui spopola come Savage

Spalleggiato da Severo Lombardoni della Discomagic, che dell’italo disco è stato uno dei principali traghettatori, Zanetti è un compositore a tutto tondo capace di scrivere, arrangiare ed interpretare i suoi brani, e questo lo differenzia da gran parte degli artisti che popolano l’italo disco (prima) e l’eurodance (poi), rivelatisi spesso un ibrido tra cantanti turnisti ben lontani dall’autonomia ed indipendenza compositiva e performer specializzati in lip-sync. Quando, alla fine degli anni Ottanta, l’house music fa scivolare ai margini della scena l’italo disco soppiantandola, un mondo si sgretola e il comparto dance nostrano, inizialmente disorientato, è da rifondare e ricostruire. Il musicista massese approccia al nuovo genere a partire dal 1988 attraverso vari dischi come “Me Gusta” e “Te Amo” di Raimunda Navarro, “Allalla” di Abel Kare e “The Party”, una cover-parodia dell’omonimo dei Kraze che firma Rubix, variante del Robyx in uso sin dal 1983 per siglare il lavoro da produttore. «In quel momento sentii l’esigenza di creare un mio sound ed ebbi la necessità di fondare un’etichetta personale per dare una precisa identità ai miei progetti» spiega in questo articolo del 2020. L’etichetta in questione è la DWA, acronimo di Dance World Attack, un ambizioso slogan che punta all’internazionalità ma senza tradire o rinnegare l’amor patrio che per alcuni invece, ai tempi, è quasi ingombrante perché apparente segno di provincialismo (il commercialmente ambito italian sounding sarebbe giunto solo molti anni più tardi). Il primo logo non lascia adito a dubbi, è inscritto nel tricolore nostrano, e lo spiccato senso di italianità si farà sentire presto anche attraverso la musica marchiata con tale sigla, foneticamente simile a quella della compagnia aerea statunitense TWA così come lo stesso Zanetti chiarisce nella videointervista del 21 marzo 2020 a cura de LoZio Peter.

Raimunda Navarro - No Lo Hago Por Dinero
Il 12″ d’esordio della DWA su cui si scorge il primo logo della label collocato nel tricolore nazionale

1989-1990, tempo di spaghetti house
A produrre il 12″ inaugurale della DWA nel cruciale 1989 è Zanetti sotto il citato pseudonimo Raimunda Navarro, coniato l’anno prima con “Me Gusta” destinato alla Out di Severo Lombardoni. “No Lo Hago Por Dinero” si sviluppa su una scansione ritmica simile a “Sueño Latino”, seppur qui manchi un sample indovinato come “Ruhige Nervosität” di Manuel Göttsching, rimpiazzato dalla chitarra più latineggiante di Claudio Farina abbinata comunque ad una suadente voce femminile a ricordare quella di Carolina Damas. Uno dei remix giunti qualche mese più tardi fruga nel tipico campionario spaghetti house, tra pianate e sample carpiti a vecchie incisioni ed inchiodati ad un battente beat in 4/4. A firmarlo è Zanetti trincerato dietro Bob Howe («a quel tempo era di moda firmarsi con pseudonimi “internazionali” per apparire stranieri» rivela l’artista contattato per l’occasione). Titolo? The Paradise Remix, rimando più che chiaro al citato “Sueño Latino” trainato, per l’appunto, dall’estatica The Paradise Version lunga oltre dieci minuti.

Ice MC - Easy
“Easy” è il singolo di debutto di Ice MC

È sempre Zanetti nelle vesti di Howe a mettere le mani sui remix di “Easy”, singolo di debutto del ballerino/rapper britannico Ian Colin Campbell alias Ice MC che segue il filone del downbeat/hip hop con uno scampolo ritmico preso da “Paid In Full” di Eric B. & Rakim e ricami reggae sottolineati da un breve intervento vocale interpretato da Zanetti stesso. Sul lato b spazio a “Rock Your Body” tangente l’hip house. Il pezzo, pubblicato anche sulla lombardoniana Out e promosso da un videoclip, raccoglie un clamoroso successo in tutto il mondo a partire dalla Francia e conquista decine di licenze, inclusa quella sulla blasonata Cooltempo, ma passa inosservato in Italia. È il primo centro per la DWA che continua a scommettere sul filone dorato della house pianistica ma senza riuscire a sfondare come 49ers, FPI Project o Black Box. In rapida sequenza escono “House From The World” dei Meeting Place (Marco Bresciani e Davide Ruberto), “Face To Face” di Lovetrip, “Together” di Shade Of Love e “Polskie Beat” di Krymu, edificato sullo schema sampledelico di “Pump Up The Volume” dei M.A.R.R.S. in una sorta di megamix/medley assemblato con lo strumento protagonista di quel periodo, il campionatore. L’ottima resa commerciale del downbeat in stile Milli Vanilli o Snap! adottato per Ice MC convince Zanetti a riprendere la cover di “Live Is Life” degli Opus a firma Stargo, già uscita nel 1985, per svilupparla in nuove versioni più adatte ai tempi. Al successo però torna con “Scream”, secondo singolo di Ice MC estratto dall’album “Cinema” che muove i passi su un’impalcatura melodica in stile “Profondo Rosso”. Le urla sono di una certa Vivianne (ossia Viviana Zanetti, sorella di Roberto che, come lui stesso dichiara, «lavora da sempre nell’ufficio della DWA ma è anche una brava cantante e la registravo spesso per voci o effetti»), gli inserti maschili di Zanetti mentre i cori di Alessia Aquilani alias Alexia Cooper, una giovane cantante della provincia di La Spezia destinata ad una rosea carriera. Giacomo De Simone gira un videoclip immerso in atmosfere tenebrose, a rimarcare l’impostazione sonora. “Cinema” è anche il titolo di un altro singolo estratto dall’LP in cui il rapper elenca, su una base filo house, una corposa lista di attori, da John Wayne ad Alain Delon, da Sean Penn a Robert De Niro passando per Charlie Chaplin, Chuck Norris, Charles Bronson, Sean Connery ed Arnold Schwarzenegger senza dimenticare diversi italiani come Marcello Mastroianni, Alberto Sordi e Sophia Loren. Questa volta il video, diretto ancora da De Simone, è ambientato (prevedibilmente) in una sala cinematografica.

L’album di Ice MC si muove bene soprattutto in Francia e in Polonia e produce “carburante” per mandare avanti l’attività. Zanetti è pronto a reinventarsi e rimettersi in gioco di volta in volta con nuovi nomi di fantasia come Pianonegro, pseudonimo con cui firma il brano omonimo, versione in slow motion della piano house virata downtempo che stuzzica parecchio il pubblico del Regno Unito. In coppia con Marco Bresciani poi realizza, in scia alla diffusione europea dell’hip house, “Typical” di Soul Boy a cui fa seguito un altro progetto one shot sempre condiviso con Bresciani, Soul Emotion, che col brano omonimo emula i bortolottiani 49ers. Da “Cinema” viene estratto un altro singolo, “Ok Corral!”, hip house in bolla country, mentre il pucciniano “Nessun Dorma” viene traslato da DFB Featuring Walter Barbaria su un reticolo che ammicca a “Sadeness Part I” degli Enigma di Michael Cretu. A leggere le note in copertina pare si trattasse di un disco registrato al Teatro Internazionale dalla Moscow Philharmonic Orchestra diretta da un certo Victor Bradley ma in realtà, come svela oggi Zanetti, tutti i nomi, l’orchestra e il teatro erano immaginari «a parte Barbaria che è un cantante lirico molto bravo». Ubicata tra reggae e downbeat è la cover di “No Woman No Cry” (in origine di Bob Marley & The Wailers) a firma Babyroots, ennesimo act messo su da Zanetti nel suo Casablanca Recording Studio col supporto vocale della turnista Aquilani. È sempre lui ad innestare canti africani su base house (“The Sound Of Afrika” di Humantronics), a campionare l’acapella di “Warehouse (Days Of Glory)” di New Deep Society per “Party Children” di Wareband che si muove ottimamente all’estero, e produrre “Freedom”, il singolo di debutto del congolese Bale Mondonga. Il brano, ripubblicato anche dalla Sugar ma senza particolari risultati, auspica un nuovo mondo con meno differenze sociali e più equità. A distanza di oltre un trentennio le speranze restano ancora le stesse.

Alexia Cooper - Boy
Una giovane Alessia Aquilani, poco più che ventenne, immortalata sulla copertina di “Boy” (Euroenergy, 1989)

1991-1992, alla ricerca di un’identità
Ice MC è già pronto col secondo album, “My World”, dedicato alla sorella Sandra e ceduto in licenza alla tedesca Polydor. La DWA pubblica una special limited edition con tre versioni remix (la 909 Heavy Mix, il Jump Swing Remix e il Work Remix) di un estratto, “Happy Weekend”. Aria di remix pure per la citata “Party Children” di Wareband e “Don’t Cry Tonight” del redivivo Savage, riarrangiata su base downbeat. Echi hip house si rincorrono in “Jumbo” di Tity B., scritta da Nathaniel Wright e prodotta da Leonardo Rosi alias Fairy Noise che a Zanetti affida, poco dopo, le cover di due classici della canzone italiana, “Senza Una Donna” (di Zucchero) ed “Albachiara” (di Vasco Rossi), entrambe a nome Stargo. È proprio Zanetti invece a produrre “Vocalize” di Scattt, pseudonimo derivato dal virtuosismo vocale, lo scat per l’appunto, adottato nel medesimo periodo in “You Too” di Nexy Lanton, prodotto da Gianni Vitale per la debuttante Line Music di Giacomo Maiolini. Bale Mondonga riappare, questa volta con lo pseudonimo Momo B. che lo accompagnerà sino ai tempi di Floorfilla, con la ridente “Be Happy”, e lo stesso avviene con la Aquilani che torna come artista a nome Alexia Cooper a due anni di distanza da “Boy”, una sorta di incrocio tra “Boys” della prorompente Sabrina Salerno e “La Notte Vola” di Lorella Cuccarini. Abbandonato il filone hi nrg destinato perlopiù al mercato nipponico, la cantante interpreta “Gotta Be Mine”, in linea con la dance europea del periodo. Sull’onda di “Party Children”, Wareband cerca il bis attraverso “A Better Day” ma non riuscendo completamente nell’impresa. Sulla rampa di lancio c’è un progetto nuovo di zecca, Data Drama, che debutta con “The Rain”. Insieme a Zanetti in studio ci sono Riccardo Bronzi ed un talentuoso cantante londinese, William Naraine.

Dal Casablanca Recording Studio arriva pure “The Wind” di Zero Phase, act one shot poco fortunato che cerca di ricalcare le orme di un successo proveniente dal Nord Europa, “James Brown Is Dead” degli olandesi L.A. Style, dichiaratamente preso a modello pure per “James Brown Has Sex”, l’ultimo firmato da Zanetti come Raimunda Navarro. In preda al boom commerciale dell’eurotechnodance, la DWA pubblica “S.l.e.e.p. Tonight” di 303 Trance Factor (una delle quattro versioni, la After-Hour Factor Frequency, in cui ben campeggia il vocal sample preso da “The Dominatrix Sleeps Tonight” di Dominatrix, è realizzata dal pugliese Michele Mausi – intervistato qui – ma senza che il suo nome venga riportato tra i crediti), “Pump The Rhythm” di Fletch Two, “Don’t Stop The Movie” di V.I.R.U.S. 666 e “De Puta Madre” dei Terra W.A.N., quest’ultimo preso in licenza dai Paesi Bassi e ripubblicato con dicitura DWA Underground. La strada maestra di Zanetti però non è quella della musica strumentale, i tentativi di raccogliere consensi con prodotti filo techno – compresi quelli di cui si parlerà poco più avanti – sono vani ed infatti torna presto a scommettere sulla vocalità, prima col follow-up di Scattt, “Scat And Bebop”, e poi con Naraine che, nascosto dietro il nomignolo Willy Morales, reinterpreta un classico degli Electric Light Orchestra, “Last Train To London”. La cover attecchisce nel mercato estero e fa da apripista ad un altro remake che segna indelebilmente uno degli zenit per la label massese, “Please Don’t Go”, originariamente dei KC & The Sunshine Band e già riproposto in chiave dance nel 1985 dai Digital Game prodotti da Alessandro Novaga con la voce di Romano Bais, come lo stesso Novaga afferma in questa intervista del 26 marzo 2009.

Double You - Please Don't Go
“Please Don’t Go” dei Double You, tra i bestseller del catalogo DWA

A realizzare la nuova versione è il team dei Double You formato dal musicista Franco Amato, dal DJ Andrea De Antoni e dal citato William Naraine che oltre a cantare ricopre anche ruolo di frontman. Registrato a dicembre del 1991, il brano viene pubblicato a gennaio del 1992 e, come si legge sul sito della stessa DWA, «divenne un successo immediato che garantì a Double You tournée in tutta Europa ed apparizioni in numerosi programmi televisivi. Con più di tre milioni di copie vendute, “Please Don’t Go” si aggiudica dischi d’oro e di platino spopolando in Paesi come Germania, Francia, Olanda, Spagna, Belgio, Svizzera, Austria, Grecia, Turchia, Europa dell’Est, tutta l’America Latina (nessuna nazione esclusa) e molti stati dell’Africa e dell’Asia. Il disco vende anche nell’America del Nord, entrando nella top 10 maxi sales, e nel Regno Unito dove si piazza secondo nella Cool Cuts Chart». Trainato da un videoclip diretto ancora da Giacomo De Simone in cui la scena è dominata da Naraine che su qualche rivista viene definito una sorta di “Nick Kamen prestato alla dance italiana”, “Please Don’t Go” gira su un organo hammond in stile “Gypsy Woman (She’s Homeless)” di Crystal Waters e “Ride Like The Wind” degli East Side Beat (cover dell’omonimo di Christopher Cross di cui parliamo qui), entrambi del 1991, e glorifica la “covermania” da noi andata avanti per quasi un biennio. In Italia diventa un tormentone, aiutato dalle ragazze di “Non È La Rai” che lo ballano quasi come un mantra e da Fiorello che lo ricanta in italiano in “Si O No”, ma anche all’estero, come già detto, le cose vanno alla grande e senza intoppi, almeno sino a quando si fa avanti un’etichetta britannica, la Network Records di Neil Rushton e Dave Barker, intenzionata a pubblicarlo oltremanica. Poiché già ceduto ad un’altra compagnia discografica, alla Network Records cercano di trasformare l’imprevisto in un’opportunità per non perdere l’affare e trovano presto la soluzione: incidere una nuova versione. Non si tratta però di una cover dell’originale dei KC & The Sunshine Band bensì di una copia carbone del remake italiano realizzata dai K.W.S. (Chris King, Winston Williams e il vocalist Delroy St. Joseph), un banale tarocco insomma. Grazie pare ad una pratica sleale che blocca oltremanica il disco dei Double You, la “Please Don’t Go” dei K.W.S. ha via libera e riesce a conquistare il vertice delle classifiche britanniche (per ben sette settimane consecutive) e statunitensi, coadiuvata da un videoclip e dal supporto di un colosso come la Next Plateau Records di Eddie O’Loughlin. La reinterpretazione (o presunta tale) sbarca anche in Italia attraverso la Whole Records del gruppo Media Records. La questione desta scalpore e finisce prevedibilmente nell’aula di un tribunale. Informazioni dettagliate trapelano attraverso un articolo di Roger Pearson pubblicato su Billboard l’1 aprile del 1995: Steve Mason e Sean Sullivan, rispettivamente proprietario e co-direttore della Pinnacle che distribuisce il disco dei K.W.S., sono considerati colpevoli di aver condotto una campagna di pirateria internazionale che infrange il diritto d’autore col chiaro fine di trarre enormi vantaggi economici ai danni della ZYX a cui la DWA di Zanetti aveva precedentemente concesso in licenza il brano dei Double You. Una vicenda analoga toccherà, anni dopo, a “Jaguar” di The Aztec Mystic aka DJ Rolando, come descritto in Decadance Extra, e in un certo senso anche a “Belo Horizonti” dei nostri The Heartists, come racconta Claudio Coccoluto in questo articolo/intervista. Talvolta, è risaputo, il successo ha un prezzo da pagare e può risultare particolarmente alto.

Il 1992 si apre comunque sotto i migliori auspici: insieme ad Ice MC, Pianonegro e Wareband, la DWA adesso mette nel forziere dei successi anche i Double You con “Please Don’t Go”, quarantaseiesima pubblicazione di un catalogo che continua a crescere senza esitazioni ed oggi considerata alla stregua di un’istantanea della spensieratezza degli adolescenti di allora. Da “My World” viene estratto un secondo singolo, il malinconico “Rainy Days” che prova a rimettere al centro della scena Ice MC ma senza grandi consensi. La combo tra hip house e downbeat, tenuti insieme da un breve campionamento vocale preso ancora dal citato “Warehouse (Days Of Glory)” – lo stesso che anni dopo ricicleranno gli svedesi Antiloop per la hit del 1997 “In My Mind” – sembra non fare più grande presa sul pubblico della dance generalista. “Love For Love” dei C. Tronics (Alessandro Del Fabbro, Claudio Malatesta alias Claudio Mingardi – per cui Robyx produce “Star” già nel 1984, in seno al fermento dei medley come raccontato qui – e Stefano Marinari) punta ancora su derivazioni technodance in stile Cappella seppur non manchi una versione spassionatamente italo house, la Original ’70 Mix; la Aquilani veste i panni, per l’ultima volta, di Alexia Cooper con “Let You Go” trainato da un fraseggio jazz che strizza l’occhio a quello di “How-Gee” dei Black Machine di cui parliamo qui, e vagamente jazzy è pure la salsa di “Guitar” di Larry Spinosa, altro nome di fantasia dietro cui si cela Francesco Alberti «che oltre ad essere il fonico del Casablanca Recording Studio era anche un musicista» spiega Zanetti.

Delirio compilation
La compilation “Delirio” fotografa bene il mondo della “techno all’italiana” che si sviluppa tra 1991 e 1992

L’onda di quella che viene sommariamente definita “techno” cresce ed impatta fragorosamente in Italia dove si moltiplicano i tentativi di emulazione di replicare i numeri dei successi nordeuropei. La DWA non si esime dal seguire questa tendenza generalizzata, seppur appaia evidente che quello continui a non essere affatto il genere in cui riesca a dare il proprio meglio. Escono “Confusion” di Psycho, “Can You Hear Me” di Walt 93 e la compilation “Delirio” che rappresenta bene lo spaccato di quel mondo “techno all’italiana”, fatto di campionamenti troppo ovvi e semplificazioni che collocano il genere nato a Detroit «su binari semplici e riconoscibili […], oltre a spingerlo verso ritmi produttivi pari a quella dell’ormai consolidata piano house» come scrive Andrea Benedetti in “Mondo Techno”, specificando che «il sound generale di quei dischi aveva veramente poco di techno nel senso più puro della parola. Si tratta infatti di produzioni realizzate perlopiù da musicisti che hanno un background musicale non adatto alle strutture minimali ed eclettiche del sound di Detroit, e al massimo assomigliano alle produzioni europee di label come R&S o Music Man ma senza averne l’impatto e le giuste sonorità». I Data Drama riappaiono, per l’ultima volta, con “Close Your Eyes”, ancora cantato da Naraine che però non compare nelle esibizioni pubbliche (come questa) perché impegnato coi Double You, Claudio Mingardi produce “L.O.V.E.” di 2 Fragile, ennesimo act one shot a cui si sommano Larry Liver Lip con “Challowa”, attraverso cui Zanetti ed Alberti (il Larry rimanda al sopramenzionato Larry Spinosa) rimaneggiano il ragamuffin coadiuvati dalla voce di Ian Campbell e parzialmente ispirati da “Informer” di Snow, “Razza” dei Razza Posse (promosso sullo sticker in copertina come “raggarappin”) e il “Contraddizione EP” dei Contraddizione Posse. Tutti finiscono in una compilation intitolata “Italiano Ragga” omonima di un pezzo di Ice MC racchiuso in “My World”, uscita dopo lo scandalo di Tangentopoli di cui si rinviene qualche riferimento sulla copertina e nella quale, tra gli altri, presenzia Frankie Hi-NRG MC con “Fight Da Faida”.

Double You - We All Need Love LP
Un primo piano di William Naraine finito sulla copertina del primo album dei Double You

Il vero banco di prova per l’etichetta è rappresentato dal follow-up di “Please Don’t Go” dei Double You ossia “We All Need Love”, registrato a giugno 1992 durante la tournée europea. Si tratta ancora di una cover, questa volta del pugliese trapiantato in Canada Domenic Troiano, capace di raggiungere in tempi brevi i vertici delle classifiche di vendita di tutto il mondo. Abbinato ad una base che ricorda, come vuole la ricetta del classico follow-up, quella di “Please Don’t Go”, “We All Need Love” è anche il titolo del primo album della band. Non manca il videoclip dominato ancora dalla figura del carismatico Naraine. A fare da contorno “Rock Me Baby” e “Gimme Some” di Babyroots, interpretate da Sandy Chambers e cover rispettivamente degli omonimi di Horace Andy e Jimmy “Bo” Horne scritti da Harry Casey e Richard Finch. A settembre è tempo di “Who’s Fooling Who”, terzo singolo dei Double You ancora estratto da “We All Need Love”, cover dell’omonimo dei One Way e per cui viene girato un videoclip. È una cover pure quella dei debuttanti Netzwerk, team composto dai produttori Marco Galeotti, Marco Genovesi e Maurizio Tognarelli, che per l’occasione ricostruiscono “Send Me An Angel” degli australiani Real Life avvalendosi della voce della citata Chambers che fa anche da frontwoman per le esibizioni nelle discoteche e in tv. Tra echi à la Snap! (“Rhythm Is A Dancer” è una delle hit dell’anno a cui si ispira più di qualcuno), la vena malinconica preservata dall’originale e il climax raggiunto dopo un effetto stop che introduce il ritornello e che diventa la tag identificativa della DWA, il brano conquista diverse licenze estere e circola parecchio nei primi mesi del 1993. Provengono d’oltralpe invece “Keep Our Love Away” di Sophie Hendrickx e “Use Your Voice” di Red Zone, entrambe prese in licenza dalla belga Rox Records di Roland De Greef.

Digilove - Let The Night Take The Blame
Digilove, uno dei tanti progetti a cui presta la voce Alessia Aquilani

1993, 1994, 1995: la consacrazione dell’eurodance
Ancora estratto da “We All Need Love”, “With Or Without You” è il nuovo singolo dei Double You, cover dell’omonimo degli U2. Posizionato nei binari timbrici di “Please Don’t Go”, il brano rivive attraverso molteplici versioni solcate su un doppio mix tra cui alcune ritmicamente più impetuose come la Mind 150 Mix. Claudio Mingardi torna con un progetto nuovo di zecca, Gray Neve, varato con l’onirica “I Need Your Love” scritta insieme ad Alessia Aquilani con qualche rimando che vola ad “Exterminate!” degli Snap!. L’assenza di una personalità definita e di un’idea sviluppata a dovere lasciano però il pezzo nell’anonimato. Decisamente più convincente e coinvolgente invece la cover di “Let The Night Take The Blame” di Lorraine McKane con cui debutta Digilove, act messo su dal team M.V.S. (il citato Mingardi, Gianluca Vivaldi e Riccardo Salani). Il brano valorizza il timbro prezioso e sensuale della Aquilani e conquista licenze in Germania, Francia e Spagna e lo spazio in numerose compilation che ai tempi possono rappresentare l’ago della bilancia di alcune produzioni discografiche soprattutto in ambito eurodance. Quest’ultimo si configura come un filone dalle caratteristiche ben precise rappresentate da uno spiccato apparato melodico ottenuto con riff di sintetizzatore in cui si incrociano vocalità maschili e femminili, spesso le prime in formato rap nella strofa, le seconde invece a scandire l’inciso, in uno schema apparso già nel 1989 con la profetica “I Can’t Stand It” di Twenty 4 Seven a cui abbiamo dedicato qui un articolo. Dal 1992, con l’esplosione di “Rhythm Is A Dancer”, questo modello diventa praticamente una matrice a cui un numero indefinito di produttori europei fa riferimento per comporre la propria musica. È il caso dello svizzero René Baumann alias DJ Bobo che entra nel mercato discografico nel 1990 con “I Love You”, distillato tra l’house balbettante di Chicago, le pianate italo e ganci hip hop, e che adesso cavalca in pieno il fermento eurodance con “Somebody Dance With Me”, pubblicata a novembre del ’92 ma esplosa in diversi Paesi europei ed extraeuropei (come Australia ed Israele) nel corso dell’anno seguente, quando arriva anche in Italia attraverso la DWA. Si narra che sia stato proprio il successo internazionale ad aver attirato l’attenzione della celebre Motown accortasi dell’evidente somiglianza tra il ritornello di “Somebody Dance With Me” e quello di “Somebody’s Watching Me” di Rockwell, interpretato da Michael Jackson. L’etichetta di Berry Gordy, padre dello stesso Rockwell, avrebbe intentato causa ai danni dello svizzero accusandolo di plagio. In occasione del loro ventennale d’attività, la DWA pubblica il megamix dei KC & The Sunshine Band intitolato ironicamente “The Official Bootleg”. Segue una tiratura su LP, “Oh Yeah!”, che in tracklist annovera una versione di “Please Don’t Go” registrata live in Versilia. Il chitarrista Francesco ‘Larry Spinosa’ Alberti offre un continuum al “Guitar”, “The Guitar E.P. Nº 2” che all’interno ospita due tracce (e due remix) di stampo house rigate da una vena papettiana, e un ritorno è pure quello degli olandesi Terra W.A.N. con “Caramba (Dance 2 Dis)”, traccia ai confini con l’hardcore incanalata nel brand DWA Interface.

È pop dance made in Italy invece “Baby I Need Your Loving” di Johnny Parker Feat. Robert Crawford, prodotto da Marco Mazzantini e Daniele Soriani (quelli che tempo dopo armeggiano dietro Gayà) e coi backing vocal di Alessia Aquilani. A sorpresa Zanetti riporta in vita il suo alter ego Savage, assente da circa un triennio, con “Something And Strangelove”: “Something” è un inedito che risente dell’influsso della dance mitteleuropea, “Strangelove” è la cover dell’omonimo dei Depeche Mode. Sull’etichetta centrale si legge DWA Infective, ennesima declinazione che il musicista utilizza per personalizzare l’iter artistico della sua label analogamente a DWA Italiana, usata per il remix di “Sesso O Amore” degli Stadio realizzato dal sopraccitato team degli M.V.S. (Mingardi, Vivaldi, Salani). I Double You tornano con “Missing You”, primo singolo estratto da “The Blue Album” che uscirà l’anno dopo: sganciata dalla formula del filone iniziato con “Please Don’t Go”, la band inforca una nuova strada contaminata da elementi rock. Sul lato b (e sul CD singolo) finiscono i remix house di Fulvio Perniola e Gianni Bini che proprio quell’anno debuttano su UMM come Fathers Of Sound. Roberto Calzolari e Massimo Traversoni invece, già dietro Dyva, si propongono con “You Make Me Feel” cantata da Gwen Aäntti, un brano in cui pare riascoltare un frammento (velocizzato) di “What Is Love” di Haddaway. Per l’occasione si firmano S.D.P., acronimo di Sweet Doctor Phybes. Il 1993 partorisce un numero abissale di cover dance di classici pop/rock, proprio come “You And I” di Zooo, remake del classico dei Delegation prodotto da Claudio Mingardi e Marco Mazzantini. I due si occupano anche di “Love Is The Key” di Simona Jackson, cantante americana più avanti nota come Simone Jay che inizia a collaborare con la struttura zanettiana mediante un brano di estrazione house. È il centesimo disco della DWA, che scommette ancora sulle potenzialità di DJ Bobo e della sua “Keep On Dancing!”, perfetto follow-up di “Somebody Dance With Me” costruito sui medesimi elementi ossia base che fonde pianate ai bassi sincopati in stile “Rhythm Is A Dancer” condita dal rap maschile e dal ritornello affidato ad una voce femminile. Il successo internazionale convince Zanetti a licenziare nel nostro Paese anche il primo album dell’artista svizzero, “Dance With Me”, pubblicandolo in formato CD.

Ice MC e la tedesca Jasmin ‘Jasmine’ Heinrich che lo affianca quando la DWA lo rilancia nell’eurodance

Assente da quasi due anni, Ice MC riappare sotto la dimensione narrativa dell’eurodance auspicando un ritorno ai fasti reso possibile da “Take Away The Colour” uscito ad ottobre, in cui Robyx assembla con maestria il rap di Campbell ad una trascinante base a cui aggiunge un ritornello a presa rapida. A cantarlo è la menzionata Simona Jackson che però non compare nel videoclip, rimpiazzata dalla tedesca Jasmin Heinrich alias Jasmine, scelta per affiancare Campbell nei live e nei servizi fotografici secondo una pratica comune sin dai tempi dell’italo disco così come descritto in questa inchiesta. È uno dei primi pezzi eurodance prodotti in casa DWA che, in virtù del significativo impatto sul mercato continentale con oltre 200.000 copie vendute, genera più di qualche epigono a partire da “Get-A-Way” dei tedeschi Maxx, così come scrive James Hamilton sulla rivista britannica Music Week il 18 marzo 1995. Insieme ad Ice MC ritornano anche i Netzwerk con un’altra cover, “Breakdown”, originariamente di Ray Cooper ed ora ricantata da Sandy Chambers. Nell’ultimo scorcio del ’93 l’etichetta mette sul mercato i remix di “Give It Up” di KC & The Sunshine Band, “Part-Time Lover” dei Double You (ancora estratto dall’imminente “The Blue Album”), “Give You Love” dei Digilove cantata dall’infaticabile Alessia Aquilani, “I Tammuri” di Andrea Surdi e Tullio De Piscopo e “Take Control” di DJ Bobo, ormai lanciatissimo nel firmamento eurodance internazionale ma con pochi responsi raccolti in Italia.

Corona - The Rhythm Of The Night
La copertina di “The Rhythm Of The Night” di Corona

Menzione a parte merita “The Rhythm Of The Night” di Corona, progetto ideato dal DJ Lee Marrow e registrato nel Pink Studio di Reggio Emilia di Theo Spagna, fratello di Ivana. A scrivere il testo è Annerley Gordon, la futura Ann Lee, a cantare (in incognito) il brano è invece la catanese Jenny B. mentre a portarlo in scena è la frontwoman brasiliana Olga De Souza, unica protagonista del videoclip diretto da Giacomo De Simone. Ottenuto incrociando abilmente parti inedite ad una porzione melodica di “Save Me” delle Say When! ed un riff di tastiera simile a quello di “Venus Rapsody” dei Rockets, “The Rhythm Of The Night”, uscito a novembre e racchiuso in una copertina che immortala lo skyline newyorkese notturno con le Torri Gemelle luccicanti come gioielli nell’oscurità, diventa presto un successo globale che vive tuttora attraverso remix, cover ed interpolazioni, su tutte “Of The Night” dei Bastille e “Ritmo (Bad Boys For Life)” dei Black Eyed Peas e J. Balvin. Innumerevoli anche i derivati, a partire da “The Summer Is Magic” di Playahitty prodotta da Emanuele Asti, uscita nel ’94 e curiosamente interpretata dalla stessa Jenny B. seppur nel video finisca una modella. Quello di Corona è il primo mix ad essere stampato col logo bianco su fondo blu, declinazione grafica più rappresentativa della DWA rimasta in uso sino alla fine del 1996.

Il 1994 inizia con “Number One – La Prima Compilation Dell’Anno”, una raccolta edita su CD e cassetta e mixata da Lee Marrow che raduna materiale prevalentemente dwaiano, alternato a successi del periodo come Silvia Coleman, Cappella ed Aladino. All’interno c’è anche un’anteprima, “Everybody Love” di TF 99, nuovo progetto del team M.V.S. solcato su 12″ a gennaio ed oggetto di discreti riscontri oltralpe. Arrivano dall’estero invece “Is It Love?” dei Superfly e “I Totally Miss You” di Mike L.G., entrambi prodotti da George Sinclair ed Eric Wilde ma passati inosservati da noi. Per i Double You è tempo del secondo LP, “The Blue Album”, dal quale viene prelevato “Heart Of Glass”, cover dell’omonimo dei Blondie. Il fenomeno dei remake è ormai sulla via del tramonto ma certamente non quello dei remix: la DWA rimette in circolazione la musica di Savage attraverso un greatest hits, “Don’t Cry”, abbinato a numerose versioni remix dell’evergreen “Don’t Cry Tonight” incise su due dischi. A firmarle, tra gli altri, Mr. Marvin, Stefano Secchi, Fathers Of Sound e Claudio Mingardi. Proprio quest’ultimo, insieme agli inseparabili Vivaldi e Salani e alla “solita” Aquilani, dà alle stampe “Under The Same Sun”, ignorata in Italia ma accolta bene in altri Paesi europei (Germania, Francia, Spagna). Il nome del progetto one shot è DUE, la medesima sigla (acronimo di Dance Universal Experiment) con cui il team M.V.S. lancia la propria etichetta l’anno dopo, la DUE per l’appunto. Passando per i poco noti “Space Party People” di Arcana, prodotto a Trieste da David Sion (intervistato qui) e Chris Stern, “I Wanna Be With You” dei Cybernetica (Mingardi e soci) e “Better Be Allright” di Space Tribe (una sorta di risposta a “Move Your Body” degli Anticappella realizzata dai componenti dei Double You), la DWA garantisce un po’ di longevità a “The Rhythm Of The Night” di Corona attraverso i (primi) remix tra cui quello di Mephisto (intervistato qui), e scommette sulle potenzialità di “It’s A Loving Thing” di CB Milton, eroe dell’eurodance in buona parte dell’Europa settentrionale prodotto dagli artefici dei 2 Unlimited, Phil Wilde e Jean-Paul De Coster. Il cantante olandese è tra i protagonisti dell’ondata di interpreti come Haddaway, Lane McCray dei La Bouche, Captain Hollywood, Ray Slijngaard dei 2 Unlimited, Dr. Alban, Jay Supreme dei Culture Beat, B.G. The Prince Of Rap o Turbo B. degli Snap! e Centory, accomunati non solo dal genere musicale ma anche dal colore (scuro) della pelle, come del resto vale per Ice MC.

Ice MC - Think About The Way
“Think About The Way” sancisce la completa affermazione di Ice MC in Italia

Il primo boom dell’anno è proprio il suo: “Think About The Way” esce alle porte della primavera ed è il brano con cui l’etichetta di Zanetti conferma il successo internazionale per Campbell. La scrittura si evolve entro canoni ben definiti e l’effetto cover inizia a dissolversi a favore di una personalizzazione dei suoni dalle tonalità calde e brillanti, equilibri attentamente studiati e ponderati tra parti strumentali e vocali nonché una meticolosa attenzione per le stesure accomunate dall’inciso con accento metrico in levare anticipato dall’effetto stop, laser, blip (o comunque un fx simile ad una scarica elettrica) adottato ripetutamente per circa un quadriennio. Questa volta ad affiancare il rapper è la Aquilani che però non compare nel video diretto da Giacomo De Simone e nemmeno sul palco del Festivalbar, nella clip per Superclassifica Show e tantomeno nei live come questo al pugliese Modonovo Beach, rimpiazzata da Jasmin Heinrich già incrociata nel video di “Take Away The Colour” e, un paio di anni dopo, entrata nella formazione degli E-Sensual. La spezzina tuttavia prende parte ad alcune esibizioni live, come questa all’evento francese Dance Machine, o questa in occasione del programma “Donna Sotto Le Stelle” trasmesso da Italia 1. Questa singolare situazione, non nuova negli ambiti dance specialmente nostrani, non la infastidisce almeno a giudicare da quanto dichiara a Riccardo Sada in un’intervista pubblicata ad aprile 1998 su Jocks Mag: «non sono stata vittima nel progetto Ice MC, io cantavo e sul palco ci andava una mulatta, ma mi è bastato. Adesso però sul palco ci vado io e mi diverto». In “Think About The Way” c’è ancora l’impronta rap ma senza riferimenti all’hip house. La produzione zanettiana ora vira verso la melodia più ariosa, e l’indovinato ritornello fa il resto insieme all’hook “bom digi digi digi bom digi bom”. Sebbene pubblicato a marzo, il brano di Ice MC, tempo dopo entrato nella colonna sonora del film “Trainspotting”, diventa un inno estivo dal successo ulteriormente prolungato da nuove versioni tipo la Noche De Luna Mix con una chitarra spagnoleggiante in stile Jam & Spoon. Come sottolinea Manuela Doriani in una recensione di agosto ’94, l’uscita di questo remix risulta decisamente provvidenziale «perché l’originale stava cominciando un po’ a stancare le masse discotecare».

Da “Dance With Me” viene estratto “Everybody” con cui DJ Bobo rallenta i bpm a favore di una canzone downtempo rigata di reggae, tentando di fare il verso ad “All That She Wants” degli Ace Of Base, Mingardi, Vivaldi e Salani clonano “Move On Baby” dei Cappella attraverso “Music Is My Life” di Galactica, Ice MC viene coinvolto in un nuovo remix di “The Rhythm Of The Night” (lo Space Remix), CB Milton riappare con “Hold On (If You Believe In Love)” e i Double You con “Run To Me”, montata sul riff identificativo di “Don’t Go” di Yazoo. Nel turbinio delle pubblicazioni rispunta anche Savage con l’inedito “Don’t You Want Me”, scritto insieme a Fred Ventura (intervistato qui) ed incastonato nella base di “Think About The Way” con qualche marginale variazione. Non è intenzione di Zanetti però rilanciarsi nella scena, è chiaro sin dall’inizio che il musicista non voglia usare la casa discografica per sponsorizzare la sua carriera da artista. La DWA invece veicola nel mondo il suo ruolo da produttore e questo spiega la ragione per cui l’alter ego principale di Zanetti occupi una posizione decisamente defilata rispetto ad altri progetti ed artisti, in primis Corona ed Ice MC, talmente forti da oscurare pure altre proposte dell’etichetta, come “Don’t U Feel The Beat” di Timeshift, importato dal Belgio, “Do You Know” di Black & White, prodotto da Massimo Traversoni e Roberto Calzolari scopiazzando palesemente “Think About The Way”, e “I Don’t Wanna Be” di Crystal B., un altro act one shot registrato presso il Crystal Studio di Francesco Alberti e noto perlopiù all’estero. Nel frattempo Corona arriva oltremanica con la WEA del gruppo Warner aggiudicandosi, come riportato sul sito DWA, un disco d’oro con oltre 400.000 copie vendute. Per l’occasione “The Rhythm Of The Night” viene remixata dai Rapino Brothers (italiani trapiantati nel Regno Unito) e dai fratelli Adrian e Mark LuvDup, anticipando lo sbarco oltreoceano. Alla fine dell’anno saranno più di quindici i dischi d’oro e di platino appesi alla parete. Davvero niente male per un pezzo che, come l’autore racconta qui, viene inizialmente rifiutato da un discografico della Dig It International convinto che non fosse affatto adatto ai tempi e che oggi, paradossalmente, è finito col diventare una specie di elemento mitologico di quell’epoca.

Ice MC + Netzwerk
“It’s A Rainy Day” e “Passion”, due grandi successi della DWA usciti nel secondo semestre ’94

Dopo un’estate vissuta da assoluto protagonista, Ice MC torna con “It’s A Rainy Day”, che davvero nulla divide col quasi omonimo “Rainy Days” di due anni prima. Scritto e prodotto da Zanetti mescolando gli stessi elementi di “Think About The Way” incluso un nuovo hook vocale (“eh eh”), il brano è issato da una suggestiva frase di organo sposata perfettamente con l’atmosfera malinconica tipica delle produzioni a nome Savage. La Aquilani è confermata come voce femminile e questa volta la si ritrova anche nel video ancora diretto da Giacomo De Simone. I tempi sono maturi per lanciare l’album dell’artista, il terzo della carriera, intitolato “Ice’ N’ Green” che gioca sull’assonanza fonetica col quartiere il cui Campbell è cresciuto, Hyson Green, a Nottingham. Quella della DWA ormai è una matrice costituita da suoni e stesure a cui un numero imprecisato di produttori eurodance si ispira, come Malatesti, Salani e Vivaldi che affidano a Zanetti “Don’t Leave Me”, il primo brano firmato Fourteen 14 riuscendo ad ottenere ottimi riscontri all’estero. Percorso inverso invece per CB Milton che dalla belga Byte Records si ritrova in Italia con un altro singolo estratto da “It’s My Loving Thing” ovvero “Open Your Heart”. Allineati al modulo Corona/Ice MC risultano anche i Netzwerk, orfani di Marco Genovesi rimpiazzato da Gianni Bini e Fulvio Perniola, che in autunno tornano con “Passion” lanciata su un ritmo ondulatorio e galoppante. La nuova formazione vede anche la defezione di Sandy Chambers sostituita da Simone Jackson, scelta che però, come lo stesso Bini spiega in questa intervista, «non fu legata a questioni artistiche ma, più banalmente, all’impossibilità della Chambers di cantare in quel periodo». La Jackson, nel 1994, interpreta anche “You’re The One”, prodotto da Francesco Racanati alias Frankie Marlowe, già attivo in progetti come E. L. Gang, Nine 2 Six e 2 B Blue, che però resta nel cassetto. «Dopo il grande successo di “The Rhythm Of The Night” di Corona pensai di realizzare un brano che potesse collocarsi su quel genere» svela oggi Racanati. «Scrissi il testo e mi rivolsi all’amico Alex Bertagnini che mi presentò Vito Ulivi. Lavorammo insieme al pezzo affidandolo vocalmente alla Jackson per l’appunto. Fabrizio Gatto della Dancework (intervistato qui, nda) era intenzionato a farlo uscire come singolo ma parallelamente lo feci ascoltare a Roberto Zanetti che conoscevo dai tempi dei Taxi e con mia sorpresa, sapendo quanto fosse esigente e selettivo, rimase colpito. “You’re The One” gli piaceva e mi consigliò di approfondire il discorso con Lee Marrow per inserirlo nel primo album di Corona che era in lavorazione. Purtroppo Alex e Vito non furono d’accordo, preferivano l’offerta di Gatto che puntava all’uscita come singolo. Tuttavia la Dancework alla fine pubblicò un altro brano in cui non ero coinvolto ossia “All I Need Is Love” di Indiana (di cui parliamo qui, nda), e nel contempo anche il “treno” con Zanetti era ormai passato e perso. “You’re The One”, a cui partecipò pure Marco Tonarelli, rimase quindi in archivio». A chiudere, sotto le feste natalizie, è il Christmas Re-Remix di “It’s A Rainy Day”. Sul 12″ c’è spazio anche per un altro pezzo tratto dall’album, “Dark Night Rider”, col riff di sintetizzatore che paga l’ispirazione a “Move On Baby” dei Cappella, un’altra mega hit italiana messa a segno nel 1994.

Il 1995 riprende dallo stesso nome con cui è terminato il 1994, Ice MC. Non si tratta proprio di un pezzo nuovo di zecca bensì di una rivisitazione di “Take Away The Colour” codificata in copertina come ’95 Reconstruction: ricantata dalla Aquilani che fa capolino anche nel videoclip, la traccia è “figlia” della velocizzazione impressa alla dance nostrana, accelerazione ritmica importata in primis dalla Germania dove quella che a posteriori viene ribattezzata hard dance garantisce un exploit commerciale anche a correnti parallele come l’happy hardcore. La “ricostruzione” di “Take Away The Colour” guarda proprio in quelle direzioni, occhieggiando alle melodie festaiole dei Sequential One del futuro ATB André Tanneberger, alla hit di Marusha (“Over The Rainbow”) e, con un assolo salmodiante a rinforzo del flusso lirico, un po’ anche a quella di Digital Boy (“The Mountain Of King”) che, da noi, fu tra le prime ad innescare quel vigoroso scossone ritmico. «In realtà della versione originale è rimasta solo una piccola parte» spiega Campbell in un’intervista pubblicata su Tutto Discoteca Dance a marzo. «Il pezzo è stato completamente rifatto a 160 bpm, e questo è un disco importante perché segna un’evoluzione del mio stile. La sonorità generale si è rinnovata diventando una via di mezzo tra la melodia, il suono tecnologico tedesco e la jungle britannica». Il brano, in cui si scorge pure qualche rimando vocale non troppo velato a “Think About The Way”, apre la tracklist del remix album dello stesso artista che DWA pubblica insieme alla Polydor del gruppo Polygram.

DWA al Midem
Una foto scattata al Midem di Cannes: a sinistra Steve Allen, A&R della WEA, al centro Roberto Zanetti affiancato da Lee Marrow

È tempo di remix anche per “Passion” dei Netzwerk, ugualmente dopato nella velocità che nella Essential Mix oltrepassa i 140 bpm, e qualche battuta in più la prende anche il nuovo di Corona, “Baby Baby”, rifacimento di “Babe Babe” pubblicato nel 1991 come Joy & Joyce. Ricantato per l’occasione da Sandy Chambers che ovviamente non compare nel video in cui il ruolo da protagonista è sempre di Olga De Souza, il brano, uscito a marzo, conta sul remix di Dancing Divaz utile per penetrare nel mercato britannico ed incluso nella tracklist dell’album uscito in contemporanea, “The Rhythm Of The Night”. La DWA, ancora insieme alla Polydor, lo pubblica solo in formato CD. In Europa è un tripudio. L’etichetta di Zanetti è tra le etichette premiate al Midem di Cannes in virtù di quasi una ventina di dischi d’oro e platino conquistati. La velocità di crociera della dance, nel corso del 1995, aumenta ancora e ciò solleva qualche interrogativo tra gli addetti ai lavori: è corretto parlare di eurobeat? A novembre del ’95 Federico Grilli, sulle pagine di Tutto Discoteca Dance, firma uno speciale in cui pone l’accento proprio sulla trasformazione che investe il filone, «più radicato in Germania e nel Nord Europa che in Italia dove le radio, in alcuni casi, fanno ancora il bello e il cattivo tempo di alcuni dischi». Tanti nomi noti oltralpe (Cartouche, T-Spoon, Maxx, Pandora, Cutoff, Magic Affair, E-Rotic, Imperio, Fun Factory, Intermission, Masterboy) da noi non riescono ad attecchire nonostante l’interesse mostrato per alcuni di essi dalle etichette nostrane, evidentemente incapaci di portare al successo in modo autonomo le scelte dei propri A&R. All’inchiesta prende parte anche Roberto Zanetti che parla dell’eurobeat come «un genere non certamente nuovo ma in vita da oltre un decennio, diretta evoluzione dell’hi NRG con cui Stock, Aitken & Waterman facevano esplodere artisti e band come Rick Astley, Mel & Kim, Dead Or Alive, Hazell Dean e Bananarama. In seguito la Germania, l’Italia e i Paesi limitrofi si sono uniformati ed hanno cominciato a produrre cose simili. Oggi per eurobeat si deve intendere tutto ciò che ha una forte melodia abbinata a suoni e ritmiche attuali, alla moda. In Italia, oltre alle mie produzioni, nella pop dance vedo con interesse dischi come Cappella o Whigfield che di sicuro hanno un sapore internazionale. In conclusione ritengo che l’eurobeat non morirà mai anzi, si andrà sempre più ad identificare con il pop e con tutto ciò che diventa commerciale».

