Discommenti (settembre 2023)

Hyperstellar - Polaris EP

Hyperstellar – Polaris EP (The DJ Hell Experience)
Ruben Benabou, parigino, è l’artista che si cela dietro lo pseudonimo Hyperstellar. Attratto tanto dalle atmosfere delle colonne sonore quanto dalle potenzialità di generi come electro e techno, catalizza l’attenzione di Gerald Donald che lo vuole nel collettivo Daughter Produkt. Adesso dalla sua parte vanta un altro veterano della club culture, DJ Hell (a proposito, concedete un ascolto al recente remix realizzato per “Be A Queen” di Miss Djax), il quale lo precetta per la sua nuova etichetta che ha raccolto il testimone dell’International Deejay Gigolo a cui spetta comunque una citazione sull’artwork. Due i pezzi dell’EP: “Sibyl”, sintesi perfetta degli interessi musicali del transalpino, con ritmo e pathos, euforia e fase REM, e “Polaris”, naturale continuum di “Monarchy”, finita in una compilation della Zone nel 2021, un zigzagare verso l’ignoto in mezzo a filigrane low-fi che lasciano piombare l’ascoltatore in un pozzo apparentemente senza fondo, risucchiato dalle tenebre e da arabeschi armonici. Una doppietta che fa tesoro della lezione impartita dai decani della scena francese (David Carretta, The Hacker, Vitalic, Kiko, Arnaud Rebotini, giusto per citarne alcuni) e che nel contempo si proietta nel presente con assonanze a Gesaffelstein.

Tobor Experiment – Available Forms

Tobor Experiment – Available Forms (Bearfunk)
È stato necessario aspettare dodici anni per disporre del seguito di “Tobor Experiment Disco Experience” ma l’attesa è ampiamente ripagata. Supportato ancora dalla londinese Bearfunk di Stevie Kotey, il sound designer Giorgio Sancristoforo prosegue quindi il viaggio incantato immergendosi in pozioni alchemiche di musica fusion, exotica, easy listening e jazz psichedelico. Nove i brani della tracklist in cui mette magistralmente a punto i suoi distillati sonori, tutti saltati fuori da ipotetiche sonorizzazioni per pellicole di epoca space age. Spazio anche a una cover, “Halgatron” del compianto Detto Mariano, originariamente solcata sul lato b del 7″ con la sigla di “Jeeg Robot”. La visione retrofuturistica è il motore del disco e questo lo si evince anche dalla copertina e dal packaging (in formato gatefold) graficamente ineccepibile e comprendente un booklet di otto pagine: l’impatto visivo generato è pari a quello sonoro. Un balzo temporale indietro di cinquant’anni, per tornare a immaginare il futuro così come lo si sognava un tempo, provando un piacevole brivido emozionale.

Christian Gleinser - With A Different Eye EP

Christian Gleinser – With A Different Eye EP (Rapid Eye Movement)
Probabilmente nessuno tra coloro che incidevano musica nei primi anni Duemila avrebbe scommesso un solo centesimo bucato sulla possibilità che un giorno i propri dischi sarebbero stati rivalutati e ristampati per la generazione successiva. Analogamente a quanto avvenuto coi pezzi meno noti degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, anche quelli usciti a inizio millennio si stanno quindi lentamente trasformando da inutilità vendute per una manciata di spiccioli in rarità o addirittura “must have” proprio come le produzioni di Christian Gleinser. Attivo nei primi anni del nuovo secolo nel duo Nitsch & Gleinser insieme all’amico Daniel Nitsch e artefice di un suono meticcio tra electro, techno, chiptune e synth pop che spopolò trainato dal boom dell’electroclash, il tedesco, ormai inattivo nel frangente musicale, vede risorgere due tracce della sua prima apparizione da solista (“Look Into My Eye EP”, Superfancy Recordings, 2004). Da “Lies” e “Labyrinth” riaffiorano elementi classici per gli anni più rosei di quello che fu dipinto come neo pop: bassline arpeggiate e in ottava, melodie composte in preda alla nostalgia da Commodore 64, Atari VCS 2600 o Amiga 500 e voci vocoderizzate. Il lato b accoglie invece due inediti prodotti tra 2002 e 2005, “The Time Is Coming” e “Constant Transience”, attraverso cui l’artista dimostra ancora una volta di avere un particolare feeling col sid style. A coordinare l’operazione è la neonata Rapid Eye Movement di Jacopo, già al lavoro sulla seconda uscita, la riedizione di un EP diffuso solo su CD in un limitatissimo numero di esemplari.

