JP Energy – DJ chart ottobre 1997

JP Energy, Trend, ottobre 1997


DJ: JP Energy
Fonte: Trend Discotec
Data: ottobre 1997

1) Placid Angles ‎- The Cry
Primo album che John Beltran incide sotto le sembianze di Placid Angles, “The Cry” si sviluppa su un itinerario pieno di dilatazioni IDM ed ambientali ed invita l’ascoltatore ad entrare in un mondo sonico assai peculiare, fatto di movimenti contorti e sezioni melodiche scomposte. Dalle seducenti “Ocean” e “Fate” alla nodosa “Casting Shadows (On Warm Sundays)”, dalle sognanti “Now And Always” e “Decembers Tragedy” alla riposante “Lavinia” passando per la malinconica “Everything Under The Sun” e i guizzi technofoni di “Scarlett Season” ed “Her Elements”. Quello di Beltran, immerso in una strana formula alchemica in cui frenesia e placidità vengono messe in contrasto, è un lavoro che va ben oltre le classiche esigenze del disco da dancefloor destinato ai soli DJ, e non certamente a caso la Peacefrog Records lo commercializza anche in formato CD.

2) Mr. James Barth ‎- High Society
Lo svedese Cari Lekebusch firma questo 12″ con uno dei suoi molteplici alias, Mr. James Barth. “Workin’ The Truth” è un anello di house loopistica venata da severe scie melodiche kraftwerkiane, “Hold Still” è un azzeccato reprise di “Everybody Hold Still” di Grace Jones, con tutto l’apparato vocale processato nel vocoder. Il lato a è occupato per intero da “Smooth Talkin'”, dub cosmico rallentato dalle tinte fosche e profusione di suoni cristallini. Il tutto sull’indimenticata Svek di Stoccolma che pubblica il disco anche in formato CD, oggi particolarmente ricercato dai collezionisti.

3) Notturno – The After Hours EP
Dietro Notturno armeggia un tal Nicola Johnston che all’attivo ha una manciata di EP editi dalla britannica Melt Records di York. Il primo dei due è proprio “The After Hours” in cui l’artista fa sfoggio della capacità di dare ad un suono ubicato tra house e techno un indirizzo onirico, e questo probabilmente ha a che fare col moniker scelto per la breve esperienza in ambito discografico. “She’s So Groovy”, col bassline a stantuffo tenuto a bada da un celestiale pad, e “Need Some”, messo a bagno in una mistura dreamy, sono i pezzi dell’extended play che meglio risaltano, ma degna di menzione è pure la lunga “She Loves That Kind Of Thing”, deep house quasi sussurrata e dalle venature trancey. Musica notturna che non fa baccano ma che tiene svegli.

4) Saints & Sinners ‎- Peace
Il duo Saints & Sinners debutta nel ’97 sulla tedesca Sounds Good Records con questo disco che prova ad aprire un nuovo scenario e ridefinire il concetto di house music lanciando evidenti occhiate a retaggi trance. Non c’è nessuna euforia però, il risultato è qualcosa che oltremanica chiamano progressive e che conosce gloria tra la fine degli anni anni Novanta e i primi Duemila con artisti tipo Sasha, John Digweed e Steve Lawler. Alle due versioni di “Night On Earth” che dà il titolo al disco si aggiunge “Peace”, escursione da cui affiorano forme ritmiche appena accennate ed una fioritura armonica evocatrice di un mondo senza tempo, l’embrione di una cellula sonora che vedrà un’evoluzione grazie a talenti come James Holden, Nathan Fake, Gui Boratto o Dominik Eulberg. Proprio “Peace” conoscerà una seconda giovinezza qualche anno dopo attraverso una serie di remix firmati, tra gli altri, da Oliver Lieb e Michael Woods.

5) John Tejada – 12 Volts Of Soft Spread
Instancabile ed iperprolifico, Tejada incide dischi sin dai primi anni Novanta bilanciando minimalismo post millsiano a micro impalcature melodiche. In tal senso il brano che apre il disco su Palette Recordings, “Soft Spread”, risulta particolarmente esplicativo attraverso zigzaganti scie che tagliano l’intricato campo percussivo, e lo stesso avviene in “Begin” con le sue strutture ritmiche elementari prive di orpelli da cui si innalza un’esplosione di vitalità attraverso il turbinio di ipnotici accordi. Nettamente più intrippata “Spider Belly”, spoglia ed essenziale come l’ondata innescata da Hawtin circa un decennio più tardi.

