BXR, una squadra di DJ alla conquista del mondo

Negli anni Novanta la musica destinata alle discoteche, composta da DJ e team di musicisti ed arrangiatori, è in prevalenza marchiata con pseudonimi. Ciò avviene per moda, per questioni legate ad esclusive discografiche ma anche per differenziare le inclinazioni stilistiche del proprio repertorio. «L’effetto fondamentale è il distanziamento, una rottura col tradizionale impulso pop di associare la musica ad un essere umano in carne ed ossa» scrive Simon Reynolds in “Futuromania”. «L’anonimato ha l’effetto di scardinare i meccanismi della fedeltà al gruppo o al marchio, l’abitudine di seguire la carriera degli artisti tipica del pubblico rock». In egual modo le etichette indipendenti diffondono i propri prodotti attraverso un fiume di sublabel, marchi creati ad hoc per diversificare l’offerta e nel contempo evitare l’inflazione vista l’alta prolificità. La bresciana Media Records di Gianfranco Bortolotti, attiva sin dalla fine del 1987, è tra quelle che nel corso del tempo collezionano più sottoetichette. Ad inizio decennio già vanta la Baia Degli Angeli, la GFB, l’Inside, la Pirate Records, la Signal (contraddistinta da una singolare numerazione del catalogo), l’Underground, la Heartbeat (a cui abbiamo dedicato qui una monografia) e la Whole Records. A queste, nel 1992, se ne aggiunge un’altra, la BXR, il cui nome deriverebbe dall’antica denominazione della città di Brescia, Brixia, opportunamente modificata in una sorta di sigla a fare il paio con la citata GFB, acronimo di GianFranco Bortolotti. A sottolineare la connessione con le fasi storiche del comune lombardo è pure il logo, la testa di una leonessa, citando Giosuè Carducci che ne “Le Odi Barbare” parla di Brescia come “leonessa d’Italia”. Il payoff invece è il medesimo dell’etichetta-madre, “The Sound Of The Future”.

BXR 001 + logo
Sopra il disco di debutto della BXR (1992), sotto il primo logo dell’etichetta

1992-1994, un avvio nell’ombra
Il primo brano pubblicato su etichetta BXR, nel 1992, è “Space (The Final Frontier)” di DJ Spy. Ispirato al suono nordeuropeo che scavalca la palizzata dei rave e fa ingresso nelle classifiche di vendita (il 1991 ha visto consacrare dal grande pubblico tracce come “James Brown Is Dead” di L.A. Style, “Activ 8 (Come With Me)” degli Altern8, “Dominator” degli Human Resource, “Inssomniak” di DJPC, “Mentasm” di Second Phase, “Ambulance” di Robert Armani, “Adrenalin” degli N-Joi, “Who Is Elvis?” dei Phenomania – di cui parliamo qui, “Charly” ed “Everybody In The Place” dei Prodigy, “Pullover” di Speedy J ed “Anasthasia” dei T99, quasi tutte provenienti dall’area anglo-germanica-olandese), il pezzo è un veloce riassunto del modello edificato su amen break e stab. Prodotto da Max Persona e Pagany, che insieme ad Antonio Puntillo e Roby Arduini formano il team veronese ai tempi al lavoro in pianta stabile presso la struttura di Bortolotti, quello del fittizio DJ Spy è un veloce, ingenuo e non troppo ragionato assemblaggio di frammenti tratti da altri brani più fortunati del catalogo Media Records di quel periodo, come “What I Gotta Do” di Antico, “The Music Is Movin'” di Fargetta (di cui parliamo qui nel dettaglio), “Take Me Away” di Cappella, “Mig 29” di Mig 29, “We Gonna Get…” di R.A.F. e “2√231” di Anticappella, giusto per citarne alcuni dietro cui, peraltro, armeggiano gli stessi autori. Il sample vocale principale è tratto dal monologo di Star Trek e ciò spiega la ragione del titolo. L’assenza di un’idea compiuta e definita rende però “Space (The Final Frontier)” solo una delle centinaia di cloni generati dal filone rave, che attrae pletore di produttori sparsi in tutto il continente ambiziosi di replicare i risultati economici delle hit ma talvolta senza particolari slanci creativi.

Calamitate dagli elementi caratteristici che segnano il boom commerciale della (euro)techno tra 1991 e 1992 sarebbero state pure Marina Motta e Donatella Valgonio, le due ragazze che avrebbero operato dietro le quinte di Davida. La loro “I Know More”, secondo disco edito da BXR, rappresenta perfettamente la declinazione italiana della techno nordeuropea, ottenuta con la fusione di pochi elementi presi a modello e semplificati il più possibile per essere “digeriti” da un vasto pubblico. In realtà la Valgonio, conduttrice e speaker radiofonica contattata per l’occasione, rivela di non aver mai partecipato al progetto Davida. «Conobbi Gianfranco Bortolotti quando iniziò a muovere i primi passi nel mondo della musica» spiega, «e in quel periodo era Mario Albanese, all’epoca mio marito, ad occuparsi dei contatti con musicisti e discografici. Io, semplicemente, cantavo, così come feci prima con “Baby, Don’t You Break (My Heart)” di Argentina, l’unico pubblicato dalla Media Records nel 1986 (quando si chiama ancora Media Record, nda) e poi con “Summer Time”, sempre di Argentina ma finito sulla Memory Records a mia insaputa, ai tempi mi dissero che sarebbe stato ricantato da un’altra cantante. Non ho più avuto la possibilità e la fortuna di collaborare con la Media Records che nel frattempo divenne un colosso della discografia. Mi sono sempre chiesta come sarebbe stata la mia vita artistica se avessi collaborato con Bortolotti. Tengo a precisare comunque che Mario Albanese non ha alcuna colpa perché la prima a non crederci fino in fondo ero proprio io che continuavo a sentirmi come un pesce fuor d’acqua nonostante i suoi ripetuti incoraggiamenti». È plausibile dunque ipotizzare che i nomi della Valgonio e della Motta siano stati usati a mo’ di pseudonimi, così come avviene per “I’m The Creator” di DJ Creator finito nel catalogo di un’altra etichetta della Media Records, la Pirate Records. I risultati di vendita non esaltanti delle prime due uscite, uniti alla progressiva attenuazione della popolarità della rave techno palesatasi nel corso del ’92, probabilmente convince Bortolotti a non insistere su quella formula. Il terzo 12″ su BXR, difatti, guarda nella direzione della garage house, quella che arriva da Londra e da New York. Enrico Serra, Gianluca Brachini e Gianluigi Gallina realizzano, presso l’H.O.G.I.C.A. Studio, “Here With Me” di Miss Mary, pezzo da cui emerge il calore del funk e dell’r&b e che riporta in vita certe atmosfere tipiche della prima house pianistica nostrana con cui qualche anno prima proprio la Media Records si impone all’attenzione internazionale. Nonostante i buoni spunti, Miss Mary non lascia il segno e si rivela incapace di far decollare il marchio BXR temporaneamente messo in stand by. Riappare nel 1994 con “Day By Day” di Laura Becker, che Alex Pagnucco e Davide Ageno realizzano mescolando i classici elementi dell’eurodance ottenendo una sorta di ibrido tra Le Click, Intermission e Corona ma con meno appeal per l’assenza di un efficace ritornello. La prevedibilità e la scontatezza dei suoni e della stesura fanno il resto lasciando il progetto nel quasi totale anonimato, quello stesso anonimato che una manciata di decenni più avanti lo trasforma in un cimelio per i collezionisti disposti a spendere cifre consistenti per entrare in possesso delle pochissime copie in circolazione. È l’ultimo tentativo di riscatto per la BXR, un’iniziativa che, a dirla tutta, in questa prima fase non conta su particolari energie e risorse. Basti pensare all’esigua quantità delle pubblicazioni (appena quattro in un biennio circa, decisamente un’inezia per i tempi) ma anche alla quasi inesistente promozione. Se a ciò si somma la scarsa identità, dovuta ad un mancato focus stilistico, è facile comprendere le ragioni per cui il tutto appaia soltanto un progetto embrionale dal basso potenziale, un’idea non sviluppata a dovere, col fiato corto ed incapace di farsi largo in mezzo ad una giungla di realtà discografiche indipendenti. Ma è solo questione di tempo, la BXR si riprenderà tutto e con gli interessi.

La rinascita sotto una nuova stella
Il 1995 imprime bruschi cambiamenti al mainstream dance italiano a partire dalla velocità di crociera che, complice l’influenza mutuata dalla scena tedesca, aumenta sino a toccare soglie inimmaginabili sino a poco tempo prima. Il fenomeno, iniziato negli ultimi mesi del ’94, si consolida e trascina gran parte dei principali esponenti dell’ambiente danzereccio nostrano, dai Bliss Team a Molella, dai Mato Grosso ai Club House, da Ramirez a Z100 passando per Cerla & Moratto, Double You, Da Blitz, JT Company e Digital Boy che è tra i primi a dare il la a questa adrenalinizzazione ritmica arrivata a sfondare la soglia dei 160 bpm. Nella seconda metà dell’anno, insieme alla velocizzazione e all’avvicinamento a filoni come makina ed happy hardcore, si registra un secondo sostanziale mutamento rappresentato dalla popolarizzazione di formule sino a quel momento adottate in prevalenza nelle discoteche specializzate. La cosiddetta progressive fa breccia in un numero sempre più consistente di ascoltatori sino a prevalere sulla eurodance tradizionale costruita su strofa, ponte e ritornello. La spallata decisiva giunge grazie a Robert Miles che con la Dream Version della sua “Children” (di cui parliamo qui) di fatto inaugura una stagione inedita che vede la supremazia quasi assoluta di brani strumentali. È una sorta di nuovo 1991-1992 insomma, ma questa volta non è una tendenza importata dall’estero bensì germogliata e svezzata entro i nostri confini.

secondo logo BXR
Il secondo logo con cui la BXR torna sul mercato nel 1996

Tale nuova fase risulterà decisiva per la BXR che rinasce proprio sotto la stella della progressive, forma ammorbidita della techno/trance d’impostazione mitteleuropea segnata da evidenti presenze melodiche che attingono dall’ambient, dalle colonne sonore cinematografiche, dal funky, dall’afro e dalla new beat. Così l’etichetta riappare dopo circa due anni di silenzio con più vigore e consapevolezza, accompagnata da una nuova numerazione col prefisso 10 e soprattutto un nuovo logotipo meno anonimo del primo, forgiato su caratteri di bladerunneriana memoria (la B è simile ad un 3 ed infatti inizialmente c’è chi crede che il nome sia 3XR) ed immerso in una dimensione spaziale che rispecchia la vocazione più internazionale, in contrasto con quella di partenza fin troppo legata alla realtà autoctona bresciana. Al nome viene altresì aggiunto un suffisso, Noise Maker, usato a mo’ di payoff, derivato da quello dell’etichetta sulla quale tra 1994 e 1995 Gigi D’Agostino, artista che tiene a battesimo la BXR, pubblica alcuni brani determinanti per la nascita della (mediterranean) progressive, la Noise Maker per l’appunto, gestita dalla Discomagic di Severo Lombardoni.

Homepage del primo sito Media (1996)
L’homepage del primo sito della Media Records (1996)

La nuova immagine della BXR proiettata nel futuro coincide anche col lancio del primo sito internet della Media Records che, tra le altre cose, permette di fare un tour virtuale nella sede a Roncadelle, accedere al cyber shop in cui acquistare il merchandising nonché immergersi nel suono di un juke-box virtuale, una specie di Spotify ante litteram fruibile attraverso il lettore multimediale RealPlayer. A guidare artisticamente la BXR è Mauro Picotto che, come racconta nel suo libro “Vita Da DJ – From Heart To Techno” (recensito qui), voleva radunare dei disc jockey che suonavano nei club, «veri, non quelli usati come immagine dalle grandi case discografiche». Ed aggiunge: «Parlai a Bortolotti del mio progetto e l’idea gli piacque subito visto che aveva già tentato una sortita simile con la Heartbeat. Il primo DJ che contattai ed invitai ad unirsi fu Gigi D’Agostino, uno degli ideatori del party torinese Le Voyage. Ricordo ancora il suo arrivo all’Hotel Continental di Roncadelle (ubicato nello stesso stabile della Media Records, nda) con una vecchia Chrysler Voyager da sette posti, era già un personaggio. […] Gigi però uscì quasi subito dal progetto, evidentemente soffriva qualcosa o qualcuno del mondo BXR, non mi è mai stato chiaro. Comunque gli offrimmo l’opportunità di creare una sua label esclusiva, la NoiseMaker, per continuare ad esprimersi secondo la sua stessa direzione artistica».

Mediterranean progressive, una parentesi su genesi, evoluzione e dissolvimento
Come raccontato nel 2015 da Gianfranco Bortolotti in questa intervista, il termine “mediterranean progressive” fu da lui approvato su suggerimento di Mauro Picotto o di Riccardo Sada (giornalista ai tempi in forze alla Media Records) dopo aver letto una recensione di Pete Tong che parlava, per l’appunto, di mediterranean progressive in riferimento a quei dischi provenienti dall’Italia (come “Sound Of Venus” di Lello B., Subway Records, “Atmosphere” di Voice Of The Paradise, Area Records, o “Advice” di Nuke State, Metrotraxx) che finivano in un’area grigia non essendo facilmente incasellabili nella techno, nella house e tantomeno nella progressive d’oltremanica in stile Sasha e John Digweed. Un filone che da noi pulsava già da qualche anno, irradiato da etichette indipendenti localizzate prevalentemente tra Lombardia, Toscana e Piemonte, ma senza ottenere riscontri commerciali importanti ed infatti Roland Brant lamenterà, in un’intervista, di essere stato ignorato dal grande pubblico nonostante seguisse questo genere da diverso tempo.

RAF by Picotto e compilation Diva
Sopra “Bakerloo Symphony” di R.A.F. By Picotto (GFB, 1995), pare il primo disco a raggiungere il mercato con la dicitura “mediterranean progressive”, usata nello specifico come titolo della versione principale; sotto le copertine di due compilation curate da Claudio Diva uscite nel 1996

Alla Media Records intercettano la tendenza che vede salire le quotazioni commerciali della progressive e pianificano strategicamente di adottare tale dicitura in occasione del (ri)lancio della BXR, nei primi giorni del 1996. Sulle riviste, allora primarie fonti di informazione, la BXR viene presentata come l’etichetta che seguirà un nuovo genere, la mediterranean progressive, catalizzando l’attenzione del grande pubblico. «Il fine era distinguerci da ciò che altri facevano nel Nord Europa» spiega Bortolotti nell’intervista sopraccitata. «Per un fatto oggettivo l’Italia era (ed è) un Paese mediterraneo, quindi da lì nacque la fusione». È bene rammentare però che la tag “mediterranean progressive” aveva già timidamente fatto capolino nel mercato discografico attraverso “Bakerloo Symphony” di R.A.F. By Picotto, pubblicata su un’altra etichetta della Media Records, la GFB, nell’autunno inoltrato del 1995, seppur il successo giunga a distanza di qualche mese, quando per l’appunto esplode il fenomeno progressive in tutta Italia e nei negozi arrivano un paio di compilation intitolate proprio “Mediterranean Progressive” edite dalla Discomagic e compilate da Claudio Diva, alla guida della Subway Records considerata tra le antesignane dei filoni dream e della stessa mediterranean progressive.

Il 1996, per il mainstream nostrano, è quindi l’anno della progressive, glorificata anche sull’etere da un numero imprecisato di programmi, incluso il Molly 4 DeeJay di Molella su Radio DeeJay di cui parliamo dettagliatamente qui. Produttori e promoter puntano tutto su questo genere, investendo denaro ed ambendo a sostanziosi ritorni. La Media Records, ad esempio, riporta in vita sotto il segno della progressive Antico, uno dei marchi che aveva contraddistinto la prima ondata “italo techno” ed ormai assente dal mercato da un quadriennio, ma anche un paio di etichette ibernate come la Pirate Records e la Underground (il nuovo corso di quest’ultima comincia con “The Test” di Mauro Picotto analizzato qui), oltre a contagiare la GFB, sulla quale appaiono i brani di R.A.F. By Picotto, e la Whole Records. Prevedibilmente la progressive diventa il nuovo pop e ciò attrae come una calamita parecchie critiche di chi è convinto che si tratti solo di un’indebita appropriazione di suoni, così come avvenuto qualche tempo prima con la techno. In un’intervista di Paolo Vites pubblicata ad ottobre del 1996, Killer Faber parla di grossa speculazione: «si incidono dischi copiati spudoratamente da altri, si creano mode musicali inesistenti, si immettono sul mercato centinaia di compilation tutte uguali saturando il mercato. Bisognerebbe rischiare e lanciare pochi ma veri artisti dance». A gennaio ’97 Massimo Cominotto raccoglie altre testimonianze in un’inchiesta intitolata “Prog E Contro”, come quella di Paolo Kighine: «Ultimamente la progressive ha preso i connotati da fenomeno di massa e per questo viene additata come commerciale. Questo, secondo me, dovrebbe essere un motivo in più per stimolare i miei colleghi ad offrire un prodotto di qualità elevata […]. L’etichetta “progressive” comunque lascia molto spazio all’immaginazione, puoi scartabellare tra vecchi pezzi acid house per curvare sugli Orb o KLF e magari finire sul made in Italy, l’importante è far stare bene il proprio pubblico». Più disilluso e diretto appare invece Christian Hornbostel: «Il termine “progressive” è già sprofondato nel caos, così come era avvenuto a suo tempo per l’omologo “underground”, diventando la risposta più inflazionata alla fatidica domanda “che genere suoni?”. Migliaia di DJ affermano di proporre progressive ed alcuni di loro si fanno addirittura la guerra per dimostrare al popolo italico di esserne gli assoluti inventori. Sono passati più di quattro anni da quando il vero fenomeno progressive (tutt’altra musica!) faceva la sua comparsa nel Regno Unito ma ecco che in Italia qualcuno ha pensato che il solo utilizzo del bassline 303 bastasse a giustificare la creazione di una nuova corrente musicale chiamandola “progressive”. Nessuno pertanto all’estero capisce l’italianissimo modo di definire progressive tracce che godono di ben altre definizioni. Non parliamo poi della confusione creata dalle compilation che di progressive hanno solo il nome. Dobbiamo dunque accettare a denti stretti che il significato di progressive sia un’amorfa terminologia creata per vendere incoerenti compilation in un mercato discografico già agonizzante, per dar lustro a DJ che si vantano di suonarla (mixando Alexia con DJ Dado ed una traccia su Attack) e per far contenti alcuni proprietari di locali che nella stessa serata propongono, con innocente orgoglio, revival, underground, liscio, latinoamericano e… progressive».

Gg e Picotto 1996
Gigi D’Agostino e Mauro Picotto in due foto del 1996, quando vengono lanciati dalla Media Records come alfieri della mediterranean progressive

Ma cosa è la progressive che si impone tra 1995 e 1997 al grande pubblico nostrano? «Forse è la sorellina della techno» sostiene Mauro Picotto in un’intervista raccolta da Riccardo Sada a novembre 1996. «È sicuramente nata grazie ai DJ della Toscana sotto altri nomi come “virtual music” per colmare un vuoto perché con un certo tipo di techno eravamo arrivati all’apice e c’era voglia di ripartire da zero, svuotando i brani di tanti suonini e suonacci superflui […]. Le produzioni progressive italiane si discostano da quelle estere perché hanno molta melodia, ormai l’Italia ha il suo imprinting». È la melodia, dunque, il punto focale di questo filone, e a tal proposito DJ Panda, ancora intervistato da Sada e quell’anno nelle classifiche con “My Dimension” di cui parliamo nello specifico qui, afferma che «a noi italiani la melodia viene fuori d’istinto perché abbiamo un animo mediterraneo. L’unico rischio è che questa progressive diventi troppo pop». I timori dell’artista si rivelano fondati ed infatti la sbornia progressive (o meglio, popgressive) del 1996 renderà sterile il filone, sino ad inflazionarlo ed obbligarlo ad una costante e netta flessione nel corso del 1997.

D'Agostino Planet 1
“Fly” di D’Agostino Planet riapre il catalogo della BXR dopo circa due anni di silenzio

1996-1997, il biennio della mediterranean progressive
Corrono i primi giorni del 1996 quando la napoletana Flying Records distribuisce “Fly” i cui promo girano tra gli addetti ai lavori già da qualche settimana. Autore è Gigi D’Agostino dietro il moniker D’Agostino Planet, nome perfetto per la nuova dimensione spaziale della BXR anzi, a dirla tutta qualcuno ritiene che l’etichetta possa gravitare esclusivamente intorno alla sua musica e che il pianeta immortalato sulla logo side del disco sia proprio il suo. Tale teoria sembrerebbe trovare riscontro in questa intervista a cura di Leonardo Filomeno e pubblicata da Libero il 14 settembre 2014, in cui D’Agostino afferma: «Nell’autunno del ’95 chiesi di poter fondare un’etichetta con dei principi precisi, libertà dei suoni, dei ritmi, dei tempi. In Media Records mi dissero che avevano una label sulla quale, in passato, avevano pubblicato dei brani e che in quel momento non era in uso, la BXR. Ricordo il primissimo 1001, il 1002, il 1003 e ricordo benissimo le ragioni del blocco della pubblicazione del 1004. Il resto ho preferito rimuoverlo». Il DJ torinese di origini salernitane, noto nelle discoteche piemontesi tipo il Due di Cigliano o L’Ultimo Impero di Airasca, ha già maturato diverse esperienze discografiche, come “Creative Nature” o “Hypnotribe” di cui parliamo rispettivamente qui e qui, ma rimaste sostanzialmente confinate alla platea dei soli appassionati. Con l’arrivo in Media Records le cose cambiano e “Fly”, primo tassello della rinnovata BXR, diventa anche il trampolino di lancio dell’ormai ufficializzata mediterranean progressive. Riadattamento ballabile del tema “Il Tempo Passa” composto da Giancarlo Bigazzi per il film “Mediterraneo” diretto da Gabriele Salvatores, “Fly” plana su struggenti melodie e lunghi accordi che si tuffano tra le onde di un sequencer ipnotico e rotolante che sembra autoalimentarsi per inerzia, senza mai perdere vigore per quasi tutti i nove minuti di durata.

Seguono altri tre brani sul 1002, “Melody Voyager”, “Marimba” ed “Acidismo”, che esaltano lo stile d’agostiniano di allora, stratificato, ritmicamente minimale ed asciutto, adornato da melodie intrecciate ad armonie tra il romantico e il malinconico con frequenti cambi tonali che giocano sui contrasti e fluttuano su nuvole cangianti. In un’intervista rilasciata a Federico Grilli per il magazine Tutto Discoteca Dance a marzo 1996, D’Agostino parla della progressive come «un suono emozionale, energetico e molto convincente» ma ammette di essere conscio che si stia entrando nella fase della commercializzazione: «se prima era un genere destinato a fare tendenza, ora è rivolto alla grande massa che ne fruirà in maniera positiva, come spesso accade in fenomeni simili. Il pubblico reagisce bene e sicuramente ora la risposta è amplificata dato che il fenomeno sta cambiando, prima era ristretto ad alcune realtà locali». Pochi mesi più tardi, ad agosto, l’artista affiderà alla stessa testata un’altra affermazione che conferma la fase ascendente e il desiderio di sfondare i confini alpini: «Credo che la progressive nostrana abbia buone possibilità per imporsi nel mercato europeo e quindi cercheremo di spingerla in ogni occasione, come ho fatto lo scorso 5 luglio al Ministry Of Sound di Londra», ed aggiunge: «la mediterranean progressive è nata dalla personalizzazione da me apportata alla progressive, con suoni minimali e melodie orecchiabili, un po’ spagnole, forse latine, no ecco, proprio mediterranee».

A trainare BXR e Gigi D’Agostino è la compilation “Le Voyage ’96” che Media Records realizza insieme alla Virgin. Gran parte della tracklist è occupata dai suoi brani e remix ma non mancano le già citate “Children” e “Bakerloo Symphony”, “Goblin” della coppia Tannino-Di Carlo ed un paio di titoli d’importazione, “Hit The Bang” di Groove Park (dal catalogo Bonzai, l’etichetta di Fly intervistato qui) e “Groovebird” dei Natural Born Grooves. Le 80.000 copie vendute de “Le Voyage ’96” e le 60.000 dell’album “Gigi D’Agostino”, in tandem questa volta tra BXR e RTI Music, testimoniano che l’intuizione di scommettere sulla musica strumentale sia giusta e fanno da volano per nuove produzioni dello stesso D’Agostino come “Gigi’s Violin”, dove troneggia un violino talmente ammaliante da far ricordare i Rondò Veneziano di Gian Piero Reverberi, ed “Elektro Message”, versione vitaminizzata di “Live Line” dei tedeschi You. Nel frattempo BXR mette a segno la prima licenza, “Electronic Pleasure” degli N-Trance, ma optando per le versioni trance (quella che si sente in radio finisce invece nel catalogo Signal).

Mauro Picotto - My House
“My House” di Mauro Picotto viene ritirato dal mercato per ragioni ignote

Mauro Picotto si prende il 1004 con la sua “My House”, naturale seguito a “Bakerloo Symphony” che viene per l’appunto remixata sul lato b in due versioni a creare una sorta di tessuto connettivo. Per ragioni mai chiarite del tutto, il disco verrà ritirato dal commercio pochi giorni dopo essere stato distribuito nei negozi. “My House” riappare, insieme ad “Halleluja”, su Pirate Records nel “Progressive Trip”, l’unico che l’artista firma MP8, accorciamento dell’anglofonizzazione M-Peak-8 usata per la poco nota “I Can’t Bear” l’anno precedente. Considerati gli alfieri del movimento mediterranean progressive dell’etichetta bresciana, Picotto e D’Agostino realizzano a quattro mani “Angels’ Symphony” da cui emergono distintamente tutti gli elementi salienti del filone, forse già all’apice del successo. Sul mercato giunge una tiratura che parrebbe frutto di un errore o di un ripensamento, contenente due versioni (Plastic Mix e Tranxacid Mix) che spariscono dal 12″ distribuito con lo stesso numero di catalogo, 1006. I buoni riscontri procurano ad entrambi alcuni ingaggi come remixer, Picotto rilegge “Mantra” dei Datura, D’Agostino invece “The Flame” dei redivivi Fine Young Cannibals, oltre a spartirsi rispettivamente “Turn It Up And Down” e “U Got 2 Know” dei Cappella, un marchio ormai quasi sulla via del tramonto. Alla Media Records poi arrivano nuovi DJ ad infoltire le fila della BXR: il toscano Mario Più, prima con l’estivo “Mas Experience”, una romanza elettronica agghindata da virtuosi sentimentalismi sintetici utilizzata per lo spot dell’Aquafan di Riccione, e poi con l’autunnale “Dedicated”, dedicato alla futura moglie Stefania alias More ed aperto da una citazione straussiana del poema sinfonico “Così Parlò Zarathustra”, il veneto Saccoman con “Pyramid Soundwave” (di cui parliamo nel dettaglio qui), una sorta di rilettura trancey del classico dei Korgis, “Everybody’s Got To Learn Sometime”, e il laziale Bismark, invitato dall’amico Gigi D’Agostino, che con “Double Pleasure” mette a punto un suono bifase lanciato su tensioni alternate che ha già sperimentato in pezzi usciti precedentemente come “Brain Sequences” o “Chrome”.

