La carriera di Digital Boy, quando la techno divenne pop

Parlare di techno, in Italia, è sempre stato piuttosto difficile e controverso, specialmente in riferimento ai primi anni Novanta quando il genere sbarca da Detroit nel Vecchio Continente e inizia a europeizzarsi mutando sensibilmente le proprie caratteristiche in base a diverse dinamiche, inclusa la collocazione geografica. Da noi, ad esempio, c’è una cerchia di artisti, prevalentemente romani, che tiene bene a mente la lezione impartita dai decani della Motor City, ma è una minoranza. La techno che prende piede nello Stivale, tra 1991 e 1992, è prevalentemente figlia della new beat belga amalgamata a elementi della cultura rave della produzione anglo-olandese. Un filone edificato su gimmick ricavati da campionamenti di provenienza eterogenea (incluse pellicole cinematografiche, cartoni animati e suoni onomatopeici), assoli di sintetizzatori e strutture ritmiche con kickdrum in evidenza: per un numero imprecisato di italiani infatti, techno è sostanzialmente tutto ciò che gira su una cassa marcata e bpm sostenuti, e va messo in netta antitesi con l’house/garage permeata invece di sonorità più affini agli strumenti tradizionali e legata a parti cantate. Secondo tale approccio semplificatore, la techno si configura quindi come un genere rabbioso, sfrontato, energico, vigoroso, adrenalinico, quasi sempre strumentale e alimentato dalle tec(h)nologie che invadono capillarmente ogni studio di registrazione, sintetizzatori, batterie elettroniche e soprattutto campionatori con cui captare ed isolare frammenti da ogni dove e ricollocarli all’interno di nuovi nuclei sonori.
Tra i protagonisti italiani di questa fase c’è un giovane ligure, Luca Pretolesi, nato a Genova nel 1970 e attratto dalla musica al punto da mollare la città natale a sedici anni per trasferirsi a Milano dove frequenta una scuola per apprendere i rudimenti delle registrazioni audio, Professione Musica. «Ero il più piccolo della classe e frequentai quel corso per un triennio ma, vista la giovane età, non pensavo di utilizzare ciò che stessi apprendendo per qualcosa di preciso» rivela in questa intervista del 2015. In realtà Pretolesi metterà presto a frutto le conoscenze acquisite in quella scuola del comune meneghino, decisive per la sua carriera artistica che inizia inaspettatamente da lì a breve.

La Bestia
S 900/S 950, la prima autoproduzione che Pretolesi pubblica su Demo Studio

1990, il Demo Studio e le prime produzioni da indipendente
L’house music è la grande novità in ambito dance che dal 1989 in avanti gli italiani, dopo un biennio di training come raccontato qui, riescono ad esportare in ogni angolo del globo, Stati Uniti inclusi. Si tratta di un genere capace di mandare in frantumi l’elitarismo che per decenni ha permesso di comporre musica solo ad un certo tipo di musicisti, un suono ancora più “democratico” dell’italo disco degli anni immediatamente precedenti perché non prevede necessariamente uno schema legato al formato canzone che implichi quindi un testo e un cantante che lo interpreti. La house music funziona anche in forma strumentale ma può comunque vantare voci d’eccezione grazie al campionatore, così come testimonia uno dei grandi successi nostrani dei tempi, “Ride On Time” dei Black Box, costruito sul sample carpito, suo malgrado, a Loleatta Holloway e la sua “Love Sensation”. Con una spesa relativamente abbordabile si può approntare un provino tra le mura casalinghe per poi affinarlo in qualche studio più equipaggiato e farlo mixare in modo appropriato per procedere con la stampa su vinile. C’è anche chi riesce a fare tutto in modo autonomo ed indipendente proprio come Pretolesi: «rispetto ai colleghi dell’epoca ero un ibrido» afferma nell’intervista sopraccitata. «Sapevo come registrare gli strumenti, ero un tastierista ed anche un DJ, fusi queste capacità per creare la mia musica occupandomi pure del mixaggio della stessa». Con un po’ di risparmi messi da parte, Pretolesi acquista un campionatore Akai S 900, un sequencer Roland MC-500 e una batteria elettronica Roland TR-909. Con quelli crea il Demo Studio, un piccolo home studio allestito nel retrobottega del negozio di ceramiche di famiglia, ai tempi al 21 di Largo Giuseppe Casini, a Chiavari. «Aspettavo che i miei (Sergio Pretolesi, musicista, e Francesca Musanti, pittrice, in seguito coinvolti in alcune produzioni discografiche del figlio, nda) chiudessero il negozio per fare musica, a volte fino al mattino, e subito dopo andavo a scuola» racconta in questa intervista edita da Vice nel 2012. «Era un periodo in cui riuscivo a completare anche quindici pezzi al mese. Il proprietario (Enrico Delaiti? nda) del negozio di dischi da cui mi rifornivo, Good Music, mi convinse a mandare una cassetta con un mixato a Radio DeeJay. Non avevo grosse aspettative però ricevetti una telefonata da Molella che mi invitava a partecipare ad un contest che la radio avrebbe organizzato da lì a poco all’Aquafan di Riccione, la Walky Cup Competition. Era il 1989 e a sfidarci eravamo io, Mauro Picotto, Daniele Davoli dei Black Box e Francesco Zappalà (ma pure Max Kelly e Fabietto Cataneo come raccontiamo rispettivamente qui e qui, nda), tutti giovanissimi. Vinse Picotto ma ebbi comunque la sensazione che tutto si stesse muovendo nella direzione giusta ed è incredibile come ognuno di noi poi abbia avuto successo».

Demo Studio logo
Il ritratto di Beethoven e il logo del Demo Studio a cui questo pare ispirarsi chiaramente

Nel 1990 la techno inizia il processo di europeizzazione ma, come detto all’inizio, in Italia solo una minoranza segue con attenzione il fenomeno e a dirla tutta il confine tra house e techno è labile e non ancora definito come invece sarà poco tempo dopo. Pretolesi, convinto che le sue creazioni siano all’altezza dei dischi che trova in vendita nei negozi, decide di provarci. La prima (auto)produzione si intitola “La Bestia (Bring It On Down)” e la firma con uno pseudonimo-citazione, S 900/S 950, un palese rimando ai campionatori Akai S900 ed S950, assoluti protagonisti della dance music prodotta a cavallo tra la seconda metà degli anni Ottanta e i primi Novanta. Il brano viene pubblicato su Demo Studio, brand omonimo del citato studio di Pretolesi per l’occasione abbinato ad un logo che vede la fumettizzazione di quello che pare il volto di Ludwig van Beethoven con la cuffia che affiora sotto la fluente capigliatura. A seguire arriva “Electric Live”, questa volta firmato Luca P. e prodotto in coppia con Vincenzo Ciannarella con cui Pretolesi ricostruisce “Electric Fling” dei RAH Band con divagazioni hip house e downtempo. La traccia vive una seconda vita attraverso il remix di M&M Crew edito dalla tedesca Hansa e distribuito in Europa dalla BMG Ariola oltre ad essere licenziata in Germania dalla Metrovynil per intercessione della Discomagic di Severo Lombardoni.

Kokko
“Kokko” dei Digital Boys, inciso sul lato b del terzo e ultimo 12″ su Demo Studio (1990)

«Dopo i primi dischi alcuni amici mi dissero che la mia musica suonava davvero bene e così iniziai a produrre e mixare anche per altre persone» aggiunge Pretolesi nell’intervista del 2015. Tra 1990 e 1991 infatti è impegnato come mixing engineer in “Eurovision” di Demo, sulla Tasmania Records, e “Back In The Time” di Kamera, su Flying Records. A quest’ultima, con cui chiude un accordo di distribuzione in contovendita, si presenta col terzo (ed ultimo) disco su Demo Studio che, come avvenuto per “Electric Live”, è costruito a quattro mani, questa volta con Mauro Fregara con cui Pretolesi forma il duo dei Digital Boys. Si intitola “Techno (Dance To The House)” ma di techno non ha nulla. È un rimaneggiamento di “Dance To The House” di The House Crew edito dalla Strictly Rhythm e il featuring attribuito al fittizio Cool De Suck (ironica anglofonizzazione di cul-de-sac?) in realtà cela il campionamento dell’acappella originale di Norberto ‘Bonz’ Walters. Nulla di autenticamente nuovo insomma. La sorpresa però è incisa sul lato b dove si trova “Kokko” rivista in due versioni, Elettro Mix e Suicide Mix, in cui si sviluppa un carattere musicale insolito. A differenza dei pezzi sinora messi in commercio, sostanzialmente manipolazioni ed interpolazioni di tracce già edite, in “Kokko” viene convogliata maggiore vitalità ed esuberanza oltre ad elementi saldati tra loro da patch campionate (su tutte l’hook ‘dance, you got the chance’ preso dalla Boogie Man’s Mix di “In The Mix” di Mix Masters Featuring MC Action e finito anche in “Dance, You Got The Chance” dei Rhythm Masters). La lunga lingua filo acida che si dipana lungo la stesura, troncata dalle punteggiature di stab, fa di “Kokko” qualcosa di diverso dalla classica house cantierizzata da un numero crescente di etichette, seppur un vocione continui a declamare “house”. «Grazie ad un passaggio di Albertino su Radio DeeJay le mille copie che avevo stampato a mie spese si esaurirono in due giorni così la Flying Records decise di mettermi sotto contratto e stamparne subito altre trentamila» svela ancora nell’intervista a Vice. «Quello fu il momento della svolta, cominciai a suonare in giro per l’Italia e l’Europa proprio quando la techno veniva sdoganata nei club e nasceva la rave culture».