Heinrich Mueller - False Vacuum Vol 2

Heinrich Mueller – False Vacuum Vol 2 (WéMè Records)
A distanza di cinque anni esatti la belga WéMè Records dà alle stampe il secondo capitolo riepilogativo sull’attività da remixer di Gerald Donald, presenza statuaria dell’electro di Detroit. Ultradyne, Cisco Ferreira, Jauzas The Shining & Victoria Lukas, Albert Van Abbe, Duplex, Fasenuova, The Exaltics, l’italiano 6D22 alias Giorgio Luceri: sono solo alcuni degli artisti che l’enigmatico artista ha rimaneggiato nel suo studio-laboratorio, infondendo costantemente una dose di astrazione mista a divagazioni scientifiche. Un compendio essenziale, impreziosito ulteriormente da tre pezzi solcati per la prima volta su vinile, per i supporter di Donald che, è bene ricordarlo, operò insieme al compianto James Stinson dietro le quinte dei Drexciya e che nel corso di un trentennio si è reinventato più volte coniando progetti destinati a marchiare a fondo la storia dell’electro contemporanea (Arpanet, Dopplereffekt, Japanese Telecom, Xor Gate…). Parte della tiratura è su vinile turchese disponibile sul sito dell’etichetta.

Cristalli Liquidi & Deux Control - Rosso Carnale

Cristalli Liquidi & Deux Control – Rosso Carnale (Artifact)
Per il ritorno del progetto Cristalli Liquidi, assente dai radar da circa un triennio, Bottin (intervistato qui) continua a trasformare funambolicamente musiche del passato riadattandole su nuove matrici. Ora tocca a “Fiore Rosso Carnale” di Annie Pascal, scritto da Pasquale Panella e musicato da Enrico Fusco, modificarsi in un pezzo italo disco intriso di malinconia, quella stessa malinconia che contrassegnò gran parte della dance nostrana nel primo lustro degli Ottanta. A svelare la genesi di “Rosso Carnale” è proprio l’autore: «inizialmente il brano mi è stato commissionato da BDC (Bonanni/Del Rio Catalog), una coppia di collezionisti d’arte che volevano realizzare una tiratura di pochissime copie per la loro etichetta Bon Bon per cui avevo già prodotto una cover di “Bambola” di Patty Pravo cantata dai Diva. Mi hanno chiesto di pensare a qualcosa di esclusivo e il brano l’ho proposto io, poi però non siamo riusciti a metterci d’accordo sui dettagli. Io pensavo a un’edizione d’artista, eventualmente anche un pezzo unico, loro invece avrebbero voluto inserire il 45 giri di “Rosso Carnale” in un oggetto da collezione, una scatola in ceramica con dentro altre cose come avevano già fatto con “Bambola”. Insomma, un progetto più articolato di cui la musica di Cristalli Liquidi era, anche giustamente, solo una parte. L’idea mi piaceva però sentivo che stonava un po’ con quello che avevo fatto come Cristalli Liquidi fino a quel momento, così ho preferito ritirare il pezzo e farlo uscire su Artifact. La tiratura è sempre limitata, ma sono duecento copie e non quindici e il prezzo è quello di un disco 12″, alla portata di DJ e appassionati. La grafica è di Lapo Belmestieri (Industrie Discografiche Lacerba). Un po’ mi dispiace di aver rinunciato all’edizione deluxe ma, pur essendo un “gruppo” di nicchia (per non dire peggio), Cristalli Liquidi ha un’identità e un “carattere” che talvolta mi obbligano a delle rinunce. Anni fa, per esempio, ho declinato l’offerta di aprire i concerti di un certo cantante pop perché mi sarei sentito fuori luogo mentre non avrei avuto problemi a fare un DJ set come Bottin nello stesso contesto. Si potrebbe obiettare che Cristalli Liquidi alla fine sono sempre io, ma la verità è che quando faccio cose come Cristalli Liquidi mi sento di lavorare per un progetto che ha una sua autonomia e che, in futuro, potrebbe essere portato avanti anche da qualcun altro».
Ad affiancare Bottin, per l’occasione, è il duo italo francese dei Deux Control ossia Edoardo Cianfanelli alias Rodion e Justine Neulat. «Una volta completata l’Italo Version ho pensato, invece di commissionare un remix, di chiedere ai Deux Control di farne una cover, reinterpretando il brano a modo loro senza usare alcuna delle parti originali, neppure la voce» continua Bottin. «Mi hanno mandato quella che sul disco è indicata come Deux Dub che mi è piaciuta tantissimo perché, al contrario della mia che è molto connotata in stile italo disco, potrebbe essere degli anni Ottanta come pure degli anni 8000. Pur essendo un traccia molto diversa dalla mia, Rodion e Justine hanno mantenuto la velocità (111 bpm) e la tonalità del brano originale. Questo dettaglio mi ha indotto a provare a incollare la mia voce sopra la loro versione, una sorta di duetto posticcio. Poi ci è venuta l’idea di mettere la voce di Justine sopra la main version. Alla fine ci siamo trovati con una canzone in due versioni in cui non importa più quale sia l’originale (che poi è una cover) e quale la copia (la cover della cover). Questo meccanismo di dissimulazione dell’autorialità è la chiave di tutto il progetto Cristalli Liquidi (come ben evidenziato in questo articolo/intervista del 2018 a cura di Jacopo Tomatis, nda), e anche nell’album non sempre è chiaro quali sono i brani originali e quali le cover. Si tratta di un procedimento di mise en abyme anacronistica non poi così diverso da quanto fatto con “Volevi Una Hit” nei confronti degli LCD Soundsystem».
Recentemente il pubblico generalista sta riscoprendo l’italo disco o parte di essa attraverso citazioni più o meno riuscite ma con quasi venticinque anni di ritardo rispetto alla prima ondata che ne recuperò le caratteristiche. Da essere un genere stantio e ancorato a un passato nostalgico da brizzolati revivalisti, l’italo disco così è parzialmente (ri)entrata nel gergo comune, complice anche il retromarketing che contribuisce a mitizzare smodatamente il passato. Ma come reagirebbe Bottin se “Rosso Carnale” diventasse un successo radiofonico e finisse nel calderone del pop? «Ne sarei felice ma non accadrà mai e posso spiegarne anche il perché. Questa riscoperta (che poi è la terza o la quarta) dell’italo disco non è dell’italo disco in quanto tale, è un’idealizzazione dell’italo disco di cui si esasperano certi suoni o certi stilemi, ma il mood è completamente diverso. Per esempio manca del tutto quella malinconia da dancefloor alla Valerie Dore che ho invece cercato di “canalizzare” in “Rosso Carnale”, oppure quell’idea di futuro e di futurità. Non che oggi non si creda nel futuro: siamo tutti convinti, chi più, chi meno, che il mondo non finirà domani, ma abbiamo smesso di pensare che il futuro ci porterà della cose nuove e una vita migliore. Crediamo nel futuro ma non nel progresso. Questa disillusione fa sì che molta musica elettronica di oggi non cerchi più di evocare con i suoni un’allegoria del futuro».
Pubblicato in digitale su Bandcamp a giugno con l’aggiunta di un’acappella esclusiva, “Rosso Carnale” viene solcato pure su 12″ dalla Artifact in un’edizione limitata che, come anticipato sopra, si fermerà alle duecento copie. Che per Cristalli Liquidi sia l’incipit di un secondo album, dopo quello del 2017 su Bordello A Parigi? «Vorrei che il progetto continuasse oltre l’attuale ubriacatura anni Ottanta alla “Stranger Things”» illustra ancora Bottin. «Con questo non voglio dire che “I Ragazzi Del Computer” o “Automan” fossero meglio delle serie Netflix, o che Baltimora e Den Harrow fossero qualitativamente migliori dei The Kolors. Non sono un nostalgico e soprattutto non mi interessano i giudizi di valore. Il prossimo singolo dei Cristalli Liquidi potrebbe però avere un sound molto diverso rispetto a quello di “Rosso Carnale”. Anzi, l’avrà, perché l’ho già completato».