Double You, Netzwerk, Corona (1995)
Double You, Netzwerk e Corona, il tridente d’attacco della DWA nell’estate 1995

L’eurobeat nostrana (o più propriamente eurodance in quanto, come sottolinea Grilli, il fenomeno interessa solamente l’Europa e non l’America) respira a pieni polmoni grazie alla DWA che, a primavera inoltrata, mette sul mercato due mix destinati a diventare in un battito di ciglia dei successi estivi, “Dancing With An Angel” dei Double You e “Memories” dei Netzwerk. Per questi ultimi, ancora affiancati da Simone Jackson che diventa l’immagine e voce nei live così come si vede in questa clip, è una conferma dopo l’exploit invernale ottenuto con “Passion”; per i Double You invece, per l’occasione abbinati al featuring della Chambers che interpreta il ritornello, è un clamoroso ritorno al successo dopo un 1994 vissuto un po’ in sordina. Entrambi testimoniano l’espressività stilistica diventata il trademark della DWA, composto da una pasta del suono limpida e cristallina, irradiata da un bagno di luce che non rompe mai il contatto con la tradizionale formula della song structure. L’inesauribile vena di Robyx porta ad uno stile compositivo ormai inconfondibile che per le radio e i DJ pop dance rappresenta una consolidata certezza in un oceano di produzioni. Quell’anno Corona e la band capitanata da Naraine partecipano alla trasmissione televisiva brasiliana Xuxa Hits che vanta centinaia di migliaia di spettatori: il Brasile è senza timore di smentita tra i Paesi in cui le produzioni DWA fanno maggiore presa. Insieme a loro c’è anche un altro progetto italiano, Andrew Sixty, emerito sconosciuto in patria ma popolarissimo nello Stato sudamericano come testimoniano diverse clip come questa, questa o questa. Nella line up, tra gli altri, figura Max Moroldo, che poco tempo dopo fonda la Do It Yourself e che abbiamo intervistato qui. In estate arrivano “I Want You” dei Po.Lo., prodotto da Mingardi, Vivaldi e Salani sulla falsariga di “Dancing With An Angel” con la voce di Marco Carmassi che ricorda parecchio quella di Naraine, e “Try Me Out” di Corona, rilettura dell’omonimo del ’93 di Lee Marrow cantato da Annerley Gordon ora sostituita da Sandy Chambers ed ispirato da “Toy” delle Teen Dream del 1987. Olga De Souza resta la primattrice del video. Il lato b del disco annovera due remix, quello degli Alex Party e quello di Marc ‘MK’ Kinchen, artefice del successo internazionale dei Nightcrawlers come descritto qui. Kinchen appronta pure una versione strumentale che finisce su un secondo mix codificato, per l’appunto, come Dub Mixes.

In autunno viene annunciato il “divorzio” tra Ice MC e la DWA: Tutto Discoteca Dance fa riferimento alla “stipula di un contratto mondiale tra il cantante di colore e la multinazionale tedesca Polydor” ma per anni le voci che si rincorrono sono discordanti ed alimentano parecchia confusione. Da un lato c’è chi parla dell’uso illegittimo che Campbell avrebbe fatto dello pseudonimo Ice MC – di proprietà della DWA – durante la militanza nella Polydor, dall’altro chi invece punta il dito contro Zanetti, reo di non aver pagato le royalties pattuite a cui il rapper reagisce con una denuncia. «In realtà» come lo stesso Zanetti spiega in un’intervista contenuta nel libro Decadance Appendix, «nessuna delle due versioni è propriamente corretta. Charlie Holmes, manager fino ad allora sconosciuto che viveva a Firenze vicino alla casa italiana di Ice MC, riuscì a convincere l’artista di non essere gestito bene dalla DWA. Ciò portò la rottura improvvisa e non giustificata del contratto e la firma con la Polydor, etichetta con cui, tra l’altro, la DWA già collaborava. A quel punto sorse una causa che venne risolta, amichevolmente, un paio di anni dopo. Holmes aveva un grande potere su Ice MC e lo portò a compiere molte scelte sbagliate che incrinarono la sua carriera. A mio avviso il più grosso errore fu quello di affidare il progetto discografico ai Masterboy che, pur copiando spudoratamente lo stile Robyx, non riuscirono a portare al grande successo brani come “Music For Money” e “Give Me The Light” contenuti nell’album “Dreadatour” uscito nel 1996».

Alexia + Sandy
Nell’autunno ’95 Zanetti lancia Alexia e Sandy come interpreti soliste dopo un numero indefinito di featuring spesso non palesati sulle copertine

L’allontanamento dell’artista su cui aveva scommesso sin dal 1989 e nel tempo diventato un pilastro della sua etichetta non ferma Zanetti che dimostra, immediatamente, di avere un asso nella manica. Nei negozi arriva “Me And You” con cui Alessia Aquilani, da anni turnista per la DWA, diventa Alexia. Ad affiancarla, per una breve parte vocale, è William Naraine dei Double You. Il successo è immediato, il brano conquista il vertice delle classifiche di vendita in Italia e in Spagna col conseguente avvio delle prime tournée da solista. In copertina finisce una foto di Fabio Gianardi che immortala il particolare look della cantante spezzina dalla chioma raccolta in treccioline. Ma le sorprese non sono finite: Zanetti affianca ad Alexia un’altra turnista che ha maturato numerosissime esperienze, Sandra Chambers, ora pronta a spiccare il volo da solista come Sandy. Il suo brano si chiama “Bad Boy” e macina decine di licenze, non solo in Europa, trainato da un refrain di tastiera simile a quello di “Tell Me The Way” dei Cappella, già oggetto di una sorta di ripescaggio nell’omonimo dei The Sensitives nato dalla partnership tra la Bliss Corporation e la Sintetico. A novembre esce “I Don’t Wanna Be A Star” che traghetta Corona nelle atmosfere della discomusic con qualche occhiata a “Can’t Fake The Feeling” di Geraldine Hunt. Il video omaggia la “Dolce Vita” romana ancora con la briosa Olga De Souza, bellezza sudamericana dalla capigliatura fluente e dalla risata peculiare ma un po’ sgraziata, seppur a cantare resti la Chambers. Per non scontentare i fan dell’eurodance viene approntata una versione apposita, la Eurobeat Mix, ma a colpire maggiormente gli addetti ai lavori è la 70’s Mix: in relazione ad essa Nello Simioli, in una recensione apparsa a dicembre su Tutto Discoteca Dance, ipotizza la nascita di un «nuovo filone che possa innalzare il livello qualitativo di un mercato stanco e disorientato». A tirare il sipario sono i Double You con “Because I’m Loving You”, impostato come “I Don’t Wanna Be A Star”: da un lato la versione eurodance pensata come follow-up di “Dancing With An Angel”, dall’altro la ’70 Mix, sincronizzata col video girato in teatro che invece capovolge tutto a favore di dimensioni disco, preservando la linea melodica principale che ammicca a “You Keep Me Hangin’ On” di Kim Wilde. L’idea c’è ma paragonato al predecessore il brano perde un po’ in potenza ed immediatezza. Rispetto alle annate precedenti, quella del 1995 è la prima in cui la frequenza delle pubblicazioni DWA scende a circa una ventina di uscite, riducendo quasi del tutto i progetti one shot e le compilation ed azzerando le licenze estere. Un preludio di ciò che avverrà negli anni a seguire.

1996-1997, un biennio in chiaroscuro
Dopo circa centottanta uscite, la DWA cambia in modo definitivo la numerazione del catalogo del vinile uniformandola a quella del CD: i primi due numeri identificano l’anno, i restanti il tradizionale ordine cronologico di uscita. Il primo è dunque il 96.01 che esce in primavera, “Summer Is Crazy” di Alexia, un pezzo che vuole imporsi come successo estivo sin dal titolo e per cui viene girato anche un video. La Aquilani conferma le proprie doti canore e Zanetti quelle da compositore e produttore. La dance italiana però attraversa una fase particolare, la popolarizzazione di formule strumentali trainata in primis dall’exploit mondiale di “Children” di Robert Miles (di cui parliamo qui) finisce col mettere all’angolo e in ombra il formato canzone sul quale la DWA ha edificato il proprio successo. I suoni della progressive e della dream fanno apparire vecchia e stantia l’eurodance, in tanti(ssimi) preferiscono voltare pagina e cercare fortuna scomodando suoni e stesure che con la dance delle classifiche avevano ben poco in comune.

Alexia - Summer Is Crazy
“Summer Is Crazy” di Alexia, un brano eurodance dai chiari riferimenti dream

In un certo senso lo fa anche Zanetti, come testimoniano i chiari rimandi pianistici a “Children” in “Summer Is Crazy”, portata al Festivalbar e pochi mesi più avanti ricostruita da DJ Dado (e Roberto Gallo Salsotto, intervistato qui) in una versione “pop-gressive”, la World Mix, ottenuta incrociando “Acid Phase” di Emmanuel Top ad “On The Road (From “Rain Man”)” degli Eta Beta J. a cui abbiamo dedicato un articolo qui. Per tentare di cavalcare la transitoria ondata progressive Zanetti riporta in vita, dopo sei anni di assenza, il progetto Pianonegro con “In Africa”, un brano edito anche in formato picture disc nato dalla distillazione della citata “Children”. Ancora una volta appare parecchio evidente che l’artista massese non sia tagliato per i generi strumentali, la sua cifra creativa emerge dalla scrittura di canzoni intarsiate ad efficaci melodie e non dalla ricerca di timbriche inedite che disorientano l’ascoltatore, nuove traiettorie ritmiche o calibrazione di layer davanti a muri di sintetizzatori modulari. «Prima di pensare ai suoni, voci ed arrangiamenti, partivo sempre da una bella canzone» dichiara in un’intervista finita nel libro Decadance Appendix nel 2012. Con un’anima genuinamente canzonistica Zanetti è dunque un profondo conoscitore della melodia, elemento a cui ha sempre attribuito un ruolo prioritario nelle proprie opere.

A ridosso dell’estate esce il “Megamix” di Corona, composto dai suoi successi usciti tra ’93 e ’95. Quell’anno Olga De Souza è ancora sul palco del Festivalbar ma non come artista bensì come co-conduttrice insieme ad Amadeus ed Alessia Marcuzzi. Tra i cantanti che introduce, come si vede in questa clip, c’è anche Ice MC con la citata “Give Me The Light”, prodotta in Germania dai Masterboy scopiazzando palesemente il DWA style. Zanetti non molla ed appronta un nuovo pezzo per Alexia che esce a novembre, “Number One”, composto sulla falsariga di “Summer Is Crazy” e con l’inciso in comune con “(You’ll Always Be) The Love Of My Life” di Pandora uscito l’anno dopo («alcuni autori britannici mi mandarono un demo da cui presi le note del ritornello, ma tutto il resto fu scritto da me ed Alexia» spiega Zanetti, specificando che ci fosse un accordo a monte di questa scelta). Questa volta oltre al pianoforte childreniano figura pure qualche occhiata a “Seven Days And One Week” dei BBE. Immancabile il video che traina il brano soprattutto all’estero dove l’eurodance non viene intorpidita dalla fiammata progressive. Del pezzo escono svariate versioni remix tra cui la latineggiante Spanish Club Mix in spanglish e la Fun Fun Party Mix, piena di riferimenti agli Alex Party, del compianto Costantino “Mixmaster” Padovano coadiuvato, tra gli altri, dagli esordienti Harley & Muscle.

E.Y.E. Feat. Alexia - Virtual Reality
“Virtual Reality” di E.Y.E. Feat. Alexia è l’ultimo tentativo della DWA di cavalcare l’onda progressive

Ad inizio ’97 il fenomeno progressive appare già sensibilmente depotenziato rispetto a dodici mesi prima, e nell’arco dell’anno la flessione sarà costante sino ad un calo completo a favore di un ritorno alla vocalità, ad atmosfere più festose e alle tradizionali stesure in formato canzone. Per la DWA, che dopo un triennio rinnova l’impianto grafico ora su fondo nero, l’ultima prova sotto il segno della progressive è rappresentato da “Virtual Reality” di E.Y.E. feat. Alexia, una traccia lontana dalle coordinate robyxiane che tenta di deviare verso stilemi “popgressive” rimaneggiando elementi di “Flash” dei B.B.E. e “Groovebird” dei Natural Born Grooves. L’effetto finale è la sovrapposizione tra prevedibili bassi in levare e girotondi di “pizzicato style”, propaggine di un effimero trend commerciale sdoganato in Europa da pezzi come “Encore Une Fois” dei Sash!, “La Vache” dei Milk Inc. o “Bellissima” di DJ Quicksilver e probabilmente istigato dai Faithless con “Salva Mea (Save Me)” ed “Insomnia”, entrambi del ’95.

Un riavvicinamento alle sponde stilistiche per cui la DWA si è fatta conoscere nel mondo si registra con “Uh La La La” di Alexia, ma non è propriamente un ritorno all’eurodance: Zanetti vira verso il downtempo più scanzonato ai confini con le pop hit r&b, ma lo fa con cognizione di causa. Il brano, con cui la Aquilani partecipa al Festivalbar, diventa un successo estivo europeo, sorretto da un video registrato a Miami. Della ballad arrivano diversi remix realizzati dai Fathers Of Sound pressati su un doppio che ingolosisce i DJ devoti alla house/garage come Paolo Martini che, in una recensione apparsa a maggio su DiscoiD, spende parole più che positive sul progetto: «quando ho ascoltato il DAT sono quasi svenuto, Alexia ha una voce da panico e nel momento in cui sentirete queste versioni anche voi mi darete ragione. Purtroppo (per noi) ha un contratto in esclusiva con la DWA, cosa farei altrimenti con quella voce…». Nei negozi comunque arriva anche un remix espressamente destinato alle radio e ai locali generalisti firmato da Fargetta affiancato da Pieradis Rossini.

Alexia + Sunbrother
Con Alexia e Sunbrother la DWA ritrova la sua dimensione stilistica

“Uh La La La” è tratto da “Fan Club”, primo album di Alexia che la DWA pubblica insieme alla Polydor vendendone più di 600.000 copie e dal quale viene estratto pure “Hold On” con una versione affidata al brasiliano Memê probabilmente ispirato da “Keep On Jumpin'” di Todd Terry. In Italia però i risultati dell’LP non sono completamente soddisfacenti, a dirlo è la stessa cantante in un’intervista pubblicata ad aprile ’98 sulla rivista Jocks Mag in cui sostiene altresì che la sua presenza al Festivalbar «abbia infastidito qualcuno». Perniola, Bini, Galeotti e Tognarelli tornano sull’etichetta zanettiana ma nelle vesti di Sunbrother con “Tell Me What”, una specie di rilettura di “Stop That Train” di Clint Eastwood And General Saint, un vecchio brano reggae del 1983 reimpiantato per l’occasione su una base macareniana. Netzwerk invece “trasloca” sulla Volumex, etichetta della milanese Dancework, con “Dream”, pop tranceggiante interpretata da Sharon May Linn, completamente disallineato dai due precedenti successi e finito inesorabilmente nell’oblio. Un altro ritorno è quello dei Double You prossimi a firmare con la BMG che, orfani di Andrea De Antoni e reduci di un clamoroso successo in Brasile dove esce l’album “Forever” (ma non edito da DWA), si ripropongono con “Somebody”, brano vicino (forse troppo?) alla romantic dance di Blackwood e alla deviazione pop di DJ Dado. Come per Alexia, anche in questo caso ci pensano i Fathers Of Sound a rileggere il brano in numerose versioni house oriented incise su un doppio mix. Il numero risicato di pubblicazioni, una decina nel 1996 ed altrettante nel ’97, è un segnale che qualcosa sia mutato in modo radicale nella struttura discografica massese.

Gli ultimi anni Novanta
Come si è visto, il 1996 e il 1997 segnano un nuovo passo per l’etichetta di Zanetti. Sono ormai lontani i tempi delle pubblicazioni mensili multiple (l’apice è nel 1994 con circa una cinquantina di uscite annue), delle compilation, delle licenze dall’estero e delle scommesse su progetti one shot. I bilanci della discografia, in generale, cambiano bruscamente nell’arco di pochi anni: a Billboard, il 2 luglio ’94, Alvaro Ugolini della Energy Production dichiarava di aver incassato 1 miliardo e 200 milioni di lire nel ’92 e più del doppio nel ’93 mentre Luigi Di Prisco della Dig It International prevedeva di fatturare, per il ’94 ancora in corso, almeno 30 miliardi di lire. Gianfranco Bortolotti della Media Records invece, in un’intervista del giugno ’95 finita nel libro “Discoinferno” di Carlo Antonelli e Fabio De Luca, parla di 10 miliardi di lire in royalties, presumibilmente relativi all’anno precedente. Gli imprenditori del comparto iniziano a capire che sia necessario produrre meno ed alzare l’asticella qualitativa perché i tempi delle vacche grasse stanno repentinamente trasformandosi in ricordi e a testimonianza ci sono eclatanti chiusure, dalla Flying Records («a causa di un insostenibile carico di debiti» come si legge in un trafiletto di Mark Dezzani su Music & Media del 24 gennaio ’98) alla Zac Music, «in ritirata strategica da un mercato ormai depresso», passando per la Discomagic di Severo Lombardoni (distributore della DWA sino a fine ’96) a cui si aggiungerà, nel ’99, la citata Dig It International. Per DWA inoltre si è drasticamente assottigliata pure la scuderia artistica coi nomi statuari ormai defilati dalla scena o già finiti nel dimenticatoio ad eccezione di Alexia, sulla quale Robyx continua a credere ciecamente spinto e motivato anche da un accordo internazionale stretto nel ’97 con la divisione dance della Sony, la Dance Pool. Da quel momento in poi è la multinazionale ad occuparsi della promozione e della distribuzione della musica dell’artista spezzina in tutto il globo. Adesso la DWA, come Zanetti rimarca a Dezzani in uno special sulla scena delle etichette dance indipendenti nostrane pubblicato sul citato numero di Music & Media ad inizio ’98, «è più una casa di produzione che un’etichetta discografica, stiamo concentrando le nostre energie maggiormente su artisti che possano fare crossover tra la dance e il pop come Alexia, a cui vengono aggiunti remix più incisivi destinati alle discoteche. Ritengo che la strada da percorrere sia quella con meno progetti, in questo modo si possono seguire meglio le priorità. Concentrandosi sulla produzione e la gestione dell’artista, è possibile ottenere un prodotto di qualità, quello che attualmente chiedono i consumatori».

Grafico DWA anni 90
La quantità di pubblicazioni DWA nel decennio 1989-1999

Zanetti parla di questo “ridimensionamento progettuale” anche in un’intervista raccolta per il libro Decadance Appendix: «quando, nella seconda metà degli anni Novanta, i miei colleghi della Time, della Media Records e di altre strutture simili si ingrandivano diventando piccole industrie, io preferii rimanere ancorato a dimensioni ridotte per avere un controllo totale sui miei progetti. Basti pensare che nel momento di massimo successo in DWA lavoravano appena quattro persone, io, mia sorella alla contabilità, un ragazzo in studio come aiuto fonico ed una segretaria. Poi, visto che una volta raggiunta fama e popolarità i miei artisti diventavano intrattabili, decisi di lasciarli per dedicarmi a tempo pieno ad Alexia». È altrettanto importante sottolineare che, oltre ad una quantità minore di titoli immessi sul mercato, la DWA abbia sempre poggiato su un lavoro più indipendentista rispetto a quello delle citate Time o Media Records. Nel Casablanca Recording Studio opera il solo Zanetti affiancato da Francesco Alberti, non ci sono team di produzione che possano garantire una maggiore prolificità e tantomeno non si riscontra la presenza di nessuna sublabel, cosa atipica per i tempi quando ci si inventava marchi di ogni tipo e genere spesso con l’unico fine di evitare l’inflazione, tanta era la quantità di dischi immessi mensilmente sul mercato. Se altri portano avanti un’operosità quasi industriale, la DWA resta invece legata ad una sorta di piccolo artigianato.

Alexia LP
Gli album “The Party” ed “Happy” fanno di Alexia una cantante non più legata esclusivamente alla dance

A marzo del 1998 viene pubblicato “Gimme Love” di Alexia, scritto da Zanetti affiancato nel suo studio dall’inseparabile Francesco Alberti, che pare una specie di rivisitazione italica dei fortunati remix di Todd Terry per gli Everything But The Girl. Italia, Spagna e Finlandia sono tra i primi Paesi a “capitolare” ma qualcosa accade anche oltremanica dove Alexia, per sua stessa ammissione in un’intervista rilasciata a Riccardo Sada ad aprile per Jocks Mag, è ancora impopolare. La Dance Pool pubblica i remix (incluso quello degli Almighty) del precedente “Uh La La La” e il brano entra in classifica alla decima posizione, garantendo alla cantante la presenza ad importanti trasmissioni tv, incluso Top Of The Pops. Da noi è tempo del Festivalbar dove Alexia si esibisce prima con “Gimme Love” e poi con “The Music I Like”, secondo singolo estratto dall’album “The Party” uscito a maggio ed inserito in una posizione abilmente giocata tra pop e dance. Le oltre 500.000 copie vendute richiamano l’attenzione del mercato statunitense ed asiatico. La Aquilani figura pure in “Superboy” di Tuttifrutti, un brano bubblegum che Zanetti dedica al mondo del calcio, quell’anno animato dai Mondiali che si disputano in Francia. In autunno è ancora la volta di Alexia con “Keep On Movin'” dove prevale una vocazione maggiormente legata al pop, dimensione in cui la cantante entra definitivamente da lì a breve col terzo album uscito nel ’99, “Happy”, anticipato da “Goodbye” a cui partecipa il musicista Marco Canepa.

Per Alexia è l’LP della consacrazione e la sua musica, seppur ancora in lingua inglese, non è più relegata solo all’ambiente delle discoteche ma abbraccia un pubblico eterogeneo. Anche la sua immagine inizia a conoscere un rinnovamento: appare ancora vispa e sbarazzina, spesso abbigliata con colori fluo così come vuole la moda del periodo, ma senza più le lunghe treccioline. Dall’album viene estratto anche l’omonimo “Happy”, accompagnato da un video in cui l’interprete è proiettata negli anni Sessanta mediante una sorta di macchina del tempo chiamata Virtual Transfer. Nel 2000 tocca ad un inedito, “Ti Amo Ti Amo”, l’ultimo scritto da Zanetti e contenuto nella raccolta “The Hits” che riassume le tappe essenziali della carriera artistica della Aquilani. È l’ennesimo brano a confermare l’abilità del produttore toscano nel costruire canzoni semplici ed efficaci, montate su stesure immediate ed incisi facilmente memorizzabili e collocati in un contesto privo di qualsiasi dettaglio superfluo. Nonostante il considerevole successo, a questo punto qualcosa si incrina. Come riportato sul sito DWA, la cantante chiude un nuovo accordo con la Sony estromettendo Zanetti «costretto ad intentare un procedimento legale per inadempimento di contratto». Alexia ormai non è più la ragazzina dei turni in sala canto, all’orizzonte c’è il Festival di Sanremo a cui partecipa nel 2002 con “Dimmi Come… “ sfiorando la vetta conquistata l’anno successivo con “Per Dire Di No”. Eppure sino a pochi anni prima l’ipotesi di cantare in italiano non la sfiorava nemmeno da lontano: «la lingua inglese mi è molto affine e credo di esprimere con essa il meglio di me stessa» affermava in un’intervista di Barbara Calzolaio pubblicata ad aprile 1998 su Trend Discotec.

Ice MC con Time
I due singoli che nel 2004 segnano la ritrovata collaborazione tra Ice MC e Zanetti

Il ritorno dopo il buio, l’attività nel nuovo millennio
Dopo la rottura del sodalizio con Alexia, la DWA si ferma ma non il suo fondatore che non resta con le mani in mano. Tra le altre cose, Robyx scrive e produce “www.mipiacitu” dei romani Gazosa, hit dell’estate 2001 scelta per lo spot televisivo della Summer Card Omnitel con Megan Gale. La DWA riappare nel 2004 quando, nell’incredulità di molti, l’asse creativo tra Zanetti ed Ice MC viene ristabilito. Il primo risultato della ritrovata partnership è rappresentata dal brano “It’s A Miracle (Bring That Beat Back)” pubblicato in tandem con la Time di Giacomo Maiolini. Contrariamente a quanto si aspettano gli eurobeatiani più convinti e nostalgici, non contiene nulla delle hit nazionalpopolari del rapper britannico se non l’attitudine hip hop che lo accompagna sin dagli esordi spinta verso sponde reggae à la Shaggy o Sean Paul. Il pezzo, per cui viene girato anche un videoclip, è estratto dall’album “Cold Skool” che però passa completamente inosservato. Probabilmente il vero miracolo risiede nel fatto che i due si siano riavvicinati lasciandosi alle spalle i dissapori di metà anni Novanta. «Nel 2004 abbiamo tentato di dare un nuovo avvio alla carriera di Ice MC, prima con “It’s A Miracle (Bring That Beat Back)” e poi con “My World”» (ancora su Time e solo omonimo dello sfortunato album del ’91, nda) ma probabilmente non era il momento propizio per quel genere musicale» dichiara Zanetti in un’intervista finita nel libro Decadance Appendix nel 2012. «Malgrado non abbiano raccolto ampio successo come negli anni Novanta, nutro grande rispetto per quei due singoli e credo rientrino a pieno merito tra i brani più belli di tutta la discografia di Ice MC» aggiunge. L’eurodance ormai appartiene ad un passato che inizia ad essere remoto, e i suoi protagonisti stanno per trasformarsi in materiale revivalistico. Nel 2005 Robyx si cimenta in un pezzo house, “Wonderful Life” di Creavibe, che affida alla Ocean Trax degli amici Gianni Bini e Paolo Martini. Sono anni piuttosto difficili per il mercato discografico, letteralmente sconvolto dalla “digital storm” che azzera gli introiti legati ai tradizionali formati (dischi, CD e cassette). Il mercato generalista, a differenza di quello settoriale, è il primo a non puntare più sui prodotti fisici. Inizia la corsa alla conversione digitale dei cataloghi nella speranza che ciò possa rappresentare un paracadute ed evitare lo schianto, ma le promesse dell’MP3 non verranno mai mantenute perché non c’è stata, oggettivamente, una generazione ad aver raccolto il testimone della precedente che anziché comprare dischi ha investito denaro in file, perlomeno non nei numeri auspicati.

Ural 13 Diktators - Total Destruction
In “Total Destruction” degli Ural 13 Diktators c’è un brano che riprende la melodia di “Only You” di Savage

Nel frattempo, sotto la spinta dei fermenti underground nati all’estero, in primis nei Paesi Bassi, si prospetta una seconda vita per l’italo disco. Dalla fine degli anni Novanta è un crescendo continuo e da genere bistrattato si trasforma in un trend battuto da alcuni DJ che vantano un nutrito seguito, da I-f ad Hell passando per Felix Da Housecat e Tiga. L’italo disco diventa, insieme ad altre correnti stilistiche come new wave, eurodisco e synth pop, materiale da riconvertire per una nuova generazione. Nasce quindi l’electroclash che fa incetta di un numero abissale di musica “retroelettronica”, svecchiata e pronta a risorgere con nuova energia perché, come scrive Simon Reynolds in “Retromania”, ora il plastic pop «viene spogliato dalle connotazioni negative (usa e getta, finto) e recupera il carattere utopico di materia prima del futuro». Nel radar finisce anche la tastiera di “Only You” di Savage, ricollocata in un inedito scenario dai finnici Ural 13 Diktators nella loro “Name Of The Game” (dall’album “Total Destruction”, Forte Records, 2000). Ancora più d’impatto la Vectron Mix dell’anno dopo messa a punto dal compianto Christian Morgenstern sotto le sembianze di The Bikini Machine, accompagnata da un video immerso nel mondo ad 8 bit dei vecchi videogiochi arcade. Ad innamorarsene è anche Gigi D’Agostino che la inserisce nel primo volume della compilation “Il Grande Viaggio Di Gigi D’Agostino”.

Savage - Twothousandnine
“Twothousandnine” riporta Savage all’istintività degli esordi

Così come accaduto ad Alexander Robotnick, Fred Ventura e ai N.O.I.A., di cui parliamo rispettivamente qui, qui e qui, anche Savage è destinato a tornare a splendere di luce propria in una specie di cortocircuito cronologico col presente sempre più intriso di passato e ciò avviene nel 2009 col brano “Twothousandnine”, dedicato alla figlia Matilde e solcato su 12″ dall’etichetta olandese I Venti d’Azzurro Records. In copertina c’è Zanetti bambino: “Twothousandnine” è fondamentalmente un ritorno alla giovinezza, alla spontaneità e all’istintività dei suoi primi lavori, sotto la campata dell’italo più romantica e malinconica. Il disco è già diventato un cimelio ambito per i collezionisti ed è sulla stessa strada il CD edito dalla DWA. Corrono ancora i tempi di MySpace, l’epoca dei social network è alle porte, il mondo sta cambiando velocemente pelle, quello della musica in modo radicale. La tecnologia mette nelle condizioni di poter approntare brani anche nelle camerette con strumenti dai costi più che abbordabili, tanti giovani provano a fare il salto. Tra quelli anche la venticinquenne Elisa Gaiotto alias Eliza G in cui Zanetti crede producendo “Summer Lie” in cui si ritrova parte del mood di “It’s A Rainy Day”. Passando per le cover di “The Rhythm Of The Night” e “Think About The Way” approntate dai britannici Frisco e quella di “Please Don’t Go” dell’italiano DJ Ross, la DWA mette in circolazione “Mad 90’s Megamix” di DJ Mad, un medley di classici (“Saturday Night”, “Please Don’t Go”, “The Rhythm Of The Night”, “Me And You”, “Think About The Way”) che alimenta la voglia di riavvolgere il nastro di una dance d’antan. Zanetti non perde di vista l’italo disco che continua a conquistare consensi sempre più ampi all’estero e, tra 2009 e 2010, ripubblica in digitale “To Miami” dei Taxi, “Magic Carillon” di Rose, “Buenas Noches” di Kamillo, e la tripletta “I’m Singing Again”, “Show Me” e “Sometimes” di Wilson Ferguson. Non mancano ovviamente i pezzi del repertorio savagiano, da “So Close” a “Good-Bye” (ricantata da Alexia nella versione dei Fourteen 14 uscita nel ’95), da “I Just Died In Your Arms” a “Don’t Leave Me”, da “Time” a “Radio”, da “Love Is Death” a “Celebrate” passando per gli evergreen, “Don’t Cry Tonight” ed “Only You”, sino ai primi tentativi di approcciare all’house music come “Volare” di Rosario E I Giaguari, piuttosto improbabile rivisitazione dell’eterna “Nel Blu, Dipinto Di Blu” di Domenico Modugno.

Savage - Love And Rain
“Love And Rain”, l’album di Savage uscito nel 2020

La DWA dei giorni nostri, tra inediti e ristampe
Nell’attività recente e contemporanea della DWA si segnala l’uscita, nel 2020, di “Love And Rain”, nuovo album di Savage di cui abbiamo dettagliatamente parlato qui. Dal disco vengono estratti diversi singoli come “I Love You”, “Where Is The Freedom”, “Italodisco” e “Lonely Night” dati in pasto ad una nutrita squadra di remixer tra cui il danese Flemming Dalum, intervistato qui. In parallelo viene sviluppato e portato a termine il progetto “Ritmo Sinfonico”, rilettura in chiave orchestrale delle hit dell’etichetta. La costante spinta al recupero di materiale del passato non si esaurisce: sono migliaia ormai le label sparse per il mondo a dedicarsi al reissue, pratica supportata anche dalle giovani generazioni che oggi possono scoprire musiche ed artisti dimenticati con estrema facilità ed immediatezza rispetto alle precedenti che invece non potevano contare su un mezzo potente come internet. Ad onor del vero, la DWA sonda il terreno già nel 1999, anno in cui pubblica circa una decina di dischi contrassegnati dalla sigla CL (ossia CL-assic): ci sono i primi Savage ma anche Stargo, Ice MC e Pianonegro. A distanza di poco più di un ventennio l’etichetta torna dunque ad investire sul proprio passato, mandando in (ri)stampa “Tonight” di Savage e gli album più rappresentativi del proprio repertorio (“Ice’ N’ Green” e “Cinema” di Ice MC, “The Rhythm Of The Night” di Corona, “We All Need Love” dei Double You, “Fan Club” di Alexia) che fanno felici gli irriducibili di un genere rimasto impresso a fuoco nella memoria di un’intera generazione, quello stesso genere a cui Zanetti ha dato credibilità sul fronte internazionale lasciando un’impronta indelebile con la sua inesauribile capacità di suggestionare e rapire l’attenzione di chi ascolta.

La testimonianza di Roberto Zanetti

Cosa o chi ti torna in mente pensando ai primi mesi di attività della DWA?
Senza dubbio Ice MC. Avevo voglia di creare una mia etichetta per essere immediatamente riconoscibile coi miei progetti e differenziarmi da Discomagic, il mio distributore che a quel tempo immetteva sul mercato troppi brani. Così realizzai “Easy” di Ice MC e fu immediatamente un successo incredibile in tutta Europa. Si piazzò ai primi tre posti delle classifiche ovunque ma tranne in Italia.

Perché inizialmente Ice MC venne ignorato nel nostro Paese?
Il primo album, “Cinema”, era più hip hop che dance e non partì dalle discoteche come invece capitava spesso ai miei progetti. Ho sempre realizzato canzoni maggiormente legate al pop che alla dance, ma secondo i DJ dei network nostrani erano troppo commerciali. Nel momento in cui riscuotevano successo in discoteca però entravano anche nelle programmazioni radiofoniche.

Fu la scarsa considerazione in patria a convincerti a non pubblicare su DWA “My World”, il secondo album di Ice MC?
No. Visto il successo del primo album, la Polydor tedesca volle acquisire la licenza del secondo per tutto il mondo.

Quanto costò realizzare i primi videoclip di Ice MC? Ai tempi girare il video di un pezzo dance poteva essere determinante per il successo?
In quel periodo girare un videoclip era molto costoso, mediamente la spesa andava dai cinque ai dieci milioni di lire. A volte riuscivo a contenerla grazie ai contributi delle case discografiche a cui licenziavo i brani. Nel caso di Ice MC, esistono due videoclip di “Easy”, uno realizzato a Parigi quando il pezzo era al numero uno della classifica francese, ed uno a New York fatto quando fu preso in licenza dall’americana Virgin. Ad onor del vero, credo che ai tempi il video servisse poco a lanciare il brano ma risultava comunque importante per far conoscere l’artista una volta che il pezzo era partito nelle radio.

Casablanca Recording Studio
Uno scorcio del Casablanca Recording Studio: in primo piano il mixer Trident Series 80B

La DWA gravitava intorno al suono approntato prevalentemente nel tuo Casablanca Recording Studio: come era equipaggiato e perché gli avevi dato questo nome?
Ho investito nell’allestimento dello studio di registrazione tutti i guadagni ottenuti col progetto Savage, la musica era la mia vita e volevo vivere di quello. Altri colleghi invece spesero tutto in bella vita, donne e champagne, io invece venivo da una famiglia umile ed ambivo a crearmi un lavoro per il futuro. Avevo capito che l’italo disco avrebbe avuto una scadenza e così investii le risorse economiche in uno studio. Affittai una villetta bianca in collina e per questo lo chiamai Casablanca. Ai tempi gli studi di registrazione costavano una fortuna: io spesi cento milioni di lire che nel 1985/1986 erano davvero tantissimi. Avevo un mixer Trident Series 80B, un registratore a 24 tracce Sony/MCI, i monitor Westlake e tante tastiere Roland, Moog e Korg.

declinazioni tag DWA
Le quattro branch della DWA

Nei primi anni di attività alcune pubblicazioni erano marchiate da particolari sigle, DWA Underground, DWA Italiana, DWA Interface e DWA Infective: come mai? C’era forse l’intenzione di creare delle branch in base al genere musicale affrontato?
Sì esattamente, volevo differenziare l’etichetta in base al tipo di progetto. Al tempo non esisteva un genere di dance ben preciso e pertanto procedevo di volta in volta in base ad esperimenti. Ad esempio avevo già creato, a fine anni Ottanta, il fenomeno della “house demenziale” (con dischi come “Volare” di Rosario E I Giaguari e “The Party” di Rubix, nda), non destinato alla DWA ma utile per pagare un po’ di debiti contratti per l’allestimento dello studio.

Esisteva una ragione anche dietro le varie declinazioni grafiche che si sono succedute nel corso del tempo come il centrino carioca, quello fiorato e quello su fondo blu che rimase in uso per un triennio?
No, nessun motivo in particolare. Erano semplicemente il marchio e i colori che si adeguavano ai tempi.

Nel primo lustro di attività la DWA è stata operativa anche sul fronte licenze: c’è qualche pezzo importato dall’estero che ha tradito le tue aspettative?
Non davo molta importanza alle licenze, preferivo piuttosto investire sui miei progetti ma talvolta i pezzi presi oltralpe facevano comodo per le compilation. Nel caso di DJ Bobo, ad esempio, ascoltai il demo al Midem di Cannes e lo presi per tutti i Paesi in cui era ancora libero ma purtroppo il nome stesso “Bobo” era un po’ penalizzante in alcuni mercati. Per CB Milton invece, feci un favore ad un partner straniero che pubblicava le mie cose e con cui ci scambiavamo i rispettivi progetti.

Il mancato supporto di Albertino, probabilmente all’apice della sua popolarità radiofonica tra ’93 e ’94, ha forse pregiudicato l’esito di licenze potenzialmente forti proprio come quelle di DJ Bobo e CB Milton?
Le radio dance erano molto importanti e potevano far decollare un progetto se lo spingevano. Alla fine degli anni Ottanta l’emittente più di tendenza era 105, poi arrivò Radio DeeJay con Albertino che però non ha mai supportato i miei brani sin dalla loro uscita, per lui erano troppo commerciali. Forse la colpa era anche di Dario Usuelli, ai tempi responsabile della programmazione in Via Massena. DJ Bobo era un successo in tutta Europa ed avrebbe potuto esserlo anche qui da noi ma forse, come dicevo prima, era il suo nome a remare contro. In Francia, ad esempio, “bobo” significa “stupido”.

Alexia e Ice MC (1994)
Alexia ed Ice MC in una foto del 1994

In quello stesso periodo Ice MC viene affiancato da una ballerina tedesca, Jasmine, nonostante a cantare nei brani fossero prima Simone Jackson e poi Alexia. Come mai decidesti di ricorrere ad un personaggio immagine, analogamente a quanto avvenne per Corona?
Era una consuetudine abbinare ai progetti da studio dei frontman/frontwoman che avessero una buona presenza scenica nelle apparizioni televisive e negli spettacoli in discoteca. Simone Jackson stava iniziando già la sua strada da solista mentre Alessia Aquilani era bravissima come cantante ma non aveva ancora maturato sufficiente esperienza nei live. Così iniziammo la promozione con Jasmine ma poi, quando esplose il successo di “Think About The Way”, chiamammo pure Alessia per alcune performance pubbliche. Devo ammettere che fu bravissima a crearsi un’immagine e ad imparare a ballare, tanto che poco tempo dopo decisi di produrla per un disco solista con cui divenne la Alexia che tutti conosciamo.

Ritieni che le “controfigure mute” che caratterizzarono prima l’italo disco e poi l’eurodance fossero strettamente necessarie? Secondo più di qualcuno fu proprio la pratica dei cosiddetti “ghost singer” (non solo italiana, si pensi all’eclatante caso dei Milli Vanilli prodotti dal tedesco Frank Farian) ad aver svilito l’immagine dei cantanti dance facendoli passare per personaggi artefatti e privi di ogni talento, insinuando e alimentando ulteriormente i pregiudizi nel grande pubblico.
All’inizio dell’italo disco c’erano ben pochi cantanti e quindi i produttori si ritrovarono costretti ad usare la stessa voce per un mucchio di progetti. Quando questi ultimi iniziavano a funzionare però, serviva un volto che andasse in tv e quindi tornava comodo assoldare fotomodelli e ballerine che impersonassero l’artista. C’erano cantanti, come ad esempio Silver Pozzoli, che prestavano la propria voce ad un sacco di progetti immessi sul mercato con vari nomi. In qualche caso alcuni contavano persino su più immagini simultanee: in Spagna, ad esempio si ricorreva al fotomodello tizio mentre in Germania appariva il ballerino caio. Lo riconosco, era una pratica un po’ spudorata. Gli artisti veri che cantavano realmente le proprie canzoni però erano davvero pochissimi e questo sicuramente non giocò a favore dell’italo disco, ma anche all’estero facevano la stessa cosa, proprio come i Milli Vanilli menzionati prima e peraltro ancora attivi, in playback naturalmente, nonostante uno dei due volti pubblici del gruppo, Rob Pilatus, sia deceduto nel 1998. Analogamente altre band come Bad Boys Blue, Joy o Boney M. hanno cambiato tutti o quasi i membri originali ma continuano a vivere attraverso live con performer nuovi e più giovani.

A partire dal 1995 hai ridotto sensibilmente il numero delle pubblicazioni ed azzerato del tutto le licenze. Rispetto a molti competitor in fase di netta espansione, avevi forse intuito con lungimiranza che per le etichette indipendenti preservare dimensioni aziendali più piccole, a distanza di qualche anno, si sarebbe rivelato un pro e non un contro?
Io sono sempre stato più “produttore” che “discografico”, volevo avere pieno controllo sui miei progetti e pertanto non mi sono volutamente ingrandito come hanno fatto altri anzi, quando mi era possibile stringevo accordi per delegare promozione e distribuzione così come avvenne con la Sony per Alexia. Alcuni miei colleghi si ritrovarono a dover pubblicare un sacco di pezzi per mantenere il fatturato e pagare gli stipendi delle decine di dipendenti che avevano assunto. Come ho già dichiarato in altre interviste (inclusa una finita in Decadance Appendix nel 2012, nda), mi rammarica il fatto che in Italia non siano state create strutture indipendenti importanti. Saremmo stati fortissimi se ci fossimo uniti in un’unica label ed avremmo sicuramente dominato il mondo.

In un paio di occasioni (prima tra ’91 e ’92, con l’esplosione dell’euro(techno)dance, poi tra ’96 e ’97 con la fiammata pop-gressive) ti sei ritrovato a puntare su generi strumentali che non appartengono alla tua verve creativa. Era solo un modo per seguire le tendenze in atto del mercato discografico nostrano?
Quando sei produttore, soprattutto nella dance, devi per forza seguire il mercato ed adeguarti alle sonorità del momento. Io ho sempre cercato di prendere spunti ma modificandoli per farli miei. A volte ho creato io stesso le mode, così come avvenne nel ’93 con “Take Away The Colour” di Ice MC con cui lanciai in Europa l’eurobeat misto al rap-ragga.

Fu l’invasione della cosiddetta dream progressive ad interrompere il successo (italiano) dell’eurodance che nel frangente mainstream pareva non temere rivali?
Sì, ma solo in Italia. Quando arriva un successo planetario come quello di Robert Miles è ovvio che tutto il mondo venga influenzato. Il fenomeno dream comunque è stato più italiano che internazionale, e forse da noi a determinare il successo del filone furono le miriadi di compilation commercializzate con quel nome.

In passato hai speso parole positive sulla Media Records ed anni fa Bortolotti indicò proprio te, in una mia intervista, come uno dei pochi produttori ed artisti in grado di generare successi e denaro con continuità. Sebbene sia stata proprio la Media Records a licenziare in Italia la “Please Don’t Go” dei K.W.S., hai mai pensato di trasformare questa vicendevole ammirazione e rispetto in una collaborazione, analogamente a quanto fatto nel 2004 con la Time di Giacomo Maiolini per rilanciare Ice MC?
In Italia non è facile collaborare perché i discografici citati, ma anche tutti gli altri, hanno un grosso ego ed ognuno vede le cose alla sua maniera. Tutti i miei successi sono nati perché io non davo ascolto a nessuno e facevo di istinto quello che mi veniva in mente, a volte sbagliando, altre creando le hit che conosciamo. Se avessi ascoltato i pareri degli altri non avrei fatto nulla. Sono sempre stato un “solitario” nei miei progetti. Nel ’98, ad esempio, un discografico della Jive mi fece ascoltare un demo di “…Baby One More Time” di Britney Spears chiedendomi se avessi voglia di collaborare con loro e con la Disney ma rifiutai perché stavo lavorando ai pezzi di Alexia che, nel contempo, stava crescendo e volevo dedicarmi solo a lei.

In un’intervista di oltre un decennio fa mi dicesti che una delle ragioni per cui l’Italia non è più sulla mappa della dance internazionale, tranne poche eccezioni, è la mancanza di umiltà. «Negli anni Novanta i francesi si facevano produrre i pezzi da noi, poi hanno imparato a farlo (copiandoci) ed oggi lo fanno meglio perché rispettano i ruoli: esiste il discografico, il produttore, il manager e l’autore, non come da noi che vogliamo fare tutto e male» affermasti, aggiungendo che «se ci fossimo organizzati come gli inglesi, gli svedesi e i francesi saremmo sicuramente i primi produttori al mondo perché abbiamo una creatività esagerata, invece siamo scarsamente considerati dalla grossa industria discografica mondiale e purtroppo oggi, senza multinazionali che investono in promozione, è molto difficile farsi notare ed emergere». Credi che negli ultimi dieci anni la situazione sia cambiata? Hanno ancora ragione di esistere le etichette indipendenti? E quanto conta fare scouting?
Gli italiani sono degli “arrangioni” nel senso che hanno sviluppato l’arte e la capacità di arrangiarsi. Quando hanno un briciolo di successo si mettono in proprio e si gestiscono da soli anche in quei campi dove non hanno alcuna esperienza o talento. Quando un cantante diventa famoso vuole decidere tutto da solo, vuole fare l’autore, il manager, il produttore… ed ecco che quindi perde la freschezza che lo aveva fatto emergere all’inizio. Cantanti popolari come Zucchero, Renato Zero o Ligabue fanno dischi carini ma non forti come all’inizio perché vogliono gestire tutto in autonomia. Se c’è di mezzo un produttore, desiderano che faccia solo ciò che decidono loro. Non esistono più produttori “con le palle”, capaci di prendere per mano l’artista ed aiutarlo a creare un progetto intorno. Forse negli ultimi anni è tutto peggiorato ulteriormente perché le case discografiche sono diventate distributori, non hanno più personale che possa aiutare a sviluppare la parte creativa della musica. Le etichette indipendenti potrebbero assumere un ruolo importante in tal senso e preparare l’artista al grande salto, ma purtroppo quelle storiche sono fin troppo orientate al business. In circolazione ci sono un sacco di artisti validi ma non trovano alcuno sbocco perché non esiste più un vero e proprio scouting. Pure le multinazionali oggi si affidano solo ai contest. Inoltre se adesso vuoi scritturare un artista sconosciuto, ti si avvicina un avvocato del settore pronto a presentarti un contratto pari a quello che un tempo avevano solo le star. Nessun produttore indipendente potrebbe accettare di sottoscriverlo. Questo fa capire come si sia praticamente estinto il concetto di gavetta. Una volta portavi un pezzo a Lombardoni della Discomagic e ti dava settecento lire a copia, poi aumentavano a mille, milledue e, man mano che cresceva il successo salivano le royalties e così guadagnavano tutti. Io forse non pagavo royalties altissime ai miei artisti ma investivo molti più soldi rispetto alle multinazionali. Ricordo, ad esempio, il video di “Uh La La La” di Alexia girato a Miami che costò cento milioni di lire, tutti interamente sborsati dalla DWA. Poi gli artisti mi ringraziavano perché diventavano famosi e guadagnavano tantissimo dai concerti.