D'Agostino-RondoVeneziano
Similitudini grafiche tra le copertine dell’album “Gigi D’Agostino” e de “La Serenissima” dei Rondò Veneziano: androidi argentei che suonano strumenti a corda con città futuristiche sullo sfondo

Gigi D’Agostino torna con “New Year’s Day”, rivisitazione strumentale dell’omonimo degli U2. Sul lato b la lunga “Purezza”, quasi dieci minuti di un ribollire celestiale che i fan hanno già conosciuto grazie al citato album “Gigi D’Agostino”, quello col robot violinista e lo skyline di una città del futuro in copertina che sembra rimandare (intenzionalmente o involontariamente?) alle androidizzazioni a cui talvolta vengono sottoposti i menzionati Rondò Veneziano – si veda l’artwork de “La Serenissima”, 1981. Ma in fondo la mediterranean progressive della BXR per certi versi potrebbe essere considerata una proiezione modernista dell’ensemble diretto da Reverberi, coi suoi barocchismi e contrappunti ricamati su arie melodiche zuccherose innestate su arrangiamenti melliflui. L’eurodance delle annate 1992-1994 adesso sembra davvero lontanissima e simbolo di un’età conclusa, rimpiazzata da un suono nuovo proiettato verso il futuro che avanza. «Fatta eccezione per i Cappella, che riscuotono ancora successo in Francia, stiamo invadendo l’Europa con la progressive» afferma con decisione Gianfranco Bortolotti in un articolo di Billboard risalente al 22 giugno 1996. «Il nostro slogan è “The Sound Of The Future” e credo che il più grande vantaggio della dance indipendente sia quello di potersi trasformare rapidamente abbracciando le nuove tendenze. Dalla nostra parte abbiamo quattro dei migliori rappresentanti della scena mediterranean progressive incluso il fondatore, Gigi D’Agostino». Per l’occasione il manager bresciano si conferma come un sostenitore convinto delle nuove tecnologie ed avanza un’ipotesi profetica: «Grazie alla collaborazione con Zero City, provider milanese che offre l’accesso gratuito ad internet, stiamo entrando in un progetto che ci permetterà di avere una visione chiara sul futuro dell’industria musicale. Prima di quanto previsto, la musica verrà venduta attraverso il web, coi clienti che pagheranno uno o due dollari ogni volta che scaricheranno le nostre ultime uscite». A fine ’96 arriva un altro DJ a dare manforte alla squadra della BXR, Riccardo Cenderello, da Sarzana (La Spezia), acclamato in discoteca come l’angelo biondo. Inizialmente noto come Ricky, si trasforma in Ricky Le Roy dopo aver prestato l’immagine ad un progetto di Alex Neri, DJ Le Roy per l’appunto, destinato alla Palmares Records. “First Mission” è, dunque, la sua prima missione discografica ufficiale, uno slancio nel cielo più terso a bordo di un tappeto volante che si ritaglia, grazie all’edenica vena melodica, un posto nell’airplay radiofonico nostrano.

Il 1997 si apre attraverso “My World” di Bismark con cui il DJ romano intinge i pennelli in una mistura agrodolce per realizzare un quadro dalle tinte cromatiche giustapposte. Alla luminosità degli archi corrispondono vortici acidi, binomio che viene ulteriormente sviluppato nei due remix approntati in Belgio da Jan Vervloet, in quel momento all’apice del successo col progetto Fiocco, che la BXR pubblica su un 10″ colorato. A realizzare una versione di “My World” è anche Pablo Gargano, italiano trapiantato nel Regno Unito intervistato qui, seppur questa non finisca nel catalogo dell’etichetta bresciana. Aria di remix pure per “Dedicated” di Mario Più, analogamente solcato su un 10″ splatter blu/nero. Nel contempo il DJ toscano rilegge “I Just Can’t Get Enough” dell’elvetico DJ Energy per la GFB, campionando “Conflictation” di Cherry Moon Trax. Il successo primaverile è comunque “No Name” di Mario Più & Mauro Picotto, una sorta di summa tra “Mystic Force” dell’omonimo artista australiano e “Landslide” dei britannici Harmonix condita con una melodia ricavata da “Close To Me” dei Cure e frammenti ambientali presi dalla pellicola spielbergiana “Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo”. Le potenzialità sono tante al punto che la Media Records lo pubblica anche in formato CD singolo. Si rifanno sentire Saccoman con “Open Your Heart”, trance di facile impatto issata da una melodia triggerata, e Ricky Le Roy col cupo “Tunnel”, più cavernoso e vitreo rispetto al precedente e per questo chiuso in un contesto che riduce al minimo la possibilità di raggiungere l’airplay radiofonico.

Con “Music (An Echo Deep Inside” D’Agostino cerca nuove dimensioni stilistiche. È il primo BXR ad includere l’inserto cartaceo su cui si rinvengono titoli e crediti

Discorso a parte per “Music (An Echo Deep Inside)” di Gigi D’Agostino, brano con cui il DJ torinese inizia ad allontanarsi dalla dimensione iniziale del suo sound, in primis con l’inserimento di una parte cantata incorniciata da una serie di frasi zigzaganti di violino ed un sibilo filmico morriconiano. Nella parte centrale il lirismo vocale è accentuato ed un po’ rammenta quanto sperimentato pochi mesi prima da Marco Grasso in “Melodream” di Bakesky (sulla milanese Diamond Pears diretta da Nando Vannelli) che sovrappone non memorabili stilemi progressive all’italiana agli elementi di un’orchestra (violini, viole, violoncelli, contrabassi, oboe, fagotto ed altro ancora). Anche a livello grafico c’è qualcosa di nuovo: la label copy è occupata, su entrambi i lati, da una foto dell’artista pertanto titoli e crediti finiscono su un inserto di carta infilato all’interno della copertina. La presenza di tale inserto diventa fissa quando l’etichetta rinnova la brand identity (con “Lizard”, 1998), e nel corso del tempo sarà oggetto di variazioni nelle dimensioni. Con “Music (An Echo Deep Inside)” D’Agostino prende le misure di una nuova dimensione artistica in cui immergersi, ma prima di avventurarsi sul percorso che lo trasformerà in uno degli idoli della seconda ondata italodance, si cimenta in una serie di tracce da cui affiora sia la passione per la sampledelia, sia il desiderio di creare qualcosa ex novo, che non assomigli al suo più recente passato forse perché si è già reso conto che l’epoca della mediterranean progressive sia ormai agli sgoccioli e il mercato si è stancato di brani strumentali. La cesura, tuttavia, non è netta ed immediata, “My Dimension”, “Psicadelica” (una specie di nuova “Fly” con ridotti varchi melodici), “Living In Freedom” e “Wondering Soul” (rilettura di “No Time” dei Guya Reg, edita dalla DBX Records di Joe T. Vannelli) contengono ancora chiari retaggi dell’epoca progressive ma in “Bam”, “Tuttobene” e “Locomotive” (rivisitazione di “New Gold Dream (81-82-83-84)” dei Simple Minds, già riadattata con successo dagli U.S.U.R.A. in “Open Your Mind” nel ’92) l’artista dimostra la chiara volontà di andare oltre e rimettersi in discussione, anche a rischio di scontentare parte dei fan. Nella vivace “Rumore Di Fondo” rispolvera reticoli ritmici breakbeat, in “All In One Night” trova rifugio in una specie di trance epica trainata da un basso lanciato al galoppo, in “Gin Tonic” rallenta atipicamente i bpm. Non c’è un filo conduttore, sono tracce discontinue che abbracciano un’ampia gamma di sfumature sulla base di impeti creativi nuovi ed un pizzico eccentrici, ad attestare la voglia dell’artista di sperimentare mettendo in comunicazione e in relazione passato e presente, così come avviene in “Gin Lemon”, a posteriori configuratosi come un ibrido tra i cut-up meccanici di “Bla Bla Bla” o “Cuba Libre” e la vocalità umana di “Elisir”. Il pezzo è sequenziato su un sample celebre quanto simbolico per la house music continentale, il “pump up the volume” preso da “I Know You Got Soul” di Eric B. & Rakim ed eternato dai M.A.R.R.S. in “Pump Up The Volume” per l’appunto, di cui parliamo qui. Tutto questo avviene nel “Gin Lemon EP”, un avventuroso, eterogeneo e bizzarro triplo mix disponibile anche in versione colorata (verde, giallo, rosso) diventato ambito per i collezionisti. Altrettanto ricercata l’edizione su CD decorata dall’artwork di Tiberio Faedi intervistato in Decadance Extra, per cui sono stati già sborsati 450 €. Dall’extended play vengono estratti vari brani incisi su un 12″ contenente anche il remix di “Music (An Echo Deep Inside)” a firma Mario Scalambrin, vicino al modello utilizzato per la sua Van S Hard Mix di “Baby, I’m Yours” dei 49ers di cui parliamo qui. Nel contempo anche “Gin Lemon”, l’unico a colpire nel segno e finire nelle rotazioni radiofoniche, viene riversato su un singolo sul quale, tra le varie versioni, c’è pure una R.A.F. Zone Mix di Picotto in bilico tra hard house d’oltremanica e pizzicato style teutonico.

Mario Più (1997)
Mario Più in una foto del 1997

Progetto-miscellanea è anche quello di Bismark che incide un doppio mix intitolato “Project 696”, omonimo del programma radiofonico in onda su Power Station ai tempi condotto con Luca Cucchetti così come lui stesso racconta qui. All’interno sei tracce sviluppate intorno alla trance ma con ampie divagazioni che toccano solarità (“Female Vox”, “Trance Sensation”) e stratificazioni più scure (“Synthesis”) passando per echi mediterranean progressive (“Shadow”), rimbalzi à la “Chrome” (“Space Is The Place”) ed impervie modulazioni drum n bass miste a pulsioni speed garage (“Give Yourself 2 Me”). “Project 696” avrebbe dovuto anticipare l’uscita dell’album, così come annuncia lo stesso Bismark in un’intervista rilasciata a Barbara Calzolaio a novembre 1997, ma il progetto non andrà mai in porto. Sempre in autunno la BXR tira fuori un’altra hit destinata alle radio e al circuito più commerciale, “All I Need” di Mario Più Feat. More, un brano costruito sulla falsariga dei successi dei tedeschi Sash! che conquista licenze sparse per il mondo, Regno Unito e Stati Uniti inclusi con l’interesse mostrato dalla MCA. Una delle versioni remix, la Love Mix, uscita un paio di mesi più tardi, ricalca invece i suoni di “Come Into My Life” di Gala. Parallelamente Mario Più incide la strumentale “Your Love”, con l’aiuto e il supporto di Mauro Picotto e Francesco Farfa, destinata alle discoteche e per questo siglata con l’appellativo Club aggiunto al suo nome.

1998, un anno di transizione
Il primo BXR del 1998 è “All 4 One”, un EP contenente quattro tracce di altrettanti artisti. Da un lato Mario Più e Gigi D’Agostino, rispettivamente con una versione semistrumentale di “All I Need” (un possibile edit della Massive Mix?) e con la citata “All In One Night” presa dal descritto “Gin Lemon EP”, dall’altro Mauro Picotto e Ricky Le Roy, il primo con “Jump”, rivisitazione del marziale “Mig 29” di Mig 29, un classico hooveristico del 1991 tratto dal catalogo Pirate Records realizzato da Mauro ‘Pagany’ Aventino e Francesco Scandolari, il secondo con “Bridge”, riapparso poco tempo dopo col titolo “Speed” e modellato sulla falsariga dei successi dei B.B.E., “Seven Days And One Week” e “Flash”. Ai più attenti non passa inosservato il salto di parecchi numeri di catalogo, quasi una ventina (dal 25 al 43): ai tempi la Media Records spiega che la serie compresa tra il 1026 e il 1042 è destinata ad uso interno e non per dischi commercializzati ma in seguito emergerà una ragione più plausibile legata al fallimento del distributore, la Flying Records, a cui subentra temporaneamente la milanese Self. Sembra che il disallineamento del catalogo possa essere stato causato da quel passaggio ma non è dato sapere se ai diciassette numeri mancanti furono effettivamente attribuiti dei brani rimasti in archivio. Nei primi mesi dell’anno nei negozi arriva anche il nuovo di Saccoman, “Magic Moments”, ascritto a quel tipo di trance che il DJ programma come resident al Cocoricò di Riccione. A ruota segue Ricky Le Roy con “Speed”: se la Blond Angel Mix ha il tiro della hard house britannica sul modello di “Keep On Dancing” dei Perpetual Motion, la Sara Song Mix (già in circolazione col titolo “Bridge”, come annunciato poche righe sopra) batte più sul filone franco-teutonico con svirgolate acide e pause melodiche. Due i remix: quello techno di Francesco Farfa nascosto dietro Mr. Message, pseudonimo utilizzato poco tempo prima per lanciare la Audio Esperanto, e quello di Tony H chiamato Strobo Mix, presentato in anteprima nel suo programma del sabato notte su Radio DeeJay, “From Disco To Disco”, e costruito sullo stampo di “Black Alienation” che il compianto Zenith destina alla IST Records di Lenny Dee.

Mauro Picotto - Lizard
“Lizard”, il disco della svolta internazionale per Picotto e per la stessa BXR

La BXR naviga in una sorta di limbo: ormai la mediterranean progressive è un ricordo, per alcuni persino scomodo, ed urge scovare un nuovo filone da battere per tenere alto l’interesse. La svolta è dietro l’angolo ma nessuno lo sa ancora, incluso l’autore del brano che sancirà il “next step”, Mauro Picotto. L’accoglienza riservata alla sua “Lizard”, nella primavera del 1998, è piuttosto tiepida. Le quattro versioni racchiuse sul mix sono radicalmente diverse l’una dall’altra, ma una di esse risulterà determinante per gli sviluppi futuri, la Tea Mix, contraddistinta da un particolare disegno di basso (simile a quello della Explorer Version di “Dune” di Valez, Subway Records, 1994) la cui genesi viene raccontata dall’artista nel suo libro, “Vita Da DJ – From Heart To Techno” e che noi già svelammo, attraverso l’intervista al musicista Andrea Remondini, in Decadance Appendix nel 2012. L’effetto Larsen avvenuto al Joy’s di Mondovì genera una reazione euforica del pubblico e così Picotto, con l’aiuto del citato Remondini, cerca di riprodurlo in studio e il risultato lo si sente per l’appunto nella Tea Mix. La prima tiratura di “Lizard” passa inosservata ma l’indifferenza si trasforma in enorme curiosità quando, un paio di mesi più tardi, arrivano i remix. In particolare, come raccontato qui, è la Megavoices Mix, realizzata dallo stesso Picotto e sviluppata partendo dalla Tea Mix, a cambiare lo status quo. Con una stesura che sfiora i dieci minuti, la traccia si ripresenta in una formula più organica, arricchita da un sample vocale e una lunga pausa melodica centrale ispirata da “1998” dei Binary Finary e, forse, dal riff di “Prophecy” dei WW 3 (l’assonanza è particolarmente evidente nella Marathon Mix). Corre voce che a dare la spinta decisiva al brano sia stato Junior Vasquez dopo aver convinto John Creamer, l’A&R della Empire State Records (division della nota Eightball Records), a licenziarlo negli States. A ruota seguono Judge Jules, Graham Gold e soprattutto Pete Tong che lo inserisce in Essential Mix su BBC Radio 1 e che, poco tempo dopo, ribattezza Picotto con l’appellativo “The Lizard Man”. Il pezzo farà il giro del mondo aprendo una fase carrieristica dal sapore internazionale per il DJ piemontese. “Lizard” è anche il primo disco che BXR pubblica con un rebranding grafico, contraddistinto ancora dall’immagine del pianeta ma avvolto in una sorta di spirale ciclonica e che per qualche tempo viene utilizzato (in ordine randomico?) insieme al primo, in uso dal 1996. Titoli e crediti, come preannunciato nel precedente paragrafo, finiscono su un inserto cartaceo allegato.

Gigi D'Agostino - Elisir
“Elisir” di Gigi D’Agostino, un successo dell’estate 1998 che però “disarciona” la BXR dalla posizione legata a generi come progressive e trance

Con l’arrivo dell’estate escono due dischi dichiaratamente pop che seguono la strada aperta da “All I Need”, “Sexy Rhythm” di Mario Più, ispirata da “Your Love” dei canadesi Lime, ed “Elisir” di Gigi D’Agostino, interpretata in incognito da David Michael Johnson che per la Media Records ha già inciso alcuni brani tempo prima tra cui la cover di “I Say A Little Prayer”. Come emerso dai contenuti del “Gin Lemon EP” uscito negli ultimi mesi del 1997, D’Agostino è in cerca di un’evoluzione e la trova, come lui stesso afferma in un’intervista del settembre ’98, in una via di mezzo tra house e progressive, «sempre con sonorità energetiche ma senza ritmi troppo ossessivi. I tempi cambiano, le ore corrono e si è già arrivati al nuovo capitolo». A dirla tutta di progressive in “Elisir” resta poco e niente, in prima linea c’è la marcetta che prende le mosse dalla verve sampledelica di “Gin Lemon” e la parte vocale (con qualche similitudine che vola a “Closer” di Liquid) esplosa nel ritornello sorretto dal pianoforte, ma questo non è il piano imperante in stile “Children” di Robert Miles, è piuttosto un elemento coadiuvante che l’autore adopera, con la complicità del musicista Paolo Sandrini, per creare un nuovo standard della dance. La posizione da DJ attivo solo in club di settore forse inizia a stare stretta a D’Agostino, vuole una nuova collocazione nella scena ma soprattutto nel mercato discografico, e questo lo si intuisce sin dai tempi di “Music (An Echo Deep Inside)” che intende andare oltre l’inflazionata mediterranean progressive. Ora riesce a trovare la quadra con una formula alchemica inaspettata per i suoi fan più incalliti e destinata a gettare i semi della seconda ondata italodance, attesa dalle grandi platee generaliste dopo la parentesi del biennio ’96-’97. “Elisir”, licenziato in parecchi Paesi europei ma anche negli States dove la Tommy Boy lo pubblica col titolo “Your Love”, viene salutato con tripudio dalle radio ed anche dalle tv. Memorabile l’apparizione ad “Italia Unz” su Italia 1, in cui D’Agostino sceglie di starsene comodamente sdraiato su un materassino gonfiabile piuttosto che mimare imbarazzanti performance in playback, lasciando invece il compito a David Michael Johnson di occuparsi del (pare necessario) lip-sync. Quella di “Sexy Rhythm” ed “Elisir” è una doppietta, disponibile anche in formato CD, che garantisce ottimi risultati alla Media Records, specialmente in riferimento ad “Elisir”, ma che nel contempo lascia spiazzato chi pensa alla BXR come etichetta legata a soluzioni meno commerciali e più vicine alla progressive (prima) e trance (poi). Che fine hanno fatto gli intenti di sfondare la barriera del prevedibile formato canzone? C’è forse la necessità di tornare a formule più canoniche e tradizionali per mantenere viva l’attenzione del pubblico?

Una foto dell’autunno 1998 in cui si scorge l’ideogramma che Picotto si “tatua” sui capelli: da lì a breve il simbolo diventa un elemento identificativo della sua immagine

A diversificare l’offerta, tenendo un piede nella dimensione più appetibile ai club e al frangente internazionale, sono comunque Tony H con “Zoo Future” (la versione destinata alle radio, la Lion Mix, ricicla il riff di “Get The Balance Right!” dei Depeche Mode) e Bismark con “Street Festival”, pensato come colonna sonora dell’omonimo evento che si tiene a Roma domenica 21 giugno e il nome delle quattro versioni (Colosseum Mix, Fori Imperiali Mix, Piazza Venezia Mix, Circo Massimo Mix) non lascia adito a dubbi sul legame con la Città Eterna. Alla manifestazione, organizzata sul modello della berlinese Love Parade ideata quasi dieci anni prima da Dr. Motte e Danielle de Picciotto intervistata qui, partecipano decine di DJ che si alternano su consolle allestite su camion. La Media Records ha un proprio carro sul quale si esibiscono praticamente tutti gli artisti della scuderia. Quell’estate al debutto su BXR ci sono anche i fratelli Giorgio ed Andrea Prezioso ed Alessandro ‘Marvin’ Moschini con “I Wanna Rock”, un divertente cut-up pubblicato pure su CD (con la copertina curata da Tiberio Faedi) ottenuto incrociando su una trascinante base hard house le chitarre di “Should I Stay Or Should I Go?” dei Clash ed un frammento vocale di “It Takes Two” di Rob Base & DJ E-Z Rock. L’idea però non raccoglie consensi analogamente a “Burning Like Fire / The Pinzel” che i tre firmano Stop Talking su GFB poche settimane prima. La rivincita, come si vedrà avanti, arriva circa dodici mesi più tardi. Ad anticiparla è “Hardcat” che Giorgio Prezioso realizza con Picotto come Tom Cat ma su Underground. La tornata autunnale continua ad alternare pezzi di estrazione trance/hard trance ad altri crossover: si passa così da “Distant Planet” di Saccoman, adorato da Talla 2XLC, a “Unicorn” di Mario Più, da “Under The Sea” di Ricky Le Roy ai remix di “Zoo Future” di Tony H (tra cui quello dei tedeschi DuMonde prossimi all’affermazione mondiale), da “Honey” di Mauro Picotto, ricamato sul giro di “Two Tribes” dei Frankie Goes To Hollywood ed affiancato sul lato b dalla coriacea “Smile” con una risata beffarda, a “Cuba Libre” di Gigi D’Agostino, un’ossessiva marcetta (licenziata negli States dalla Jellybean Recordings di John “Jellybean” Benitez ma col nome Noise Maker) sincronizzata sui vocal di “Caught, Can We Get A Witness?” dei Public Enemy, già rispolverati con successo tempo prima dai Natural Born Chillers in “Rock The Funky Beat” in chiave drum n bass. A fine anno giunge “Spectra”, il primo col centrino su fondo verde e il pianeta irriconoscibile per la gradazione cromatica, con cui Mario Più e Mauro Picotto rinnovano il sodalizio e campionano la sezione ritmica di “Spastik” di Plastikman per innestare all’interno l’essenza del nuovo “BXR sound” che marchierà l’annata seguente.

Gigi D'Agostino - Bla Bla Bla
“Bla Bla Bla”, il primo successo messo a segno dalla BXR nel 1999

1999, verso ambiziosi obiettivi con hit internazionali e un nuovo logo
Per BXR il 1999 si apre all’insegna della neo eurodance di Mario Più Feat. More con “Run Away”: il DJ toscano continua ad alternare produzioni trance/hard trance ad altre di stampo prettamente pop come questa in cui, col tocco di Paolo Sandrini come arrangiatore, cerca di riagguantare l’essenza che ha fatto la fortuna dell’eurodance/italodance nostrana tra 1993 e 1994 con ovvi update del banco suoni e con l’esclusione del rap maschile a vantaggio di un’unica voce, quella femminile. Sul 12″ e sul CD singolo figura anche una versione di estrazione filo drum n bass, la Free Style Mix, forse pensata per il territorio britannico dove alcuni esperimenti simili, tipo quello di “Before Today” degli Everything But The Girl, destano particolare interesse. Il primo centro dell’anno, seppur in circolazione da diversi mesi (a dicembre ’98, quando è ancora privo di titolo, Picotto lo recensisce sulle pagine di DiscoiD definendolo «un pezzo che ha dell’incredibile»), è rappresentato da “Bla Bla Bla” di Gigi D’Agostino: edificato su una base simile a quella di “Elisir” e di “Cuba Libre”, la traccia diventa presto un autentico tormentone grazie al fulminante e ribaltante uso di un campionamento vocale tratto da “Why Did You Do It” degli Stretch, tagliato e montato a mo’ di filastrocca nonsense («l’ho realizzato pensando a tutta quella gente che parla tanto senza dir niente» dichiarerà poco tempo dopo l’autore, che in copertina vuole una massima del filosofo Voltaire). Il lato b è occupato per intero dalla Africanismo Mix di “Voyage”, poco più di quindici minuti trasognati e vissuti all’interno di uno shaker che frulla una particolare scansione ritmica che travalica i generi, a riprova della volontà di D’Agostino di dare costantemente una spinta in avanti alla sua musica. “Bla Bla Bla”, per cui viene realizzato un video-parodia de La Linea di Osvaldo Cavandoli, entra in dozzine di compilation e conquista il vertice di un numero imprecisato di classifiche. È il primo disco che BXR affida ad un nuovo distributore, la campana Global Net, lì dove lavora Daniele ‘Dany T’ Tramontano che a tal proposito rammenta: «Un mattino arrivarono in prima battuta diecimila copie di quel BXR e la sera ne erano rimaste forse appena cinquecento».

label variation
Due variazioni grafiche utilizzate dalla BXR tra 1998 e 1999

In primavera si ripresenta Mauro Picotto con “Pulsar”, un pezzo trance dedicato alla figlia primogenita Alessia che ricalca prevedibilmente lo schema di “Lizard” con l’aggiunta di un hook vocale che fa lo spelling del nome dello stesso artista. Tante le versioni approntate, due delle quali finite su un secondo 12″ codificato come Deeper Mixes. Nella stagione dei fiori si fanno risentire anche Bismark con gli affreschi melodici di “Parapapa”, e Tony H con “Sicilia…You Got It!”, che passa dalla tempestosa hard trance con tagli lavici acid della Etna Vulcan Mix alla ridente Taormina Mix, una specie di risposta a “Bla Bla Bla” che usa il campione vocale di “Ride The Pony” dei Peplab abbinato ad una linea melodica in stile “Profondo Rosso”. Curiosità: la Stromboli Mix viene pubblicata quasi contemporaneamente su Pirate Records ma con titolo ed autore differenti, “Mutation” di Pivot. Poco tempo dopo per la medesima etichetta Tony H realizza, con Picotto, “Venezia” di Venice, scandito da un fraseggio di violini che rilancia le atmosfere mediterranee di qualche anno prima. Riappare pure Saccoman con “The Bounce”: le due versioni sulla logo side, la Jumpin’ e la Pumpin’, girano sul classico disegno trance che il DJ veneto spinge in discoteca, mentre sulla info side trovano spazio la Surfin’, con una stesura ed evoluzione progressive che ricorda un classico di quattro anni prima, “Pleasure Voyage” di X-Form al quale abbiamo dedicato qui un articolo, e la Teain’ a firma Picotto, un incrocio tra la sua “Lizard”, un frammento di “Communication” di Mario Più di cui si parla più avanti, e le percussioni di “20Hz” di Capricorn. A ridosso dell’estate BXR prende in licenza per l’Italia “The Launch” dell’olandese DJ Jean, rivisitazione di “The Horn Song” di The Don del 1998 che funziona nei Paesi del Nord Europa ma che da noi fatica a spopolare seppur finisca in diverse compilation tra cui quella dedicata all’Energy mixata da Molella, e “Dream A Dream” dei Captain Jack, act hard dance di Colonia prodotto da Eric Sneo e remixato dai DuMonde. È tempo pure di una tripletta di remix, “Unicorn” di Mario Più, “Tunnel” di Ricky Le Roy e “Lizard” di Mauro Picotto che sbarca ufficialmente oltremanica attraverso la VC Recordings del gruppo Virgin. Proprio su “Lizard” mettono le mani il britannico Tall Paul, reduce dal successo di “Let Me Show You” di Camisra, e Gigi D’Agostino che disfa e ricostruisce il puzzle riciclando un frammento ritmico della sua “Elisir”. Proprio Picotto riporta in vita, per l’ultima volta, l’alter ego R.A.F. By Picotto per “America”, ennesimo derivato di “Lizard”. Sul lato b il remix di “Tuttincoro”, pubblicato a fine ’98 sulla Pirate Records e germogliato su “Leave In Silence” dei Depeche Mode.

Prezioso e Mario Più
Altre due hit annuali della BXR, “Tell Me Why” di Prezioso Feat. Marvin e “Communication” di Mario Più

Dopo il poco fortunato “I Wanna Rock”, i fratelli Prezioso si prendono la rivincita: accompagnati dalla voce di Marvin e con la collaborazione di Paolo Sandrini, incidono “Tell Me Why”, una hit dell’estate ’99 per cui viene girato un videoclip e che finisce al Festivalbar quell’anno presentato da Fiorello ed Alessia Marcuzzi. Nel pezzo i più attenti riconoscono due principali ispirazioni, la tastiera di “Talking In Your Sleep” dei Romantics e la strofa di “Family Man” di Mike Oldfield, ma quello dei Prezioso Feat. Marvin non è un collage figlio della sampledelia più macchinosa, sullo stile dei programmi radiofonici “blobbistici” di Giorgio, ma una canzone solare e perfetta per le platee delle megadiscoteche, non solo italiane a giudicare dal numero di licenze macinate in diversi Paesi del mondo. Va particolarmente bene in Svizzera, in Danimarca ma soprattutto in Austria e in Germania, piazzato rispettivamente in seconda e decima posizione della classifica di vendita. Proprio nella terra dei crauti i tre tengono parecchie serate ed apparizioni televisive come questa su RTL. Un’altra mina lasciata deflagrare dalla BXR nell’estate ’99 è “Communication” di Mario Più: colorita dal suono dell’interferenza del telefono cellulare, parallelamente usato dai Dual Band (Paolo Kighine e Francesco Zappalà) in “GSM” sulla modenese Stik, la traccia attinge (ancora) le forze dallo schema di “Lizard”, mietendo consensi grazie ad una potente dinamica del suono e rumorose rullate che fanno impazzire gli amanti dell’hard trance. Sul lato b figura “Hertz”, cover di un brano che Mario Più suona spesso nelle sue serate, “Pleasure” dei belgi The Squeakers pubblicato nel ’98 su etichetta Hertz. Il grande successo di “Communication” viene garantito però da un remix che giunge a distanza di qualche mese, quello realizzato oltremanica da Yomanda, scelto per sincronizzare il videoclip e sviluppato sulla base della More Mix. Il brano conquista il vertice della Top 40 Club Chart UK con circa 200.000 copie vendute, e l’autore viene ribattezzato “il Fatboy Slim italiano”. In autunno è tempo di una versione di Picotto firmata come Lizard Man. Parallelamente esce “Serendipity” con cui Mario Più rispolvera la melodia di “Showroom Dummies” dei Kraftwerk ed ufficializza la paternità del progetto DJ Arabesque, partito nel ’97 su etichetta Underground. Dopo i vari featuring per Mario Più, More (ex frontwoman dei T-Move Experience inizialmente nota come Jody Moore) incide il primo singolo da solista, “4 Ever With Me”. Il pezzo si inserisce in quella rosa di dance made in Italy al femminile interpretata da cantanti come Kim Lukas, Ann Lee o Neja. A fronte di ciò, il progetto traslocherà presto sulla division pop della BXR, la W/BXR, di cui si parla più avanti.