DMX Krew - Still Got It

DMX Krew – Still Got It (Cold Blow)
Il nuovo disco di Edward Upton, l’ennesimo di una discografia infinita e in continua evoluzione, si ispira al funk del folletto di Minneapolis e non certamente a caso è racchiuso in una copertina-parodia del promo di “Let’s Work”. “Still Got It” (affiancata da una versione Dub) elettrifica pezzi tipo “Sexy Dancer” o “Uptown” mettendo insieme vocalità, sinuose bassline, vocoder e ampi virtuosismi alla tastiera con immancabile pitch bend. Sul lato b “Paranoia”, registrato nel 1999 ai tempi di “We Are DMX” su Rephlex, e “Cold Dub”, che tirava il sipario sull’album “Kiss Goodbye” del 2005, inciso solo su CD e destinato al solo mercato nipponico ma che la Cold Blow, come annunciato proprio nelle note in copertina, promette di ristampare presto.

Cybotron – Maintain The Golden Ratio (Tresor)
Anticipato da un single sided messo in vendita presso lo stand Metroplex in occasione del Movement Festival svoltosi durante la scorsa primavera, questo disco segna il ritorno del progetto detroitiano Cybotron. Scritto e prodotto da Juan Atkins, autentico punto cardinale della techno, e Laurens von Oswald, nipote del più noto Moritz, “Maintain”, atteso sulla berlinese Tresor, riparte dal punto in cui tutto ebbe inizio. Come in una seduta medianica, si evocano gli spiriti di “Alleys Of Your Mind”, “Cosmic Cars” e “Clear”: a venire fuori è qualcosa che profuma di passato ma contemporaneamente anche di futuro, quel futuro che un tempo si anelava leggendo romanzi di fantascienza dai quali si levavano utopie di ogni genere. Inchiodato su campiture monocromatiche e atmosfere noir e crepuscolari che un po’ ricordano “Hacker” di Anthony Rother, “Maintain” scandisce metronomicamente il tempo e trascina in un mondo cibernetico, abitato da androidi sullo sfondo di pianeti non appartenenti al nostro sistema solare. “The Golden Ratio”, sul lato b, prende le mosse da una serpentina acida che si avvolge in una nebulosa di lead sincronizzata su ipnotiche frammentazioni ritmiche. L’effetto finale suona meno drammatico se paragonato alla severità del precedente. L’EP1 compreso nel numero di catalogo lascia ipotizzare un seguito e, perché no, anche un album che in qualche modo possa riabilitare il progetto con cui Juan Atkins e Rik Davis predissero il futuro nel 1981.