In Order To Dance 2
“Kokko” dei Digital Boys finisce nel secondo volume di “In Order To Dance”, sulla belga R&S Records

A mostrare interesse per “Kokko” sono anche i DJ esteri sparsi tra Germania, Regno Unito (dove tra i supporter pare ci fosse anche Sasha), Paesi Bassi e Belgio. Ma non è tutto: il brano viene ripubblicato in Spagna dalla Max Music, ai tempi etichetta particolarmente influente nell’area iberica, e scelto da Renaat Vandepapeliere per il secondo volume della compilation “In Order To Dance” su R&S Records. In tracklist ci sono tracce di CJ Bolland, Frank De Wulf, Joey Beltram, James Pennington, Dave Clarke, Mark Ryder ed altri due italiani, i Free Force (Roberto Fontolan e il compianto Stefano Cundari) col brano “M.I.R.C.O.”. «”Kokko” riempiva le piste delle discoteche, in Italia e all’estero» ricorda oggi Mauro Fregara, contattato per l’occasione. «Impiegammo un pomeriggio per realizzare “Techno (Dance To The House)”. Dopo aver mangiato una pizza e bevuto una birra tornammo in studio e in appena un’ora nacque “Kokko”. “Techno (Dance To The House)” germogliò dai ripetuti ascolti della rivoluzionaria “Pump Up The Volume” dei M.A.R.R.S. (di cui parliamo qui, nda), ma rispetto a “Kokko” funzionò poco. Ai tempi incidere un disco di musica dance era una scommessa, specialmente per chi, come noi, provava a fare roba innovativa. Prima di collaborare con Luca, avevo prodotto un altro disco insieme a Charlie Storchi, un bravissimo DJ con cui lavoravo a Radio Babboleo. Si intitolava “Calanza” ed era firmato Macha, ma non ebbe grandi riscontri seppur fu utilizzato per un servizio mandato in onda dalla Rai, forse Tg2 Dossier, in cui si parlava di discoteche ed ecstasy. Andò decisamente meglio con “Kokko”, un successo anche ad Ibiza. Tuttavia dopo quello non incisi più dischi, concentrandomi sul lavoro in radio (facevo il tecnico per un programma chiamato Rock Cafè che andava in onda da Milano). Quella fu l’unica apparizione dei Digital Boys, un nome che ideai proprio io: la parola “digital” in quel periodo era sinonimo di tecnologia e faceva pensare subito al futuro. Poi forse la Flying Records suggerì a Luca di tenere l’alter ego al singolare per il suo progetto solista ma è solo una supposizione perché io non fui informato su nulla e tutto finì così come era iniziato» conclude Fregara. “Kokko”, comunque siano andate le cose, apre di fatto un nuovo scenario per Pretolesi che da quel momento diventa Digital Boy.

Gimme A Fat Beat
“Gimme A Fat Beat” è il brano con cui Digital Boy debutta sulla Flying Records

1991-1992, l’ingresso nella Flying Records e il boom dell’eurotechno
“Kokko”, b-side della terza autoproduzione di Pretolesi, è una palla di neve che si trasforma in valanga e cambia letteralmente lo status quo. Il successo raccolto in vari Paesi europei gli fa guadagnare un ingaggio dalla Flying Records, tra i poli discografici italiani più agguerriti in quel momento storico. Con un ruolo importante ricoperto anche come distributore ed importatore (ha una filiale a Milano, in Via Mecenate, ed una a Londra a cui se ne aggiungerà poi una terza a New York), la casa discografica campana di Flavio Rossi ed Angelo Tardio mette Pretolesi sotto contratto e nel 1991 pubblica “Gimme A Fat Beat”. Trainato dall’hook vocale preso da “The Party” di Kraze e frammenti di “Looking For The Perfect Beat” di Afrika Bambaataa & Soulsonic Force e “Jewel (Rough Cut)” dei Propaganda, il brano non impiega molto a consacrarsi in Italia, complice il supporto massivo di Albertino che lo porta al vertice della DeeJay Parade. Sul centrino del mix si rinviene, seppur piccolissimo, il logo del Demo Studio, ultima connessione con la breve parentesi “indie” dell’artista. La copertina invece, di Patrizio Squeglia, vede una sorta di installazione artistica col corpo di una donna sovrappeso seduta su un televisore. Un secondo televisore è piazzato al posto della testa. «La composizione grafica aveva solo un riferimento metaforico col titolo, appunto il “fat beat”, ed usai un concetto rappresentativo puramente astratto» spiega Squeglia poche settimane fa. «Nonostante il brano avesse un evidente suono accattivante e molto pop, allo stesso tempo risultava decisamente originale per i tempi. Per questo mi interessava creare un’immagine che potesse colpire ed incuriosire senza essere per forza didascalica, ma volevo soprattutto che la copertina catturasse un pubblico internazionale come quello del mercato inglese dove la creatività nella musica stava disegnando un percorso innovativo che in breve tempo andò ad influenzare tutti i settori merceologici e non».

Technologiko
Il fronte della copertina di “Technologiko” occupato integralmente dal primo logo di Digital Boy realizzato da Patrizio Squeglia

“Gimme A Fat Beat”, con la sua energia frenetica e ribollente, anticipa l’uscita del primo album di Digital Boy, “Technologiko”, pubblicato su vinile, cassetta e CD. Su quest’ultimo la tracklist include due tracce in più, la blippeggiante “Unisys” e “Yo! Techno”. La scelta di mettere sul mercato un album con questa musica è parecchio inusuale ai tempi, specialmente in Italia dove la dance viaggia quasi esclusivamente su 12″. L’LP, tendenzialmente legato ad ambienti pop e rock, faticherà non poco ad affermarsi nel comparto della musica da discoteca, ma è un chiaro segno di come alla Flying Records ambissero a ridurre la distanza tra mercato pop e dance, e fare di Digital Boy una star giovanile gestita come quelle dei grandi concerti. La stampa su vinile (gatefold), cassetta e CD ne rappresenta un’ulteriore conferma. Da “Technologiko” affiora un suono di matrice nordeuropea, fortemente dominato dall’uso del campionatore e dalla partizione sampledelica post marssiana come attestano “Digital Danze”, “This Is Metal Beat!”, riadattamento di “Acid Rock” di Rhythm Device, o “Rave Situation” con classici stab e voci adoperate come snodi ritmici, ma a presenziare è pure una solarità dal taglio melodico quasi eurodance con parentesi rappate in stile Technotronic (“Logik”). C’è spazio anche per una nuova versione di “Kokko” chiamata Jungle Remix (il “jungle” probabilmente deriva dai suoni ambientali usati ed evidenti nell’intro). Il fronte della copertina è occupato per intero dal logo di Digital Boy racchiuso in un quadrato di colore azzurro. «Il logo fu realizzato da me contestualmente alla scritta (rinvenibile sul retro e all’interno del gatefold, nda) “Digital Boy”» spiega ancora Squeglia. «Più che un significato specifico, questo segno distintivo incastrato tra le due parole aveva un riferimento preciso a quelle che erano le linee guida della grafica che si stava sviluppando all’inizio degli anni Novanta. La scelta di usare due elementi dalla forma rigida e definita (quadrato ed ellisse) disturbati da un graffio centrale, fu dettata dalla volontà di creare una rottura con quello che era stato il segno “morbido e romantico” che aveva accompagnato diversi progetti dell’industria discografica italiana negli anni Ottanta». Un elemento grafico di discontinuità insomma, che faccia il paio con il tipo di musica profondamente differente da ciò che il decennio precedente aveva lasciato in eredità.

Il secondo singolo estratto da “Technologiko è “OK! Alright”, ancora costruito su quell’essenzialità che tiene insieme tutti i pezzi pretolesiani del periodo innestati su moduli simili ossia brevi campionamenti a dare respiro tra gli anelli dei loop ritmici, un basso in stile Bobby Orlando su onda quadra, sirene e mini riff di poche note sincopate. Licenziato in Belgio dalla Music Man Records, il brano nasce sulla base di “OK, Alright” di The Minutemen, progetto del DJ newyorkese Norty Cotto edito dalla Smokin’ nel 1989. Così come si usa fare ai tempi, escono anche i remix tra cui quelli di Frank De Wulf e DJ Herbie, il primo all’opera su “Gimme A Fat Beat”, il secondo su “OK! Alright” e “Kokko”. Il 1991 è pure l’anno in cui debutta la UMM – Underground Music Movement, diretta artisticamente da Angelo Tardio e diventata presto un marchio di punta della Flying Records. Proprio a UMM Pretolesi destina “The Voice Of Rave” del progetto one shot omonimo, probabilmente interpretato nelle parti vocali dall’amico Ronnie Lee. Nel catalogo della main label del gruppo discografico napoletano, Flying Records per l’appunto, finisce invece “Just Let Your Body Ride” di Oi Sonik, pure questo limitato ad una sola apparizione e portato in Belgio dalla Music Man Records. Parallelamente inizia a muoversi sia l’attività sul fronte remix, con le versioni approntate per “Extasy Express” dei The End e “Thunder” dei Mato Grosso di cui parliamo qui e qui, sia quella nel redditizio comparto compilation con “Techno Beat”, mixata dal ragazzo digitale, edita ancora da Flying Records e sequenziata prevalentemente su materiale made in Italy alternata a due presenze d’oltralpe, “Hell Or Heaven” del compianto L.U.P.O. e “What Time Is Love” dei KLF. Tra le altre, pure un inedito a firma Digital Boy, “Rotation”, blipperia hardcore mista a sirene e bassline squadrati ed un sample preso da “Jump To The Pump” di 2-Wize che fa impazzire le platee all’estero. Il pezzo si ritroverà, due anni più tardi, sul CD singolo di “Crossover”.

