Discommenti (giugno 2023)

Autobot-1000

Autobot-1000 – 3 Dimensions Of Space (Inherent Futurism)
Finalmente qualcuno si è preso la briga di solcare questo album pubblicato nel 2001 dall’americana Hoodwink Records solo in formato CD. Si tratta di un disco scritto e arrangiato dal misterioso Douglas Patterson alias Autobot-1000 (forse un mix tra gli Autobot dei Transformers e il T-1000 della saga di Terminator?), influenzato in modo piuttosto evidente dai detroitiani Cybotron (è sufficiente ascoltare “Cosmic Techno” per fugare ogni dubbio) e dall’electrofunk (“Electro”, “Internet”), con ovvie occhiate ai Kraftwerk e Aux 88 (“3D Revolution”, “Access Denied”). Nel percorso non mancano stasi ambientali (“Tears In The Rain”) e ipotetici incontri con forme di vita aliene (“First Contact”). A rimettere in circolazione “3 Dimensions Of Space” in formato 2×12″ è la neonata Inherent Futurism guidata dal danese Morten Kamper il quale, contattato per l’occasione, spiega di aver iniziato a lavorare a questa ristampa ad agosto del 2022, dopo aver contattato James Boggs, proprietario della Hoodwink Records nonché produttore esecutivo dell’album di Autobot-1000: «a quanto ho capito, in principio Boggs aveva l’intenzione di pubblicarlo su vinile ma poi subentrarono problematiche che ne impedirono la realizzazione. L’uscita solo su CD credo lo abbia fatto passare inosservato e francamente non sono neanche sicuro che sia mai stato distribuito in maniera ufficiale, su Discogs sono in pochissimi ad averlo nella propria collezione».
La figura di Patterson è avvolta nel buio fitto: si sa che negli anni Novanta ha lavorato come ingegnere del suono occupandosi, tra le altre cose, di “Bass Magnetic” degli Aux 88. Il fatto che abbia omesso ogni dettaglio biografico per lasciare spazio totale alla musica, parimenti ai Drexciya, ha avvalorato l’ipotesi che provenga da Detroit ma sono solo supposizioni che a oggi non trovano alcuna conferma ufficiale. «Non ho mai parlato con Douglas Patterson, so che è originario della Carolina del Nord ma la sua figura è circondata dal mistero anche per me» prosegue Kamper. «Sono riuscito a portare avanti il progetto grazie a Boggs che detiene i diritti del disco in questione. Ho saputo, da una fonte piuttosto attendibile, che Patterson non produce più musica. Chissà, magari vedere “3 Dimensions Of Space” stampato su vinile per la prima volta potrebbe spronarlo a tornare in studio, mi piacerebbe tantissimo pubblicare ancora la sua musica, vedremo cosa ci riserverà il futuro». Ora l’attenzione è comprensibilmente tutta su “3 Dimensions Of Space” che in questi giorni ha raggiunto finalmente i negozi. «Dopo aver fatto una proposta a Boggs e avergli delineato la mia visione del progetto, ho cercato un distributore. Vista la collaborazione di lunga data, ho avanzato la richiesta alla Clone e Serge Verschuur ha risposto positivamente. A quel punto, potendo contare sul fondamentale sostegno del distributore, ho stipulato un contratto con Boggs. È stato un processo facile, portato avanti grazie a una buona comunicazione. Colgo l’occasione per ringraziare James per aver creduto in me e nel progetto, dimostrando entusiasmo sin dal primo momento. Ho stampato 300 copie di cui 200 nere e 100 di colore verde trasparente. Il team della Matter Of Fact, in Germania, ha svolto un lavoro impeccabile. Adesso non sto nella pelle di sapere come reagirà il pubblico. Laurent Garnier ha dato subito il suo supporto, spero sia di buon auspicio» conclude Kamper.

Teslasonic

Teslasonic – Foundation (MinimalRome)
Questa volta Gianluca Bertasi ha fatto meglio di quanto si potesse credere. Non che nei precedenti dischi non avesse dimostrato di avere stoffa, sia chiaro, ma probabilmente “Foundation” offre la prospettiva giusta per godere al meglio delle sue possibilità espressive e creative. Il capitolino resta fedelmente ancorato all’electro, genere che ormai padroneggia con maestria e competenza tecnica come testimoniano pezzi come “The Machine Age”, “Anti-Gravity Technology” e “Static Electricity” dove la presenza umana è costantemente alternata a interventi di androidi su sfondi sci-fi. Metronomizzando l’apparato ritmico con la cassa in quattro e dotandolo di melodie della Roma imperiale (“Human Galactic Empire”), l’autore finisce in una giungla di robotismi (“Trantor”) ma l’apice lo tocca con “The Frequency” dove le vocoderizzazioni del rapper Donnie Ozone ammiccano in modo chiaro a decani come Afrika Bambaataa, Egyptian Lover o Melle Mel. Il resto lo fanno bassi cyber, scratch e melodie taglienti. Un disco esplosivo come dinamite che riporta in attività MinimalRome dopo qualche anno di silenzio e che viene completato dall’incantevole artwork di Infidel e dall’ineccepibile mastering di Andrea Merlini.