JP Energy - Mathama EP

JP Energy – Mathama EP (Evasione Digitale)
Dopo aver rimesso in circolazione “Punto G” di Marco Bellini e Skeela ed “Escandalo Total/Sweet Revenge” di Andrea Giuditta, Evasione Digitale, l’etichetta portata avanti da Andrea Dallera e Andrea Dama, prosegue la missione di recupero e valorizzazione della progressive italiana d’antan ma questa volta oltrepassa il confine della ristampa mettendo le grinfie su un EP di inediti prodotti nel 1999. Il cerimoniere è Gianpiero Pacetti alias JP Energy, DJ di lungo corso che aveva anticipato l’uscita del disco un paio di mesi fa attraverso un’intervista pubblicata proprio su queste pagine. «Mathama era un posto sul fiume del mio paese dove andavo a fare il bagno da piccolo, pensare a quei momenti evoca ricordi meravigliosi» spiega Pacetti ricontattato per l’occasione. Tre i pezzi, prodotti con Mario Giardini alias Macro DJ nello studio allestito nel retrobottega del negozio di dischi Mandragora, il cui l’artista lombardo fa collidere urgenze ritmiche lineari e svolazzi melodici, incontrastato trademark della corrente progressive nostrana nata nei primi anni Novanta sulla spinta di alcuni DJ toscani e pian piano diffusasi in tutto il Paese, con conseguente depauperamento creativo e cannibalizzazione pop. Pacetti però è un antidivo per eccellenza e risiede al polo opposto del pop, e questo lo si capisce subito poggiando la puntina su “Iridium”, crocevia di pulsazioni di batteria e atmosfere sospese da spy story avvolte nel cuscino di arpeggi lasciati volteggiare in aria. Simile il contenuto di “Voyage (1999 Mix)”, scandita da un pulsante disegno di basso e un’infiorescenza a corimbo di suoni astrali captati da un universo parallelo. Chiude “Cobalt” in cui fanno capolino frenetici riferimenti electronic body music ma virati sempre in quella chiave melodica che fu la cifra distintiva delle produzioni progressive made in Italy negli anni Novanta.

Dressel Amorosi - Synthporn - Cargo

Dressel Amorosi – Synthporn / Cargo (Four Flies Records)
Come anticipato in Discommenti di giugno in cui si parlava di “Buio In Sala”, riecco in azione il duo Dressel Amorosi con un atteso 7″ contenente due brani. “Synthporn”, sul lato a, sembra uscire da una vecchia pellicola blaxploitation, tra fraseggi funky e atmosfere rilassate frutto di un’ipotetica jam session tra Armando Trovajoli e Lalo Schifrin, “Cargo”, sul retro, gira su un blocco ritmico più marcato ma mantenendo inalterato lo spiccato vibe funkeggiante che, a conti fatti, risulta l’elemento di raccordo dei pezzi dei due musicisti capitolini. Sulla rampa di lancio c’è anche il loro secondo album, “Spectrum”, la cui pubblicazione è attesa per il prossimo 17 novembre.