Negli anni Novanta a decretare il successo di tanti dischi dance prodotti dalle etichette indipendenti erano le emittenti radiofoniche. Adesso invece? C’è ancora qualcosa o qualcuno che riesce a fare il bello e il cattivo tempo?
Come dicevo all’inizio, il successo poteva partire dalle radio ma anche dalle discoteche: talvolta i network arrivavano a certi pezzi solo quando erano già strasuonati dai DJ, e a me succedeva quasi sempre così, specialmente dopo le prime hit. I disc jockey compravano i nostri dischi a scatola chiusa perché certi di usarli per tenere la pista piena. Quando usciva un DWA c’era un fermento incredibile, talvolta stampavamo quindicimila/ventimila copie solo come prima tiratura. Oggi penso sia tutto casuale, ci sono i nuovi canali rappresentati dai social network a spingere un nome piuttosto che un altro, ma il grande successo parte ancora dal pubblico. Solo in un secondo momento arrivano la radio e la televisione. Resto dell’opinione che non sia possibile far decollare un pezzo solo in virtù di un ingente investimento economico promozionale. Esistono personaggi ricchissimi che producono musica spendendo fortune in pubblicità ma non riuscendo ad ottenere il successo che vorrebbero.

Col senno di poi, quali sono gli errori che non ricommetteresti?
Con la DWA non ci sono grandi errori di cui mi rammarico. Con questo non voglio dire di non aver fatto sbagli ma quelli fanno parte del gioco. Forse come artista, nelle vesti di Savage, avrei potuto gestirmi meglio ma ero molto inesperto e non avendo alcun produttore al seguito ho sbagliato alcune canzoni. Ad un certo punto volevo fare l’electro pop inglese ma il pubblico voleva da me ancora l’italo disco.

A distanza di oltre un ventennio la DWA è tornata a credere nelle ristampe solcando dischi, come gli album “The Rhythm Of The Night” di Corona e “Fan Club” di Alexia, che ai tempi dell’uscita originaria non commercializzò in formato vinile. Paradossalmente oggi ci sono più persone rispetto a ieri disposte ad acquistare certi titoli in un supporto ormai obsoleto per la musica pop? Si tratta forse di banale collezionismo che riduce il disco ad un gadget?
Oggi stampare un disco in vinile costa parecchio, parliamo quindi di un mercato molto di nicchia. Ho deciso di ristampare gli album originariamente apparsi solo in CD per accontentare soprattutto fan e collezionisti. Possedere un disco in vinile adesso dà una soddisfazione che non offre il file digitale. Se poi include canzoni che hanno segnato la tua adolescenza acquista ulteriore valore e rimane nel tempo.

Qual è stato il più alto fatturato della DWA?
Preferisco glissare sul discorso economico perché non potremmo utilizzare il dato per confrontarlo con altre realtà. La DWA realizzava poche compilation, veicolo primario di introiti, e il grosso del fatturato era rappresentato da licenze e royalties che arrivavano soprattutto dall’estero. La rivista Musica E Dischi stilava una classifica annuale delle etichette che avevano venduto più singoli e ricordo con orgoglio quando, tra 1993 e 1994, la DWA era prima davanti a tutte le major malgrado avesse pubblicato meno titoli rispetto ad esse. Quasi ogni disco mix che mettevamo in commercio vendeva infatti oltre trentamila/trentacinquemila copie.

Se l’italo disco non fosse collassata ed incalzata dalla house music negli ultimi anni Ottanta, la DWA sarebbe nata ugualmente?
Certo perché volevo essere autonomo nelle scelte artistiche e musicali ed avrei potuto fare ciò che volevo solo creando una mia etichetta.

E se invece la DWA fosse nata esattamente trent’anni dopo ossia nel 2019, quali artisti o brani ti sarebbe piaciuto produrre ed annoverare nel catalogo?
Sicuramente non avrei mai prodotto gli artisti che non sanno cantare ed usano l’autotune, è facile capire a chi mi riferisco. Mi piacciono tantissimo i Måneskin ma ritengo che avrebbero bisogno di canzoni più forti. Ho apprezzato anche i Melancholia provenienti dalla penultima edizione di X Factor. A livello internazionale comunque, al momento il più forte in assoluto per me resta The Weeknd.

(Giosuè Impellizzeri)

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La discollezione di Corrado Monti

02 - Monti two
Uno sguardo d’insieme sulla collezione di dischi di Corrado Monti

Qual è il primo disco che hai acquistato nella tua vita?
Risale al 1978 ed è un 45 giri di Rino Gaetano, “Gianna”, brano portato quell’anno al Festival Di Sanremo. Il primo LP invece è stato “Uprising” del mio mito Bob Marley, mentre il primo disco mix “Sweet Little Woman” di Joe Cocker, ascoltato da una cassetta del compianto Riccardo Cioni che mi faceva venire puntualmente la pelle d’oca.

L’ultimo invece?
Uno degli svariati 12″ degli Africanism usciti su Yellow Productions nei primi anni Duemila. Era il periodo in cui iniziai a scaricare musica dal web che poi masterizzavo su CD da infilare nei Pioneer CDJ-100S.

Quanti dischi conta la tua collezione?
Circa cinquemila.

Dove è collocata e come è organizzata?
Si trova nella mia casa ma ha subito almeno quattro traslochi e qualche vendita, per cui non posso certamente affermare di averla trattata benissimo. Nei primi anni Novanta inoltre, quando mi dedicai ad altri generi musicali, vendetti parte dei dischi del decennio precedente perché ipotizzai che si sarebbero trasformati solo in zavorra inutile. Per quanto riguarda l’indicizzazione, per gli anni Ottanta ho optato per l’ordine alfabetico, sia per i mix che gli LP. Tutto il materiale che va dal 1990 in poi invece è disposto per anno.

Segui particolari accorgimenti per la conservazione?
Non ho mai eseguito lavaggi o usato copertine plastificate, infatti quando mi ritrovo ad ascoltarne alcuni è un dramma, tra scricchiolii e salti della puntina. I miei dischi erano paragonabili ad “attrezzi da lavoro”, l’uso che ne facevo era intenso tra serate doppie/triple ed after hour. A volte, per ovviare a questi problemi tecnici, ci passo sopra un panno imbevuto di alcool che, evaporando, non lascia residui. Probabilmente è giunta l’ora di acquistare una delle tante macchine lavadischi disponibili sul mercato.

Ti hanno mai rubato un disco?
Fortunatamente non ho mai vissuto il furto di dischi ma è capitato di averne prestati alcuni e poi di essermene dimenticato di farmeli restituire, ma forse non erano titoli a cui tenevo particolarmente. Di certi invece, come “The House Of God” di D.H.S., ne ho due copie probabilmente perché le prime si erano irreparabilmente rigate.

03 - i dischi di Marley
Alcuni LP di Bob Marley presenti nella collezione di Monti

C’è un disco a cui tieni di più?
Indistintamente a tutti quelli di Bob Marley, perché il reggae mi scorre delle vene, ma anche agli album di gruppi come Deep Purple, The Doors, Pink Floyd e Police.

Quello che cerchi da anni e sul quale non sei ancora riuscito a mettere le mani?
Mi piacerebbe possedere “Murder Rap Trap” dei Culture Club in formato 12″ ma anche altre tracce che ascoltavo in vecchie cassette “afro” di fine anni Settanta/inizio Ottanta di cui però non sono mai riuscito a scoprire né il titolo né tantomeno gli autori. Neanche Shazam, in tempi recenti, è stato capace di aiutarmi nell’ardua identificazione. Uno di quelli che ho ricercato ed acquistato invece è “Up All Night” di Claudja Barry, del 1982. Come accennavo prima, ho venduto alcuni dischi che consideravo ormai inutili ma a posteriori è emerso qualche rimorso, come per “Strange” di Interfront.

Quello che regaleresti volentieri?
Nessuno direi, a meno che il riascolto dovesse far riaffiorare qualcosa davvero “indigeribile”.

04 - copertina più bella
“The Bass EP”, il disco di Corrado Monti edito dalla Sushi nel 1999

Quello con la copertina più bella?
Non ho mai comprato dischi per la copertina: seppur questa rappresentasse sicuramente uno stimolo maggiore per l’occhio, alla fine ho sempre lasciato decidere l’orecchio. Le copertine dei dischi di Fausto Papetti, ad esempio, erano particolarmente attraenti perché puntualmente dominate da bellissime donne poco vestite, ma non ne ho mai acquistato nessuno. Trovo bellissimo il retro di “Kaya” di Bob Marley & The Wailers e citerei anche quella del mio “The Bass EP”, pubblicato dalla Sushi nel 1999, che scelsi personalmente da un disegno.

Che negozi di dischi frequentavi quando hai iniziato la carriera da DJ, nel 1982?
Ero cliente assiduo di Magic Sound, un piccolissimo negozio a Pontedera: a differenza di un altro più grande che vendeva dischi patinati ma solo di musica commerciale, quel microscopico punto vendita, forse di appena venti m², era specializzato in prodotti più ricercati tra cui dischi mix destinati ai DJ che, ai tempi, erano decisamente meno di oggi. A volte andavo a Firenze da Disco Mastelloni (gestito dal compianto Roberto Bianchi intervistato in Decadance Extra, nda) o alla Galleria Del Disco. Spesso ordinavo dischi sentiti attraverso qualche cassetta o in programmi radiofonici del citato Cioni che fu il mio ispiratore, almeno sino al 1983/1984. Poi, a partire dal 1987/1988, con l’avvento della house music, cominciai a fare acquisti da Disco Più di Rimini facilitato dai preascolti incisi su cassetta: era bellissimo aspettare il pacco con la cassettina per ascoltare le nuove uscite! Negli anni Novanta, infine, ho fatto qualche puntatina al Black Market Records di Londra.

Che tipo di musica proponevi negli anni Ottanta, prima della nascita di house e techno?
Di alternativo, per noi DJ, c’erano la new wave e la cosiddetta afro, filoni però relegati a piccoli spazi all’interno di una serata. Talvolta erano gli stessi clienti a chiedere determinati titoli che, se non avevo in valigetta, cercavo ed eventualmente acquistavo qualora fossero stati di mio gradimento.

L’avvento di house e techno, in seguito, mutò in qualche modo il pubblico delle discoteche?
Il pubblico si divise presto in base alle proprie preferenze: da un lato chi cercava DJ capaci di proporre musica non trasmessa dalle radio, dall’altro chi invece si accontentava dei DJ “da zibaldone”, che mettevano le hit del momento senza particolari doti tecniche e tantomeno legate alla selezione. Fu allora che, a mio avviso, l’attività del disc jockey conobbe un’ulteriore evoluzione che passò dal semplice mettere a tempo due dischi ad una figura più artistica fatta di gusto musicale e sensibilità. È troppo facile farsi apprezzare dal pubblico proponendo solo successi o, al giorno d’oggi, fare i fenomeni con set assemblati in modo perfetto grazie alla tecnologia.

01 - Monti one
Un recente scatto di Corrado Monti insieme alla sua collezione

In una breve intervista pubblicata a marzo 1997 dalla rivista Tutto Discoteca dichiari di aver raggiunto la popolarità al Concorde di Pistoia, «arrivando al punto di realizzare poster e cartoline come un autentico divo». Ritieni che, sulle lunghe distanze, la figura del “DJ superstar” si sia rivelata un’arma a doppio taglio perché ha giocato a svantaggio delle peculiarità un tempo intrinseche al DJing stesso?
Alla fine è il mercato a decidere. Un DJ può diventare superstar grazie al grande apprezzamento del pubblico, perché dispone di mezzi e conoscenze giuste o se sa vendersi bene. Io ho vissuto un buon periodo culminato, così come raccontavo in quell’intervista di ormai venticinque anni fa, da poster e cartoline, e in virtù di ciò non me la sento di giudicare. Per un certo periodo sono stato considerato un DJ di massa, in grado di riempire le piazze, ma non essendo un animatore non ho avuto vita lunga in tal senso. Non potevo assolutamente competere coi DJ-animatori del genere pop, dal canto mio davo più peso alla tecnica e alla scelta musicale e quando arrivarono nuovi generi mi sentii decisamente più a mio agio. La nascita della figura del vocalist poi mi esonerò dal parlare al microfono ma nel contempo mi fece uscire dalla dimensione del “DJ star” che firmava autografi, cosa che avveniva specialmente nel periodo in cui suonavo al Babylon di Capannoli e mettevo musica a Radio Valdera, ascoltatissima in Toscana. Spesso erano addirittura le mamme a venire sui palchi delle feste in piazza chiedendo il poster per le figlie ed io mi imbarazzavo, forse più di loro. C’è un aneddoto che vorrei raccontare per rendere ancora meglio l’idea di quanto fossi diventato popolare: era il periodo pasquale in cui i preti facevano il giro delle case per le benedizioni. Il parroco venne anche da me e, finito il rito, mi disse: «ma io ti conosco!». Gli risposi che mi sembrava strano, in quanto erano già diversi anni che non frequentavo la chiesa o gli oratori, ma a quel punto mi interruppe: «no no, ti conosco perché nelle camere delle ragazzine al posto dei crocifissi è appeso il tuo poster!».

Hai lavorato in centinaia di discoteche dello Stivale, dall’Insomnia al Covo Di Nord Est, dal Dadarà all’Illiria passando per l’Underground City, La Villa, il Madame Claude, il Domina, il Kama Factory, il Titanic, il Palace e il Mithos, giusto per citarne alcune, nonché in eventi simbolo del clubbing nostrano come Exogroove e Syncopate. Cosa resta oggi di quell’universo multicolore e multisuono? Perché il nuovo millennio ha visto il progressivo decadimento delle discoteche (soprattutto quelle più grandi) nonostante la musica elettronica sia entrata praticamente in ogni ambito?
Non saprei rispondere adeguatamente, sto cercando di rientrare nel giro e la pandemia mi ha impedito, nell’ultimo biennio, di riaffacciarmi al nuovo universo dei locali italiani. Tanti colleghi sostengono che ormai tutto è cambiato ma sono del parere che quell’euforia tipica degli anni Novanta iniziò a svanire già nei primi anni Duemila, non è quindi un fenomeno regressivo iniziato recentemente.

05 - dischi memorabilia
Il “disco trapano”, “Children” di Robert Miles e “Are You Insible” di Amazone

Scegli tre dischi che riportano la tua memoria ad altrettanti locali in cui hai suonato, spiegandone le ragioni.
Il primo era stampato su etichetta nera e vinile bianco. Anche la copertina era priva di qualsiasi riferimento. Quando lo mettevo all’Insomnia di Ponsacco venivano spesso in consolle per capire cosa fosse (“We Have Arrived” di Mescalinum United, Planet Core Productions, 1991, nda). In verità non era niente di così speciale, solo un rumore con cassa techno sotto. Lo ribattezzai “disco trapano” perché il noise sviluppato era davvero simile a quello di un trapano in funzione;
Il secondo è “Are You Invisible” di Amazone, uscito su Nova Zembla nel 1994. Fu il primo pezzo che misi al Kama Kama e quasi tremavo per l’emozione;
Il terzo è “Children” di Robert Miles (di cui parliamo qui, nda): forse fui tra i primi a suonarlo e lo mettevo così spesso al punto che tanti iniziarono a pensare che lo avessi fatto io. Una volta un tizio mi offrì da bere al bar (forse al Madame Claude in Piazza San Babila, a Milano) perché convinto che quel pezzo fosse il mio! Per non deluderlo non gli rivelai la verità ma era talmente su di giri che forse non se lo sarebbe neanche ricordato.

Hai dato avvio alla tua carriera da produttore discografico nel 1992 con “God” di Cody J., sulla Luxus Records, che prima rimaneggiava “The House Of God” di D.H.S. sul minimalismo di una Casio VL-Tone VL-1 (“God”), poi scombinava l’hoover sound di “Dominator” degli Human Resource (“Loose Controll”) ed infine, imprevedibilmente, virava verso paradisiache soluzioni house venate di jazz in “All Right”. Cosa ricordi di questo disco?
Essendo trascorsi ormai trent’anni le memorie sono davvero vaghe. Rammento di essere andato nello studio livornese di Diego Persi Paoli e Luigi Agostini in cui c’erano un campionatore, una tastiera, un computer e un masterizzatore CD della Marantz, forse la “macchina” più all’avanguardia tra tutte. In buona sostanza il disco era frutto di un puzzle di campionamenti da collegare e mischiare, sia per “God” che “Loose Controll”. Persi Paoli era un musicista e quindi, di comune accordo, decidemmo di fare un pezzo suonato dal vivo senza uso del campionatore allo scopo di dare un po’ di “anima” al tutto con un tocco umano, e così nacque “All Right”. Tutte le tracce comunque furono realizzate a mo’ di prove, non pensavo che qualche etichetta le avrebbe potute stampate sul serio. Fu una sorpresa decisamente inaspettata e la presi per tale, difatti con una copia realizzai un orologio da parete.

06 - le produzioni discografiche
Corrado Monti e le sue produzioni discografiche uscite negli anni Novanta

Nel corso degli anni Novanta intensifichi l’attività da produttore incidendo per etichette come Acid Milano, S.O.B., Tuscania Movement, Sushi (una delle label dell’American Records di cui parliamo qui) e Tabloid Trance, oltre a remixare “Everybody” di Ensaime per la Signal del gruppo Media Records. Consideri l’attività discografica un’appendice di quella da DJ? Sono due ruoli che possono viaggiare in parallelo oppure bisognerebbe fare un distinguo netto, perché saper far ballare il pubblico non equivale ad essere un asso in studio e viceversa?
Sono sincero: io e la tecnologia abitiamo da sempre su mondi differenti. I pezzi del mio repertorio nacquero da mie idee ma vennero sviluppati, di volta in volta, da chi sapeva usare le macchine in studio (come spiegato in questo ampio approfondimento, nda). Ritengo comunque che il DJing e l’attività discografica possano procedere di pari passo, non a caso ci sono personaggi diventati DJ solo perché hanno inciso produzioni importanti e, al contrario, ottimi DJ che invece hanno inciso pochissimo o proprio nulla. Adesso, per chi è sconosciuto e non ha alle spalle un background solido o un locale-vetrina, forse quello di buttarsi a capofitto nel mondo delle produzioni è l’unico modo per tentare di emergere dall’anonimato.

Quanto contava, ai tempi, affiancare al DJing l’attività in studio di registrazione? Essere ingaggiato da etichette discografiche di successo poteva fungere da volano per la propria carriera?
Certamente. Incidere un disco che superasse un certo numero di copie vendute dava senza ombra di dubbio uno slancio alla carriera e spesso riusciva persino ad aprire le porte dell’estero.

The Moab
Il disco di The Moab edito da Looking Forward nel ’93

Nel 1993, per la Looking Forward del gruppo LED Records guidato da Luigi Stanga intervistato qui, realizzi “Overtribe” di The Moab in coppia con Joy Kitikonti. Secondo i crediti, il concept fu di Marco Mottoi, a firmarlo per la SIAE invece fu Francesco Farfa. Fu quindi un lavoro di gruppo?
Il “conceived” riportato sul centrino fu oggetto di un qui pro quo: il disco avrebbe dovuto raccogliere anche una traccia tribale di un mio carissimo amico sardo, Marco Mottoi per l’appunto, ma alla fine quel pezzo fu escluso dalla stampa. Poiché le grafiche erano state già approntate, fu deciso di lasciarle così. Farfa (intervistato qui, nda) invece firmò i pezzi in SIAE perché, banalmente, né io né tantomeno Joy e Marco eravamo iscritti.

L’anno seguente, sempre con Kitikonti intervistato qui, remixi “I’m In Heaven” di Candice destinato ancora alla Looking Forward. Ci sono brani sui quali ti sarebbe piaciuto mettere le mani o produrre in quel periodo?
Non ho dubbi, in quei memorabili anni mi sarebbe piaciuto essere l’artefice di “Children” di Robert Miles, un successo planetario.

Hai mai remixato o composto musica con l’unico fine di proporla nelle tue serate senza pubblicarla in modo ufficiale?
Sì, seppur abbia iniziato piuttosto in ritardo rispetto ad altri colleghi, intorno ai primi anni Duemila quando andai a vivere in Sardegna e l’amico Marco Mottoi installò Reason sul mio PC. Con quel software realizzai qualche demo che poi suonai durante le serate.

L’ultimo tassello della tua carriera discografica risale al 2002, anno in cui la Presslab Records di Omar Neri pubblica “She Loves Sunshine” di Moody Mas. Hai accantonato l’attività in studio per qualche particolare ragione?
Fondamentalmente mollai perché mi trasferii in Sardegna, intenzionato a rimanerci per il resto della vita. Poi le vicissitudini mi hanno riportato in Toscana ma ormai avevo perso i contatti con amici e studi di registrazione. In seguito la morte di mia mamma e la nascita di mio figlio mi allontanarono del tutto dal mondo delle produzioni, volevo dedicarmi solo alla famiglia. Colgo però l’occasione per annunciare un possibile ritorno discografico in un futuro non lontano.

Escludendo il profilo tecnico soggetto ad ovvi upgrade, quanto e come è cambiato il DJing negli ultimi due decenni? Te la senti di fare previsioni sul prossimo futuro?
Io vengo dalla generazione che ha visto nascere i giradischi con la regolazione dei giri, quando iniziai avevo due Lenco con la rotella. Poi, per due decenni, non cambiò quasi nulla, sino all’avvento dei CDJ, seguiti dal “finto vinile” collegato al PC e dagli MP3. È stato tutto talmente veloce che non sono stato in grado di stare al passo coi tempi e sono rimasto al primo scalino, quello dei CDJ. Non nego che andare a suonare con una chiavetta USB sia decisamente meno faticoso e più pratico rispetto agli ingombranti e pesanti flight case ma in questo quadro manca tutta la poesia e il fascino che avevano i dischi, insieme alla memoria fotografica legata alla copertina o all’etichetta centrale. Adesso si fa davvero fatica a ricordarsi titoli ed autori, escono migliaia di tracce ogni settimana e fare ricerche è oggettivamente assai complicato. Futuro? Visti i tempi che viviamo spero solo ci sia la salute.

Estrai dalla tua collezione dieci dischi a cui sei particolarmente legato.

The Police - Reggatta De BlancThe Police – Reggatta De Blanc
Un LP del 1979 che include vari brani di reggae bianco. Tra i miei preferiti “The Bed’s Too Big Without You”, l’arcinota “Message In A Bottle” e “Walking On The Moon” trainata da quel bassone ed atmosfere dark, un pezzo che mi faceva venire i brividi e continua a farmi impazzire ancora adesso.

Sugarhill Gang - Rapper's DelightSugarhill Gang – Rapper’s Delight
Ancora un pezzo risalente alla fine degli anni Settanta. “Rapper’s Delight” è stato il 45 giri che accese in me la passione per l’hip hop che ascolto regolarmente ancora oggi. Ai tempi del liceo facevo francese così cercai qualche amico che, studiando invece la lingua inglese, potesse scrivermi il testo. Lo imparai a memoria senza conoscerne il significato, tranne qualche parola. Quando lo mettevo in discoteca spesso mi armavo di microfono e lo rappavo dal vivo. Nonostante siano trascorsi più di quarant’anni me lo ricordo ancora.

Pink Floyd - The WallPink Floyd – The Wall
Conoscevo già i dischi precedenti della band ma questo è irresistibile. Quando capita di ascoltarlo mi viene la pelle d’oca e certamente non a caso ne possiedo due copie. Rimasi affascinato dal fatto che tutti i brani della tracklist fossero legati tra loro con varie storie all’interno, come un’unica traccia. All’epoca vidi anche il film (“The Wall”, diretto nel 1982 da Alan Parker, nda) ed infatti appena arrivò eMule, una ventina di anni fa circa, uno dei primi file che scaricai fu proprio quello. Possiedo anche il 7″ di “Another Brick In The Wall” che suonavo in discoteca negli anni Ottanta perché in quella versione partiva con la cassa, soprattutto a fine serata nel cosiddetto “momento revival”, e con quello non rischiavo mai di deludere il pubblico. Mi piace tutto di quel disco, il basso, la chitarra, il cantato, i cori… e poi inevitabilmente nella mia memoria riappaiono le scene del film.

Tangerine Dream - ExitTangerine Dream – Exit
Grazie ai Tangerine Dream, nei primi anni Ottanta, partì il mio amore per la musica elettronica, spronato tanto da melodie ed armonie quanto dai suoni spaziali. “Exit” fu il primo LP che comprai della band fondata da Edgar Froese, Conrad Schnitzler e Klaus Schulze. Alcuni brani racchiusi all’interno, come “Choronzon” e l’omonimo “Exit”, li mettevo quando suonavo il sabato pomeriggio al Paco ma sul finire della serata, per i pochi afecionados ed amanti della cosiddetta “afro”. Curiosità: ad aprire il disco era la traccia intitolata “Kiew Mission” che sembra scritta oggi. La citazione dei vari continenti nasceva per scongiurare la minaccia nucleare che si temeva durante la Guerra Fredda. Gli stessi timori continuiamo a provarli ancora adesso, purtroppo.

Yellowman - Nobody Move Nobody Get HurtYellowman – Nobody Move Nobody Get Hurt
Un LP che mi fece scoprire ed appassionare al raggamuffin e che ho cercato a lungo dopo aver ascoltato alcune tracce di esso in una cassetta afro, probabilmente di TBC. In seguito ho ampliato la conoscenza ed ho acquistato altri album del giamaicano Winston Foster alias Yellowman che si prestavano perfettamente al DJing perché essendo incisi a 33 giri potevano essere suonati a 45. Aumentandone la velocità, i pezzi risultavano più accattivanti e funzionavano meglio in pista.

The Cure - Standing On A BeachThe Cure – Standing On A Beach
Uscita nel 1986, questa è una raccolta dei singoli più venduti durante la prima decade della carriera dei Cure. Menzione particolare per “A Forest”, uno dei miei brani preferiti da sempre, che peraltro mi ha ispirato nella produzione di una traccia contenuta nel mio “Triaxis” su Acid Milano ossia la Nocturnal Vibe In After Version. I Cure rientravano nella rosa di quelle band rock, new wave e punk, come Cult, Siouxsie & The Banshees, Smiths, U2 o Clash, a cui ricorrevo a fine serata per far pogare il pubblico, specialmente quello composto dai più scalmanati. La pista si apriva, la gente si metteva in cerchio ed apparivano i dark seguiti dai punk, ed era il finimondo.

Bruce & Bongo - GeilBruce & Bongo ‎- Geil
Un mix che comprai quasi per scommessa dopo uno scherzoso battibecco nato nel sopraccitato Magic Sound di Pontedera con un altro DJ e i titolari dello stesso negozio che ne dicevano peste e corna. Non che a me piacesse così tanto ma ero convinto che avrebbe funzionato alla grande. Alla fine la pista mi ha dato ragione e la stessa cosa avvenne anche per un singolo di Spagna, forse “Easy Lady”. Nessuno dei due ha conquistato il mio gusto personale ma non nego che servivano entrambi per riempire la pista.

Frankie Knuckles - Your LoveFrankie Knuckles – Your Love
Mi risulta difficile non citare Knuckles con uno dei brani che hanno fatto parte della mia carriera da DJ. “Your Love” mi piaceva perché era trasversale tra house ed elettronica, e fu il disco che usavo maggiormente per iniziare la serata dopo il preascolto. Da lì in poi partivo con l’house ma anche con la new beat e le prime cose techno che arrivavano in Europa. Mi è sempre piaciuto mescolare i vari generi, chiaramente lì dove la situazione lo permetteva, ed infatti nel corso degli anni Novanta amavo propormi sia in serate house che techno. Questo giovò non poco alle mie finanze, visto che non relegarmi esclusivamente ad un filone musicale mi diede la possibilità di moltiplicare il numero delle serate mensili.

Jaydee - Plastic DreamsJaydee – Plastic Dreams
Un altro disco che ho sfruttato davvero tanto è stato “Plastic Dreams” (di cui parliamo qui, nda). Lo amavo per le atmosfere che riusciva a creare e forse, inconsciamente, anche perché la tastiera suonata in quel modo mi ricordava il tocco di Ray Manzarek dei Doors, altra band a me particolarmente cara, col suo mitico Vox Continental.

Massive Attack - ProtectionMassive Attack ‎- Protection
Intorno alla metà degli anni Novanta si affacciò un nuovo genere musicale che mi investì come un tir in discesa senza freni, il trip hop. Rimasi ammaliato dai Portishead e da Tricky ma a stregarmi letteralmente furono i Massive Attack, prima con “Protection” e poi con “Mezzanine”. Quando abitavo a Milano andai ad un loro concerto che è rimasto indelebilmente impresso nella mia memoria. Da allora mi hanno accompagnato nei pre e nei post serate, la loro musica mi svuotava la mente e mi rilassava le orecchie. Da “Protection” e “Mezzanine”, tra l’altro, ho preso alcuni spunti che ho inserito in un paio di tracce del mio “The Bass EP”: campionai “Weather Storm” e “Dissolved Girl” rispettivamente per “Mental Bass” e “Massive Bass”.

(Giosuè Impellizzeri)

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Cocodance – Angels Of Love (Maxi Records)

Claudio con medaglione Cocodance (1992)
Claudio Coccoluto in una foto del 1991. Appeso al collo il medaglione che reca il suo nickname, Cocodance

Italia, 1991: la sbornia “piano house” ormai è alle spalle, il fenomeno si sgonfia e lascia spazio ad altre tendenze, in primis la rave techno che arriva dai Paesi nordeuropei e riesce a tenere banco per un biennio circa con uso/abuso di ritmiche breakbeat ed un profluvio di suoni hoover declinati in ogni salsa, anche delle peggiori. La house music nostrana imbocca pertanto nuove direzioni, prevalentemente legate al suono newyorkese e londinese. Al minor flusso di asperità ritmiche, tipiche della prima ondata chicagoana, segue una mitigante vena ambientale che, ad onor del vero, già emerge nel 1989 grazie a “Sueño Latino” del progetto omonimo ma che adesso non rappresenta più un caso isolato ma piuttosto una vera e propria corrente aggregativa. Probabilmente per la scarsità di voci madrelingua che possano garantire un’appetibilità sul fronte internazionale senza incappare nelle evidenti tare di memoria italo disco, i produttori italiani optano in prevalenza per soluzioni strumentali, con ritmiche comprese fra i 120 e i 125 bpm, organi, bassi profondi, pad spirituali e qualche campionamento vocale, e riescono a ritagliarsi un posto attraverso un segmento ai tempi definito, per convenzione, “underground”. L’italo house dei primi anni Novanta riflette una semplicità naturale ed è priva di artifici, drammaticità e tensione. Segue piuttosto un ordine geometrico degli elementi che restituisce all’ascoltatore un senso di appagamento e pace. Uno stile romanticamente intenso insomma, “precisionista”, prendendo in prestito un termine dal mondo dell’arte, in virtù della nitida chiarezza con cui si esprime.

Tra il 1989 e il 1991 debuttano etichette come le milanesi Oversky Records e Palmares Records, la napoletana UMM – Underground Music Movement, la bresciana Heartbeat (a cui abbiamo dedicato qui una monografia), le emiliane Antima Records e Calypso, la romagnola MBG International Records, la fiorentina Interactive Test e la romana Male Records a cui fanno seguito altre ancora come la Creative, la No Name Records e la Vibraphone Records e dozzine di brani, come “Alone” di Don Carlos, “I Need You” di Nikita Warren, “Kiss Me (Don’t Be Afraid)” di Love Quartet o “Sexitivity” di M.C.J. di cui parliamo rispettivamente qui, qui, qui e qui, che appartengono ad una corrente italica dalle caratteristiche ben precise. È la maniera con cui gli houseofili dello Stivale trovano una nuova identità e riescono a collocarsi nel mercato discografico senza scopiazzare troppo ciò che avviene oltralpe, seppur non sia affatto facile resistere alle influenze delle infinite novità che si rincorrono. Di quell’enorme repertorio italo house poi si perdono le tracce. Assuefatti dalla staffetta delle tendenze all’apparenza interminabili, i DJ degli anni Novanta guardano prevalentemente avanti e poco indietro, contrariamente a quanto avviene allo scoccare del Duemila, quando si innesca il riavvolgimento del nastro. Sotto effetto di una rincorsa oggi al limite del parossismo un numero crescente di disc jockey, produttori e semplici amatori si lancia, coadiuvato da mezzi un tempo inesistenti come Discogs, YouTube ed eBay, nella (ri)scoperta del passato che fu. I risultati ormai sono sotto gli occhi di tutti, tangibili attraverso un numero imprecisato di ristampe, di nuovi dischi che “suonano vecchi” e raccolte antologiche e riepilogative, come “Ciao Italia, Generazioni Underground” di cui parliamo qui.

Il 1991 resta dunque un anno cardine per quel fermento passato alla storia come “underground”, «termine non legato alla classificazione sterile e restrittiva di un genere musicale bensì ad un’attitudine e ad una visione globale della comunicazione, dove è importante il tipo di prodotto musicale ed artistico ma fondamentale risulta lo spirito col quale lo si produce e lo si diffonde», come spiega Ralf in uno speciale apparso sulla rivista Tutto Disco a novembre 1992. In quell’occasione prende parola anche Ricky Montanari che parla dei primi anni Novanta come il momento in cui si inizia a prendere coscienza di un sound che non sia più la solita “pianata all’italiana” in stile Black Box, 49ers o FPI Project, volgarizzata all’estero come “spaghetti house”: «la ricerca e l’esplorazione di nuove vie compositive si fa più libera ma bisogna attendere il 1991 per la maturazione completa di questa scena. Il 1991 infatti è l’anno in cui quasi tutte le etichette indipendenti capiscono che sia giunto il momento di scovare qualcosa di nuovo». È proprio del 1991 “Angels Of Love”, tra i primissimi lavori discografici ufficiali di Claudio Coccoluto, ex fonico per alcune radio locali che approda in discoteca motivato dalla passione per la musica e il piacere di far ballare la gente. «La mia prima vera serata fu all’Histeria di Roma, nel 1985» dichiara in un’intervista dell’ottobre 1996. «Per lungo tempo ho lavorato al seguito di Marco Trani e con l’avvento della house music le occasioni di lavoro si sono moltiplicate ed ho avuto l’occasione di suonare nei rave più famosi che hanno accresciuto la mia popolarità».

prime produzioni
“For What Is It To Love?” dei Life (’87) e “Free Flight” di Two Men Out And One Inside (’90), attraverso cui Coccoluto entra nel mondo discografico

Affiancato dall’amico fraterno Trani, nel 1990 Coccoluto realizza “Free Flight” di Two Men Out And One Inside per la P.P.P. Records, il primo disco partorito esclusivamente dalle sue idee. Il viaggio creativo era già iniziato anni prima ma tutte le bozze dilettantistiche finivano puntualmente nel cestino filtrate da una forte autocritica. Tuttavia nel 1987, nelle vesti di Cocco Dance, il DJ partecipa a “For What Is It To Love?” dei Life, una band di Formia stilisticamente poco italiana, più legata al rock d’oltremanica di gruppi come Talk Talk, Spandau Ballet o Duran Duran. «In realtà la prima cosa nostra su cui Claudio mise le mani fu il brano “Secret Memories”, pubblicato nel 1986 ed incluso nella compilation “Live At The Blue Angel”» precisa Stefano De Blasio, batterista dei Life contattato per l’occasione. «Il ricordo del suo magistrale lavoro col campionatore su voci e cori è ancora nitido, nonostante siano trascorsi oltre trentacinque anni». Il campionatore a cui fa cenno il musicista è un E-mu Emulator II acquistato nel 1984 per ben 17.000 dollari. Come lo stesso Coccoluto svela qui «costava quanto una macchina e lo pagai a cambiali, al tempo in Italia lo avevano in tre, Lucio Battisti, Pino Daniele e lo sconosciuto Claudio Coccoluto. Quando mio padre scoprì quanto costava quella che lui chiamava “la pianola”, a casa mia successe una tragedia». Ai Life dunque, band nata nella provincia di Latina, è legato il debutto discografico di Coccoluto. «Avevo messo su il gruppo col cantante Alessandro Lucci e il bassista Roberto Vellucci» prosegue De Blasio. «Eravamo tutti beatlesiani convinti ma la passione per la new wave e il cosiddetto new romantic ci fece seguire un percorso diverso, col supporto del produttore Nando Coppeto. Tramite amici comuni arrivammo a Claudio, ancora residente a Gaeta, che ascoltò i nostri pezzi e si propose per elaborarne delle parti in un modo diverso dal solito. Era giovanissimo ma si capiva già che aveva tanto talento».

Claudio Coccoluto e Dr. Felix (dal profilo FB di Erasmo Coccoluto)
Claudio Coccoluto e Dr. Felix in una foto scattata nella seconda metà degli anni Ottanta e tratta dal profilo Facebook di Erasmo Coccoluto, padre dello stesso Claudio. Alle loro spalle si intravede, sotto un Roland Octapad Pad-8, il costoso campionatore E-mu Emulator II

Il citato “Free Flight” del 1990, che porta a Coccoluto più soddisfazioni personali che economiche, è una sorta di spartiacque. Da quel momento il mondo della house music, in continuo divenire, gli riserverà più di qualche sorpresa. Nel ’91 rispolvera il vecchio nickname che perde una C e diventa Cocodance e co-produce un pezzo col tastierista Vincenzo Rispo. «Ci incontravamo spesso nel negozio di strumenti musicali in cui lavoravo, Musicalcentro, a Cassino» racconta oggi Rispo. «Da musicista ed esperto di hi-tech, gli facevo consulenza sulle nuove tecnologie e quel classico rapporto tra commesso e cliente si trasformò in una bella amicizia. Studiavo pianoforte e mi stavo preparando agli esami per il quinto anno, ma sono sempre stato un appassionato di musica elettronica e fin da piccolo “smanettavo” con sintetizzatori Moog e batterie elettroniche». A differenza di altri professionisti provenienti da ambiti accademici che in quel periodo non riservano commenti entusiastici e giudizi positivi sulla nuova dance che si diffonde in modo sempre più capillare, Rispo non nutre avversione per le moderne forme di composizione: «Ritengo che l’house music abbia permesso a tanti di inventare cose nuove, utilizzando mezzi diversi dai tradizionali come i computer Atari e i vari sequencer installati, offrendo la possibilità di proporsi anche a chi non aveva studiato musica e non sapeva leggere il pentagramma. Io stesso, alla fine degli anni Settanta, comprai un piano elettrico Rhodes e mi divertivo con una drum bass a creare linee melodiche. In seguito programmai dei groove da usare con fini dimostrativi per vendere strumenti musicali».

foto promozionale
Una foto promozionale scattata presumibilmente a New York quando la Maxi Records pubblica “Angels Of Love” di Cocodance

Torniamo a Cocodance: «”Angels Of Love” venne depositata presso la SIAE con 24/24 a mio nome poiché integralmente frutto del mio ingegno» spiega Rispo. «Iniziai a creare il pezzo da zero alla fine del 1990, dal riff di batteria passando per il basso e il sax, era tutta opera mia. Una volta terminato lo feci sentire a Dino Lenny, all’epoca sotto contratto con la Flying Records, che mi propose di portare il demo a un responsabile della casa discografica. Seguii il consiglio e andammo a Napoli ma quando quella persona lo ascoltò disse testualmente “aro stà o piezz?” e ci liquidò dicendoci che non fosse una cosa vendibile. In quel momento terminò la “collaborazione”, se così vogliamo chiamarla, con Lenny. Successivamente parlai con Claudio e gli feci ascoltare ciò che avevo creato. Con mio grande stupore mi disse: “caro Enzo, questo è un pezzo underground puro, se ti fa piacere possiamo lavorarci insieme e poi penserò io a proporlo a qualcuno”. Mi invitò addirittura ad entrare in una società che in quel momento stava creando col citato Lenny, Savino Martinez e Ciro Sasso. Attratto dall’idea, ci organizzammo presso casa mia, all’interno di un garage, per approntare il brano. Sostenni gli esami SIAE e quando giunse il momento di depositarlo, chiesi sempre a Claudio che nome dovessi dare ad esso. All’epoca stava nascendo il team degli Angels Of Love e lui mi disse che gli avrebbe fatto piacere se lo avessi chiamato col titolo che oggi conosciamo. Ricordo perfettamente il giorno in cui mi telefonò per parlarmi di un contatto che aveva negli Stati Uniti e che fosse necessario creare al più presto il master su DAT. Lavorammo insieme alacremente per circa dodici ore ed intorno alle quattro del mattino il master era finalmente pronto. Quello stesso giorno prese l’aereo e partì per New York. Alla casa discografica piacque e poco tempo dopo uscì il 12″».

L’etichetta in questione è la Maxi Records, fondata nel 1990 da Claudia Cuseta e Kevin McHugh. La Cuseta, intraprendente e rampante ragazza newyorkese figlia di un musicista ed una arredatrice d’interni, matura esperienze alla Tommy Boy, alla Sunnyview (sulla quale appaiono i Newcleus) e alla Profile, ma come spiega in questa intervista dell’aprile 2004, fu l’amore per la dance a portarla alla creazione di una etichetta di quel tipo. «Non mi piace chiamarla house music, io amo tutti i generi di musica dance» afferma. Ed aggiunge: «Il nostro primo artista è stato Dawn Martin con “Can You Feel The Music”, un buon disco vocal, il secondo invece “Let’s Get Down / Ping Pong” prodotto da Pal Joey sotto lo pseudonimo Espresso […]. Ai tempi non c’erano molti modi per pubblicare musica di questo genere e così abbiamo sviluppato il catalogo in tale direzione. La nostra prima hit fu “Helpless (I Don’t Know What To Do Without You)” di Urbanized Featuring Silvano, prodotto dai Mood II Swing e con un remix dei Masters At Work. Raccolse parecchie licenze ma non credo abbia mai raggiunto il suo pieno potenziale. Il più grande successo della Maxi Records resta comunque “Funk Dat” di Sagat (inizialmente pubblicato come “Fuk Dat”, nda), un pezzo diventato pop in America. Fu divertente sentire alla radio un brano partito da una piccola casa discografica con un organico di appena sei persone. Iniziò a passarlo Hot 97 e non demmo molta importanza alla cosa ma le richieste proseguirono e contagiarono altre emittenti, incuriosite da quella traccia. Alla fine arrivò nella top 40 della classifica pop americana e ricevetti una chiamata da MTV che richiedeva il videoclip. Risposi che sarebbe stato pronto in una settimana e così, coinvolgendo alcuni amici che ci avrebbero permesso di realizzarlo nel più breve tempo possibile, lo girammo nel giorno più freddo dell’anno. Lo recapitammo ad MTV che il giorno dopo lo mise in programmazione, ma questo genere di cose non avviene molto spesso».

“Angels Of Love” di Cocodance non sbarca certamente su MTV ma riesce a penetrare nel substrato house più legato ai club, vendendo presumibilmente qualche migliaio di copie. «Non saprei quantificare con precisione ma, in virtù di unico fruitore dei diritti d’autore, nei primi due anni incassai somme interessanti» aggiunge a tal proposito Rispo. La versione principale, la Original Italio Mix, prende le mosse da un organo Hammond che fa il verso a quello di una hit di quell’anno, “Gipsy Woman” di Crystal Waters ma è solo una similitudine timbrica, nel pezzo di Cocodance non c’è nessuna velleità a replicare i risultati commerciali del successo prodotto dai Basement Boys anzi, quando entra il sax e poi il pianoforte si ha subito la certezza che quello non sia affatto un brano destinato alle grandi platee. Non ci sono hook da cantare ma solo un layer sonoro che trasporta verso dimensioni parallele emozionali, così come avviene del resto con tanti brani house prodotti in Italia ai tempi, ignorati sulla piazza internazionale ma trasformati in cult a distanza di qualche decennio. La Maxi Records impreziosisce il disco coi remix firmati da Ralphie Dee e il compianto Costantino “Mixmaster” Padovano (fu lui a fare da “ponte” tra Coccoluto e la Cuseta) e da Tommy Musto e Victor Simonelli. «Tecnicamente, per realizzare “Angels Of Love”, utilizzai gli strumenti che andavano per la maggiore in quel momento, quando i suoni digitali avevano sostituito quasi del tutto quelli analogici» prosegue Rispo. «Nel set up figuravano quindi una drum machine Yamaha RX7, un sintetizzatore Yamaha TX81Z per il basso, un Korg M1 per organo e sax, un campionamento di una tastiera Kurzweil per il pianoforte e string pad, ed infine un Roland D-50 per gli abbellimenti finali. Non mi ispirai a nulla di preciso, il mio desiderio era usare armonie vicine all’ambiente jazz perché in quel periodo studiavo jazz all’Accademia Uno di Roma col Maestro Ramberto Ciammarughi».

Sopra Cocodance edito dalla Maxi Records, sotto la licenza italiana su GFB, una delle etichette della Media Records

Rispetto a “Free Flight”, “Angels Of Love” raccoglie una maggiore visibilità: operando da New York, la Maxi Records è in grado di aprire interessanti varchi promozionali nonché alimentare promettenti prospettive. Curiosamente, in una specie di ping pong tra vecchio e nuovo continente, il pezzo ritorna in Italia attraverso la licenza della GFB, etichetta del gruppo Media Records, proprio lì dove Coccoluto approda poco tempo dopo, su invito di Alex Serafini, per prendere parte al progetto Heartbeat. Sul fronte compilation invece, “Angels Of Love” viene scelto da Dave Seaman per un mixato destinato al DMC e in seguito viene ripescato da Danny Tenaglia per una raccolta dedicata alla Maxi Records. I presupposti per un follow-up di Cocodance ci sono tutti ma contrariamente alle aspettative arrivano solo co-produzioni (“Move Over” di ITA Playground, “Bandit” di Mimì & Cocò), qualche remix (“Move Your Feet” dei 49ers, “Been A Long Time” di The Fog, di cui parliamo qui, “Heart – Throb (Get On Up)” di Roc & Kato, “Oye Como Va” di Tito Puente Jr. & The Latin Rhythm) e poco altro. «Ai tempi lavoravo come Maresciallo in Aeronautica Militare ed ero parecchio impegnato coi soccorsi aerei» spiega ancora Rispo, «e considerati gli orari stressanti abbandonai subito dopo aver dato corpo a “Seduction” di Urban Nation» (finito nel 1994 sulla Who’s Di Selecta?, nda).