6) Trybet – Nautical One
Formato da Aric Rist e Mike Parker, il duo statunitense dei Trybet si muove per qualche anno nel segmento techno. L’ultimo EP inciso per la Geophone dello stesso Parker è proprio “Nautical”, composto da due versioni: “Nautical One” sale in progressione in una spirale vagamente goana riprendendo fiato grazie ad un paio di break, “Nautical Two” non si allontana dalle medesime coordinate ed offre una più convincente parentesi acid. Nel 2016 entrambi i brani vengono rimessi in circolazione in formato digitale attraverso i remaster di Adam Jay e due anni più tardi, a sorpresa, giunge pure un inedito, “Shinjugai”, realizzato nel 1996 ma rimasto chiuso nel cassetto per oltre un ventennio.

7) Bleep – Mr. Barth In The Sahara
Geir Jenssen utilizza lo pseudonimo Bleep tra 1989 e 1990 per firmare un album ed alcuni 12″, tutti per la belga SSR Records. Tra questi c’è “The Launchpad” che sul lato b annovera “Mr. Barth In The Sahara” in cui, per poco più di tre minuti, il norvegese incastra con dovizia ammalianti arpeggi sfilacciati in filamenti che rammentano il cinguettio tipico dell’acid in un telaio ritmico che infonde al tutto potenza, forza ed energia quasi al punto di esplodere. Da lì a poco l’artista nativo di Tromsø sveste i panni di Bleep per inaugurare una nuova fase della carriera marchiata col moniker Biosphere ed illuminata da un successo di proporzioni mondiali, “Novelty Waves”, estratto dall’album “Patashnik” e scelto dalla Levi’s per sincronizzare un noto spot televisivo.

8) Graham Gouldman – Animalympics
L’LP del britannico Graham Gouldman affonda le radici nel rock, anche con approcci un po’ mielosi (“Away From It All”, “Love’s Not For Me”, “We’ve Made It To The Top”). A smuovere la prevedibilità è “Go For It”, con derive disco socciane e per cui l’autore mette in risalto le virtù di bassista, ma soprattutto “Bionic Boar”, penultimo brano del lato b in cui pare rivolgersi alla tecnologia in cerca di ispirazione e dove tutto assume tinte più futuriste, seppur soltanto per poco più di tre minuti, occhieggiando a Yellow Magic Orchestra, Gary Numan e John Foxx. Non è chiara la ragione per cui nella chart il titolo sia stato italianizzato ne “Le Olimpiadi Degli Animali” e ad oggi pare non esista neppure una versione nostrana di questo album targato 1980.

9) Logan – Afterhours
Meglio noto come Gallen, negli anni Novanta Regis Weber firma Logan una manciata di EP tra cui “Two Parts Of Our Lives” sulla tedesca VooDoo Records. All’interno trova alloggio la traccia “Afterhours”, ascensione techno spirituale con rimandi ad Underground Resistance dai beat rigidamente definiti, una ridotta gamma cromatica ed un saliscendi di chord a strappo incrociati alla dolcezza di pad che fluttuano come in assenza di gravità e dolci come pasta di zucchero.

10) Craig Leon – Nommos
Nato in Florida nel ’52, a poco più di vent’anni Leon si trasferisce a New York dove inizia a lavorare per la Sire occupandosi di band come Ramones, Blondie e Suicide. Nel 1981, forte dell’esperienza accumulata, si cimenta in un LP, “Nommos”, destinato alla Takoma, che manda in orbita un suono in cui sperimenta tecniche nuove prendendo la world music facendola transitare nei circuiti di sintetizzatori modulari per ricavarne qualcosa di piacevolmente surreale. Ritmi africani elettrificati, placidità ambientale futurizzata, onde tonali che si infrangono su muri di percussioni flangerizzate: “Nommos” scruta nel futuro e lo rende palpabile specialmente nella lunga “Four Eyes To See The Afterlife”, oltre tredici minuti di galleggiamento spaziale che offre nuove prospettive alle visioni new age di Eno, Roedelius o Grosskopf. Diventato a posteriori un cult, viene ristampato nel 2013 dalla Superior Viaduct di San Francisco.

(Giosuè Impellizzeri)

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