Sissy - Queen Of Discoteque

Sissy – Queen Of Discoteque (Giorgio Records)
Il mercato delle ristampe ha ormai raggiunto dimensioni ciclopiche: probabilmente il numero delle reissue oltrepasserà presto (o forse è già avvenuto?) quello delle produzioni inedite e ciò lascia riflettere su quanto siano profondamente “retrodipendenti” gli anni che viviamo. In tale contesto si inserisce la barese Giorgio Records partita nel 2019 e diretta da Massimo Portoghese, l’ennesima delle etichette indipendenti che si pone l’obiettivo di riabilitare nomi e musiche sepolti dalla polvere degli anni. Per l’occasione a resuscitare, dopo circa un quarantennio, è “Queen Of Discoteque” di Sissy, un pezzo che risentì dell’influsso freestyle statunitense mischiato a retaggi funk ma scarsamente italo nel senso più stretto del termine e forse per questo commercialmente sfortunato. «La tiratura originale su Eyes contò appena duemila copie, decisamente poche per i tempi» racconta Portoghese. «Il disco non fu supportato da alcun tipo di promozione e probabilmente anche questo giocò a svantaggio della sua riuscita. A cantare il brano fu Patrizia Luraschi, autrice anche del testo e ideatrice del progetto insieme a Pierpaolo Beretta. Per “Queen Of Discoteque” (a differenza di “Coloured Rhymes”, ristampato a inizio 2023 dall’olandese Lusso Records, nda) si affidarono al Maestro Rodolfo Grieco che si occupò della produzione ma nel momento in cui non ci furono più nuove idee da intavolare, il progetto si arenò».
Rimasto nel dimenticatoio per quasi quattro decenni, tolta qualche apparizione in compilation riepilogativa e una manciata di bootleg, “Queen Of Discoteque” ritorna quindi nei negozi di dischi attraverso una ristampa meticolosamente curata in ogni dettaglio, dalla copertina al restauro del master a firma Tommy Cavalieri. «Non è stata un’operazione veloce, ho tampinato il Maestro Grieco per almeno tre anni» spiega ancora Portoghese. «Non potemmo procedere con la licenza perché alcune persone mi anticiparono di pochissimo ma lui, sin da subito, si mostrò scettico e, per mia fortuna, ha preferito aspettare prima di ufficializzare il tutto. Quando capì che non se ne faceva più niente, iniziammo a progettare la ristampa su Giorgio Records. Si è fidato di me e oggi ci vogliamo molto bene, è una bravissima persona. Una peculiarità distintiva dell’operazione è la presenza di due versioni inedite, Unreleased Vocal e Unreleased Instrumental: le ho trovate restaurando il nastro originale. Credo furono tagliate per realizzare il formato 7″».
Contesissimo nel mercato dell’usato, sul quale da anni viaggia a cifre tutt’altro che modiche, “Queen Of Discoteque” si prende dunque la rivincita. «In cantiere ho un’altra produzione del Maestro Grieco alias Rudy Brown (come si firmò ai tempi di Sissy, nda), “She’s Gone Away” di Jimy K, uscita sempre su Eyes nel 1984. Praticamente introvabile, è un cult, scritto insieme a Naimy Hackett, che conto di pubblicare prima di Natale. Seguirà, nel 2024, “You’ll Be In Paradise” di Salentino, con le versioni originali del 1985 a cui si affiancheranno un rework di Franz Scala della Slow Motion Records e un edit dell’amico James Penrose alias Casionova» conclude Portoghese.

(Giosuè Impellizzeri)

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La discollezione di JP Energy

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I dischi di Gianpiero ‘JP Energy’ Pacetti

Qual è il primo disco che hai acquistato nella tua vita?
Avevo dodici anni e un caro amico, un pomeriggio dopo la scuola, mi fece ascoltare una musicassetta di un “certo” Jean-Michel Jarre. Si intitolava “Oxygène” e di quell’album mi colpì in particolare la parte V. Rimasi praticamente folgorato e corsi ad acquistarlo. Da quel momento si aprì un mondo e in me crebbero un entusiasmo e una curiosità molto forti nei confronti della musica elettronica al punto da farne motivo di studio e di percorso artistico della mia vita.

L’ultimo invece?
È un doppio di Freaky Chakra che mi lasciai sbadatamente sfuggire ai tempi dell’uscita, nel 1998, intitolato “Blacklight Fantasy” in cui si trova la traccia omonima finita nel film “Miami Vice” del 2006. Molti pezzi che propongo nei club spesso fanno parte di colonne sonore cinematografiche e a tal proposito potrei citare un’altra traccia che è stata un mio cavallo di battaglia, “Blue” di LaTour, inserita nel celebre “Basic Instinct” e solcata su un 12″ colorato, blu ovviamente. Uno dei motti che ho sempre portato avanti con forza, citandolo anche sui flyer accanto al mio nome, è stato “music for film”, immaginando che il pubblico venuto per ascoltare la mia musica potesse vivere, per l’appunto, un film nel club.

Quanti dischi conta la tua collezione?
Sono arrivato a toccare la soglia dei 7000 dischi ma credo che a fare la differenza non sia la quantità bensì la qualità della musica selezionata con sapienza e gusto. Al momento ne possiedo circa 3000, sugli scaffali sono rimasti quelli radicati nel mio cuore. Spesso, in passato, ho acquistato dischi col preciso intento di capirli e studiarli, trattandoli quasi come cavie da laboratorio perché dovevo imparare e capire qualsiasi cosa. Credo pertanto di aver speso in vinile circa novanta milioni delle vecchie lire.

Dove è collocata e come è organizzata?
Tutti i miei dischi si trovano su una scaffalatura in metallo da me costruita e saldata visto che la metallurgia è un’altra grande passione che mi porto dietro insieme alla musica elettronica. Sono ordinati secondo l’etichetta e numero di catalogo e spesso riesco a riconoscerli dalla costola laterale o persino dallo spigolo della copertina. Sono lì, pronti al combattimento, come instancabili guerrieri.

Segui particolari procedure per la conservazione?
Trovandosi in casa sono ben protetti dall’umidità. Per questa ragione non uso copertine supplementari in plastica ma mi limito a pulirli periodicamente con Vetril o semplicemente con acqua e sapone, un metodo vecchio ma sempre efficace.

Ti hanno mai rubato un disco?
Purtroppo sì. Avvenne quando lavoravo come resident durante la stagione estiva al Cotton Club di Bardolino, sul Lago di Garda. Suonavo tutte le sere e per evitare il continuo trasporto presi l’abitudine di lasciare in consolle la valigia dei dischi. Nello specifico mi rubarono “Heaven And Hell” di Vangelis, per fortuna anni dopo sono riuscito a riacquistarlo a buon prezzo in un negozio di Portobello, a Londra.