Pochi anni più tardi Coccoluto tocca, grazie a “Belo Horizonti” realizzato insieme a Savino Martinez come The Heartists, l’apice della sua popolarità discografica, seppur il pezzo, come lui stesso racconta qui, diventa preda di sfacciate speculazioni. In un’intervista dell’ottobre 1996, giusto pochi mesi prima della pubblicazione della hit, il DJ di Cassino dispensa consigli utili ai tanti che vogliono seguire le sue orme: «Siate sempre convinti delle vostre scelte, non lasciatevi condizionare dalle mode, seguite l’istinto e la passione per la musica senza pensare troppo al lato economico e diffidate di chi mette in primo piano i propri interessi». A posteriori queste parole risulteranno profetiche proprio per quanto avviene a “Belo Horizonti”, ma quell’esperienza non scalfisce la lucidità o annienta il desiderio di vivere di musica dell’artista. «Purtroppo non ho avuto modo di seguire le varie tappe della sua carriera ma siamo rimasti cari amici» aggiunge Rispo. «Claudio mi ha sempre presentato ai tanti che incontravamo come la persona che gli aveva permesso, attraverso “Angels Of Love”, di diventare quello che tutti hanno conosciuto in seguito, e ripensare a questa cosa mi fa venire i brividi. Era una persona eccezionale, dal grande cuore e molto incline ad aiutare, nonostante in tanti lo vedessero con occhi diversi. Per me è stato un vero amico che non dimenticherò mai» conclude il musicista cassinate. (Giosuè Impellizzeri)

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Dino – Call Me (Nu-Tella Records)

Dino - Call Me

Analogamente alle carriere della maggior parte dei suoi colleghi, anche quella di Dino Lenny nasce in un periodo in cui “fare il DJ” vuol dire poco e niente giacché si tratta di una professione considerata ancora alla stregua di un hobby dopolavorista. «Non avevo grandi stimoli e il mio futuro era abbastanza incerto, studiavo ancora ma l’unica cosa a rendermi felice era la musica» racconta oggi l’artista. «Cominciai a lavorare in radio ottenendo sempre più spazio. Appartenere ad un mondo che metteva al centro la musica mi faceva sentire vivo. Col tempo imparai sempre più cose ed iniziai ad alzare il tiro cominciando a fare il DJ e, successivamente, a produrre musica. Realizzare un disco era praticamente un sogno e da quel momento non mi sono più fermato». Con l’avvento di una tecnologia economicamente più abbordabile, chi mette i dischi si cimenta anche a farli, proprio come avviene per Lenny. «Per quattro/cinque mesi all’anno suonavo in un club a Malta chiamato Axis, e fu quel posto ad avermi fornito maggiori stimoli per iniziare a fare produzioni discografiche» spiega a tal proposito. «Durante la stagione estiva facevamo il pienone con circa cinquemila persone ogni sera. Venivano un mucchio di ospiti inglesi, gente che suonava all’Haçienda di Manchester e che lavorava a Kiss FM, emittente all’apice del successo. Così iniziai a conoscere i personaggi che gravitavano nelle orbite di quei posti: tutti desideravano venire a suonare all’Axis ed io ne approfittai per chiedere ragguagli in merito agli studi di registrazione. A quel punto, di comune accordo col proprietario del locale, Chris Grech, decisi di provare a produrre qualcosa in uno di quegli studi londinesi di cui tanto mi parlarono. Abbozzai dei provini a casa di un amico, Al Stone, per poi terminarli in una sala a Camden Town, la stessa dove i Pet Shop Boys incisero “West End Girls” pochi anni prima».

1) Cocaine (1991)
“Cocaine” è il primo disco inciso da Lenny e pubblicato dalla napoletana Flying Records nel 1991

Il disco realizzato da Dino Lenny in quello studio è “Cocaine”, pubblicato nel 1991 dalla napoletana Flying Records. È un pezzo che incrocia riferimenti a Technotronic e Twenty 2 Seven abilmente “saldati” attraverso vari campionamenti (tra cui “White Storm In The Jungle” di Sandy Marton) ed un’immancabile vena pianistica. «Ad aiutarmi in studio fu Ray Roberts, tecnico del suono ma anche colui che eseguì l’assolo di Hammond» spiega. «Una volta terminato, tornai in Italia e, su suggerimento di Claudio Coccoluto, lo sottoposi all’attenzione della Flying Records. A Flavio Rossi piacque subito ma mi disse che fosse necessario ri-registrarlo nei loro studi. Non accettai, sottolineando che fossi già contento del prodotto. Si convinse e lo pubblicò, nonostante il parere opposto di Angelo Tardio: se fosse stato per lui “Cocaine” non sarebbe mai uscito su Flying Records e forse io non starei dove sono ora. Per fortuna i risultati non tardarono ad arrivare e nell’arco di poche settimane il pezzo divenne la sigla di un noto programma televisivo oltremanica, The Hitman And Her, che era l’equivalente del nostro Discoring, e la PWL, storica etichetta di Pete Waterman che in catalogo aveva artisti come Kylie Minogue, Mel & Kim, Rick Astley, Jason Donovan ed Hazell Dean, mi mise sotto contratto. Il brano funzionò tantissimo nel mainstream e c’è chi ora lo considera un classico dell’italo house seppur fosse un misto di tutto quello che funzionava ai tempi. Sull’onda emozionale di quei risultati, cominciai a fare il produttore discografico a tempo pieno».

Dopo l’uscita di “Cocaine”, Lenny realizza “Time To Change” (ispirato da “Rock The House” di Nicole McCloud) ed inizia a collaborare con regolarità con una delle etichette più in vista della Flying Records, la UMM diretta artisticamente dal citato Angelo Tardio, a cui destina varie produzioni come “Elevator EP” di Noisee Boyz, “State Of Panic” di Sonar, “Esta Buena” di S.O.P., “No More Mind Games” di B.O.D. e “Friend” di HWW, buona parte di esse realizzate insieme a Savino Martinez e Claudio Coccoluto. Con quest’ultimo dà vita pure ad “Angels Of Love” di Cocodance finito nel catalogo della newyorkese Maxi Records di Claudia Cuseta e tornato in patria attraverso la GFB del gruppo Media Records. «In realtà composi quella traccia insieme ad un amico di Cassino, Vincenzo Rispo, ma con un altro titolo» illustra Lenny. «Non potendo essere pubblicata dalla Flying Records perché troppo diversa dalle cose che Rossi e Tardio cercavano in quel momento, rischiò di restare chiusa in un cassetto. La feci ascoltare a Claudio, gli piacque e mi propose di rimaneggiarla insieme. Il risultato divenne per l’appunto “Angels Of Love”. Alla UMM invece arrivai grazie a cose più settoriali e meno commerciali di “Cocaine” come ad ad esempio “No More Mind Games” di B.O.D. la cui ristampa è attesa su Life Of Marvin, l’etichetta di Marvin & Guy e Manfredi Romano alias DJ Tennis. Nell’HWW Studio (HWW è l’acronimo di House Without Windows, nda), a Cassino, facevamo tutti un po’ di tutto. Io e Savino eravamo più presenti mentre Claudio teneva i contatti con le etichette ed era il nostro “ponte”, specialmente per le cose spiccatamente underground. Quell’interscambio continuo mi piaceva seppur non siano mancate occasioni in cui ho proceduto autonomamente perché tra i tre ero quello a cui piacevano le cose più elettroniche e a volte sentivo proprio la necessità di sfogarmi da un punto di vista artistico. Il confronto però era costante, condividevamo tutto, dall’opinione su una possibile etichetta alla scelta di una versione. Nessuno di noi era un tecnico del suono ed ammetto che, all’inizio, i pezzi non suonassero proprio bene. Contavamo soprattutto sull’istinto, sul gusto musicale e sulla conoscenza con continui paragoni e rimandi alle cose che più ci piacevano, ma fortunatamente i pezzi che sfornavamo venivano quasi sempre accettati dalle label a cui li sottoponevamo. Le mie cose però funzionavano più all’estero che in Italia ed infatti, nel 1996, decisi di trasferirmi a Londra, capii che la scena britannica fosse decisamente più vicina al mio gusto ed alla mia sensibilità».

2) Lenny, Coccoluto, Martinez (1997) + Apollo 14
Sopra Dino Lenny, Claudio Coccoluto e Savino Martinez in uno scatto/fotomontaggio del 1997, quell’anno utilizzato come logo side della Star Trax, sublabel di the dub. Sotto invece la fotografia originale che immortala gli astronauti Stuart Roosa, Alan Shepard ed Edgar Mitchell, protagonisti della missione spaziale Apollo 14 del 1971

La seconda metà degli anni Novanta è disseminata di produzioni di Lenny, di volta in volta siglate con pseudonimi diversi, da Life On Mars a Rat Attack (che apre il catalogo della Star Trax, sublabel della the dub che affonda le radici in un suono più elettronico) passando per Dog Star e Space Penguins. Altrettanto copiose quelle condivise con altri artisti come 2GDL (con Graham Gold) e White Trash (con Craig ‘Meck’ Dimech, con cui tornerà a collaborare tempo dopo), senza dimenticare il remix della hit di Coccoluto e Martinez, “Belo Horizonti” di The Heartists di cui parliamo dettagliatamente qui. «In effetti i dischi erano tanti e vari» rammenta l’artista. «“Live On Mars” di Life On Mars, ad esempio, pubblicata dalla Moonlite e contenente un remix realizzato a quattro mani con Francesco Farfa, fu una delle prime cose che feci dopo essermi trasferito nella capitale britannica e mi diede tante soddisfazioni. Da lì a breve iniziai a frequentare Craig Dimech, con cui firmai un paio di White Trash (“Acid People” e “White Trash (We Need Each Other)”, nda) e Graham Gold, speaker a Kiss FM, col quale invece produssi “Join And Pain” di 2GDL. Da un punto di vista economico andava benino ma mi accorsi presto che fare tutto da solo era difficile. Più propizie si rivelarono le collaborazioni con qualcuno che avesse una maggiore visibilità ma sia chiaro, non parlo di ghost producing bensì di reali interazioni in studio con personaggi che riuscivano a guadagnare abbastanza bene con la musica».

Nel 2002, quando ormai vive da sei anni a Londra e vanta una club hit come “I Feel Stereo” ripubblicata dalla Yoshitoshi Recordings dei Deep Dish, esce “Call Me” che Lenny firma col solo nome, così come si usa fare nel pop italiano sin dagli anni Sessanta. La base del brano è campionata da “Way You Walk” della band statunitense Papas Fritas ai tempi scioltasi, mentre la parte vocale è interpretata dallo stesso Lenny. Con “Call Me” l’artista molla momentaneamente i club ed abbraccia il pubblico mainstream ma mantenendo integra ed intatta la propria cifra stilistica. «Tentai di creare qualcosa di diverso da ciò che circolava con insistenza nel mercato e riuscii nell’impresa tornando a quelle che erano le mie abitudini negli anni Novanta ovvero lavorare maggiormente sui campionamenti» spiega. «Ai tempi collaboravo con Marco Capelli, meglio noto come Andrea Doria, e facemmo tante cose insieme che ci gratificarono parecchio come “I Feel Stereo”, inizialmente pubblicata dalla Incentive e poi licenziata dalla Yoshitoshi Recordings. Nella prima versione inserii un sample di “I Feel For You” di Chaka Khan ma non riuscendo ad avere il clearance da Prince, autore della canzone, fui costretto a risuonare la parte. Tuttavia non mancarono i problemi perché i Deep Dish, innamorati del pezzo, inserirono proprio quella versione nella compilation mixata “Global Underground 021: Moscow”. Ciò generò inevitabilmente una semi causa con cui gli avvocati di Prince chiesero il ritiro del disco dal commercio. Fortunatamente riuscimmo a spiegare che quella versione in realtà non venne mai pubblicata ufficialmente e solo a quel punto il folletto di Minneapolis si convinse ma volle firmare comunque il pezzo come autore. Dopo “I Feel Stereo” fu la volta di “Call Me”, nato da un’intuizione di Rolando Bacci che ai tempi veniva spesso a casa mia chiedendomi consigli su tante cose e col quale strinsi una bella amicizia. Fu lui a scovare il campione di “Way You Walk” dei Papas Fritas e a sovrapporlo ad un giro di string. Mi fece sentire una bozza per sapere cosa ne pensassi e, trovandola carina, gli chiesi di lasciarmela perché avrei voluto provare a svilupparla. Così andai in studio dal citato Marco (Capelli, nda), gli dissi di mettere in loop quel frammento ritmico e di aprire il microfono per registrare la parte vocale di un testo che avevo scritto per l’occasione. In quel momento occorreva dare corpo al demo ma l’intenzione era trovare qualcuno a cui farlo cantare, un turnista col timbro in stile Ian Dury o un cantante degli anni Ottanta perché il pezzo aveva quel vibe lì. Tornato a Londra feci sentire il risultato a Rolando a cui piacque molto. Iniziammo subito a cercare un cantante disposto ad interpretare la parte e, nel contempo, a contattare varie etichette potenzialmente interessate alla pubblicazione. Lo mandammo pure a Fabietto Carniel del Disco Inn che però era del parere che non fosse affatto necessario sostituire il cantato perché perfetto così, ed avanzò la proposta di farlo girare in Italia per tastare il terreno e raccogliere opinioni. Fece stampare un 10″ ed un 7″ su un’etichetta fittizia, la Nu-Tella Records, e lo spedì a tutte le radio più importanti del Paese. Radio DeeJay e RIN – Radio Italia Network cominciarono a passarlo più volte al giorno e poi si accodò Pete Tong che lo sentì proprio in Italia mentre era in auto, paragonandolo ad un pezzo dei Talking Heads e definendolo geniale. In quel momento capii di aver fatto una traccia fuori dagli schemi: per ottenerla ci volle coraggio ed incoscienza, doti che per fortuna non mi sono mai mancate. Visto il fortissimo airplay radiofonico, sorse l’esigenza di realizzare un videoclip ma il tempo a disposizione era assai risicato. A darci una grossa mano fu l’amico di vecchia data Andrea Pellizzari nelle vesti dell’ironico professore Mr. Brown con cui mi divisi la scena nella clip».

4) Lenny ai tempi di Call Me
Dino Lenny in uno degli scatti dello shooting a supporto di “Call Me”, realizzato a Ladbroke Grove, di fronte agli uffici della Wall Of Sound. L’artista è nell’abitacolo di un’auto utilizzata per i matrimoni indiani nella capitale britannica, i cosiddetti Karma Cabs.

Partito, come altre produzioni di Lenny, senza la spinta di dispendiose campagne promozionali, “Call Me” finisce con l’incuriosire etichette mainstream come la bresciana Time, l’australiana Hussle Recordings, la britannica Prolifica e la tedesca Kontor Records. Svariati pure i remix che vanno ad aggiungersi a quello iniziale dei Par-T-One (reduci dell’exploit con “I’m So Crazy”): da Santos a Boris Dlugosch e Michi Lange passando per Andrea Doria, Loose Headz e i Dub Duo (Coccoluto e Martinez). “Call Me” si impone a livello internazionale e lo stesso avviene ad un’altra produzione parallela di Lenny, “Change The World”, costruita abilmente sul sample di “Flag Day” degli Housemartins. A ciò si somma “Bucci Bag” di Andrea Doria, per cui il suo apporto risulta determinante così come lo stesso Capelli racconta in questa intervista, e il primo (e sinora unico) album, “Might”, da cui vengono estratti vari singoli come “In October”, “Lonely Man”, “Back 2 My Flat” e “King Kong Five” ispirato dall’omonimo dei Mano Negra. «Gestire il successo e gli impegni di quel periodo non fu affatto un problema per me, alle spalle avevo già una hit come “Cocaine” che mi portò a televisioni importanti e magazine blasonati. Da quel momento ero convinto di poter fare davvero tutto» afferma l’artista. «Avevo già cognizione che nella carriera musicale, specialmente quella di chi fa dance, possano esserci dei picchi alternati a momenti meno appaganti. Per tale ragione mi sono costantemente reinventato cercando di fare sempre cose differenti anche perché, di base, sono uno che si annoia molto. Inoltre ho una concezione diversa di quello che viene indicato solitamente come “successo”: a mio avviso Michael Jackson o Prince hanno avuto successo e continuano ad averlo ancora oggi, dopo la prematura morte. Il vero successo, per me, è continuare a fare questo lavoro dopo ben trentacinque anni. Ho imparato che non bisogna esaltarsi troppo quando si sta su e non demoralizzarsi invece quando si sta giù. “Might” rappresentò in pieno la parte più ironica della mia personalità, era un potpourri di testi abbastanza leggeri e divertenti e roba senza troppe pretese sin dal nome scelto per quell’avventura, Dino. Probabilmente avrei potuto continuare a sviluppare alcune sonorità in esso contenute anche negli anni a seguire ma, come dicevo prima, sono uno che si annoia assai velocemente e per sentirmi sempre coinvolto nel lavoro ho bisogno di cambiare costantemente. A conti fatti credo sia questo il mio segreto».

5) Feels Like Home
La copertina di “Feels Like Home”, brano realizzato a quattro mani con Meck

Lenny cavalca l’onda ma a modo suo, mutando progressivamente la formula. Nel 2006 realizza in tandem con Meck “Feels Like Home”, un pezzo frutto della contaminazione tra mondi diversi come quello della house, del breaks e della trance post bolla eurotrance. A fare da collante un frammento di “Don’t You Want Me”, l’intramontabile hit di Felix di cui parliamo qui nel dettaglio. Trainato da un videoclip diretto da Spike Jonze che conta sul cameo dello skater Tony Alva, il brano viene promosso a pieni voti da BBC Radio 1 e mandato in onda all’inaugurazione dello stadio di Wembley in occasione della finale FA Cup disputata tra Manchester United e Chelsea. In seguito Lenny apre il concerto di Avril Lavigne a Montreal esibendosi davanti ad un pubblico di settemila persone e scrive la colonna sonora di un episodio della serie televisiva CSI Miami. A coronare il galvanizzante periodo è “Feels Like A Prayer”, mash-up tra “Feels Like Home” e “Like A Prayer” di Madonna che gli offre la possibilità di partecipare allo Sticky & Sweet Tour della popstar americana. Seppur continui ad utilizzare per alcune produzioni il nomignolo Dino Da Cassino, è chiaro che l’artista si sia definitivamente affrancato dalla posizione dell’appassionato DJ della provincia frusinate. Restare a Cassino avrebbe fatto decollare la sua carriera in egual modo? «No, assolutamente, il percorso non sarebbe stato lo stesso» ammette senza giri di parole, aggiungendo però di non essersi mai dimenticato delle proprie origini. «Vivo a Londra da ormai venticinque anni (dove in tanti continuano a chiamarmi “Dacassino” che suona così bene) e la capitale inglese è stata determinante per conoscere tante persone che mi hanno aiutato, da Dave Lambert, A&R per etichette del calibro di Positiva, AM:PM e Strictly Rhythm, al già citato Craig Dimech con cui per l’appunto feci “Feels Like Home”, il primo pezzo con cui ho raggiunto la top 40 d’oltremanica. Londra è stata una tappa fondamentale per la mia carriera e se oggi mi sento appagato lo devo anche ad essa, oltre alla musica che mi ha salvato letteralmente la vita sotto tanti punti di vista. Adesso vivo un periodo più tranquillo e cerco di dedicarmi a cose diverse, che non sento in giro. Preferisco cambiare il sound e la visione e scommettere su novità dal dubbio esito piuttosto che seguire banalmente il treno delle tendenze già in atto. Negli ultimi anni ritengo di aver scritto alcuni dei pezzi più innovativi del mio percorso artistico come “Living In A Song”, “It’s Saturday” e “This Is A Love Song”, tutti pubblicati dalla Ellum Audio di Maceo Plex. A mio parere si potranno sentire anche in futuro e reggeranno bene il passare degli anni, in particolare “This Is A Love Song”, una sorta di punk elettronico da cui filtra la mia sensibilità più scura. Penso sia importante guardare al futuro ma con un occhio di riguardo verso il passato perché ci sono davvero tante cose che, riviste in un contesto moderno, potrebbero aiutare a creare una novità, e non mi riferisco a mash-up o incroci similari bensì a contaminazioni che preservino il mood di riferimento. Forse mai come oggi abbiamo necessità di un genere nuovo e sento che la mia missione sia quella di provare a tracciare strade inedite. Avvenne già con “Call Me” che però, non lo nascondo, fu un risultato piuttosto casuale. Adesso invece, a distanza di quasi venti anni, ho acquisito più consapevolezza e cerco di esprimermi al meglio provando a tirar fuori materiale inconsueto. Quando sviluppo o termino un brano, mi chiedo sempre se possa realmente essere utile oppure se sia la copia di qualcosa che esiste già. Non voglio alimentare la spirale di copie ed imitazioni, per questo quando qualcuno mi confida di non riuscire a suonare le mie cose sono contento perché un’affermazione di questo tipo mi fa capire di essere sulla strada giusta. Al momento sento tanta roba che non mi piace, per giunta firmata da DJ titolati. A questo punto se non riescono a suonare la mia musica per me è persino meglio. La soddisfazione più grande? Comporre un pezzo strano ma che tutti riescono a proporre. Allora significa che sei riuscito nell’impresa di generare qualcosa di veramente incredibile».

6) Dino Lenny recente
Un recente primo piano di Dino Lenny

Nonostante il nuovo millennio abbia decretato un radicale cambiamento nelle dinamiche di mercato, Dino Lenny non smette di comporre e pubblicare musica, alimentando costantemente la propria discografia e gestendo diverse etichette, la Age One Records, la Frenetica e la Fine Human Records. Quella che può essere considerata una “industrializzazione” del DJing sancisce una nuova età, slegata dalla passata e basata su parametri nuovi. «È vero, è cambiato un po’ tutto, ma io non presto molta attenzione a quello che succede in certi ambiti» dichiara l’artista. «Non sono particolarmente attivo sui social network, mi interessa lasciare cose interessanti ai posteri piuttosto che collezionare like, un fenomeno che si perde e di cui non resta nulla a differenza delle produzioni. Non mi importa quindi accrescere il numero di follower con stratagemmi informatici, seguo poco le statistiche e gli insights della mia Pagina Facebook e a dirla tutta al momento preferisco Instagram attraverso cui pubblicizzo le interviste del mio programma radiofonico, Core, legato allo stage underground del Tomorrowland. Al momento l’etichetta principale del mio pool è la Fine Human Records, su Frenetica invece convoglio le produzioni di amici che stimo (in cantiere c’è un’uscita con Daniele Baldelli, Marco Dionigi, Francesco Farfa, Miki The Dolphin e Francesco Zappalà). Voglio mantenere un rapporto col passato ma, sia ben chiaro, non sono un nostalgico. Essere nel business della musica da più di un trentennio continua a farmi sentire vivo ma, nel contempo, potrebbe legittimamente far pensare che non dovrei più essere nel giro delle discoteche, ho superato i cinquant’anni e qualcuno potrebbe invitarmi a lasciare spazio ai giovani. Comunque, sino a quando riuscirò a raccogliere soddisfazioni, non mollerò, seppur sia ben conscio che buona parte della generazione che mi ha conosciuto attraverso “Cocaine” abbia chiuso con la dance e col mondo delle discoteche». Oggi praticamente chiunque è messo nelle condizioni di poter comporre musica e pubblicarla, anche bypassando i tradizionali filtri un tempo determinati dal ruolo degli A&R delle case discografiche. In tanti sostengono che tutto ciò sia democraticamente corretto ma a pagare il prezzo più alto, alla fine, pare proprio il livello qualitativo della musica. La digitalizzazione globalizzante sta seriamente minando la credibilità del settore artistico? «Trent’anni fa per incidere un disco bisognava avere un’idea forte e convincere l’etichetta, oltre ovviamente ad allestire uno studio che era proibitivo dal punto di vista economico» sostiene Lenny. «Quello che condividevo con Claudio Coccoluto e Savino Martinez, ad esempio, costava svariate centinaia di milioni di lire. Fare musica non era per tutti ma forse era comunque sbagliato perché magari c’era chi aveva buone idee ma non i soldi per realizzarle. Ora i rischi sono assai ridotti, tutti possono comporre e pubblicare musica, anche senza il supporto di nessuna etichetta, e probabilmente è giusto che sia così. Purtroppo, in mezzo a così tanta quantità, è arduo scovare la qualità che però, è meglio rimarcarlo, esiste ancora. In virtù del mio programma radiofonico a cui facevo prima riferimento, ascolto davvero tantissima musica, forse di più rispetto a quando ero in giro per il mondo a fare il DJ perché adesso non mi limito a selezionare solo materiale ballabile. In circolazione ci sono tante cose belle di artisti di valore che però non riescono ad emergere proprio perché affossati dalla quantità di pubblicazioni quotidiane. Certi pezzi meriterebbero più attenzione ed ascolti maggiormente profondi ma ormai viviamo in un mondo veloce privo dei filtri di una volta (radio, negozi di dischi, A&R) e chi vuole cercare musica nuova è obbligato ad avventurarsi in un mare magnum in cui è difficile sia trovare che essere trovati. Purtroppo i media, e soprattutto i social network, non hanno di certo aiutato: esistono canali che vantano una visibilità incredibile ma non controbilanciata da altrettanta qualità. C’è chi usufruisce di questo sistema raccogliendo frutti ma per un periodo molto breve per poi sparire. Il mondo procede in questa direzione e la musica, al netto di ogni impeto nostalgico, ha perso credibilità. Basti ascoltare le radio per capire cosa non funzioni in questo settore. Entrare ora nel music business puntando all’originalità per me sarebbe un’impresa decisamente ardua». Ci si interroga quindi che tipo di evoluzione potrà interessare la musica elettronica ballabile nei prossimi anni e decenni. Non mancano i pessimisti che danno tutto per spacciato, liquidando qualsiasi novità che affiori come imitazione di cose già sentite. Lo stesso Dino Lenny, nel 2018, pubblica un 12″ intitolato “Techno Is Dead” (omonimo dell’album dei finnici Ural 13 Diktators risalente al 2002) che, forse, si schiera dalla parte di coloro che hanno messo sulla techno una pietra tombale perché, da genere geneticamente proiettato nel futuro, pare abbia terminato la sua rigenerazione. «Tutto è morto ma in realtà niente è morto» afferma sinteticamente l’artista. «Nella musica non esiste un inizio ed una fine, la gente continua ad andare a ballare (pandemia permettendo) e lo farà anche in futuro. La musica è una magia infinita» conclude. (Giosuè Impellizzeri)

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La discollezione di Gianni De Luise

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Una minuscola parte della collezione di dischi di Gianni De Luise. In basso si riconosce abbastanza nitidamente “Not Much Heaven” di Richie Jones Presents Uptown Express (Azuli, 1997), in alto invece si scorge, tra le altre, la copertina di un 12″ marchiato London Recordings. Da alcune costole invece affiorano “Armed And Extremely Dangerous” delle First Choice, “For The Love Of Money” di Disco Dub Band, “Satisfied (Take Me Higher)” di H2O, “Can We Live” dei Jestofunk e “Supersonic” dei Jamiroquai

Qual è stato il primo disco che hai acquistato nella tua vita?
“Live At Leeds” degli Who che comprai nel 1970, seppur seguissi la musica già da diversi anni. Ovviamente i miei preferiti erano i gruppi rock, Beatles, Rolling Stones e i primi Pink Floyd per quello che riguarda il versante britannico, Bob Dylan, Beach Boys e The Byrds su quello statunitense. Avevo sviluppato una particolare passione per gli Who, band londinese dotata di un’incredibile energia. Erano famosi per distruggere chitarre e batterie al termine dei concerti dal vivo seppur non fossero i primi a far ciò essendo stati preceduti dai Move di Birmingham. Gli Who divennero il gruppo di riferimento per il movimento dei mod che, in Gran Bretagna, si oppose frontalmente a quello dei rocker. A distinguere le due fazioni rivali era anche l’abbigliamento: ricercato per i primi, ruvido e grezzo per i secondi. A Brighton, a maggio del ’64, si registrò uno scontro tra i gruppi che colpì profondamente la società d’oltremanica. Degli Who ci terrei a menzionare anche altri due capolavori, “Tommy”, del ’69, da cui venne tratto il film omonimo diretto nel ’75 da Ken Russell, e “Quadrophenia” del ’73.

L’ultimo invece?
Risale al 2005, un bootleg dei Kraftwerk intitolato “Planet Of Visions” su Shadow Man Records, contenente la registrazione del live fatta in occasione del Coachella Music Festival il primo maggio 2004. Ero appena uscito da un terribile periodo legato ad un tumore per cui mi diedero ben poche speranze di vita, e stavo rivoluzionando completamente il mio rapporto con la musica passando dall’analogico al digitale. Oltre a trasferire tantissimo materiale dal vinile al file, mi accorsi che in circolazione iniziarono ad esserci tantissimi brani inesistenti su 12″.

Quanti dischi conta la tua collezione?
Avendo attraversato varie epoche, spazia dal rock al punk, dalla new wave alla prima elettronica con influenze jazz e sperimentali oltre ad una preponderante presenza della house. Per inventariare tutto il materiale in mio possesso mi sono avvalso del preziosissimo supporto di mio fratello e di Discogs. Al termine del lunghissimo lavoro ho potuto avere un’idea precisa sia della dimensione che del valore della raccolta. Non è gigantesca come quelle di altri DJ ed appassionati che conosco, ma decisamente di buona qualità e comprendente dischi molto rari. Ad oggi ne ho catalogati precisamente 8414 ma ne ho altri che attendono di essere classificati.

01 - disordine temporaneo
Un’altra piccola porzione della raccolta di De Luise

Come è organizzata?
Qui tocchiamo un tasto molto dolente. All’ordine offerto da Discogs fa da contraltare un notevole, ma spero momentaneo, caos causato da un recente trasloco che ha mandato completamente a monte la precedente organizzazione alfabetica e che mi ha impedito di scattare foto adeguate da usare a corredo di questa intervista. Sempre con l’aiuto di mio fratello Angelo, sto pianificando di applicare un numero progressivo a ciascun disco che corrisponda ad una cifra di registrazione su Discogs. In questo modo dovrebbe essere relativamente facile trovare il pezzo desiderato avvalendomi nel contempo di scaffali numerati.

Segui particolari procedure per la conservazione?
Purtroppo il trasloco mi ha creato parecchi problemi per permettermi un’accurata manutenzione dei dischi. Ho cercato comunque di preservarli quanto più possibile dalla polvere, di non sovrapporli in maniera sconsiderata per non fletterli, di ripararli dal caldo dei raggi solari e così via. In occasione della numerazione progressiva a cui facevo prima riferimento, vorrei effettuare un controllo ed eventuale manutenzione: questi oggetti straordinari la meritano.

Ti hanno mai rubato un disco?
Assolutamente sì e purtroppo più di uno. Nonostante sia trascorso tanto tempo, sono ancora tutti ben presenti nella mia memoria. Il primo fu un 7″ degli olandesi Shocking Blue, il celeberrimo “Venus”, che maldestramente diedi in prestito e che non mi venne mai restituito. Ovviamente lo ricomprai. Un altro fu “Do It Good”, il primo album di KC & The Sunshine Band, che sparì quando lavoravo nella prima radio privata della mia città natale, Udine. Non sono mai più riuscito a ritrovarlo se non in edizione digitale. Ricordo poi “Can’t Fake The Feeling” di Geraldine Hunt in versione 12″ acquistato a Londra che, in un momento di debolezza, prestai ad una “amica” che non si rivelò proprio tale e se lo tenne. Non mi sono mai pentito tanto come quella volta! Ce ne sono altri ancora, persi o rubati, che comunque con l’avvento del digitale ho recuperato seppur non con la stessa emozione di quando li comprai su vinile.

03 - Kraftwerk - Autobahn
La copertina di “Autobahn” dei Kraftwerk (1974)

C’è un disco a cui tieni di più?
Fondamentalmente tengo a tutti e ricordo sempre con una chiarezza cristallina dove e quando li ho ascoltati per la prima volta. Dovendone indicare proprio uno, direi “Autobahn” dei Kraftwerk, uscito nel ’74. La versione integrale della title track, col rumore delle chiavi che entrano nel cruscotto, l’accensione del motore e il viaggio lungo l’autostrada tedesca con momenti epici in cui viene simulato il traffico ed un piccolo inciso a mo’ di jodel elettronico, fu un’autentica illuminazione per me. Ho usato spesso questo pezzo come sigla dei miei programmi nei primi anni in cui facevo radio e tuttora, a distanza di decenni, “Autobahn” continua ad emozionarmi tantissimo. Quando percorro un’autostrada tedesca amo sentire in sottofondo questa gemma sonora.

Quello che ti sei pentito di aver comprato?
Non me la sento proprio di segnalare un titolo. Certamente nella mia collezione ci sono brani dal valore modesto ma ho sempre pensato che ognuno di questi supporti contenga il prodotto della creatività e dell’ingegno di qualcuno che si è messo alla prova cercando di trasformare un’idea in suoni organizzati. Quindi, alla luce di tale considerazione, provo un senso di rispetto anche verso ciò che non è riuscito bene. Tutti i dischi della raccolta sono “sangue del mio sangue” e non ne abbandonerei mai nessuno.

Quello che cerchi da anni e per il quale saresti disposto a fare una follia?
Suddivido la mia frequentazione della musica in due fasi, quella scandita dai supporti analogici e quella digitale. Non riesco ad essere un nostalgico dei “bei vecchi tempi”, quando si suonava solo coi dischi e quando è stata creata la più bella musica in assoluto, perché, in tutta franchezza, non credo sia del tutto vero. In realtà, con l’avvento del digitale, la musica è letteralmente esplosa permettendo anche a chi non aveva mezzi economici o conoscenze musicali specifiche di esprimere la propria creatività. Naturalmente non sempre i risultati sono eccellenti ma spesso escono cose notevoli. Tornando alla domanda, non credo esista una traccia che cerco da anni: se non sono riuscito a trovarla su vinile, la ho certamente rintracciata in digitale.

Quello con la copertina più bella?
Mi viene subito in mente “Sticky Fingers” dei Rolling Stones, del 1971, con una zip vera applicata alla foto dei jeans, e a seguire gli artwork terribilmente glamour dei Roxy Music. Degna di menzione è pure quella di “Crisis? What Crisis?” dei Supertramp, con un individuo smilzo che prende atipicamente la tintarella in un ambiente urbano, inquinato e degradato. Però ce ne sarebbero davvero tantissime da segnalare.

Che negozi di dischi frequentavi quando hai iniziato ad appassionarti di musica?
Vicino casa c’era un importante negozio chiamato Discotech. Correvano i primi anni Settanta e prestavo estremamente attenzione a ciò che veniva esposto in vetrina tra gli ultimi arrivi. A parte quelli di artisti giganteschi come Beatles, Rolling Stones e Pink Floyd, gli album erano un traguardo molto importante per chi faceva musica. In prevalenza uscivano singoli su 7″, i cosiddetti 45 giri, e talvolta negli album c’erano solo due o tre tracce di pregio, il resto serviva solo a riempire i lati, quindi era importante saper investire i propri soldi cercando di andare a colpo sicuro. Per fortuna era possibile fare un veloce preascolto in negozio per capire a cosa si andasse incontro. Ascoltando Radio Luxembourg sulle onde medie inoltre, mi tenevo aggiornato e solitamente sapevo già cosa acquistare. Registravo le trasmissioni serali in lingua inglese attraverso cui potevo ascoltare in grande anteprima ciò che, forse, avrei trovato qualche settimana dopo in negozio. L’atmosfera del posto, per un fanatico di musica come me, era decisamente elettrizzante.

Quanti soldi spendevi al mese in musica?
Troppi. Non ho mai vissuto di musica facendo il DJ o cose simili, facevo un lavoro serio, magari noioso, ma retribuito mensilmente e regolarmente. Allo stesso modo, mensilmente e regolarmente, cedevo alla tentazione di acquistare album che sarebbero poi diventati pietre miliari della storia della musica. Ho speso un bel po’ di soldini ma non ho rimpianti, la musica e i dischi erano e sono la mia unica passione.

Nel momento in cui hai iniziato a lavorare per Italia Network, cambiò qualcosa nel tuo rapporto coi dischi?
Non tanto nei primi tempi, quando la radio si forniva ancora da diversi negozi tra cui il mitologico Dance All Day a Gorizia, di proprietà dell’amico Paolo Barbato, luogo che peraltro ho continuato a frequentare a lungo perché lì trovavo materiale pazzesco che lo stesso Paolo mi metteva da parte a prezzi speciali. Le cose invece mutarono radicalmente nel momento in cui la Flying Records di Napoli iniziò a mandarci pacchi giornalieri contenenti decine e decine di promo.

04 - De Luise con Alone
Un recentissimo scatto di De Luise. Alle spalle uno dei dischi-cardine del suo programma radiofonico su Italia Network, “Alone” di Don Carlos

Quanti promo ricevevi mediamente in radio quando esplosero house e techno?
Penso che arrivassero almeno duecento vinili promozionali al giorno. Sasha Marvin faceva una prima selezione, insieme a Gianmarco Ceconi, Alessandro De Cillia ed altri del team. Spesso loro mi segnalavano le versioni adatte al mio programma e mi lasciavano i dischi per suonarle, ma non sempre azzeccavano. Più che il brano, cercavo la versione che avesse le sonorità più adatte a Satellite, e la maggior parte delle volte erano le dub o le strumentali a colpirmi al primo ascolto. D’altra parte lavoravo in una condizione molto speciale, solo, di sera, al buio, completamente immerso nel flusso emotivo che cercavo di creare e ciò necessitava di suoni speciali in grado di attivare emozioni o seduzioni notturne. Un dettaglio che non trascuravo mai era anche il titolo.

Durante il quinquennio 1991-1996, in cui sei al timone del programma Network Satellite poi diventato Satellite, hai mai avuto a che fare con la payola?
No, per fortuna. Ho sempre lottato con le unghie e con i denti per mettere in onda solo ed esclusivamente quello che mi sembrava giusto e che mi suggeriva il mio istinto musicale, e spessissimo erano tracce scartate dalla selezione a cui mi riferivo prima. Non nascondo di aver ricevuto pressioni per promuovere pezzi magari prodotti da chi, in qualche modo, era vicino alla radio, ma non ho mai ceduto. Sono una persona pura ed onesta e non mi sarei mai prestato ad ingannare o ad indirizzare i miei ascoltatori verso cose in cui non credevo, sarebbe stato un tradimento.

05 - le produzioni firmate Red Zone
I due 12″ di Red Zone, pubblicati tra 1995 e 1996 dalla Outlab del gruppo Many, co-prodotti da De Luise

In questa intervista del 2015 facemmo cenno alle tue (poche) produzioni discografiche firmate Red Zone, “Powerful Love” e “Gimme Fantasy” (quest’ultimo ripreso nel 2002, con successo, da Gianni Coletti nel brano omonimo). C’è un disco che ti sarebbe piaciuto produrre?
In verità ce ne sono molti e mi sarebbe piaciuto cimentarmi pure in qualche remix, ma se da un lato non vivere facendo il DJ e serate in discoteca mi ha permesso di rimanere puro ed incontaminato, dall’altro mi ha negato la possibilità di percorrere sentieri che avrei voluto intraprendere. Molto peso in ciò lo ha avuto anche il mio carattere disponibilissimo con tutti ma contemporaneamente desideroso di mantenere un’area di sicurezza intorno.

Questo recente report della RIAA evidenzia che nel 2020 lo streaming abbia detenuto (prevedibilmente) l’83% degli introiti relativi all’industria musicale statunitense mentre solo il 9% appartiene ai prodotti “fisici”. Merita attenzione però il fatto che per la prima volta, dal 1986, i ricavi provenienti dal disco in vinile abbiano oltrepassato quelli del CD. Nonostante la pandemia da covid-19 abbia messo in ginocchio le vendite al dettaglio, la soglia del disco è cresciuta del 28,7% mentre le vendite del dischetto argentato sono diminuite del 23% segnando un ulteriore e forse inesorabile declino. Alla luce di questi dati statistici, credi che in un futuro non lontano il pubblico farà essenzialmente riferimento su streaming e dischi? Il CD, lanciato dalla Sony quasi quarant’anni fa, sarà soppiantato definitivamente nonostante fosse stato annunciato come il formato più futuristico per ascoltare musica?
Ho avuto la fortuna di attraversare decenni di musica e ciò ha fatto sì che, contemporaneamente, vivessi altrettanti decenni di tecnologia. Il primo album dei Rolling Stones che ho in collezione, ad esempio, è mono (!), i primi album dei Beatles invece sono stereo ma se ascoltati in cuffia si possono sentire le voci su un canale e la musica sull’altro. Poi fu la volta dei registratori multitraccia, l’avvento di strumenti particolari come il sitar o il theremin e quindi del Moog e dei sintetizzatori, tutto in ambiente analogico col solo supporto del vinile. Da fanatico della tecnologia, ho acquistato moltissimi CD ed ho anche masterizzato il contenuto dei dischi, digitalizzandolo. Alla fine è arrivato internet: nessuno, trent’anni fa, avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo. Quando Italia Network si trasferì a Bologna lasciandomi ad Udine, non avrei mai potuto sognare di poter continuare a fare il mio Satellite ma oggi è normale avere un canale streaming su cui il mio programma vive 24 ore su 24, e sembra altrettanto normale inviare lo stesso programma a varie radio che, a loro volta, lo ritrasmettono. Tutto cambia, in continuazione e sempre a maggiore velocità. Il CD ormai fa parte della storia di ciò che è stata la diffusione della musica, ma al momento i nuovi veicoli di distribuzione musicale sono le piattaforme online (Spotify, Soundcloud, etc) e chissà cosa verrà inventato nei prossimi anni.

A differenza della tecnologia, nella musica c’è ancora spazio per una reale innovazione o dobbiamo abituarci ad interfacciarci sempre più con materiale derivativo?
Oltre al mio programma in streaming, in questo periodo curo due playlist su Spotify collaborando con l’etichetta di Andrea Pellizzari, la Villahangar. In una passo tracce soulful house, nell’altra afro house. Posso affermare senza ombra di dubbio che in queste due categorie, al momento, rientrano pezzi bellissimi e rimpiango di non avere la possibilità di trasmetterle in FM. C’è una fioritura continua di artisti: per la soulful segnalo Richard Earnshaw, Soullab, Ralf GUM e Fizzikx mentre per l’afro house, oltre al solito indomito David Morales che ha abbracciato in pieno questo filone, mi piacciono parecchio le produzioni e i remix di Norty Cotto, Da Capo, Mijangos e The Scientists Of Sound, oltre alla spettacolare voce della mia cantante preferita del momento, la sudafricana Toshi.

Per quanto concerne le programmazioni radiofoniche italiane invece, credi che qualcuno stia facendo bene nel circuito “dance” o perlomeno in quello che rimane di esso?
Ho provato più volte ad ascoltare i grandi network radiofonici ma trovo che la loro programmazione non sia degna di essere definita tale. A volte mi sembra si siano trasformati in pure casse di risonanza delle grandi case discografiche, con livello qualitativo medio basso e creatività piatta. Al contrario esistono ottime prove radiofoniche in DAB: non per piaggeria, ma ritengo eccellente e sorprendente la programmazione di RMA Altri Suoni, una radio che copre la Campania e che, tra gli altri, ospita pure il mio Network Satellite.

Come e cosa vedi nel futuro del clubbing nostrano post covid? Esisterà davvero la tanto auspicata rinascita o tutto tornerà come prima o persino peggio?
Penso che il coronavirus abbia dato la spallata definitiva al clubbing italiano che, già prima della pandemia, mostrava tutti i suoi limiti. Se ripenso alle discoteche dei primi anni Novanta mi sembra di sognare. I profondi cambiamenti generazionali e musicali, oltre ad una certa mancanza di competenza tra DJ, PR, organizzatori e selezionatori, hanno trasformato quel mondo degradandolo. Luoghi in cui era gradevole trascorrere una serata sono diventati ambienti ben poco invitanti. Penso comunque che il clubbing tornerà a vivere ma per farlo avrà decisamente bisogno di una nuova trasformazione, sia dei contesti che delle persone.

Estrai dalla tua collezione dieci dischi a cui sei particolarmente legato motivando le ragioni.

Density - EP OneDensity – EP One
Un disco importantissimo per il mio programma su Italia Network. A consegnarmelo fu l’autore in persona, Giorgio Canepa, che mi fece una sorpresa venendo a trovarmi in radio. Nell’EP ci sono quattro tracce terribilmente deep, le mie preferite sono quelle incise sul lato a, “Bass Power” e “Trig Your Base” che divenne pure la mia sigla. Risale al 1992 che, insieme al mitico 1991, è probabilmente l’anno più importante per quella che oggi viene indicata come la golden age della house italiana. A mio modesto parere, “Trig Your Base” è essenziale sia per gli appassionati del genere che per i cultori di Satellite perché, in qualche modo, identifica il mio suono. Un brano molto ispirato, con sonorità che richiamano le produzioni della canadese Hi-Bias Records ma col calore e la melodia italo house. Un piccolo capolavoro.

Umoja - UnityUmoja – Unity (Joey Negro Lust Mix)
Un viaggio, un vero viaggio. Solitamente non amo molto i cantati, preferisco la creazione musicale in sé a meno che non ci sia un testo ed una voce di livello superiore, ma se adesso riascolto “Unity” provo ancora le sensazionali emozioni che mi regalò al primo ascolto, nel lontano 1991. A produrre il pezzo furono Marshall Jefferson e Sherman Burks e le tre versioni di Joey Negro sono spettacolari, costruite su un blend che richiama i suoni disco anni Settanta ed Ottanta di cui Dave Lee è un vero e grandissimo esperto, abilmente mescolati alle tastiere del suo collaboratore dell’epoca, Andrew “Doc” Livingstone. A venirne fuori fu una cosa indescrivibile, specialmente la Lust Mix, bellissima. Rammento ancora quando mi trovai tra le mani il disco, giunto in radio in un pacco di promo. Penso di averlo trasmesso decine di volte e lo manderei in onda ancora senza riserve.