Tengrams

TenGrams – The Defect Of Equality (N.O.I.A. Records)
Registrato tra gennaio e luglio 2022, questo nuovo album dei fratelli Piatto disponibile su Bandcamp attinge (con consapevolezza) dal passato per portare un messaggio nel presente e proiettarlo nel futuro. In evidenza c’è un’ampia gamma di suoni vintage ma gli autori riescono a eludere l’effetto emulativo mettendo sullo stesso binario matrici sonore diverse: da una parte conservano i riferimenti retrò (inclusa l’esperienza N.O.I.A. di cui parliamo qui), dall’altra sfumano i contorni nella modernità giocando sui contrasti. Il loro approccio non risulta mai essere passivo e pezzi come “Beginning Of The End”, “Skeleton In Furs” e “No Escape” lo testimoniano. Diverse le partnership siglate, dall’austriaco Gerhard Potuznik alias G.D. Luxxe per “Work” allo statunitense Scott Ryser degli Units per “People At War” e “Not Like Where I Came From” sino all’italiano Massimo Bastasi, voce e frontman degli Hard Ton, per “Every Time You Are Around”. In alcuni punti sembra di risentire il profumo delle migliori annate electroclash (“Money Before”) con qualche prevedibile (ma piacevole) vampata kraftwerkiana (“Outro”).

Martin Matiske

Martin Matiske – Eternal Reality (Nocta Numerica)
Nel corso del tempo Matiske, ex enfant prodige scoperto da Hell e lanciato nel 2002 su International DeeJay Gigolo quando aveva appena quindici anni, ha affinato tecnica e stile. Oggi il suo suono, più organico e maturo rispetto alle prime esperienze discografiche, si sviluppa su un continuo interscambio tra armonie, melodie e semplificazioni geometriche dei ritmi controbilanciate però da linee di basso ben ponderate. Per l’EP sulla parigina Nocta Numerica la ricetta resta invariata, mantenendo intatto nel contempo un ideale filo connettivo con la produzione donaldiana a cui si è chiaramente ispirato sin dagli esordi (e “Kotodama” ne rappresenta un buon esempio). Insieme ad “Eternal Reality” nei negozi è giunto pure “Dimension Phantasy”, sull’olandese Bordello A Parigi: l’omonimo brano, registrato nel 2008 e pubblicato nel 2012 sulla svedese Stilleben, riappare attraverso due nuovi remix di cui il più convincente è chiamato “Oh Lord!”, che ne rallenta le pulsazioni e lo reinnesta su una base in stile Savage con tanto di sezione vocale inedita a metà strada tra il romantico e il malinconico. L’autore è un francese che ha condiviso con Matiske l’esperienza in Gigolo e che ha dimostrato più volte di avere un debole per l’italo disco, Play Paul.

Rude 66

Rude 66 – Fragmented Living (Pinkman)
Ruud Lekx è tra gli eroi della scena dei Paesi Bassi, ma quella più sotterranea e antitetica al mainstream incensato nei canali generalisti. Nel corso della carriera pluridecennale è passato dai minimalismi acidi a un’electro intagliata dentro scenari gotici toccando poi sponde più melodiche e luminose e qualche deriva più cervellotica di matrice breakcore. Questo Pinkman parte dai ritmi destrutturati di “People Money (Voices In My Head)”, una sorta di break in slow motion incrociato con rintocchi industriali dall’effetto straniante, e poi prosegue sui declivi di una montagna di cocci di vetro (“If You Could Read My Mind”), e su esplosioni filo EBM (“Distance Yourself From Others”, “Maliciously Re-Animated”). Parte della tiratura è abbinata a un secondo disco, in formato 7″, su cui sono incisi altri due brani, “Maliciously Missing” ed “Have You Ever Killed A Man Before?”, a completamento di un quadro dalle tinte fosche, sinistre, a tratti drammatiche che, come recitano le note promozionali, risentono dell’influenza di Meat Beat Manifesto e Coil dei primi anni Novanta.