La techno riformulata in Europa ormai ha preso piede a livello internazionale, è una tendenza consolidata che macina numeri inimmaginabili sino a poco tempo prima. Sul mercato si riversa un fiume di techno music o presunta tale, in grado di conquistare un numero crescente di ascoltatori disposti a farsi risucchiare in un vortice di musica mai sentita prima, sia per suoni che ritmiche. Un autentico boom commerciale che da un lato porta al diapason il fenomeno ma dall’altro finisce per inflazionarlo attraverso prodotti alquanto discutibili. C’è chi spera che quel momento non finisca mai, soprattutto i grossisti e le etichette discografiche che producono a nastro prodotti seriali, ma pure chi auspica che tale sovraesposizione si eclissi al più presto perché sta portando alla deriva ciò che la techno era originariamente, ossia tutto fuorché genere governato da espressioni stilistiche convenzionali. La stella di Digital Boy è ancora luminosissima: è ospite in importanti club tra Germania, Belgio e Paesi Bassi, la “mecca” di quel suono ronzante, ma pure in alcuni prestigiosi eventi statunitensi, su tutti il rave organizzato a Los Angeles da R.E.A.L. Events il 7 marzo ’92 in cui il nostro si esibisce insieme ad artisti del calibro di Joey Beltram e Doc Martin. Il flyer dell’evento viene spillato ad un flexi-disc 8″ prevedibilmente diventato un cimelio per i collezionisti. Non mancano ovviamente le serate in Italia in posti come il Cocoricò o l’Immaginazione di Pantigliate, dove propone un suono rude, acido ed inselvaggito come si sente in questa clip. In buona sostanza Digital Boy diventa uno degli artisti di riferimento per chi segue un suono descritto da Christian Zingales nel libro “Techno” come «una sintesi commerciale dell’imprinting abrasivo di Underground Resistance, humus principale di una bastardizzazione europea che dettò legge su Radio DeeJay con Albertino che ribattezzò “zanzarismo” quel sound».

This Is Mutha Fuker
“This Is Mutha F**ker!”, una conferma per Digital Boy nel 1992

Le idee per alimentare la discografia non mancano e ripercorrendo le orme lasciate da “Who Is Elvis?” dei Phenomania (di cui parliamo qui) e flirtando col cosiddetto hoover sound ottenuto con la Roland Alpha Juno-2 ed eternato da pezzi tipo “Dominator” degli Human Resource o “Mentasm” di Second Phase, Pretolesi sfodera “This Is Mutha F**ker!”, con suoni che si spandono come inchiostro su carta assorbente. Sulla copertina del 12″ realizzata ancora da Patrizio Squeglia l’autore, fotografato da Emanuele Mascioni, inforca uno strano paio di occhiali con le lenti a forma di mirino, acquistati a Camden Town, nella capitale britannica, come lui stesso svela nell’intervista a Vice. «Quegli occhiali furono un accessorio che finì con l’identificare Luca anche senza usare il suo nome d’arte» spiega Squeglia. «Li propose in maniera autonoma e tutto il team della Flying Records sposò la scelta senza esitazioni. Tra l’altro la copertina di Digital Boy a cui sono legato di più è proprio quella di “This Is Mutha F**ker!”: per arrivare a quello scatto io ed Emanuele Mascioni chiedemmo a Luca, durante lo shooting fotografico, di eseguire un’infinita di flessioni e per questo, probabilmente, lui arrivò ad “odiarci”. La tensione del suo corpo, il bianco e il nero, il logo nella versione minimale e le proporzioni striminzite del titolo in netto contrasto coi titoloni usati da altri artisti italiani, resero quell’artwork iconico e riconoscibile in mezzo a mille. Operavo sempre in simbiosi con Luca, il fine ultimo era proporre l’immagine di un artista di carattere internazionale, diverso dalla solita pop star italiana vestita bene per l’occasione. Ovviamente il tutto era legato al sound proposto e penso che, visti i risultati ottenuti, il lavoro abbia funzionato».

Sul retro della copertina di “This Is Mutha F**ker!” si legge uno speciale ringraziamento rivolto all’Akai insieme ad una foto dell’MPC60, strumento che l’azienda nipponica sviluppa insieme a Roger Linn. Tra i crediti si apprende anche della nascita del Digital Boy Management, curato da Mario Cirillo. Ormai Pretolesi è lanciato nello star system, “This Is Mutha F**ker!” staziona per tutto il mese di aprile al vertice della DeeJay Parade e sembrano davvero lontanissimi i tempi in cui armeggia nello studio amatoriale ricavato nel negozio dei genitori provando ad assemblare suoni e ritmiche con le poche macchine di cui dispone. A remixare “This Is Mutha F**ker!” (che stando a quanto riportato dalle Raveology News a marzo 1997, avrebbe venduto 55.000 copie in Italia ma 200.000 includendo le numerose licenze estere) sono gli Underground Resistance, artefici di una versione in chiaro hoover style che palpita su uno sfondo fiammeggiante. In parallelo il team di Detroit approda sulla neonata UMM con “Living For The Nite” i cui remix vengono affidati a Digital Boy che ne ricava due reinterpretazioni, The Digital Morning After e The Boy’s Nite Before. A fare da “ponte” tra Pretolesi e gli americani è il citato Tardio che oggi rammenta: «Conobbi Jeff Mills e Mike Banks al New Music Seminar di New York dove mi trovavo insieme ad Alberto Faggiana, responsabile legale della Flying Records. Erano persone simpatiche, gentili ed affabili, in netto contrasto con la musica che producevano, così violenta ed alienante, e diventammo presto amici. Mi sembrò naturale quindi, qualche tempo dopo, coinvolgerli in alcuni progetti discografici che stavo curando. In virtù del ruolo consolidato come distributore, la Flying Records era un punto di riferimento non solo per le realtà italiane ma pure per quelle estere che si affidavano a noi sapendo di poter contare su una distribuzione efficace e capillare nonché su una società più che solida sotto il profilo finanziario, in quel periodo il fatturato annuo era pari a quaranta miliardi di lire».

Punizione
L’artwork della compilation “Punizione”

“This Is Mutha F**ker!” finisce pure nella tracklist della compilation “Punizione” in cui Digital Boy mette insieme un collage di pezzi ascritti a quel filone che vive l’apice del successo in Europa, da “Babilonia” di Moka DJ a “Mig 29” dei Mig 29, da “UHF” di UHF (tra i primi progetti di Moby) a “The Sound Of Rome” di Lory D e “Purgatorio” di Technicida passando per varie hit come “Pullover” di Speedy J, “Dominator” di Human Resource, “Who Is Elvis?” dei Phenomania, “Dance Your Ass Off” di R.T.Z. ed “Everybody In The Place” dei Prodigy. La copertina, ancora di Patrizio Squeglia, è una provocazione che i benpensanti possono tacciare facilmente di blasfemia, la riproposizione della crocifissione cristiana dove la croce è fatta però da maxi subwoofer e il volto di Cristo sostituito dal monitor di un computer, un chiaro rimando all’artwork di “Gimme A Fat Beat”. «Essendo ateo ho una percezione delle immagini sacre diversa rispetto a quella di un credente, per me il Cristo sulla croce è solo un uomo torturato ingiustamente» chiarisce Squeglia. «Terminologie come “Punizione”, “Yerba Del Diablo” (Datura, nda) e simili, erano frequenti ai tempi, specialmente nel circuito techno. Essere in bilico tra sacro e profano aveva un fascino particolare, catturava l’attenzione del pubblico che voleva cambiare le regole del club allontanandosi dalle pedane luminose e ballare nel buio, in linea con le basse frequenze del nuovo suono che stava esplodendo. L’utilizzo di immagini sacre (si veda la copertina di “The Age Of Love” di cui parliamo qui, nda) in contesti così forti veniva percepito come una grande volontà di rottura col passato e col finto perbenismo dilagante. Qui in Italia abbiamo un esempio eccellente di questa scuola di pensiero, il grande tempio della techno, sua maestà il Cocoricò, su cui ci sarebbe l’impossibile da raccontare soprattutto per quello che riguarda la grafica».

Futuristik
“Futuristik”, secondo LP di Digital Boy uscito poco dopo “Technologiko”

“This Is Mutha F**ker!” è il primo singolo estratto dal nuovo album, “Futuristik”, che la Flying Records stampa ancora su CD, cassetta e vinile, questa volta doppio. Rispetto a “Technologiko”, figlio delle sperimentazioni casalinghe generate durante quella sorta di apprendistato tra le mura del Demo Studio, il secondo LP vive in un’atmosfera variopinta e si nutre di una gamma ispirativa più ampia, probabilmente derivata dalle esperienze che l’autore matura in giro per l’Europa («non puoi fare dischi di successo se non hai un feeling e un contatto costante col pubblico» dirà in una videointervista nel 1994), e mostra un appeal meno commercia(bi)le. Non è inoltre un disco monocorde come potrebbe apparire il predecessore, Pretolesi esplora nuove vie cimentandosi in un paio di tracce filo house (“If You Keep It Up”, “Touch Me”) che mettono un po’ di brio nella tavolozza compositiva che comunque resta ad appannaggio dell’eurotechno forata da vocalizzi umani (“Avreibody Move”, “Jack To The Max”), cavalcata da suoni cristallini (“The B-O-Y”, “Wave 128”), stab di memoria rave (“D-Dance”, una specie di italianizzazione di “I Like It” di Landlord Featuring Dex Danclair), euforie hardcore (“Kaos”, “In The Mix”, “Now Come-On”, “Energetiko”), minimalismo post pulloveriano (“Tilt 21”). Di tanto in tanto affiorano gli interventi vocali di Ronnie Lee che ai tempi si fa chiamare MC Fresh, come quelli in “Children Of The House” registrata durante un live al Parkzicht di Rotterdam.

123 Acid
La copertina di “1-2-3 Acid!” dominata ancora dagli occhiali con le lenti a forma di mirino

“1-2-3 Acid!” è il secondo singolo preso da “Futuristik” in cui l’autore ritaglia un elemento vocale da “In The Bottle” dei C.O.D. e torna a campionare la Boogie Man’s Mix di “In The Mix” di Mix Masters seppur nel video diretto da Nick Burgess-Jones quella parte venga mimata dal menzionato Lee, il futuro Ronny Money. In copertina finisce un altro scatto di Mascioni caratterizzato ancora dagli occhiali-mirino, gli stessi che si scorgono sull’artwork dell’album dove Pretolesi è immortalato per intero ed indossa t-shirt e scarpe SPX, brand britannico importato in Italia dalla Interga di Bressanone insieme ad altri marchi come Daniel Poole, Nervous, Apollo, Million Dollar, DeLong, World Tribe Productions, Caterpillar e Trigger Happy. Il modello Street Slam finito sull’artwork diventa particolarmente popolare nell’ambiente delle discoteche grazie a vari testimonial che l’Interga coinvolge ai tempi come Rexanthony, KK, Digital Boy per l’appunto e il suo master of ceremonies, MC Fresh, che in parallelo debutta da solista con “Don’t You Wanna Be Free”. A conti fatti Pretolesi è già un endorser capace di catalizzare i gusti del pubblico, principalmente dei giovanissimi, ed è desideroso di dare voce alla sua creatività non solo nella musica ed infatti firma col suo marchio una linea di abbigliamento (cappellini, t-shirt, pantaloni, accessori vari).