Joy Salinas - The Mystery Of Love (Joey Negro Remixes)Joy Salinas – The Mystery Of Love (Joey Negro Remixes)
Qui potrei ripetere il discorso fatto sopra per Umoja. Ribadisco che Joey Negro sia uno dei massimi esponenti della house music. Ha fatto un’infinità di pezzi e remix e sono tutti straordinari. Difficilmente ha sbagliato o inciso un lavoro mediocre, è un produttore pazzesco a tutti gli effetti. Nel caso di Joy Salinas (di cui parliamo qui, nda) la versione che adoro è la Coolout Mix, autentico miele per le mie orecchie, con una ritmica secca che non invade, un meraviglioso giro di basso e fantastici tappeti. Wow! Una traccia senza tempo e per sempre nel mio cuore. È stato amore al primo ascolto e i suoi suoni riescono ancora ad accarezzare la mia anima.

Adonte - Feel It (The Remixes)Adonte – Feel It (The Remixes)
I remix di “Feel It”, usciti nel 1991, sono tra le cose più belle che abbia mai ascoltato, lo giuro. Sono tutti ben riusciti ma il Minimal Remix firmato da Funk Master Sweat scorre dentro le vene come pura energia. La sensazione che ho provato la prima volta che ho messo sopra la puntina è stata quella di chiudere gli occhi e lasciare che il suono mi aprisse la mente per portarmi direttamente in paradiso. Essenziale per chi vuole conoscere a fondo la vera house di qualità superiore. Quando lo trasmettevo, di sera, nel buio della regia della radio illuminava di luce propria l’atmosfera spargendo puro amore nell’etere.

Closer Than Close - You've Got A Hold On MeCloser Than Close – You’ve Got A Hold On Me (Joey Negro’s Patti’s Dub Mix)
Ho già abbondantemente spiegato cosa rappresenta per me Joey Negro, il produttore che mi ha influenzato più di tutti con uno splendido suono ricavato da un miscuglio unico ottenuto con l’utilizzo magistrale della tecnologia. Il suo marchio di fabbrica sono tappeti, pad, campionamenti di piccolissimi loop, suoni tipo “colombine” con ritmica mai troppo squadrata e molto old style. Il risultato è magico proprio come questa traccia del 1992. La bellissima voce di Beverley Skeete (da lì a breve turnista per la bresciana Media Records, nda) è semplicemente sublime, in particolar modo nella Patti’s Dub Mix in cui viene utilizzata sapientemente e col giusto dosaggio. Mi spiace che duri troppo poco perché nel finale, mentre sfuma il volume, si sente la promessa di qualcosa di ancora più armonioso della parte precedente. Un pezzo magico, anch’esso giunto in radio nei tanti pacchi di promo giornalieri e subito catturato e trasmesso.

Don Carlos - AloneDon Carlos – Alone
Qui arriviamo al “culto”: si tratta forse di una delle prime tracce in assoluto che ho suonato in Satellite ma certamente l’ultima, quando la radio mollò Udine per trasferirsi a Bologna. Fu la base sulla quale, per la prima volta sulle frequenze di Italia Network e con la collaborazione del tecnico ed amico Luca Ognibene detto Ognix, salutai gli ascoltatori ricordando loro di non far mai morire i sogni. Che momento emozionante! L’apertura di “Alone” nella versione sul lato a, la Paradise, è spettacolare, con una serie di accordi che crescono fino a far arrivare, ovviamente, in paradiso. Una traccia (di cui parliamo dettagliatamente qui, con le testimonianze dell’autore, nda) per me bellissima quanto commovente, inserita da Joey Negro nella playlist della compilation “Italo House” pubblicata nel 2014 sulla sua Z Records e che ovviamente consiglio agli appassionati.

Jestofunk - I'm Gonna Love YouJestofunk – I’m Gonna Love You
La copertina è molto semplice, col nome del gruppo e il titolo su sfondo bianco, ma il disco racchiuso al suo interno è una bomba. Ho adorato “I’m Gonna Love You” all’istante. Il campionamento dell’acappella di “Don’t Make Me Wait” dei Peech Boys fu utilizzato magnificamente su un sensuale downbeat. A segnare il culmine nella Club Mix, la versione che preferisco, è un esplosivo sax mentre la voce dice “I can’t want no more!”. Provo ancora i brividi. L’ho trasmessa infinite volte in Satellite, specialmente all’inizio per creare un incredibile mood o alla fine per innescare un vuoto emozionale. Un pezzo per me essenziale quanto “Alone” di Don Carlos. Sono ancora in contatto coi Jestofunk, specialmente con Alessandro Staderini alias Blade con cui commento spesso musica e programmi radio e al quale continuo a rivolgere i miei complimenti per tutto ciò che ha fatto per la house music insieme a Francesco Farias e Claudio ‘Moz-Art’ Rispoli.

Now Now Now - ProblemNow Now Now – Problem
Durante la mia lunga frequentazione della musica e della radio ho avuto la fortuna di conoscere molto bene alcuni straordinari artisti come quelli della DFC. Gente del calibro di Davide Rizzatti ed Elvio Moratto, personaggi originali e creativi ad un incredibile livello, oltre che grandissimi musicisti. Nel 1991 proprio loro mi regalarono il promo di questo incredibile pezzo inciso su vinile bianco che oggi conservo gelosamente tra i miei oggetti culto. “Problem” è una traccia pazzesca per suoni e costruzione che ho suonato mille volte ma non prelevandola dal vinile bianco ma da una seconda copia, nera, comprata appositamente, perché temevo di rovinare la prima. La Heart Version porta in una dimensione alternativa, in un universo parallelo. Un disco imprescindibile della storia della deep house nostrana.

Red Light Featuring Tyler Watson - Who Needs EnemiesRed Light Featuring Tyler Watson – Who Needs Enemies
Tratto dal “Rhythm Formula EP” del 1991, “Who Needs Enemies” per me è commozione allo stato puro. Una delle tracce cardine non solo di Satellite ma pure della mia vita dato che mi ricorda un’avventura sentimentale molto travagliata. Un disco meraviglioso uscito sulla canadese Hi-Bias Records (e licenziato in Italia dalla GFB del gruppo Media Records, nda) a cui sono legatissimo. Una vera poesia con un arrangiamento straordinario e la voce di Tyler Watson a ricordare che “non servono nemici con amici come te”. Sagge parole. Ogni volta che la risento si riaprono finestre spazio-temporali e vengo risucchiato in momenti letteralmente indimenticabili. Altrettanto interessanti sono le altre tracce dell’EP, “Kinetix”, “And Then…” ed “Amazon Blue”. Un disco-reliquia.

Fellows - AloneFellows – Alone
Estratta da un EP intitolato “Play All Cuts Vol. 1” uscito nel 1992 sempre su Hi-Bias Records, “Alone” dei Fellows è un’altra delle mie tracce epiche dalla seduzione eterna. All’interno di questo piccolo gioiello è racchiusa tutta l’essenza della mia sensibilità musicale e, di conseguenza, l’essenza di Satellite. Un susseguirsi di note da cui risalta il basso, il piano e il vibrafono mentre in sottofondo string e pad creano una magica atmosfera. È un brano che mi mandò fuori di testa sin dal primo momento che lo ascoltai. Che potere magico che ha la musica!

(Giosuè Impellizzeri)

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Quando il remix batte l’originale

Di solito nella musica destinata alle discoteche le versioni originali restano imbattibili ma è capitato che a fare la differenza siano stati i remix, soprattutto negli anni Novanta quando tale pratica raggiunge probabilmente l’apice per esiti creativi e popolarità. A testimonianza ci sono brani noti unicamente attraverso i remix e di cui oggi è difficile recuperare le versioni originali, sepolte e dimenticate persino dagli stessi autori. L’articolo di Giosuè Impellizzeri che segue si pone il fine quindi di riassumere quanto avvenuto grazie ai remix nel decennio compreso indicativamente tra il 1990 e il 2000, sia a hit da milioni di copie che a brani dal successo più contenuto, per offrire al lettore un vero viaggio immersivo che conta oltre cento casi, in rigoroso ordine alfabetico e a cavallo dei generi più disparati, dall’eurodance alla house, dalla trance alla progressive. Non manca qualche particolare episodio in cui sarebbe più pertinente parlare di rivisitazione o dove il termine remix è stato usato in modo improprio. L’indagine evidenzia inoltre il ruolo tutt’altro che marginale rivestito dagli italiani, artefici in più di qualche sporadica occasione di autentiche hit mondiali. Il tutto senza la pretesa di essere esaustivo, probabilmente è utopico stilare una lista omnicomprensiva e per turare le falle della ricerca non è escluso che nel corso del tempo possano aggiungersi altri titoli e quindi nuove storie e testimonianze.

49ers - Baby, I'm Yours49ers – Baby, I’m Yours
La versione iniziale di “Baby, I’m Yours”, in chiave hi nrg, è pensata per essere esportata nel mercato orientale, quello a cui la Media Records destina diverse produzioni raccolte sotto il brand Media Sound For Japan. Il caso però vuole che Mario Scalambrin senta il pezzo negli studi roncadelliani e si offra spontaneamente per reinterpretarlo. A venir fuori è la versione più nota, la Van S Hard Mix (il Van è un tributo ad Armand Van Helden, la S invece sta per Scalambrin), completamente diversa da quella di partenza, col cantato di Ann-Marie Smith ridotto all’osso ed uno spingente giro di basso. «All’inizio non piacque a Bortolotti tanto che dovetti insistere parecchio per farla inserire sul 12″» racconta lo stesso Scalambrin in questa intervista. Finito alla fine del ’96 nel catalogo della Heartbeat, etichetta a cui abbiamo dedicato una monografia qui, “Baby, I’m Yours” rilancia il nome dei 49ers dopo alcuni pezzi passati inosservati soprattutto in Italia come spieghiamo qui ed apre un’elettrizzante fase per Scalambrin, A&R in carica della citata Heartbeat e da lì a breve autore (insieme a Roberto Guiotto) della versione più forte di “Gipsy Boy” di Sharada House Gang, una miscellanea tra “Hideaway” di De’Lacy e i suoni della sua reinterpretazione di “Baby, I’m Yours”.

740 Boyz - Shimmy Shake740 Boyz – Shimmy Shake
In scia alla rinnovata formula hip house in grande spolvero dopo i fasti iniziali sviluppati a Chicago, i 740 Boyz prodotti da Winston Rosa debuttano nel ’92 con “It’s Your Party”. Due anni più tardi arriva “Shimmy Shake” in stile miami bass, passato completamente inosservato. A cambiare le sorti del brano, nei primi mesi del 1995, è il remix realizzato in Italia da Costantino ‘Mixmaster’ Padovano e Ciro Sasso che lo stravolgono interamente ispirandosi in modo piuttosto palese allo stile degli Outhere Brothers, team chicagoano che in quel periodo si impone in Europa con diverse hit. Un autentico colpaccio per la Cutting Records dei fratelli Aldo ed Amado Marin che, archiviata l’electrofunk di Hashim, Imperial Brothers e Nitro Deluxe, vive una seconda giovinezza grazie ai 2 In A Room con “Wiggle It” ed altri fortunati singoli come “El Trago (The Drink)”, “Ahora! (Now!)”, “Giddy Up” e “Carnival” a cui i 740 Boyz (più avanti remixati anche da Fargetta, si senta “Party Over Here” del 1996) fanno da cornice.

Age Of Love - The Age Of LoveAge Of Love – The Age Of Love
Nel 1990 nessuno alla DiKi Records immagina cosa sarebbe diventato questo brano nel corso del tempo. Prodotto dall’italiano Bruno Sanchioni che assembla vari sample (tra cui quelli di “Native House” di MTS And RTT e “Native Love (Step By Step)” di Divine) a cui aggiunge una breve parte vocale femminile registrata ad hoc ed uno pseudo rap maschile scritto ed interpretato da un altro italiano, Giuseppe Chierchia meglio noto come Pino D’Angiò, “The Age Of Love” si trasforma in uno dei primi prototipi trance. Ai tempi della pubblicazione totalizza appena una manciata di licenze e circa duemila copie, soglia davvero risibile. La situazione si ribalta due anni più tardi quando, su iniziativa dell’etichetta britannica React, “The Age Of Love” viene remixata dall’emergente duo tedesco Jam & Spoon. La Watch Out For Stella Club Mix, come descritto in questo articolo, rimette tutto in discussione attraverso una schematizzazione diversa degli elementi di partenza che esalta il potere ipnotico dell’originale raggiungendo esiti virtuosistici inaspettati. Ad oggi è difficile stabilire con precisione quante copie siano state vendute ma, considerando la sfilza di remix e ristampe giunte sul mercato in circa un trentennio, è ipotizzabile stimarne oltre un milione.

AK Soul - FreeAK Soul – Free
Col fine di tornare al successo raccolto tra 1991 e 1993 con gli Euphoria, l’australiano Andrew Klippel si ribattezza prima Elastic e poi AK Soul. I primi tentativi sono vani ma è solo questione di tempo. Un suo pezzo intitolato “Free”, incluso nell’album omonimo in circolazione dal 1996 ed interpretato da Jocelyn Brown, stuzzica l’interesse di Joe T. Vannelli che lo prende in licenza dalla Festival Records e lo pubblica su Dream Beat prima coi remix (house) di Marco ‘Polo’ Cecere e poi con quello (eurodance) di Fargetta, particolarmente fortunato nel mainstream nostrano. Spazio anche a due reinterpretazioni dello stesso Vannelli, la Club Mix e la Corvette Mix (Corvette è il nome con cui in quegli anni il DJ sigla decine di remix tra cui quelli di “Return Of The Mack” di Mark Morrison, “Love Shine” di Rhythm Source, “Nite Life” di Kim English e “Looking At You” dei Sunscreem). Impreziosito da tutto ciò, nei primi mesi del 1998 “Free” esce dall’anonimato e vive un’ottima parabola europea a cui la Dream Beat cerca di dare un continuum attraverso i remix di un altro pezzo dell’album, “Show You Love”, ma raggiungendo inferiori risultati.

Amos - Only Saw TodayAmos – Only Saw Today
Collaboratore di vecchia data di Boy George, nella primavera del 1994 Amos Pizzey vive uno dei momenti più esaltanti della carriera. La More Protein, nata nel 1989 con “Everything Begins With An ‘E'” degli E-Zee Possee, un classico dell’acid house britannica, pubblica “Only Saw Today”, un brano house che Pizzey produce insieme ad Andronicus dei Diss-Cuss e in cui campeggia un sample di “Instant Karma!” di John Lennon. All’inizio la Murder Mix incuriosisce solo i DJ specializzati ma a mutare le sorti è il remix realizzato in Italia dal Factory Team composto per l’occasione da Fabio Serra, Mauro Farina e Johnny Di Martino che trasformano la house in eurodance, rendendo accessibile al grande pubblico ciò che invece è riservato ad una ristretta nicchia di ascoltatori. Visto il successo internazionale la versione approntata negli studi della Saifam, a Verona, viene scelta per sincronizzare il videoclip. Il Factory Team metterà mano pure ai successivi “Sweet Music” e “Let Love Shine” ma con esiti calanti.

Andreas Dorau - Girls In LoveAndreas Dorau – Girls In Love
Finito nelle classifiche nel 1981 con “Fred Vom Jupiter” realizzato quando è ancora adolescente, il musicista tedesco Andreas Dorau scrive musica per film e si interessa di video. Negli anni Novanta collabora con Tommi Eckart col quale realizza il brano “Girls In Love”. La versione originale, aperta dall’urlo preso da “Scream For Daddy” di Ish Ledesma, inclusa nell’album “70 Minuten Musik Ungeklärter Herkunft” ed accompagnata dal relativo videoclip è un’allegra canzoncina da intonare sotto la doccia. In Italia però ad avere la meglio è il remix di Wolfgang Voigt alias Grungerman. Riducendo la struttura e gli elementi al minimo indispensabile, il prolifico produttore di Colonia, co-fondatore della nota Kompakt, ottiene una traccia meno pop e scanzonata che però riesce incredibilmente a fare crossover tra le discoteche specializzate e le radio. Autentico collante tra la compassata griglia ritmica e le strofe in lingua tedesca è il ritornello, in inglese, ricavato da “Girl’s In Love” di Shirley Kim del ’78 e reinterpretato da Inga Humpe, che qualche anno più tardi forma col citato Eckart il duo 2raumwohnung. A pubblicare in Italia i remix di “Girls In Love” (ma escludendo la versione originale) è la PRG del gruppo Expanded Music. Parti del remix di “Girls In Love” si ritroveranno in un pezzo prodotto nella nostra penisola che, tra la fine del 1997 e il primi mesi del 1998, si afferma sulla piazza internazionale, “Repeated Love” di A.T.G.O.C., acronimo di A Thousand Girls One Condom.

Ayla - AylaAyla – Ayla
Praticamente sconosciuto in Italia ma non nel nord Europa dove vende svariate migliaia di copie, “Ayla” è il brano con cui, nel 1996, il tedesco Ingo Kunzi, già noto come DJ Tandu, inaugura un nuovo corso della sua carriera da produttore. Edita dalla Maddog del gruppo Intercord, la versione originale della traccia plana su incantati pad a cui si sovrappone, in progressione, una melodia di pianoforte. Poi arriva l’onda acida della TB-303 che si infrange portando schegge taglienti ed arroventate. A fare la differenza nelle classifiche è però il remix di Ralph Armand Beck alias Taucher in cui viene sviluppata una linea melodica più marcata che garantisce un’incredibile longevità ulteriormente riverberata dal remake di Kosmonova giunto nel 1997. A cimentarsi in un rifacimento è pure l’italiano Luca Moretti in “Ayla” su Italian Style Production, firmato come Sunrise nel 1998. Alla luce del successo ottenuto, Kunzi produrrà “Ayla Part II” avvalendosi del supporto di Taucher e dell’inseparabile Torsten Stenzel intervistato qui.

Azzido Da Bass - Dooms NightAzzido Da Bass – Dooms Night
Nel 1999 è la Club Tools del gruppo Edel a pubblicare il brano con cui il tedesco Ingo Martens materializza il progetto Azzido Da Bass. La Club Mix, prodotta ed arrangiata con Stevo Wilcken, è trance assemblata senza particolari doti creative e che rasenta la banalità per stesura e scelta di suoni (basso in levare, cassa con riverbero, accenni acid, melodia monocorde ed un sample estorto ad una hit di quell’anno, “Flat Beat” di Mr. Oizo). Tra i remix commissionati e pubblicati in seguito però ce n’è uno che cambia tutto, quello di Timo Maas (affiancato da Andy Bolleshon e Martin Buttrich), che trasforma Azzido Da Bass in una star internazionale con una soglia stimata di circa un milione di copie vendute. «Il primo remix che realizzammo di “Dooms Night” fu rifiutato dalla Edel perché all’interno non c’era nessun elemento tratto della traccia originale» racconta Maas in questa intervista. «Riprovammo usando solo il basso e dopo circa quattro ore il secondo remix, quello che oggi tutti conoscono, era pronto. Il primo lo riciclammo qualche tempo dopo e divenne la mia “Ubik”». Una cosa simile avviene anche in Italia giusto un paio di anni prima: il remix di “Back To The 70’s” di Carl si trasforma in “Disco Fever” di Carl Feat. Music Mind, così come lo stesso Fanini svela qui.

Basic Connection - Hablame LunaBasic Connection – Hablame Luna
Corre il 1996 quando la No Colors, etichetta del gruppo F.M.A., pubblica il 12″ di debutto di Basic Connection. Ad armeggiare dietro le quinte del progetto è il compositore e musicista Mauro Tondini, uno dei Tipinifini scritturati da Claudio Cecchetto per la sua Ibiza Records nel 1985, affiancato dalla vocalist Daniela Gorgoni. Il brano si intitola “Faithless (Hablame Luna)” ed è quasi interamente strumentale. L’Original Mix gira su un intensivo arpeggio che pare tributare “Where The Street Have No Name” degli U2 (proprio quell’anno ripreso in “Landslide” dagli Harmonix, sull’esempio offerto dall’australiano Mystic Force nel brano omonimo del ’94 a cui si ispirano pure Mario Più e Mauro Picotto per “No Name” nel ’97) mentre la Progressive Mix si adagia sull’annunciata formula progressive con tanto di graffiate acide che nel ’96 tiene banco in Italia spodestando l’eurodance nella sua forma più classica. “Faithless (Hablame Luna)” si perde nel marasma delle produzioni simili piombate quell’anno ma tutto cambia nell’autunno del 1997 quando riappare in una nuova versione, questa volta sviluppata sulla song structure ed intitolata “Hablame Luna”. Ridotta la componente progressive in favore di quella pop, il pezzo esplode in tutta Europa, trainato dal relativo videoclip in heavy rotation su MTV. Sul 12″ c’è pure il remix firmato da uno dei guru della house statunitense, Todd Terry, forse pensato per introdurre i Basic Connection in una scena parallela a quella pop ma in questo caso non determinante per il successo come invece avvenuto in altre occasioni.

Billie Ray Martin - Your Loving ArmsBillie Ray Martin – Your Loving Arms
A produrre “Your Loving Arms”, estratto come primo singolo da “Deadline For My Memories”, sono i Grid (quelli di “Texas Cowboys”) e il musicista David Harrow alias James Hardway. È proprio quest’ultimo ad approntare la base su cui la cantante, ex componente degli Electribe 101, scrive il testo. «Conservo ancora la cassetta su cui Hardway incise il demo, sopra c’era scritto “little techno demo”» racconta Billie Ray Martin in questa intervista. La versione più nota però non è l’Original, con arrangiamenti tangenti l’eurodance, bensì la Soundfactory Vocal realizzata da Junior Vasquez, che fa di “Your Loving Arms” una hit mondiale da circa due milioni di copie. «Non scelsi Vasquez personalmente ma fui entusiasta del suo lavoro» prosegue l’artista. «Senza il suo intervento il disco non sarebbe diventato quello che è stato».

Black Connection - Give Me RhythmBlack Connection – Give Me Rhythm
Black Connection è il progetto dietro cui operano i DJ capitolini Corrado Rizza e Gino ‘Woody’ Bianchi affiancati dal musicista Domenico Scuteri. Il nome sottolinea l’amore che gli autori nutrono per il funk, il soul e la musica black in generale. Nel 1997 realizzano, per la loro Lemon Records, il brano “Rhythm”, in cui figurano vari campioni vocali e ritmici presi dal mondo del philly sound. Quando Alex Gold dell’Xtravaganza Recordings si mostra interessato a licenziare il brano nel Regno Unito i tre decidono però di apportare delle modifiche e chiedono ad Orlando Johnson di scrivere un testo e cantarlo col fine di dare al risultato finale un’impronta più pop. Dopo queste variazioni la traccia viene reintitolata “Give Me Rhythm” ed affidata ai Full Intention che realizzano un nuovo remix che va ad affiancare quello di Victor Simonelli già presente sulla prima tiratura. A quel punto, come Corrado Rizza racconta in questo articolo, «il pezzo entrò nella classifica britannica e venne suonato da tutte le radio. Pete Tong lo inserì nella sua raccolta annuale, “Essential Selection – Spring 1998” e finì in tante altre compilation come quella del tour australiano del Ministry Of Sound e quella dello Space di Ibiza. Nei club dell’isla blanca divenne una vera hit! In Italia lo cedemmo alla VCI Recordings, divisione dance della Virgin che si fece avanti dopo il clamore suscitato oltremanica». Per i Black Connection, dunque, si rivela propizia la scelta di far cantare il brano ed è simile la sorte di altri pezzi commercializzati in forma strumentale ma diventati successi con la versione cantata, da “Needin’ You” di David Morales/The Face ad “Horny” di Mousse T., da “Right On!” dei Silicone Soul a “Da Hype” di Junior Jack passando per “Hindu Lover” di Djaimin, “Groovejet” di Spiller e “Jambe Myth” degli Starchaser.

Blackwood - Ride On The RhythmBlackwood – Ride On The Rhythm
Attivo sin dal 1992 ma più noto all’estero che in Italia, il progetto Blackwood si impone anche in patria alla fine del 1996 con “Ride On The Rhythm”. Scritto ed interpretato dalla vocalist americana Taborah Adams e prodotto da Toni Verde e Sandro Murru, il brano non sortisce grandi risultati con la prima tornata di remix tra cui quello di Marascia scopiazzato dal trattamento dei Deep Dish su “Hideaway” dei De’Lacy. Va diversamente però quando arriva la versione di Alex Natale, composta sulla falsariga del remix realizzato pochi mesi prima per “What Goes Around Comes Around” di Bob Marley, usata per il videoclip e cruciale per il successo. Il momento è galvanizzante per l’etichetta romana A&D Music And Vision che per un biennio circa continuerà a scommettere su Blackwood ed altri progetti complementari come Chase e Gate.

Blast - Crayzy ManBlast – Crayzy Man
Partiti nel 1993 col poco noto “Take You Right”, i siculi Blast (Fabio Fiorentino, Roberto Masi e il cantante Vito De Canzio alias V.D.C.) si impongono a livello internazionale l’anno dopo con “Crayzy Man”, oggetto di numerose licenze estere, Regno Unito e Stati Uniti inclusi. Sul 12″ edito dalla napoletana UMM la versione originale del brano, la Club On Blast, finisce sul lato b. A prevalere è il remix realizzato dai Fathers Of Sound (Gianni Bini e Fulvio Perniola) che traina il pezzo dalle discoteche specializzate alle classifiche radiofoniche e di vendita. «Con la loro versione chiamata F.O.S. In Progress i Fathers Of Sound stravolsero l’originale dotandola di sonorità più aperte e tipiche della house internazionale» afferma De Canzio in questa intervista qualche anno fa. «Riuscirono a valorizzare ulteriormente le nostre idee portando il brano ad un livello superiore, facendolo uscire dai confini della house da club traghettandolo nel mondo commerciale (nel senso positivo del termine), con un appeal vendibile e radiofonico». A supporto di “Crayzy Man” è pure il video girato al cretto di Burri e sincronizzato sulla F.O.S. In Progress. Saranno sempre i Fathers Of Sound a mettere mano al follow-up, “Princes Of The Night” mentre a “Sex And Infidelity” del ’95 ci penseranno gli svedesi StoneBridge e Nick Nice e i Ti.Pi.Cal. che, come i Blast, sono originari dell’isola della trinacria.

Bloodhound Gang - The Bad TouchBloodhound Gang – The Bad Touch
Corrono i primi mesi del 2000 quando la band indie rock statunitense Bloodhound Gang si ritrova proiettata inaspettatamente nell’eurodance. Ciò avviene attraverso il remix di un brano estratto dal terzo album “Hooray For Boobies”, pubblicato nel ’99 dalla Geffen e in circolazione attraverso un ironico videoclip. A dirla tutta la versione originale mostra già propaggini ballabili ma il trattamento riservato ad essa dagli Eiffel 65, ovviamente sullo schema di “Blue (Da Ba Dee)”, ne amplifica la portata sino a farne un classico proposto ancora oggi a distanza di oltre vent’anni. Per Lobina, Ponte e Randone è un momento magico sancito da decine di remix e dall’uscita del loro primo album, “Europop”, per cui pare la Universal abbia sborsato 500.000 dollari per assicurarsi i diritti.

Bob Marley - What Goes Around Comes AroundBob Marley – What Goes Around Comes Around
Così come riportato nelle note del 12″ e del CD su JAD Records, le parti vocali di “What Goes Around Comes Around” vengono registrate in Jamaica nel 1967 ma restano nel cassetto sino al 1996, anno in cui sul mercato arrivano diverse versioni come quelle di Fabian Cooke e di Christopher Troy e Zack Harmon. A fare la differenza però, senza timore di smentita, è quella realizzata in Italia da Alex Natale (affiancato da Alex Baraldi con cui l’anno dopo mette mano a “Oh What A Life”, un inedito di Gloria Gaynor), diventata una hit estiva. A pubblicare da noi “What Goes Around Comes Around” è la Dance Factory del gruppo EMI che, parimenti alla JAD Records, sottolinea l’inedicità del pezzo apponendo la dicitura “previously unreleased” in copertina. Natale e Baraldi ci riprovano l’anno seguente ritoccando “Fallin’ In & Out Of Love” ma non riuscendo nel difficile compito di eguagliare i risultati. Va meglio invece a “Sun Is Shining”, riconfezionata nel 1999 dal danese Funkstar De Luxe. Ps: tra la fine del 1996 e l’inizio del ’97 un altro protagonista del reggae finisce in classifica con un remix, il giamaicano Jimmy Cliff. A curare la nuova versione di “Breakout” sono i fratelli Visnadi.

Bobby Brown - Two Can Play That GameBobby Brown – Two Can Play That Game
Ex componente dei New Edition, Bobby Brown si costruisce una solida carriera solista sin dal 1986, anno in cui debutta con “Girlfriend”. Svariati i successi incisi nel corso del tempo tra cui “My Prerogative” (remixato da Joe T. Vannelli), “Every Little Step”, “Something In Common”, duettando con la moglie Whitney Houston, e “Two Can Play That Game”, presente nella tracklist del suo quarto album, “Bobby”, uscito nel 1992. Il remix che consegna il brano r&b alla storia però arriva due anni dopo ed è firmato dai britannici K-Klass, abili nel ricostruire la tessitura ritmica in cui trova ricollocazione la voce di Brown. Il videoclip, programmatissimo da MTV, funge da propellente per la diffusione del pezzo finito nella top ten dei singoli più venduti nei Paesi Bassi e nella top twenty nel Regno Unito. In Italia il disco giunge nel 1995 grazie alla ZAC Records su licenza MCA. Negli advertising pubblicitari l’artista viene definito, con non poca esagerazione ed immodestia, “il re della dance music”.

B-Zet - Everlasting PicturesB-Zet – Everlasting Pictures
All’anagrafe è Steffen Britzke ma il mondo della musica lo conosce come B-Zet. Artefice, insieme a Matthias Hoffmann, Ralf Hildenbeutel e Sven Väth, di progetti come Mosaic, Odyssee Of Noises e They, il tedesco veste i panni di B-Zet dal 1993, anno in cui pubblica il primo album da solista, “Archaic Modulation”. I suoi interessi primari risiedono nella trance e nell’ambient, i due filoni entro cui si inscrive il brano “Everlasting Pictures (The Way I See)”, incluso nel secondo album intitolato “When I See…” e in cui si apprezza una breve parte cantata da Darlesia Cearcy. Nella tracklist dell’LP edito da Eye Q esiste una seconda versione, “Everlasting Pictures (Right Through Infinity)”, con maggiori concessioni al downtempo ed alla song structure. Nell’autunno del 1995 a decretare la fortuna di Britzke, riconosciuto come straordinario tastierista, è proprio uno dei remix di “Everlasting Pictures – Right Through Infinity”. A firmarlo sono StoneBridge e Nick Nice che continuano a riciclare la formula utilizzata per un altro epocale remix di cui si parlerà più avanti, quello di “Show Me Love” di Robin S.

Cappella - U Got 2 Let The MusicCappella – U Got 2 Let The Music
Quello dei Cappella è un caso non legato propriamente a un remix bensì a una reinterpretazione di un pezzo preesistente. Tutto ha inizio nel 1992 quando la Aries Records pubblica “Let The Music” di Legend, un brano eurodance costruito sul riff preso da “Sounds Like A Melody” degli Alphaville e un frammento vocale di “Let The Music Take Control” dei J.M. Silk. A produrlo è Pierre Feroldi, DJ bresciano particolarmente prolifico allora, seppur sulla white label promozionale, si dice limitata a una tiratura di poche decine di copie, non vengano riportate molte informazioni. Nell’autunno dell’anno dopo la rielaborazione del brano riappare sulla Media Records diventando la hit planetaria dei Cappella. «Due transfughi della Media Records tentarono di mettersi in proprio fondando una nuova etichetta, la Aries, ma si ritrovarono in seria difficoltà pochi mesi dopo essersene andati» racconta Gianfranco Bortolotti in questa intervista del 2015. «Pentiti della loro fuga, mi pregarono di aiutarli e salvarli dal fallimento così affidai il compito a Vicky, la figlia del mio socio Diego Leoni, di gestire quell’azienda mentre chiudevamo i rapporti coi fornitori e i creditori e valutavamo il prodotto ereditato. Tra i brani che avevano realizzato ne scovai uno che mi colpì e, seppur i miei collaboratori più stretti mi criticarono a lungo convinti che l’idea non avrebbe sortito buoni risultati, decisi che quello dovesse essere il punto di partenza per il follow-up di “U Got 2 Know” dei Cappella. Così, dopo circa quindici/venti rimaneggiamenti, trovai la soluzione, il mixaggio adeguato, l’alchimia giusta e fu un massacro, top in tutto il mondo». Delle tantissime versioni di “U Got 2 Let The Music” approntate negli studi a Roncadelle, la KM 1972 Mix di Pagany è quella più nota ed efficace. Analogamente a Cappella, anche altri brani trovano fortuna attraverso rielaborazioni: si segnalano “Technotronic” di The Pro 24’s da cui nasce “Pump Up The Jam” dei Technotronic, “Babe Babe” di Joy & Joyce e “Try Me Out” di Lee Marrow, diventati rispettivamente “Baby Baby” e “Try Me Out” di Corona, “Don’t You Worry” di Caminita Feat. Lorena Haarkur ricostruito per generare “Don’t Worry” di Clutch e “Get Together” di DJ-@K Floyd Presents Spotlight Avenue trasformata in “Move Your Feet” di Jack Floyd (parliamo dettagliatamente di entrambe qui e qui), “Future Love” di Brahama premiata quando diventa “Future Woman (Future Love)” di Brahama / Rockets e “Mutation” di Pivot convertita, ma pare senza alcun intervento, nella Stromboli Mix di “Sicilia…You Got It!” firmata Tony H.

Ce Ce Peniston - FinallyCe Ce Peniston – Finally
Quando il produttore Manny Lehman sente la voce della Peniston in alcuni brani di Overweight Pooch chiede al DJ Felipe Delgado, che pare avesse spronato l’amica cantante a collaborare con la rapper, di preparare un pezzo ad hoc per lei. A sua volta Delgado interpella un amico, Rodney Jackson, ed insieme approntano la versione originale di “Finally”. Per la A&M Records è un successo quasi istantaneo, la canzone entra nella Hot 100 di Billboard rimanendoci per ben 33 settimane e raggiungendo la quinta posizione il 18 gennaio 1992. A supporto giunge un remix che porta la giovane nativa di Dayton, in Ohio, a sfiorare la vetta della classifica di vendita dei singoli nel Regno Unito. Artefice è David Morales, l’anno prima all’opera su “Deep In My Heart” dei nostri Club House, che realizza la Choice Mix ispirato dal riff di pianoforte di “Someday”, successo di Ce Ce Rogers del 1987 prodotto da Marshall Jefferson. Da Ce Ce (Rogers) a Ce Ce (Peniston) è un attimo.

Cenith X - FeelCenith X – Feel
Dietro Cenith X c’è Achim Schönherr, compositore presumibilmente tedesco che nel 1995 debutta con “Feel”. La versione originale del pezzo incisa sul lato b, la SMP-Club Mix, scorre su layer di hammond e pianoforte, elementi tipicamente house ma per l’occasione piantati su una base ritmica a velocità sostenuta. A fare da collante tra le parti è un breve campione vocale femminile da cui deriva il titolo del brano. La 3 Lanka che pubblica il disco però scommette tutto sul remix realizzato dai Legend B (Peter Blase e Jens Ahrens), costruito sulla falsariga della loro “Lost In Love” uscita pochi mesi prima. È proprio questa versione, diventata un classico dell’hard trance, ad essere sincronizzata col videoclip e a decretare il successo in patria e in altri Paesi europei, Italia inclusa dove “Feel” gode del supporto di Molella nella prima edizione del programma Molly 4 DeeJay di cui parliamo qui. A licenziarla da noi è la Discomagic che la convoglia su una delle sue innumerevoli etichette, la Hard Dance. Sul 12″ c’è pure un secondo remix a firma CZ 101, stilisticamente più affine alla versione di Schönherr.

Charlie Dore - Time Goes ByCharlie Dore – Time Goes By
Attrice, musicista e cantautrice pop/folk, la britannica Charlie Dore incide dischi sin dal 1979 col supporto della Island. Nel corso del tempo scrive prevalentemente per artisti di alto calibro come Tina Turner e Celine Dion (è suo il testo di “Refuse To Dance”, da “The Colour Of My Love” del ’93) ma non perde mai la voglia di riproporsi come interprete ed infatti nel 1995, a quattordici anni dal precedente, incide il terzo album, “Things Change”. All’interno, tra le altre, c’è “Time Goes By” che nella sua versione originale passa totalmente inosservata. Sono gli italiani Souled Out a stravolgere le sorti della canzone, data in pasto al popolo che anima le discoteche tra la fine del ’96 e l’inizio del ’97. Il successo è tale da richiedere anche un videoclip. La Bustin’ Loose Recordings, ai tempi guidata dall’A&R Stefano Silvestri, completa il quadro con ulteriori versioni affidate ad altri remixer di pregio tra cui Mike Delgado, Ivan Iacobucci e i fratelli Visnadi.

Chase - Stay With MeChase – Stay With Me
Come avvenuto a Blackwood, anche i primi anni del progetto Chase sono legati al “nemo propheta in patria”. Con “Obsession” però, inizialmente pubblicato con l’omonimo nome artistico e prodotto in scia al remix di “Missing” degli Everything But The Girl (da cui trae, oltre ad un sample ritmico, pure l’atmosfera tra romantico e malinconico), anche l’Italia cede al progetto eurodance che spopola tra la primavera e l’estate ’97. Da quel momento voce ed immagine vengono affidate alla cantante Cindy Wyffels. La fortuna di “Stay With Me”, uscito in autunno, risiede nel remix realizzato dagli stessi autori, Toni Verde e Sandro Murru, affiancati da Marascia, che puntano alla miscela del precedente così come vuole la ricetta del classico follow-up. La versione originale invece è una ballata pop rock, inserita nell’album “Barefoot” ma poco nota al grande pubblico. Anche per il singolo seguente, “Gotta Lot Of Love”, uscito ad inizio ’98, è determinante il remix questa volta affidato a Mario Fargetta coadiuvato in studio da Graziano Fanelli e Max Castrezzati.

Chicane - OffshoreChicane – Offshore
Gran Bretagna, 1996: Nicholas Bracegirdle è un musicista venticinquenne con studi classici maturati alle spalle ma attratto sin dall’infanzia dall’elettronica di compositori come Vangelis, Jean-Michel Jarre o Harold Faltermeyer e di gruppi come Yazoo. Durante la rave age scocca la scintilla per la nuova dance grazie ad “Anthem” degli N-Joi: «era una traccia ballabile con fantastici cambi di tonalità e melodia» spiega in un’intervista a Top Magazine ad aprile del 2000. Nel suo futuro però c’è musica piuttosto diversa da quella degli N-Joi, più rilassata, distesa e sognante, impregnata di una sorta di romanticismo misto a malinconia. «Tutto nasce dalle lunghe vacanze estive che trascorrevo coi miei genitori da bambino» spiega ancora in quell’intervista. «Ero sempre l’ultimo in spiaggia, quello che non voleva mai andarsene quando la bella stagione finiva. Credo di essermi sempre portato dietro questa sensazione di malinconia». È quell’atmosfera a contraddistinguere i suoi primi lavori discografici tra cui “Offshore EP #1”, uscito nel ’96 sull’etichetta pare creata dallo stesso autore, la Cyanide. Uno dei quattro brani racchiusi all’interno dell’extended play e prodotti in coppia con Leo Elstob è “Offshore”, crocevia tra contorte porzioni ritmiche breakkate e melodie che disegnano paesaggi incontrastati, ispirate da “Love On A Real Train” dei Tangerine Dream e “The Boys Of Summer” di Don Henley. Realizzata con modesti mezzi, inizialmente la traccia desta poca attenzione perché poco ballabile e quindi scarsamente utilizzabile in discoteca se non in particolari situazioni, quelle gergalmente dette “da decompressione”. La situazione viene capovolta però da un remix realizzato dagli stessi Bracegirdle ed Elstob nascosti dietro il nome Disco Citizens, pseudonimo con cui avevano già firmato “Right Here Right Now” l’anno prima per la Deconstruction. Ora dotato di un impianto ritmico in 4/4, “Offshore” viene acquisito dalla neonata Xtravaganza Recordings di Alex Gold e volta alto nelle classifiche di tutto il mondo (Stati Uniti inclusi) col suo carico “chill-trance”, ulteriormente riverberato in un videoclip sincronizzato proprio sul remix. Nel 1997 viene ufficializzata anche la versione cantata, realizzata a mo’ di mash-up dal DJ australiano Anthony Pappa incrociando la base del remix di “Offshore” all’acappella di “A Little Love A Little Life” dei Power Circle. Questa rivisitazione conquista il pubblico britannico e finisce anche nella tracklist del primo album di Chicane, “Far From The Maddening Crowds”, insieme ad altri singoli estratti, “Sunstroke”, “Red Skies” e “Lost You Somewhere”. Per Bracegirdle è solo l’inizio di una sfolgorante carriera che tocca l’apice tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila grazie a “Saltwater”, rilettura di “Theme From Harry’s Game” dei Clannad, e “Don’t Give Up” che vanta un featuring d’eccezione, quello di Bryan Adams.

CJ Bolland - Sugar Is SweeterCJ Bolland – Sugar Is Sweeter
Estratto dall’album “The Analogue Theatre” del 1996, lo stesso da cui proviene “The Prophet”, “Sugar Is Sweeter” è il brano in cui l’autore condensa una breakbeat rabbiosa ed intensa, sullo stile di “Poison” dei Prodigy a cui pare essersi ispirato scatenando peraltro le ire dei fan del gruppo di Liam Howlett. Il pezzo di Bolland non ha la forza di diventare trasversale però avviene comunque qualcosa che ne cambia gli esiti. Col suo remix, Armand Van Helden sostituisce la radice della traccia spostandola dalle sincopi del breakbeat alle misure quaternarie della house, nonostante il nome della versione, Drum ‘n Bass Mix, faccia pensare ad altro. Un ruolo più marginale spetta alla parte vocale della belga Jade 4 U a cui spetta un trattamento simile a quello riservato a Tori Amos e la sua “Professional Widow” di cui si parla più avanti.

Cornershop - Brimful Of AshaCornershop – Brimful Of Asha
Similmente ai Bloodhound Gang di cui si è già detto sopra, i britannici Cornershop vengono dall’indie rock. Quando “Brimful Of Asha”, uno dei brani del loro terzo album pubblicato nel ’97 ed intitolato “When I Was Born For The 7th Time”, finisce nelle mani di Norman Cook, dell’indie rock di partenza però rimane ben poco. Il DJ di Brighton, ribatezzatosi Fatboy Slim nel 1995 con “Santa Cruz” ed “Everybody Needs A 303”, ne ricava un incalzante inno big beat spinto da un hook che resta impresso a fuoco nella memoria di una generazione, “everybody needs a bosom for a pillow”. Cook conferma dunque la sua straordinaria versatilità dopo alcune prove ben riuscite tra ’96 e ’97 (“I’m Alive” di Stretch & Vern, “Renegade Master” di Wildchild) a cui se ne aggiungeranno molte altre in futuro (“Body Movin'” dei Beastie Boys, “King Of Snake” degli Underworld, “I See You Baby” dei Groove Armada, “Ride The Pony” dei Peplab, “I Get Live” di Mike & Charlie giusto per citarne alcune) ad eternare l’apice creativo.

CRW - I Feel LoveCRW – I Feel Love
Le prime due versioni di “I Feel Love”, l’Extended Mix e la Clubby Mix, escono nel 1998 su una delle tante etichette della Media Records, la Inside, e battono il percorso progressive trance. A produrle sono Mauro Picotto ed Andrea Remondini. In Italia non avviene niente a differenza dei Paesi mitteleuropei dove escono alcuni remix tra cui quello degli olandesi Klubbheads, richiestissimi dopo le hit “Discohopping” e “Kickin’ Hard”. Tuttavia a fare la differenza qualche tempo dopo è una versione riconfezionata in Italia, la R.A.F. Zone Mix, dagli stessi Picotto e Remondini che rivedono sia la parte ritmica che quella melodica, scardinando l’impostazione iniziale a favore di un costrutto che si rifà ai bassi ragga della speed garage e che viene decorato dalla sibillina voce di Veronica Coassolo. A pubblicare la nuova versione oltremanica è la Nukleuz e da quel momento è un effetto domino che contagia, tra le altre, la VC Recordings del gruppo Virgin e la statunitense Jellybean Recordings di John “Jellybean” Benitez. A ben poco servono ulteriori remix come quello di JamX & De Leon alias DuMonde e DJ Isaac. In scia al successo di “I Feel Love” Picotto e Remondini, sempre nelle vesti di CRW, contribuiscono sensibilmente al successo di “On The Beach” di York con una versione di cui si parla nello specifico più avanti.

Cunnie Williams Feat. Monie Love - SaturdayCunnie Williams Feat. Monie Love – Saturday
Cantante r&b dalla potente voce paragonata più volte a quella di Barry White, Cunnie Williams debutta nel 1993 con l’album “Comin’ From The Heart Of The Ghetto” prodotto da Ralf Droesemeyer dei Mo’ Horizons. Nel ’99, messo sotto contratto dalla Peppermint Jam, incide “Star Hotel”, il terzo LP in cui presenzia, tra le altre, “Saturday”, un brano a cui partecipano Inaya Day e Monie Love. La versione che gli garantisce massima visibilità nei primi mesi del 1999 però è la Welcome To The Star-Hotel Mix approntata da Mousse T., il DJ tedesco di origini turche che finisce sotto i riflettori l’estate precedente con “Horny ’98”, versione cantata dell’omonimo brano strumentale passato del tutto inosservato e realizzato riciclando parti ritmiche del remix confezionato per “Ghosts” di Michael Jackson uscito nel 1997, quando altresì remixa “All My Time” di Paid & Live Feat. Lauryn Hill. È sempre Mousse T. a mettere mano a un altro singolo di Cunnie Williams, “A World Celebration”, rigato dal rap di Heavy D.