Adriano Canzian

Adriano Canzian – Aggressiva EP (51Beats)
A venti anni esatti dal debutto discografico (“Macho Boy”, International DeeJay Gigolo Records), Canzian continua imperterrito a costruire trame nervose e irrorare la sua musica con robuste dosi di loopismi ipnotici e marcati. Questo EP per la milanese 51Beats racchiude cinque pezzi perfettamente in linea con lo storico dell’artista di origine veneta, ritmicamente sostenuti e tutti dal piglio abrasivo – “He Wants It” e “Aggressiva” tra i meglio riusciti – con qualche sforamento in territori ravey. Il CD, disponibile in versione autografata su Bandcamp, offre spazio anche a tre bonus track: “Movida 1990” (un presumibile tributo al Movida di Jesolo, locale che l’artista – intervistato qui – frequenta da giovanissimo), “1.2.0” (reinterpretazione di “Los Niños Del Parque” dei Liaisons Dangereuses?) e “The March”: in tutte si ritrova, ben chiaro, il DNA del sound di Canzian, un multistrato di industrial, EBM e techno dall’andatura militaresca.

Manasyt vs Sam Lowry

MANASYt vs Sam Lowry – Untitled (Bunker Records)
Bulgaro trapiantato in Cina, Petar Tassev si diverte a sfidarsi in un incontro contro se stesso visto che è solo lui a celarsi dietro le quinte di MANASYt e Sam Lowry. Ancorato a uno stile in cui confluiscono in egual misura geometrismi ritmici e sequenze armoniche orrorifiche, l’artista interpreta con saggezza i difficili tempi che viviamo, funestati da problematiche di ogni tipo che fanno sembrare la rave age un’epoca lontanissima e soprattutto irripetibile. I nove brani incisi sul disco, quattro da un lato a nome MANASYt e cinque dall’altro come Sam Lowry, privi di titoli, portano per mano in una sorta di Ade, ricorrendo sia a pulsazioni ritmiche che ad arazzi gotici, transitando su ghirigori dissonanti che sembrano davvero pagare il tributo a “Minus” di Robert Hood (B1). Uscito lo scorso autunno, il disco è stato ritirato a causa di un pressaggio non perfetto e sostituito con una nuova tiratura, pare l’ultima per la Bunker Records che terminerebbe la sua corsa in modo definitivo. Val la pena ricordare però che Guy Tavares è già riuscito una volta a resuscitare dalle ceneri la sua creatura, nel 1998, quindi non sorprenderebbe se in futuro ciò avvenisse di nuovo per la gioia degli estimatori e supporter sparsi per il globo.

DJ Hell

DJ Hell – There Is No Planet Earth (Self released)
Downloadabili su Bandcamp, questi due pezzi rispecchiano bene l’estetica del DJ bavarese, tra scheletri ritmici, voci lanciate nel distorsore e una distribuzione equa tra luci e ombre. Il mood di “Planet Earth” divide qualcosa con un remix epocale del tedesco, quello realizzato nel 2002 per “Paranoid Dancer” di Johannes Heil, mentre “We Live We Die”, diffusa già nel 2021 dalla francese Zone, tratteggia il ciclo biologico umano su una base che procede per blocchi che si gonfiano e sgonfiano in una staffetta di filo acidismi.

DresselAmorosi

Dressel Amorosi – Buio In Sala (Four Flies Records)
Partita nel 2018 con “Deathmetha” su Giallo Disco, la collaborazione tra Valerio ‘Heinrich Dressel’ Lombardozzi e Federico Amorosi, ex bassista dei Goblin di Claudio Simonetti, si rinnova attraverso un pezzo pieno di suggestioni che, come recitano le note introduttive, “è la colonna sonora di un film immaginario che si rifà alla tradizione dell’horror italiano degli anni Settanta-Ottanta, un brano perso in un vortice inafferrabile di inquietudine, sogno e avventura”. La versione principale fa tesoro della lezione di John Carpenter e vede crescere la tensione nelle tenebre di una sala cinematografica vuota, forse abbandonata, in un’ambientazione che appartiene a una realtà fuori da tempo e spazio. L’atmosfera viene poi arricchita in due ulteriori rivisitazioni, la Blu, realizzata dal Maestro Fabio Frizzi e il chitarrista Riccardo Rocchi, aggiunge ulteriori sfumature al senso dell’oscurità, mentre dalla Rossa di L.U.C.A. alias Francesco De Bellis (affiancato da Eugenio Bonaccorso e Polysick), emerge una brillante componente ritmica incorniciata da una serie di effettistica singhiozzante che alimenta il pathos. “Buio In Sala”, disponibile solo in formato liquido, preannuncia l’uscita di un 7″ previsto per settembre a cui in seguito si aggiungerà pure un album.