Digital Boy & SPX
Digital Boy è uno degli endorser italiani del brand britannico SPX (foto tratta da una brochure dell’Interga del 1992)

La Flying Records pubblica “Futuristik” anche in territorio britannico ma c’è qualcosa che non va secondo i piani. «Vorremmo approdare negli Stati Uniti ma è un mercato molto diverso da quello europeo e giapponese» dichiara il promoter Alessandro Massara in un articolo di David Stansfield pubblicato su Billboard il 4 luglio 1992. «Per raggiungere un vasto pubblico negli States è necessario che un artista venga gestito da una multinazionale. Dare in licenza il prodotto ad etichette indipendenti è irrilevante, possono muovere circa 5000 copie e non basta. Uno dei problemi che la Flying Records sta incontrando è rappresentato dal fatto che alcuni Paesi siano interessati solo ad un singolo» prosegue Massara. «La nostra priorità, al momento, è Digital Boy ma vorremmo andare oltre la vendita del classico mix visto che è tra i pochi artisti techno, in Italia, a potersi esibire come in un vero e proprio concerto. Per questa ragione abbiamo rifiutato diverse offerte giunte da etichette indipendenti, auspichiamo che qualche major possa farsi avanti magari dopo il New Music Seminar o il mega rave a Los Angeles previsto per il 4 luglio». Le speranze di Massara si infrangono, non c’è nessuna multinazionale interessata a Digital Boy che nel frattempo remixa “Nana” dei N.U.K.E. (uno dei progetti del tedesco Torsten Stenzel intervistato qui) e “Ti Sei Bevuto Il Cervello” di Control Unit, deriva demenziale dell’euro(techno)dance firmata da Albertino e Pierpaolo Peroni, per ovvie ragioni pompata sulle frequenze di Radio DeeJay. «A mio avviso tra la pubblicazione di “Technologiko” e “Futuristik” trascorse troppo poco tempo» afferma Tardio. «Farlo uscire pochi mesi dopo il primo LP fu un errore che si ripercosse sulle vendite, ridimensionate rispetto al precedente. A complicare ulteriormente la situazione fu inoltre la posizione dicotomica di Digital Boy nel mercato: in Italia era seguito perlopiù dai teenager ed era considerato un nome commerciale perché entrato nelle grazie di Albertino che lo supportava su Radio DeeJay al contrario dell’estero dove invece continuava ad essere un nome di nicchia dell’underground e credibile per un pubblico più adulto. Per questa ragione le multinazionali non si mossero, evidentemente non considerarono l’ipotesi di investire su un artista legato ad un genere musicale ancora lontano dai riflettori e dalle copertine patinate come allora era la techno». Nel corso dell’anno la Flying Records gli affida anche il mix di due compilation, “Punizione Continua” e “Digital Beat”, quest’ultima accompagnata da una copertina che richiama quella di “Futuristik” con una foto probabilmente scattata nella stessa session ma con una giacca di pelle al posto della felpa e un altro paio di SPX ai piedi, le CB 104 in nubuck rosso. Sotto il profilo musicale invece, la prima annovera qualche concessione techno (Underground Resistance, Solid State), la seconda invece tracima nel suono dance generalista italiano di allora (U.S.U.R.A., Anticappella, Ramirez, Glam, Mato Grosso) al quale l’artista si avvicina di più a partire dall’anno seguente.

1993-1994, l’avvicinamento all’eurodance e la fine del sodalizio con la Flying Records
A partire dal 1993 il trend commerciale europeo della techno va progressivamente sgonfiandosi, soverchiato da nuove tendenze che conquistano il gusto del grande pubblico. In Italia, tuttavia, c’è un colpo di coda rappresentato da un ibrido sonoro portato avanti da artisti come Ramirez, DJ Cerla, Masoko, Z100, Virtualmismo e Digital Boy. La figura di quest’ultimo si ritrova in una posizione difficile: la sua musica è fin troppo “cheesy” per i soldati dell’underground ma nel contempo suona troppo “dura” per gli irriducibili della melodia e del formato canzone. «Tra coloro che facevano techno nei primi anni Novanta, in Italia, sono quello che è finito in radio prima di altri» afferma a tal proposito l’artista in questa intervista a cura di Damir Ivic, pubblicata su Soundwall il 15 ottobre 2018. «”Kokko”, “Gimme A Fat Beat” e “OK! Alright” erano mandati in onda da Radio DeeJay e se finivi lì automaticamente diventavi “commerciale”. Lory D ha smesso di suonare i miei pezzi da quando iniziarono ad essere trasmessi in un certo tipo di contesto. Dal punto di vista pratico, divenni l’artista techno con un pubblico fatto di non appassionati techno. La Gig Promotion (agenzia di management legata a Radio DeeJay, nda) mi faceva suonare in posti dove il pubblico non era assolutamente composto da raver bensì da gente che frequentava le discoteche “normali”. I miei colleghi quindi ad un certo punto mi hanno visto andare “di là”, seppur io continuassi a suonare le stesse cose di prima, di fronte ad un’audience diversa, sì, ma la musica era la stessa».

Crossover
“Crossover” è l’unico brano che Pretolesi pubblica come Digital Boy nel 1993

Probabilmente è questa singolare collocazione nella scena che persuade Pretolesi a dare un taglio diverso alle sue (poche) produzioni discografiche, ridotte sensibilmente rispetto alle due annate precedenti. Alla Discoid Corporation, uno dei tanti tentacoli della Flying Records, destina due 12″ dell’amico Lee che abbandona le vesti di MC Fresh diventando Ronny Money, “Ula La” e “Money’s Back”. Solo uno invece il disco a nome Digital Boy uscito nel ’93, “Crossover”, successo estivo con cui l’artista, pur non cedendo in modo evidente alla costruzione tipica dell’eurodance, applica una sostanziale modifica alla matrice del suo stile adesso più vicino al modello tedesco di artisti come Genlog, General Base, N.U.K.E. o U96. Il titolo stesso del brano sembra sintetizzare gli intenti indicando un miscuglio di elementi eterogenei che possano transitare attraverso diversi mondi musicali. All’interno di “Crossover” c’è ritmo, energia, un breve messaggio vocale (dell’amico Ronny Money) ed una spirale acida, ma la costruzione assai prevedibile del tutto rivela un approccio che divide ben poco con la techno. Sul retro della copertina una foto, ancora di Mascioni, restituisce un’immagine di Pretolesi un po’ diversa rispetto a quella del biennio precedente, più composta e sobria e meno ravecentrica. La versione che apre il lato b, la L.U.C.A. Over Mix, pulsa su battiti accelerati e viene ulteriormente rivista nella L.U.C.A. Over Remix (solcata su un 12″ di colore blu) che pare una summa tra il suono spiritato dei Datura e le sincopi balbettanti di Ramirez. Sul lato a invece figura una Edit LP Mix che lascia supporre la presenza di un nuovo album di cui peraltro si parla ma che, come si vedrà più avanti, non vedrà la concretizzazione. L’Italia danzereccia accoglie con entusiasmo “Crossover”: sebbene non conquisti la cima della DeeJay Parade, il brano resta nell’ambita classifica settimanale per due mesi e mezzo circa (dal 3 luglio al 18 settembre) e la Flying Records cavalca comprensibilmente l’onda, prima con la “Crossover Compilation” mixata da Pretolesi in modo parecchio creativo a mo’ di medley, e poi con vari remix come quello di “Atchoo!!!” dei Control Unit e soprattutto quello per “Ricordati Di Me” di Fiorello, edito su vinile giallo e ricavato dallo stesso telaio di “Crossover”. Tutto sembra andare per il verso giusto ma alcune nuvole si profilano all’orizzonte.

Il 1994 si apre con “It’s All Right” della vocalist britannica Jo Smith, cover eurodance dell’omonimo di Sterling Void e Paris Brightledge uscito nel 1987. ‎A produrre, arrangiare e mixare il brano è Digital Boy nel suo Demo Studio. Sul lato b del disco, edito da Flying Records, c’è pure un inedito, “Incomprehensions”, scritto da Pretolesi e dalla Smith. Il titolo, a giudicare da ciò che avviene pochi mesi dopo, è forse un indizio su quello che sta avvenendo dietro le quinte? Su Discoid Corporation torna invece Ronny Money col poco fortunato “Again N’ Again”, un’altra produzione proveniente dal Demo Studio in chiave smaccatamente euro: il Digital Boy di adesso è davvero irriconoscibile se paragonato a quello di pochi anni prima. Rimasto nell’anonimato è pure il remix realizzato per “Another Love” di Further Out, sempre su Flying Records.