Da Hool - Meet Her At The Love ParadeDa Hool – Meet Her At The Love Parade
Il tedesco Frank Tomiczek inizia a produrre musica nei primi anni Novanta come DJ Hooligan (è tra i nomi citati dagli Scooter in “Hyper Hyper”). Nel 1996, anno in cui vara l’etichetta B-Sides, modifica lo pseudonimo in Da Hool. Proprio su B-Sides, in autunno, esce un EP intitolato “Meet Her At The Love Parade” aperto dalla traccia omonima. Ritmicamente rasenta la banalità ma contiene un riff di sintetizzatore che resta appiccicato alle orecchie come un chewing gum sotto le scarpe. «Contrariamente a quanto diffuso su internet, il brano non fu dedicato a nessuna donna» chiarisce Tomiczek contattato per l’occasione qualche tempo fa. «Lo realizzai in una sola notte, dopo essere tornato dalla Love Parade. Forse a causa dell’esagerata euforia non riuscivo a prendere sonno, mi chiusi in studio e “Meet Her At The Love Parade” fu il risultato. Colsi al volo l’ispirazione che mi diede la parata berlinese con le sue impareggiabili atmosfere e fu l’ironia a suggerirmi quel titolo, era praticamente impossibile trovare qualcuno che si conoscesse in mezzo ad una folla di un milione di persone». I responsi raccolti dal brano non sono entusiasmanti ma la situazione cambia nel 1997 quando la Kosmo Records lo reimmette sul mercato col remix più accattivante realizzato da Nalin & Kane che quell’anno spopolano con “Beachball”. Il successo è clamoroso (si parla di circa sei milioni di copie vendute) e il titolo trasforma il brano di Da Hool nell’inno non ufficiale della Love Parade ’97 (l’ufficiale è “Sunshine” di Dr. Motte & WestBam). In Italia è un’esclusiva della Bonzai Records Italy del gruppo Arsenic Sound guidato da Paolino Nobile intervistato qui.

Dakar & Grinser - Stay With MeDakar & Grinser – Stay With Me
Formato da Christian ‘Dakar’ Kreuz (sintetizzatori, voce) e Michael ‘Grinser’ Kuhn (sintetizzatori, batteria elettronica), il duo Dakar & Grinser debutta nel ’96 con “Shot Down In Reno”. Supportati dalla Disko B, tre anni dopo i tedeschi incidono un album, “Are You Really Satisfied Now”, che si inserisce a pieno titolo nel vasto campionario pre-electroclash con rimandi a suoni e musiche del passato (come “I Wanna Be Your Dog”, cover dell’omonimo degli Stooges di Iggy Pop uscito trent’anni prima). Nella playlist dell’LP c’è pure “Stay With Me”, una traccia costruita sul formato canzone ma senza tradire ambizioni schiettamente commerciali. Non succede nulla sino a quando l’etichetta di Peter Wacha lo ripubblica come singolo, nella primavera del 2001, dotandolo di nuove versioni remix a firma Patrick Pulsinger, Abe Duque, Portofino Rockers e Gary Wilkinson. Tuttavia a trascinare la traccia nelle programmazioni radiofoniche è la 2001 Mix (ribattezzata Murphy’s Law Single Mix sul CD singolo) realizzata da Christian Kreuz e Tobi Neumann, una rivisitazione scandita da un ammiccante giro di chitarra ed un fascinoso retrogusto retrò che manda subito in solluchero quei DJ che hanno lasciato parte di cuore negli anni Ottanta. In Italia a descrivere il pezzo in toni entusiastici attraverso le pagine del magazine DiscoiD ad aprile 2001 sono Vincenzo Viceversa, che definisce Dakar & Grinser «i campioni assoluto del nuovo techno-pop», e Massimo Cominotto che invece parla di “Stay With Me” come «il suo pezzo del momento». L’interesse cresce al punto da creare i presupposti per una licenza rilevata dalla Ultralab, neonata etichetta dance del gruppo Virgin curata da Ilario Drago che sul 12″, oltre alla Murphy’s Law Single Mix (sincronizzata sul videoclip e finita persino nella compilation del Festivalbar) e al remix di Abe Duque, solca pure una versione realizzata in loco dai P&F ossia Paolino Rossato e Francesco Marchetti, che garantisce a Dakar & Grinser la presenza in altre compilation di dance generalista come la “Deejay Parade” di Albertino e la “Discomania Mix” di Radio 105.

Dana Dawson - 3 Is FamilyDana Dawson – 3 Is Family
Dana Dawson incide il primo disco per la CBS, “Ready To Follow You”, nel 1988 quando ha appena quattordici anni. Nel ’91 esce l’album “Paris New-York And Me” che la aiuta a farsi notare anche in Europa ma per la consacrazione definitiva dovrà attendere ancora qualche tempo. Nel 1995, sotto contratto con la EMI, arriva il secondo LP “Black Butterfly” prodotto da Narada Michael Walden. Uno dei pezzi racchiusi al suo interno è “3 Is Family” in cui la cantante statunitense esprime al massimo la vocazione soul/r&b anche se a spopolare è uno dei remix, quello di Dancing Divaz. Velocizzato e trascinato su una base disco house impostata su un ammaliante giro di pianoforte che pare citare “Drive My Car” dei Beatles e che anni dopo forse ispira “Gimme Fantasy” dei Red Zone da cui nel 2002 Gianni Coletti trae il suo più grande successo, il brano si impone nelle discoteche di tutto il mondo. La EMI prova a replicare i risultati attraverso “Got To Give Me Love”, “How I Wanna Be Loved” e “Show Me” dati in pasto al mondo della notte ma con risultati calanti. L’obiettivo della Dawson non è la dance (seppur nel ’97 interpreti “More More More” di Dolce & Gabbana, remake dell’omonimo di Andrea True Connection) ma i musical di Broadway dove approda nel 2000. La sua carriera si ferma nel 2010 quando perde la lotta contro il cancro. Ha solo trentasei anni.

Datura - Mystic MotionDatura – Mystic Motion
Insieme a “Devotion e “Passion”, “Mystic Motion” è tra i brani nati sull’asse Italia-Germania nel 1993, scritti dai Datura (che ai tempi sono in quattro, i musicisti Ciro Pagano e Stefano Mazzavillani e i DJ Cirillo e Ricci) e la cantante tedesca Billie Ray Martin. “Devotion” si impone proprio quell’anno come hit estiva ma gli altri due restano confinati alla tracklist di “Eternity”, il primo (ed unico) album che il team bolognese incide per la Irma Records. Nel 1995 Pagano e Mazzavillani passano alla Time Records firmando “Infinity” con gli U.S.U.R.A. a cui segue, in autunno, “Angeli Domini”. In parallelo la Irma rispolvera “Mystic Motion” attraverso vari remix tra cui quello dei Bum Bum Club che, strizzando l’occhio allo stile di StoneBridge, ne fanno un successo stagionale. Ulteriori rivisitazioni, come quella di Charles Webster, giungono dall’estero. Visti i risultati, nel ’96 ai Bum Bum Club viene commissionato anche il remix di “Passion” che però ottiene responsi più contenuti.

Deejay Punk-Roc - My BeatboxDeejay Punk-Roc – My Beatbox
Tra 1997 e 1998 la fortuna di alcuni brani come “Sunshine” di Dr. Motte & WestBam, “Sonic Empire” di Members Of Mayday, “Super Sonic” di Music Instructor ed “Energie” di U96 riportano sotto i riflettori del panorama mainstream l’electrofunk di inizio anni Ottanta. In questo contesto stilistico si inserisce “My Beatbox” di Deejay Punk-Roc, progetto che batte bandiera britannica ma gestito secondo una metodologia tipicamente italiana: in studio opera Jon Paul Davies mentre le esibizioni pubbliche toccano al DJ americano Charles Gettis. “My Beatbox” catalizza l’attenzione generale col supporto di MTV che manda in onda il video più volte al giorno. A decretare una diffusione maggiore del brano, qualche tempo dopo finito nella colonna sonora del videogioco per PlayStation “Thrasher Presents Skate and Destroy”, è il remix di Stuart Price alias Les Rythmes Digitales che la Independiente riversa pure sul successivo “Far Out”. Il DJ e produttore anglosassone, noto anche come Jacques Lu Cont, Man With Guitar e Thin White Duke, linearizza il ritmo trasformandolo nel pianale su cui installare la filastrocca eseguita col talkbox e la spirale di basso rotolante che prefigura con lungimiranza gli stilemi dell’electro house post electroclash, gli stessi che utilizzerà anni dopo per produrre “Confessions On A Dance Floor” di Madonna trainato dai singoli strapazzaclassifiche “Hung Up” e “Sorry”.

De'Lacy - HideawayDe’Lacy – Hideaway
La versione originale di “Hideaway”, prodotta dai Blaze e cantata da Rainie Lassiter, esce nel 1994 su Easy Street Records. Pare un pezzo garage come tanti che escono ai tempi, destinato a non lasciare il segno, ma quando l’anno dopo arriva il remix dei Deep Dish tutte le previsioni vengono azzerate. La versione di Dubfire e Sharam, lunga quasi dodici minuti, conta su un’irresistibile sezione ritmica su cui si arrampica gradualmente l’anima del brano, con la voce della Lassiter abbinata agli accordi di un organo liturgico. Il successo contagia tutta l’Europa al punto da spingere la casa discografica a girare un videoclip sincronizzato proprio sul remix dei Deep Dish. Quasi irrilevante invece la versione dei K-Klass, esclusa dalla stampa italiana sulla rediviva Full Time tornata in attività dopo un periodo di pausa. Ai Deep Dish spetta remixare il follow-up, “That Look”, ma è difficile o forse impossibile bissare i risultati di “Hideaway”. Decisiva invece la versione di “All I Need Is Love” realizzata a fine ’97 dall’italiano Massimo Braghieri alias Paramour.

Delerium Feat. Sarah McLachlan - SilenceDelerium Feat. Sarah McLachlan – Silence
Nato da una costola dei Front Line Assembly, Delerium è un progetto partito nel 1988 che si muove nei territori industrial e dark ambient. Nel 1999 la Nettwerk pubblica il remix di “Silence”, uno dei brani dell’album “Karma” uscito nel ’97. La versione originale, in bilico tra new age e downtempo, pare pagare il tributo agli Enigma di Michael Cretu. Nella loro Sanctuary Mix i Fade (Chris Fortier e Neil Kolo) ricostruiscono il pezzo rendendolo ballabile ma nel contempo preservando parte della caratteristica atmosfera gregoriana. Tutto ciò però non basta. È un olandese a fare la differenza: Tiësto, da Breda, con gli oltre undici minuti del suo In Search Of Sunrise Remix, trasforma “Silence” in un inno, valorizzando la voce di Sarah McLachlan con una serie di plananti pad. Più euforica la versione degli Airscape ma incapace di reggere il confronto con quella di Tiësto destinato ad una sfolgorante carriera da DJ.

DNA Featuring Suzanne Vega - Tom's DinerDNA Featuring Suzanne Vega – Tom’s Diner
Incluso in una raccolta del 1984 allegata alla rivista Fast Folk Musical Magazine, “Tom’s Diner” è il brano acappella scritto qualche tempo prima dalla cantautrice californiana Suzanne Vega ispirata da un piccolo ristorante, il Tom’s Restaurant per l’appunto, situato a Broadway. Nel 1987 il pezzo viene incluso nell’album “Solitude Standing” ed estratto come singolo ma senza raccogliere grandi consensi. A creare i giusti presupposti per il successo internazionale sono i DNA ossia i produttori britannici Nick Batt e Neal Slateford che nel 1990 ricollocano la voce della Vega su una base downtempo carpendo un sample a “Keep On Movin” dei Soul II Soul dell’anno prima. In assenza delle autorizzazioni necessarie, i due si vedono costretti a solcare la versione su un’anonima white label sulla fittizia S+B Records che inizialmente circola solo nelle discoteche. In qualche modo quella rivisitazione giunge alla Vega e il verdetto positivo convince i dirigenti della sua etichetta, la A&M Records, a credere nel progetto e pubblicarlo ufficialmente. “Tom’s Diner” così, supportato adeguatamente dal videoclip diretto da Gareth Roberts, si impone in tutto il mondo, conquistando la top 5 delle due classifiche più ambite di allora, quella britannica e quella statunitense. Per la canzone si apre un secondo ciclo biologico, ben più fortunato rispetto al primo, scandito da nuovi remix, remake (tra i più recenti quello firmato da Giorgio Moroder con l’ausilio vocale di Britney Spears), campionamenti e, non meno importante, l’utilizzo da parte dell’ingegnere del suono Karlheinz Brandenburg per mettere a punto il sistema di compressione di un formato che avrebbe stravolto la musica nel nuovo millennio, l’MP3 (per approfondire si rimanda a questo articolo). Entusiasmati dai risultati, i DNA scommettono ancora sui campionamenti come avviene in “Rebel Woman”, in cui riciclano il riff di “Rebel Rebel” di David Bowie, o ne “La Serenissima”, cover dell’omonimo dei nostri Rondò Veneziano di Gian Piero Reverberi.

Duke - So In Love With YouDuke – So In Love With You
Cantautore e polistrumentista, Mark Adams nasce a Newcastle upon Tyne, nel nord-est dell’Inghilterra. I suoi modelli di riferimento in età adolescenziale sono idoli del soul come Marvin Gaye, Isaac Hayes e Sly & The Family Stone ma pure eroi della generazione rock n roll, da Buddy Holly a Little Richard passando per Gene Vincent ed Eddie Cochran. Insieme alla sua band chiamata Catch 22 si esibisce nei locali della città natale con un repertorio di cover di classici degli anni Cinquanta. Poi, complice l’annuncio su una tv privata, entra nella formazione dei One Hand One Heart incidendo, nei tardi anni Ottanta, alcuni singoli ed un album per la Epic. Per la sua carriera solista si ribattezza Duke debuttando con “New Beginning”, prodotto da Tony Mansfield e remixato, tra gli altri, da Jaydee ma senza grandi risultati. Poi arriva “So In Love With You” in cui fa sfoggio delle sue abilità vocali di chiara matrice soul. A spalancargli le porte del successo è uno dei remix del pezzo, quello realizzato da Norman Cook (prossimo ad imporsi come Fatboy Slim) e firmato con lo pseudonimo Pizzaman. Come afferma lo stesso Adams nella sua biografia, tutto inizia nei Paesi Bassi dove DJ Marcello suona per primo il remix di “So In Love With You” all’Escape di Amsterdam. L’interesse della Virgin fa il resto, trasformando Duke in uno dei protagonisti della scena dance/house nell’autunno 1995 e facendone una sorta di nuovo Jimmy Somerville. Ad accaparrarsi la licenza in Italia è la Propio Records di Stefano Secchi che, sfruttando il momento propizio, commissiona altre versioni (tra cui quelle di Miky B, Max Baffa, Franco Moiraghi e del compianto Mauro M.B.S.) raccolte in un doppio vinile.

Elektrochemie LK - SchallElektrochemie LK – Schall
Coniato nel 1995 col brano “Da Phonk”, Elektrochemie LK è uno degli pseudonimi utilizzati dal tedesco Thomas Schumacher. Nel 1996 la Confused Recordings pubblica “Schall & Rauch” aperto proprio da “Schall” in cui il DJ originario di Brema sovrappone balbuzienti tessere vocali campionate da “Acid Poke” di Adonis (ma ignorandone il significato, come lui stesso ammette qui) ad un basso sbilenco che funge da argano per tirarsi dietro un granitico beat. La traccia funziona bene nei club di matrice techno ma non è memorabile. Nel 1999 è sempre la Confused Recordings a rimettere in circolazione “Schall” attraverso un remix realizzato da Schumacher stesso che ricostruisce il mosaico questa volta adoperando un basso distorto ed un reticolo ritmico più incisivo. Grazie a queste nuove caratteristiche si fa avanti la Leaded, etichetta del gruppo Warner che ripubblica il brano in Germania sia su 12″ che CD, abbinandolo ad ulteriori remix (Toktok, Pascal F.E.O.S., Thomas P. Heckmann). L’attenzione cresce e contagia pure il Regno Unito dove se lo aggiudica la FFRR che nel pacchetto inserisce la versione di Trevor Rockcliffe. Si accodano poi altre nazioni europee come Francia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca. A prenderlo in licenza in Italia invece è la Media Records che lo convoglia sulla sua etichetta di punta, la BXR. Tra 2000 e 2001 il fortunato remix di “Schall” approntato da Schumacher fa ingresso in decine di compilation e finisce pure nella programmazione delle tv musicali grazie al videoclip. Il successo è tale da spingere la Leaded a scommettere sull’album, “Gold!”, da cui viene estratto “Girl!”, abilmente costruito su un vecchio pezzo rock dei Kinks, “All Day And All Of The Night”, e in cui figura, tra le altre, “When I Rock”, un pezzo che Schumacher firma col suo nome anagrafico nel ’97 vendendo ben 25.000 copie e che la Warner decide di rilanciare e ripubblicare come Elektrochemie LK abbinandolo ad un paio di remix realizzati per l’occasione da DJ Rush e dall’italiano Santos.

Energy 52 - Cafe Del MarEnergy 52 – Café Del Mar
Partito nel 1991 da un’idea del DJ tedesco Paul Schmitz-Moormann meglio noto come Kid Paul, il progetto Energy 52 emerge due anni più tardi quando la nota Eye Q Records di Sven Väth, Matthias Hoffmann ed Heinz Roth pubblica “Café Del Mar”. Ispirata nel titolo dal noto bar ibizenco e nel suono da “Struggle For Pleasure” del compositore belga Wim Mertens, la traccia diventa un caposaldo della prima ondata trance teutonica istigata dalla MFS di Mark Reeder. Sul 12″ della Eye Q ci sono due versioni, quella di Kid Paul e quella di Harald Blüchel alias Cosmic Baby ma il pezzo non riesce ad andare oltre la scena dei club seppur maturi la presenza in una serie di compilation tematiche tra cui la “Logic Trance 2”. Tre anni più tardi “Café Del Mar” è già considerato materiale d’archivio ed infatti la Bonzai lo ristampa sulla branch Classics che tra gli altri annovera “My Name Is Barbarella” di Barbarella, “Body Motion” degli italiani Sadomasy & DJ One, “My Noise” di Master Techno e “Perfect Motion” dei Sunscreem. C’è qualcuno però ad auspicare ancora una seconda vita della traccia come Red Jerry della Hooj Choons, che affida ad una pagina di Bandcamp i suoi ricordi: «Abbiamo passato circa diciotto mesi a remixarlo e non ricordo neanche i nomi di tutti coloro che ci hanno provato fallendo ripetutamente. Il problema di base era rappresentato dalla scala del riff principale e dalla progressione dei relativi accordi che nessuno riusciva a combinare con un certo impatto. Risultato? Ogni versione andava alla deriva, sommersa dalle melodie. Poi, ad inizio ’97, accadde qualcosa:  tornai a casa con una cassetta su cui era inciso l’ennesimo remix di “Café Del Mar”». A realizzare la nuova versione sono i Three ‘N One (André Strässer e Sharam Jey), reduci dal successo ottenuto con “Reflect”. «Seduto a casa a Kentish Town, con la luce dell’alba dopo una notte in discoteca, ascoltai per la prima volta quel remix su un impianto audio decente. Fu uno di quei momenti che non si dimenticano facilmente» conclude Red Jerry. I Three ‘N One riescono dove tanti altri avevano fallito. Sarà il loro remix ad iniettare nuova linfa vitale nelle melodie di “Café Del Mar” che questa volta, complice l’affermazione della trance su larga scala, segna inequivocabilmente lo zenit per Energy 52. La Hooj Choons mette sul mercato due ulteriori rivisitazioni a firma Solar Stone e Universal State Of Mind a cui se ne aggiungeranno altre ancora tra cui quelle di Oliver Lieb e di Nalin & Kane. Tra 1997 e 1998 il pezzo conosce dunque una nuova giovinezza che lo trasforma in un classico, oggetto di continui rimaneggiamenti nonché in fonte d’ispirazione per altri artisti come gli olandesi Three Drives e la loro “Greece 2000”.

Everything But The Girl - MissingEverything But The Girl – Missing
Insieme sin dal 1982 quando debuttano con “Night And Day”, cover dell’omonimo di Cole Porter, Ben Watt e la moglie Tracey Thorn sono gli Everything But The Girl. Prendono il nome d’arte dallo slogan usato da un negozio d’abbigliamento su Beverley Road ad Hull, il Turners, e fanno pop rock ai confini col jazz. Pur maturando una carriera di tutto rispetto che, tra le altre cose, annovera la collaborazione coi Massive Attack per un paio di brani finiti in “Protection”, riescono a conquistare il grande pubblico generalista solo nel 1995 con un remix. “Missing”, dalla tracklist del loro ottavo album intitolato “Amplified Heart”, è una ballata unplugged che passa inosservata ma grazie al tocco di Todd Terry cambia tutto. Il DJ/produttore statunitense, tra i decani dell’house music, trasforma quella ballata in un classico che vende oltre un milione di copie e per cui viene girato un nuovo videoclip diretto da Mark Szaszy. Il remix inizia a girare nell’autunno del 1994 ma il successo non è immediato specialmente in Europa (Italia compresa) dove bisogna attendere la primavera dell’anno seguente per sentire “Missing” in radio e in discoteca. Todd Terry si occuperà poi di “Wrong” (estratto dall’album “Walking Wounded” del ’96) ma con risultati inferiori. Ps: esiste una versione di “Missing” prodotta in Italia, la Rockin’ Blue Mix, realizzata da Alex Natale e i Visnadi.

Face On Mars - The BugFace On Mars – The Bug
Il progetto one-shot Face On Mars batte bandiera britannica ed è prodotto da Kenny Young e dal duo ManMadeMan (Paul Baguley e Sonya Bailey). Entrati nelle grazie di Judge Jules, Pete Tong, Sasha e John Digweed con dischi firmati con vari pseudonimi, riescono a raccogliere modesti consensi tra la fine del 1999 e i primi mesi del 2000 grazie a “The Bug” che, come testimonia anche la copertina, fa leva sui timori, poi rivelatisi quasi del tutto infondati, derivati dal presunto millennium bug che avrebbe mandato in tilt i sistemi informatici di tutto il mondo al cambio di data tra il 31 dicembre 1999 e il primo gennaio 2000. La versione originale chiamata Teotwawki si inserisce nel filone hard house, sullo stile di artisti come Da Junkies, Knuckleheadz e BK, ma resta confinata al quasi totale anonimato. A rendere “The Bug” un pezzo appetibile per le radio e le tv musicali a cui è destinato il videoclip sono Marco Baroni ed Alex Neri con il loro remix firmato Kamasutra. In Italia è un’esclusiva della napoletana Bustin’ Loose Recordings che in catalogo vanta, tra gli altri, Individual (“Sky High” è cantato da Billie Ray Martin ma in incognito), Charlie Dore e soprattutto Karen Ramirez.

Felix - Don't You Want MeFelix – Don’t You Want Me
Regno Unito, 1992: Francis Wright è un diciottenne come tanti, desideroso di entrare a far parte del mondo della musica. Si diletta a comporre nella sua cameretta con pochi strumenti presi in prestito dallo zio e dal fratello maggiore che gestiscono una società di noleggio strumentazioni. Dispone di un campionatore Akai S950 e qualche sintetizzatore come un Korg MS-20, un Roland JX-1 ed un Oberheim Matrix 1000. Il tutto pilotato dal Notator installato su un computer Atari 1040 ST. Un giorno riceve la telefonata di Jeremy Dickens alias Red Jerry, uno dei titolari dell’etichetta Hooj Choons a cui ha mandato alcuni demo qualche settimana prima. A catalizzare l’attenzione del discografico è un brano in particolare, “Don’t You Want Me”, che Wright realizza ispirandosi allo stile di Steve “Silk” Hurley e in cui piazza un sample vocale preso da “Don’t You Want My Love” delle Jomanda. A Dickens piace ma gli chiede di sviluppare l’idea in modo alternativo. Wright allora piazza un organo al posto del pianoforte e crea la base di quella che sarebbe diventata la Hooj Mix, la versione più nota. «A quel punto Red Jerry mi invitò a Londra per registrare le due versioni» racconta Wright in questo articolo. «L’Original Mix rimase praticamente la stessa del demo mentre alla Hooj Mix aggiungemmo ulteriori elementi. Purtroppo fu fatta confusione coi crediti sul disco che attribuiscono la paternità della Hooj Mix ai soli Red Jerry e Rollo, cosa che non è esatta visto che fu un lavoro interamente sinergico». Il successo di “Don’t You Want Me” è stellare, grazie all’interesse mostrato dalla Deconstruction. Il brano, da noi licenziato dalla GFB, etichetta della Media Records, conquista la prima posizione in molte classifiche sparse per il mondo e si stima abbia venduto oltre tre milioni di copie.

Fifty Fifty - Tonight I'm DreamingFifty Fifty – Tonight I’m Dreaming
I britannici Fifty Fifty (il produttore Jason Smith e il cantante Steve Trowell) esordiscono in sordina nel 1996 col poco noto “Crazy Thing” ma balzano agli onori della cronaca due anni dopo con “Tonight I’m Dreaming”, un brano di matrice progressive house pubblicato dalla Jackpot impreziosito subito da vari remix tra cui quello di Eric Kupper proteso verso la garage. A far cambiare profondamente aspetto al pezzo è però la Blue Moon Mix approntata in Italia negli studi milanesi della Dancework da Fabrizio Gatto, Roberto Zucchini, Germano ‘Jerma’ Polli e Marco ‘China B’ Brugognone. «L’idea di fare un remix fu nostra» racconta Gatto contattato per l’occasione. «”Tonight I’m Dreaming” era una bella canzone ma non abbastanza commerciale, così ci attivammo e realizzammo alcuni remix più adatti al mercato italiano dell’epoca». A spiccare dalle tre versioni pubblicate dalla @rt Records, sublabel del gruppo Dancework, è la citata Blue Moon Mix che imperversa nelle discoteche e in radio nell’autunno ’98. La Rosa Shocking Mix riprende lo stile latineggiante di Paradisio mentre la Tribe Art Production Mix, realizzata da Massimiliano Falchi ed Umberto Ferraro, resta ancorata alle atmosfere house di partenza. «Il mix vendette dalle ventimila alle venticinquemila copie e il brano entrò in svariate compilation» prosegue Gatto. «Quella volta mi firmai come El Zigeuner, nome nato pochi anni prima da una telefonata che un mio promoter fece ad un suo amico. Essendo di Bolzano, ogni tanto parlava in tedesco e quella volta al telefono disse “el Zigeuner” (lo zingaro), una parola che mi piacque subito e che decisi di adottare come pseudonimo». I tentativi di mantenere alte le quotazioni dei Fifty Fifty vanno a vuoto nonostante il remix del successivo “Listen To Me” a firma StoneBridge. Riscontri flebili giungono pure quando nel ’99 Smith e Trowell si ripresentano come Apple 9 firmando “What You Do To Me” per la Time Records.

Freddie Mercury - Living On My OwnFreddie Mercury – Living On My Own
Estratto come singolo dall’album “Mr. Bad Guy”, il primo che Mercury realizza come solista dopo aver abbandonato i Queen, “Living On My Own”, del 1985, è un pezzo synth pop che non riscuote consensi memorabili. Decisamente diversi però i risultati raccolti circa otto anni più tardi quando l’artista è già prematuramente passato a miglior vita e sul mercato arriva il remix realizzato dai No More Brothers (Carl Ward, Colin Peter e Serge Ramaekers) nel loro studio ad Anversa, in Belgio, ad aprile del ’93: con un taglio house friendly corroborato da un cristallino arpeggio, i tre conferiscono a “Living On My Own” la spinta necessaria per essere apprezzato dal pubblico trasversale di tutto il mondo che non si è ancora stancato di ascoltarlo. Per avere un’idea della longevità è sufficiente aprire YouTube: ad oggi la somma delle visualizzazioni ottenute dal remix oltrepassa i cento milioni. Proprio nello stesso periodo in cui imperversa “Living On My Own”, sul mercato arrivano i remix di un altro brano pop internazionale, “Dreams” di Gabrielle. La House Mix degli Our Tribe (Rollo, futuro membro dei Faithless nonché fratello della cantante Dido, e Rob Dougan) è tra le versioni che si distinguono meglio, con un retrogusto à la “Plastic Dreams” di Jaydee. Nel contempo in Italia finiscono in discoteca “Delusa” di Vasco Rossi e “Ricordati Di Me” di Fiorello, rispettivamente remixati dagli U.S.U.R.A. e Digital Boy.

Fun Factory - Close To YouFun Factory – Close To You
Tra la miriade di gruppi eurodance tedeschi emersi nei primi anni Novanta, i Fun Factory si fanno notare a livello europeo tra 1993 e 1994 con “Groove Me”, “Pain”, “Close To You” e “Take Your Chance”, tutti estratti dal primo album intitolato “Nonstop!”. “Close To You”, per cui viene girato questo videoclip, sfiora il plagio delle hit messe a segno dai connazionali Culture Beat (“Mr. Vain”, “Got To Get It”, “Anything”) ma sono tempi in cui clonare talvolta può portare buoni risultati. In Italia la versione originale di “Close To You” passa inosservata a differenza del remix dei Positive Groove, side project degli stessi Fun Factory. Nella reinterpretazione, intitolata Energy Trance e licenziata nell’estate ’94 da Dig It International, la componente vocale è ridotta ai minimi termini per privilegiare un costrutto di matrice trance. Eliminata la parte rappata, dopo un lungo intro strumentale filo acid affiora un brandello dell’inciso, unico elemento tratto dalla versione di partenza. Anche per il remix i Fun Factory però si ispirano palesemente a qualcosa di preesistente, il Fruit Loops Remix dei Jens di cui si parla dettagliatamente più avanti.

Gayà - It's LoveGayà – It’s Love
Nel ’98 la J&Q diretta da Enzo Martino pubblica il terzo singolo del progetto Gayà, partito tre anni prima con “Lovin’ The Way”. A produrre “It’s Love”, un brano house ai confini con la garage colorito da un virtuosismo vocale a mo’ di scat, sono Daniele Soriani e Marco Mazzantini, ma il successo arriva poco tempo dopo col remix curato da Mario ‘Get Far’ Fargetta che riadatta tutto in chiave eurodance. Gli apprezzabili risultati vengono sottolineati dal videoclip in cui appare l’americana Stephanie Haley, scelta come immagine del progetto e per le esibizioni live come quella ad Italia Unz. Sarà sempre Fargetta a confezionare le versioni di punta dei successivi singoli di Gayà, “Shine On Me”, “I Keep On Dreaming” e “Never Meet”, utili a trainare altri artisti della J&Q come Jola, Underfish e Bibi Schön.

Gigi D'Agostino - L'Amour ToujoursGigi D’Agostino – L’Amour Toujours
In virtù della popolarità raggiunta, “L’Amour Toujours” è diventato il brano più noto del repertorio d’agostiniano. La versione originale, apparsa nel 1999 nell’album omonimo, gira su ritmi sincopati, un basso in ottava (forse “stimolato” da un preset dell’Hohner HS-1, versione tedesca del Casio FZ-1) ed armonie ispirate da “But Not Tonight” dei Depeche Mode, così come già descritto in Decadance. A decretare il successo è però il remix che la Media Records pubblica nel 2000 attraverso l’EP “Tecno Fes”: arrangiato insieme a Paolo Sandrini, il Tanzen Vision Remix fa leva sulla caratteristica frase di tastiera evidenziata ulteriormente nella versione usata per il videoclip ad oggi visualizzato su YouTube più di 320 milioni di volte. A seguire arrivano altre reinterpretazioni, come la Cielo Mix e L’Amour Vision, ed un indefinito numero di cover che garantiscono ulteriore longevità ad un pezzo italodance ormai diventato transgenerazionale.

Gigi D'Agostino & Daniele Gas - Creative NatureGigi D’Agostino & Daniele Gas – Creative Nature
La prima versione di “Creative Nature” esce nel 1994 sulla Subway. A distanza di qualche mese sulla stessa etichetta appaiono due versioni (Fly Side ed Eternity Side) realizzate dagli stessi autori ma a lasciare il segno nel cuore degli irriducibili della progressive italiana è il remix edito dalla Metrotraxx, altra sussidiaria della Discomagic di Severo Lombardoni, intitolato Giallone e contenuto nel doppio “Creative Nature Vol. 2”. A dirla tutta pare più una sorta di re-edit con variazione della stesura e non del banco suoni che rimane pressoché invariato ma i risultati, specialmente a partire dall’autunno del 1995, sono ben diversi. Con un sample di campana sincronizzato su un basso ottavato ed un riff d’atmosfera giocato anch’esso sulle ottave, D’Agostino (che riciclerà tutto nel 2000 per la sua “Campane”) e Gas si confermano tra gli artefici di un sound presto ribattezzato e sdoganato come mediterranean progressive in cui minimalismo e struggenti melodie vanno a braccetto. «Una notte ero al Le Palace di Torino con Gigi e Francesco Farfa» racconta Daniele Gas in questa intervista. «Prima della serata chiacchierammo anche di produzioni e Francesco ci propose di fare una nuova versione del “giallone”, riferendosi al remix di “Creative Nature” pubblicato dalla Subway su un’etichetta di colore giallo per l’appunto. Da quel momento lo chiamammo amichevolmente Giallone Remix, proprio in ricordo del suggerimento di Farfa che, ovviamente, fu tra i primi a ricevere il promo».

Gisele Jackson - Love CommandmentsGisele Jackson – Love Commandments
È il pezzo più noto della Jackson, cantante nativa di Baltimora messa sotto contratto dalla Waako Records di Bob Shami. La versione originale di “Love Commandments”, un pezzo garage non particolarmente pretenzioso, inizia a circolare nel 1996 quando viene pubblicato anche in Italia dalla UMM. La spallata determinante giunge l’anno dopo con vari remix firmati, tra gli altri, da Danny Tenaglia, Jason Nevins, StoneBridge, Dancing Divaz e Loop Da Loop. Quest’ultimo, in particolare, con qualche occhiata non velata al tocco di Van Helden, catalizza l’attenzione generale introducendo la Jackson nel segmento speed garage. A pubblicare in Italia quattro remix di “Love Commandments”, incluso ovviamente quello di Loop Da Loop, è la D:vision.

Hanky Panky - Hanky PankyHanky Panky – Hanky Panky
Pubblicato inizialmente dalla Love, una delle etichette della EMI tedesca, “Hanky Panky” del progetto omonimo segue il corso eurodance in salsa house, utilizzando i suoni “tubati” resi popolarissimi da StoneBridge abbinati ad una specie di filastrocca scritta da Najib Hachim e Carolin Schwarz e musicata dagli stessi insieme a Jürgen Hildebrandt. Di loro si sa davvero poco e niente. Di certo è che ad aiutarli ad uscire dall’anonimato, riservato invece ad altri brani del loro risicato repertorio come ad esempio “Me & Mr. Fantasy” di Cosma Das Sternenkind, è il remix realizzato da Mousse T: con una versione che occhieggia ai Max-A-Million prodotti dai 20 Fingers ed ai Reel 2 Real di Morillo ma in chiave ancora più scanzonata, “Hanky Panky” riesce a raccogliere qualche licenza in Europa. A crederci in Italia è la Dance Factory del gruppo EMI ma pure Albertino che propone il brano in radio e lo vuole nel sesto volume della compilation “Alba” uscita nell’autunno del 1996.

Jamiroquai - Space CowboyJamiroquai – Space Cowboy
La versione originale di “Space Cowboy”, inclusa nell’album “The Return Of The Space Cowboy” del 1994, non è certamente passata inosservata ma il remix di David Morales, uscito l’anno dopo, ha il merito di aver ingigantito la notorietà della band britannica. Con un lavoro magistrale curato tanto nella parte ritmica quanto in quella degli arrangiamenti, il DJ tocca uno dei momenti clou della propria carriera. Tuttavia Jay Kay gli riserva toni piuttosto polemici, almeno inizialmente: «non capisco perché devo dare quindicimila sterline ad un tizio americano quando un qualsiasi mio collaboratore può fare la stessa cosa, ma ho imparato che i remix fanno parte del gioco, così come i video» afferma il cantante in un’intervista risalente al gennaio 1997. «Devo essere onesto, i remix di Morales (oltre a “Space Cowboy” anche quello di “Cosmic Girl”, nda) hanno funzionato molto bene ed hanno aumentato la mia popolarità. La gente voleva ballare i miei pezzi in discoteca e lui la ha accontentata».

Jens - Loops & TingsJens – Loops & Tings
Contenuta nel “Glomb EP” pubblicato nel 1993, “Loops & Tings” è il pezzo che Jens Mahlstedt, Gerret Frerichs ed Hans Jürgen Vogel realizzano assemblando magnetiche onde trance a svasati beat che ogni tanto vedono rompere il 4/4 metronomico sotto la spinta di inserti raggamuffin, striature acide e sincopi breakbeat. Nel momento in cui la Superstition pubblica i remix del brano, le cose prendono una piega diversa. È il Fruit Loops Remix, realizzato dagli stessi Mahlstedt e Frerichs, a tracciare una nuova strada per il progetto Jens, sino a quel momento rimasto a solo appannaggio dei DJ specializzati. Merito di una vena melodica più pronunciata issata da un riff riciclato dai menzionati Fun Factory nel remix di “Close To You” ed una struttura ritmica maggiormente trascinante, resa tale anche da un rotolante bassline. Il remix di “Loops & Tings” diventa così un autentico classico nel 1994, anno in cui viene pubblicato anche in Italia dalla Downtown del gruppo Time Records. Seguirà un’infinita serie di altre versioni più o meno fortunate tra qui quella di Marco V che nel 2003 rilancia per l’ennesima volta uno dei maggiori inni della hard trance tedesca degli anni Novanta.

Jestofunk - Special LoveJestofunk – Special Love
Con un background che affonda saldamente le radici nel funk, nel soul e nel jazz, i Jestofunk (Alessandro ‘Blade’ Staderini, Francesco Farias e Claudio ‘Moz-Art’ Rispoli) debuttano nel 1991 con “I’m Gonna Love You” supportati dalla bolognese Irma Records. “Say It Again” e “Can We Live”, entrambi interpretati da Ce Ce Rogers, li aiutano ad imporsi anche nel mainstream ma senza scendere a compromessi. Nel 1998 è tempo di un’altra hit trasversale, “Special Love”, estratta da “Universal Mother”, il loro terzo album. Jazzdance rigata di funk, r&b e disco, la traccia gode di un featuring vocale d’eccezione, quello di Jocelyn Brown, protagonista del videoclip. A far prendere il volo però è la Special House Mix realizzata da Steve “Silk” Hurley, uno dei pionieri della house statunitense che in quel periodo torna al successo con “The Word Is Love”. Sul 12″ presenzia una seconda reinterpretazione, la Disco Fusion Mix di Joey Negro probabilmente più vicina al mondo dei Jestofunk ma con minori potenzialità commerciali.

Josh One - ContemplationJosh One – Contemplation
DJ e produttore losangelino, Josh One debutta nel 2001 con “Contemplation”, un pezzo che lascia sfilare i lascivi vocalizzi di Julie Walehwa su una base downtempo altrettanto seducente costruita insieme al musicista Patrick Bailey. Annessa alla musica lounge e chillout che nei primi anni Duemila vive un fortissimo boom così come raccontiamo qui, la traccia riesce a conquistare anche le discoteche grazie a King Britt ed alla sua Funke Mix che proietta tutto su uno schema house dagli evidenti richiami funk giocati in modo sampledelico. Riscontri ancora più tangibili giungono con una seconda versione realizzata in Italia da Alex Neri: nel Road Trip Remix resta intatto un frammento di voce della Walehwa ma il resto scorre su un binario decisamente diverso, fatto da suoni cristallini messi in sequenza in un ossessivo ed inarrestabile arpeggio. Proprio grazie ai remix, nel 2002 Josh One fa il giro d’Europa spinto da etichette come Prolifica, Ministry Of Sound e Vendetta Records. A pubblicarlo da noi è la Rise del gruppo maioliniano Time.

Karen Ramirez - If We TryKaren Ramirez – If We Try
La carriera della londinese Karen Ramirez mostra diverse analogie con quella dei Jestofunk descritti poche righe sopra. Anche lei parte dalla musica black, dal soul e dal jazz, generi che il team di produzione Souled Out (da cui nasceranno poco tempo dopo i Planet Funk) affronta con maestria nell’album “Distant Dreams” da cui vengono estratti diversi singoli, da “Troubled Girl” a “Looking For Love” (cover di “I Didn’t Know I Was Looking For Love” degli Everything But The Girl) passando per “Lies” ed “If We Try”. Tutti godono di numerosi remix realizzati da pesi massimi della house internazionale ma quest’ultimo, in particolare, si distingue per la rivisitazione di Steve “Silk” Hurley, richiestissimo dopo l’exploit a fine ’97 di “The Word Is Love”.

KC Flightt - Bang!KC Flightt – Bang!
Franklin Toson Jr. alias KC Flightt prende parte alla prima ondata hip house che si propaga a fine anni Ottanta da Chicago, riuscendo ad entrare nelle grazie della RCA che pubblica un album e diversi singoli tra cui “Planet E”, “Summer Madness” e “Voices”. Dopo qualche tempo sottotono, riappare con “Bot Dun Bot” e soprattutto “Bang!” che nella versione originale riavvolge il nastro sino a dove tutto era cominciato nella città del vento. A fare la fortuna del pezzo nell’autunno 1995 è la Mixmaster Club realizzata da Costantino Padovano e Mirko Braida, sincronizzata col video e in linea con quanto già fatto per “Shimmy Shake” dei 740 Boyz analizzata più sopra.

Kim Lukas - All I Really WantKim Lukas – All I Really Want
Nata nella contea di Surrey, nell’Inghilterra sud-orientale, Kim Woodcock è la cantante che si fa spazio nel circuito eurodance nel 1999 con “All I Really Want”, prodotto dal team G.R.S. composto da Gino Zandonà, Roberto Turatti e Silvio Melloni. L’Original Single Mix fa leva su una base dai richiami disco / funk, senz’altro gradevole ma con un tiro forse non adatto ad accontentare del tutto il pubblico a cui il progetto è destinato. Ci pensano gli Eiffel 65 a ricostruire la stesura in un remix creato sul fortunato modello di “Blue (Da Ba Dee)”. È quindi loro la versione che spopola e fa la fortuna della biondina che nel 2000 incide un album, “With A K”, da cui vengono prelevati altri tre singoli più o meno fortunati, “Let It Be The Night”, “To Be You” e “Cloud 9”.

L'Homme Van Renn - The (Real) Love ThangL’Homme Van Renn – The (Real) Love Thang
A pubblicare “The Real Thang” nel 1993 è la Nocturnal Images Records, piccola etichetta di Davina Bussey distribuita dalla Submerge di Detroit. È la stessa Bussey a curare tre versioni fatte di house intrecciata al soul che mettono in evidenza le doti canore di Paul Randolph. Nel 1995 la 430 West, in cooperazione con la Network Records di Neil Rushton e Dave Barker e con la filiale britannica della KMS di Kevin Saunderson, rimettono in circolazione il brano ma con un titolo leggermente diverso, “The (Real) Love Thang”, e vari remix di Rob Dougan, Parks & Wilson e Mike Banks. «Credo che l’operazione nacque con l’obiettivo di portare il mio nome ad un pubblico più vasto e non più solo quello dei DJ specializzati visto che il pezzo aveva un grande potenziale» racconta qui Randolph. Effettivamente le cose vanno proprio così e “The (Real) Love Thang” inizia la “mainstreamizzazione” attraverso la versione del citato Dougan in cui la stesura viene interamente ricostruita giocando sull’alternanza di parti beatless ed altre più incisive legate alla progressive house britannica. Ciò garantisce un risultato apprezzabile in Europa dove il brano viene licenziato in più Paesi ed incuriosisce anche chi non conosceva affatto la versione iniziale. A pubblicarlo in Italia a gennaio 1996 è la milanese Nitelite Records del gruppo Do It Yourself, che aggiunge al pacchetto due ulteriori versioni a firma M2 ed Italia House Nation.

Lisa Marie Experience - Keep On Jumpin'Lisa Marie Experience – Keep On Jumpin’
Inizialmente pubblicato col titolo “Jumpin”, la hit dei Lisa Marie Experience (il duo britannico formato da Dean Marriott e Neil Hinde) si afferma nel vecchio continente tra l’inverno e la primavera del 1996 come “Keep On Jumpin'”. Il pezzo entra nella top ten dei più venduti nel Regno Unito ed è uno dei tanti di quel periodo a rinvigorire il fil rouge tra la house music e discomusic mediante il campionamento di un classico di fine anni Settanta, “Keep On Jumpin'” dei Musique, ripreso peraltro pochi mesi più tardi pure da Todd Terry con le voci di Martha Wash e Jocelyn Brown. La versione che funziona di più e che viene scelta per accompagnare il videoclip è però quella dei redivivi Bizarre Inc, autentici protagonisti tra 1991 e 1992 con successi come “Playing With Knives”, “Such A Feeling” ed “I’m Gonna Get You”. Con una stesura più d’impatto ed un’elaborazione del sample (a cura di Dave Lee alias Joey Negro ed Andrew “Doc” Livingstone, così come chiariscono i crediti in copertina) maggiormente incisiva, il Bizarre Inc Remix è pertanto quello che decreta il temporaneo momento di gloria dei Lisa Marie Experience, incapaci di mantenere intatto il successo col successivo “Keep On Dreaming”. In compenso però ricevono una sfilza di richieste di remix e tra i tanti mettono mano a “Bamboogie” di Bamboo, act messo su con eclatante riscontri dal citato Livingstone ad inizio ’98 mutuando un sample da un altro evergreen disco, “Get Down Tonight” di KC & The Sunshine Band.

Love Connection - The BombLove Connection – The Bomb
Dietro Love Connection, act one shot creato nel 2000 con “The Bomb”, opera il team di produttori francesi formato da Rabah Djafer, Omar Lazouni e Michel Fages. Il pezzo è costruito su un doppio campionamento: da un lato c’è la melodia di “Love Magic” di John Davis & The Monster Orchestra, un vecchio successo del 1979, dall’altro invece la parte vocale presa da “Love Generation” degli italiani Lost Angels, pubblicato originariamente nel 1996 dalla Volumex del gruppo Dancework ma senza grandi risultati, specialmente in patria. Unendo i due elementi, corroborati da una trascinante base disco house, i transalpini ricavano un pezzo orecchiabile e a presa rapida ma a perfezionarlo ulteriormente è il duo Triple X (Luca Moretti e Ricky Romanini), reduce dal successo europeo di “Feel The Same”. È il loro remix infatti ad avere la meglio e ad essere sincronizzato col videoclip. In Italia è un’esclusiva della Time di Giacomo Maiolini il cui supporto, pare, sia stato determinante per ottenere il clearance del sample di “Love Magic”.

Mario Più - CommunicationMario Più – Communication
Il DJ toscano è stato molto abile nel tenere un piede nelle produzioni destinate a discoteche di tipo progressive/trance e l’altro in quelle più dichiaratamente commerciali. Così, mentre da un lato sforna pezzi come “Your Love”, “Unicorn” o “Serendipity”, dall’altro finisce nelle classifiche di vendita con successi radiofonici tipo “All I Need”, “Sexy Rhythm” e “Runaway”. Nel 1999 però è capitato che un suo brano tendenzialmente rivolto ai club si sia trasformato in una hit trasversale. Tutto ha inizio a ridosso dell’estate quando nei negozi arriva “Communication”, un pezzo creato sul telaio picottiano di “Lizard” e caratterizzato dal suono dell’interferenza creata dal telefono cellulare in una cassa spia (idea che, praticamente nel medesimo periodo, viene sfruttata in “GSM” dai Dual Band – Paolo Kighine e Francesco Zappalà). I responsi nelle discoteche sono ottimi ma a decretare il successo su scala internazionale con oltre 200.000 copie vendute è la versione approntata oltremanica pochi mesi dopo da Paul Masterson alias Yomanda. Diventata “Communication (Somebody Answer The Phone)” ed accompagnata da un videoclip sincronizzato proprio sul remix, la traccia assume una veste hard house in cui compare, oltre all’interferenza, anche il trillo di un telefono cellulare, immortalato in copertina dalla BXR.