Mauro Picotto - Iguana
“Iguana”, il follow-up di “Lizard”, è una conferma per la carriera internazionale di Mauro Picotto

Se sino al 1998 il successo dell’etichetta è stato episodico ed occasionale, dal 1999 i trionfi diventano quasi sistematici. È il momento in cui la BXR catalizza l’attenzione della stampa internazionale che ne parla come squadra composta esclusivamente da DJ attivi nelle discoteche di settore e per questo particolarmente abili nell’intercettare i gusti del pubblico. «Abbiamo messo sotto contratto i più importanti disc jockey provenienti da differenti regioni italiane offrendo loro facoltà di produrre la musica che amano proporre durante le proprie serate» spiega Picotto in un articolo di Mark Dezzani pubblicato su Billboard il 12 giugno 1999. «Ci siamo accorti che esiste un grande mercato per la musica progressive/techno seppur le emittenti radiofoniche italiane, fatta eccezione per quelle specializzate, continuino a preferire house e pop dance» prosegue Bortolotti. «Abbiamo dunque deciso di alimentare e sviluppare ulteriormente questi generi più sperimentali e sfruttare internet per promuoverli anche se i software per scaricare illegalmente dalla Rete brani in formato MP3 metteranno presto in ginocchio il mondo della musica. Piuttosto che ignorare questa nuova realtà, però, useremo la tecnologia per portare online il nostro catalogo». Due le importanti novità autunnali: la prima riguarda il cambiamento di logo, con la X rossa in evidenza che manda definitivamente in soffitta le declinazioni grafiche precedenti, la seconda l’avvio di tre serie, Claxixx, Club e Superclub, rispettivamente contraddistinte dai colori bianco, nero ed argento e nate col fine di categorizzare in modo più accurato le pubblicazioni in base ai suoni e il pubblico di riferimento. Questa gradazione cromatica abbraccia inoltre le copertine generiche, sino a questo momento stampate in cinque colorazioni (rosso, nero, blu, giallo, celeste). Il primo ad essere interessato dal nuovo ordine/raggruppamento è “Iguana” di Mauro Picotto, follow-up di “Lizard” in cui l’autore torna ad utilizzare un sample vocale (preso da un live dei Kiss in cui la band esegue “Hotter Than Hell”) che ha già inserito nella sua prima produzione destinata alla Media Records, “We Gonna Get…” del 1991, ai tempi “ritagliato” da “Adrenalin” degli N-Joi. Sono svariate le versioni approntate tanto che nel complesso “Iguana” occupa tutte le serie, la Claxixx, la Club e la Superclub. Nel pacchetto è incluso anche un remix a firma Blank & Jones con cui i tedeschi ripagano la versione che Picotto realizza per la loro “After Love” uscita quasi in contemporanea. Il successo di “Iguana” tocca tutta l’Europa, in particolare la Germania dove resta per settimane al vertice delle classifiche di vendita. Viene prevedibilmente girato un videoclip diretto da Oliver Sommer e finito in high rotation su MTV, VIVA e tutte le principali tv musicali.

BXR Superclub apertura
Uno degli advertising con cui viene annunciata l’apertura del BXR Superclub, il 9 ottobre 1999

A consolidare ulteriormente la posizione, la promozione e la comunicazione di BXR, sono due progetti collaterali: uno su Italia Network, prossima a trasformarsi in RIN, chiamato Maximal, che porta in scena i DJ dell’etichetta con selezioni musicali in cui vengono palesate le coordinate dei brani selezionati, l’altro sul fronte discoteca con l’apertura, sabato 9 ottobre presso lo Shibuya di Rezzato, del BXR Superclub, il miglior palcoscenico che i DJ della Media Records potessero avere in quel momento, seppur rimanga in attività per appena una stagione (la serata di chiusura è del 20 maggio 2000). Maximal e il BXR Superclub veicolano in modo ferreo il suono del pianeta BXR, non più quello celeste del periodo mediterranean progressive bensì uno fiammeggiante rosso fuoco ben visibile sulla copertina del primo volume della “BXR Superclub Compilation”. Entrambe si rivelano presto come due straordinarie vetrine pubblicitarie in un periodo in cui il pubblico, o perlomeno quella parte di esso rappresentata dai fan più sfegatati, si emoziona e si sente fortunata ad ascoltare in anteprima i nuovi brani dei propri beniamini della consolle. Scommettendo su nomi nuovi anche a rischio di non centrare perfettamente l’obiettivo, la BXR mette a segno altre tre licenze, “Gouryella” dei Gouryella alias Tiësto e Ferry Corsten (dal catalogo Tsunami), il remix di “Madagascar” degli Art Of Trance (dal catalogo Platipus), e “The Day” di Lunatic House Sounds (dal catalogo DiKi Records, quella di Age Of Love di cui parliamo approfonditamente qui). Spazio anche agli artisti interni come Bismark con “Reactivate”, Massimo Cominotto con “Minimalistix” (il primo inciso per la BXR dopo un biennio vissuto su Underground), e Tony H con “Tagadà / www.tonyh.com”. «Il tagadà è una giostra techno con un movimento tipo centrifuga, e questo movimento mi fa pensare ad una rullata devastante con effetto energizzante sul corpo, lo stesso che il mio disco vuole ricreare» spiega l’autore ai tempi. «A “Tagadà” si aggiunge “www.tonyh.com”, proprio come il mio nuovo sito internet» conclude. Poi tocca a “Slave To The Rhythm”, cover dell’omonimo di Grace Jones realizzata dai PPK, progetto one shot nato sull’asse italo-britannico formato da Pete Pritchard, Mauro Picotto e Ben Keen alias BK (PPK è l’acronimo dei loro cognomi). Negli ultimi giorni dell’anno arriva infine “Arabian Pleasure” di Mario Più & Mauro Picotto, trance dolcemente immersa in atmosfere orientaleggianti rimarcate dalla grafica in copertina da cui affiorano i loghi degli autori.

Gigi D'Agostino - Tanzen
La copertina di “Tanzen” che nel ’99 apre il catalogo di W/BXR

Canalizzazioni tematiche per fare ordine
Il catalogo della BXR inizia a essere troppo eterogeneo: a produzioni di stampo progressive e trance se ne aggiungono altre prettamente pop ma tale sovrapposizione di mondi musicali, oltre a risultare dispersiva, disorienta i seguaci. Al fine di convogliare tutti quei pezzi dichiaratamente mainstream quindi, nel 1999 viene creata una “filiale” apposita, la W/BXR, partita col triplo “Tanzen” di Gigi D’Agostino che al suo interno raccoglie futuri successi (“The Riddle”, la strumentale “Passion” poi diventata “La Passion”, “Another Way”), nuove marcette ipnotiche à la “Cuba Libre” (“Acid”, “Movimento”, pubblicata l’anno prima su Underground e firmata come Noise Maker, “Coca & Havana”), rimembranze tranceoidi rilette a suo modo (“One Day”), una nuova versione di “Bla Bla Bla” intitolata Dark Mix, una sorta di remix della stessa, “A. A. A.”, realizzato da Mario Più e Ricky Effe, ed anche una hit mancata, “Star”. Per un anno circa la W/BXR raduna le ramificazioni della BXR destinate alle grandi masse generaliste, da “Let Me Stay” dei Prezioso Feat. Marvin ad “Around The World” di More passando per “Ritual Tibetan” dei Kaliya e le versioni vocali di “Techno Harmony” di Mario Più e di “Arabian Pleasure” di Mario Più & Mauro Picotto, quest’ultima interpretata dalla cantante algerina Amel Whaby. Dopo diciassette uscite, il progetto viene assorbito dalla ex Noise Maker ora NoiseMaker, riavviata con l’album “L’Amour Toujours” attraverso il quale D’Agostino si consacra a livello planetario radunando attorno a sé un oceano di supporter estatici, talvolta animati da una devozione ai limiti del fanatismo.

BXR Club, Gold, Sacrifice
I dischi inaugurali di BXR Club, BXR Gold e Sacrifice

Sempre del 1999 è una sottoetichetta di BXR chiamata BXR Club, nata con lo scopo di raccogliere le produzioni dal carattere più schiettamente clubby e con nessuna probabilità di fare crossover. A tagliare il nastro inaugurale è Gabry Fasano con “Jaiss Bangin'”, presto seguito da “Metempsicosi” di Ricky Le Roy (omonimo del gruppo di DJ a cui appartiene, fondato nella primavera del 1997), “Imperiale” di Mario Più & Mauro Picotto (con una pausa sonorizzata sulla melodia di “Merry Christmas Mr. Lawrence” di Ryuichi Sakamoto, dal film “Furyo”) e “Red Moon” ancora di Ricky Le Roy, che arriva a fine ’99 e chiude la breve parentesi rimpiazzata dalla categorizzazione distinta tra Claxixx, Club e Superclub di cui si è già detto sopra. Nell’estate del 2000 nasce la BXR Gold, espediente con cui la Media Records rimette in circolazione alcuni pezzi del repertorio BXR (ma non solo, qualcosa proviene dai cataloghi GFB ed Underground), organizzati in diversi EP che fanno felici i collezionisti seppur alla fine il progetto pecchi un po’ come esercizio autocelebrativo. Pochi mesi più tardi parte invece Sacrifice, etichetta che si colloca in posizione mediana tra Underground e BXR, sia per declinazione grafica che sonora. A marchiare la maggior parte delle pubblicazioni sono le lettere dell’alfabeto ellenico usate per siglare i nomi degli autori. A suggellare il tutto una linea di merchandising e l’apertura di branch sparse per l’Europa (Regno Unito, Germania, Benelux) che rappresentano un supporto valido ed utile per penetrare più capillarmente nei territori esteri.

Mauro Picotto - Pegasus
Sopra la copertina di “Pegasus”, sotto la foto da cui viene sviluppata la grafica

2000-2001, alla conquista del mondo con la supertechno
Uscita indenne dal temuto millennium bug, la BXR inizia il nuovo anno/secolo/millennio lanciando il sito web, che include anche un frequentatissimo forum, e riprendendo il discorso lasciato in sospeso a fine ’99 con “Arabian Pleasure” con canti esotici che fanno venire subito in mente dune, palmeti e qualche oasi. Adesso a marciare verso la calura desertica a bordo di un rullo compressore che fa il verso ai disegni di basso hi NRG di Bobby Orlando è Ricky Le Roy con “Tuareg”. Pronto probabilmente dall’autunno, esce in pieno inverno “Autumn” che dà avvio al progetto Lava, nato tra Italia e Germania dalla collaborazione tra Mauro Picotto, Riccardo Ferri e Tillmann Uhrmacher, DJ tedesco e noto speaker radiofonico su Sunshine Live dove conduce il programma Maximal, che divide solo l’omonimia con quello prima descritto e trasmesso da Italia Network. Come solista, Mauro Picotto sfodera “Pegasus”: la Tea Mix contiene ancora elementi lizardiani ma appare subito chiaro che il DJ si stia stancando di riciclare il basso “wuooom wuooom” ricavato da un vecchio BassStation Novation abbinato ad infinite rullate di snare, schema peraltro imitato da un numero sempre più consistente di competitor già dal 1998 (si sentano, ad esempio, “Enjoy” di Alex Castelli o “Zi-Muk” di CAP). La Superclub Mix di “Pegasus” difatti sposta il baricentro verso costrutti più intrisi di (hard)groovismo post millsiano, arricchito da una vena italo/europea. È uno dei primi brani con cui si inizia a parlare di supertechno, un nuovo filone che BXR, quell’anno premiata dalla rivista tedesca Raveline e corteggiatissima al Midem di Cannes e al Winter Music Conference di Miami, annuncia di seguire per scrollarsi di dosso il passato e restare fedele allo storico payoff della casa madre, “the sound of the future”. In copertina finisce l’elaborazione grafica di una foto scattata nei corridoi della Media Records da cui spicca il pittogramma asiatico giallo che Picotto si “tatua” all’altezza della tempia sinistra sin dall’autunno del ’98 e che diventa una vitale caratteristica della sua immagine pubblica nonché tag identificativa sulle copertine dei dischi. 

Mario Più - Techno Harmony
“Techno Harmony” conferma l’exploit internazionale di Mario Più

Analogamente a Massimo Cominotto, anche Joy Kitikonti approda su BXR dopo aver inciso svariati brani, pure sotto pseudonimi, su altre etichette del gruppo bortolottiano (Underground, GFB, Audio Esperanto). Il debutto sulla label, privo di botto ma solo posticipato di un anno circa, avviene attraverso “Agrimonyzer” in cui il DJ toscano fa sfoggio di numerose linee tambureggianti, retaggio delle esperienze giovanili come batterista. In particolare in una delle quattro versioni, la Hacker’s Mix, campiona il suono emesso dagli ormai obsoleti modem analogici a 56k, quella specie di telefonata non vocale che permetteva di entrare in Rete, un mondo che in quel momento inizia la corsa alla popolarizzazione su larga scala. Reduce dallo strepitoso successo oltremanica ottenuto con “Communication”, Mario Più appronta un follow-up mirato ad espandere la propria fanbase oltre i confini nazionali. In primavera è quindi la volta di “Techno Harmony”, una traccia nata in seno al fermento eurotrance che diventa canzone col titolo “My Love” grazie all’apporto vocale di Maurizio Agosti meglio noto come Principe Maurice, celebre performer del Cocoricò di Riccione. Come da copione, secondo una procedura in uso sin dai primi anni Novanta, la Media Records appronta un alto numero di versioni incise su vari 12″ e sul CD singolo. Gli sforzi vengono premiati, il brano vola alto nelle classifiche internazionali e conquista numerose licenze in primis nei Paesi chiave per la discografia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti.

Mauro Picotto - Komodo
Con “Komodo” Mauro Picotto chiude la trilogia dei rettili e tocca l’apice della popolarità

Non da meno è certamente Mauro Picotto con “Komodo”, con cui chiude la trilogia rettiliana iniziata (non intenzionalmente) nel ’98. Annunciato come “Komodo Dragon” e col featuring dei Deep Forest che sarebbe stato legittimato da un campionamento della loro “Sweet Lullaby”, il pezzo, descritto dalla stampa come una specie di medley tra trance e world music, viene poi commercializzato più semplicemente come “Komodo” e trainato da un videoclip ancora diretto da Oliver Sommer in cui Picotto veste i panni di un investigatore che indaga su una serie di morti sospette. Il testo scritto ex novo sulla melodia di “Sweet Lullaby” diventa “Save A Soul” usato come sottotitolo. Sul 7″ allegato al doppio mix che la BXR pubblica in primavera inoltrata figura “Come Together”, brano downtempo (praticamente un mix tra “Save A Soul” e “Komodo”) che riflette un lato inedito di Picotto legato alla musica lounge e chillout. È il momento in cui l’artista piemontese tocca l’apice commerciale della carriera, finendo nelle lineup di eventi dalla risonanza internazionale come MayDay, Love Parade, Time Warp, Gatecrasher, Atlantis ed Homelands, in club come il Twilo di New York, nella Top 100 DJs di DJ Mag (al 27esimo posto) e sul palco di Top Of The Pops dove non mima azioni su una consolle spenta, così come solitamente è costretto a fare chi viene dal mondo delle discoteche per sottostare agli stringati tempi televisivi. Senza ovviamente tralasciare la sfilza di remix già approntati per artisti del calibro di System F e Blank & Jones a cui ne seguono molti altri di cui si parla più avanti. In Germania è un vero trionfo dove “Komodo” vende circa 300.000 copie. Davvero tante le versioni sfornate negli studi in Via Martiri Della Libertà come quella di Megamind, nome che Picotto usa prima con ruolo di remixer e poi come artista a partire da “Listen To Me” dell’autunno ’98, e quella di Saccoman. Quest’ultimo riappare con “Metamorph”, ennesima escursione nella trance di matrice tedesca ma variata, nella Part One Mix, in qualcosa di diverso e meno prevedibile. È quella che alla Media Records chiamano supertechno, «un’ulteriore evoluzione della tech-house classica ma rivista nello stile BXR» dirà in merito Mauro Picotto qualche tempo dopo. All’esordio su BXR c’è anche Franchino, vocalist popolarissimo in Toscana in locali come Imperiale ed Insomnia. Anche per lui, come per Cominotto e Kitikonti, dopo un paio di anni di training su Underground e GFB, si aprono le porte marchiate dalla X rossa e ciò avviene con “Calor”, traccia senza troppe pretese costruita su una parte più solare, trainata da un basso in ottava, ed una più scura ma un po’ anonima.

Svariati i pezzi presi in licenza dall’estero: i remix di “Schall” – inclusi quelli di Pascal F.E.O.S. e Thomas P. Heckmann – di Elektrochemie LK alias Thomas Schumacher (nel ’98 già approdato su GFB con “When I Rock”, su segnalazione di Picotto), “Communication Part II” di Armin Van Buuren, “Oasis” di Y.O.M.C., cover dell’omonimo dei Paragliders uscito cinque anni prima e diventato uno dei dischi del repertorio BXR più quotati sul mercato collezionistico, “Something About U” di The Act, “Pussylovers” di DJ Balloon (con uno stralcio vocale preso dal film “From Dusk Till Dawn” del ’96), “Digital Dialogue” di Nick Sentience, i remix di “Don’t Laugh” di Winx tra cui uno a firma Mauro Picotto (all’opera anche su “Time To Burn” degli Storm, “See The Light” dei DuMonde e “Running” dei Tyrell Corp.), e quelli di “Science Fiction” di Taucher, un buon successo in Germania sul quale mettono le mani i Cosmic Gate e Mario Più. Proprio quest’ultimo, dopo aver ottenuto un discreto responso oltralpe con “Serendipity”, ci riprova come DJ Arabesque e fa centro grazie a “The Vision”, eurotrance a presa rapida che fa letteralmente il giro del mondo macinando decine di licenze ed affermandosi completamente nel 2001. Più contenuti i risultati di “Dolphin” di Gee Moore, il DJ del Bora Bora di Ibiza con cui il team della Media Records inizia a collaborare l’anno prima con “All Fat Boys Dancing” finito su Underground. Fedele alla linea trance è Bismark che con “Make A Dream” europeizza il suo suono e fa breccia nella Kontor Records che lo ripubblica in Germania col remix di Azzido Da Bass. Dopo diversi mesi di programmazione su Italia Network, Maximal si trasforma in una compilation. Il primo volume, affidato a Ricky Le Roy, include tra le altre “Happy” di Cominotto e “Year 2000” di Tony H, rimaste confinate al formato CD.

La supertechno targata BXR continua a propagarsi in autunno con “Species” del citato Cominotto («un “disco da viaggio” privo di ritornelli a guidare l’ascoltatore, crossover tra trance e techno con qualche occhiata alla Detroit anni Novanta» come lo descrive ai tempi l’autore) ed un paio di feroci 12″ di Picotto contenenti quattro tracce tratte dal suo primo album (“Underground / Baguette”, “Bug / Eclectic”) ma non indirizzate al frangente radiofonico. Il follow-up di “Komodo” infatti è “Proximus” in cui trova alloggio un campionamento tratto da “Adiemus” di Karl Jenkins e che gli italiani hanno facoltà di ascoltare in anteprima attraverso un servizio messo a punto da Omnitel che trasforma il telefono cellulare in un juke-box chiamando il numero 2552. Immancabile il videoclip che chiude la serie diretta da Oliver Sommer, iniziata con “Iguana” e proseguita con “Komodo”: come Alberto Beltrame scrive qui il 27 maggio 2020, «al regista viene commissionato il compito di narrare le vicende dell’investigatore Mauro Picotto e della sua sexy antagonista, la misteriosa donna dagli occhi di drago […], un’assassina seriale che (nel video di “Proximus”, nda) sembra essere diventata ancora più potente e sfuggente, ma l’investigatore riuscirà a trovarla alla fine di un inseguimento» (a bordo di una Ferrari, nda). Negli ultimi frame il colpo di scena, la donna si trasforma in iguana e gli occhi di Picotto diventano gli stessi della donna-lucertola. Le numerose versioni aiutano la diffusione del brano sul fronte estero, quello a cui BXR ormai sembra ambire in modo deciso e non a caso il 20 dicembre Picotto raccoglie diversi premi ai German Dance Awards tenutisi ad Amburgo.

Mario Più - Sfyflex
Dopo circa cento pubblicazioni, la BXR abbandona il payoff Noise Maker

Nel frattempo i DJ della label bresciana continuano a radunare migliaia di adepti provenienti da diverse regioni d’Italia ogni sabato notte. Un autentico nomadismo che si alimenta anche grazie a nastri doppiati a profusione sui quali si rinvengono tanti dei pezzi che vengono testati con diversi mesi d’anticipo rispetto alle date di uscita ufficiali. È il caso di Mario Più con “Sfyflex”, finito sul lato b dei remix di “Techno Harmony” (con cui BXR perde definitivamente il payoff Noise Maker, diventato il nome di un’altra etichetta della Media Records curata artisticamente da Gigi D’Agostino), e di “Matrix”, pubblicato insieme a “Morpheus” in cui riaffiorano elementi di “Tryouts For The Human Race” degli Sparks, prodotta da Giorgio Moroder nel 1979, gli stessi riportati in superficie da Trisco nella sua “Musak”. Proprio “Matrix” è dedicata all’omonimo club, prima ospitato presso il fiorentino Central Park e poi al Ritmodromo di Coccaglio, dove Mario Più e i colleghi del gruppo Metempsicosi si trasferiscono nell’autunno 2000 dopo la fine del sodalizio con l’Insomnia di Ponsacco. Negli ultimi mesi dell’anno escono in rapida sequenza “All The Way” di Ricky Le Roy, trainato da una base in stile “Kernkraft 400 (Remix) di Zombie Nation o “The Greatest DJ” di Lexy & K-Paul, “Ogni Pensiero / È Controllo” di Franchino, al lavoro su una serie di interpolazioni prese dal film “Matrix”, “Just A Moment” di Bismark e “Global Players (My Name Is Techno)” di Mr. X & Mr. Y (WestBam ed Afrika Islam), preso in licenza dalla berlinese Low Spirit ed impreziosito dal remix di Beroshima. A questi si aggiungono “Weltklang” firmato da una new entry proveniente dalla filiale tedesca della BXR capeggiata da Robin Ewald ovvero Marco Zaffarano, consolidato nome che vanta produzioni su Harthouse e due album sull’indimenticata MFS, e “Tenshi” dei Gouryella, che non riesce però a raccogliere gli stessi risultati ottenuti all’estero.

Il 2001 vede proseguire la marcia trionfale di Mauro Picotto, nuovamente sotto i riflettori con un altro estratto dall’album, “Like This Like That”, melodicamente derivato da “Blue Fear” di Armin del 1997. Il DJ originario di Cavour, un piccolo paesino in provincia di Torino, conquista per l’ennesima volta le classifiche di vendita d’oltralpe con licenze sparse in tutto il mondo. Il videoclip, trasmesso massivamente da VIVA, contribuisce alla popolarizzazione della sua immagine. A dirigerlo è ancora Oliver Sommer che, come scrive Alberto Beltrame nel già citato articolo del 2020, «si basa sul parallelismo per opposizione di due mondi in un bellissimo gioco sul bianco e nero. Gli unici elementi che possono far ricordare la video-serie (“Iguana”, “Komodo”, “Proximus”, nda) sono l’intro e l’outro alla James Bond, potenzialmente leggibili come un vago richiamo all’investigatore Picotto ed alle sue avventure». È un momento propizio anche per Mario Più che torna con l’album “Vision”, una raccolta dei suoi maggiori successi con qualche anticipazione su ciò che avverrà nei mesi a venire come “Love Game”, ancora interpretato da Principe Maurice. Ispirato da “Back To Earth” di Yves Deruyter è Saccoman che riappare con “The Recall” seguito da Franchino e la sua “Magia Technologika” in cui rivivono fraseggi quasi mediterranean progressive. “Spring Time (Let Yourself Go)” è il follow-up di Lava che il compianto Tillmann Uhrmacher produce ancora con Picotto e il fido Riccardo Ferri. Dall’estero arrivano l’irlandese Darren Flynn, il britannico Simon Foy e l’elvetico DJ Pure, rispettivamente con “Spirit Of Sp@ce”, “Insideout” e “My Definition”, tutti in stile trance.

Joy Kitikonti - Joyenergizer
“Joyenergizer” porta il nome di Joy Kitikonti all’attenzione del grande pubblico

Su “My Definition” mette le grinfie, come remixer, Joy Kitikonti che si ripresenta con “Joyenergizer”, una traccia sviluppata, come lui stesso racconta qui, «partendo da una kick ottenuta col sintetizzatore Access Virus A, poi lavorata con LFO e processata attraverso vari plugin durante la costruzione su Logic». La Psico Mix travolge e stravolge con un’effettistica strisciante e liquefatta, particolarmente efficace nei break. Senza ombra di dubbio è la matrice del suono a fare la differenza e a giocare sull’unicità. Diversamente dalle sue precedenti produzioni, questa entra in classifica di vendita e ciò impone la realizzazione di un videoclip girato ad Ibiza.

Mentre Kitikonti dà alle stampe un pezzo capace di abbracciare un pubblico più eterogeneo e trasversale, Picotto (che ritocca “Joyenergizer” in un remix madido di sudore) prende qualche distanza dal mondo delle hit a presa rapida orientate alle radio e al pubblico generalista convogliando nel “Metamorphose EP” cinque tracce incise su un doppio mix pensate e destinate ai soli club. Allineati all’hardgroove che vive un momento particolarmente galvanizzante, i pezzi del piemontese mescolano tribalismi demolitori di scuola millsiana (“Prendi & Scappa”, “Wake Up”) a svirgolate di techno frammista ad affilate linee di sintetizzatore sullo stile dello sloveno Umek (“Verdi”, “Kebab”) passando per un intro ambientale beatless (“Luna“). 