Dig It All Beat
Con “Dig It All Beat!” si conclude l’avventura di Digital Boy al fianco della Flying Records

Tuttavia le aspettative dei fan sono alte e ad aprile esce “Dig It All Beat!” che richiama i suoni e la stesura di “Crossover” ma con l’aggiunta di una componente pop più evidente derivata dalle presenze vocali incrociate di Jo Smith e Ronny Money. Sebbene ricordi il successo dell’estate precedente, “Dig It All Beat!” non riesce però a replicarne i risultati, non figura né tra i mix più venduti né tantomeno tra i titoli irrinunciabili di DJ ed emittenti radiofoniche. Fugace l’apparizione nella DeeJay Parade per appena due settimane a giugno e limitata alla parte più bassa della classifica. Il vento sta cambiando e il periodo più creativo sembra già essere alle spalle. Un’impasse. La figura di Digital Boy appare più aderente al fermento musicale italiano che a quello internazionale e la pubblicazione del secondo volume della “Crossover Compilation” non lascia adito a dubbi. In tracklist si va da Masoko Solo ad Anticappella, dai Datura a Silvia Coleman passando per Molella, The Outhere Brothers, 2 Unlimited ed Aladino. Non c’è ombra neanche dell’eurotechno e il pezzo che avrebbe potuto aprire una nuova traiettoria preservando connessioni col passato, “Inkubo”, viene relegato invece al CD singolo di “Dig It All Beat!”. Durante la primavera viene ancora annunciata l’uscita del nuovo album, il terzo, accompagnato da un VHS, atteso già ad ottobre ’93 come sottolinea Marco Biondi in una recensione su Tutto Discoteca Dance a maggio. «Il nuovo LP arriverà insieme ad un home video che raccoglie spettacoli fatti un po’ in tutta Italia e poi rieditati, oltre a brani nuovi» spiega Pretolesi in un’intervista rilasciata alla rivista Trend Discotec a giugno 1994. «In particolare c’è uno spettacolo fatto all’Ultimo Impero di Airasca che abbiamo filmato appositamente per la videocassetta con una troupe video e con piccole telecamere amatoriali». Uno scatto dell’evento in questione finisce sul retro della copertina di “Dig It All Beat!”, un’annunciazione in pompa magna di un lavoro che, almeno sulla carta, sembra molto forte. «”Digital Boy Live”, titolo dell’album ma pure del VHS, è un crossover di situazioni» prosegue l’artista nell’intervista. «È techno ma raccoglie influenze diverse. Ha voci, di Jo Smith e Ronny Money, completamente inedite, originali, e non più campionamenti come in passato. Sto lavorando a questo LP da molto tempo visto che faccio tutto da solo, penso i pezzi, li compongo e poi li mixo. I testi invece sono di Ronny Money. […] Nella mia musica rappresento me stesso, non c’è un team di studio che produce un pezzo da mettere in commercio ma un artista che si espone in prima persona e rappresenta un certo tipo di musica. Io sono un rappresentante della techno e sono me stesso in tutte le cose che faccio, negli spettacoli, nei dischi, nelle copertine. Non si tratta di un’immagine per vendere un prodotto. Il brano può essere commerciale ma è quello che sento io». Per l’occasione Pretolesi annuncia che da “Digital Boy Live” verranno estratti due o tre singoli ma nel momento in cui viene pubblicata l’intervista sono ancora da definire. «Posso però dire che uscirà un’edizione limitata e numerata su 10″ del singolo “Dig It All Beat!” con due ulteriori versioni del pezzo. Ne verranno stampate solo mille copie che verranno messe in vendita nei migliori negozi di dischi dopo una selezione fatta dalla Flying Records».

Dell’album, del VHS e del 10″ in limited edition però si perdono le tracce. A saltare fuori invece è una notizia clamorosa, iniziata a trapelare a fine estate: Digital Boy abbandona la Flying Records. In un primo momento sembrano solo voci di corridoio prive di fondamento ma nell’arco di qualche settimana giunge l’ufficialità. Pretolesi tornerà ad essere indipendente, col supporto distributivo della Dig It International di Milano. La Flying Records para il colpo mettendo sotto contratto Moratto, temporaneamente allontanatosi dall’Expanded Music di Giovanni Natale, intervistato qui, e i salernitani KK, reduci di gloriose esibizioni ai campionati DMC ed introdotti alla discografia dalla modenese Wicked & Wild Records di Fabietto Carniel, così come raccontiamo qui. «Tra ’93 e ’94 la musica di Digital Boy divenne sempre più commerciale e per questa ragione smisi di occuparmene» spiega ancora Angelo Tardio. «Entrare a far parte di un’agenzia di spettacolo come la Gig Promotion voleva dire vedere aumentare sensibilmente il numero delle serate ma nel contempo sacrificare la parte di pubblico che seguiva tutt’altra musica. Era impossibile tenere il piede in due scarpe e ad un certo punto Luca se ne accorse e mostrò il desiderio di tornare ad essere indipendente, forse per uscire dalla dimensione pop in cui lo aveva proiettato la Flying Records con importanti investimenti economici. Il nostro fu comunque un “divorzio” consensuale, non avevamo alcun interesse ad impedirgli di proseguire la carriera come meglio credeva. Ricordo Pretolesi come un ragazzo dal talento pazzesco, con una dimestichezza unica nell’usare le macchine, sia analogiche che digitali. Nonostante fosse poco più che ventenne, sembrava maneggiarle da sempre e in grado di parlare con ogni strumento su cui metteva le mani. Era inoltre una persona che accettava di buon grado i consigli e non nutriva il suo ego come altri artisti o presunti tali. Solitamente veniva da noi con un demo che ascoltavamo insieme e sistemavamo marginalmente, magari per qualche suono o dettagli della stesura. Era molto creativo ma a volte necessitava di essere indirizzato su qualcosa di preciso per non perdersi. Fui proprio io, ad esempio, a suggerirgli di usare la base di “OK, Alright” di The Minutemen che poi divenne “OK! Alright”, ma lungi da me prendermi dei meriti: Luca è il vero artefice di tutto quello che ha fatto, era una persona che capiva al volo e parecchio intuitiva. A mio avviso sono tre i pezzi cardine della sua discografia, “Gimme A Fat Beat”, “OK! Alright” e “This Is Mutha F**ker!”, il mio preferito. In quel periodo vendeva vagonate di mix, anche 50.000/60.000 copie a titolo, risultati che però non riuscì più ad eguagliare dopo aver abbandonato la Flying Records».

The Mountain Of King
Con “The Mountain Of King” Digital Boy torna al successo nell’autunno del 1994 e lancia la sua personale etichetta, la D-Boy Records

Un passo indietro per andare avanti: il ritorno all’indipendenza
Nonostante le interviste rilasciate nel corso del primo semestre ’94 non facciano sospettare nulla, corre voce che negli ultimi tempi i rapporti tra Digital Boy e la Flying Records non fossero idilliaci. Una volta esauritasi la spinta della bolla eurotechno, gonfiata tra 1991 e 1992 e poi scoppiata nel corso del ’93, sorge la necessità di voltare pagina e ricostruire una nuova immagine intorno al “ragazzo digitale” che però, probabilmente, non è allettato dall’idea di seguire le mode e le tendenze del momento. A chiarirlo è lui stesso in un’intervista a cura di Roberto Dall’Acqua, realizzata a settembre ma pubblicata a novembre sul mensile Tutto Discoteca Dance: «Negli ultimi tempi avvertivo il rischio di trovarmi prigioniero di un cliché, costretto dai vincoli contrattuali a dover fare un singolo di un certo tipo perché era estate ed uno di un altro tipo perché era inverno. Non avevo spazio per la sperimentazione, lavorare con un’etichetta mia mi tranquillizza molto in tal senso perché ho un totale controllo artistico su ciò che faccio». L’etichetta a cui fa riferimento è la D-Boy Records che debutta in autunno con “The Mountain Of King”, pezzo lanciato su una velocità atipica per la dance (specialmente italiana) del periodo e che ha una duplice valenza, riportare l’artista all’indipendenza e fargli riassaporare parte del successo dei primi tempi. Ad interpretarlo è Sharon Rose Francis in arte Asia, cantante di colore che rimpiazza Jo Smith, impossibilitata a proseguire la collaborazione per motivi contrattuali. Da noi il successo è più che evidente, “The Mountain Of King” cattura all’istante l’attenzione di DJ e programmatori radiofonici perché non somiglia a niente in circolazione in quel momento ed entra in decine di compilation e in praticamente tutte le classifiche dance dell’FM inclusa la DeeJay Parade di cui conquista il vertice per tre settimane a novembre.

classifica da Billboard 24-12-1994,
La top ten dei singoli in Italia a dicembre ’94: Digital Boy è sul terzo gradino del podio

Viene girato anche un videoclip (incluso in “T.V.T.B. – La Televisione Che Non C’è”, VHS di successo di Albertino) in cui Digital Boy è alle prese con una tastiera Ensoniq ASR-10 e che nella parte finale mostra un rocambolesco volo in elicottero e chiarisce la ragione del titolo: il “re” è Martin Luther King. A curare il design della copertina del disco è Claudio Gobbi mentre autore delle due foto, una sul fronte ed una, più piccola, sul retro, che probabilmente mostra per la prima volta al pubblico il volto di Asia, è Lorenzo Camocardi. Più che incoraggianti le vendite, in sole tre settimane macina oltre 40.000 mix e come testimonia la top ten dei singoli italiani di Musica E Dischi apparsa su Billboard il 12 dicembre, il brano si piazza in terza posizione, dopo “It’s A Rainy Day” di Ice MC e “Stay With Me” dei Da Blitz, davanti a star stellari del pop come Bon Jovi, Madonna e Vasco Rossi. Nello stesso periodo Digital Boy partecipa al brano “Song For You” nato a supporto dell’iniziativa solidale di Radio DeeJay, con cui si stanziano proventi per ricostruire la scuola elementare Giovanni Bovio di Alessandria gravemente danneggiata dall’alluvione del 5 e 6 novembre. Diventata, con gli estremi speculari di melodia e ritmo, una sorta di archetipo di una eurodance steroidizzata, “The Mountain Of King” (affiancata dalla virulenta “S.A.L.T.A.” sul lato b) apre inconsciamente una strada nuova e sprona un crescente numero di produttori italiani a cimentarsi in brani a bpm sostenuti, un vero trend che andrà avanti per tutto il 1995 e parte del ’96. La D-Boy Records, col centrino quadrato anziché rotondo e con un logo in cui fa capolino Ninì, il cane bassotto di Pretolesi, non si configura come un’etichetta nata come piattaforma esclusiva per le sue produzioni così come è stata la Demo Studio nel 1990. «La label nasce con la finalità di dare alla luce nuovi progetti artistici curati da giovani produttori con idee innovative ed originali, senza seguire canoni predeterminati o obblighi di mercato. L’unico scopo a cui miriamo è proiettarci verso il futuro seguendo il nostro senso artistico» sottolinea Pretolesi in un’intervista di Nello Simioli su Tutto Discoteca Dance a maggio 1995, ed aggiunge: «ogni sei mesi pubblicherò il mix di un personaggio esordiente grazie agli innumerevoli provini che ricevo da tutta Italia».

cartolina fan club 1994
L’opuscolo che annuncia l’apertura del Digital Boy Fan Club a dicembre ’94

A fine ’94, poco prima dell’uscita del nuovo album, apre i battenti anche il Digital Boy Fan Club, iniziativa attraverso cui i fan possono mantenere un filo diretto con il loro beniamino. Due le operazioni attivate, la Fan Card e il Cofanetto Digitale. La Fan Card garantisce sconti sul merchandising in vendita nei negozi di dischi, offre la possibilità di partecipare ad incontri con l’artista ed entrare in una mailing list (postale) per ricevere mensilmente notizie in anteprima e il calendario aggiornato con le date dei live; il Cofanetto Digitale contiene invece un manifesto, una cartolina autografata, una t-shirt e il VHS “Digital Boy Live” che i fan attendono ormai impazientemente da circa un anno.