Debonaire

Debonaire – Badass EP (Fdb Recordings)
Gradito ritorno per Claudio Barrella alias Debonaire, italiano trapiantato negli States e tra i principali fautori del Miami Bass. A tenere insieme i quattro pezzi dell’extended play sono infiniti riferimenti old school hip hop, freestyle ed electrofunk incollati a un meticoloso lavoro di sampledelia che spinge l’ascoltatore a un continuo tuffo nel passato. Nel serrato cut-up non mancano gli scratch degni di una riuscita performance al DMC, ulteriore tag audio di un mondo sonico che non è mai tramontato del tutto e per il quale l’autore rivela una passione unica, vigorosa ed esuberante. Si passa dalla vivace “He Is The Master” (nell’impasto si riconosce subito “Boogie Down (Bronx)” di Man Parrish) al reprise di “Badass” dove fa capolino lo sferragliare meccanico di “Trans-Europe Express” dei Kraftwerk in un quadro parecchio chemical beat, da “You Feel Me Now”, un altro cocktail micidiale di rimandi storici da b-boy e ghettoblaster, a “Computer Program” dove il perimetro è segnato dai vocal di “Mean Machine Chant” dei Last Poets intrecciati a robotismi programmati insieme a James McCauley dei Maggotron. Il tutto coronato dallo splendido artwork a firma Julien Dumaine.

(Giosuè Impellizzeri)

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N.O.I.A. – The Rule To Survive (Looking For Love) (Italian Records)

N.O.I.A. - The Rule To Survive (Looking For Love)Cervia, 1978. Bruno Magnani e Davide Piatto fondano i N.O.I.A., uno dei primi gruppi italiani a rivelarsi come punto di incontro e vicendevole scambio tra meccanicismo sintetico e vocalità new wave, capace di generare un suono-meticciato tra Kraftwerk e Devo. Insieme a loro, sino al 1983, quando la band è tendenzialmente attiva solo sul fronte live, ci sono Giorgio Giannini, Jacopo Bianchetti e Giorgio Facciani, ma nel momento in cui Oderso Rubini li mette sotto contratto con l’Italian Records cambia tutto. La propensione ad esibirsi dal vivo viene meno, sostituita dal lavoro in studio. La musica dei Talking Heads, Ultravox, Can e Neu! forgia il gusto dei romagnoli che si spingono avanti sino a lambire sponde no wave e proto house.

«Iniziammo nel ’78 quando non eravamo altro che punk diciassettenni» ricorda oggi Magnani. «La tecnica non era importante anzi, allora si scoprì che l’assenza di questa non precludeva il fatto di poter scrivere bei pezzi. Ciò che rammento principalmente dei primi tempi è che ad ogni nostra esibizione si scatenava una rissa nel pubblico, tra quelli che ci amavano e quelli che, al contrario, ci odiavano. Non esistevano mezze misure. Le spillette con su il messaggio “Energia nucleare? Sì grazie!” che tiravamo sulla gente contribuivano a far crescere quello strano mix tra amore ed odio. Come nome artistico optammo per la sigla N.O.I.A. che poteva rappresentare ben 125 significati diversi, ai tempi conosciuti ma tenuti segreti, oggi banalmente dimenticati. Ricordo però che in parecchie di quelle 125 permutazioni la “A” stava per “Automazione”. La formazione a cinque elementi era molto più efficace dal vivo, quando rimanemmo in tre (Magnani, Piatto e Giannini, nda) invece privilegiammo troppo il lavoro in studio e smettemmo quasi del tutto l’attività live. I due che uscirono, peraltro, erano quelli fisicamente più belli e che facevano la loro figura, quindi a posteriori direi che fu un errore ridimensionarci».

N.O.I.A. (2)

Una foto scattata presumibilmente nel 1979 in occasione di un’esibizione dei N.O.I.A. alla Nuite Blanche di Cesenatico. Da sinistra: la ballerina Sara, un amico che non faceva parte del gruppo, il chitarrista Jacopo Bianchetti, Giorgio Giannini, Marino Sutera in tuta blu con uno strumento autocostruito chiamato Noiatron, Davide Piatto e Bruno Magnani.