Mato Grosso - LoveMato Grosso – Love
Partiti nel 1990 come Neverland, Graziano Pegoraro, Marco Biondi e Claudio Tarantola si ribattezzano Mato Grosso con “Thunder” per motivi illustrati in questo articolo e diventano uno dei nomi più longevi in campo eurodance/italodance, area notoriamente soggetta a successi che difficilmente riescono a reggere più di qualche stagione. “Love” esce intorno alla fine del 1993 sulla B4, etichetta fondata dallo stesso team insieme al gruppo Expanded Music, ma gode di poca attenzione. Pochi mesi più tardi, in soccorso, giungono due remix realizzati dagli stessi Pegoraro e Biondi. In particolare è la Fuzzy Mix a risollevare le sorti del pezzo non partito col piede giusto, col beneplacito di Albertino e dei suoi soci del DBM (Fargetta la sceglie e mixa in “Original Megamix 2”) a cui poi si accodano altre emittenti e varie compilation italiane ed estere. «La versione originale, per ammissione dello stesso Pegoraro, peccò a causa di un mixaggio non del tutto riuscito» racconta oggi Marco Biondi contattato per l’occasione. «La Shuttle ‘N’ Space ‘N’ Love Mix iniziava con un intro caratterizzato dal countdown della NASA, senza dubbio d’effetto ma privo di quell’immediatezza che ai tempi serviva alla dance per farsi notare. Facendo tesoro degli errori quindi, rielaborammo tutto in un remix più incisivo, dinamico ed efficace, doti premiate da Albertino che lo tenne nella DeeJay Parade per circa due mesi (dal 26 febbraio al 23 aprile, nda). Il suo supporto fu determinante per raggiungere un buon risultato in termini di vendite, tra mix e remix infatti “Love” contò tra le 16.000 e le 17.000 copie. A scandire marcatamente la nuova versione era un hook vocale realizzato con la mia voce seppur davvero in pochi la riconobbero nonostante conducessi un programma quotidiano su Radio DeeJay. Pure nel follow-up, “Mistery”, figuravano voci vere: il “mistery mistery” era di Miko Mission mentre ad interpretare il “bebele simele amele” era Nikki, mio collega in via Massena. L’idea di partenza era campionare un frammento di “Just A Gigolo” di David Lee Roth ma non avremmo mai avuto il clearance così optammo per quell’alternativa che si rivelò particolarmente fortunata» conclude Biondi.

Mauro Picotto - LizardMauro Picotto – Lizard
Quando le prime copie di “Lizard” raggiungono gli scaffali dei negozi di dischi, nella primavera del 1998, nessuno è in grado di pronosticare cosa sarebbe avvenuto poco tempo dopo. Picotto stesso, nella recensione apparsa sulla rivista Trend Discotec di aprile, è ben lontano da pomposi annunci e ne parla sommessamente come «un mix che forse è un EP, tanto sono differenti le versioni in esso contenute». In effetti le quattro versioni presenti sul 12″ della BXR mostrano evidenti diversità: la Picotto Mix (promossa “Disco Strobo” da Tony H in From Disco To Disco il 7 marzo) punta dritta alla trance, la Nation Mix irrigidisce i suoni tirando dentro un frammento vocale di Martin Luther King, la Mondo Bongo Mix introduce la componente tribale e la Tea Mix, fondamentale per gli sviluppi futuri, riduce tutto a pochi elementi, scroscianti cascate di snare e soprattutto un caratteristico basso. Come descritto dal musicista Andrea Remondini nell’intervista finita in Decadance Appendix nel 2012, la Tea Mix viene realizzata in buona parte un lunedì mattina. «Durante il fine settimana Mauro si esibì in una discoteca in cui il DJ che lo aveva preceduto in consolle terminò il set con un disco che finiva con una lunghissima nota bassa» racconta. «A quel punto lui si sovrappose con un altro brano che iniziava con battute di sola cassa. Il risultato creò un effetto imprevisto: ogni colpo di cassa soffocava la nota bassa, che tornava poi a farsi sentire nelle pause tra un colpo e l’altro. Ipotizzai che la causa del fenomeno fosse un compressore applicato all’uscita del mixer» (ma Picotto, nel libro “Vita Da DJ – From Heart To Techno” recensito qui, parla di un microfono lasciato inavvertitamente aperto da cui «entrò il rumore dell’effetto Larsen sull’impianto audio della sala – il Joy’s di Mondovì – una risonanza che determinò un suono simile alla coda di un boato», nda). Vista l’euforica reazione del pubblico di fronte a quel fortuito abbinamento di suoni, i due cercano di riprodurre l’effetto in studio e il risultato lo si sente per l’appunto nella Tea Mix. La prima tiratura di “Lizard” passa abbastanza inosservata ma l’indifferenza si trasforma in enorme curiosità quando arrivano i remix. In particolare è la Megavoices Mix, realizzata dallo stesso Picotto e sviluppata partendo dalla Tea Mix, a cambiare lo status quo. Con una stesura che sfiora i dieci minuti, la traccia (adorata da Pete Tong che ribattezza Picotto con l’appellativo “The Lizard Man”) si ripresenta in una formula più organica, arricchita da un sample vocale ed una lunga pausa melodica centrale ispirata da “1998” dei Binary Finary. In pochi mesi “Lizard” fa il giro del mondo, Stati Uniti compresi, aprendo una fase carrieristica dal sapore internazionale per Picotto debitamente irrorata da altre hit come “Iguana” e “Komodo” che insieme a “Lizard” costituiscono l’ideale trilogia rettiliana. I suoni di “Lizard” diventano presto un autentico marchio di fabbrica per la BXR ed innescano centinaia di campionamenti ed imitazioni di ogni tipo. «A quel punto, così come era già avvenuto con la mediterranean progressive, abbandonammo quel suono per primi, dopo averlo inventato» aggiunge Remondini nella menzionata intervista. Curiosità: per il remix la BXR usa un numero di catalogo inferiore (1047) rispetto a quello del disco che ospita invece le prime versioni del brano (1048) nonostante la pubblicazione sia successiva.

Moby – Everytime You Touch Me
Archiviata la disputa legale con la Instinct Records che pubblica i primi due album, Moby firma per la Mute di Daniel Miller. È proprio questa a mandare in stampa il suo terzo LP, “Everything Is Wrong”, l’ultimo con cui l’artista newyorkese cavalca la dance music, un filone che gli fa guadagnare, seppur a malincuore, le critiche di certa stampa convinta che non sia capace di suonare alcuno strumento. «È una fissa mettere in dubbio le mie capacità» afferma in un’intervista realizzata a Londra da Piergiorgio “P.G.” Brunelli ed apparsa su Dance Music Magazine a maggio 1995. «Suono la chitarra da venti anni, perché dovrei usare un campionamento? Ho suonato di tutto, dalla chitarra al basso, dalle tastiere alle percussioni sino alla batteria. Ammetto che la maggioranza dei musicisti dance non sappia suonare musica ma io sono tutt’altro che un idiota. Qualsiasi cosa che esca da uno speaker e genera in me emozioni è positiva, non importa che sia un campionamento o un assolo di chitarra. Vorrei che fosse possibile apprezzare allo stesso tempo la gay-disco e i Biohazard, senza barriere mentali». Uno dei singoli estratti da “Everything Is Wrong” è “Everytime You Touch Me”: la versione originale contiene ancora retaggi del breakbeat di memoria rave ma con meno asperità ritmiche ed inselvaggimenti ridotti praticamente a zero, rimpiazzati da evidenti slanci melodici (vocali e pianistici) intarsiati a brevi parentesi raggamuffin ai tempi parecchio in auge nell’eurodance. A garantire il successo al brano nei primi mesi del 1995 però è uno dei tanti remix giunti sul mercato, quello degli infaticabili Beatmasters che nella loro Uplifting Mix lo ricostruiscono interamente edificando all’interno di esso due blocchi, uno più felice e radioso alimentato dalle voci di Rozz Morehead e Kochie Banton, l’altro più ombroso da cui riaffiora la sensibilità ravey. La Beatmasters 7″, una sorta di re-edit ma con un appeal più radiofonico, viene scelta invece per il videoclip. «Preferisco remixare le mie canzoni da solo perché è divertente ed economico, ma non sono geloso di ciò che faccio e se qualcuno vuole lavorare su un mio pezzo solitamente lascio fare» prosegue l’artista nella sopraccitata intervista. «Non tutti i miei brani però sono a disposizione, quelli molto personali non voglio darli a nessuno. Sono come i miei bambini ed hanno un significato particolare che non va stravolto». A prendere in licenza per l’Italia “Everytime You Touch Me” è la napoletana Flying Records che lo abbina ad una copertina di Patrizio Squeglia e lo convoglia sulla neonata Drohm varata a fine ’94 con “I Let U Go” dei KK e trainata dal successo di “Wonder” di DJ Cerla & Moratto. Sul 12″, oltre alle due versioni dei Beatmasters, ci sono pure la Na Feel Mix e la Freestyle Mix ad opera dello stesso Moby, e a completamento quella di Jude Sebastian, vincitore di una remix-competition a cui partecipano ben quattrocento persone. Da noi il successo è palpabile, il pezzo entra nell’airplay radiofonico e in decine di compilation. Pochi anni più tardi il musicista statunitense rimette tutto in discussione aprendo una nuova fase della carriera caratterizzata da caleidoscopiche sollecitazioni che lo trasformeranno in una sorta di cantautore electronic pop del nuovo millennio. Risultano profetiche, a tal proposito, le parole con cui chiude quell’intervista del 1995 in cui Brunelli gli domanda se abbia una band: «Io sono il gruppo, suonerò tutto eccetto le percussioni. Ho poca pazienza coi musicisti che non sono capaci di fare ciò che gli chiedo, ed io ho grosse pretese».

Moloko - Sing It BackMoloko – Sing It Back
Il duo dei Moloko (il compositore/produttore Mark Brydon e la cantante Róisín Murphy) non impiega molto a raggiungere il successo: già nel 1995, anno del debutto, si impone un po’ ovunque con “Fun For Me”, estratto dall’album “Do You Like My Tight Sweater?”. Nel successivo, “I Am Not A Doctor” uscito nel 1998, figura “Sing It Back”, un brano che plana magicamente su una coltre di materia fumosa dalla singolare consistenza. A dargli la spinta necessaria per trasformarlo in un successo pop è una delle versioni che appaiono nei primi mesi del ’99, la Boris Musical Mix del DJ tedesco Boris Dlugosch, affermatosi nel ’96 con “Keep Pushin'”, nonostante l’etichetta avesse puntato tutto sul remix di Todd Terry, la Tee’s Freeze Mix, sperando che potesse seguire lo stesso corso di “Missing” degli Everything But The Girl. Corre voce che Brydon e la Murphy abbiano faticato non poco per convincere i dirigenti della Echo ad inserire sul disco la versione di Dlugosch (affiancato dal fido collaboratore Michi Lange con cui incide altri discreti successi come “Check It Out! (Everybody)” di BMR, “Azzurro” di Fiorello e i remix per “Blen Blen” di Edesio e “Never Enough” della stessa Murphy) a conti fatti quella che ha trasformato “Sing It Back” in una hit mondiale.

Moratto - WarriorsMoratto – Warriors
Analogamente ad altri dischi trattati in questo articolo, pure “Warriors” viene immesso sul mercato con un remix ad affiancare la versione originale. Nella Bat Mix Elvio Moratto riversa la passione che ai tempi nutre per la dance di matrice mitteleuropea, quella che prende le mosse da generi come hard trance, progressive, rave techno ed happy hardcore, ma nel contempo la farcisce con una vena melodica tipicamente all’italiana. Cantato da Jo Smith, “Warriors” esce nei primi mesi del 1995 raccogliendo discreto successo grazie al remix dei Datura intitolato, forse non casualmente, Main Mix. Pagano, Mazzavillani e Ricci DJ approntano una versione che non differisce molto da quella originale ma risultando d’impatto e garantendo un buon airplay radiofonico ed un’apprezzabile resa in termini di vendite seppur non paragonabile a quella di altri pezzi del repertorio morattiano, su tutti “La Pastilla Del Fuego” dell’anno prima, peraltro remixato sempre dai bolognesi Datura in una sorta di mash-up con la loro “Eternity”. «L’idea di affidare il remix ai Datura fu mia, trattandosi di un team con cui avevo piacere di collaborare» dichiara oggi Moratto contattato per l’occasione. «La scelta di puntare su quella versione come principale però non dipese da me. “Warriors” vendette 20.000 copie in Italia, compreso il Live Remix che feci successivamente e che viene ancora suonato in alcuni club oltremanica». Discutibile, forse, la scelta della Flying Records di commercializzare “Warriors” proprio mentre imperversa “Wonder” che Moratto realizza a quattro mani con DJ Cerla per un’etichetta della stessa società, la neonata Drohm, ritrovandosi paradossalmente a far concorrenza a se stesso. «Entrambi i brani furono prodotti nello stesso periodo ma non credo sia stato controproducente pubblicarli quasi in contemporanea. “Wonder” abbracciò il pubblico commerciale e vendette molto di più ma poiché editi dallo stesso gruppo discografico, alla Flying decisero di investire solo in un video, quello di “Wonder”» conclude Moratto.

Mulu - PussycatMulu – Pussycat
Autentica meteora nella seconda metà degli anni Novanta, i Mulu (Alan Edmunds e Laura Campbell) debuttano nel ’96 con “Desire”, primo singolo estratto da “Smiles Like A Shark”. Nel ’97, tratto dallo stesso LP, tocca a “Pussycat”, un brano downtempo per cui viene girato un videoclip e che, come si usa fare allora, viene dato in pasto a vari remixer. Tra loro c’è François Kevorkian che rende il pezzo appetibile alle piste da ballo trasformandolo in una gioiosa cantilena. A pubblicarlo in Italia è la Nitelite The Club Records, etichetta del gruppo Do It Yourself che in copertina piazza un bel “n° 1 club hit”.

Negrocan - Cada VezNegrocan – Cada Vez
Nati a Londra nei primi anni Novanta dalla collaborazione tra diversi musicisti provenienti da più parti del globo (tra cui il percussionista triestino Davide Giovannini), i Negrocan incidono il primo album intitolato “Medio Mundo” nel 1996. Uno dei pezzi racchiusi all’interno ed estratto come singolo è “Cada Vez”, scandito da ritmi caraibici, elementi bossanova e dalla voce della brasiliana Liliana Chachian. I responsi sono impietosi e il brano finisce presto nel dimenticatoio. Alla fine del 1999 però il remix del britannico Grant Nelson, che trasla il mood latino di partenza nel mondo della house facendo il verso allo stile dei Masters At Work, apre nuove ed inaspettate prospettive. In verità a sancire la rinascita del brano nel 2000 è un’altra versione, quella realizzata da Jerry Ropero, belga trapiantato in Spagna, capace di enfatizzare ulteriormente le potenzialità del brano dei Negrocan. L’Avant Garde Remix (Avant Garde è il progetto con cui nel ’99 Ropero & soci catalizzano l’attenzione europea attraverso “Get Down”) conquista prima i DJ dei club e poi anche i programmatori radiofonici, e nell’arco di pochi mesi il pezzo esplode in buona parte del vecchio continente. A pubblicarlo in Italia (inclusa la Album Version) è la Heartbeat del gruppo Media Records che, in seconda ripresa, mette in circolazione due ulteriori rivisitazioni, quella di Intrallazzi & Fratty e quella di Gigi D’Agostino che, all’apice della popolarità, alimenta ulteriormente il successo trasversale e momentaneo dei Negrocan.

Neja - RestlessNeja – Restless
Dopo l’esordio in sordina del ’97 con “Hallo”, per Agnese Cacciola alias Neja si aprono le porte del successo. Ciò avviene con “Restless”, un pezzo prodotto da Alex Bagnoli presso il suo Alby Studio, a Modena, che si impone come hit estiva in Italia e poi fa il giro del mondo ma soltanto a diversi mesi dall’uscita del disco. L’Extended Version è gradevole ma poco impattante a livello pop. Ci pensano i Bum Bum Club a riconfezionare la canzone in un efficace remix perfettamente calato in una dimensione che sposa le capacità vocali della cantante piemontese alle caratteristiche dell’italodance di fine decennio. Tale versione è scelta per accompagnare il videoclip. Alla luce dei risultati, i Bum Bum Club vengono ingaggiati per il follow-up, l’autunnale “Shock!”, che però raggiunge risultati più contenuti. Il tutto sotto la direzione di Pippo Landro della New Music International che vuole Neja su LUP Records, etichetta partita con “Illusion” dei Ti.Pi.Cal. nel 1994.

New Atlantic - The Sunshine After The RainNew Atlantic – The Sunshine After The Rain
Sino al 1994 la popolarità dei New Atlantic (Richard Lloyd e Cameron Saunders, da Southport, a pochi chilometri da Liverpool) non riesce ad andare oltre i confini patri. I tentativi di replicare il buon successo ottenuto con “I Know” vanno a vuoto ma quando tutte le speranze sembrano perdute accade qualcosa di inaspettato. Sulla scrivania di Jon Barlow, manager della 3 Beat Music che ha messo sotto contratto il duo, arriva “The Sunshine After The Rain”, cover dell’omonimo di Ellie Greenwich del ’68 e già ripreso con successo da Elkie Brooks nel ’77. La versione originale, pare realizzata da Neil Bowser alias U4EA, è inchiodata ad una base breakbeat, piena di asperità ritmiche. Il successo è assicurato dal remix realizzato in Italia da Roberto Gallo Salsotto in cui vengono sapientemente bilanciate ariose melodie eurodance al rigore meccanico di un bassline di moroderiana memoria. «Alla 3 Beat furono entusiasti del risultato e, per dare al disco una spinta maggiore in scia al successo di “Everybody Gonfi-Gon” che avevano licenziato pochi mesi prima, mi chiesero di usare il marchio Two Cowboys che condividevo con Maurizio Braccagni, nonostante avessi eseguito quel remix da solo» racconta qui Gallo Salsotto. La sua versione viene scelta sia per sincronizzare il videoclip che per accompagnare le apparizioni televisive come quella a Top Of The Pops. L’immagine è affidata invece a Rebecca Sleight alias Berri che dal 1995 diventa unica interprete del brano pubblicato in tutto il mondo con oltre 200.000 copie vendute.

Nick Beat - TechnodiscoNick Beat – Technodisco
Partito nel 1996 con “Bow Chi Bow” che attinge dal classico dei Vicious Delicious intitolato “Hocus Pocus”, Nick Beat è il progetto tedesco messo su da Tom Keil e Thorsten Adler. I due fanno centro nel 2000 con “Technodisco”, un pezzo che inizia a circolare in formato white label e che in breve tempo conquista le attenzioni della Zeitgeist del gruppo Polydor, probabilmente attratta dalla evidente somiglianza con una hit di poco tempo prima, “Kernkraft 400” degli Zombie Nation. La versione originale, la Technodiscomix, fa incetta dei tipici elementi della dance tedesca di allora con retaggi hard trance misti a suonini che sembrano saltare fuori da un vecchio coin-op degli anni Ottanta. Dei diversi remix giunti sul mercato quello di Axel Konrad, figura chiave della handsup teutonica, si distingue meglio per il grande pubblico. Più “picchiaduro”, per restare ancorati al mondo dei videogiochi d’antan, sono le versioni del compianto Pascal F.E.O.S. e di Thomas P. Heckmann. A pubblicare il disco in Italia è la Green Force del gruppo Arsenic Sound, lo stesso che prende in licenza “Kernkraft 400″ e che, a distanza di qualche settimana, mette in vendita un 12” con due ulteriori remix di “Technodisco” a firma DJ Gius, l’artefice del successo mondiale di Zombie Nation di cui si parla più avanti.

Nightcrawlers - Push The Feeling OnNightcrawlers – Push The Feeling On
Ispirata da “Pass The Feelin’ On” dei Creative Source, “Push The Feeling On” esce nel 1992 e prova a ritagliarsi un posto nel mercato acid jazz a cui la band dei Nightcrawlers, guidata dal cantante John Reid, approccia già l’anno prima con “Living Inside A Dream”. Il destino però ha in serbo altri progetti. La Nocturnal Dub realizzata dal DJ americano Marc ‘MK’ Kinchen, fratello di Scott Kinchen alias Scotti Deep, dona al brano una veste completamente diversa, ritmicamente (con una base in stile StoneBridge) e sotto il profilo dell’arrangiamento con un assolo di sax che, insieme ad una filastrocca di loop vocali concatenati, diventa un autentico tormentone. Sarà sempre Kinchen a perfezionare ulteriormente “Push The Feeling On” nella MK Mix 95 giunta, per l’appunto, nel 1995, anno in cui si cerca, proprio col suo aiuto, di bissare il successo con altri singoli (“Surrender Your Love”, “Don’t Let The Feeling Go”, “Let’s Push It”) ma con risultati inferiori. Difficile o forse impossibile tenere il conto dei remix, riadattamenti (si senta, ad esempio, “Control Your Body” di Wagamama) e cover di “Push The Feeling On” usciti nell’arco di quasi un trentennio a cui si è recentemente aggiunta la fortunata versione di Riton.

Nina - I'm So ExcitedNina – I’m So Excited
La croata Nina Badric inizia la carriera da cantante nei primi anni Novanta ma con pochi risultati che valicano i confini. La situazione cambia alla fine del 1998 grazie al brano “I’m So Excited”, remake dell’omonimo delle Pointer Sisters prodotto da Albert Koler, che invece fa il giro di buona parte d’Europa conquistando in particolar modo Austria, Francia, Spagna, Grecia ed Italia. La main version, la NYC RnB Mix, è una slow ballad r&b per l’appunto. Koler appronta comunque una versione destinata alle discoteche, la Exciting House Mix. In Italia però Nina spopola grazie ad uno dei due remix realizzati da Alex Voghi e Filippo ‘Sir H’ Soracca, precisamente il Solid State Dance, che tiene banco sino all’estate 1999. A pubblicare il brano, sia su 12″ che CD singolo, è la Dance Excess del gruppo Hitland. Per il follow-up, “One & Only”, la casa discografica scommette sulla versione di DJ Dado realizzata insieme a Roberto Gallo Salsotto presso il suo Stockhouse Studio.

Olive- You're Not AloneOlive – You’re Not Alone
Londra, 1994: il musicista Tim Kellett, ex componente dei Simply Red, e Robin Taylor-Firth, dalla formazione dei Nightmares On Wax, si conoscono attraverso un amico comune ed iniziano a buttare giù idee nello studio casalingo di Kellett. Approntano tre demo, strumentali. Uno di quelli diventa “You’re Not Alone” con la voce di Ruth-Ann Boyle che proprio Kellett sente per caso, attraverso una registrazione, durante una tappa del tour dei Durutti Column per cui quell’anno è ingaggiato come tastierista. La Boyle, tra le coriste dell’album “Sex And Death” degli stessi Durutti Column, si diletta a cantare con band locali della sua città natale, Sunderland, ma sino a quel momento non ha maturato significative esperienze professionali. A settembre del 1995 i tre firmano un contratto con la RCA che nel 1996 pubblica l’album “Extra Virgin”. L’LP, come dichiara Taylor-Firth in questa intervista del 2007, viene realizzato con un paio di sintetizzatori (Roland Juno-60 ed E-mu Vintage Keys) e tre campionatori Akai S3000. Il primo singolo ad essere estratto è “You’re Not Alone”, accompagnato dal relativo videoclip. I responsi sono impietosi, il mix tra rarefatte atmosfere ambientali ed accartocciamenti trip hop non sortisce grandi risultati, e neanche i remix firmati da nomi blasonati come X-Press 2 e Tin Tin Out, tempestivamente pubblicati anche in Italia dalla Flying Records, riescono ad invertire la rotta. Nel 1997 arrivano nuove versioni tra cui quelle di Roni Size, The Ganja Kru, Rollo & Sister Bliss dei Faithless e Paul Oakenfold & Steve Osborne e per gli Olive le cose cambiano radicalmente, in modo simile a quanto avvenuto pochi anni prima ai connazionali N-Trance con “Set You Free”. “You’re Not Alone” entra nella classifica britannica e vende oltre 500.000 copie trainando “Extra Virgin” che la RCA ovviamente ristampa distribuendolo in tutto il mondo, ma curiosamente solo in formato CD e cassetta (il vinile arriva quasi venti anni dopo, nel 2016). A maggio del 1997 ad osannare gli Olive è anche il pubblico di Top Of The Pops mentre arriva un secondo video di “You’re Not Alone” che fa da cornice ad un tour internazionale. Così come la Boyle raccontava anni fa sul suo sito, Madonna assiste ad una performance in Germania proprio durante quel tour e, con entusiasmo, propone alla band di incidere un nuovo album per la sua etichetta, la Maverick. Il disco arriva nel 2000 e si intitola “Trickle”. Più di qualche critico musicale (tra cui Larry Flick in una recensione apparsa su Billboard l’11 aprile 1998) però fa notare che la fascinazione su Madonna prende già corpo con “Frozen”, prodotta da William Orbit, remixata per i club da Victor Calderone e contenente i parametri di “You’re Not Alone”. La hit degli Olive continuerà ad essere motivo d’ispirazione come testimoniano molteplici cover uscite nel corso degli anni a partire da quella del tedesco ATB risalente al 2002.

Paul van Dyk - For An AngelPaul van Dyk – For An Angel
“For An Angel” è uno dei brani racchiusi in “45 RPM”, album di debutto per Paul van Dyk nonché il primo dei due che il DJ destina alla MFS di Mark Reeder. Co-prodotta con l’ingegnere del suono Johnny Klimek, la traccia è imperniata su un breve riff melodico innestato su una base più vicina alla progressive house che alla trance. Nota essenzialmente a chi ha comprato quell’album, nel 1998 per “For An Angel” si apre una seconda vita, molto più intensa della precedente. La britannica Deviant Records del compianto Rob Deacon pubblica un 12″ con tre remix della traccia per lanciare il tedesco oltremanica. Tra quelle nuove versioni c’è la E-Werk Club Mix, approntata dallo stesso van Dyk: grazie ad un ritmo più euforico simile a quello costruito per il remix di “1998” dei Binary Finary, il brano adesso conquista l’intera platea europea, complici la Love Parade di Berlino dove è consacrata allo status di inno ed un videoclip girato per l’occasione. A pubblicare il disco in Italia è la Milk’n Honey, una delle etichette del gruppo More Music curata artisticamente da Raffaela Travisano intervistata qui.

Powerhouse Featuring Duane Harden - What You NeedPowerhouse Featuring Duane Harden – What You Need
Powerhouse è il nome con cui il DJ newyorkese Lenny Fontana firma un successo mondiale nel 1999. Avvalendosi della graffiante voce di Duane Harden, lo stesso che interpreta “You Don’t Know Me” di Armand Van Helden, e sfruttando abilmente un campionamento tratto da “I’m Here Again” di Thelma Houston, Fontana assembla un brano irresistibile, legato tanto alla house quanto alla disco. La versione passata alla storia però non è l’Original Mix bensì il remix dei britannici Full Intention (Jon Pearn e Michael Gray), da anni attratti da quel tipo di fusione stilistica a cui peraltro devono gran parte della loro popolarità (si pensi a brani del repertorio come “Uptown Downtown”, “America (I Love America)” e “Shake Your Body (Down To The Ground)”). È proprio il remix dei Full Intention ad essere sincronizzato sul videoclip programmato dalle tv musicali sparse in tutto il pianeta.

Rachid - PrideRachid – Pride
Figlio del compianto Ronald Nathan Bell, uno dei fondatori dei Kool & The Gang, l’allora ventiquattrenne Rachid non intende affatto usare il nome del padre come scorciatoia per raggiungere il successo o grimaldello per aprire porte nel music biz. Si propone piuttosto come un sedicente poeta punk, ispirato da Björk, Bauhaus, Sonic Youth, Chaka Khan, David Bowie e Marcel Proust, e mostra interessi plurimi che passano dal trip hop all’industrial, dal drum n bass al folk e al soul con l’intenzione di creare il prototipo della musica del futuro. Non a caso “Prototype” è il titolo del suo primo (ed unico) album che Universal pubblica nel 1997 raccogliendo rincuoranti consensi dalla critica che ne parla come disco candidato a ridefinire i confini del pop. Anche il primo singolo estratto, “Pride”, promette molto bene. «È stata la prima canzone che ho registrato, musicandola con un sample hip hop e il suono del violoncello, credo sia perfetta per introdurre il pubblico a ciò che rappresento» spiega l’artista in un’intervista a cura di Michael A. Gonzales apparsa a settembre 1998 sulla rivista americana Vibe. In circolazione finisce pure il video destinato al circuito delle tv musicali. Una serie di remix poi traghetta Rachid anche nel mondo dei DJ e delle discoteche: in particolare è la versione dei Mood II Swing ad essere salutata con maggior entusiasmo, pure in Italia dove viene pubblicata ad inizio ’98 dalla Nitelite The Club Records del gruppo Do It Yourself guidato da Max Moroldo che rimarca la presenza di quella versione in copertina. Sul trampolino di lancio c’è già il secondo singolo, “Charade”, ma dissapori con la Universal, causati da un presunto cambio di politica aziendale, bloccano tutto. Di “Charade” inoltre è pronto un remix realizzato da Grooverider ma la fine del rapporto con la casa discografica vanifica tutto. Nel 2007 lo stesso Grooverider manda in onda quel remix nel suo radio show su BBC Radio 1, invitando gli ascoltatori a registrarlo perché rarissimo ed inciso su pochissimi acetati.

Rahsaan Patterson - Where You AreRahsaan Patterson – Where You Are
Dopo alcune esperienze come attore, Patterson approda alla musica figurando come corista per vari artisti, su tutti Brandy nel brano “Baby” del ’94. L’anno dopo viene scritturato dalla MCA che nel ’97 pubblica il suo primo album intitolato “Rahsaan Patterson”, un condensato di soul ed r&b. In questo LP c’è “Where You Are”, una ballata romantica supportata dal relativo video. A portare la musica di Patterson al grande pubblico è però il remix di Steve “Silk” Hurley, praticamente in stato di grazia dopo “The Word Is Love” realizzata pochi mesi prima con Sharon Pass e a cui i suoi tanti remix di quel periodo, incluso quello per Rahsaan Patterson, sono direttamente connessi.

Ralphi Rosario Featuring Donna Blakely - Take Me Up (Gotta Get Up)Ralphi Rosario – Take Me Up (Gotta Get Up)
Tra i veterani della scena house chicagoana nonché membro del collettivo Hot Mix 5, Ralphi Rosario incide un inno monolitico nel 1987, “You Used To Hold Me”. Instancabile DJ e produttore/remixer, torna al successo trasversale capace di abbracciare pure il frangente mainstream esattamente dieci anni più tardi, a fine ’97, quando circola un doppio mix su Underground Construction intitolato “Take Me Up (Gotta Get Up)”. La versione originale del brano, interpretato dalla compianta Donna Blakely che mette bene in mostra le proprie potenzialità vocali, gira su un ossessivo basso su cui si innesta a ventaglio tutta una serie di elementi, da fiati ad inserti di tastiere. È perfetto per i club specializzati, meno per le radio e le grandi platee. Uno dei quattro remix incisi sul doppio però, quello di Rafael Rodriguez alias Lego che un paio dopo spopola grazie ad “El Ritmo De Verdad”, capovolge la situazione. Con un ipnotico loop ritmico su cui cresce rigogliosamente la voce della Blakely, il pezzo esplode nei primi mesi del 1998 affermandosi in buona parte d’Europa. A licenziarlo in Italia è la Rise, neonata etichetta della Time Records curata da Alex Gaudino che sul 12″, oltre alla Lego’s Mix ovviamente piazzata in posizione A1, vuole pure la versione dei Fire Island. L’Original Club Mix di Rosario è relegata invece al lato b. Sul CD singolo finiscono infine altri due remix, quelli di Kevin Halstead (anche lui passato a miglior vita) e JJ Flores ma ininfluenti per il successo commerciale del brano.

Reel 2 Real - Go On MoveReel 2 Real – Go On Move
Balzati all’attenzione generale tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994 con “I Like To Move It”, i Reel 2 Real capitanati dal compianto Erick Morillo cavalcano la seconda ondata hip house insieme ad artisti come 2 In A Room, 740 Boyz, Outhere Brothers e KC Flightt. Il follow-up del citato “I Like To Move It” è proprio “Go On Move”, un brano risalente all’anno prima quando la Strictly Rhythm lo pubblica ma senza raccogliere grandi risultati. Nella Erick “More” Mix si sente bene l’imprinting morilliano ma solo grazie alla Erick “More” 94 Vocal Mix, accompagnata dal relativo videoclip e da una parte vocale più estesa interpretata da Mark Quashie alias The Mad Stuntman, il brano diventa un successo estivo. In Italia è un’esclusiva della napoletana UMM che in autunno pubblica anche l’album “Move It!” da cui verranno estratti altri singoli più o meno fortunati come “Can You Feel It?”, “Raise Your Hands” e “Conway”.

Rexanthony - Capturing MatrixRexanthony – Capturing Matrix
Le prime versioni di “Capturing Matrix”, tra cui svetta la Trancegression, iniziano a circolare nella primavera del 1995 attraverso un mix edito dalla S.O.B. del gruppo Dig It International. Quella dell’allora diciottenne Anthony Bartoccetti, figlio dei musicisti Doris Norton (a cui abbiamo dedicato una monografia qui) ed Antonio Bartoccetti, è indiavolata hard trance in cui scorre una spiccata vena melodica che gli apre le porte del mainstream. A decretare il successo del brano a fine estate è il remix realizzato dallo stesso Rexanthony che la S.O.B. immette sul mercato su un 12″ contenente “Cocoacceleration”, realizzata a quattro mani con Molella, e “Deltasygma”. Il successo è tale da conquistare la vetta della classifica dance ai tempi più monitorata ed influente d’Italia, la DeeJay Parade, e generare più di qualche clone realizzato in copia carbone come “Melody In Motion” di Liberty. Ps: si narra che la linea melodica di “Capturing Matrix” sia stata ispirata da “Capturing Universe”, un brano composto dai genitori di Bartoccetti nel 1980 per l’album “Praeternatural” ma di cui non vi è traccia sino al 2003, anno in cui viene pubblicato dalla Black Widow Records. Pare più plausibile invece la relazione tra “Capturing Matrix” (e il follow-up autunnale “Polaris Dream”) e “Universe Of Love” del tedesco RMB, uscita nel ’94 e di cui parliamo qui nel dettaglio.

Robert Miles - ChildrenRobert Miles – Children
Quando si accorge che in circolazione c’è un altro Roberto Milani, pseudonimo utilizzato per alcuni dischi che non riescono ad uscire dall’anonimato, Roberto Concina modifica il suo alter ego ed opta per l’inglesizzazione, Robert Miles. Il primo 12″ firmato col nuovo nome è “Soundtracks”, pubblicato nei primi mesi del 1995 da una delle etichette di Joe T. Vannelli, la DBX Records. Uno dei quattro brani inclusi è “Children”, seppur storpiato da un errore tipografico, sia sulla copertina che sull’etichetta centrale, in “Childrtens”. Questa versione, un ibrido tra progressive house e progressive trance con arcate melodiche in grande evidenza, viene completamente snobbata. Quando la Platipus di Simon Berry prende in licenza “Children” per il territorio britannico però cambia tutto. All’etichetta d’oltremanica Concina destina anche un remix del brano in cui la vena melodica è implementata da un assolo di pianoforte che anni dopo si scoprirà essere parzialmente ispirato da “Napoi Menia Vodoi” del musicista russo Garik Sukachov, sembra col suo benestare. Ad onor del vero anche l’impostazione armonica di stampo new age, già presente nell’Original Version, pare non essere farina del suo sacco: come si legge in questo articolo del 18 settembre 1997, il musicista Patrick O’Hearn accusa Concina di plagio ai danni del suo “At First Light”, contenuto nell’album “Ancient Dreams” del 1985, e chiede oltre dieci milioni di dollari come risarcimento. Comunque siano andate le cose, quel remix del brano, poi diventato la definitiva Dream Version, cambia la vita di Concina, conquistando la vetta delle classifiche in ben diciotto Paesi del mondo e vendendo milioni di copie, dai tre e mezzo ai cinque, secondo diverse interviste. Il resto lo potete leggere in questo dettagliato articolo.

Robin S - Show Me LoveRobin S – Show Me Love
Nata nel 1962 a New York, Robin Stone debutta nel 1990 col brano “Show Me Love”, scritto e prodotto per la londinese Champion da Allen George e Fred McFarlane incontrati, come lei stessa racconta in un’intervista rilasciata nell’autunno del 1994, durante una delle serate che tiene nei dinner club e nei privée delle discoteche dell’area newyorkese insieme alla sua band, i Top Shelf. La versione principale, la Montego Mix, è mixata da Anthony King e scorre su partiture house garage, non pretenziose ed un filo banali seppur ben realizzate. In pochi si fanno avanti, la ZYX per la Germania, la Carrere per la Francia e la Media Records per l’Italia che lo pubblica sulla Whole Records ma con risultati deludenti. “Show Me Love” finisce presto nel dimenticatoio. Un paio di anni dopo circa però un remix proveniente dalla Svezia cambia il corso degli eventi. A realizzarlo sono StoneBridge e Nick Nice della SweMix, un collettivo di DJ e produttori in cui figurano, tra gli altri, anche il compianto Denniz Pop e Douglas Carr. Gli svedesi dotano il pezzo di un apparato ritmico/sonoro interamente nuovo che fornisce a “Show Me Love”, ora ripubblicato in tutto il mondo, una seconda vita che di fatto non si è mai conclusa a giudicare dal numero di remake e remix usciti sino ad oggi. Anche la cantante, coinvolta nel videoclip sincronizzato sulla nuova versione, si ripresenta al pubblico con un nome parzialmente diverso, Robin S. Ad accaparrarsi i diritti per la pubblicazione in Italia è D:Vision Records del gruppo Energy Production, la stessa che si aggiudica il follow-up “Luv 4 Luv”, ancora remixato da StoneBridge.

Roc & Kato - AlrightRoc & Kato – Alright
Il duo americano formato da Ramon Ray Checo e Juan Kato incide house music sin dal 1991 ma senza velleità commerciali. Il loro sound è fedelmente ancorato alla scena house newyorkese come testimoniato dai vari dischi del repertorio, incluso “Alright” che la Slip ‘n’ Slide pubblica nella primavera del 1995. La Original Vocal Mix è spassionata house garage, cantata da Charmaine Radcliff e Bendel Holt con inserti di pad ed un organo hammond. Sul doppio figurano già un paio di remix, tra cui quello di Davidson Ospina, che ingolosiscono gli adepti della garage e che stuzzicano qualcuno alla sede della Discomagic che prende in licenza il brano per l’Italia ristampandolo su etichetta Reform. A far cambiare traiettoria ad “Alright” sarà, qualche mese più tardi, il remix firmato da Mario ‘Get Far’ Fargetta che da noi diventa un discreto successo autunnale. La nuova versione, pubblicata sempre da Reform e realizzata negli studi della bresciana DJ Movement insieme al musicista Pieradis Rossini, mantiene pochi elementi dell’originale puntando ad una ricostruzione fatta di suoni eurodance ed un cantato che fa leva sull’hook di facile memorizzazione.

Rosie Gaines - Closer Than CloseRosie Gaines – Closer Than Close
La versione originale, in stile r&b, risale al 1995 ed è inclusa nell’album omonimo su Motown, “Closer Than Close”, il secondo inciso dalla cantante californiana, ex corista dei New Power Generation. A conquistare il mondo delle discoteche e le classifiche di vendita europee (soprattutto quella britannica di cui raggiunge la vetta) è però il remix esploso due anni più tardi. A realizzarlo sono i Mentor (Hippie Torrales e Mark Mendoza) che con la loro rielaborazione garage house, in circolazione già dal 1996 in formato white label e supportata da molti DJ tra cui il nostro Coccoluto come si legge qui, garantisticono alla Gaines un momento di inaspettata popolarità riuscendo a dare filo da torcere agli altri remixer coinvolti, i londinesi Tuff Jam e l’indimenticato Frankie Knuckles. Per l’occasione viene girato un videoclip diretto da Steve Price. Nella sua biografia Torrales parla di oltre otto milioni di copie vendute, una soglia incredibile per un pezzo che nella versione di partenza aveva rivelato ben poche speranze di sviluppo. Con lo scopo di rendere quanto più longevo possibile l’exploit di Rosie Gaines, la Bigbang Records commissiona sempre ai Mentor il remix del follow-up, “I Surrender”, ma fallendo l’obiettivo.

Run Feat. Justine Simmons - Praise My DJ's (My Funny Valentine)Run Feat. Justine Simmons – Praise My DJ’s (My Funny Valentine)
Inizialmente pubblicato dalla britannica Positivity Records diretta dall’A&R Carlton Brady, “Praise My DJ’s (My Funny Valentine)” è un pezzo hip house modellato sulle liriche di una vecchia canzone scritta negli anni Quaranta da Richard Rodgers e Lorenz Hart, “My Funny Valentine”. Ad interpretarlo sono Joseph Simmons alias Run (il Run dei Run-DMC) e la moglie Justine, ma i risultati ottenuti con le versioni iniziali prodotte da Kirwin Rolle e Remano Dunkley sono particolarmente deludenti. Il remix invece, realizzato in Italia dal team dei Mach 3, capovolge letteralmente la situazione trasformando la traccia in un successo dalle dimensioni internazionali. Merito di un trattamento che gli autori (Alessandro Zullo, Andrea Monta e Luca Neuburg, coadiuvati dagli scratch di DJ Aladyn) edificano rispolverando il mood nevinsiano di “It’s Like That” abbinato a stab di memoria rave ma soprattutto ad un riff fischiettato, vero elemento identificativo che fa di “Praise My DJ’s (My Funny Valentine)” un tormentone tra la primavera e l’estate 1999, accompagnato dal relativo videoclip ovviamente sincronizzato sul remix. A commissionare il lavoro ai Mach 3 (e al veneto Spiller, prossimo ad esplodere con la sua “Groovejet”) è la More Music Italy, ai tempi guidata dalla citata Raffaela Travisano, che convoglia il brano su etichetta Priveé. «Super programmato in radio e in discoteca e presente nelle top ten di vendita, a dimostrazione che le diffidenze delle prime settimane erano totalmente ingiustificate» scrive in merito Eugenio Tovini sulle pagine di Trend Discotec a luglio di quell’anno. Il follow-up, “Check Out The Floor (Summer Breeze)”, remixato ancora dai Mach 3 in quella che pare davvero la fotocopia del precedente, arriva solo nel 2001 sulla 909 Records, una delle label di Joe T. Vannelli, ma ormai fuori tempo massimo.

Run-DMC - It's Like ThatRun-DMC – It’s Like That
Nel 1997, quattordici anni dopo la pubblicazione sulla Profile Records, un remix (in Italia pubblicato dalla bresciana Time) riporta in vita “It’s Like That”, singolo d’esordio dei Run-DMC, dando ad esso una nuova veste sonora ed un’inedita prospettiva. L’artefice, il newyorkese Jason Nevins, sovrappone l’acappella originale ad una trascinante base e il risultato piace talmente tanto da conquistare la prima posizione delle classifiche di vendita in svariate nazioni e macinando oltre cinque milioni di copie anche se Nevins, pare, abbia incassato solo 5000 sterline così come riportato qui dalla BBC. Per far fronte al successo inaspettato viene girato un videoclip che proietta il gruppo in una scena ben diversa rispetto a quella hip hop e ciò provoca, prevedibilmente, aspre critiche degli integralisti, poco propensi a mandare giù una versione più volte definita “pacchiana”. Si parla anche di screzi e risentimenti tra il remixer e gli autori emersi nel 1999 attraverso la rivista XXL Magazine. Comunque sia il particolare beat, una sorta di brutalizzazione di “The House Of God” di DHS, diventa una tag identificativa per Nevins, pronto a riutilizzarlo per altri remix come quello di “It’s Tricky”, ancora dei Run-DMC, e “We Want Some Pussy!” dei 2 Live Crew a cui seguono anche vari tentativi di imitazione come “Work It” di Junkfood Junkies e “I Know You’ve Got Soul” di Trade Secrets.

Sandy B - Make The World Go RoundSandy B – Make The World Go Round
Contrariamente a quanto avviene di solito nel mondo della musica, la carriera della cantante statunitense Sandra Barber decolla dopo aver mollato le multinazionali in favore di etichette indipendenti. Negli anni Ottanta milita prima nei Chew (per la Capitol Records) e poi nei Blue Moderne, sotto contratto con l’Atlantic, ma il successo internazionale giunge nel ’92 grazie a “Feel Like Singin'”, edito da Nervous Records ed impreziosito da un remix di David Morales. Il vero botto nel 1996 con “Make The World Go Round”, pubblicato dalla Champion pare bypassando del tutto la versione originale rimasta, secondo quanto riportato ai tempi da un magazine tedesco, nel cassetto ed allo stato di demo. Scritto da Brinsley Evans e Thomas Del Grosso, il brano si impone in tutto il mondo grazie al remix dei Deep Dish, colorito da un caratteristico disegno di basso che risulterà l’indiscusso punto di forza tanto da essere riproposto in innumerevoli salse, a partire da “Let Me Show You” di Camisra. Con il loro Round The World Remix dunque, Dubfire e Sharam surclassano le rivisitazioni di esimi colleghi come StoneBridge e Kerri Chandler, e dimostrano che il successo ottenuto l’anno prima col remix di “Hideaway” dei De’Lacy, di cui si è già detto sopra, non fu solo frutto della fortuna. Commercialmente meno entusiasmante sarà invece il follow-up, “Ain’t No Need To Hide”, che i Deep Dish rileggono nella Sequel Mix in Italia pubblicata, analogamente a “Make The World Go Round”, dalla D:Vision Records.