Picotto - Metamorphose Awesome
Con “Metamorphose EP” e “Awesome!!!” Mauro Picotto inizia a prendere le distanze dal collaudato schema delle sue hit più popolari

«Ora preferisco fare dischi con più sound e meno melodia» dichiara l’artista pochi mesi prima dell’uscita dell’EP in un’intervista di Riccardo Sada pubblicata a febbraio. «So che così facendo perderò una buona fetta di mercato, magari quello italiano, ma probabilmente potrò conquistarne tanti altri. In Germania il vento soffia a mio favore così come nel Regno Unito e ad Ibiza che è una cosa a sé rispetto alla Spagna». Picotto ormai è nel gotha del DJing mondiale, vede riconfermare la propria presenza nella Top 100 DJs del magazine britannico DJ Mag in ottava piazza (posizione più alta in assoluto sinora conquistata da un italiano) e fa da apripista a colleghi che militano con lui tra le fila della BXR ossia Mario Più (54esimo) e Gigi D’Agostino (98esimo). Poi è la volta di Cominotto con “Trouble”, «una produzione in cui credo molto dopo aver visto gli effetti in locali tipo Cocoricò, Red Zone, Alter Ego e Supalova» come afferma lo stesso autore che aggiunge: «all’interno c’è una versione sfacciatamente tech-house, neologismo che tra le ilarità generali uso da qualche anno e che casualmente oggi rappresenta il crossover più seguito, non certamente per merito mio ma in questa porca Italia sono stato tra i primi a crederci». Seguono Ricky Le Roy con “Dancer” e Bismark con “Triplet”, entrambi con lo shuffle applicato alla batteria in memoria di un successo tedesco di qualche tempo prima, “The Darkside” di Hypetraxx. Accolti su BXR, dopo un “praticantato” su Underground, sono Sandro Vibot con “Everyday”, Zicky (ormai non più “Il Giullare”) con “Follow Me” e Fabio MC con “Mimic”. Lasciandosi alle spalle la comparsata del ’99 sulla effimera BXR Club, riappare pure Gabry Fasano: il “cacciabombardiere” del Jaiss, così come lo chiamano affettuosamente i fan, firma una doppia a side racchiusa in una cornice sonora dai tratti impetuosi e che trasuda energia, “Catapulta”, con un frammento ritmico carpito da un EP di Christian Fischer su Statik Entertainment del ’99 opportunamente velocizzato, e “Ringmo”, che si avvicina alla scuola di Chris Liebing. Attratti dalle manipolazioni del beat sono pure Mario Più, che in “Ayers Rock” inserisce il suono di un didgeridoo, ed Athos Botti, semplicemente noto come Athos, con l’incalzante “Infect”.

In autunno tornano l’ibizenco Gee Moore col percussivo “G-Tribe”, Bismark con “Primitive Love” e Saccoman con “Revelation” mentre Mario Più e Fabio MC (che su Underground danno avvio al progetto TK 401) firmano “Invaders / Away”. In solitaria invece Mario Più realizza “Sensation”, altro estratto dall’album “Vision” in chiave smaccatamente trance. Menzione a parte merita il secondo doppio mix dato alle stampe da Mauro Picotto, “Awesome!!!”, naturale prosieguo al “Metamorphose EP” di pochi mesi prima. Appare sempre più evidente come al DJ inizi a stare stretto il ruolo da coordinatore dell’etichetta e che soprattutto sia stanco di confezionare follow-up standard per accontentare le richieste del mercato discografico più mainstream. Non è certamente un caso che nessuna delle sei tracce incluse (tra cui “Cyberfood”, “Hong Kong” e “Bangkok”) attinga elementi dalle sue hit nazionalpopolari. A cambiare, oltre ai suoni, sono le stesure e soprattutto il mood. «Avevo saturato il mio gusto commerciale ed avvertii la necessità di compensarlo con qualcosa di più club» dirà lui stesso qualche mese più tardi. Picotto cerca nuove strade per rivoluzionare la sua carriera e le trova. Il cambiamento radicale arriverà alla fine del 2002.

“Gula-Matari” è l’ennesimo dei dischi con cui Cominotto traduce il suo spirito eclettico da DJ

2002, i primi scricchiolii
Massimo Cominotto è tra i DJ della scuderia BXR a saper resistere al richiamo della popolarità generalista. «Ci fu una corsa a chi faceva canzonette orecchiabili ma io non ne sono stato capace oppure, più semplicemente, non mi interessava comporle» dichiara in questa intervista del 2020. Alla sua fermezza da DJ si somma quindi la coerenza stilistica delle produzioni discografiche a cui ora si aggiunge “Gula-Matari”. Da un lato la Techno Mix che arde in loop circolari, dall’altro la Funky Mix che sovverte il rodato schema sonoro dell’etichetta bresciana con patchwork di micro sample fusion (presi da “Gula Matari” di Quincy Jones) inchiodati su un sostenuto pianale ritmico. «Vorrei vedere la faccia dei technofili mentre ascoltano fiati, chitarre wah wah e voci femminili» ironizza l’autore ai tempi dell’uscita. Più canonico invece il carattere che Ricky Le Roy infonde in “One Day”, tra suoni cristallini in cascata e aggressività hardgroove, la stessa che qualifica pure il “Percutor EP” di Fabio MC trainato dal pezzo “Klaude”. Ascritto al comparto techno groovy è anche Marco Zaffarano con “Re-Take” che sul lato b vede il remix di “Playback” a firma Picotto con inserti latini in scia a vari successi internazionali di quel periodo realizzati da artisti come Tomaz vs. Filterheadz, Cristian Varela o Renato Cohen. Fedelmente ancorato alla trance resta invece Bismark con la sua “E.R.K.”, ed è trance anche quella di “Like A Dream” del tedesco Andy Jay Powell, arricchita da un remix degli RMB (proprio quelli di “Universe Of Love” di cui parliamo dettagliatamente qui), e di “Believe Me”, quinto brano che Mario Più firma come DJ Arabesque. Retrogusto inaspettatamente house/disco invece per Franchino che ritorna con “Ficha No Caixa”, una specie di french touch velocizzato ai confini con apparati technoidi, segno della fusione tra mondi musicali che avviene nei primi anni Duemila quando la distanza tra house e techno diventa sempre più labile o si azzera del tutto.

Dopo diverse esperienze consumate su Underground, sbarca su BXR come artista anche Riccardo Ferri alias Ricky Effe, collaboratore di vecchia data di Media Records e fedele spalla di Mauro Picotto. Le due tracce solcate sul 12″, “Rectifier” e “Trythis”, occhieggiano all’hardgroove teutonica, la medesima con cui Picotto sta progressivamente sostituendo la formula techno trance, oggetto di un’evidente inflazione, ma non prima di lanciare i remix 2002 di “Pulsar” (tra cui uno a firma Tiësto ma stranamente ora escluso dalla pubblicazione italiana) e soprattutto “Back To Cali”, riverberato da un remix dell’infaticabile Push, tra gli artisti chiave della Bonzai. Col follow-up “Joydontstop”, costruito sul giro portante della citata “Schall” di Elektrochemie LK e per cui viene approntato un videoclip, Joy Kitikonti prova a bissare il successo di “Joyenergizer” ma raccogliendo solo parzialmente i risultati attesi mentre Athos campiona le voci da una puntata della serie televisiva “South Park” per “Oh My God!!!” che si afferma nel circuito dei club. Saccoman ritorna con “Deep In The Woods”, Zicky con “Yeah Man Bomboclat”, Fabio MC con “Prisma EP” e Bismark con “Fluid” ma qualcosa nel BXR Sound comincia a mutare. Se da un lato la costante vocazione all’europeizzazione (quell’anno la Media Records inaugura le filiali iberiche e scandinave) rende i prodotti appetibili sul fronte internazionale, dall’altro tende ad allinearli troppo ad uno standard che gioca a svantaggio dell’identità. Alcune nuove uscite, come “Into The Blue” di Saccoman o “Kiss Me” di Ricky Le Roy ad esempio, non lasciano il segno, tuttavia la spinta ottenuta nelle annate precedenti è talmente forte da non incrinare del tutto gli equilibri. Nella Top 100 DJs di DJ Mag infatti Picotto è 14esimo, Mario Più 82esimo e Joy Kitikonti 91esimo.

Mentre il tenace Cominotto continua ad incidere ciò che più gli aggrada (“Iron Butterfly”) senza preoccuparsi di trovare il modo per penetrare nelle classifiche di vendita, Bismark produce a quattro mani “The Theme Of Sphere” con lo svizzero Philippe Rochard. Alla brigata si aggiunge poi Angelo Pandolfi che come Pan Project firma “L’Amour Pour La Musique” ed “NRG”, due brani influenzati dallo stile di Gigi D’Agostino che però dividono poco e niente con la linea intrapresa dalla BXR, e a dirla tutta anche la resurrezione di “U Got 2 Know” dei Cappella, attraverso i remix di R.A.F. e Joy Kitikonti, non pare proprio una mossa azzeccata. Decisamente più pertinenti risultano “Capsule / Random” di Trasponder, secondo (ed ultimo) atto del progetto messo su l’anno prima da Gabry Fasano e Riccardo Ferri su Underground, “Flair / Return Of Memory” di Fabio MC (“Return Of Memory”, in particolare, è una piroetta nel suono belga della Bonzai, con rimandi a “Synthetic Apocalypse” dei Musix) e “96 Street” di Sandro Vibot. Una deviazione hard house, sullo stile di Sharp Boys, Tony De Vit, Malcolm Duffy ed Alan Thompson, viene presa grazie a Pagano, fattosi notare con alcune pubblicazioni sulla Fragile Records (etichetta del gruppo Arsenic Sound di Paolino Nobile intervistato qui) quell’anno nominato A&R della Nukleuz Italy: prima con “Work It”, realizzata con Marco ‘Maico’ Piraccini, e poi con “(You Better Not) Return To Me” (ripescando frammenti vocali di “Return To Me” di Fits Of Gloom, Baia Degli Angeli, 1994), il DJ nativo di Catania tenta di aprire nuovi spiragli nel mercato estero, in primis quello britannico dove il filone hard house vive uno spiccato fermento.

Above & Beyond - Far From In Love
“Far From In Love” di Above & Beyond, tra i primi 12″ attraverso cui filtra la nuova veste grafica della BXR

In autunno arrivano due licenze, “Ligaya” di Gouryella, nel frattempo diventato progetto solista di Ferry Corsten, e “Far From In Love” del trio Above & Beyond, oggetto di forti interessi nell’Europa centrale ma praticamente ignorati da noi. Sono tra i primi dischi con cui BXR rinnova ancora il layout grafico, minimalizzato e spinto verso il bicromatismo bianco/nero già adoperato da qualche anno per Underground e Sacrifice. La notizia che chiude il 2002 intristendo migliaia di fan è quella dell’abbandono di Mauro Picotto che lascia l’etichetta di Bortolotti dopo undici anni. «La Media Records è stato il mio primo sogno realizzato con successo» dichiara nell’intervista rilasciata allo scrivente pubblicata a dicembre, la prima in cui annuncia pubblicamente la decisione. «La scelta di lasciare è legata agli impegni e soprattutto ai miei sogni, e lo dico in modo chiaro perché vorrei che non venisse fuori nessuna storia strampalata o riportata in modo traviato. L’ultimo anno mi ha visto parecchio impegnato in giro per il mondo come DJ e questo mi ha portato, inevitabilmente, a trascurare gli studi di registrazione. Perché quindi continuare ad essere responsabile di un prodotto se non posso più controllarne la qualità? Così ho maturato la decisione di lasciare e per me è stata una cosa naturale, ho bisogno di obiettivi e stimoli nuovi. Per quanto riguarda le produzioni, continuerò a seguire il mio istinto, come ho sempre fatto. Farò quello che mi pare a seconda del mio umore e soprattutto senza vincoli, perché vorrei decidere in autonomia la data di pubblicazione di un nuovo brano. “Back To Cali”, ad esempio, è uscito ad un anno dalla sua produzione, quando ormai non era più in linea con ciò che proponevo nei miei set da DJ. Insomma, vorrei condividere le cose col mio pubblico nel momento in cui emozionano anche me e non vederle bloccate dalle leggi di mercato delle varie aziende». Per l’occasione Picotto spiega anche le ragioni che lo allontanano dalla trance da classifica e lo fanno uscire dalla comfort zone: «Mi sembra che nella trance non ci siano grandi novità e non ho più voglia di produrre brani in stile “Lizard”. Preferisco piuttosto rischiare e cercare cose nuove, non amo ripetermi eccessivamente. Talvolta i cambiamenti sono stimolanti e permettono di vedere nuove frontiere. Attenzione però, non sto rinnegando il mio recente passato. Sarò sempre legato a “Lizard”, che ho suonato per la prima volta su un acetato domenica 7 dicembre 1997 all’Ultimo Impero di Airasca e che, a mio avviso, ha aperto le porte ad uno stile musicale e rimarrà una pietra miliare. Il fatto che in Italia non venne presa in considerazione dai network radiofonici è stata la sua fortuna: essendo una club hit, ha visto allungarsi la vita più del doppio rispetto ai classici successi trasmessi in FM». L’occasione è giusta pure per fare dei paragoni con l’estero: «Musicalmente i club europei non hanno nulla a che vedere con la maggior parte di quelli italiani anche perché non vengono influenzati dai network. All’estero inoltre i palinsesti delle emittenti radiofoniche includono programmi tematici che accrescono l’informazione musicale del pubblico ed influiscono positivamente sulle vendite dei dischi. Tante produzioni che sono in classifica da noi invece non vengono minimamente prese in considerazione oltre le Alpi. […]. Il successo di questi anni mi ha portato un ricco bottino di soddisfazioni e sono fiero di essere stato il primo e sinora l’unico italiano ad aver solcato l’ambita soglia della top 10 della classifica annuale di DJ Mag. Non che sia così determinante nella vita di un DJ, sia chiaro, ma una certa visibilità non guasta mai. Adesso inizio a sentirmi appagato delle tante fatiche spese ad inizio carriera quando qualcuno, tra i colleghi, rideva dei miei sogni».

2003, il primo anno post Picotto
Il 2003 consegna una BXR con evidenti differenze rispetto a quella che il grande pubblico ha conosciuto negli anni precedenti, a partire dalla nuova impostazione grafica che minimalizza il logo ora ridotto alla sola X sino alla scuderia artistica che inizia a disgregarsi. Alcune partenze però sono presto rimpiazzate con nuovi arrivi. Attraverso “Trip On The Moon / M.I.R.” ed “Elektronic Atmosphere”, ad esempio, debuttano rispettivamente Paola Peroni, che già collabora con Media Records una decina di anni prima, e il DJ bresciano Giovanni Pasquariello alias Exile. A pochi mesi di distanza dall’esordio riappare Pagano con la doppia a side “Packet Of Peace” (cover dell’omonimo dei Lionrock, portato in Italia esattamente un decennio prima proprio attraverso una delle etichette della Media Records, la GFB) / “Blade“, e viene accolto l’olandese Marco V con “Simulated”, su licenza ID&T. Riconfermate le presenze del capitolino Bismark con “In My Heart” e del livornese Mario Più con “Devotion” contenente “C’era Una Volta Il West”, cover dell’omonimo di Ennio Morricone per cui viene girato un videoclip a Bormio, in montagna, sullo sfondo di un paesaggio innevato.

Mario Più e Joy Kitikonti in una foto del 2003, anno in cui diventano gli A&R della BXR

I prescelti per guidare la BXR post picottiana sono Mario Più e Joy Kitikonti che prima realizzano “Strance” firmata con gli pseudonimi DJ Arabesque e Jakyro e poi producono “Mossaic” del DJ colombiano Moss, approdato su Underground nel 2001 con “Bogotá Experiences”, e “Light My Fire” come Rocktronic Orchestra, cover dell’evergreen dei Doors. Saranno sempre loro due, uniti in parallelo come MariKit, gli artefici di gran parte delle versioni remix apparse durante l’annata su BXR. La linea stilistica predominante di questa fase è divisa tra trance/hard trance ed hardgroove, come attestano la nuova licenza per Marco V (“C:\del*.mp3 / Solarize”), “Freedom” di Ricky Le Roy, “Roraima / Logic Guitar” di Mario Più ed “Harem” di Paola Peroni, che tanto ammicca alla techno latina di cui si è già detto sopra. Il cremonese Eros Ongari alias Ronnie Play appronta “It’s Time To Dance”, una specie di rilettura italica dell’electroclash costruita sul giro di accordi di “Fade To Grey” dei Visage, Fabio MC staziona sul segmento hardgroove con la doppietta “Impact / Zelig” e “Priority / Reality”, Kitikonti prova ancora a sfruttare la scia di “Joyenergizer” con “Pornojoy”, trascinato in tv da un videoclip ispirato dai film erotici degli anni Settanta e per questo censurato a causa di contenuti considerati troppo espliciti, e Gee Moore si rifà vivo con “Slam Dunk Funk”. Sul fronte licenze tocca all’argentino DJ Dero (quello di “Batucada” e “La Campana”) con “Revolution 07”, scovato da Kitikonti e con remix annesso di Robbie Rivera, e ai tedeschi Tube-Tech con un’altra cover dei Doors di Jim Morrison, “The End”, arricchita dal remix dei Vanguard reduci dal successo ottenuto poco tempo prima col remake di “Flash” dei Queen.

Della BXR «che guardava avanti e che prende spunto dai DJ che suonavano musica diversa lasciando spazio alla creatività, senza supervisioni dei capi», come la descrive Bismark in un’intervista pubblicata a gennaio 2003, resta ormai ben poco. In autunno arrivano gli Spolvet (Andrea Vettori e Niccolò Spolveri) con “Rock The Sun”, in posizione mediana tra hardgroove ed hard trance, Joman (una delle tante impersonificazioni di Joy Kitikonti) con “Tronic Toys”, Zicky con “The Party Goes On” e i Kiper (Joy Ki-tikonti e Paola Per-oni) con “The Land Of Freedom”. A chiudere è “Incanto Per Ginevra” di Mario Più, dedicata alla nascita della figlia Ginevra immortalata in copertina. Nel frattempo Picotto e l’inseparabile Riccardo Ferri approdano alla britannica Primate Recordings con “Alchemist EP” trainato da “New Time New Place”: il doppio mix vende oltre dodicimila copie ma non genera introiti economici a causa del fallimento del distributore, la Prime Distribution. Picotto però non demorde e vara la sua personale etichetta, la Alchemy, inaugurandola con “Playing Footsie / Amazing” e sulla quale ospiterà alcuni artisti che lo seguono dopo l’abbandono della BXR ossia Massimo Cominotto, Gabry Fasano e il prematuramente scomparso Athos.

2004-2005-2006, gli ultimi anni di attività
L’inizio del nuovo millennio è nefasto per la discografia mondiale. Innumerevoli etichette indipendenti chiudono battenti sopraffatte dalla pirateria e dalla crisi che sembra non conoscere fine. L’atteso salto nel futuro che avrebbe garantito il 2000 in realtà riserva solo strade in salita e prospettive tutt’altro che rosee: le soglie di vendita di pochi anni prima («numeri notevoli sia in Italia che all’estero, che partivano da ventimila copie o giù di lì per nomi tipo Picotto, Più o Kitikonti» rammenta ancora Daniele Tramontano della Global Net in relazione a BXR) si assottigliano sensibilmente, la maggior parte dei distributori fallisce e l’invasione di nuovi equipment digitali sferra il colpo di grazia al mercato del disco in vinile, ridotto ormai ad una nicchia di utenza sempre più esigua. A tutto ciò si aggiunge l’introduzione dell’euro, un cambiamento epocale che mette a dura prova il potere di acquisto di chi, in Italia, continua a credere nel supporto analogico. La Media Records non esce indenne da questa “tempesta”, nonostante fosse preparata ed avvezza da anni alle nuove forme di fruizione della musica, e l’allontanamento di Gianfranco Bortolotti, ormai impegnato come architetto, e l’attività ridimensionata della BXR e di tutte le etichette del gruppo ne sono palesi testimonianze.

Mario Più - Champ Elisées
Con “Champ Elisées” Mario Più tenta di tornare al grande successo

Il senso di confusione e smarrimento sul versante stilistico non aiuta di certo gli A&R della label, disorientati come tanti di fronte a repentini mutamenti che vedono crollare tutte le vecchie certezze. «I DJ che suonano house si sono appropriati di sonorità techno, progressive ed elettroniche» dichiara Mario Più in un’intervista rilasciata a Riccardo Sada ad aprile 2004. Ed aggiunge: «C’è stato un notevole avvicinamento dei generi. Io stesso adesso posso esibirmi in locali house perché propongo un suono meno “duro”». Proprio Mario Più incide prima l’anonimo “Green Day EP” e poi “Champ Elisées” in compagnia di Gare Mat K, con cui prova a rilanciarsi nel mainstream abbracciando il mondo electro house che pare la tendenza più importante del momento. Il brano, immerso in atmosfere piuttosto malinconiche ed annunciato come primo singolo del nuovo album “From Dusk Till Dawn” rimasto nel cassetto sino al 2015, è interpretato vocalmente da una certa Catalina B. ed è imperniato su un giro di chitarra che fa il verso a quello di “A Forest” dei Cure. Exile ritorna con “Tragic Error…”, in balia di una techno frammista ad elementi elettronici, Ronnie Play ci riprova con “Walking On The Sunshine”, electro house un filo maldestra e grossolana con qualche propaggine rockeggiante, mentre Franchino (con la K nel nome al posto della ch) si ripresenta con “Solidão”, trance dai riflessi mediterranei forse composta pensando ai bei tempi che furono.

Spazio anche al team dei Trilogy con “Navaho”, che a seconda della versione imbocca sentieri progressive house ed electro house, e ad un paio di licenze estere, “White Scale” dei Subnerve (uscito originariamente nel 1996) e “One Way Out” di Niels Van Gogh col remix di Martin Eyerer che da lì a breve fonda la Kling Klong. A mitigare il proprio apparato stilistico è persino un integralista della techno, Fabio MC, in “Tridonic / Meteor-A”, composte ancora con Simone Pancani. I fasti della BXR ormai sono lontani. A rammentarli è “Iguana” di Mauro Picotto che riappare attraverso due versioni, A Different Starting Mix e il remix del giapponese Yoji Biomehanika che precipita in pozzi hardstyle. Nel corso dell’anno anche Mario Più lascia la Media Records per fondare la sua etichetta, la Fahrenheit Music, nonostante dichiari, in un’intervista pubblicata ad aprile, di non avere alcuna intenzione di mettersi in proprio: «Non andrei molto lontano, specialmente in questo periodo, e non avrei ragione di farlo perché in Media Records mi trovo benissimo, da una struttura così solida e consolidata ho tutto il supporto che mi serve». Per BXR il destino è ormai segnato. Ad inizio 2005 esce “Pulsar 2K5” di Mauro Picotto, ennesimo tentativo di tenere a galla un transatlantico che si sta inesorabilmente inabissando. In copertina si fa riferimento a due “unreleased mix” mai pubblicati in Italia ma che i fan conoscono bene, la Megavoices Mix e il remix di Tiësto. A tirare il sipario è Joy Kitikonti, prima insieme a Cristian Vecchio per il “Finally EP” e poi con Joys Audino per “Started”, nel segno dell’electro house.

BXR last logo
Il logo, il quinto, con cui la BXR riappare nel 2017

2017, un’effimera ripartenza
Tra le etichette che Gianfranco Bortolotti prova a lanciare e rilanciare a partire dal 2015 col gruppo Media Records EVO, oltre ad Underground, UMM ed Heartbeat, c’è anche la BXR, affidata all’A&R Philipp Kieser e marchiata con un nuovo logo. L’idea prende corpo ad inizio del 2016 ma bisogna attendere febbraio dell’anno successivo per vederla concretizzata attraverso la pubblicazione del “No Mercy EP” di 6470 alias Davide Piras. Il 12″ raduna quattro brani (“Our Cognitive Dissonance”, “No Mercy”, “Introspection”, “September 10”) affini alla techno ormai definitivamente sdoganata nel mainstream e richiesta nei circuiti EDM. A giugno segue, questa volta solo in formato digitale, “Mapping A Messiah EP” del bulgaro Ghost303 alias Ivan Shopov, ulteriore tentativo di salire sul treno in corsa di quella techno di cantiere drumcodiano adorata da folle oceaniche ma vacua sotto il profilo delle sollecitazioni creative. Si parla di una possibile terza uscita che avrebbe contato sulle jam session registrate in studio da Kieser, Piras e Shopov, ma il progetto non va in porto. L’altoatesino Kieser, in un comunicato stampa diramato a febbraio 2016, dichiara che il suo intento non è quello di limitarsi ad una strategia copia-incolla: «Ci lanceremo sulla scena con un sound autentico e totalmente all’avanguardia. Punteremo anche su facce nuove e nuovi talenti». Bortolotti aggiunge: «Nuovo A&R, nuovo vestito, nuova strategia, nuovo sound. BXR, come un caccia in ricognizione, sarà affiancata da due label, una alla sua sinistra, la Underground, l’altra alla sua destra, la Divergent, e come per UMM, sarà ricerca e stile orientati verso i clubgoer. Sarà dark, essenziale e culturalmente evocativa. Sara la mia anima. Essere, non esserci, è il suo destino».

Claxixx
Insieme a BXR si ripresenta anche Claxixx, questa volta come etichetta e non serie

Dell’annunciata futuretechno però, che avrebbe dovuto raccogliere il testimone della mediterranean progressive e della supertechno, non resta niente se non un’idea dall’esito caduco. Contestualmente alla temporanea riapparizione di BXR si segnala pure la nascita, a settembre del 2017, della Claxixx, contenitore che utilizza il medesimo nome di una delle serie della BXR con la finalità di rilanciare nuove versioni di classici tratti dal catalogo della Media Records, analogamente a quanto avviene su EDMedia. Alla fine il progetto si arena sul nascere col remix di “Tuareg” di Ricky Le Roy realizzato dal greco George V a cui fa seguito un inedito di Nicola Maddaloni intitolato “L-R”.

Rimasta operativa per circa dodici anni, la BXR lascia un’eredità importante, sia sotto il profilo manageriale per metodo di lavoro, creatività e capacità progettuale, sia sotto quello strettamente musicale raccolta da tantissimi fan sparsi per il mondo. L’alta tiratura e l’ampia disponibilità, fatta qualche eccezione, non la ha (ancora) trasformata in una label appetibile sul fronte ristampe ma senza ombra di dubbio rimane un ottimo esempio che attesta come la visione d’insieme, l’affiatamento e lo spirito di squadra possano fare la differenza in un Paese come l’Italia in cui la cooperazione, specialmente nel contesto musicale, è ancora una meta utopica.

(Giosuè Impellizzeri)

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Age Of Love – The Age Of Love (DiKi Records)

Age Of Love - The Age Of Love

I dibattiti sulla genesi di vari generi musicali infiammano costantemente gli animi degli appassionati, specialmente ai tempi dei social network. Su house e techno le teorie si sprecano ed aumentano di volta in volta per mano di chi cerca a tutti i costi la retrodatazione forse ambendo ad uno scoop giornalistico. Il discorso riguarda pure la trance le cui origini vengono solitamente ricondotte ad una triade di brani: “What Time Is Love?” dei britannici KLF (col sottotitolo Pure Trance 1 esplicitato in copertina), “We Came In Peace” dei tedeschi Dance 2 Trance e “The Age Of Love” degli italiani Age Of Love. Da qualche anno a questa parte qualcuno tende ad aggiungerne pure un quarto, prodotto in Italia nonostante il titolo in lingua teutonica, “Neue Dimensionen” di Techno Bert di cui parliamo qui. A livello di nomenclatura invece, se da un lato DJ Dag, qua, pare rivendicarne la paternità, dall’altro c’è chi attribuirebbe il merito a Klaus Schulze con l’album “En=Trance” del 1988 o a Chris & Cosey con “Trance” del 1982 (a cui nel 1985 si aggiunge “Technø Primitiv”, a rimarcare un certo senso di preveggenza su musiche future). Annoverando nell’indagine anche quei pezzi che parrebbero proto trance (come alcuni dei Delerium, nati da una costola dei Front Line Assembly, o il raro “Trance” del compianto Angus MacLise, 1987) si finirebbe però col perdere la bussola ed anche il senso della ricerca stessa. Scovare similitudini a posteriori non proverebbe granché visto che tutta la musica è costruita su continui rimandi a cose preesistenti. È fuor di dubbio comunque allacciare i primordi e l’innesco della trance a soluzioni armoniche e melodiche che diventano il nucleo della composizione, propellente ideale per imprimere una spinta nonché quid perfetto per differenziare quel filone stilistico da altri nati poco prima come house e techno. Tra la fine degli anni Ottanta e i primissimi Novanta però le categorizzazioni non esistono ancora, le nuove musiche che si sviluppano tra Stati Uniti ed Europa appartengono ad un substrato culturale che assimila di tutto.