Nel 1981 i N.O.I.A. sono sul palco della rassegna “Electra1 – Festival Per I Fantasmi Del Futuro” organizzata a Bologna. Lì li vede (e sente) Oderso Rubini che li porta all’Italian Records, nata dalle ceneri della Harpo’s Music. Da quel momento le priorità cambiano, prima del suonare live c’è il voler incidere dischi, avvalendosi pure di strumenti elettronici che ai tempi sono spesso oggetto di demonizzazione negli ambienti del pop/rock tradizionale. «Ad onor del vero avremmo voluto incidere dischi anche prima ma preferimmo rifiutare le proposte di etichette microscopiche ed aspettare l’occasione giusta» spiega Magnani. «Ai tempi era tutto analogico, le autoproduzioni erano piuttosto scadenti e per allestire o prendere a nolo gli studi di registrazione professionali occorreva molto denaro. Ci voleva assolutamente una casa discografica. Per l’utente medio l’uso di apparecchiature elettroniche era qualcosa che riguardava nello specifico la musica disco. Il grande pubblico, soprattutto nelle esibizioni live, continuava ad aspettarsi batteristi tradizionali ed assoli di chitarra distorta».

N.O.I.A. (3)

Davide Piatto immortalato nel 1982 durante una delle session casalinghe di Klein & MBO mentre armeggia con un sintetizzatore Roland SH-1 ed una batteria elettronica Roland TR-808

È proprio con una chitarra ed una Roland TR-808 che Davide Piatto contribuisce significativamente alla realizzazione di uno dei brani considerati seminali per la house music di Chicago, “Dirty Talk” di Klein & MBO, seppur il suo lavoro non venga ufficialmente riconosciuto attraverso i credit in copertina, come già ampiamente descritto in questo reportage di qualche anno fa con la sua testimonianza esclusiva. «In quel periodo Davide era parecchio prolifico e scrisse moltissime basi» ricorda Magnani a tal proposito. «Su una cassetta che mi diede c’erano sia la base di quella che sarebbe diventata la nostra “The Rule To Survive (Looking For Love)”, sia quella che invece si sarebbe trasformata in “Dirty Talk”. A noi piacque di più la prima».

Il singolo di debutto dei N.O.I.A. è proprio “The Rule To Survive (Looking For Love)”, pubblicato nei primi mesi del 1983. Nonostante venga fatto confluire convenzionalmente nell’italo disco, il brano si muove in realtà lungo coordinate diverse, più aderenti alla new wave abbinate ad una carica ritmica definibile proto house, la stessa che caratterizza la citata “Dirty Talk” e un altro evergreen prodotto in Italia quello stesso anno, “Problèmes D’Amour” del toscano Alexander Robotnick (di cui abbiamo parlato qui) che coi N.O.I.A., peraltro, divide la passione per il rock alternativo, il punk ed una certa elettronica anti mainstream. Sul lato b trova invece spazio “Night Is Made For Love”, dall’impronta nettamente funk. I crediti rivelano che il disco viene registrato presso lo Studio T2 di Bologna ma mixato da Tony Carrasco al Regson Studio di Milano. Emergono inoltre altri nomi (Massimo Sutera al basso, Cesare Collina dei Key Tronics Ensemble alle percussioni, Luca Orioli al sintetizzatore, Joanna Maloney e Lita Munich come coriste) e ciò lascia pensare ad un lavoro di gruppo orchestrato da Oderso Rubini. Sulla copertina finiscono invece due ragazze, Alessandra e Carolina. «I nostri dischi hanno sempre avuto una realizzazione un po’ travagliata» spiega Magnani. «I demo erano piuttosto minimali a base di Roland TR-808 e Roland SH-1. Per avere un’idea di ciò basta ascoltare la prima versione di “The Rule To Survive (Looking For Love)” finita nella compilation “The Sound Of Love EP – Released & Unreleased Classics 1983-87” edita dalla Spittle Depandance nel 2012. Per l’incisione definitiva del pezzo andammo con Rubini allo studio T2 di Bologna. Fu proprio lo stesso Rubini a coinvolgere Luca Orioli come tastierista, visto che disponeva di parecchi sintetizzatori e sequencer che avrebbero reso le nostre sonorità meno minimali. Ai tempi Orioli lavorava già con sequencer MIDI, protocollo che per noi invece era un’assoluta novità. Sino a quel momento infatti lavoravamo ancora con CV/gate per controllare i nostri strumenti. Per le parti di basso e percussioni “umane” contattammo due nostri amici di Cervia, Cesare Collina e Massimo Sutera. Quest’ultimo aveva suonato con me in un gruppo formato ai tempi delle scuole medie, quando facevamo persino le serate di liscio negli alberghi, durante l’estate. In seguito è diventato un rinomato batterista professionista. A lavoro ultimato però non fummo soddisfatti del mixaggio fatto al T2 e così ci rivolgemmo al milanese Regson. A quel punto Rubini ci chiese di coinvolgere Tony Carrasco, col quale Davide aveva già collaborato per “Dirty Talk”. Per la realizzazione di “Night Is Made For Love”, invece, Oderso contattò delle coriste. Tra gli strumenti che usammo ricordo il Prophet-5 di Luca Orioli. Effettivamente il brano aveva un’impronta più funk rispetto a quello inciso sul lato opposto, ma secondo me era un carattere distintivo che traspariva un po’ dappertutto nei nostri pezzi, anche in quelli più rigorosamente elettronici. “The Rule To Survive (Looking For Love)” venne licenziato anche all’estero, tra Paesi Bassi, Germania e Stati Uniti. Se ben ricordo vendette 12.000 copie, ma non mi pare che l’etichetta attuò qualche strategia promozionale per raggiungere tale esito. Il follow-up, uscito qualche mese più tardi, era “Stranger In A Strange Land” e riprendeva lo stile del precedente ma questo non bastò a garantirci lo stesso risultato. Le vendite infatti furono un po’ più basse, e in linea generale ogni nuovo disco dei N.O.I.A. vendette sempre un po’ meno del precedente. Tuttavia ricordo “Stranger In A Strange Land” con molto piacere perché quella volta Luca Orioli portò in studio il Bass Line Roland TB-303, strumento che non conoscevamo nonostante fossimo fissati con la Roland. Fu amore a prima vista e lo utilizzammo subito, praticamente in tutto il pezzo. Per la ricerca di un suono più “pesante” invece, doppiammo il rullante della TR-808 con quello di una batteria vera».