1995, il terzo (ed ultimo) album
“The Mountain Of King” anticipa di pochi mesi l’uscita del terzo LP di Digital Boy, “Ten Steps To The Rise”. «È un disco che non si limita a guardare al mercato italiano e non è nemmeno il classico disco di “spaghetti dance” cioè un freddo progetto di studio che vede in azione il musicista e il DJ che usano delle “controfigure mute” come immagine per i passaggi televisivi» spiega Pretolesi nell’intervista a cura di Dall’Acqua sopraccitata. Ed aggiunge: «questa produzione è senza ombra di dubbio un ritorno all’istintività e all’intuitività dei miei primi lavori. Mi riporta a quando registravo le tracce e le mettevo su vinile così come le sentivo, senza alcuna malizia commerciale. La cosa veramente importante per me era la spinta, la motivazione che c’era dietro». L’artista individua una linea da seguire sullo sfondo di nuove prospettive e prende le distanze dal tipico modus operandi della dance nostrana, popolata da tanti (o troppi?) personaggi immagine come descritto qui. Pare inoltre voglia dare un taglio di forbici al suo passato, contestualmente al cambio dell’etichetta discografica. Molla la natia Liguria per trasferirsi a Melazzo, un piccolo paesino della provincia di Alessandria, in Piemonte, dove fissa la nuova base operativa, e crea un nuovo logo, già apprezzato sulla copertina di “The Mountain Of King” e piazzato al centro del vecchio logotipo “Digital Boy”, unico elemento grafico a garantire un continuum con gli anni precedenti. L’autore ora vuole guardare meno le cose dall’aspetto commerciale, come sostiene nella videointervista di Marco Gotelli trasmessa da Entella Tv nell’autunno ’94 e in effetti “Ten Steps To The Rise” evade dalla classica prevedibilità delle produzioni dance mainstream italiane e non è proprio il classico disco destinato al mercato di massa, seppur la linea sfacciatamente melodica di “The Mountain Of King”, pervasa da un filo di malinconica nostalgia, pare sconfessare gli intenti alternativi.

Ten Steps To The Rise
“Ten Steps To The Rise”, terzo e ultimo LP di Digital Boy

È sufficiente però ascoltare il brano d’apertura, “Ten Steps To The Rise”, che è una sorta di prologo narrato dalla voce di Ronny Money, per capire come Pretolesi non voglia affatto scimmiottare le hit del momento. “Exterminate”, coi profondi vocalizzi di Flame, è una cavalcata hard trance sullo sfondo di iridescenti melodie daturiane, “Get Up (To The Old School)” è un salto indietro nel breakbeat britannico post Prodigy con una vena rock incastonata all’interno (a suonare la chitarra è Sergio Pretolesi, padre di Luca), “The Ride” si spinge a lambire sponde acidcore, “7 A.M. Day Dream”, ancora con l’intervento di Flame, è un’escursione onirica, “Party Hardy” è giocosa happy hardcore, “Mental Attack” galleggia su bolle di trance solforica, “S.A.L.T.A.” è un martello demolitore, “Acid Boy” avrebbe fatto ottima figura nel catalogo Bonzai insieme ad Yves Deruyter, Jones & Stephenson e Cherry Moon Trax. In fondo ci sono “Trippin'”, ipnosi in slow motion, e “Set Um’ Up, Dee”, dove il rap di Ronny Money è incorniciato da una cortina di acidismi dai quali emerge anche una citazione per “Crossover”. A chiudere è una versione di “The Mountain Of King” ad 80 bpm, quasi trip hop. Pretolesi, a conti fatti, si rimette in discussione sviluppando e sperimentando cose nuove e più stimolanti, in risposta alla rassicurante standardizzazione dell’eurodance. Edito su (doppio) vinile, CD e cassetta, “Ten Steps To The Rise” risulta essere un album decisamente atipico per un personaggio finito nelle spire della dance generalista da Superclassifica Show, spiazzante perché non ruota su una carrellata di brani simili a quello più popolare (e questo lascia profondamente deluso chi si aspettava invece un’altra “The Mountain Of King” o comunque brani da DeeJay Parade) ma mostra all’ascoltatore i vari volti sonori dell’autore non configurandosi come un banale contenitore di qualche promettente singolo accompagnato da ovvietà riempitive. Non a caso ad essere estratto, in estate, è solo un secondo brano, “Exterminate”, abbinato all’inedito “Direct To Rave”, un ingranaggio mosso da bracci pneumatici che funge da cartina tornasole della nuova rave music cambiata rispetto ai primi Novanta: al posto delle sirene, dei reticoli breakbeat, degli stab e dei suoni hoover ora ci sono velocità sostenute, traslitterazione audio del futuro che avanza fulmineo, e melodie festaiole, in rappresentanza di un’epoca prospera sotto il profilo economico e geopolitico. Sono gli anni in cui l’hardcore vive la fase commercialmente più fortunata ed eventi come la Love Parade vedono aumentare esponenzialmente l’affluenza «capitalizzando e disciplinando l’energia dei primi rave clandestini in un network milionario fatto di sponsor ed indotti sempre più roboanti», come scrive Andrea Benedetti in “Mondo Techno”. “Exterminate” e “Direct To Rave” vengono pubblicate su CD e su un vinile particolare perché incise entrambe sul lato a ma in due solchi affiancati. Più di qualcuno pensa si tratti di un errore di stampa ma invece è un espediente che rende più particolare il tutto, insieme alla doppia copertina e al lato b decorato con l’incisione del nuovo logo di Digital Boy, seppur a conti fatti risulti un disco destinato più al collezionismo che all’utilizzo nelle discoteche, l’involontario salto della puntina finirebbe col disorientare sia il DJ che il pubblico.

successi eurodance
I tre brani che Digital Boy realizza nel 1995 sul fortunato schema di “The Mountain Of King”

Una tattica efficace?
“The Mountain Of King”, che i collezionisti oggi cercano anche nel formato picture disc, diventa un brano di rilievo per la dance nostrana, capace di affermarsi a livello generalista ma con un imprinting diverso rispetto a ciò che il mainstream chiede in quel determinato momento storico. La discografia tradizionale avrebbe cavalcato l’onda sfornando, a pochi mesi di distanza, un follow-up dalle caratteristiche identiche al fine di rendere longevo il successo e garantirsi un rientro economico con sforzi ridotti quasi a zero. A seguire questo modus operandi è pure Pretolesi ma non esattamente nella formula canonica. Il seguito di “The Mountain Of King” arriva nella primavera del 1995 e si intitola “Happy To Be” ma è firmato dalla sola Asia. Approntato nel nuovo Demo Studio che diventa Demo Studio Professional, il pezzo inizia lì dove finisce il precedente, marciando su bpm serrati, una melodia felice che pare eseguita con una banale Bontempi ed un riff euforico a presa rapida. Il continuum tra i due brani è tale che per l’ospitata nell’ultima edizione di Non È La Rai vengono eseguiti entrambi uno dopo l’altro, a mo’ di medley. Se Pretolesi è messo nella condizione, come avviene sempre in tv, di mimare l’esecuzione su una tastiera Roland, Asia invece canta dal vivo e dimostra di non essere una frontwoman specialmente alla fine quando accenna “Fever” di Peggy Lee al fianco di Ambra Angiolini e sul battito di mani delle ragazze che, a posteriori, hanno trasformato il programma di Gianni Boncompagni e Irene Ghergo in un cult. Nell’autunno dello stesso anno Pretolesi appronta un altro brano che ricalca le orme di “The Mountain Of King” ed “Happy To Be” ossia “Don’t You Know (The Devil’s Smiling)”, ma anche in questo caso decide di affidarlo ad un altro membro della D-Boy Records, Ronny Money, per l’occasione affiancato da Jeffrey Jey dei Bliss Team, quell’anno lanciatissimi con “You Make Me Cry” ed “Hold On To Love”. Il pezzo, a cui abbiamo dedicato un approfondimento qui, chiude la trilogia eurodance pretolesiana di successo. Pubblicare follow-up con nomi differenti, dunque, potrebbe essere considerata una strategia messa in atto col fine di coinvolgere altri componenti del team e lanciarli nel mondo parallelo delle esibizioni in discoteca, più che utili per rimpinguare le finanze. Nel contempo ciò avrebbe garantito un maggiore dinamismo all’etichetta, non relegandola ad un unico artista. C’è anche un quarto brano che potrebbe rientrare in questa parentesi, “Sky High” di Individual, per cui Digital Boy realizza due remix (il Part 1 è quello che segue la scia di “The Mountain Of King”). La voce è di Billie Ray Martin nonostante il featuring sia intenzionalmente celato su volontà della cantante tedesca, come lei stessa spiega qui. Nel corso del 1995 la Dig It International affida a Pretolesi pure il remix di “La Casa” di Adrian & Alfarez, finito su Top Secret Records. Nel catalogo della stessa confluiscono anche le compilation “Energia Digitale” ed “Energia Pura”: in entrambe, doppie, Digital Boy alterna classica italodance ad hard trance, house ed hardcore, un enorme calderone multiverso non inusuale per i tempi.