La trance di quel periodo è figlia della techno europea che punta a cullare l’emozionalità e non solo a soddisfare le esigenze del movimento, limitando gli elementi più aggressivi tipici della rave music a favore di impalcature armonico e melodiche intrise di retaggi new age, ambient e suoni tipici delle sonorizzazioni. “Musica per mente e spirito” dirà più di qualcuno tempo dopo. “The Age Of Love” sposa esattamente questo concept. La Flying Mix, incisa sulla Vocal Side (a cui si sommano altre due versioni annesse alla Deep Side, la New Age Mix e la Boeing Mix, derivate dalla stessa idea, oltre ad una più stringata Radio Version) è un sogno lungo poco meno di sei minuti in cui ghirigori paradisiaci ammorbidiscono il martellio della cassa in quattro. Un sinuoso arpeggio si somma ad un breve inserto vocale sinora attribuito, persino da fonti considerate attendibili come Wikipedia e Discogs, a Karen Mulder, celebre modella olandese, ma come si vedrà più avanti il suo coinvolgimento risulta totalmente infondato. Una voce maschile più roca poi fa da contraltare alla prima. È quella di Giuseppe Chierchia che il grande pubblico conosce come Pino D’Angiò, finito negli annali per la hit del 1980 “Ma Quale Idea”, trainata da un caratteristico disegno di basso ispirato da “Ain’t No Stoppin’ Us Now” di McFadden & Whitehead di poco tempo prima. Ad orchestrare tutto in “The Age Of Love” è un musicista italiano residente in Francia, Bruno Sanchioni. A pubblicare il disco nel 1990, sia su 12″ che 7″, è invece un’etichetta belga, la DiKi Records di Roger Samyn, nata nel retrobottega del suo negozio di dischi, il Disco King di Mouscron a cui il nome stesso fa riferimento (DiKi è l’acronimo di Disco King). Nel 1990 però non succede niente. Una manciata appena di licenze (in Francia e in Germania, rispettivamente su Airplay Records e ZYX Records che infilano il pezzo in qualche compilation sperando di rientrare almeno nei costi) lascerebbero supporre un flop discografico.

01) Age Of Love - The Age Of Love (J&S Remix)
La copertina che accompagna i remix di “The Age Of Love” realizzati da Jam & Spoon e pubblicati nel 1992

Bisogna attendere due anni affinché la situazione si ribalti completamente e ciò avviene per merito di un remix ad opera di un duo tedesco formatosi a Francoforte nel ’91, Jam & Spoon. La loro Watch Out For Stella Club Mix rimette tutto in discussione attraverso una schematizzazione diversa degli elementi di partenza che esalta il potere ipnotico della versione originale raggiungendo esiti virtuosistici inaspettati. Da quel momento per “The Age Of Love” cambia davvero tutto. «Ricevemmo la proposta di remix da un’etichetta britannica, la React» rammenta oggi Jam El Mar. «Per me la versione originale era già un successo e nei club specializzati di Francoforte la suonavano tutti. Ricordo quando Mark (Spoon, nda) entrò in studio dicendo “hey, allora dobbiamo remixare “The Age Of Love!”. Gli risposi “diavolo, è proprio così!”. Ci vollero appena due giorni per completare il lavoro, eravamo in una fase particolarmente creativa ed ispirata, trovammo il giusto flow, cosa che purtroppo non avveniva molto spesso. Ricostruimmo la sequenza originale con uno Yamaha TX802 ed un campionatore Akai S1000, i suoni sognanti erano di un Oberheim Xpander, i cori nel break di un E-mu Proteus mentre il pad di un Roland D-50. Alla Watch Out For Stella Club Mix aggiungemmo una seconda versione, la Sign Of The Time Mix in battuta spezzata che era una sorta di Dub Mix, per usare un termine in voga ai tempi. I diritti, negli anni, sono transitati attraverso diverse etichette e sono abbastanza sicuro che siano state vendute oltre 500.000 copie, magari anche di più, ma non ho certezze in tal senso. Il compenso per il remix fu pari a 1000 sterline e non sapemmo nient’altro dopo averlo consegnato. Purtroppo non ho mai avuto occasione di incontrare Sanchioni e Chierchia nonostante abbia suonato spesso in Belgio. Credo che abbiano apprezzato la nostra versione perché ci proposero di produrre un intero album di Age Of Love, progetto che non andò in porto perché eravamo già impegnati con l’LP di Jam & Spoon. “The Age Of Love” resta senza dubbio uno dei primi brani trance della storia, diventato una specie di modello per tante produzioni successive. La scena techno si è legata maggiormente al remix (in questi anni ho sentito suonarlo più volte da Nina Kraviz) e sono felice quanto onorato di aver messo le mani insieme a Mark su un pezzo di tale fattura, ma non dovremmo dimenticare ciò che fecero Sanchioni e Chierchia: senza la versione originale non ci sarebbe mai stato il nostro remix».

Dalle risicate licenze del 1990 si passa a decine di richieste provenienti da tutta Europa e persino dagli Stati Uniti. Ad accaparrarsi i diritti per l’Italia è la milanese Dig It International che ristampa il brano nel ’92 su una delle sue tante etichette, la S.O.B. (Sound Of The Bomb). Una nuova tornata di remix giunge nel 1997 quando arrivano le versioni di Paul van Dyk, Secret Knowledge, Baby Doc ed Emmanuel Top a cui ne seguono altre ancora, nel ’98, realizzate da Brainbug e Johnny Vicious. Ma la lista diventa interminabile se si estende la ricerca al nuovo millennio con ulteriori remix di Marco V, Mr. Sam & Fred Baker, Marc Et Claude, Cosmic Gate, Wrecked Angle, Abel Ramos & Matt Correa, Manu Kenton, Koen Groeneveld, Wippenberg, Franco Maldini, Manuel De La Mare, Tempered DJ’s, Sub Scape, Syndaesia, Ed Solo, David Forbes, Solomun ed altri ancora, non sempre ufficiali. Appare palese dunque che a poco più di trent’anni dalla pubblicazione, “The Age Of Love” si sia trasformato in un autentico evergreen, proposto ed apprezzato anche da DJ di una generazione diversa rispetto a quella che lo vede giungere nei negozi di dischi per la prima volta.

02) cartolina usata da Patrick Gypen
La cartolina sacra a cui Patrick Gypen si ispira per realizzare la copertina di “The Age Of Love”

Allo stesso modo pure la copertina, legata all’iconografia sacra, è diventata un elemento distintivo. A realizzarla è Patrick Gypen che, contattato per l’occasione, racconta: «Sono cresciuto in una famiglia cattolica con una solida educazione religiosa. Nella mia stanza c’era una piccola statua della Madonna che mia madre mi portò da Lourdes. Durante il giorno “assorbiva” la luce solare per rilasciarla durante le ore notturne attraverso un bagliore verdastro, simile a quello delle lucciole. La Madonna è il simbolo dell’amore così mi parve adeguato usare la sua immagine quando, anni dopo, dovetti elaborare la copertina per un brano chiamato “The Age Of Love”. Ho iniziato a curare il design di copertine di dischi sin dai primi anni Settanta. Intorno alla metà del decennio successivo lavoravo per case discografiche belghe ed olandesi come Indisc, USA Import Records, ARS Records, Sony, EMI, R&S, DiKi Records e parecchie altre che sorsero in Belgio durante l’epopea della new beat, dal 1988 in poi. Il mio lavoro subì una drastica accelerazione dopo aver acquistato un Apple Macintosh SE/30, nel 1989, con cui finalmente potevo creare un’intera copertina (artwork vettoriale, scritte coi caratteri da me disegnati, logo ed altro ancora) senza più ricorrere all’intervento di chi eseguiva fotocomposizione o di studi specializzati in repro, ossia il processo di copia di documenti o immagini su diversi supporti. Il disegno veniva salvato su un floppy disc per poi essere trasferito direttamente su pellicola usando PostScript abbinato ad una Linotronic o una Compugraphic. Se la musica poteva essere registrata digitalmente usando computer, drum machine e campionatori, altrettanto avveniva sul fronte grafico con le copertine prodotte completamente in digitale utilizzando beta software della Adobe come Illustrator 88 e Separator. La maggior parte delle copertine che ho realizzato però le feci senza aver ascoltato il brano, e questo avvenne anche per “The Age Of Love”. Roger Samyn ai tempi era un frequentatore abituale della USA Import Records, ad Anversa, aveva stretto una partnership per importare dischi dagli Stati Uniti. Le consegne avvenivano ogni giovedì, giorno in cui il materiale proveniente d’oltreoceano veniva sdoganato. In pratica José Pascual, proprietario del negozio USA Import, Dieter Hessel di Music Man a Gand e Samyn col suo Disko King a Mouscron, si aggiudicavano singoli ed album poco reperibili in Belgio dividendosi le spese di spedizione. Mentre ascoltavano i dischi che avevano ordinato io, da DJ, sceglievo quelli che a mio parere erano i migliori per poterli proporre nei locali in cui suonavo. Sia l’appartamento in cui vivevo che lo studio in cui lavoravo erano ubicati nello stesso stabile del negozio di dischi ma al piano superiore, quindi il rapporto coi clienti era ottimo e veloce. Gran parte delle commissioni per le nuove copertine giungevano il giovedì proprio come avvenne per “The Age Of Love” ed altre che realizzai per la DiKi Records tra cui “Baby Phibes” di Dr. Phibes ed “Acid Rock” di Rhythm Device. Quella di “The Age Of Love” però, per me, resta particolarmente speciale.

03) alcune copertine di patrick Gypen
Alcune copertine firmate da Gypen tra la seconda metà degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta

Da quando comprai il Macintosh SE/30 entrai a far parte di TypeLab, un consorzio di designer di caratteri tipografici che si poneva l’obiettivo di rompere il monopolio detenuto dai grandi produttori come Linotype, Monotype ed altri principali fornitori di font grafici. Nel nostro gruppo c’erano anche famosi designer del calibro di Martin Majoor ed Erik Spiekermann oltre ad alcuni “rivoluzionari” come Neville Brody ed io stesso. Brody era il designer che si occupava di due rinomate riviste di tendenza britanniche, The Face ed Arena. Mi ha ispirato moltissimo usando Illustrator 88 come strumento di progettazione di lettere vettoriali, nella realizzazione dei caratteri che destinai prima ad “Elle Et Moi” di Max Berlin e poi a “Pump Up The Jam” dei Technotronic, oltre a tanti altri giunti in seguito. Nel momento in cui questi caratteri divennero originali e disponibili in PostScript, usati su piattaforma Macintosh, cercammo di trovare la possibilità di distribuirli e venderli. Nonostante fossi solo un piccolo novizio nel campo dei software, riuscii a diventare beta tester e consulente per Adobe, azienda con la quale stavo instaurando uno stretto rapporto di collaborazione. Esattamente una settimana prima di avere da Samyn la richiesta di progettare la copertina di “The Age Of Love”, Adobe mi inviò cinque floppy contenenti la versione alpha di Photoshop. Quel giorno ricevetti anche il prototipo di uno scanner a colori da una società di Anversa con cui collaboravo in veste di beta tester, la Agfa-Gevaert. Ero ansioso di provare entrambe le allettanti novità il più presto possibile. L’impostazione dello scanner mi portò via parecchio tempo ed energie. Bisognava collegarlo usando un’interfaccia SCSI e per farlo funzionare correttamente impiegai più di una giornata. Per testarlo cercai nel mio studio un’immagine adatta e, tra varie cose, saltò fuori una cartolina con la Madonna e il cuore in fiamme. Era stampata a colori su un vecchio cartoncino che misurava 7 x 11 centimetri, destinata a commemorare la prima comunione di qualcuno. Una volta scannerizzata in 72DPI (il massimo della risoluzione che poteva raggiungere quello scanner) memorizzai il file su un floppy e passai all’installazione di Photoshop. Prima di tutto dovetti fare spazio sull’hard disk cancellando 40 MB e riversandone il contenuto su altri floppy da 1.44 MB. A quel punto ero pronto per installare il software ed imparare ad usarlo. Lo schermo quadrato del Macintosh SE/30 era di 23 centimetri, in bianco e nero ovviamente. La colorazione dell’immagine avveniva attraverso colori definiti in parte dall’RGB e dalla scala di grigi, senza poter contare su prove poiché non erano ancora disponibili stampanti a colori. Sul sistema Apple 6.0 purtroppo la versione alpha di Photoshop andava in crash ogni dieci minuti ma mi impegnai al massimo affinché la copertina di quel disco fosse realizzata nel migliore dei modi. La scritta bianca mostra i pixel sulle lettere perché Photoshop non riusciva a smussare i caratteri vettoriali. Dopo aver modificato l’immagine ed aver disegnato un nuovo cuore, aprii il file con Illustrator, lo ingrandii ed aggiunsi il titolo in rosso. L’unico software con cui ai tempi potevo separare i colori dell’immagine era Separator, sempre di Adobe, che però funzionava solo coi file generati da Illustrator 88. Prima di quel momento non avevo mai provato ad inserire un’immagine a colori basata su pixel su una pagina vettoriale per poi separare i colori da RGB a CMYK (necessari per la stampa) su quattro differenti pellicole. A lavoro ultimato, mettemmo al sicuro il file su un hard disc (con un salvataggio che richiese quindici minuti!) e poi mandammo il fronte della copertina, su un floppy da 1.44 MB, all’unica azienda che in Belgio aveva un typesetter PostScript. Giunse a destinazione oltre l’orario di lavoro ma un mio amico che gestiva quel posto decise di avviare comunque il processo di imaging, intorno alle otto della sera. Verso mezzanotte ricevetti la sua telefonata: il Raster Image Processor, apparecchio che serviva a trasformare i vettori e i pixel dell’immagine e convertire i colori RGB in CMYK, stava lavorando alacremente ed era evidente dalla luce lampeggiante sul Mac, ma l’immagine finale non si vedeva ancora. Solo la mattina dopo i quattro file erano finalmente pronti per lo sviluppo. A quel punto il mio amico tipografo mi chiese come diamine fossi riuscito a combinare file a colori basati su pixel a tipografie vettoriali, fondendo il tutto in un file. Per lui si trattò di una “repro revolution” ed aveva ragione. Felice che quell’esperimento fosse andato a buon fine, iniziai ad usare frammenti della copertina frontale e fare nuovi disegni in Photoshop, passandoli in Illustrator 88 per aggiungere i titoli delle tracce e le info di produzione. Una volta ottenute le separazioni dei colori, mancava un’ultima operazione prima di consegnare tutto all’azienda che avrebbe stampato le copertine. Gli studi dattilografici avevano un formato standard per le immagini su carta fotografica o pellicola. Le dimensioni delle copertine degli LP e dei 12″ erano di 31,5 x 31,5 centimetri, con un ulteriore margine di 0,3 centimetri su tutti i lati e 0,5 per la costola laterale. Il formato massimo della pagina era di 27,9 centimetri, non sufficienti. Per ovviare al problema realizzai molte copertine con un bordo bianco, oltre a comprare una camera repro con cui poter ingrandire le immagini e riprodurle autonomamente su una pellicola nella camera oscura. Erano anni in cui tutto stava cambiando nel settore della grafica e, in seguito a pure coincidenze, nel mio studio giunsero tutti gli strumenti che mi consentirono di aderire immediatamente a quella rivoluzione in atto. Visto il pionierismo nel settore, fui immediatamente assunto come consulente e sviluppatore da Adobe, Apple, Agfa-Gevaert, Mannesmann Scangraphic, Compugraphic ed altre grandi aziende specializzate in quel ramo. Dall’uscita di “The Age Of Love” sono trascorsi ormai più di trent’anni ma ritengo che sia il brano che la copertina restino più attuali che mai. In circolazione sono finite anche versioni grafiche realizzate da altri ma penso che nessuna riesca ad eguagliare o battere l’originale. Quell’immagine era pura, evolutiva, emozionale, sognante, sensuale, calda, astratta, ispirata, religiosa e controversa, tutto allo stesso tempo. Per tale ragione non cambierei nulla di essa».

Paradossalmente i meno disposti a parlare di “The Age Of Love” sono gli autori. Sanchioni, da sempre restio a farsi intervistare (questa può considerarsi decisamente un’eccezione) non ha mai risposto ai nostri ripetuti inviti di rilasciare qualche dichiarazione. Chierchia invece rivela qualcosa nell’intervista di Alessandro Dell’Orto pubblicata il 27 agosto 2011 su Libero, in cui si definisce, senza mezze misure, «l’inventore della musica tecno trance», parlando della bozza iniziale di “The Age Of Love”, piuttosto ingenerosamente, come «una specie di jingle assurdo». «Presi un microfono ripetendo cose a vanvera tipo “come on” ed aggiunsi suoni per riempire. Dopo qualche mese l’amico mi spedì un CD con “The Age Of Love” che ha venduto quattro milioni di copie ed è il brano di riferimento per chi ascolta questa musica, presente in quattrocento compilation. Ho inventato qualcosa e non so cosa!». Diverse le inesattezze e le informazioni fuorvianti a partire dalle parti vocali col “come on”, scritte ed interpretate precedentemente da una giovane cantante, alla cronologia degli eventi: ci vollero almeno due anni prima che “The Age Of Love” diventasse una hit, e ciò avvenne grazie al remix realizzato in Germania da Jam & Spoon. Da tali dichiarazioni si evincerebbe inoltre che Chierchia abbia contribuito anche alla scrittura della base musicale ma documenti ufficiali recuperati recentemente dagli archivi della DiKi Records lo sconfesserebbero in toto, attribuendogli unicamente la paternità del testo del brano, depositato in SABAM ad aprile del 1990 e in quell’occasione definito “rap dance”. Chierchia rincara ulteriormente la dose nell’intervista curata da Stefano Di Trapani alias Demented Burrocacao e pubblicata da Vice il 26 maggio 2016: «Ero in Belgio a casa di un amico, un grande editore franco-belga, Philippe De Keukeleire, che mi disse: “Dai vieni in studio, ho una base musicale e vorrei che la sentissi, magari se ne fa qualcosa”. Era davvero oscena, insopportabile, orrenda, una batteria tutta di piatti e bordo rullante, senza corpo, un basso senza capo né coda, una tastiera che gemeva in sottofondo come una gallina muta con le coliche. Un vero incidente musicale! Non sapevo che fare. Suonai una sequenza ripetuta all’infinito, cambiai tutti i pad e mi inventai un testo a vanvera, in inglese, lì in piedi di fronte al microfono, tanto per fare qualcosa. Poi uscii dallo studio e dissi al mio amico: “Fanne quello che vuoi, ma non metterci il mio nome sopra, abbi pietà! Mi raccomando”. Dopo sei mesi era il primo successo mondiale di un nuovo genere musicale, ma nonostante io risulti come autore, ancora mi gratto la testa e non capisco. Non so cosa fosse. Si racconta che Fleming scoprì la penicillina più o meno nello stesso modo… Da morire dal ridere». Polemiche a parte su chi abbia fatto cosa, da queste testimonianze e pure da quelle che seguono emerge come la genesi di “The Age Of Love” sia stata letteralmente casuale, imprevedibile, priva di una regia e frutto di un impeto creativo giunto da chissà dove. Se Chierchia e Sanchioni però si defilano, preferendo parlare poco e nulla di quell’episodio o aggiungendo, come si è visto, dettagli poco circostanziati ed oggetto di possibili smentite, di tutt’altro avviso è Jean-François Samyn, figlio del compianto Roger Samyn della DiKi Records, ben lieto di ripercorrere una fase della sua vita, forse la più emozionante.

La testimonianza di Jean-François Samyn della DiKi Records

04) Disco King al 56 di Rue du Christ, Mouscron
Una foto scattata negli anni Ottanta al negozio Disco King, ai tempi al 56 di Rue du Christ a Mouscron

Come parte l’avventura del Disco King?
All’inizio degli anni Settanta papà, un vero appassionato di musica, aprì un piccolo locale a Mouscron, nel sud del Belgio, ai confini con la Francia. Qualche anno più tardi affiancò a quell’attività un piccolo negozio di dischi specializzato in importazioni dagli Stati Uniti e Regno Unito. Si chiamava Disco King e si trovava al 56 di Rue du Christ, sempre a Mouscron. A spingerlo in quell’avventura fu la necessità di comprare dischi per il suo locale ed allora non era affatto semplice trovare un rivenditore che trattasse un certo tipo di musica. Nel corso del tempo entrò in contatto con altri titolari di rinomati negozi di dischi e grossisti come Hessel Tieter della Music Man, José Pascual di USA Import, Renaat Vandepapeliere di R&S Records e Laurent Vanmeerhaeghe della Big Time. Quello del mercato discografico era un universo nuovo e molto emozionante e non ci volle molto tempo prima che papà abbinasse alla vendita anche la produzione di musica.

Il passo successivo fu quindi la produzione discografica?
Esattamente. Iniziò nel 1982 con “Why Can’t We Live Together…” di Mike Anthony, su Ca$h Records, a cui l’anno dopo seguirono “Beats Of Love” di Nacht Und Nebel, “La Vie En Rose” di Martinique ed “Ha Chica” di Tony McKenzie. Avevo solo diciotto anni ed andavo ancora a scuola, ma ogni weekend frequentavo le discoteche, orgoglioso del lavoro che svolgeva il mio papà. Tempo dopo, quando iniziò a farsi strada la musica new beat, conoscemmo per caso Bruno Sanchioni, un giovane e sconosciuto musicista nato in Italia ma residente a Roubaix, molto appassionato e motivato. Era alla ricerca di un produttore e così firmammo presto il primo accordo, il 7 marzo 1988, a cui pochi mesi più tardi, precisamente il 12 ottobre, se ne aggiunse un secondo che riguardava il progetto Dr. Phibes. Il contratto non prevedeva un termine, eravamo certi che stesse arrivando il grande successo. Grazie al supporto del negozio fu facile accedere a tutti i nuovi arrivi dagli Stati Uniti e dall’Europa e scoprire prima di altri le nuove tendenze sonore. Poi, per fortuna, la new beat era un genere piuttosto facile da comporre se paragonato alle canzoni delle grosse band americane o britanniche. Mio padre mi diede l’opportunità di impratichirmi e vendere dischi nel negozio durante il weekend ma per me, come del resto per chiunque amasse la musica, quello non era affatto un lavoro bensì puro piacere. Non avevo alcuna voce in capitolo sulle produzioni ma mi era concesso dare qualche giudizio. Sanchioni, dunque, iniziò ad incidere dischi con mio padre nel 1988 ma i risultati non furono immediati. Cercai di dargli qualche consiglio facendo leva sulla mia visione da giovane clubber. Lui accolse di buon grado i suggerimenti al fine di ottenere i suoni giusti dalle grandiose macchine di cui disponeva in studio (Korg, Ensoniq, Roland, Akai) ed iniziò ad usare qualche sample. Qualche mese più tardi mi fece ascoltare una nuova traccia incisa su cassetta chiedendomi cosa ne pensassi. Fui completamente rapito da quei suoni e corsi a dirlo a mio padre. Finalmente un pezzo forte! Era “Acid Story”, secondo singolo di Dr. Phibes. L’entusiasmo crebbe ulteriormente quando mi chiesero di metter su un gruppo per far fronte alle live performance nei club visto che la new beat stava diventando un fenomeno di grossa portata nelle discoteche. “Acid Story” fu un autentico successo ed aprì un periodo rigoglioso della DiKi Records dopo qualche singolo non particolarmente fortunato (“Noise Gate” di Chico Crew, “”Vachillia” …6?” di Dr. Phibes ed “Hardcore Movies” di Doc And Co, tutti orchestrati da Sanchioni, nda). Durante il periodo dorato della new beat, io, Sanchioni e i ragazzi coinvolti nei progetti Dr. Phibes e Bazz facemmo davvero un mucchio di live, ogni weekend in una discoteca diversa. A quel periodo sono legati tantissimi ricordi ed incontri. Appena due anni più tardi però un nuovo genere musicale si profilò all’orizzonte, la techno. Pezzi come quelli degli Inner City di Kevin Saunderson fecero da apripista e in breve fummo letteralmente sommersi da un numero abissale di etichette e brani provenienti da ogni parte del mondo. Non bastò più mettere insieme una serie di sample ma fu necessario cercare anche parti vocali e Sanchioni a quel punto parve un po’ in preda al panico.

05) Sanchioni e Roger Samyn nel primo studio della DiKi Records (al n. 56)
Bruno Sanchioni e Roger Samyn nel primo studio della DiKi Records,1988 circa

Come affrontaste quella nuova fase stilistica che avrebbe interessato e coinvolto gran parte d’Europa?
Il negozio di dischi continuava a raccogliere enorme successo. Un numero sempre più corposo di DJ, anche molto popolari, veniva al Disco King a fare acquisti e ciò avviò una sorta di competizione coi semplici appassionati che cercavano a tutti i costi di mettere le mani sulle rarità destinate prevalentemente ai professionisti della consolle. Nel periodo in cui la new beat lasciò spazio alla techno arrivò Emmanuel Top. Ricordo come se fosse ieri il momento in cui lo incontrai per la prima volta. Quando varcò la soglia d’ingresso del negozio provai una strana sensazione, sentii qualcosa di positivo nella sua presenza. Mi chiese se avessimo “Rhyme Fighter” di Mellow Man Ace e “The House Of God” di DHS e gli risposi «certo!». Rimase quasi senza parole. «Finalmente, cerco questi titoli da settimane ma senza risultato!» disse. A quel punto gli domandai se avesse mai sentito parlare del nostro negozio. «No, ma ho visto Jean Vanesse, DJ del Fifty Five a Kuurne (oggi CEO della N.E.W.S. di Gand) andare in un altro negozio di dischi a Menin, il Disco Smash, e a quel punto lo ho seguito con la mia auto perché ero certo che stesse facendo il giro degli store in cerca di novità da proporre durante il weekend». Il nostro era un negozio piccolo ma altamente specializzato, proprio quello che stava cercando. Fu l’inizio di un vero rapporto di amicizia. Emmanuel Top rimase un cliente abituale del Disco King per circa un anno. Poi decise di investire del denaro nell’acquisto di vari sintetizzatori e fare coppia fissa in studio con Bruno. In quello stesso anno, il 1990, Sanchioni incontrò pure Gregory Dewindt (Master Techno, Total Groove, Deee Maestro etc) ed insieme realizzarono i singoli “1990 Is Our Space” e “Waresnare” di Dr. Phibes. Per l’occasione Gregory utilizzò due pseudonimi, Gregg Jones e Teddy Jones. L’arrivo di Emmanuel Top, di fatto diventato co-autore con Sanchioni, lasciò deluso Dewindt che a quel punto cercò nuove strade e firmò un contratto con la Sarema. Tuttavia grazie ai buoni contatti stretti con Rabah Djafer, manager della società francese, collaborammo ancora in occasione di alcuni dischi di Master Techno. Nel ’93 inoltre Dewindt incise per la DiKi Records “Pacific” di Pacific Trance a cui fece seguito, due anni dopo, “Jesus Trip” sulla sublabel X-Stream realizzato con Philippe Toutlemonde alias Phi-Phi (intervistato qui, nda), ai tempi uno dei DJ più famosi in Belgio in virtù dei dischi pubblicati su Bonzai. Grazie al successo e alla notorietà raggiunta sia col negozio che con le produzioni discografiche, ci trasferimmo in una sede più grande, sempre nella stessa via ma al numero civico 101. Lì avremmo avuto più spazio per lo studio e per la sala ascolto, allestita con una serie di Technics SL-1200 messi a disposizione dei clienti. Quel trasferimento alimenterà ulteriormente l’incredibile successo della DiKi Records.