C’è un disco a cui tieni di più?
No, considero importanti tutti i dischi che ho deciso di tenere, citarne uno per me sarebbe impossibile, è come se mi chiedessi di indicare il quadro più bello o il pittore più bravo. L’arte è fatta di confronti, senza essi non potremmo capirla. Per quanto riguarda la musica, sta a noi DJ interpretarla e selezionarla per poi cercare di persuadere qualcun altro ad apprezzarla, così come si fa coi capolavori su tela.

Quello che regaleresti volentieri o che ti sei pentito di aver comprato?
Ne regalerei molti, senza un motivo particolare, e nel contempo mi sono pentito di averne comprati parecchi ma del resto il rischio maggiore per coloro che volevano intraprendere il mestiere di DJ era proprio quello di toppare qualche acquisto. Per imparare a “leggere” la musica era inevitabile sbagliare, e questo risultava economicamente svantaggioso. Prima di acquistare un disco, infatti, si rifletteva dieci volte se fosse davvero quello giusto e solamente dopo si metteva mano al portafogli. Era un sistema che dava la giusta importanza alla musica. Oggi invece, grazie a internet e alla sua gratuità, ciò viene meno e di conseguenza tracce meravigliose possono essere ignorate. Per questo motivo ritengo che il vinile come supporto rappresenti ancora la scocca portante di un disc jockey.

Quello che ti piacerebbe possedere?
“You” dei Boytronic, con la versione strumentale sul lato b, preferibilmente in formato 12″. Purtroppo ho solo l’album da cui il pezzo venne estratto, “The Working Model”.

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JP Energy e la sua copia di “Oxygène” di Jean-Michel Jarre

Quello con la copertina più bella?
Sono tanti i dischi racchiusi in copertine meravigliose. Dovendone indicare una, probabilmente tornerei ancora al citato “Oxygène” col pianeta Terra che, sotto la superficie strappata, rivela un teschio umano. Nel 1976 Jarre fu illuminato in tutto e per tutto nel realizzare quell’album.

Nell’intervista finita nel libro Decadance Extra del 2015, affermi che la tua più grande passione sia mettere i dischi e non crearli. Tuttavia a partire dai primissimi anni Novanta hai iniziato a frequentare gli studi di registrazione incidendo diverse produzioni, da “Neo Sound” di Psycho 60 ad “Atmosphere Tropical” di Maldido Primitivo, insieme a Marco Biondi e Paolo Armaroli, da “The First EP” di Dinamic Duo con Francesco Zappalà a una serie di EP a nome JP Energy come “Strano”, prodotto dal citato Zappalà su Progressive Music Production, e una tripletta su Spectrum – Civiltà Del Suono (“Prima Dell’Alba/Forbidden Planet”, “Il Ritmo Digitale”, “I Have A Pessimistic Outlook Of Life”). Ai tempi, per un DJ come te, cosa voleva dire creare musica?
Fare esperienze in studio per me era una forma di confronto con coloro che la musica la inventavano e creavano già da tempo. Ho sempre sostenuto che un buon disc jockey, di solito, non è mai un abile produttore e viceversa, un valido produttore difficilmente si rivela un capace disc jockey. Per techno ed elettronica in generale, gli anni Novanta sono stati eccezionali e rivoluzionari, chi aveva coraggio e intelligenza artistica poteva osare, e non poco, e io l’ho fatto, con conseguenze positive (poche) e negative (molte) che mi sono portato dietro. Le rivoluzioni hanno i loro uomini e io sono stato parte di quella rivoluzione, con buona pace di tutti coloro che hanno preferito sfruttare quel momento in modo opportunistico da incapaci o parassiti. In studio conoscevo a memoria tutti i banchi dei miei sintetizzatori, dal Roland Jupiter-6 all’ARP 2600, dal Roland Juno-106 al Chroma Polaris, dal Roland JD-800 al Sequential Prophet-5. Era entusiasmante e in tutto questo mi aiutava un bravo musicista, Paolo Armaroli. Smanettavo continuamente quelle potenti macchine e a volte occorrevano ore per ottenere un solo suono tanta era la mia meticolosità. I dischi poi nascevano spesso dai miei stati d’animo ma la produzione, nonostante l’ardente passione, non prese mai il sopravvento, il mio ruolo è sempre stato quello di suonare dischi creati da altri. Non a caso avevo chiuso definitivamente nel cassetto varie tracce scritte e prodotte ai tempi ma qualche mese fa si è fatta avanti una giovane etichetta, la Evasione Digitale, proponendomi la pubblicazione su vinile. Il 12″ dovrebbe uscire a metà settembre e di questo ne sono felice ma non ripongo aspettative velleitarie, continuo a considerarmi un DJ e non un produttore. Basti pensare che non possiedo le copie di tutti i dischi che ho fatto e recuperarle oggi potrebbe voler dire spendere parecchio denaro viste le quotazioni raggiunte da alcuni su Discogs, su tutti “Prima Dell’Alba/Forbidden Planet” che anni addietro è stato venduto per 290 €.