Logo D-Boy Records
Il logo della D-Boy Records in cui fa capolino Ninì, il cane bassotto di Pretolesi

Il primo anno di attività della D-Boy Records
Inaugurata nella migliore delle maniere con “The Mountain Of King” nell’autunno ’94, la D-Boy Records cerca sin da subito di ritagliarsi un posto nel mercato della musica hardcore ed happy hardcore, allora in forte ascesa ed espansione. Tra i primi brani messi sul mercato il gioioso “Voulez Vous Un Rendez – Vous?” di Lee Marrant a cui segue “Khorona – Nooo!!!” del quindicenne siciliano The Destroyer che ironizza su una delle maggiori hit del periodo, “The Rhythm Of The Night” di Corona (di cui parliamo qui), attraverso una specie di audiosatira intavolata con la fittizia Concetta. Il brano è solcato su 7″ con la stessa versione incisa su entrambi i lati. Così come anticipato in varie interviste, Pretolesi scommette sulla musica di giovani emergenti come gli Underground Planet (Emanuele Fernandez e Fabio Mangione) e Giorgio Campailla alias Placid K, oltre a rilevare qualche licenza dall’estero (la prima è “The Power Of Love” degli scozzesi Q-Tex per cui lui stesso realizza due remix di taglio happy hardcore). Alla tripletta “The Mountain Of King”, “Happy To Be” e “Don’t You Know (The Devil’s Smiling)”, la D-Boy Records aggiunge un altro discreto successo, “Discoland” di Tiny Tot, un pezzo happy hardcore nato un po’ per gioco con una vocina all’elio che, come raccontato qui da uno dei produttori, Bob Benozzo, è quella di Asia opportunamente modificata. Da noi il brano funziona bene, ancora di più nei Paesi nordeuropei dove viene licenziato da label locali e diventa un classico negli ambienti hardcore trainato da vari remix. Nel 1995 la D-Boy Records viene affiancata dalla Big Trax Records, la prima delle due sublabel che fanno la staffetta nel biennio ’95/’96. Orientata a prodotti nati sul crocevia tra eurodance ed eurotrance, non riesce però ad emergere dal mare magnum della discografia fermando la sua corsa dopo appena cinque pubblicazioni rimaste confinate al quasi totale anonimato e in virtù di ciò oggi particolarmente quotate sul mercato del collezionismo, su tutte “Talk About Me” di Vision e “Rock My Body” di Nice Price che suona come una versione velocizzata dei bortolottiani Cappella.

Asia e Tiny Tot
I follow-up di Asia e Tiny Tot falliscono l’obiettivo

1996, tra follow-up poco fortunati e successi oltre le Alpi
Nel corso del 1996 la D-Boy Records consolida l’interesse nutrito per la musica hardcore e gabber mandando in stampa gli EP di Placid K, The Destroyer e Ryan Campbell & The Acme Hardcore Company, ma non tagliando del tutto il filo che la lega al movimento eurodance. È tempo di follow-up per Asia e Tiny Tot, i due nomi che hanno generato parecchio interesse nei dodici mesi precedenti. Pretolesi produce “Hallelujah” per la prima, con qualche bpm in meno ma con una vena melodica ancora saldamente ancorata al modello di “The Mountain Of King”. Le vendite del 12″, disponibile anche in colore rosso, però non sono esaltanti e gli esiti sono simili per “La Bambolina” di Tiny Tot, remake di “La Poupee Qui Fait Non” di Michel Polnareff di trent’anni prima, ricostruito seguendo il modello di “Luv U More” di Paul Elstak e con un sample preso da “Crazy Man” dei Prodigy. Sia Asia che Tiny Tot perdono repentinamente quota, sopraffatti dalla tendenza italiana dell’anno per la dream di Robert Miles e la mediterranean progressive della BXR, di cui parliamo rispettivamente qui e qui, due generi capaci di mettere all’angolo persino un fenomeno consolidato ed apparentemente imbattibile come quello dell’eurodance.

Rhio
“Feeling Your Love” di Rhio, prodotto dai fratelli Andrea e Paolo Amati

Pretolesi e il suo team però non si abbattono e continuano a puntare su un suono che trova terreno fertile in Germania, Regno Unito e soprattutto nei Paesi Bassi. In quest’ottica la D-Boy Records scommette su “Feeling Your Love” di Rhio, brano ascritto al filone happy hardcore marginalmente battuto pure da noi dove si sviluppa un micro alveolo di produttori (si sentano pezzi come “Sikret” di Russoff, “Dream Of You” di Venusia – di cui parliamo qui -, “Mamy” di Polyphonic o “A Song To Be Sung” di Byte Beaters). A realizzarlo ed arrangiarlo sono i fratelli Andrea e Paolo Amati che, contattati per l’occasione, raccontano: «Nonostante fossimo presenze un po’ anomale per la dance in quanto attivi prevalentemente nella musica leggera italiana con collaborazioni con Gianni Morandi, Mietta, Flavia Fortunato, Biagio Antonacci e Pupo, proponemmo dei pezzi ad alcune etichette discografiche tra cui la D-Boy Records. In quel periodo le label che operavano nel comparto della musica da discoteca prendevano spesso licenze ed inserivano nel proprio catalogo brani di produttori indipendenti, come noi, scegliendoli in base al genere che più si confaceva ai propri interessi. Andammo personalmente a Melazzo, quartier generale di Digital Boy, per proporre “Feeling Your Love” di Rhio. Pretolesi ci ricevette nel suo studio ed ascoltò insieme a noi, con molta attenzione, tutte le versioni approntate. Si dimostrò da subito entusiasta e non richiese modifiche su suoni o parti, come invece avveniva di frequente ai tempi, ma volle comunque realizzare insieme al suo staff due versioni finite sul mix (la Happy Hardcore Mix e la Radio Mix, nda). Ricordiamo Luca come una persona cordiale e molto disponibile, fu quindi facilissimo raggiungere un accordo di licenza. Pur non andando malissimo, “Feeling Your Love” non riuscì a raccogliere un grosso riscontro ma fu comunque inserito in alcune compilation tra cui il secondo volume di “100% Hardcore Warning!”. Era un periodo in cui uscivano decine se non centinaia di prodotti al giorno ed essere notati in quel mare immenso di pubblicazioni non era facile per nessuno. Le soddisfazioni, tuttavia, sono giunte a distanza di qualche decennio, quando i cultori di quel genere si sono accorti di tanti brani che non erano poi così malvagi seppur rimasti nell’ombra. Oltre a “Feeling Your Love” di Rhio, nel nostro repertorio dance ci sono anche altri pezzi tra cui “Far Away” di France, che cedemmo alla Zac Records, e “Stop Burning” di U.F.O. Featuring Dr. Straker, edito dalla Exex Records».

Dopo Rhio su D-Boy Records seguono a ruota “Good Vibrations” di Oddness, chiaramente ispirato da “Let Me Be Your Fantasy” di Baby D, e “Fuck Macarena”, sarcastica reinterpretazione della “Macarena” dei Los Del Rio con cui Ronnie Lee apre una nuova fase della sua carriera nelle vesti di MC Rage. Il pezzo, supportato da un videoclip altrettanto canzonatorio, diventa un top seller nel nord Europa dove, si dice, abbia venduto circa 30.000 CD singoli e un milione di copie calcolando dischi e compilation. La D-Boy Records dunque, in netta controtendenza, fa volentieri a meno della dream e della progressive (nonostante qualche disco segnalato in seguito ne ricalchi le orme) per dedicarsi all’hardcore e alla gabber. «La nascita del movimento mediterranean progressive è senza dubbio un buon punto a favore dell’Italia» afferma Pretolesi in un’inchiesta pubblicata su Tutto Discoteca Dance a novembre 1996, «ma ciò che non mi convince è che il nostro Paese si stia fossilizzando in uno schema. Preferisco la spregiudicatezza dei tedeschi».

Let's Live
“Let’s Live”, ultimo tentativo di Pretolesi di cavalcare l’onda eurodance

Nel 1996 il posto della Big Trax Records viene preso da una nuova sublabel, la Electronik Musik, sulla quale vengono convogliate produzioni filo trance come “Desires” di Indaco Feat. Leika (realizzata da Massimo Tatti parecchio influenzato da “Children”), “Free Dimension” di Umma-Y, “Tomorrow” di P. Logan (un misto tra R.A.F. By Picotto e Robert Miles), un paio di EP dei BioMontana (neo progetto di Flavio Gemma e Massimiliano Bocchio che come Urbanatribù incidono un EP ed un ammirevole album per la Disturbance del gruppo barese Minus Habens di Ivan Iusco intervistato qui) ed “Euphonia” degli Underground Planet. In primavera finisce proprio nel catalogo Electronik Musik “Let’s Live”, il 10″ che sancisce il ritrovato asse artistico tra Asia e Digital Boy, nonostante in copertina il nome di quest’ultimo venga troncato in Digital B., un’autentica stranezza per i fan. Il pezzo è completamente fuori dalle tendenze che in quei mesi si consumano nel nostro Paese, una scelta azzardata ma senza ombra di dubbio coerente con quanto affermato in diverse interviste sull’intenzione di non seguire in modo pedestre i continui mutamenti del mercato. “Let’s Live” gira su retaggi eurodance del biennio ’93-’94 e su una stesura alquanto irregolare. Nonostante l’hook vocale, ripetuto ossessivamente per quasi tutta la durata, sembri garantire quasi un flashback di “The Mountain Of King”, il brano non riesce a carburare e convincere. Davvero risicati i passaggi nel DeeJay Time, presenza non pervenuta invece nella DeeJay Parade: Albertino, che cinque anni prima aveva aiutato la musica di Digital Boy a trovare una vasta audience in Italia, adesso pare indifferente. È l’ultimo tentativo da parte di Pretolesi di calcare una scena a cui, probabilmente, non sente più di appartenere. Asia riapparirà nel ’99 con “Take Me Away” sulla romana X-Energy Records che, nello stesso anno, pubblica “Groovin’ On The Dance Floor” di Night Delegation da lei cantato. In entrambi, passati inosservati, Luca Pretolesi figura come autore ma è legittimo ipotizzare che si tratti di iniziative sviluppate partendo da vecchi demo inutilizzati e risalenti al periodo della D-Boy Records, poi finalizzati dai DJ riminesi Enrico Galli e Luca Belloni.