06) Bruno Sanchioni e lo studio della DiKi (1991)
Sopra Sanchioni nel secondo studio della DiKi Records, sotto uno scatto che immortala alcuni degli strumenti utilizzati nel medesimo studio (1991)

Nel post new beat la Diki Records pubblica un disco seminale per la trance, “The Age Of Love”. Cosa ricordi in merito?
All’inizio del 1990 il negozio era ancora al numero 56 di Rue du Christ e Sanchioni lavorava in studio da solo. Quando non c’erano clienti, aprivo le porte della sala e lo sentivo suonare. A lui piaceva molto comporre ad alto volume e ciò mi diede la possibilità di sentire la costruzione di quel pezzo dall’inizio alla fine. L’ultimo suo successo, “Te Quiero” di Pedro Ramon, portato nei club con tantissimi live show, ormai era alle spalle e Bruno iniziò ad annoiarsi perché non riusciva a realizzare nuove tracce con vocal inediti e di pregio. Nella nostra zona era davvero difficile trovare cantanti capaci di interpretare testi in inglese senza tradire l’accento francese. In quel periodo stava lavorando ad una traccia strumentale che, pur essendo ancora allo stato di demo, prometteva piuttosto bene. All’interno aveva piazzato alcuni sample ed effetti tra cui il rumore di un aereo (e ciò spiega la ragione del nome di due versioni, Flying Mix e Boeing Mix, nda), l’ansimare di un orgasmo femminile ed un campionamento vocale preso da “Native House” di MTS And RTT uscito sulla Trax Records di Chicago che a sua volta includeva un frammento di “Native Love (Step By Step)'” di Divine che usò come bassline. I rullanti invece erano influenzati da “Work That Mutha Fucker” di Steve Poindexter. Quando creò il primo loop gli dissi immediatamente che fosse un punto di partenza interessante, e lo spronai a continuare. Se da un lato era entusiasta, dall’altro però si mostrava frustrato perché non riusciva a disporre dei vocal che desiderava. Arrivò persino a noleggiare alcune videocassette con la speranza di carpire qualche buon campionamento. Le voci presenti in “House Of Pax” di Bazz che recitano “je suis venu en paix”, ad esempio, le prese dalla versione francese del film “Dark Angel”. Lascio a voi immaginare da che tipo di pellicole trasse i gemiti che si sentono in “The Age Of Love”. Non soddisfatto del tutto dal risultato, continuava a chiedere a mio padre di procurargli dei vocal da utilizzare. Lui si convinse dopo aver fatto ascoltare quella demo ad amici e clienti del negozio che avevano espresso, all’unanimità, reazioni assolutamente positive. Il bassline, effettivamente, era irresistibile. In quel periodo girava un pezzo, diventato parecchio popolare, con un sample che recitava “waouw, c’mon, waouw”, ossia “Yaaaaaaaaaah” di D-Shake. A Bruno (ma anche a me) piaceva molto quella traccia e un giorno, ascoltandola, mi disse che ciò che occorreva alla sua nuova demo fosse proprio un sample tipo “c’mon”, magari cantato da una donna.

07) Age of Love deposito Sabam
La ricevuta della SABAM relativa al deposito di “The Age Of Love” (13 aprile 1990). Il genere musicale del brano è indicato come “Rap Dance”

08) Valerie Honore
Una recente foto di Valérie Honoré, voce femminile di “The Age Of Love” da anni attribuita erroneamente alla modella olandese Karen Mulder

Quel sample arriva e la ragazza che lo interpreta viene spacciata su internet come Karen Mulder, vero?
Già. Da anni sul web si parla di un presunto incontro con la Mulder, invitata nel nostro studio per occuparsi di una piccola parte vocale in “The Age Of Love” ma tutto ciò è solo frutto della spiccata fantasia di qualcuno. Le cose andarono in modo molto diverso, la modella olandese non ha mai messo piede alla DiKi Records e tantomeno cantato per quel disco e spero che questo articolo / intervista, attraverso cui rivelo per la prima volta tale retroscena, possa servire a fare chiarezza. La voce femminile che si sente in “The Age Of Love” è di Valérie Honoré che oggi vive vicino Lille, in Francia. Ai tempi aveva diciannove anni e un pomeriggio Sanchioni le chiese, quando eravamo ancora al 56 di Rue du Christ, se le andasse di ballare sul palco in occasione dei live di Pedro Ramon. Accettò. Poche settimane più tardi, mentre rientravano da una serie di serate in alcuni club parigini, Bruno le disse che stava cercando voci femminili per le sue nuove produzioni e le propose di fare una prova in studio. Avrebbe dovuto cantare solo una breve parte, tipo i versi in francese in “Fade To Grey” dei Visage per intenderci. Valérie annuì. Una volta giunti in studio Sanchioni le fece ascoltare la base e lei rimase piuttosto spiazzata visto che niente di quel pezzo somigliava ai Visage. Tuttavia non si tirò indietro e scrisse un paio di frasi in inglese: “Come on dance with me, move your body you like the beat”. Bruno campionò la voce e nell’arco di due/tre ore la piazzò nel brano ma Valérie, stanca, ormai era andata via. Pochi mesi più tardi lei incontrò in un bar della città Stéphane Pauwels, ai tempi DJ ed oggi impegnato in tv in programmi sportivi. Andarono insieme in una discoteca e lì ascoltò per la prima volta il brano con la sua voce. Era rattristata dal fatto che Bruno non l’avesse più contattata per informarla sullo sviluppo della vicenda e per ringraziarla. Comunque non tornò alla DiKi Records e non avanzò mai alcuna pretesa, ormai era occupata da un altro lavoro. Stanco di assistere alla continua diffusione su internet di informazioni completamente infondate, tempo fa mi misi alla ricerca di questa misteriosa cantante contattando pure Sanchioni ed alcuni vecchi DJ e clienti del negozio ma purtroppo senza successo. L’unica informazione che ottenni era il suo nome, Valérie. Complice quest’intervista, adesso sono riuscito ad entrare in contatto con lei attraverso Facebook e qualche settimana fa mi ha finalmente raccontato dettagliatamente come andarono le cose nel 1990. Valérie si occupa di artigianato dal 1998, oggi lavora come tappezziera e decoratrice ed è mamma di un bellissimo bambino di dieci anni. Il cerchio si è finalmente chiuso. Mi impegnerò affinché il suo nome e il testo originale che scrisse vengano riportati sulle copertine delle prossime ristampe di “The Age Of Love”.

Quando entra in gioco invece Giuseppe Chierchia?
Nel periodo in cui Sanchioni lavorava alla base di “The Age Of Love” mio padre iniziò a pubblicare alcuni brani, come “Baby Phibes” di Dr. Phibes, “The Right Song” di Neal Fox e il citato “Te Quiero” di Pedro Ramon, in cooperazione con Philippe De Keukeleire dell’Alpina Records e Carrera Records. Philippe era il figlio di Marcel De Keukeleire, produttore di una canzone arcinota, “La Danse Des Canards” di J.J. Lionel (nota in Italia come “Il Ballo Del Qua Qua”, ricantata da Romina Power, nda). Sapendo che Sanchioni fosse alla disperata ricerca di un/una cantante, mio padre chiese aiuto a lui. Il caso volle che quel giorno De Keukeleire stesse insieme ad un cantante italiano, Giuseppe Chierchia meglio noto come Pino D’Angiò, andato a trovarlo visto che erano buoni amici. Mezz’ora dopo Chierchia era già nel nostro studio intento a registrare i vocal giacché la parte strumentale era stata già completata. Mio padre e Bruno decisero di intitolare il pezzo “The Age Of Love” ispirati dal sample proveniente da “Native Love (Step By Step)” prodotto da Bobby Orlando. Chierchia, a sua volta, si lasciò trasportare dal titolo per scrivere un testo e registrarlo in poche ore. Quel giorno Sanchioni era decisamente felice visto che in studio si trovava con un altro italiano con cui divertirsi e farsi un sacco di risate. Quando la partitura fu completata, venne depositata in SABAM ma con un errore: il passaggio vocale “you like the beat” fu sostituito da “your life is beat”. Non fu una cosa intenzionale però. Chierchia non aveva mai incontrato Valérie Honoré, le rispettive parti furono registrate in momenti differenti e poiché nessuno si era preoccupato di annotare il testo di quel breve inserto vocale inciso come prova, vennero trascritte le parole che sembrava fossero state pronunciate da Valérie in quei pochi secondi. Le quattro versioni furono completate e mandate in stampa poche settimane più tardi ma il successo non giunse subito, seppur tutte le copie della prima tiratura vennero vendute presto. Due anni dopo, a pochi giorni dalla fine del Midem, Hessel Tieter della Music Man disse a mio padre che fu un vero peccato che non fosse a Cannes perché Thomas Foley della britannica React era alla ricerca di un referente della DiKi Records per un pezzo del catalogo chiamato “The Age Of Love”. Rimanemmo parecchio sorpresi visto che si trattava di una vecchia produzione.

09) Sanchioni e Chierchia (1990), la partitura di AOL
Nella foto sopra Bruno Sanchioni e Giuseppe Chierchia immortalati in studio nel marzo 1990, sotto la partitura depositata in SABAM in cui si rinviene anche il testo scritto ed interpretato precedentemente da Valérie Honoré parzialmente modificato

Nel frattempo su DiKi Records erano usciti tanti altri brani.
Sì, esattamente, avevamo pubblicato parecchie tracce composte da Sanchioni ed Emmanuel Top, intuendo che l’arrivo di quest’ultimo rappresentasse una grande spinta motivazionale per Bruno. Al fine di alimentare quella fertilità creativa, acquistammo nuovi strumenti per lo studio come una Roland TB-303 ed una Roland TR-909. Emmanuel Top inoltre iniziò a suonare con regolarità in club come il Boccaccio, il Fifty Five e il Villa, tutti parecchio popolari in Belgio. A ciò si sommò la massiccia importazione di musica techno ed house dagli Stati Uniti, l’influenza di Chicago e Detroit per noi fu determinante. Si trattò di un periodo fantastico sotto tutti gli aspetti. Il primo vero grande successo per la DiKi Records, diventato un classico in Belgio, è stato “Cactus Rhythm” di Plexus, uscito nel ’91. Mentre ero intento a vendere dischi in negozio, Bruno ed Emmanuel componevano musica nello studio al piano superiore, alla perenne ricerca del giusto sound. In quel periodo lo stile di Frank De Wulf e della R&S Records era tra i più apprezzati e richiesti dai nostri clienti ma Emmanuel non riusciva ad ottenere suoni simili. Gli suggerii allora di prendere a modello “Mentasm” di Second Phase, e mettendo il disco sul piatto proposi di campionarlo ma riproducendo il sample al contrario, magari incrociandolo al “waouw” di “100% Of Disin’ You” di Armando, a sua volta preso da “My Loleatta” di Ellis-D che rimaneggiava la voce di Loleatta Holloway. Mi guardò e poi corse su in studio. Qualche ora dopo tornò con un DAT che suonai in negozio alla presenza di parecchi clienti. Corsero in massa a chiedermi una copia di quel pezzo, fu pazzesco, ed Emmanuel mi fece l’occhiolino. Poche settimane più tardi divenne un successo.

Come già detto, Sanchioni realizza parecchie produzioni per la DiKi Records prima di “The Age Of Love”. Uno dei suoi progetti più popolari resta il menzionato Dr. Phibes che fece da ponte tra la new beat e la house/techno. Come reagì il pubblico quando iniziarono a diffondersi le varie forme di “neo dance” nella seconda metà degli anni Ottanta?
Prima del celebre “The Age Of Love”, Sanchioni fece centro con Dr. Phibes e Bazz, ma anche Pedro Ramon andò discretamente. “Te Quiero”, del 1989, era ispirato in modo piuttosto chiaro dall’italiana “Sueño Latino” e riscosse particolari consensi in radio, oltre ad essere il primo brano che licenziammo alla britannica Network Records del gruppo Kool Kat. “Acid Story” di Dr. Phibes e “The Drop Deal” di Bazz rappresentarono perfettamente Bruno e la sua band durante il periodo new beat, con particolari riscontri in Belgio e Francia. Il pubblico andava in visibilio quando sul palco si esibivano gruppi new beat, abbigliati in modo speciale con grandi smile e loghi in metallo di brand automobilistici come Mercedes o Volkswagen. Se ai tempi possedevi un’automobile di quelle case produttrici dovevi stare attento a non farti rubare i simboli attaccati alla carrozzeria! Per andare in alcune discoteche allora bisognava quasi travestirsi. I brani di Dr. Phibes e Bazz erano sempre mixati con “The Sound Of C…” dei Confetti’s alla fine delle serate presso l’Amnesia di Ibiza. In quegli anni si svolsero eventi grossissimi con tanti gruppi new beat e a volte, grazie al successo che ci portava in cima alle hit parade, l’accoglienza riservata fu esagerata. I produttori di quella musica erano considerati quasi delle star. Per quanto riguarda altri brani, il successo fu meno evidente anche perché, in assenza di internet, per farti conoscere all’estero era necessario chiudere accordi di licenze con altre case discografiche al fine di contare su una distribuzione capillare dei propri prodotti. La concorrenza era spietata e non mancavano favoritismi verso talune etichette. Adesso le cose sono completamente differenti e ci rende felici ricevere messaggi da fan sparsi in tutto il mondo che si congratulano per la musica che abbiamo pubblicato trenta (ed oltre) anni fa. Per la DiKi Records fu importante far parte del movimento new beat a cui si può ricondurre l’inizio della dance elettronica. Durò pochi anni ma decisamente intensi. Nel 1990 l’arrivo della techno in Europa rese il tutto ancora più intrigante.

10) i Dr Phibes nella formazione live (a sinistra c'è Gianni Battistel, morto a novembre 2020)
Una foto promozionale di Dr. Phibes: al centro Bruno Sanchioni affiancato da due personaggi che lo aiutano a portare il progetto nella dimensione live nelle discoteche quando imperversa la musica new beat a fine anni Ottanta. A sinistra Gianni Battistel, morto a novembre 2020

Ritieni quindi che la musica new beat possa essere considerata un punto di inizio per la techno e trance europea?
Senza ombra di dubbio la new beat è parte integrante dell’avvio della dance continentale ma a mio avviso quel fenomeno iniziò poco tempo prima, sempre in Belgio, con la cosiddetta AB Music proposta presso l’Ancienne Belgique, un locale a Bruxelles in cui i brani registrati a 45 giri venivano suonati a 33 giri ma aumentati a +8 col pitch del giradischi. Nello stesso periodo in cui imperversava la musica new beat circolavano grosse hit uscite dai confini britannici, tedeschi e statunitensi come “Jesus Loves The Acid” di Ecstasy Club, “Monkey Say, Monkey Do” di WestBam e “The Party” di Kraze. La musica, rispetto ad oggi, era consumata in modo radicalmente differente. Era impensabile restare a casa ed accontentarsi di sentire la radio se cercavi certi pezzi, bisognava andare fisicamente nei negozi di dischi specializzati per comprare particolari generi.

Torniamo a parlare di “The Age Of Love”, uscita nel 1990 quando la trance è ancora una sorta di prototipo. Quante copie vennero vendute inizialmente?
Solitamente in quel periodo stampavamo dalle 1000 alle 2000 copie ad uscita. Recentemente ho ritrovato un vecchio documento in archivio relativo ad una ristampa avvenuta a settembre del 1990 del DIKI 47.12.12, “The Age Of Love” per l’appunto, pari a 720 copie. Insomma, fu un disco che ottenne consensi parecchio circoscritti nella fase iniziale e credo non si possa neanche parlare di successo nazionale. Reazioni più entusiasmanti riguardarono invece altri brani della DiKi Records come Plexus ad esempio, ma in passato era impossibile sapere immediatamente se la musica che pubblicavi stesse raccogliendo successo in altri Paesi, era necessario attendere. Capitava anche di scoprire che, a causa della poca disponibilità, qualcuno stampasse bootleg white label in forma del tutto illegale come avvenne oltremanica ad “Auto Shutter” di Plexus. Distribuire i propri prodotti a migliaia di chilometri di distanza era un problema ed ottenere informazioni dall’estero non era mica facile come oggi. Noi non ci accorgemmo dell’enorme potenziale di “The Age Of Love” ma soprattutto nessuno fu in grado di prevedere che quello sarebbe diventato uno dei più grandi classici trance di tutti i tempi.

Riguardo il remix di Jam & Spoon invece?
Ricordo esattamente quando lo ascoltai per la prima volta. Era estate ed eravamo nei pressi di un magazzino in Francia che usavamo per esportare dischi in Italia e in vari negozi del luogo. Mio padre mi chiamò e disse: «Jeff, ho appena ricevuto la cassetta col remix di “The Age Of Love”. Ascoltala in macchina e poi dimmi che ne pensi». La sentii in auto e rimasi subito sorpreso dalla parte ritmica, più marcata rispetto all’originale, ma soprattutto dall’intro: l’intensità dei suoni aumentava e fui costretto ad abbassare il volume per mantenere alta l’attenzione mentre guidavo. Mi domandai a cosa servisse quella strana costruzione ma pochi secondi dopo fu come immergersi in un sogno. Wow! La riascoltai diverse volte e quando tornai da mio padre gli dissi che sarebbe stata una hit, ne ero quasi certo. Se avessi potuto modificare qualcosa forse avrei cambiato lo stridio di suoni che si alzava prima dei fantastici cori ma lui mi incalzò dicendomi che fosse proprio quell’elemento a rendere fantastico il remix. Misi la cassetta in play più volte nel negozio, nel frattempo trasferitosi al numero 101, e tutti i clienti presenti mi chiesero il titolo. A quel punto mi convinsi definitivamente. Non ringrazierò mai abbastanza Jam & Spoon per il lavoro che fecero. Il destino ha voluto che proprio il giorno in cui Mark Spoon morì, sia nato uno dei miei figli. Il pensiero volò a lui, non lo dimenticherò mai. Credo che la loro versione resti ad oggi la migliore. Rappresentò un ottimo biglietto da visita sia per i DJ set nei club che le produzioni future. A commissionare il remix fu la React accaparrandosi la gestione di “The Age Of Love” in tutto il mondo ad eccezione di Benelux, Francia, Germania, Austria e Svizzera secondo un accordo sottoscritto il 6 aprile 1992. L’unica cosa che rimpiango è che i remix di “The Age Of Love” non siano mai stati pubblicati su DiKi Records. Sono sicuro che avrebbero garantito ulteriore prestigio alla label che, comunque sia andata, riuscì ugualmente a ritagliarsi un posto di rilievo con la sua musica e i propri artisti. Circa un anno più tardi fu eletta “label del mese” dal magazine tedesco Frontpage grazie alle produzioni di Joey Beltram (X-Buzz), Acid Kirk e Sebastian S. (Cyberpsychose), Kelli Hand (Etat Solide) ed Antoine Clamaran (GTD). Poi fu la volta di Luc Devriese che arrivò quando Emmanuel Top decise di continuare la carriera da indipendente fondando la Attack Records. La sua scelta mi rattristò parecchio perché prima di essere un compositore era un amico, ma forse è il destino di ogni artista cercare di riuscire a fare le cose senza l’aiuto altrui. Sanchioni, pur essendo appagato, lo seguì creando poco tempo dopo il progetto BBE a cui aderì pure Bruno Quartier. Riscossero un grandissimo successo ma fu inevitabile lavorare nuovamente insieme.

11) Bruno Quartier e Bruno Sanchioni Live come BBE 20-12-1996
Bruno Quartier (a sinistra) e Bruno Sanchioni (a destra) durante un live di BBE svoltosi il 20 dicembre 1996

“The Age Of Love” sarebbe stata completamente dimenticata senza la Watch Out For Stella Club Mix di Jam & Spoon?
Sono un estimatore della musica di Jam & Spoon. Tra i miei preferiti i due “Tripomatic Fairytales”, il remix di “Go” di Moby ed ovviamente le canzoni cantate da Plavka. In negozio vendemmo moltissimi dei loro dischi, “Tripomatic Fairytales 2001” divenne un autentico classico al Disco King. Sono fermamente convinto che “The Age Of Love” non avrebbe mai raccolto i sorprendenti risultati che tutti conoscono se non fosse stata supportata dai remix usciti nel corso degli anni. Durante la partnership con la React, sia mio padre che Thomas Foley hanno costantemente insistito che tutti i remixer si ispirassero alla versione originale di Sanchioni. A tal proposito ricordo che la React rifiutò il primo remix di Paul van Dyk perché troppo simile a quello di Jam & Spoon, chiedendone un secondo che contenesse più punti in comune con l’originale. Lui capì ma sapeva che sarebbe stato impossibile fare di meglio. Tutte le versioni successive, inclusa quella di Emmanuel Top, vennero composte e costruite col preciso intento di non assomigliare a quella di Jam & Spoon, era un obbligo da rispettare. A distanza di poco più di trent’anni, il remix maggiormente suonato nelle discoteche e nei grandi eventi resta quello di Jam & Spoon, nel frattempo diventato anche IL riferimento per nuove generazioni di artisti. Continuiamo tuttora a ricevere remix, fin troppi direi, ma tutti puntualmente simili. Ultimo, in ordine di apparizione, quello di Solomun, artista per cui nutro rispetto ma pure la sua reinterpretazione non si ispira affatto all’originale del 1990. Preferisco il lavoro svolto da Mr. Sam e Fred Baker che rivela una completa rivisitazione del brano ma comprendo che ormai, per un pubblico sempre più ampio, quella di Jam & Spoon sia considerata alla stregua della versione originale. Sarà difficile cambiare tale percezione. Per garantire la sopravvivenza del pezzo e spronare nuovi artisti a fare di meglio, siamo tuttora costretti a rifiutare moltissimi remix.

12) Jeff e il padre (199x)
Roger Samyn e il figlio Jeff nel Disco King intorno alla metà degli anni Novanta. In primo piano la copertina di “The Age Of Love” già considerato un classico

Ritieni che “The Age Of Love” possa essere considerato uno dei primi brani trance della storia?
Nei primi anni Novanta in circolazione c’erano tantissimi pezzi straordinari di svariati generi. Era un periodo favoloso e il meglio doveva ancora venire, ma in relazione al suo storico devo ammettere, con la massima umiltà, che possa essere uno dei brani ad aver dato avvio al movimento trance, oltre a restare uno dei migliori di quel filone. Quando cerco di ricordare altri pezzi trance che mi siano piaciuti, mi rendo conto che sono tutti posteriori a “The Age Of Love”. Non so per quanti anni ancora questo brano figurerà nei DJ set ma è innegabile che sia diventata parte integrante della storia della musica elettronica globale e riesca a parlare a più generazioni.

L’età dorata della musica solcata su vinile è ormai lontana ed irripetibile. Cosa ricordi dei migliori anni d’attività del Disco King?
Il Disco King che si trovava al 56 di Rue du Christ era a tutti gli effetti una “creatura” del mio papà, purtroppo scomparso prematuramente poco più di venti anni fa (il 9 dicembre 2000). Per tale ragione non posso indicare con certezza assoluta il periodo più redditizio e fortunato, ma per me quel negozio ha rappresentato l’inizio dell’avventura nell’universo della musica quindi lo ricordo con infinito affetto. Mio padre era felice come un pesce nell’acqua e i due anni che trascorsi lì dentro promisero tanti successi. Il Disco King che riaprì al 101 invece rappresentò un’autentica sfida per me, visto che fui io a convincere papà ad espanderci. Il mio obiettivo era entrare nella top 5 belga dei negozi di dischi e per giungere a quel risultato ci vollero anni. Ero alla costante ricerca di dischi esclusivi e i contatti diretti coi grossisti statunitensi ci aiutarono non poco ad attirare l’attenzione dei DJ dei locali più quotati che venivano a rifornirsi da noi.

13) Disco King (1996 circa)
La seconda sede del Disco King, al 101 di Rue du Christ, a Mouscron: a sinistra l’insegna esterna, a destra Jeff Samyn (1996 circa)

In questa intervista a firma Jacques De Size, pubblicata il 17 dicembre 2019 da Redbull, si legge che tra i vostri clienti ci fosse pure un italiano. Chi era?
Si trattava di un personaggio che comprava intere casse di dischi ed ascoltava i nuovi arrivi al telefono. Gli mandavo la lista delle novità ogni settimana, era davvero un grande fan. Sono riuscito a ritrovarlo proprio recentemente con l’aiuto di Google, si chiama Giuseppe Acquadro e vive ad Andorno Micca in provincia di Biella. Sembra che ora, come si legge in questo articolo, sia un personaggio piuttosto influente nel mondo del ciclismo. Ai tempi veniva a trovarci portando sempre una guantiera di pasticcini. Nel 1993, su DiKi Records, pubblicammo pure un suo disco, “Acid Illusion” di Jos Q And Niki Fox. “Dream Trance” di Acqua & Sphere invece finì sulla sublabel Hit The Beat, sempre nello stesso anno.

Cosa rammenti con maggior piacere della DiKi Records degli anni Novanta?
Come ho detto precedentemente, le produzioni discografiche erano gestite da mio padre. Dopo che Bruno Sanchioni ed Emmanuel Top mollarono per iniziare un nuovo corso da indipendenti, l’atmosfera cambiò. Ci sentimmo come orfani ed iniziammo a stringere rapporti con altri artisti che avevano già sentito parlare di noi. Cominciammo pure a prendere in licenza pezzi che funzionavano bene nelle discoteche ed essere un assiduo frequentatore di locali mi aiutò non poco ad individuare su quali brani scommettere ed investire denaro. Nel 1992 venne a trovarci in negozio Luc Devriese che lavorava al leggendario Boccaccio, e con lui instaurammo subito un ottimo rapporto. Era l’inizio della sua nuova avventura artistica dopo decine di pubblicazioni precedenti sulla Target Records. Aveva uno studio di registrazione a Gand e mi chiese qualche idea per creare brani forti. Insieme abbiamo prodotto diversi successi come “Acid Creak” di Spokesman, “Midnight In New York” di Michael Sanctorum, “Wake Up”, “Breath Of Life” ed “Emotive Skin” di Trance Team, “Spring Of Life” di Brainwave, “Just A Little Bit Of Love” di Bruce Bap’s ed altri ancora. A partire dal 1992/1993 tutto avvenne in maniera molto spontanea e naturale. Tanti DJ, compositori ed artisti si avvicinarono a noi contribuendo a scrivere la storia della DiKi Records. Erano tutti entusiasti di pubblicare la propria musica sulla nostra etichetta e alla fine ciò che ha decretato il successo della label fu, a mio avviso, la grande diversità di artisti e stili. Rammento davvero tantissimi aneddoti. Il primo riguarda “Rio” di DJ M.D.: dopo aver ascoltato il demo cercai di convincere mio padre a non pubblicare quel brano perché non mi piaceva affatto. Lui però non seguì il mio consiglio facendolo uscire sulla sublabel Porshe Records e fece bene perché nell’arco di poche settimane “Rio” divenne richiestissimo, diventando uno dei migliori successi della DiKi Records per vendite e numero di compilation in Belgio e Francia. Rimasi veramente sbalordito. Il secondo aneddoto è legato all’Italia visto che concerne “Children” di Robert Miles. Fummo i primi ad inserirlo in una compilation su CD, “Welcome To The Club”, ma ingenuamente non pensammo di assicurarci l’esclusiva. Roberto Concina ci confidò, in occasione di un evento svoltosi a dicembre del ’95 per celebrare il compleanno della DiKi Records, di essere stato ingaggiato per la prima volta all’estero proprio grazie a noi. Non essere stato lungimirante a sufficienza sulla sua “Children” (di cui parliamo qui, nda), da lì a poco diventata un successo mondiale, resta uno dei più grandi rimpianti che mi porto dietro. Il terzo aneddoto è legato a “Traky” di People Of Cactus: fui svegliato nel cuore della notte da un tale che stava sentendo musica ad altissimo volume in auto e che, fermatosi per far scendere o salire qualcuno proprio sotto casa mia, aprì la portiera. Il suono era talmente forte da destarmi immediatamente dal sonno. Non ci fu verso di riaddormentarmi e di far uscire quella melodia dalla mia testa. Il giorno dopo cercai il titolo (“Tracky” dei Formic, tratto dall’EP “Trick Tracks” su Formic Records, 1995, nda) e contattai il produttore mostrando l’intenzione di prenderlo in licenza e farlo remixare da Emmanuel Top. Non era interessato a quel tipo di accordo ma disposto a cederlo del tutto. A quel punto divenni compositore della traccia con Bruno Sanchioni e “Traky” si trasformò in una hit, proposta in tutte le discoteche del Belgio tra la fine del 1998 e i primi mesi del 1999. Perché People Of Cactus? Semplicemente per creare una sorta di connessione con “Cactus Rhythm” di Plexus, che realizzai anni prima con Sanchioni ed Emmanuel Top. Cercavo un modo per spiegare alla gente che fossimo sempre noi e così optai per quello pseudonimo, sicuro che i fan più attenti avrebbero afferrato. L’ultimo aneddoto, infine, riguarda l’artista scozzese Stephen Brown che doveva esibirsi in un DJ set il 17 dicembre 1999 in occasione di un’altra festa di compleanno della DiKi Records. L’evento fu organizzato presso La Bush, una delle più grandi discoteche in Belgio che era davvero pienissima. Il clima era perfetto e il pubblico eccitatissimo. Brown non immaginava affatto di essere così popolare e mi chiese di suggerirgli qualcosa per il suo programma di quella sera, sostenendo di essere abituato a suonare in un piccolo club ad Edinburgo e che non volesse rischiare di deludere tutta quella gente accorsa lì per lui. Quando mise la sua “My Drums”, pubblicata pochi mesi prima su DiKi Records, la discoteca sembrò esplodere.