Scott Grooves - Mothership ReconnectionScott Grooves – Mothership Reconnection
A portare grande popolarità a Patrick Scott, DJ e produttore di Detroit meglio noto come Scott Grooves, è “Mothership Reconnection”, rielaborazione house di “Mothership Connection (Star Child)” dei Parliament di George Clinton anche se, come chiariscono i crediti, i frammenti campionati non sono del brano uscito nel 1975 bensì quelli presi dal Live di Houston registrato dieci anni più tardi. Ai tempi la versione di Scott viene incanalata nel French Touch seppur la traccia provenga dagli States: col suo metti e togli di fiati e scampoli di batteria, pare davvero un pezzo uscito dallo studio dei Motorbass, I:Cube o Dimitri From Paris. Magari sarà stata proprio questa somiglianza a spingere i vertici della scozzese Soma a commissionare un remix ad un duo francese su cui avevano scommesso per primi nel ’94, i Daft Punk. Così, dal Daft House di Parigi, arriva un remix che sintetizza le idee di partenza di Scott centrifugate in un energetico puzzle da cui affiorano tessere electrofunk. Il risultato è irresistibile e finisce col mettere in ombra la versione originale inclusa nell’album “Pieces Of A Dream” pubblicato sempre dalla Soma di Glasgow.

Shamen - Move Any MountainShamen – Move Any Mountain
Analogamente ai connazionali Underworld, pure gli Shamen iniziano con un nome diverso (Alone Again Or) abbracciando il rock alternativo seppur senza vantare un successo simile per dimensioni a “Doot-Doot”. Quando si ribattezzano col nuovo moniker, nel 1985, le differenze con quanto avvenuto degli anni precedenti non sono ancora evidenti ma le prospettive muteranno presto. I riscontri raccolti con “Jesus Loves Amerika” ed altri singoli estratti dall’album “In Gorbachev We Trust” contribuiscono ad edificare la nuova estetica sonica della band fondata da Colin Angus e dai fratelli Derek e Keith McKenzie, a cui si aggiungono altri componenti come Richard West meglio noto come Mr. C (proprio quello del londinese The End), il bassista Will Sin e la cantante Plavka Lonich, pochi anni dopo voce dei pezzi commercialmente più fortunati dei Jam & Spoon. In “En-Tact”, del ’90, le matrici rock collidono in scenari elettronici. Uno dei brani contenuti è “Progen”, antesignano del chemical beat e di tutta quella che, a posteriori, la critica definirà indie dance. Gli inserti rappati dal citato West stuzzicano ricordi hip house ma sarebbe un errore annettere il brano a tale corrente. Estratto come singolo e mixato da Paul Oakenfold, “Progen” conquista una serie di licenze sparse in Europa (Italia compresa, su Ricordi International) ma vedrà la completa affermazione soltanto l’anno seguente quando viene remixato e ripubblicato col titolo “Move Any Mountain” (e il sottotitolo “Progen 91”). Tra le tante versioni approntate risulta decisiva e determinante quella dei Beatmasters, pionieri della house music d’oltremanica con pezzi come “Rok Da House”, “Burn It Up”, “Warm Love” ed “Hey DJ / I Can’t Dance (To That Music You’re Playing)”. È la loro rivisitazione dunque a permettere alla band scozzese di varcare per la prima volta la soglia della top ten dei dischi più venduti in patria e conquistare la quarta posizione nonché piazzarsi alla 38esima piazza dell’ambita Billboard Hot 100 dall’altra parte dell’Atlantico. La Beat Edit mette insieme con lungimiranza spunti breakbeat, rock ed hip hop su uno sfondo psichedelico, vero leitmotiv della produzione shameniana di quegli anni, ed è sincronizzata col video girato nella primavera del 1991 alle pendici del vulcano Teide, a Tenerife. Al termine delle riprese Will Sin, poco più che trentenne, muore annegato nelle acque dell’isola vicina di Gomera, risucchiato da insidiose correnti marine. La tragedia comunque non impedisce di proseguire la carriera agli Shamen che incidono nuovi album da cui vengono prelevati singoli di successo tra cui “Ebeneezer Goode”, “Phorever People”, “L.S.I. (Love Sex Intelligence)”, “Comin’ On”, “Transamazonia” e “Destination Eschaton” e rivelandosi, così come scrive Rita Ferrauto su Dance Music Magazine a novembre del 1995, «la band che allaccia circuiti musicali e mentali tra l’antica mitologia, lo sciamanesimo e le nuove tecnologie informatiche».

Shauna Davis - Get AwayShauna Davis – Get Away
Nata Stéphane Moraille, Shauna Davis debutta come solista nel 1995 col brano “Get Away” pubblicato dalla canadese Hi-Bias Records e in Italia licenziato su Downtown (gruppo Time Records). L’Original Mix resta praticamente ignota al contrario della Club Mix firmata da StoneBridge e Nick Nice: gli svedesi continuano abilmente a sfruttare l’onda innescata dai tempi di “Show Me Love” di Robin S riuscendo a trasformare in successo quasi qualsiasi cosa tocchino. Dello stesso periodo si segnalano infatti, oltre ad “Everlasting Pictures – Right Through Infinity” di B-Zet e “Sex And Infidelity” dei nostri Blast di cui abbiamo già parlato sopra, altri loro fortunati remix come quelli per “Boombastic” di Shaggy, “This Time I’m Free” di Dr. Album e “Deep In You” di Tanya Louise. La Davis inciderà altri due singoli sino al 1998, anno in cui sarebbe dovuto uscire un album rimasto però nel cassetto. La cantante si rifà interpretando “Drinking In L.A.”, hit estiva dei Bran Van 3000.

Simian - We Are Your FriendsSimian – We Are Your Friends
Nel 2002 la Source pubblica “Never Be Alone” dei Simian, brano indie rock estratto dall’album “We Are Your Friends” che non riscuote significativi consensi. L’anno dopo gli allora sconosciuti Justice (i francesi Gaspard Augé e Xavier de Rosnay) realizzano, per un contest, un remix che gli apre le porte della neonata Ed Banger Records. In questa nuova versione, finita su un 12″ della label di Busy P, resta parte della voce originale (un mix tra Iggy Pop e Robert Smith) incastrata in una graffiante e flessuosa base electro house. Qualcosa inizia a muoversi nel 2004 grazie a DJ Hell che intuisce le potenzialità del brano e lo licenzia sulla International Deejay Gigolo, ma la consacrazione pop arriva solo nel 2006 quando la 10 Records del gruppo Virgin ripubblica la traccia reintitolata “We Are Your Friends” e premiata agli MTV Europe Music Awards per il video diretto da Rozan & Schmeltz.

Smoke City - Mr Gorgeous (And Miss Curvaceous)Smoke City – Mr Gorgeous (And Miss Curvaceous)
Non si può dire che la versione originale di “Mr Gorgeous (And Miss Curvaceous)”, presente nell’album “Flying Away”, sia passata proprio inosservata. Con un seducente mix tra trip hop ed acid jazz saldato da richiami latini analogamente a quanto avviene in “Underwater Love” scelta per lo spot Levi’s, la band britannica conquista spazi sempre più consistenti nell’audience internazionale. Tuttavia è il remix del brano a sancire una popolarità ancora più trasversale abbracciando anche il mondo delle discoteche. Merito della Vocal Mix approntata dai Mood II Swing (gli americani John Ciafone e Lem Springsteen, quell’anno all’opera su “Free” di Ultra Naté) in cui le avvolgenti atmosfere evocate dalla voce sibillina di Nina Miranda vengono preservate e fatte confluire in una gabbia di ritmo irresistibile che ne fa una hit nell’estate 1997 e riesce a reggere ottimamente il confronto col remix di “Underwater Love” realizzato da David Morales.

Steam System - Barraca DestroySteam System – Barraca Destroy
“Barraca Destroy” esce nella primavera del 1993 segnando il debutto del progetto Steam System dietro cui armeggiano Claudio Collino (che all’attivo ha già le hit di Sueño Latino ed Atahualpa), Piero Pizzul, e Michele Menegon alias Michael Hammer, futuro direttore di Italia Network. Come racconta proprio Menegon in questa intervista, «”Barraca Destroy” fu una produzione commissionata dall’Expanded Music per la nota discoteca spagnola Barraca. Doveva essere l’inno del locale e il lavoro fu piuttosto semplice: una melodia orecchiabile, parole spagnole comprensibili ed una buona dose di energia, tutti elementi convogliati della Destruction Version. Una volta terminato, il brano fu spedito in Spagna ma appena duemila copie furono stampate per l’Italia. Soltanto Italia Network lo programmò, credo per farmi un piacere. Poi il disco finì nel dimenticatoio. Un giorno di fine estate mi chiamò Giovanni Natale, boss dell’Expanded Music, dicendomi che Molella, di ritorno dalla Spagna, aveva acquistato il disco e che lo fece ascoltare ad Albertino e Fargetta. Tutti erano convinti che si trattasse di una hit. A quel punto mi chiese di rientrare in studio e realizzare un remix che ne esaltasse la forza. Con Claudio e Piero componemmo quindi la traccia oggi nota a tutti». La versione che arriva al grande pubblico è proprio tra i remix, la En Directo, colorita dal battito di mani di “We Will Rock You” dei Queen.

Sven Väth - Dein SchweissSven Väth – Dein Schweiss
La versione originale di “Dein Schweiss”, inclusa nell’album “Contact” edito dalla Virgin nel 2000, è frutto del lavoro sinergico tra Sven Väth e Johannes Heil. Supportata da un videoclip in cui il DJ biondo di Obertshausen domina la scena con la sua solita verve e spigliatezza, la traccia mischia elementi techno ed electro. Quando, tra fine 1999 ed inizio 2000, la Virgin pubblica il singolo però alla Master Mix aggiunge un feroce remix che nell’arco di pochi mesi finisce col diventare decisamente più noto dell’originale: a realizzarlo, spingendosi sino a lambire sponde EBM, è Thomas P. Heckmann, prolifico produttore di Magonza con un eccelso repertorio da cui svettano pure successi dalle dimensioni europee come “Amphetamine” di Drax e “Sync In” di Silent Breed.

Sweetbox Feat. Tempest - Booyah (Here We Go)Sweetbox Feat. Tempest – Booyah (Here We Go)
Prodotto da Roberto ‘Geo’ Rosan e partito dalla tedesca Maad Records, “Booyah (Here We Go)” è un pezzo che si fa lentamente strada nei primi mesi del 1995 unendo una base simile a quella di “Short Dick Man” dei 20 Fingers alla voce di Kimberly ‘Tempest’ Kearney che ammicca invece all’eurorap in stile Technotronic, Leila K o Daisy Dee. La versione originale, supportata dal relativo videoclip, fa presa nei locali e in radio ma a garantire un airplay ancora più incisivo specialmente nel nostro Paese è uno dei remix intitolato Hot Pants Club Mix realizzato da Nique a mo’ di mash-up tra l’acappella di Tempest e la base di “We Are Family” delle Sister Sledge. A pubblicare il brano in Italia è la Discomagic di Severo Lombardoni, la stessa che in autunno licenzia il follow-up “Shakalaka”, una specie di incrocio tra Outhere Brothers e Reel 2 Real che però si rivela meno fortunato nonostante annoveri il remix di Mousse T.

T42 - Melody BlueT42 – Melody Blue
Partito nel ’97 con “Every Life Unfolds” e “Children’s Voices” editi dalla Dance Factory del gruppo EMI, il progetto T42 si fa notare meglio due anni più tardi quando passa all’indipendente No Colors (gruppo F.M.A.) che pubblica “Melody Blue”. L’Original Mix, prodotta dal compianto Graziano Pegoraro, finisce sul lato b mentre a torreggiare è il remix di Fargetta, arrangiato da Graziano Fanelli e Max Castrezzati sul classico modello italodance di fine anni Novanta. Sarà sempre Fargetta a tenere alte le quotazioni di T42 firmando le versioni più note dei successivi “Run To You”, “Find Time” e “Set Me Free” usciti tra 2000 e 2002.

Technohead - I Wanna Be A HippyTechnohead – I Wanna Be A Hippy
I coniugi britannici Lee Newman e Michael Wells, già noti come GTO e Tricky Disco, vestono i panni dei Technohead dal 1993, incidendo primariamente hardcore e gabber. Nel 1995, quando l’happy hardcore e la musica ad alta velocità vive la sua parentesi commerciale più importante, riescono ad intrufolarsi nel mainstream col brano “I Wanna Be A Hippy” pubblicato dall’olandese Mokum Records. A fare da cassa da risonanza però non è l’agitata Original Mix bensì il remix realizzato da Flamman & Abraxas scelto per sincronizzare il videoclip. Il successo è tale da portare, ad inizio ’96, i Technohead persino a Top Of The Pops seppur con due censure nel testo ( si veda qui e qui). Sul palco però non c’è la Newman, morta di cancro ad agosto dell’anno prima ed ignara del successo raccolto da “I Wanna Be A Hippy” di cui si stima siano state vendute oltre 150.000 copie. Curiosità: c’è chi propone il brano a 33 giri anziché 45 come fa in Italia Albertino nel DeeJay Time e nella DeeJay Parade.

The Corrs - DreamsThe Corrs – Dreams
Quartetto irlandese formato dai fratelli Corr, i Corrs si costruiscono una solida carriera nel ramo rock/folk. Nel 1998 aderiscono al progetto patrocinato dall’Atlantic per una raccolta celebrativa sui Fleetwood Mac, “Legacy: A Tribute To Fleetwood Mac’s Rumours”, che al suo interno raccoglie cover del gruppo londinese. Insieme a loro, tra gli altri, Elton John, The Cranberries e Goo Goo Dolls. I Corrs ricantano “Dreams”, con la produzione di Oliver Leiber e Peter Rafelson, ma a decretare il successo è il remix firmato da Todd Terry, lanciato nella top ten britannica dei singoli con evidenti richiami a quello realizzato qualche anno prima per “Missing” degli Everything But The Girl. Incoraggianti responsi giungono pure per il video approntato per l’occasione entrato nelle nomination ai Billboard Music Video Awards come Best New Clip. Considerato il grande successo, l’etichetta discografica ristampa l’album “Talk On Corners” uscito l’anno prima inserendo in tracklist anche il remix di “Dreams”. A sugellare il tutto è il concerto alla Royal Albert Hall dove i Corrs eseguono dal vivo il brano insieme a Mick Fleetwood, batterista e cofondatore dei Fleetwood Mac.

The Original - I Luv U BabyThe Original – I Love U Baby
Nato su iniziativa di Walter Taieb, DJ parigino di stanza a New York, il progetto The Original prende corpo nella primavera del 1994 con l’arrivo di Giuseppe ‘DJ Pippi’ Nuzzo, italiano trapiantato ad Ibiza dove è resident al Pacha. È lui a suggerire le linee guida di un brano che si completa grazie al supporto vocale del cantante turnista Everett Bradley. Ultimate le due versioni, la Swing Mix e la No! Swing Mix, Taieb e Nuzzo le sottopongono all’attenzione di una multinazionale ma ricevendo picche. Per non vanificare tutto, Taieb opta per l’autoproduzione e pubblica il disco su un’etichetta creata per l’occasione, la WT Records. Fiocca qualche licenza in Europa ma nulla di realmente esaltante, almeno sino a quando giungono i remix dal Regno Unito. A realizzare una delle nuove versioni è Ian Bland alias Dancing Divaz: la sua Club Mix è una cannonata per le classifiche che smonta l’apparato originario della traccia, fondato su un giro di organo contrapposto all’assolo di sax, a favore di arrangiamenti dal sapore più epico e malinconico, con pianate in grande evidenza ad incorniciare la voce di Bradley. Dal 1995 in poi è un tripudio di riconoscimenti, specialmente oltremanica, culminati con l’apparizione a Top Of The Pops dove il brano viene eseguito sulla base del remix, scelto ovviamente anche per accompagnare il videoclip. A pubblicare da noi “I Love U Baby” è la partenopea Flying Records che prende in licenza pure il follow-up, “B 2Gether”, ancora remixato da Dancing Divaz ma con resa inferiore. Taieb e Nuzzo torneranno al successo internazionale nel 1998 grazie a “On The Top Of The World” di Diva Surprise, cantato da Georgia Jones e scandito da un campionamento preso da “YMCA” dei Village People.

The Presence - Forever On My MindThe Presence – Forever On My Mind
Non è stata una hit con centinaia di migliaia di copie all’attivo ma un discreto successo nazionale nella primavera del 1996: “Forever On My Mind”, realizzata dal duo formato da Mauro Di Martino e Carlo Di Rosa nel loro Mad Studio a Ragusa, è una traccia house impreziosita dal contributo vocale del cantante statunitense Stefan Ashton Frank. A fare la differenza però è il remix dei Ti.Pi.Cal., solcato sul lato a del disco e realizzato sul modello garage d’oltreoceano, con la vocalità incastonata all’interno di paratie melodiche. Il 12″ apre il catalogo della Entroterra Records, etichetta creata dagli stessi Ti.Pi.Cal. in collaborazione con la bresciana Time Records ma la cui operatività è ricondotta ad una sola pubblicazione, analogamente a quanto avviene, peraltro nel medesimo periodo, alla E.S.P. – Extra Sensorial Productions, con “Electro Sound Generator” di Neutopia. Saranno sempre i Ti.Pi.Cal. a firmare il remix del follow-up, “Tonight”, pare rifiutato dalla Time di Maiolini e pubblicato dalla Nitelite Records del gruppo Do It Yourself, la stessa che chiude il cerchio con “Wanna Be The One” ritoccato ancora da Tignino, Piparo e Callea.

Tom Jones - Sex BombTom Jones – Sex Bomb
La Album Version ha il retrogusto di un vecchia canzone degli anni Sessanta pur essendo scritta e composta alle porte del nuovo millennio. A fare la differenza è la Peppermint Disco Mix realizzata da Mousse T. e i Royal Garden, pensata a mo’ di mash-up tra l’acappella del brano e la base ricavata da “All American Girls”, un successo del 1981 delle Sister Sledge. Per Mousse T. è l’inizio della fase pop della carriera che si evolve con una serie di successi radiofonici come “Fire” ed “Is It ‘Cos I’m Cool?”, entrambi cantati da Emma Lanford, e “Il Grande Baboomba” che lo vede impegnato insieme al nostro Zucchero con cui si esibisce alla Royal Albert Hall di Londra nel 2004 come testimonia questa clip.

Tomcraft - ProsacTomcraft – Prosac
La versione originale di “Prosac”, inchiodata ad un battente bassline e scivolosi suoni in reverse, esce nel 1997 ma senza raccogliere particolari elogi. A quattro anni di distanza la Kosmo Records pubblica due remix realizzati dallo stesso autore affiancato da Eniac, e a quel punto per la traccia si prospetta una seconda giovinezza dal più ampio respiro. Alla New Clubmix ed alla TC-THC Mix, elaborate meglio sul piano melodico rispetto alla prima, si somma il videoclip che fa presa sulle tv musicali. Il brano viene licenziato pure in Italia dalla Wild! Entertainment di Raffaela Travisano, a cui abbiamo dedicato una monografia qui, che però opta per due remix ex novo commissionati per l’occasione a Tony H e Karin De Ponti.

Tony Di Bart - The Real ThingTony Di Bart – The Real Thing
Il britannico Antonio Carmine Di Bartolomeo, nato a pochi chilometri da Londra ma di chiare origini italiane, viene baciato dal successo nel 1994 grazie a “The Real Thing”. La versione originale, scritta dallo stesso Di Bartolomeo insieme a Luce Drayton ed Andy Blissett e in circolazione dall’autunno del ’93, è una ballata pop con influssi jazzati poco nota e passata decisamente inosservata. A dare ad essa un taglio completamente diverso è il team dei Joy Brothers, artefice di un remix che si pone sulla linea di mezzeria tra house ed eurodance e conquista l’intera Europa incuriosendo anche Stati Uniti e Canada (in Italia arriva curiosamente attraverso due etichette, la X-Energy Records e la UDP del gruppo Disco Più di Lino Dentico). Sul 12″ c’è pure una seconda versione, la Original Dance Mix, parecchio simile alla prima ma firmata da Rhyme Time Productions (non è chiaro se gli artefici siano proprio gli stessi). Al di là dell’uso di pseudonimi e nickname, Di Bart porta il remix del pezzo a Top Of The Pops ad aprile, cantandolo dal vivo e non ricorrendo, come allora fa la maggior parte degli artisti, al playback. Segue una caterva di date nelle discoteche di tutta Europa, Italia compresa, e la nomination agli International Dance Awards, tenutisi a Londra il 22 gennaio 1995 dove “The Real Thing” è in lizza insieme a pezzi come “Anytime You Need A Friend” di Mariah Carey ed “Incredible” di M-Beat Featuring General Levy. La Cleveland City tenterà di tenere alto l’interesse nei confronti dell’artista con altri singoli come “Do It”, “Why Did Ya” e “Turn Your Love Around”, ma riuscendo solo parzialmente nell’intento.

Tori Amos - Professional WidowTori Amos – Professional Widow
Inclusa nell’album “Boys For Pele”, “Professional Widow” è una canzone che Tori Amos scrive attingendo alcuni versi da “La Sfinge”, il racconto di Edgar Allan Poe. Musicalmente è legata al rock alternativo ma il remix che ne decreta il successo mondiale la traghetta in un mondo completamente differente. Nella sua Star Trunk Funkin’ Mix Armand Van Helden ricostruisce il pezzo partendo, pare, da un frammento ritmico carpito a “Trinidad” di John Gibbs & The U.S. Steel Orchestra, e poi prosegue verso un universo fatto di house music squarciata da un basso funk assassino e sbilenco in cui dondolano brevi cellule vocali della Amos. Sembra più una traccia inedita che un remix tanto è il divario col brano originale e pare che questa audace rilettura sia piaciuta parecchio anche all’autrice, felice che il DJ non abbia tenuto saldi i tasselli di partenza preferendo invece andare in una direzione totalmente diversa. Sul 12″ edito dalla Atlantic figura pure un secondo remix a firma MK che però risulta irrilevante se messo a confronto col primo. A curare la post-produzione della celebre Star Trunk Funkin’ Mix è Johnny De Mairo, fondatore della Henry Street Music per cui Van Helden incide dal ’94 e ai tempi A&R per l’Atlantic. La versione di Van Helden, infine, viene scelta per un videoclip realizzato riciclando ed assemblando frame tratti da altri video della cantante come quelli di “Crucify”, “Winter” e “Silent All These Years”.

Wamdue Project - King Of My CastleWamdue Project – King Of My Castle
La versione originale di “King Of My Castle” è inclusa in “Program Yourself”, il secondo dei tre album che Christopher Brånn, da Atlanta, firma Wamdue Project. Pubblicata dalla Strictly Rhythm, la traccia vive in una bolla di deep house tinta di funk ed è irrorata dalla voce di Gaelle Adisson, la stessa che si sente in “You’re The Reason”, un altro pezzo dell’LP che a tratti ricorda lo stile di “Disco’s Revenge” di Gusto uscito qualche anno prima. A trasformare quello che è destinato ad una ristretta cerchia di eletti in un successo mainstream dalle dimensioni colossali è il remix realizzato in Italia da Mauro Ferrucci per l’occasione trincerato dietro lo pseudonimo Roy Malone. Insieme a lui, nel Cotton Fields Studio di Padova, c’è Walterino, quello del team L.W.S. ed Olga intervistato qui. La King Mix mostra pochi punti in comune con l’originale: l’armatura ritmica corazzata incornicia arrangiamenti essenziali e la sezione vocale della Adisson, finita ovviamente nel videoclip che ad oggi conta più di nove milioni di visualizzazioni su YouTube. Altri remix si sommano al pacchetto, da quello di Roger ‘The S-Man’ Sanchez a quello di Charles Schillings (editi, insieme alla versione di Malone, dalla veneta Airplane! Records) passando per quelli di Armin van Buuren e di Bini & Martini usciti nel 1999.

Whatever, Girl - Activator (You Need Some)Whatever, Girl – Activator (You Need Some)
Col suo incedere ipnotico abbinato ad inserti tribaleggianti, nel 1994 “Activator (You Need Some)” diventa un autentico tormentone nelle discoteche specializzate. A produrlo sono Bill Coleman e Louie Guzman uniti come Whatever, Girl ma le loro versioni, la Gee, Your Hair Smells Terrific! Mix e la T.C.B. Mix, non sono depositarie del successo. A fare la differenza è invece la Jheri Curl Sucker Wearin’ High Heeled Boots Mix incisa sul lato a ed approntata da Johnny Vicious, che peraltro pubblica il disco sulla sua etichetta, la Vicious Muzik Records. In Italia arriva attraverso la bresciana Downtown del gruppo Time che assegna erroneamente la paternità proprio a Johnny Vicious, annunciato sull’adesivo rettangolare applicato in copertina come “the next David Morales”.

Whigfield - Saturday NightWhigfield – Saturday Night
È un caso strano quello di Whigfield, progetto ideato da Davide Riva (intervistato qui) e Larry Pignagnoli e giunto sul mercato nel 1993 con “Saturday Night”. La versione incisa sul lato a, la Dida Mix, è figlia di quanto avvenuto nel biennio precedente con l’esplosione e massificazione di suoni tendenzialmente legati alla eurotechno, e contiene quindi i retaggi di tutto quel serbatoio con cui il mainstream italiano approccia ad un genere messo in antitesi alla house fatto da casse marcate, suoni di sintetizzatore in grande evidenza, arrangiamenti dalle espressività meccaniche, voci campionate ed usate a mo’ di strumenti. Probabilmente, proprio in relazione a questa attinenza stilistica, alla Energy Production decidono di pubblicare il 12″ su Extreme, etichetta usata in prevalenza per produzioni di estrazione filo techno e sulla quale, peraltro, poco tempo prima trovano spazio fortunatissime licenze come “The House Of God” di D.H.S. ed “Ambulance” di Robert Armani. Sul lato b finiscono altre due versioni, la Nite Mix, inserita a giugno ’93 dal team dell’AID su uno dei dischi destinati al servizio per corrispondenza Promo Mix, e la Beagle Mix, radicalmente differenti dalla prima. Per circa un anno non avviene nulla fatta eccezione in Spagna dove “Saturday Night” raccoglie discreti consensi anche grazie ad un particolare balletto abbinato, pare inventato in una discoteca iberica. Whigfield sembra comunque destinato a finire nell’oblio, tra la miriade di brand usciti dagli studi di registrazione italiani negli anni più floridi e prolifici dell’eurodance. Alla fine dell’estate ’94 però la Nite Mix entra nella classifica britannica dei singoli direttamente al primo posto forte di 500.000 copie vendute, togliendo lo scettro ai Wet Wet Wet con “Love Is All Around” e ritrovandosi a dividere la parte più alta di quella chart con un’altra hit made in Italy, “The Rhythm Of The Night” di Corona. Da quel momento in poi per Pignagnoli e Riva cambia davvero tutto: l’interesse mostrato dal Regno Unito, ai tempi autentica cartina tornasole delle tendenze musicali europee, innesca un effetto domino che si propaga ovunque. Fioccano richieste di licenze da ogni angolo del globo (un anno prima erano state appena un paio) e viene girato un videoclip in cui la scena è dominata da Sannie Charlotte Carlson, modella danese ventiquattrenne scelta come frontwoman del progetto (a cantare è invece la britannica Annerley Gordon). Immancabile l’ospitata a Top Of The Pops col debutto il 15 settembre ’94 a cui si somma la puntata natalizia in cui la Carlson è introdotta da due presentatori d’eccezione, Howard Donald e Jason Orange dei Take That. Per gestire meglio tutto ciò la Energy Production ristampa il disco (affiancandolo al CD singolo), questa volta sulla label principale del gruppo, la X-Energy Records, aggiungendo una manciata di rivisitazioni a firma Fishbone Beat e la dicitura “remix ’94” seppur a spopolare non sia affatto un remix ma la Nite Mix, adesso finita sul lato a (la Dida Mix invece viene relegata alla posizione periferica B3). Più di qualcuno quindi pensa erroneamente che a cambiare le sorti della canzone sia un remix, alimentando in buona fede un falso storico. Sul retro della copertina trova spazio inoltre l’accurata guida (anche fotografica) per il sopraccitato balletto a cui è abbinato il brano di Pignagnoli e Riva, in seguito oggetto di qualche accusa di plagio ai danni di “Rub A Dub Dub” degli Equals e “Fog On The Tyne” degli Lindisfarne ma a quanto pare caduta in assenza di oggettivi appigli legali. Alla fine di “Saturday Night”, «inno pigolante con una tastierina che si infilava nel cervello e non lo lasciava più», come scrivono Carlo Antonelli e Fabio De Luca in “Discoinferno”, ne vengono vendute oltre due milioni di copie.

York - On The BeachYork – On The Beach
Il progetto York gestito dai fratelli Jörg e Torsten Stenzel debutta nel 1997 con “The Big Brother Is Watching You” ripubblicato poco tempo dopo come “The Awakening”. Nel 1999 tocca a “On The Beach”, rivisitazione dell’omonimo di Chris Rea del 1986 immersa in una soluzione a metà strada tra house e trance. «Registrammo l’assolo di chitarra nel mio studio, risuonandolo e non campionandolo come qualcuno potrebbe immaginare» racconta Torsten Stenzel in questa intervista. «Una volta completato il brano, lo licenziammo alla Sony e alla Manifesto che commissionarono vari remix». Tra le tante nuove versioni ce n’è una che spicca in modo particolare, quella realizzata in Italia negli studi della Media Records da Mauro Picotto ed Andrea Remondini e firmata CRW. Ritmicamente potenziato, il pezzo rivive nella dimensione eurotrance conquistando il favore del Regno Unito e rivelandosi determinante per raggiungere lo strepitoso risultato di oltre 300.000 copie vendute. A pubblicare in Italia “On The Beach” è la No Colors del gruppo F.M.A. che sul 12″ e sul CD singolo inserisce il remix dei CRW ma attribuendolo, per ragioni mai chiarite, a Basic Connection, un marchio di cui abbiamo parlato sopra. Ciò scatena una controversia tra la F.M.A. e la Media Records. Quest’ultima ristamperà il remix in questione su W/BXR, sussidiaria pop della BXR, ma con un nome artistico diverso, Lesson Number 1.

Ziggy Marley And The Melody Makers - Power To Move YaZiggy Marley And The Melody Makers – Power To Move Ya
Così come avvenuto al padre Bob, anche Ziggy Marley e i suoi Melody Makers vengono trascinati nella musica da discoteca attraverso un remix. Incluso nell’album “Free Like We Want 2 B”, il brano originale oltrepassa la soglia della classica formula reggae adoperando una base downtempo in cui fanno capolino persino chitarre elettriche. Per i remix l’Elektra coinvolge vari artisti: Hani e DJ Dmitry, artefici della Kundalini Rising Mix, Longsy D, Mousse T. ed E-Smoove. È la versione di quest’ultimo a svettare su tutte, la Smoove Power, che adatta perfettamente “Power To Move Ya” in una cornice house garage, con grandi pianate in evidenza. Ziggy Marley diventa così un protagonista dell’estate ’95 facendo la staffetta con altri fortunati remix già descritti sopra (De’Lacy, Bobby Brown, Jamiroquai, Dana Dawson, Everything But The Girl…). Nel ’97 l’Elektra tenta di fare il bis affidando ancora ad E-Smoove il remix di “Everyone Wants To Be” estratto dall’album successivo di Ziggy Marley And The Melody Makers, “Fallen Is Babylon”, ma l’impresa non riesce. Il DJ americano si rifarà comunque nel 2001 incidendo “Shined On Me” come Praise Cats.

Zombie Nation - Kernkraft 400Zombie Nation – Kernkraft 400
Nei primi mesi del 1999 a pubblicare il primo disco degli Zombie Nation (Florian ‘Splank!’ Senfter ed Emanuel ‘Mooner’ Günther), da Monaco di Baviera, è l’International DeeJay Gigolo Records di DJ Hell. Uno dei cinque brani dell’EP è “Kernkraft 400”, «un pezzo electro cadenzato da incastri di suonini in stile chiptune, un sample vocale che ripete il nome del gruppo, un basso in ottava e soprattutto il riff di “Stardust” composto da David Whittaker per il videogioco “Lazy Jones” del 1984» (da Gigolography, 2017). Immerso tra retaggi di Kraftwerk e Yellow Magic Orchestra, “Kernkraft 400” è destinato all’underground più settoriale da poche migliaia di copie ma poi arriva un remix che lo trasforma in un successo pop mondiale. Artefice è l’italiano Cristiano ‘DJ Gius’ Giusberti, la cui versione, frutto di una semplificazione degli elementi di partenza, viene scelta per accompagnare il video che sostituisce il più macabro e violento realizzato qualche tempo prima sulla base dell’originale e in cui compare Senfter. È sempre il remix italiano ad essere utilizzato per gli spettacoli televisivi tra cui l’apparizione a Top Of The Pops per cui Zombie Nation viene trasformato in una sorta di gruppo carnevalesco: l’effetto finale rammenta quanto avvenuto pochi anni prima ai Technohead con “I Wanna Be A Hippy” di cui si è già detto prima. Grazie alla rivisitazione di Giusberti “Kernkraft 400” diventa una hit planetaria anche se Splank!, nel frattempo diventato unico componente del progetto Zombie Nation, non risparmierà toni fortemente polemici nei confronti dell’etichetta italiana che fa realizzare il remix ed una Live Version correlata, la Spectra Records del gruppo bolognese Arsenic Sound diretto da Paolino Nobile intervistato qui.

(Giosuè Impellizzeri)

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Various – Ciao Italia, Generazioni Underground (Rebirth)

Ciao Italia, Generazioni Underground

Da qualche tempo a questa parte sul mercato sono piombate varie raccolte riepilogative legate all’italo house, un segmento stilistico nato in Italia a fine anni Ottanta (dopo un biennio di “training”, come raccontiamo qui) in risposta al fermento creativo statunitense e britannico. Una visione autoctona di quello che ai tempi è la house music, contraddistinta da peculiari tratti identificativi oggi imitati ma allora motivo di biasimo e talvolta denigrazione. Grazie a compilation e ristampe quindi, giovani ed adulti ora si ritrovano in un sol colpo a disporre di vaste ed accurate playlist di gemme dimenticate, talvolta persino dalle stesse case discografiche che le commercializzarono. Già, perché non bisogna omettere che davvero tanti dei titoli oggi ambiti, ai tempi della pubblicazione furono invece oggetto di scarsa considerazione e risultati deludenti di vendita che non oltrepassarono qualche migliaio di copie o, in taluni casi, qualche centinaio appena. Ciò chiarisce bene la ragione per cui alcuni mix abbiano visto salire vertiginosamente le quotazioni sul mercato dell’usato. Brutti anatroccoli trasformati in bellissimi cigni insomma, volendo fare un parallelo con la fiaba di Andersen. Analogamente un movimento pressoché nazionale, fatta eccezione per alcuni successi intercontinentali, è inaspettatamente mutato in oggetto di ricerca ed interesse globale. Di conseguenza si è sviluppata una cura diligente ed attenta per quella che fu sprezzantemente definita “spaghetti house”, specie da influenti testate giornalistiche d’oltremanica. Basti pensare ad “Italo House” di Joey Negro (2014) e “Welcome To Paradise” di Young Marco e Christiaan Macdonald (2017), ma anche a pubblicazioni nostrane come “Paradise House (Deep Ambient Dream Paradise Garage House From 90’s) (2018) o “Echoes Of House (Italo House Foundamentals Tracks)” (2019) per avere un’idea su cosa sia diventato quell’enorme calderone musicale a cui adesso si aggiunge “Ciao Italia, Generazioni Underground”.

Ideatore e curatore del progetto atteso su Rebirth è Daniele ‘Shield’ Contrini il quale, contattato per l’occasione, afferma che con molta probabilità, a far scatenare l’interesse per quello che era un fenomeno morto e sepolto, sia stato qualche DJ importante a livello internazionale che ha iniziato a suonare nei propri set alcuni brani dei tempi. «Da qualche tempo a questa parte una certa scuola di DJ, perlopiù inglesi, tedeschi ed olandesi, ha cominciato a proporre generi quasi dimenticati e a fare della ricerca nel passato il proprio cavallo di battaglia» spiega a tal proposito. «Prima è toccato all’italo disco e poi all’italo house o dream house che dir si voglia, avendo la conferma che si tratta di generi capaci di far ballare ancora oggi e che continuano ad essere fonti d’ispirazione. Ad eccezione di qualche piccolo club in cui la musica fa ancora cultura però, in Italia, adesso, se suoni qualcosa che ha più di tre anni sei automaticamente bollato come un DJ di vecchio stampo, incapace di stare al passo coi tempi. Lo stesso approccio all’estero invece è considerato cool e di tendenza. Mi auguro che l’Italia torni presto a creare, a produrre qualcosa di “proprio” e ad avere una personalità per poter ambire a fare scuola, e smetta di inseguire mode e tendenze che arrivano dall’estero».

Daniele 'Shield' Contrini
Un primo piano di Daniele ‘Shield’ Contrini, a capo di Rebirth ed ideatore/curatore del progetto “Ciao Italia, Generazioni Underground”

Il concept alla base di “Ciao Italia, Generazioni Underground” mira dunque a fotografare il momento in cui la scena house del nostro Paese, ma non quella che ha come obiettivo le classifiche di vendita, si scrolla di dosso definitivamente ogni retaggio degli anni Ottanta e si tuffa in qualcosa di sorprendentemente unico dal punto di vista creativo. «È un progetto a cui lavoro da più di un anno ma l’idea iniziale risale a metà 2019» prosegue Contrini. «Era il periodo in cui lanciavo Tempo Dischi, etichetta nata per riscoprire e ristampare classici e gemme rare della scena italo disco, e frugare in vecchi cataloghi mi ha fatto venire l’idea di prendere in considerazione quello stile musicale, spesso identificato con termini tipo dream house, italo house, piano house o, più semplicemente, underground, che ha lasciato il segno e che ancora oggi continua ad essere vivo tra DJ, clubber e cultori di nuove generazioni. Dedicare una raccolta all’Italia inoltre avrebbe fatto sicuramente bene a Rebirth: se da un lato le collaborazioni con artisti affermati e nuovi talenti provenienti da ogni parte del mondo ci assicuravano una prestigiosa internazionalità dall’altro ci avevano, in un certo senso, un po’ allontanato dalla nostra terra e dalle nostre origini. Finalizzare “Ciao Italia, Generazioni Underground” però non è stato facile: al lungo e meticoloso lavoro di ricerca musicale si è aggiunto quello di tipo burocratico, volto a scoprire i proprietari dei diritti dei brani selezionati, alcuni dei quali hanno declinato la richiesta per l’uso degli stessi, seppur in forma non esclusiva. In certi casi purtroppo non sono nemmeno riuscito a risalire agli editori e ciò, lo ammetto, è stato parecchio frustrante. Purtroppo anche sul lato prettamente tecnico sono sorti problemi poiché i produttori o gli editori dei pezzi inclusi non sempre disponevano del master originale. Siamo stati costretti quindi a ricavare l’audio da copie perfette dei 12″ usciti all’epoca. In ogni caso i file sono stati tutti rimasterizzati da me nello studio di Rebirth, ottenendo poi l’approvazione dagli stessi artisti. Degno di menzione anche l’importante lavoro di direzione artistica curato da Stupefacente Studio che ha base a Brescia e che lavora a trecentosessanta gradi tra creatività, design e comunicazione. Senza dimenticare l’apporto del nostro grafico Luca Sanchezlife: l’idea di connettere quel periodo musicale alla figura rielaborata del Ciao, mascotte dei mondiali di calcio del 1990, mi è piaciuta subito e penso sia davvero vincente a livello comunicativo. La raccolta contiene inoltre un inserto editoriale curato dal giornalista Elia Zupelli che ricostruisce l’affresco di un’epoca attraverso le voci dei protagonisti, fotografie e rarità varie. Un contenuto davvero prezioso, unico direi, che fa bene coppia col packaging speciale e particolarmente oneroso».

Il doppio mix conta tredici pezzi quasi tutti risalenti agli anni in cui la piano house si ritrae, ormai inflazionata, per lasciare spazio a forme più deepeggianti, sognanti ed oniriche: da “Desire” di Aural ad “Elements” di Leo Anibaldi, da “Cuando Brilla La Luna” di Morenas a “The Wizard” di Alex Neri, da “Save Me” di Underground Nation Undertour Sensation a “Feel The Rhythm” di Blue Zone, da “Ore: Nove Nove (Open Rmx)” di MBG a “A4 (A Tribute To The Highway)” di Dalì passando per “Music Harmony And Rhythm” di Optik, “Free” di Stonehenge, “Da Lord” di Ralf, “WS Gordon”, un inedito dei Frame (Andrea Benedetti ed Eugenio Vatta, intervistati qui) e la versione di Andrea ‘Cutmaster-G’ Gemolotto dell’eterna “Sueño Latino” che resta l’inno totemico del movimento dream house. «Così come accennavo prima, a malincuore alcuni brani sono rimasti esclusi dalla playlist» prosegue Contrini. «Tra questi “Un Beso No Mata” dei Love Quartet (di cui parliamo qui, nda) e “Don’t Hold Back The Feeling” di U-N-I prodotto da Claudio Coccoluto, entrambi editi dalla Heartbeat (etichetta a cui abbiamo dedicato qui una monografia, nda) i cui diritti sono ora di proprietà della tedesca ZYX che purtroppo ha rifiutato la concessione di licenza. Per ovviare al problema, Claudio mi ha suggerito una traccia che produsse nel 1998 ma stilisticamente era troppo distante dalla linea musicale della raccolta. Un’altra manciata di pezzi, come “Nocturne Seduction” dei Night Communication (Leo Mas ed Andrea Gemolotto, anche questo dal catalogo Heartbeat) ed “Entity” di Mr. Marvin, sarebbero stati perfetti ma erano già stati inseriti in altre raccolte in tempi recenti. Un aneddoto particolare riguarda “Key To Heaven” di Sasha, finito tra i bonus in digitale: dopo aver parlato per mesi con uno degli autori, che mi ha indirizzato all’editore, ho scoperto che il produttore, Biagio Gambardella, è scomparso anni fa senza lasciare traccia. Anche la Irma Records, una delle etichette di riferimento del periodo e che vanta un catalogo letteralmente pieno di gemme, ha preferito non cedere i diritti dei propri brani. Altri nomi come Franco Falsini, Ivan Iacobucci e The True Underground Sound Of Rome (di cui si parla qui, qui e qui, nda) erano nella mia lista ma non siamo riusciti a raggiungere un accordo. Colgo invece l’occasione per ringraziare la disponibilità di tutti gli artisti coinvolti e di label come la DFC del gruppo Expanded Music e la MBG International Records».

Ciao Italia, il contenuto
Il contenuto di “Ciao Italia, Generazioni Underground” visto attraverso le etichette dei dischi originali

La tracklist del 2×12″ attinge musica da etichette-simbolo di quel periodo storico come Creative Label, ACV, le sopraccitate MBG International Records e DFC, Pin Up, Palmares ed American Records (a cui abbiamo dedicato una monografia qui) ma gradite sorprese sono riservate anche al formato digitale (disponibile dal 25 giugno) in cui si rinvengono, tra gli altri, gli inediti di Key Tronics, Don Carlos, Massimo Zennaro, Paramour & Adrian Morrison e dell’enigmatico Sasha a cui prima si faceva cenno. Ci si chiede però la ragione per cui Rebirth abbia optato per il formato liquido anziché fare un secondo doppio mix, innegabilmente preferito dai cultori. «Sarebbe stato bello estendere la raccolta e fare un quadruplo oppure due doppi» risponde a tal proposito Contrini. «Ad essere sincero ad un certo punto mi era venuta l’idea di coinvolgere anche i produttori italiani emergenti della nuova generazione che sono stati ispirati ed influenzati dalla musica elettronica italiana di inizio anni Novanta, ma il processo sarebbe stato ancora più lungo e dispendioso. Penso comunque che la raccolta “Ciao Italia, Generazioni Underground”, per come è stata concepita, porti con sé già tanti spunti ed idee su cui riflettere e poter lavorare. Poi nulla vieta di sviluppare un nuovo progetto in un prossimo futuro».

Un po’ come accade da circa un ventennio a tutti i generi musicali, anche l’italo house è diventata oggetto di un processo di revamping, talvolta finalizzato a somigliare quanto più possibile agli stilemi originari. Lo spirito di imitazione ed emulazione, troppo spesso mascherato da voglia di tributare qualcosa e qualcuno, però forse sta remando contro la creatività che ai tempi alimentava il settore. Se prima si pescava dal passato per proiettare cose nuove nel presente, in primis attraverso il sampling, adesso si ha l’impressione che si fugga nel passato per duplicarlo quanto più fedelmente possibile nella speranza di poterlo rivivere in qualche modo. «Credo sia rimasto ben poco di tutto quello che è stato prodotto nella musica elettronica nell’ultimo ventennio» afferma lapidario Contrini. «È come se il tempo si fosse fermato e la musica venisse (ri)prodotta (ri)pescando e (ri)adattando generi e filoni musicali antecedenti, prima gli anni Settanta, poi gli anni Ottanta e recentemente gli anni Novanta. Oggi esiste un numero abissale di produttori ma a mio avviso la parola “artista” si addice a ben pochi di essi. Certo, anche chi produceva musica house o techno in Italia nei primi anni Novanta non creava tutto da zero ma cercava di avvicinarsi alle atmosfere di Chicago, Detroit o New York però rielaborando e ricostruendo il tutto con un gusto ed un sapore tipico della nostra cultura, facendo leva su robuste linee di basso, melodie accattivanti e sensuali vibrazioni. Non è necessario essere strani o diversi a tutti i costi, l’importante è ripartire tornando a divertirsi in studio e fare ciò che piace di più, senza pressioni o condizionamenti di sorta. In tal contesto “Ciao Italia, Generazioni Underground” non vuole affatto avere una connotazione nostalgica e commemorativa ma piuttosto imprimere uno stimolo per una possibile evoluzione, dare un segnale positivo e cercare di trasmettere quell’atmosfera e senso di empatia e creatività che si respirava trent’anni fa. Magari rivivere ciò per qualche istante può aiutare a fornire una spinta propulsiva per un nuovo corso proiettato nel futuro».

A “Ciao Italia, Generazioni Underground”, che uscirà il prossimo 12 giugno in occasione del Record Store Day, si aggiungerà pure qualche novità su Tempo Dischi che sinora conta quattro pubblicazioni (Steel Mind, Automat, Contact Music e Logic System). «Il prossimo, previsto sempre a giugno, è “Computer Sourire” di Alexander Robotnick (intervistato qui, nda), uno degli artisti italiani più influenti a livello internazionale» annuncia Contrini. «Il disco, licenziato dalla Fuzz Dance e distribuito sempre da Rush Hour, includerà pure la ricercata versione remix, sinora mai ristampata. Analogamente sul fronte Rebirth sono in arrivo uscite di grosso spessore. Il lavoro di ricerca è sempre presente nella mia vita. Ideare progetti, anche lunghi e difficili, e portare avanti nuove sfide discografiche andando controcorrente è tra gli aspetti che mi legano con più passione a questo lavoro e continuano a tenermi vivo» conclude l’instancabile DJ bresciano che neanche la pandemia è riuscito a fermare. (Giosuè Impellizzeri)

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