N.O.I.A. (1)

Una foto estratta dal servizio fotografico realizzato nel 1984 per la promozione del singolo “Do You Wanna Dance?” La donna è una modella di cui non sono note le generalità, seduto è Giorgio Giannini, dietro di lui Bruno Magnani e a destra Davide Piatto.

Dopo “Do You Wanna Dance?”, ispirato nella parte rap da “The Message” di Grandmaster Flash & The Furious Five, nel 1984 i N.O.I.A. incidono sia il Mini-Album “The Sound Of Love”, aperto dal brano omonimo venato ancora di funk e contenente una parodistica citazione vocale di “I Got My Mind Made Made Up” degli Instant Funk, sia il 12″ “True Love”, proiettato su echi moroderiani. Il poco che esce tra 1985 e 1988, appena tre singoli, allontanerà progressivamente la band romagnola dalle atmosfere di partenza. “Try And See” del 1985, l’ultimo su Italian Records, risente in modo evidente del lato più cheesy dell’italo disco che ormai esplode a livello commerciale, “Umbaraumba” del 1987, su Rose Rosse Records, contribuisce ulteriormente a prendere le distanze con una formula synth pop, mentre “Summertime Blues” del 1988, su CBS, cover dell’omonimo di Eddie Cochran e prodotto da Jay Burnett, accantona i suoni elettronici a favore delle chitarre elettriche. L’attenzione di Piatto (che nel contempo inizia l’avventura Rebels Without A Cause con Luca Lonardo, Carlo Lastrucci e Filippo Lucchi, prodotti dal giornalista Claudio Sorge) e Magnani insomma pare spostarsi in direzione di lidi musicali differenti. «Muoverci verso pezzi più “commerciali” fu una scelta indotta un po’ dalla casa discografica ma anche da noi stessi» spiega Magnani. «Non ci sarebbe dispiaciuto guadagnare qualcosa, ma col senno di poi ammetto che quasi sicuramente avremmo incassato di più rimanendo fedeli al sound iniziale e magari proseguendo ad esibirci dal vivo. Le vendite, invece, continuarono a calare e ciò spiega la ragione per cui dedicammo sempre meno tempo ai N.O.I.A. ed alcuni di noi crearono nuovi gruppi».

N.O.I.A. - Unreleased Classics '78-'82

La copertina di “Unreleased Classics ’78-’82”, il disco edito dalla Ersatz Audio che nel 2003 riporta in attività i N.O.I.A. dopo quindici anni di silenzio