14) Mikka (02 04 1973 - 13 12 2001)
Mikka, collaboratore del Disco King, prematuramente scomparso a dicembre del 2001

Tutto però è cambiato da quei tempi.
Oggi è semplicemente impossibile generare i numeri discografici degli anni Ottanta o Novanta. Esisteva un sistema che contava su negozi di dischi, discoteche e pubblicazioni discografiche: se volevi essere aggiornato dovevi necessariamente acquistare dischi ma per sapere quali comprare andavi nei locali cercando di “estorcere” i titoli al DJ oppure rimanendo appiccicato alla consolle sperando di poterli scovare da solo mentre giravano sui piatti. Insomma, un autentico circolo virtuoso che sosteneva l’intero comparto. Quando organizzavamo gli eventi speciali poi, il giorno dopo in centinaia si riversavano nel negozio chiedendo di comprare gli stessi dischi che aveva messo il DJ la notte precedente. Per timore di non trovarli, alcuni ragazzi arrivavano ad aspettare l’apertura fuori, non rientrando neppure a casa per dormire. C’era pure chi acquistava le cassette dai DJ e poi ce le portava chiedendo di ascoltarle per scovare tutti i titoli e comprarli. Al fine di smaltire la ressa che si creava ogni volta, feci installare parecchi giradischi dotati di cuffia in modo tale che ognuno potesse fare da sé. C’era però un rovescio della medaglia, in quel modo la gente maneggiava una grande quantità di materiale talvolta danneggiando qualche copia, ma non era un problema visto che vendevamo più di mille dischi a settimana. Adesso invece è tutto diverso. Puoi ascoltare musica con un semplice clic del mouse e quando compri un disco arriva intonso, ancora avvolto nel cellophane. Non credo che il nostro negozio avrebbe ancora ragione di esistere, almeno secondo la vecchia tradizione di vendere musica. Mi capita di entrare in qualche record store ma, in tutta onestà, non ho mai trovato la stessa atmosfera di quegli anni. Il 2000 e il 2001 sono stati decisamente difficili per me. Nel 2000 un infarto ha ucciso mio padre, a soli 58 anni, e nel 2001 è toccato pure al mio amico Mikka, collaboratore di lunga data del Disco King, amato dai clienti e particolarmente influente pure sulla musica che producevamo. Una malattia rara se lo è portato via ad appena 29 anni. Per me fu un vero shock nonché l’inizio della fine di questa meravigliosa avventura nel mondo della musica. Il clima lavorativo cambiò, non mi interessava più essere al top e la crisi del mercato discografico innescò la chiusura di tanti negozi di dischi. Temevo per il futuro del Disco King ed interruppi il lavoro da produttore. Se non ricordo male, le ultime uscite che misi in circolazione furono quelle di Alex Peace, Doug Van Zant e Robert Armani, tra 2004 e 2005. A quel punto avviai un impianto di pressaggio dischi chiamato Vinylium, sebbene l’epoca del digitale fosse vicinissima. Ero certo che il disco sarebbe sopravvissuto a quella tempesta.

Com’è andata con Vinylium?
L’attività è partita nel 2007 e in quel momento trasformai in realtà un sogno di mio padre. La vita però è imprevedibile ed appena due anni più tardi toccò a me vivere qualcosa di terribile. Iniziai ad avere qualche dolore e dopo essermi sottoposto ad una serie di esami medici mi diagnosticarono un tumore al midollo osseo. Per ovvie ragioni ho dovuto accantonare tutto. Il negozio è stato venduto mentre la fabbrica smantellata e il materiale esportato a Seul e destinato al mercato asiatico. È stato frustrante ma, dopo una lunga battaglia sostenuta dai progressi della medicina, sono riuscito a vincere la malattia. Vinylium è ripartito come servizio ed io lavoro come broker per la francese MPO che si occupa di stampaggio dischi. La proprietà della DiKi Records, incluso l’intero catalogo, è stata rilevata nel 2017 da un appassionato di musica che mi ha chiesto di continuare ad occuparmi di alcune pratiche, seppur a gestire il tutto sia la N.E.W.S., da contratto sino al 2021. Stiamo valutando la possibilità per un possibile ritorno sul mercato ma le regole del business sono radicalmente cambiate e quindi è necessario ponderare bene le scelte. Sono consapevole che tanti nostalgici vorrebbero rivivere certi momenti cult del passato ma i tempi sono cambiati e con essi anche i gusti, le preferenze e le attitudini delle generazioni più giovani. La voglia di tornare indietro nel tempo per recuperare emozioni perdute non riguarda soltanto la musica, ma bisogna andare avanti. Spero che le nuove generazioni possano divertirsi almeno quanto ci siamo divertiti noi. Sono certo che tante cose belle debbano ancora arrivare.

(Giosuè Impellizzeri)

Questo articolo è dedicato alla memoria di Roger Samyn (1942-2000)

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Wild! Entertainment, quando l’eurotrance arriva in Italia

Nella seconda metà degli anni Novanta la musica trance conosce una sensibile impennata di popolarità in Europa. Da un lato eventi come Love Parade ed Energy diventano centri propulsori che irradiano quel sound ad un’audience sempre più vasta, dall’altro svariate produzioni discografiche riescono a penetrare con sistematicità nelle classifiche di vendita, generando incassi impronosticabili sino a pochi anni prima. Non manca ovviamente chi vede di traverso tutto ciò. In “Energy Flash” Simon Reynolds lo descrive come «un sottogenere pieno di tutti quegli elementi dozzinali disprezzati dai “progressisti” tipo Sasha: ritornelli da inno, crescendo, rulli di tamburi, elaborate costruzioni e crolli improvvisi, melodie naïf che fanno vibrare le corde del sentimento. La sensazione che provoca questa musica è come la fibrillazione incantata di un Philip Glass lobotomizzato o in vena di cosmiche smancerie sotto l’effetto di droghe psichedeliche assunte insieme ai Teletubbies». Il noto critico britannico rincara ulteriormente la dose quando afferma che «ascoltando la “trance” di fine anni Novanta ti prende un colpo se ti metti a pensare alla prima ondata trance partita da Berlino e Francoforte nel 1993, molto più dura e fredda. Quel tipo di trance dominò i rave e i club di tutto il mondo per un paio d’anni ma fu ben presto eclissata, se non altro in termini di moda e di copertura dei media, dal drum n bass».

ADV More Music Italy 1998-1999
Una serie di pagine pubblicitarie della More Music Italy tratte dal magazine DiscoiD: le tre in alto risalgono al 1998, quelle in basso al 1999

La trance di fine decennio, a conti fatti, risulta più accessibile, melodiosa ed euforica rispetto a quella di qualche anno prima, e di esempi esplicativi se ne potrebbero fare a iosa. Da “Protect Your Mind” di Sakin & Friends e “Storm” degli Storm, di cui parliamo rispettivamente qui e qui, ad “On The Beach” di York, da “1998” dei Binary Finary a “Seven Days And One Week” dei B.B.E., da “Ayla” di Ayla ad “Afflitto” di Fiocco passando per “Dream Universe” di C.M., “Out Of The Blue” di System F, “Secret” degli Absolom, “For An Angel ’98” di Paul van Dyk e “9 PM (Till I Come)” di ATB. Questi ultimi due, in particolare, arrivano nel nostro Paese attraverso la Milk’n Honey, tra le etichette della filiale italiana della More Music, importante compagnia discografica tedesca. Accanto a Milk’n Honey operano altre quattro label: la Blue Orange inaugurata con “Feeling Good” di Huff & Herb, cover dell’omonimo di Nina Simone diventata una hit europea, la Priveé che sbanca con “Praise My DJ’s (My Funny Valentine)” di Run From Run-DMC Feat. Justine Simmons, la Weltraum alimentata con una manciata di uscite techno/progressive (Remon Petrick e Timo Maas Feat. Digital City), e la Trancestar – “sorella” della Clubstar attiva nel frangente house solo in territorio tedesco – su cui esce “After Love” di Blank & Jones impreziosito dalla versione di Mauro Picotto, l’unico remix che in quel periodo il DJ torinese destina ad un’etichetta italiana (fatta eccezione per la Media Records) pare per una precisa strategia discografica. A coordinare il lavoro di tutto ciò che riguarda More Music Italy è Raffaela Travisano. Nata in Germania da genitori italiani, inizia a lavorare nel settore musicale nel 1992 con la CBS del gruppo Sony. Poi entra nell’organico di uno dei più importanti distributori tedeschi di musica DJ oriented, la Discomania. Nel corso degli anni si costruisce una solida reputazione ed accumula esperienza che mette concretamente a frutto nel periodo in cui si occupa della More Music Italy. Nel catalogo Milk’n Honey, inaugurato alla fine del 1997 con “Wet Like The Rain” di The Bronx, finisce molta trance mitteleuropea, più e meno nota. Ai già citati Paul van Dyk ed ATB se ne aggiungono altri come “Your Love Makes Me Up” di Alta-Vista, i remix di “Love Stimulation” di Humate, “Diving Faces” di Liquid Child e “Can You Feel…” di SQ1. L’ambizione e la cultura musicale («invidiabile da molti» come si legge sul magazine Jay Culture in una delle sue prime interviste italiane a gennaio 1998), mista alla giusta rete di contatti e le crescenti potenzialità di quel genere, convincono la Travisano a fare un ulteriore passo in avanti, fondare la propria etichetta, la Wild! Entertainment.

Il catalogo della Wild! Entertainment

WILD 000 - Paul van Dyk Feat. Saint Etienne - Tell Me Why (The Riddle)Paul van Dyk Feat. Saint Etienne – Tell Me Why (The Riddle)
Corre la primavera del 2000 quando nei negozi arriva il primo disco della neonata Wild! Entertainment. A firmarlo è uno degli eroi della trance europea, Paul van Dyk, già entrato nell’olimpo dei top name continentali sia come DJ che produttore attraverso un corposo repertorio di cui si ricordano diversi brani incisi per la MFS come “Forbidden Fruit” e “Beautiful Place” oltre a “Perfect Day” ed “How Much Can You Take?” che realizza nei primi anni di carriera con Harald ‘Cosmic Baby’ Blüchel come The Visions Of Shiva. Contrassegnato dal numero di catalogo 000, “Tell Me Why (The Riddle)” è uno dei singoli estratti dal suo terzo album, “Out There And Back”, uscito sulla propria etichetta, la Vandit, e licenziato in Italia sempre da Wild! Entertainment come si vedrà più avanti. Scritto insieme alla band britannica dei Saint Etienne, il brano riprende lo stile del fortunato remix targato 1998 di “For An Angel” che lo consacra nel mainstream (l’originale risale a quattro anni prima, inserito nel primo album “45 RPM”) abbinato ad una sezione cantata da Sarah Cracknell che stuzzica più intensamente l’interesse delle radio.

WILD 001 - Blank & Jones - The NightflyBlank & Jones – The Nightfly
Formato da Jan Pieter Blank e René ‘Jaspa Jones’ Runge, il duo tedesco si fa notare con “Flying To The Moon” e “Cream”, quest’ultimo pubblicato anche in Italia dalla Trancestar del gruppo More Music Italy capeggiato dalla Travisano. Ad affiancarli in studio in quel periodo è Andy Kaufhold con cui realizzano, tra le altre cose, il remix di “Iguana” di Mauro Picotto. Blank & Jones forgiano un sound accessibile, ricco di melodie arpeggiate ed atmosfere sognanti. Incrociando questi elementi ottengono “The Nightfly”, brano che rispetta i tradizionali canoni della trance di inizio millennio con brevi inserti vocali femminili e quello che parrebbe un frammento citazionista di “You’re Not Alone” degli Olive. A trainarlo sul piccolo schermo è un videoclip. “The Nightfly” è il primo singolo estratto dall’album “DJ Culture” di cui si parlerà poco più avanti. Dei tanti remix realizzati solo uno però finisce sulla stampa italiana, quello dei Sunbeam, ricordati in primis per “Outside World” del ’94 e quasi agli sgoccioli del loro percorso artistico che gli regala ancora qualche soddisfazione come “Versus”, in tandem con Tomcraft, e “One Minute In Heaven”.

WILD 002 - Blank & Jones - DJ CultureBlank & Jones – DJ Culture
Preso in licenza dalla Kontor Records, “DJ Culture” lancia il duo tedesco nel firmamento dei grandi nomi della trance europea. I dieci brani racchiusi al suo interno, tutti realizzati presso gli Spacedust Studios a Düsseldorf, si muovono a grandi linee sulle stesse coordinate prima descritte con una concessione al breakbeat, come attesta il reprise di “The Nightfly”, ed una parentesi ambient, “A New Culture Is Born”, col testo scritto ed interpretato dall’elvetico Dieter Meier degli Yello. Per il resto i due tedeschi, ancora coadiuvati da Andy Kaufhold ironicamente ribattezzato “il terzo del duo” analogamente a quanto avviene in parallelo ai fratelli Ali e Basti Schwarz alias Tiefschwarz prima con Peter Hoff e poi con Jochen Schmalbach, assemblano ritmi incalzanti ed oniriche melodie (“La Luna”, “The Blue Sky”, “Sundowner”, “Mindcrasher”, “Waste Your Youth”). Saranno altri due i brani estratti come singoli dopo “The Nightfly”, la title track “DJ Culture” e “Sound Of Machines”. Sul doppio mix in edizione limitata che Wild! Entertainment pubblica in formato gatefold finisce pure una manciata di remix usati a mo’ di bonus track, quelli di “After Love” e “Cream” realizzati rispettivamente dai Quake e Paul van Dyk.

WILD 003 - ATB - The SummerATB – The Summer
Grazie a “9 PM (Till I Come)” con cui inizia un nuovo corso artistico con l’acronimo ATB, la vita del tedesco André Tanneberger cambia radicalmente. Alle spalle lascia l’esperienza nei Sequential One che ottengono buoni riscontri con un mix tra eurodance ed happy hardcore, ma quello che avviene dal 1998 in poi è strepitoso. Galvanizzato dal successo di “9 PM (Till I Come)” che, secondo alcune stime, vende oltre un milione di copie, Tanneberger tira fuori nuove hit con cui si impone tra i DJ più importanti e richiesti al mondo. Una di queste è proprio “The Summer” estratta dall’album “Two Worlds”, con evidenti rimandi allo stile del suo primo successo che, come sostiene qui Torsten Stenzel, fu ispirato da “The Awakening” di York.

WILD 004 - The Driver Project Vs. Mike Litt - Eternal SummerThe Driver Project Vs. Mike Litt – Eternal Summer
Pubblicata originariamente dalla Highball Music di Amburgo, “Eternal Summer” riporta in attività il team The Driver Project formato da Christian Schnettelker, Marco Wolters e Tobias Dannappel a cui per l’occasione si aggiunge il DJ Mike Litt. Il brano non è pretenzioso e batte lo schema eurotrance da cui sempre più artisti attingono e si ispirano (Alice Deejay, Gitta, Fragma, Nagano All Stars, Angelic, Ian Van Dahl, Deal – gli italiani Daniele Tignino dei Ti.Pi.Cal. e Pat Legato – , Darude, Barthezz, giusto per citarne alcuni). La traccia gira su una breve melodia al pianoforte che per più di qualcuno pagherebbe il tributo al nostro Robert Miles ed una parte cantata, forse non sufficientemente cheesy per catalizzare l’attenzione del grande pubblico. Sul lato b finisce il remix dei Central Seven, ritmicamente più incisivo. A credere in “Eternal Summer” è Radio Italia Network che lo promuove come disco hacker nelle prime settimane della nuova stagione radiofonica, la prima vissuta come RIN, a settembre del 2000. A giudicare dal titolo, il periodo appare decisamente propizio.

WILD 005 - Blank & Jones - Sound Of Machines - DJ CultureBlank & Jones – Sound Of Machines / DJ Culture
Come già anticipato, “Sound Of Machines” e “DJ Culture” provengono dall’album con cui Blank & Jones si impongono nella scena trance planetaria, reduci di importanti esibizioni alla Love Parade nel 1999 e nel 2000. In “DJ Culture”, per cui viene girato anche un videoclip, riecheggiano esuberanti melodie mentre “Sound Of Machines” fa il verso, in modo piuttosto palese, al celebre remix di “Kernkraft 400” di Zombie Nation realizzato in Italia da DJ Gius, facendo leva su elementi praticamente uguali (inserti electro beat, basso in ottava, un breve hook vocale ed un riff da stadio). A spingere da noi “Sound Of Machines” è Tony H che lo inserisce nel suo programma Vitamina H in onda su RIN – Radio Italia Network, nato dopo l’abbandono di Radio DeeJay. Come si vedrà più avanti, il nome di Tony H entrerà nell’orbita della Wild! Entertainment in più di qualche occasione.

WILD 006 - Nino Lopez Project - E-XperienceNino Lopez Project – E-Xperience
Gianluigi Tarnassi e Gioacchino Piazzolla, da Milano, sono gli artefici di Nino Lopez Project che ai tempi può essere erroneamente confuso col Mario Lopez di “The Sound Of Nature”. Si tratta solo di parziale omonimia, seppur i contatti stilistici non manchino affatto. “E-Xperience” attinge energie dal campionario trance / hard trance teutonico con ben poche variazioni sul tema, inclusa la parentesi pseudo acida aperta sul finale. Sul 12″ figura una Album Version che lascia ipotizzare l’arrivo di un LP che però non uscirà mai, seppur il pezzo riesca a guadagnarsi qualche licenza all’estero, tra Germania e Paesi Bassi, e soprattutto un remix a firma ATB.

WILD 007 - Paul van Dyk - We Are AlivePaul van Dyk – We Are Alive
Tratta da “Out There And Back” con cui van Dyk apre la fase della sua carriera più mainstream oriented, “We Are Alive” è la cover di “Alive”, pezzo pop della svedese Jennifer Brown uscito nel 1998 e già traslato in chiave ballabile nel ’99 dai britannici Bleachin’. Il DJ tedesco fonde la song structure nei suoni che lo hanno reso popolare per il pubblico generalista e con tale binomio fa breccia nelle classifiche di vendita in tutto il mondo. Evolvendo ulteriormente tale formula, scolpirà successi futuri e l’album “Reflections” del 2003 che gli procurerà la nomination ai Grammy Award nella categoria dance and electronic. Viste le potenzialità, Wild! Entertainment pubblica “We Are Alive” anche in formato CD sul quale finisce la breakkata Arctic Bass Mix di DJ Icey esclusa invece dal 12″. La foto in copertina di Andrew October immortala una performance del DJ nativo di Eisenhüttenstadt di fronte ad un pubblico oceanico, a testimonianza della sua più che solida fanbase.

WILD 008 - DJ Tomcraft - SilenceDJ Tomcraft – Silence
Proveniente dal catalogo Kosmo Records, “Silence” seduce l’ascoltatore col lirismo vocale di Vivian e con un crescendo di atmosfere sapientemente fuse in ritmi ballabili. Insieme a Tomcraft, in studio, c’è Robert Borrmann meglio noto come Eniac, che alle spalle vanta una hit, “Superstar”, realizzata a quattro mani con Tom Novy sempre per la Kosmo Records. Pur non essendo uno dei pezzi più noti del DJ tedesco, “Silence” riesce ad entrare in diverse compilation e ad essere licenziato negli Stati Uniti attraverso la Radikal Records, oltre ad essere supportato e promosso da un videoclip.

WILD 009 - Tukan - Light A RainbowTukan – Light A Rainbow
Dietro Tukan ci sono i danesi Lars Frederiksen e Søren Weile, già noti come Zekt in ambito hardcore. Come dichiarano ai tempi, decidono di darsi alla trance ispirati dalla musica selezionata da Pete Tong sulle frequenze di BBC Radio 1. Il loro è un debutto col botto: “Light A Rainbow” colleziona decine di licenze in tutto il mondo e riconoscimenti in due Paesi-chiave, Germania e Regno Unito. Un risultato esaltante, sia per loro che per l’etichetta che li mette sotto contratto, la tedesca Drizzly per cui la Travisano lavora nel corso degli Novanta. Edificata su melodie sognanti intersecate da un cantato di Kaya Brüel, la traccia finisce pure nelle programmazioni delle tv musicali grazie ad un videoclip. Il resto lo fanno i numerosi remix come quelli di ATB, CJ Stone, Wippenberg, DJ Worris e Green Court, quest’ultimo l’unico presente sul 12″ della Wild! Entertainment.

WILD 010 - Aquagen - LovemachineAquagen – Lovemachine
Nato da un’idea di Olaf Dieckmann e Gino Montesano e supportato dalla Dos Or Die Recordings, il progetto Aquagen esordisce nel ’99 con “Ihr Seid So Leise!”, una hit che solo in patria vende più di 250.000 copie, scandita imperiosamente dal testo in tedesco, suoni hard trance ed un sample tratto da “La Musika Tremenda” di Ramirez. Ad “Ihr Seid So Leise!”, considerabile una sorta di prologo della hard dance made in Germany che prende il volo da lì a breve, segue “Tanz Für Mich” con cui il duo si fa affiancare dal comico Ingo Appelt e che riprende la melodia di un altro classico nostrano, “Stay With Me” dei Da Blitz. Entrambi figurano nell’album “Abgehfaktor” da cui proviene pure “Lovemachine”, un altro successo ascrivibile alla cheesy trance / hands up tedesca trainata da artisti come Scooter, Brooklyn Bounce, 4 Clubbers, DJs @ Work, Pulsedriver, Rocco e Warp Brothers, coi quali peraltro gli Aquagen collaborano poco tempo dopo. Come da copione, “Lovemachine” è accompagnato da relativo videoclip finito sulle principali tv musicali europee. Sul 12″ edito da Wild! Entertainment presenzia anche il remix a firma Cosmic Gate che in quel periodo spopolano con “Somewhere Over The Rainbow”, “Fire Wire” ed “Exploration Of Space”, ed un secondo pezzo della tracklist dell’album ovvero “3, 2, 1 – Feiern!”, ulteriore vampata hard dance a base di basso in levare, cassa marcata, graffiate acide ed un riff stridulo. Nei primi mesi del 2001 viene annunciata l’uscita in Italia di “Abgehfaktor” su Wild! Entertainment ma l’operazione non va in porto.

WILD 011 - Warp Brothers Vs. Aquagen - Phatt Bass - We Will SurviveWarp Brothers Vs. Aquagen – Phatt Bass / We Will Survive
Sull’onda dei risultati ottenuti con “Lovemachine”, Wild! Entertainment scommette ancora sulla musica degli Aquagen, questa volta insieme ad un altro duo tedesco, i Warp Brothers, formato da Jürgen Dohr ed Oliver Goedicke. Due pure i brani, entrambi presi in licenza dalla Dos Or Die Recordings fondata da Uwe Papenroth ed Andreas Schneider: sul lato a “Phatt Bass”, esaltazione festaiola, come ben rimarca anche il videoclip, di una hard trance intrecciata alle grinze della TB-303, prototipo di quello che faranno esattamente dieci anni più tardi gli americani LMFAO in “Sexy And I Know It”, sul lato b “We Will Survive”, dove si ripesca a piene mani un classico acid di Josh Wink, “Higher State Of Consciousness”, rileggendolo con l’intento di semplificarne la formula e renderlo appetibile anche alle folle dei luna park con l’aggiunta di una voce in stile “Ihr Seid So Leise!”. Immancabile il video.

WILD 012 - Airheadz - Stanley (Here I Am)Airheadz – Stanley (Here I Am)
Nato come bootleg pubblicato solo su white label, “Stanley” campiona “Thank You” di Dido, già ripresa con eclatante successo da Eminem in “Stan”. Nonostante la non ufficialità, il brano conquista il favore di influenti DJ britannici che lo programmano sia in radio che nelle discoteche. Analogamente a quanto avviene nel 1994 ad “Eighteen Strings” di Tinman di cui parliamo qui, a causa di un clearance mai ottenuto gli autori, Andrew Peach e Leigh Guest, si vedono costretti a sostituire la parte vocale affidando la nuova alla cantante Caroline De Batselier che rappresenterà il progetto anche nella dimensione live. Sebbene il risultato finale non sia uguale a quello del bootleg, la AM:PM lo pubblica con reazioni entusiastiche del mercato. Diversi i remix approntati tra cui quelli di Wippenberg, Lost Witness e Kosmonova ma sul 12″ edito in Italia dalla Wild! Entertainment presenziano solo quelli dei Warp Brothers e di Nino Lopez Project, quest’ultimo esclusivo. Il successo mondiale non basta a persuadere Peach e Guest ad incidere un follow-up.

WILD 013 - DJ Tomcraft - ProsacDJ Tomcraft – Prosac
Uscito nel 1997 senza incontrare particolari riscontri, “Prosac” vive una seconda giovinezza a quattro anni di distanza quando la Kosmo Records pubblica due nuove versioni, la New Clubmix e la TC-THC Mix, a cui si somma un videoclip. La Wild! Entertainment decide però di mandare in stampa due remix ex novo commissionati a Tony H e Karin De Ponti. La versione del primo, la Yeah Mix, preserva le atmosfere originali reinnestandole su una base hard trance tranciata in più punti dalle sincopi ispirate (o campionate?) dal remix di “Dooms Night” di Azzido Da Bass realizzato da Timo Maas, lo stesso da cui viene tratto il caratteristico “womp womp” di cui lo stesso Maas parla qui; Karin De Ponti invece si avvicina di più al mondo (hard) house a velocità sostenuta e col phaser che filtra il groove.

WILD 014 - Paul van Dyk - Columbia EPPaul van Dyk – Columbia EP
In Germania la Vandit pubblica questo EP in doppio mix. In Italia invece la Wild! Entertainment opta per un singolo, distribuito dalla campana Global Net, col remix di “Columbia”, “Out There” e “A Different Journey To Vega” sacrificando “Movement” e la versione di “Vega” firmata degli Starecase. La title track ripesca un sample di “Land Of Oz” degli Spooky, “Out There” incalza tirando fuori il lato più rude ed aggressivo del DJ tedesco qui sbilanciato in modo netto verso soluzioni techno, smussate ed accarezzate da pad più canonicamente trance in “A Different Journey To Vega” che a conti fatti si configura come una rilettura trancey della precedente. “Columbia EP” sancisce l’alleanza tra l’etichetta di Raffaela Travisano e la modenese Molto Recordings di Roberto Luppi e Giovanna Bagni. Come si legge in un articolo apparso ai tempi dell’uscita, «Wild! Entertainment non esclude altri tipi di collaborazione con la struttura emiliana, forte all’estero per Flickman», cosa che effettivamente avviene nei tre dischi successivi.

WILD 015 - Members Of Mayday - 10 In 01Members Of Mayday – 10 In 01
“10 In 01” celebra i dieci anni di uno dei festival musicali più popolari d’Europa, il Mayday. A realizzare il pezzo, come di consueto, sono i Members Of Mayday, duo formato da WestBam e Klaus Jankuhn, autentici veterani della scena dance tedesca, qui intenzionati a replicare il successo di “Sonic Empire” del 1997. La traccia, finita nell’airplay di MTV e VIVA col relativo videoclip, riprende certe accortezze formali della hit di quattro anni prima ma senza replicare banalmente i contenuti come in un classico follow-up. Gli autori dimostrano ancora di poter interfacciare trance ed electro ottenendo un risultato efficace e di impatto sul grande pubblico. All’Original si somma il Members Only Mix di Paul van Dyk, calibrato su sincopi ritmiche, virtuosismi acidi e la voce di Afrika Islam, presa da “Global Players (My Name Is Techno)” di Mr. X & Mr. Y, un altro successo messo a segno da WestBam nel 2000. Esclusivo per la Wild! Entertainment è il Poptech Remix di Tony H, realizzato nel suo Taf-A-Taf Studio di Milano con Luigi Speciale. A distribuire il disco è la Hitland.

WILD 016 - Tomcraft - OverdoseTomcraft – Overdose
Terza apparizione su Wild! Entertainment per Tomcraft, dopo “Silence” e “Prosac”. Con un suono che pochi anni dopo verrà identificato electro house e trainato da un videoclip dai contenuti censurabili, “Overdose” (distribuito in Italia da Global Net) è un discreto successo messo a segno dalla Kosmo Records. Alla Killa Club Mix, dove gli elementi della trance più tradizionale spariscono quasi del tutto rimpiazzati da atmosfere più terrene e meno sognanti, l’etichetta milanese aggiunge un remix commissionato ancora a Tony H. Analogamente a quello realizzato per “10 In 01” dei Members Of Mayday, il Poptech Remix semplifica gli elementi originali fondendoli in una stesura a presa rapida, con break e ripartenze annunciate da rullate, schema a cui sono particolarmente affezionati gli ascoltatori di Vitamina H, il programma pomeridiano di Tony H e Lady Helena in onda su RIN – Radio Italia Network.