Hardcore Bells
La copertina di “Hardcore Bells” con gli autori trasformati in personaggi di un ipotetico fumetto

Tempo di extremizzazione: la fase hardcore
Il cuore di Digital Boy ormai pulsa quasi esclusivamente per hardcore e gabber, generi che inizia ad esplorare già nei primi anni Novanta cercando di trovare ad essi una collocazione anche in posti fuori contesto come testimonia questa clip del 1994 registrata al Genux di Lonato. Battere un percorso poco compatibile coi gusti italiani non lo intimorisce però, anzi, sembra spronarlo a prendere sempre più le distanze dalla scena nazionale. «Suono spesso in Scozia e nei Paesi Bassi» afferma nell’inchiesta su Tutto Discoteca prima menzionata. «In particolar modo lavoro per la one night chiamata Old School durante la quale educhiamo il pubblico facendo sentire molti pezzi vecchi. Il popolo deve sapere e conoscere quello che balla. Spesso mi esibisco al Parkzicht, venite a sentirmi e capirete. Non uso i piatti come i DJ né tantomeno i dischi. Con me porto macchine analogiche, batterie elettroniche, computer, sintetizzatori e campionatori per sviluppare dal vivo i demo che faccio in studio così noto la reazione della gente e devo ammettere che i risultati sono molto soddisfacenti». A ridosso delle feste natalizie del ’96 esce “Hardcore Bells”, hardcorizzazione del tradizionale “Jingle Bells” promosso Disco Makina da Molella ad inizio dicembre in una delle ultime puntate del programma radiofonico Molly 4 DeeJay di cui parliamo qui nel dettaglio. Il 10″ è impreziosito da una copertina che ripropone in chiave fumettistica i D-Boy Bad Boys (ovvero Tiny Tot, MC Rage, The Destroyer, Placid K ed ovviamente Digital Boy). Subito dopo arriva il primo volume di “Back To The Past”, progetto con cui Pretolesi inizia a riportare indietro le lancette dell’orologio e riavvolgere il nastro per tornare parzialmente nel passato, nel suo passato, rispolverando “Kokko” e “OK Alright!”. Sulla prima mette le mani l’olandese DJ Rob, sulla seconda invece si attiva lui stesso. Il disco, presentato in anteprima domenica 8 dicembre presso il Number One di Cortefranca, esce sulla neonata Italian Steel, una delle etichette della Raveology S.r.l. – “Raveology” è uno dei brani che Pretolesi destina nel ’91 alla UMM per The Voice Of Rave – che, come si legge sul n. 2 della rubrica D-Boy News a dicembre, è una nuova società che gestisce dischi, eventi, merchandising e management.

Back To The Past 1
Col primo volume di “Back To The Past” uscito a fine ’96 Digital Boy inizia a ripercorrere la sua carriera in chiave hardcore

Il 1997 vede la pubblicazione del secondo e terzo volume di “Back To The Past” che ripercorrono ancora la fase carrieristica di Pretolesi sotto l’egida della Flying Records con l’aggiunta di nuovi remix (gli Stunned Guys – presto ripagati con una versione di “Paranoia” di Baba Nation – e Placid K mettono mano rispettivamente su “This Is Mutha F**ker” e “Gimme A Fat Beat”, Neophyte rilegge “Digital Danze” mentre la coppia DJ Jappo e Lancinhouse riassembla “Crossover”). È sempre l’Italian Steel a pubblicare “Beats & Riffs 1”, un disco contenente tre tracce (“163 – 179”, “Him Again” e “Fist Like This”) che Pretolesi firma col nom de plume The Dark Side, oggetto di particolari apprezzamenti all’estero. Nei primi mesi del ’97 parte anche l’avventura radiofonica: Digital Boy conduce una striscia quotidiana nel pomeriggio di Italia Network, venticinque minuti di musica hardcore e gabber. Titolo? “Extreme”. Nel corso degli anni il programma si evolve e diventa anche una finestra d’informazione ed approfondimento sui grandi eventi hardcore esteri, come si può sentire in questa clip. Pretolesi viene poi affiancato nella conduzione da Randy ed Extreme diventa un vero punto di riferimento per gli hardcore warriors italiani. Col rebranding dell’emittente che si trasforma in RIN – Radio Italia Network, il programma però viene interrotto. «Secondo il mio punto di vista è stato un passo indietro!» sentenzia senza mezze misure Pretolesi in questa intervista del 2001 curata da Antonio Bartoccetti per Future Style. Tuttavia in Italia il movimento regge ancora. «La vendita delle nostre compilation tematiche ora si aggira tra le 10.000 e le 12.000 copie» aggiunge Pretolesi. «Se arrotondiamo per eccesso, sapendo che la compilation viene prestata all’amico, allo zio o alla sorella minore, questo numero cresce». Per l’occasione l’artista stila pure un ritratto dell’ascoltatore medio della musica hardcore: «la compra, l’ascolta, la balla e si muove solo fra i confini tecnologici. Può amare la new style, un certo tipo di hard trance ma non si sposta dal filone tec(h)nologico e non acquisterebbe mai un cantautore, sorridendo di fronte alla comicità del pop e cosciente che fenomeni come “The Fat Of The Land” dei Prodigy o i Chemical Brothers siano invenzioni commerciali che hanno dovuto trovare un po’ di oro attingendo dal vecchio rock».

Randy e Pretolesi (1999)
Randy e Digital Boy in uno scatto del 1999 con un disco della Head Fuck Records, una delle etichette raccolte sotto l’ombrello Raveology

Attraverso l’hardcore e la gabber Digital Boy, tra ’99 e ’00 frequentemente alla consolle di locali romagnoli come il Gheodrome e l’Ecu, rafforza parecchio la competitività all’interno del mercato mondiale e stringe proficue collaborazioni con artisti del calibro di Scott Brown (suo il remix di “Asylum” firmato The Scotchman) e The Masochist (insieme realizzano “Shout Out”). Sono gli anni che, inoltre, vedono l’affermazione globale della D-Boy Black Label che prende il posto della iniziale D-Boy Records Black Label, ora assorbita dalla Raveology subentrata in modo definitivo alla D-Boy Records nel 1996 (l’ultimo 12″ col logo rosso è quello coi remix de “La Bambolina” di Tiny Tot realizzati dagli Stunned Guys, Bass-D & King Matthew e Placid K). Nel nuovo millennio Pretolesi inizia a diradare progressivamente l’attività produttiva, mantenendo comunque i piedi sempre ben saldi nella scena hardcore come attestano pezzi come “Akkur” in coppia con MC Rage, “I’m Hard To Da Core” in tandem con DJ J.D.A. o “How You Diein'” a quattro mani con DJ Bike dei Noize Suppressor. Tra gli ultimi dischi realizzati c’è “Sugar Daddy” (con un frammento di “Sugar Is Sweeter” di CJ Bolland), ancora insieme al vecchio amico Lee e sulla D-Boy Black Label, oggetto di un update grafico del logo col cane bassotto incattivito. Inspiegabile solo la riapparizione, nel 2008, con Shane Thomas per l’anonima “Sexy, Sultry, Delicious, Dirty” incapsulata nell’electro house. Pretolesi, con molta probabilità, non vuole vivere nel passato e non è disposto a finire in svendita al mercato della nostalgia o essere sacrificato sull’altare del revivalismo, così decide di dedicarsi ad altro.

ai Latin Grammy Awards (2018)
Pretolesi e la moglie ai Latin Grammy Awards (Las Vegas, novembre 2018)

Il ragazzo digitale un trentennio dopo
Sono trascorse poco più di tre decadi da quando il “ragazzo digitale” inizia la sua carriera. Di quel ventenne che i magazine nostrani definivano “l’eroe della techno italiana”, dalla lunga chioma, il cappellino da baseball quasi sempre in testa, gli occhiali tondi con le lenti a forma di mirino ed animato dal desiderio di mettere a soqquadro le regole della discografia, probabilmente resta poco o nulla: il “boy” è diventato “man”, ha oltrepassato la soglia dei cinquant’anni e il suo sguardo è meno innocente e più scafato. Dal 2001 risiede a Los Angeles dove ha messo su un super studio di mix e mastering, lo Studio DMI (DMI è l’acronimo di Digital Music Innovation), frequentato da personaggi assai popolari della scena pop e da dove sono usciti pezzi come “On My Mind” di Diplo & Sidepiece (che gli garantisce una nomination ai Grammy), “Mi Gente” di J Balvin, “Goodbye” di Jason Derulo & David Guetta Feat. Nicki Minaj & Willy William e “Lean On” di Major Lazer. Basta un banale clic su Google per imbattersi in recenti interviste come questa ed approfondire adeguatamente sul nuovo ciclo lavorativo di Pretolesi che, costantemente attratto dall’inarrestabile tecnologia, ha smesso di vestire i panni di Digital Boy tornando ad essere, per l’appunto, Luca Pretolesi, considerato un luminare in fatto di ingegneria del suono, richiesto ovunque per corsi, seminari e workshop. Per tale ragione lasciamo ad altri il compito di tracciare e narrare le coordinate di un percorso che esula dal tipo di ricerche svolte sulle pagine di questo blog ma con la consapevolezza che la sua storia non sia terminata ma proseguita in un’altra direzione, sempre all’interno del caleidoscopico e multiforme mondo della musica elettronica.

(Giosuè Impellizzeri)

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3 pensieri su “La carriera di Digital Boy, quando la techno divenne pop

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