Dopo “Summertime Blues”, infatti, dei N.O.I.A. si perdono le tracce. Il silenzio è rotto solo quindici anni più tardi, nel 2003, quando la Ersatz Audio, etichetta fondata e gestita dagli ADULT., pubblica “Unreleased Classics ’78-’82”, una raccolta di inediti rimasti nel cassetto per un arco lunghissimo di tempo. «Praticamente tutta la parte iniziale della nostra produzione, che andava dal 1978 al 1982, non era mai stata pubblicata, ed era davvero molto differente da ciò che invece emerse poi dalla discografia» racconta ancora Magnani. «Con l’Italian Records avevamo sempre pubblicato pezzi nuovi senza mai attingere dall’archivio. A me invece sarebbe piaciuto molto vedere stampate quelle vecchie tracce esattamente com’erano state concepite, utilizzando gli stessi strumenti e il medesimo hardware. Principalmente l’equipment era composto da drum machine Roland CR-78, Boss DR-55 e Korg KR-33, sintetizzatori Roland SH-1 e Korg M500 SP, una chitarra elettrica filtrata da un Electro Harmonix Micro Synth (quest’ultimo citato nel testo di “Korova Milk Bar”, nda) e davvero poco altro. Registrammo e mixammo i pezzi nel nostro studio con l’intento di autoprodurci il disco ma alla fine accantonammo tutto». Quando la Ersatz Audio di Detroit riabilita il nome e la musica dei N.O.I.A., nel progetto figura anche il fratello minore di Davide Piatto, Alessandro, che aggiunge: «Nel 2000 spedii una decina di CD ad altrettante etichette che mi sembravano stilisticamente in linea con quanto avevamo approntato. L’unico a rispondere, ma solo molti mesi dopo, fu Adam Lee Miller degli ADULT., che conosceva già i N.O.I.A. e ci propose subito di pubblicare l’album, ma escludendo dalla tracklist due brani, “Europe”, forse per questioni politiche legate al testo, ed “Italian Robots”. Non esitammo. Tutti i pezzi finiti in “Unreleased Classics ’78-’82”, come diceva Bruno, furono composti prima di firmare il contratto con l’Italian Records. L’unico ad essere stato già pubblicato era “Hunger In The East” che finì, insieme all’esclusa “Europe”, nella compilation “Rocker ’80” edita dalla EMI nel 1980 per l’appunto. Era il premio per aver vinto il 1º Festival Rock Italiano, svoltosi a Roma».

N.O.I.A. (4)

I N.O.I.A. (da sinistra Jacopo Bianchetti, Bruno Magnani, la ballerina Sara e Davide Piatto) sul palco della prima edizione del Festival Rock, a Roma, tra 1979 e 1980.

Nel 2006, quando l’interesse per la musica del passato continua ad intensificarsi, la Irma Records realizza la raccolta “Confuzed Disco” per celebrare l’epopea dell’Italian Records. Dentro finiscono, ovviamente, pure i N.O.I.A., riportati in superficie anche attraverso nuove versioni commissionate a produttori contemporanei come Fabrizio Mammarella e Franz & Shape che mettono rispettivamente le mani su “Do You Wanna Dance” e “Stranger In A Strange Land”. Sono gli anni in cui, dopo l’esplosione massiva dell’electroclash, cresce l’attenzione per tutto ciò che è retrò o suona intenzionalmente tale. Centinaia di curatori animati dalla voglia di riscoprire (o scoprire per la prima volta) suoni del passato danno avvio alla stagione, tuttora in corso, delle ristampe. Per i N.O.I.A. ciò porta, oltre al citato best of della Spittle Depandance, “A.I.O.N.”, edito nel 2016 da J.A.M. Traxx e fondato su una serie di rework e remix (tra cui quelli di The Hacker ed Hard Ton) di tracce precedentemente su Ersatz Audio. L’attenzione per il passato è continua ed incessante, alimentata da una storia ormai pluriquarantennale che pare aver messo all’angolo la musica contemporanea che vende sempre meno delle ristampe. «Credo che in circolazione ci sia molta musica nuova interessante ma ad essere cambiato (in peggio) è il rapporto col pubblico, e questo disorienta e non incoraggia gli artisti ad esprimere le loro potenzialità, se non replicando qualcosa che abbia già funzionato, alla ricerca di una gratificazione immediata» dice a tal proposito Alessandro Piatto. «In merito alla “Confuzed Disco” invece, non fummo coinvolti se non per una sorta di party di lancio a Bologna. Cercai di mettermi in contatto con l’A&R della Mantra Vibes (Marco ‘Peedoo’ Gallerani, nda) ma non fu interessato a collaborare con noi. In genere tutte le volte che ho proposto a varie label di pubblicare cose nuove non c’è stato alcun interesse, e questo si ripete dal 2000 ad oggi. Probabilmente ciò dipende dal feticismo del passato e dall’idea che i brani di quel periodo siano una sorta di evergreen e non usa e getta come gran parte delle produzioni contemporanee».