Le produzioni discografiche però sono state determinanti per la carriera di molti DJ, talvolta riuscendo persino a supplire discutibili doti in consolle. A posteriori, avresti voluto investire più risorse ed energie nell’ambito produttivo?
No, come dicevo prima la mia vera e profonda passione è stata, è e sarà sempre mettere dischi come disc jockey. Il compito di questo è selezionare musica, saperla interpretare, leggerla, studiarla profondamente per poi proporla al pubblico ipnotizzandolo. Si tratta di vera e propria arte. Il disc jockey è intuito, gusto, velocità di ragionamento, sguardo sempre attento alla pista. Prima di mettere il primo disco, mi soffermo qualche secondo sulle persone che ho davanti per creare una connessione empatica. Non mi sono mai fatto aggredire anzi, ho sempre “aggredito”, consapevole del mio particolare suono, affrontando il tutto con coraggio e senza paura.

C’è un disco che avresti voluto produrre?
“Could This Be Love?” di Kerry Shaw, nella Chameleon Mix, uscito sulla britannica Parlophone nel 1993. A circa metà della stesura fa ingresso un giro di synth strepitoso, sia nel suono che nell’esecuzione. Ho sempre considerato quel pezzo uno dei più belli della techno, insuperabile.

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JP Energy in consolle al Cyber Garage di Flero (Brescia). Alle spalle il logo del suo negozio di dischi, Mandragora

In Decadance Extra racconti pure che per i primi sei mesi il pubblico del Cyber Garage ti fischiò regolarmente, spinto anche da chi occupava prima di te la consolle. Che fine avevano fatto i frequentatori a cui facevi riferimento in un’intervista del settembre 2005 menzionata in “Mondo Techno” di Andrea Benedetti (intervistato qui), che ai tempi della cosiddetta “musica afro” erano pronti a recepire? Col passare degli anni sono forse venuti meno anche quei proprietari di locali che, citandoti ancora, «lasciavano liberi i DJ di fare come volevano»?
Quello del Cyber Garage fu solo uno dei tanti episodi che, a malincuore, ho vissuto. Gli ipocriti tronfi che mi affiancavano in consolle tentavano di allontanare le persone dalla pista ma alla fine è stato il pubblico a decidere e scegliere. Nella stagione 2006, al Mazoom di Desenzano del Garda, mi capitò che l’art director, in preda chissà a quale delirio, sia corso in consolle per dirmi che stessi facendo ballare troppo e che la mia sala, di conseguenza, stava portando via gente alle altre piste. Praticamente ovunque ho trovato ignoranti che, per usare un termine alla Marco Biondi, amico di vecchia data (intervistato qui, nda), entravano a gamba tesa per mettere i bastoni tra le ruote del mio entusiasmo. Dopo tanti anni di permanenza in quel settore sono arrivato al “capolinea”, non ne potevo più, e benedico il giorno in cui mandai tutti al diavolo. Ciò non ha spento ovviamente il mio amore per la musica elettronica. Liberato da coloro che vivono quel mondo con invidia e gelosia, i famosi “vanity DJ”, mi sono ritagliato più tempo per esplorare e apprezzare il suono che più mi piace perché il problema maggiore non era certamente rappresentato dal pubblico con cui confrontarmi bensì dal rapporto coi DJ coi quali dividevo la consolle.

«La serata non la fai quando sei in discoteca dietro la consolle ma a casa mentre prepari la borsa dei dischi. In quella borsa ci sono infinite scelte: emozioni del momento, memoria storica, ascolti radiofonici casuali che ti portano a scavare nell’archivio e recuperare qualche vecchio vinile. Poi dovrai individuare il disco giusto per quella particolare serata e per quel particolare pubblico, e avere la forza di mettere da parte il brano fruibile troppo facilmente»: così scriveva nel 2007 Claudio Coccoluto in “Io, DJ”, ripubblicato giusto di recente in una versione aggiornata curata dal figlio Gianmaria. Quanto è rimasto di questo approccio nel moderno DJing? Buona parte di coloro che oggi si professano DJ, specialmente quelli coinvolti nei maxi eventi, mi sembrano totalmente scollegati e agli antipodi da tale rapporto con la musica, a prescindere dal supporto adoperato.
Coccoluto aveva ragione. Quello che descriveva nel libro lo chiamo mestiere, portato avanti da gente come il maestro Hell o “lo zio” Sven (Väth, nda). Loro sono autentici disc jockey che arrivano da uno studio assai approfondito della musica e quindi sono in grado di manipolarla e proporla al pubblico con massima consapevolezza. Per essere un DJ non basta saper mixare due brani, la differenza la fa la sequenza che può essere micidiale. Come in tutti i lavori, occorre umiltà ed esperienza, doti che oggi purtroppo mancano a buona parte di coloro che si cimentano in questa professione, più attenti all’apparire che all’essere a discapito della musica.