WILD 017 - Bra.Sa - Bon-Go-TronikBra.Sa – Bon-Go-Tronik
In un trafiletto della rubrica “Vinyl Approved” a cura di Riccardo Sada apparso sulla rivista Jocks Mag a gennaio 2002, si legge che «i Bra.Sa realizzano una sorta di vortice etnico che investe su un sound molto euro. Aperture trance di facile impatto che viaggiano a 138 bpm e collasso totale con rallentamento sotto i 90 quando il sample, utilizzato anche per lo spot di una famosa bevanda isotonica, entra per fare la differenza». Descritti come una sorta di Safri Duo all’italiana, i Bra.Sa (Gianni Bragante e lo stesso Sada, entrambi giornalisti musicali ma nel contempo produttori discografici), tirano il sipario sull’attività di Wild! Entertainment. “Bon-Go-Tronik”, infatti, è l’ultimo 12″ ad essere pubblicato, distribuito ancora dalla Global Net di Pozzuoli.

Gli album su CD

WILD CD 001 Paul van Dyk - Out There And BackPaul van Dyk – Out There And Back
Con “Out There And Back”, terzo album dopo “45 RPM” del 1994 e “Seven Ways” del 1996, entrambi usciti sulla MFS di Mark Reeder, il tedesco si emancipa dal mercato destinato ai soli appassionati e DJ specializzati. Non sussiste una profonda cesura da ciò che avviene negli anni Novanta, il suo cuore continua a palpitare per la trance (“Another Way”, “Travelling”, “Avenue”, “The Love From Above”, “Columbia”, “Out There And Back”) con spinte in anfratti progressive house (“Pikes”, “Face To Face”), e lanci su pareti ambientali sino a deviazioni breakkate (“Together We Will Conquer”, con la voce di Natascha van Dyk, ai tempi sua moglie) e downtempo (“Vega”). La sostanziale novità risiede nelle decise aperture al pop offerte da “Tell Me Why (The Riddle)” e “We Are Alive”, strategicamente estratti come singoli-grimaldello per entrare nelle classifiche di vendita e nelle programmazioni radiofoniche. Sulla copertina frontale la Wild! Entertainment appone il logo di RIN – Radio Italia Network, emittente che supporta i brani di van Dyk e gran parte della trance di quel periodo.

WILD CD 002 - Paul van Dyk - The Politics Of DancingPaul van Dyk – The Politics Of Dancing
Non è un album bensì una compilation mixata, pubblicata originariamente dalla Ministry Of Sound, licenziata in Italia da Wild! Entertainment e distribuita dalla Venus. Il doppio CD, accompagnato da un piccolo booklet, raccoglie poco più di una trentina di brani mixati da van Dyk tra cui “Rapture” di iiO, “Killin’ Me” di Timo Maas, “Activity” di Way Out West, “Into The Night” di 4 Strings, “Shout, C’Mon” di Sagitaire e “Dreamland” dei romani Nu NRG. Spazio anche ad un suo inedito, “Autumn”, oltre al remix realizzato per “Elevation” degli U2. L’uscita di “The Politics Of Dancing” corona un periodo irripetibile per Paul van Dyk, quell’anno eletto come uno dei migliori DJ del mondo dalla rivista DJ Mag: si piazza quarto, nella Top 100 DJs, preceduto solo da Danny Tenaglia, Sasha e John Digweed.

Blue Velvet e Morning LightBlue Velvet e Morning Light, le sublabel della Wild! Entertainment
Nata per coprire il segmento house, la Blue Velvet, ideale prosecuzione della Blue Orange, viene inaugurata da “That Melody” di George Morel. Il catalogo conta una decina di pubblicazioni tra cui val la pena ricordare “Takin’ Me Higher” dei Deep Swing remixata da Bini & Martini, “Crack City” di Chevallier col remix di Vincenzo, “Touch Me” di Sharon Phillips e “Music Is Wonderful” di Tom Novy, queste ultime due prese in licenza rispettivamente dalla Brickhouse e dalla Kosmo.
La Morning Light invece è la piattaforma più pop e dichiaratamente commerciale del gruppo ideato dalla Travisano sulla quale appaiono, tra gli altri, “Anywhere” di Peach, avvalorato dalla versione degli Eiffel 65, “At The Club” degli SM-Trax, quelli che si fanno notare tra 1998 e 1999 con “Got The Groove”, e “Do You Wanna” di Shah, remixato proprio dagli SM-Trax e Karin De Ponti. Annunciato su Morning Light è pure “Check Out The Floor (Summer Breeze)” di Justine Simmons Featuring Run From Run-DMC, follow-up di “Praise My DJ’s (My Funny Valentine)”, realizzato dagli artefici della fortunatissima versione remix, i Mach 3 (Alex Zullo, Andrea Monta e Luca Neuburg). Alla fine però a pubblicarlo, su licenza di Wild! Entertainment, è la 909 Records.

Extra Wild!La “resurrezione” di Wild! Entertainment, Extra Wild!
“Bon-Go-Tronik” dei Bra.Sa chiude l’attività di Wild! Entertainment ad inizio 2002. Alla fine di marzo di quell’anno però Raffaela Travisano gira tra gli stand del SIB di Rimini, allestiti nel nuovo complesso fieristico, consegnando agli addetti ai lavori le copie promozionali di un disco che inaugura la sua nuova etichetta nata dalle ceneri della precedente, la Extra Wild!. Distribuita da Hitland, Extra Wild! muove il primo passo con “O” di DJ Scot Project, licenziato dalla Overdose e per l’occasione remixato da Paola Peroni alias Miss Groovy. Segue “The Moon Loves The Sun EP” di The Moon Feat. Nu NRG, oggi ricercato dai fan della musica di Andrea Ribeca e Giuseppe Ottaviani. Con una vocazione saldamente ancorata alla trance, Extra Wild! pubblica “Marinero” di Angelic Touchdown, trainato dalla versione dei citati Nu NRG. Poi tocca a “Believe” dei Sunblind, team in cui armeggiano gli stessi membri dei Driver Project. Nel 2003 è tempo dell’hardstyle di “Gamera” degli ARA (acronimo dei nomi degli autori, Alberto Remondini, Roberto Pagliarini ed Andrea Guccini), di “Superbitch” di Miss Loony, del “Wild Rockaz EP” dei Wild Rockaz con un remix dei Junk Project, di “Faith” di Marc Mally e “Deep Space” di Deep Space Project, un act diretto dal prolifico Andreas Krämer. Nel 2004, sui titoli di coda, esce “U Know Y” di Moguai a cui fa seguito la re-release di “Marinero” di Angelic Touchdown: a mettere le mani su entrambi sono i romani Bismark e Stefano Di Carlo.

La testimonianza di Raffaela Travisano

Raffaela Travisano, ancora bambina, balla col papà ad un matrimonio

Quali artisti e musiche hanno segnato la tua infanzia ed adolescenza? C’è stato un momento preciso in cui scopristi la dance?
La musica è da sempre una componente fondamentale della mia vita. A casa ad Homberg (Ohm), in Germania, ne ascoltavamo tantissima, soprattutto quella italiana di Gigliola Cinquetti e Lucio Battisti oltre a tutti i cantanti dello Schlager come Caterina Valente. Quando avevo cinque anni mio padre mi portò ad un matrimonio dove ballai sino alle due di notte: fu il mio primo “rave”! Poi, all’età di nove anni, ci trasferimmo a Bad Nauheim, vicino Friedberg, dove Elvis Presley prestò il servizio militare. Lì scoprii la radio, Radio AFN per la precisione, che trasmetteva solo musica americana per gli statunitensi che vivevano in Germania. Fu amore a primo ascolto. In seguito conobbi un ragazzo che faceva il DJ. Grazie ai suoi amici americani, riusciva ad avere tantissimi dischi importati direttamente dagli States che poi metteva nei club. Così scoprii pezzi come “Just Be Good To Me” della S.O.S. Band ed “Everybody” di Madonna, quando davvero in pochi sapevano chi fosse. Quei due brani rappresentarono l’inizio del mio rapporto con la dance. A tal proposito però vorrei raccontare un altro episodio accaduto durante la gioventù. La mia famiglia gestiva un ristorante e un giorno una cliente avanzò la proposta di produrre un disco per me. Mi fece registrare una cassetta destinata a Frank Farian, notissimo perché dietro progetti come Boney M. e Milli Vanilli e che aveva lo studio ad appena dieci chilometri da casa mia. Avevo solo sedici anni, ero piuttosto carina ed anche intonata. Dopo aver ascoltato il demo, Farian era intenzionato a produrre un mio disco. Tuttavia avrei dovuto partecipare prima a dei contest presso gli hotel della catena Steigenberger ma fui subito rassicurata, il team sosteneva che avrei vinto di sicuro. Tutto questo però non piacque a mio padre e fui costretta ad abbandonare l’idea di intraprendere la carriera da artista. Ma la mia storia con la musica non sarebbe finita lì.

Nel 1992 inizi a lavorare per la CBS del gruppo Sony. In che modo cominciò la collaborazione con quell’azienda?
Fu un passo veramente importante nella mia vita. Finita la scuola, trascorsi un anno in Gran Bretagna e poi tornai in Germania dedicandomi al 100% alla vita notturna. Andavo a ballare tutti i giorni della settimana frequentando locali come il Vogue di Francoforte, dove suonavano Sven Väth e il mio caro amico Pascal F.E.O.S. recentemente scomparso, ma anche l’Omen, il Dorian Gray, l’XS Club o il Plastik. Entravo ovunque gratis ed avevo amici in consolle e al bar. Il periodo sabbatico era però giunto alla fine e i miei genitori iniziarono a pressarmi affinché trovassi un lavoro. Fui assunta come segretaria bilingue presso un’agenzia. Quell’occupazione mi portò alla CBS dove mi ingaggiarono per sei mesi. Mi innamorai totalmente di quell’ambiente occupandomi di assistenza nel settore della distribuzione.

Raffaela Travisano e Faris Al-Hassoni, co-fondatore della Drizzly, immortalati presso lo stand allestito in occasione del Midem di Cannes (199x)

A seguire entri a far parte di una delle distribuzioni tedesche più importanti, la Discomania, curando nello specifico la Drizzly Records. Come e cosa ricordi di quel periodo?
Discomania fu il mio grande amore. Lì incontrai i grandi Christian Fehlau ed Uwe Kohlwes, i fondatori nonché i miei due capi. Fehlau, in particolare, mi prese a cuore e divenne presto il mio mentore. Discomania mi diede la possibilità di entrare in contatto con tantissimi DJ e produttori, nazionali ed internazionali. Tra quelli c’erano Tom Novy, che veniva lì a prendere il materiale per rifornire il negozio di dischi che gestiva a Monaco, e Steffen Charles, anche lui titolare di negozi di dischi e poi creatore del Time Warp. Ma ne potrei menzionare davvero tanti altri, come il compianto William Röttger del Mayday e Love Parade, John Acquaviva e Kerri Chandler. Molti di quei personaggi poi venivano a mangiare nel ristorante della mia famiglia. Una volta Chandler, dopo cena, si ubriacò con un liquore al sambuco al punto da non riuscire a svolgere la serata in una discoteca a Francoforte! Dopo tre anni cominciai ad occuparmi della Drizzly Records, una delle tantissime etichette distribuite da Discomania. Faris Al-Hassoni e Volker Diehl, i fondatori, mi vollero come label manager. Da lì a breve avrei stretto amicizia con Timo Maas e tanti altri che insieme alle demo incise su cassetta mi mandavano pure “sigarette speciali” in regalo.

Come vedevi la scena italiana vivendo in Germania? C’erano professionisti, tra manager discografici, produttori o artisti, che stimavi in particolar modo?
Lavorando con Discomania, ai tempi il distributore di musica dance più importante in Germania, entrai inevitabilmente in contatto col mondo italiano. Ogni settimana arrivavano scatoloni da grossisti come Discomagic, Dig It International e Flying Records, e in occasione di eventi come il Midem a Cannes o il Popkomm a Colonia, conobbi tanti bravi discografici italiani. Erano anni davvero magici. Nel 1996 Jens Thele, fondatore della Kontor e all’epoca A&R della Motor, mi chiese quale sarebbe stato, a mio parere, il Paese-chiave per la dance di quell’anno. Gli risposi, senza tergiversare, «l’Italia caro, l’Italia!». Lui aveva incontrato da poco Joe T. Vannelli e tornò in Germania con “Children” di Robert Miles.

Dal 1997 al 2000 sei al timone della More Music Italy sotto il cui ombrello operano quattro label che si affermano con varie hit (su tutte quelle di Paul van Dyk, ATB, Run From Run-DMC Feat. Justine Simmons, Huff & Herb, e Blank & Jones) ma non mancano pezzi destinati ai club specializzati come “Driving In My Soul” di Harley & Muscle Featuring Jimi Polo, “Feel It” di DJ Pippi, “Sunshine Hotel” di Jamie Lewis & Nick Morris, “Moonflight” di Green Court e “Welcome To The Dance” di Des Mitchell. Come fu quel triennio?
Nel 1996, lavorando ancora per la Drizzly, venni in Italia in occasione di un evento chiamato Nightwave che si svolgeva negli stessi giorni del SIB. C’erano tanti addetti ai lavori tedeschi tra cui Boris Dlugosch, e ci ritrovammo tutti al Grand Hotel di Riccione. Tornai col cuore pieno di amore per l’Italia ma pure con le tasche colme di cassette di musica inedita realizzata da Alex Picciafuochi e dalla coppia Harley & Muscle che mi fu segnalata da Costantino ‘Mixmaster’ Padovano. Pubblicai presto su Drizzly l’EP di Picciafuochi, che ai tempi si firmava Rainbox, (il “Wise Advise EP”, nda) e fu un bel colpo perché da lì a breve lo licenziai alla Massive Drive Recordings del gruppo olandese Mid-Town Records. Harley & Muscle invece finirono sulla Real Groove, etichetta house della Drizzly. Le cose però in Germania stavano iniziando a cambiare. Dopo ben trentotto anni i miei genitori decisero di tornare in Italia lasciandomi sola così, complice una stagione estiva non andata per il verso giusto, ripresi in considerazione una proposta di lavoro che avevo precedentemente scartato. Il primo settembre del ’97 ero al 24 di Viale Regina Giovanna, a Milano, per inaugurare ufficialmente la More Music Italy. Credo di essere stata la prima donna ad aver ricoperto tale ruolo in Italia, perlomeno nella dance. Importai inoltre quello che oggi è detto smart working visto che lavoravo da casa. Durante quei tre anni crebbi professionalmente imparando tante lezioni e conoscendo meglio la mentalità italiana. Credo che il flusso della mia creatività abbia portato un piacevole vento fresco nell’ambiente discografico dello Stivale. C’era un’altra faccia della medaglia però, fatta di tradimenti e slealtà.

Uno dei primi advertising della Wild! Entertainment (settembre 2000)

Quali ragioni ti spinsero, nel 2000, a lasciare la More Music Italy, da quel momento affidata a Susanna Scrocchia, per fondare la Wild! Entertainment?
Le motivazioni erano quelle a cui facevo riferimento poco fa e che ormai non fanno più parte del mio vocabolario. Diciamo che i miei soci, Elmar ed Ufuk, non furono particolarmente trasparenti nella gestione dell’azienda e alla fine i conti non tornavano. A ciò si aggiunse pure una serie di situazioni spiacevoli che mi convinsero a mollare e proseguire da sola, mettendo in guardia la cara Susanna. Alla fine comunque la scatola si rivelò vuota senza di me, anche perché mi seguirono tutti gli artisti senza pensarci due volte, tranne alcuni italiani. Con Elmar ed Ufuk chiarimmo anni dopo e su quell’avventura ho messo una bella croce imparando però tantissimo, sia in merito alla sfera privata che quella lavorativa. Non fui l’unica ad aver avuto problemi: Willy Ehmann, importante discografico tedesco che lavorava per Sony, aprì la V2 a Milano e mi confidò che gli anni vissuti nel capoluogo lombardo restano i più difficili della sua vita. Comunque rammento anche bei momenti come quelli vissuti in Self quando creammo una bella “famiglia allargata”.

In questa intervista pubblicata su Future Style nel 2000, Alexandra Shank ti chiese quali siano state le difficoltà incontrate in quanto donna. La tua risposta lasciò intendere che un certo maschilismo nel settore discografico italiano c’era. Rimarcasti il concetto l’anno seguente in quest’altra intervista a cura di Gianni Bragante edita dal medesimo magazine. A venti anni di distanza, ritieni che le cose siano mutate? Cosa voleva dire occuparsi di discografia dance negli anni Novanta per una donna?
Grazie a Dio non mi sono mai capitate cose gravi come purtroppo avvenuto ad altre donne. Sono stata sempre abbastanza coraggiosa e fiduciosa delle mie capacità, nel lavoro sapevo cosa e come fare giocando pure col mio sex appeal, ma non nascondo di aver ricevuto tantissimi commenti sessisti e manomorte da cui mi sono sempre difesa. Oggi certi “uomini” presterebbero molta più attenzione. Se allora fosse esistito un movimento come #MeToo non si sarebbero mai permessi di palpeggiarmi il fondoschiena o il seno. Non ho dimenticato ciò che un tizio disse dopo che un brano di ATB venne promosso Disc’ O Clock su Radio DeeJay: a suo dire, quel risultato lo raggiunsi accattivandomi sessualmente le simpatie di Albertino. Adesso esistono tante associazioni per difendere le donne ma all’epoca era una vera sfida. Nel 2017 sono stata scelta tra sessanta donne di sei Paesi per prendere parte al programma Keychange e partecipare a vari convegni internazionali. Inoltre faccio parte di Shesaid.so (che esiste pure in Italia dal 2018), piattaforma che si batte per l’equità e contro le discriminazioni sessuali nel music business.

La nascita di Wild! Entertainment, come si legge in un articolo di Riccardo Sada pubblicato dalla rivista Jocks Mag a giugno 2000, viene solennizzata il primo maggio di quell’anno, al 6 di Via Lepanto, a Milano. C’era una ragione dietro la scelta del nome?
Quando mi accorsi che il mondo della discografia fosse veramente selvaggio, Wild mi sembrò il nome più appropriato da usare. Il termine Entertainment invece lo aggiunsi proprio su suggerimento dell’amico giornalista Riccardo Sada.

Raffaela Travisano insieme a Paul van Dyk e Daniele ‘Dany T’ Tramontano della Global Net in una foto scattata presumibilmente nel 2001

Wild! Entertainment parte col piede giusto contando su nomi granitici della scena trance tedesca come Paul van Dyk, Blank & Jones ed ATB, ma non trascurando i nuovi talenti come Nino Lopez Project. Sul 12″ di “E-Xperience” è incisa una Album Version che lascia ipotizzare l’uscita di un LP, cosa che però non avvenne. Come mai?
È difficile ricordarlo a distanza di così tanto tempo. Forse ero già nel pieno del mio stress lavorativo che mi mise per quattro anni fuori strada? Oggi si parla tantissimo di salute mentale ma ai tempi in pochi avevano il coraggio di pronunciare la parola “depressione”. Io sono riuscita ad uscirne dopo ben quattro anni, anche grazie all’amore dei miei genitori, ma tanti altri che hanno vissuto il mio stesso dramma, come Avicii ad esempio, non sono stati abbastanza forti.

Dal 2000 stringi una collaborazione con Tony H e RIN – Radio Italia Network, a detta di molti l’ultimo baluardo radiofonico italiano a supportare la musica della club culture. La radio, ai tempi, può ancora influenzare sensibilmente i gusti dei giovani con risultati apprezzabili anche in discografia. Oggi invece? La radio ha perso definitivamente quel ruolo diventando schiava del web?
Avevo avuto modo di collaborare con Italia Network già nel 1994, quando conobbi Andrea Pellizzari e Christian Hornbostel. Quest’ultimo, un paio di anni dopo, mi presentò il direttore dell’emittente, Michele Menegon (intervistato qui, nda). Tony H era un grande e con Vitamina H provò a fare cose nuove per la dance ma poi, come tanti altri, fu costretto ad adattarsi alle regole dettate dall’alto. La radio non è morta e credo che oggi sia ancora fondamentale per la commercializzazione della musica, ma solo se combinata con app tipo Shazam. I passaggi in tv o in radio, che siano regionali o nazionali, fanno ancora “vendere” in qualche modo.

Perché Wild! Entertainment si ferma dopo circa venti pubblicazioni?
Il colpo di grazia giunse quando firmai l’accordo per “The Politics Of Dancing” di Paul van Dyk ed investii gli ultimi venticinque milioni di lire in un pacchetto promozionale con la radio. Purtroppo i risultati di quell’uscita furono disastrosi anche a causa dei distributori che preferirono comprare la versione import, su Ministry Of Sound. Ero totalmente schifata e nauseata ed iniziai a non reggere più lo stress.

Nella primavera del 2002 però dalle ceneri di Wild! Entertainment nasce Extra Wild!, spalleggiata da un nuovo distributore, la Hitland con cui peraltro avevi già collaborato, ma ormai privata di quei nomi stellari con cui avevi fatto breccia sin dai tempi della More Music Italy. Con quali intenti lanciasti la nuova etichetta, connessa alla prima dal nome?
Cercai in qualche modo di andare avanti anche perché tantissimi produttori continuavano a mandarmi la loro musica. Ricominciai quindi con Matteo Lombardoni della Hitland, affiancato dal papà Severo a cui volevo un sacco di bene. Proprio Severo mi mise in guardia, quando lavoravo ancora in Discomania, dicendomi che non avevo idea di cosa fossero capaci di fare gli addetti ai lavori. Aveva ragione.

Perché la trance non è mai riuscita ad attecchire del tutto in Italia?
Credo che i risultati raccolti siano stati già fin troppo notevoli. Quando mi presentai in Self con “9 PM (Till I Come)” di ATB ne volevano stampare solo cinquecento copie. «Lo facciamo perché ci stai simpatica» dissero.

La parabola operativa di Extra Wild! si conclude nel 2004, anno in cui la digitalizzazione inizia a far sentire pesantemente la propria presenza. Fu quella la ragione per cui non andasti più avanti?
Come ho accennato prima, ormai soffrivo da tempo di una forte depressione che mi teneva a letto anche per mesi interi. Ogni volta che ritrovavo le energie la musica mi chiamava ma le cose non andavano bene ed arrivai persino a litigare con Paul van Dyk. Non avevo più una vita sociale e non trovavo un senso a ciò che mi stesse accadendo. Furono seri motivi di salute quindi a farmi allontanare dal settore.

Dopo qualche tempo entri nell’organico di Deeep, azienda specializzata in servizi e distribuzione di prodotti digitali. Chi e cosa ti fece tornare la voglia di occuparti di musica?
In radio passavano canzoni lanciate da me, alcune pubblicità in televisione erano sincronizzate su brani del mio catalogo (ma con accordi chiusi da altri), in alcune foto scattate in consolle vidi gli slipmate della Blue Orange che avevo creato io qualche anno prima: era tempo di tornare alla vita normale e a fare quello che più mi piaceva. Il 4 luglio del 2005 così si aprì una nuova fase della mia vita. Telefonai ad Errol Rennalls della Peppermint Jam per chiedere aiuto e dopo un periodo trascorso in Germania, tornai in Italia come country manager della Deeep, lavorando in un bellissimo ufficio a Riccione nel 2008. Poi dal 2009 al 2013 ho lavorato come A&R director per Believe.

Raffaela Travisano coi Milky Chance

Nel 2013 fondi Surya Musica che si fa presto notare con un paio di hit, “I See You” dei Jutty Ranx e “Stolen Dance” dei Milky Chance. I successi degli anni che viviamo riescono a generare, economicamente ma soprattutto emotivamente, gli stessi risultati di quelli di due o tre decenni fa?
Aprire Surya Musica per me è stato molto di più di inaugurare una semplice etichetta discografica. Rappresentava il mio riscatto, dopo la fine della Wild! Entertainment che mi portò tanta ansia ed innumerevoli notti insonni, oltre a simboleggiare la mia trasformazione come persona e, nel contempo, il mutamento della vendita di musica. Guardandomi indietro mi sono resa conto però di essere entrata in contatto col digitale già parecchio tempo fa, ad un Amsterdam Dance Event, nei primissimi anni Duemila, quando venne presentato Beatport. Ci diedero due fogli con codici FTP per accedere a caselle dove figurava il primo cliente, la Kontor. Dissero che quello sarebbe stato il nuovo modo di vendere la musica ma c’era ancora un forte scetticismo. Come si potevano fare i rendiconti? E come si capiva cosa era stato venduto, e dove? Di incognite ne esistevano davvero tante ma non avevo timore del nuovo. Del resto in Italia ero iscritta a Vitaminic. Lavorando nel campo del digitale dal 2005, sono stata in contatto con veri esperti del settore. Helge, il mio ex capo, era ferratissimo nel campo e Denis, responsabile di Believe, lo considero un pioniere dell’era digitale. Ho seguito tantissime conferenze e resto dell’opinione che la musica sarà sempre più ridotta ad una sorta di accessorio per accedere a pubblicità e sincronizzazioni di vario genere. La musica fornisce ancora emozioni con cui le cose possono essere vendute meglio. Gli introiti più sostanziosi vengono dagli spettacoli dal vivo, adesso sospesi purtroppo a causa del coronavirus, ma è bene essere chiari: oggi puoi vivere di musica solo se sei un artista ad un certo livello.

Ritieni che Spotify stia remando a favore o contro gli artisti?
Spotify è uno dei player con cui gli artisti oggi si fanno promozione. Chi ci guadagna in primis, però, è Spotify. iTunes invece è morto, ma a dirla tutta pure durante i suoi anni migliori non ha mai rappresentato una fonte di guadagno. Se c’è una hit gli incassi ci sono ma derivano dalle fonti “tecniche” come la licenza SCF, pubblicità, SIAE e diritti connessi.

È opinione ormai comune sostenere che la creatività nella dance (in tutte le sue salse) si sia progressivamente smorzata, alimentando una lista infinita di materiale derivativo. Sei dello stesso avviso?
Per me la dance ormai è giunta al livello massimo di saturazione. Ricordo di essermi imbattuta in una statistica in merito all’esaurimento di tutte le possibili combinazioni armoniche e melodiche avvenuta nel 1999. Quindi, se quello studio fosse vero ed attendibile, come credo sia, da oltre vent’anni ascoltiamo solo ripetizioni. Forse per questa ragione Prince scrisse “1999” già nel 1982?

Raffaela Travisano e Jan Blomqvist in una foto scattata a Bari nel 2014

Di cosa ti occupi al momento?
Gestisco il management di due ragazze molto in gamba, Laurence Matte e Duchess, e curo la promozione in Italia di “Drivin Thru The Night” di Petit Biscuit, un pezzo che ha già ottenuto passaggi su Radio DeeJay, RTL 102.5 e Radio Monte Carlo. Nel contempo proseguo la collaborazione con Billboard Italia e con Jan Blomqvist che a mio avviso è davvero bravo e talentuoso.

Sei rimasta in contatto con gli artisti del roster della Wild! Entertainment?
Sono rimasta in contatto con tutti coloro che ne avevano voglia. L’anno scorso, in occasione dei DJ Awards ad Ibiza, ho rivisto Paul van Dyk: ci siamo riabbracciati dopo ben diciassette anni. Anche per lui, del resto, è stato un periodo difficile, e il nostro riavvicinamento ha chiuso finalmente il cerchio.

A sinistra la Travisano festeggia il suo compleanno con Timo Maas al Pikes di Ibiza nel 2019, a destra invece è in compagnia di John ‘Jellybean’ Benitez, Tuccillo ed Arthur Baker in una foto scattata presso l’Heart Club, sempre a Ibiza, nel 2018

Cosa pensi della trance odierna?
Ormai è diventata EDM! (risate, nda)

Ti porti dietro qualche rimpianto?
No, perché non si vive di rimpianti.

Quali errori non commetteresti più?
Non ci sono errori ma solo lezioni che impari vivendo.

(Giosuè Impellizzeri)

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