The Rule To Survive (31th Anniversary)

La copertina del 12″ pubblicato dalla N.O.I.A. Records che nel 2014 celebra i trentuno anni di “The Rule To Survive” attraverso inedite versioni remix

Nel 2008 nasce la N.O.I.A. Records che, dopo qualche anno trascorso in balia di sole pubblicazioni digitali, si reinventa iniziando un nuovo corso con inedite versioni di “The Rule To Survive”. Per celebrare i trentuno anni dall’uscita, nel 2014 sul mercato giungono i remix di Prins Thomas, Baldelli & Dionigi e Kirk Degiorgio. Seguono una manciata di release di Francesco Farias dei Jestofunk, quelle dei TenGrams (nuovo progetto-tandem dei fratelli Piatto) ed ovviamente dei N.O.I.A. che tornano nel 2018 con “Forbidden Planet” contenente i remix di Francisco ed Ali Renault. «La N.O.I.A. Records, purtroppo, ha subito una serie di diverse problematiche» spiega Piatto. «La prima, in ordine di importanza, è stata causata dalla mia incapacità di renderla “hype” o comunque sufficientemente interessante per conquistare una base di fan che garantisca un minimo di vendite per la gestione ordinaria del catalogo. Dal punto di vista economico, la pubblicazione in vinile è stata piuttosto fallimentare e i rapporti coi distributori si sono rivelati complessi e svantaggiosi. In questo contesto il tempo che riesco a dedicare ad essa è poco e non riuscendo a promuoverla con performance tipo DJ set o live, la label rimane ai margini. Ad oggi comunque sono programmate delle nuove uscite di artisti reclutati recentemente. Usciranno in digitale su Bandcamp e forse qualche vinile di TenGrams. Anche in questo caso, comunque, non mi reputo un buon A&R e fare marketing non è proprio il mio mestiere. Per quanto riguarda invece i nuovi brani dei N.O.I.A., il materiale c’è ma il tempo per finalizzarlo è poco e, per eccesso di autocritica, facciamo fatica a dire “ok, questo è buono, partiamo!”. Personalmente per certi versi sento la mancanza di una figura nella produzione, come era quella di Oderso Rubini negli anni Ottanta. L’ultimo pezzo dei N.O.I.A. è stato “Morning Bells”, una vecchia traccia persa nel tempo realizzata in collaborazione col fantomatico Rubicon, della quale si è ritrovata solo la versione dell’olandese Rude 66. Proprio Rubicon la ha proposta a Timothy J. Fairplay che ha ritenuto fosse idonea per la pubblicazione sulla Crimes Of The Future. Oggi i N.O.I.A. sono quelli di ieri ma con trentacinque anni in più».

Non è mistero che adesso la scena indipendente soffra un periodo di magra forse senza precedenti. Se da un lato un certo mainstream che cavalca la moda dei “DJ star” nuota letteralmente nel denaro, dall’altro piccoli artisti ed altrettanto piccole etichette, legate ancora ad una sorta di artigianato, arrancano non poco. Le piattaforme di streaming come Spotify, a cui alcuni attribuiscono forse immeritatamente il ruolo di “salvatrici della musica” dopo la disintegrazione dei supporti fisici, in realtà sembrano più palliativi, specialmente per coloro che non contano su fanbase di una certa consistenza. Visti i presupposti, è lecito domandarsi se i tempi che verranno riusciranno a creare e forgiare personalità forti almeno quanto quelle delle decadi trascorse. «Alle condizioni attuali credo che quel che è successo nel passato non possa più essere replicato» afferma sentenzioso Alessandro Piatto. «Ciò che succederà in futuro invece è davvero un mistero vista la continua evoluzione del modo di percepire e fruire la musica. Adesso convivono artisti a me sconosciuti, che collezionano milioni di visualizzazioni e streaming, con altri, in teoria molto popolari, che però non riescono a superare poche centinaia di play sul web. Ogni volta che affronto il discorso mi viene puntualmente ricordato che è necessario creare il cosiddetto “engagement”, ossia coltivare relazioni e collaborazioni strategiche. Insomma, un sacco di roba che divide ben poco con la musica e molto col peggio della vecchia industria discografica. Qualche settimana fa, girovagando su YouTube, sono finito su canali di artisti synthwave e retrowave con numerosissime visualizzazioni e musica assolutamente dozzinale seppur molto ben confezionata. Un altro mondo che sembra essere più funzionale rispetto alle trecento copie in vinile che tanti oggi consacrano come successo. Chi ne capisce qualcosa è davvero bravo! Personalmente ho compreso che vale tutto e non ci sono più regole certe. I miei video, ad esempio, non superano le poche centinaia di visualizzazioni nonostante abbia almeno un paio di migliaia di fan sui social. Da qualche parte sbaglio, dove non l’ho ancora capito o forse sì, magari anche troppo».(Giosuè Impellizzeri)

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