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Una delle opere realizzate da Pacetti con una testa di manichino

Nella primavera del 1995 a Brescia apri il tuo negozio di dischi, Mandragora, rimasto per anni un punto di riferimento per chi era alla ricerca di musica diversa rispetto a quella che circolava maggiormente nel nostro Paese e che tu proponevi nei club, come testimonia questa chart del 1997. Quali sono le prime cose che ti tornano in mente ripensando a quel posto?
Correva il maggio del 1995 quando alzai la saracinesca di Mandragora Dischi – Dischi Per Disc Jockey, così com’era scritto sulle buste. Fu un’avventura che intrapresi con tanto coraggio, un po’ di ingenuità (che non fa mai male), tanta passione e un conto corrente davvero misero. Feci quel passo anche in barba a Francesco Zappalà visto che, sino a pochi mesi prima, lavoravo da lui a KZ Sound, a Milano. Fu proprio Francesco ad avanzare la proposta di aprire in società un nuovo negozio a Brescia ma nel momento di concretizzare si tirò indietro. Così nacque Mandragora. Ogni settimana arrivavano dai tre ai quattro colli di dischi dalla Germania, Paesi Bassi e Regno Unito e mensilmente riuscivo a vendere dalle 5000 alle 6000 copie. Il sabato sera chiudevo alle 21:00 e tutto era sold out. Fu così per undici anni. In seguito cedetti l’attività con una giacenza di appena 38 dischi. Oltre all’arredamento, interamente costruito da me, avevo appeso ai muri delle sculture che avevo realizzato modificando le teste dei manichini usati dai parrucchieri. In un angolo poi avevo allestito una specie di parlatoio in ferro da dove, il sabato pomeriggio, tenevo orazioni sulla musica elettronica. Da questi aneddoti è facile intuire come Mandragora pulsasse di vita, non era un semplice negozio ma un luogo massonico dedito alla rivoluzione, un motore endotermico trainante, arte insomma.

In Decadance Extra, tra le altre cose, hai anche affermato che tra i clienti di Mandragora c’erano svariati famosi DJ, di continuo passaggio a Brescia perché a pochi chilometri di distanza sorgeva la Media Records, vero crocevia di personaggi che gravitavano in quel mondo, ma aggiungendo che la maggior parte di essi comprava dischi solo per «catturare idee e ispirazioni per le proprie produzioni e non per proporli durante le serate». Mancava dunque il coraggio per promuovere musica diversa? Ci si accontentava di dare al pubblico quello che si aspettava per evitare eventuali disapprovazioni?
Come dicevo prima, gli anni Novanta hanno rappresentato un’opportunità straordinaria per chi voleva fare il disc jockey. Tuttavia ritengo che solo in pochi abbiano avuto il coraggio di esprimere la propria vocazione musicale. Quando vendevo dischi alla maggior parte dei DJ della Media Records lo facevo sempre con un certo rammarico: ero sicuro che difficilmente li avrebbero suonati nei club. Li acquistavano col preciso intento di copiarli, storpiandoli brutalmente. La maggior parte di questi “fenomeni” ha sempre pensato, con presunzione fuori da ogni limite, di potersi sostituire alla grande scuola techno attraverso una personale reinterpretazione della stessa. Basti pensare a quante varianti nacquero in Italia in quegli anni, dalla mediterranean progressive alla tribal space, dall’underground all’italo piano passando per la percussion astral. Insomma, una serie di stronzate inventate di sana pianta da chi non aveva idee e creatività ma era ossessionato dal voler diventare DJ a tutti i costi. Se da un lato c’era poca proposta da parte dei disc jockey, dall’altro c’erano anche i proprietari dei locali che non avevano alcuna esperienza. Non ne ho mai trovato uno disposto a darmi carta bianca, la maggior parte di quelli con cui ho avuto a che fare erano imprenditori improvvisati con ben poca intelligenza. Se mi avessero lasciato lavorare in pace, probabilmente qui al nord ci sarebbero ancora un paio di club degni del rispetto internazionale.

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Una foto del maggio 1989 che immortala l’ingresso dello Space Boat, discoteca galleggiante a forma di astronave ormeggiata sul Lago di Garda in cui JP Energy lavora tra ’89 e ’91

Quando un DJ fallisce la sua missione?
Nel momento in cui non studia la propria musica in modo approfondito, quando vuole far credere a se stesso di avere passione ma non ne ha, quando è povero di umiltà, quando non sa confrontarsi e comunicare con chi gli sta intorno.

Nel tuo passato c’è anche l’esperienza a Radio Azzurra: cosa pensi dell’FM tricolore contemporaneo?
Quando sono in automobile accendo la radio con la speranza di poter ascoltare buona musica, non necessariamente elettronica, ma è impossibile restare fermo su una frequenza per più di un paio di minuti. Mi sembra sia solo un flusso studiato a tavolino che mira al consumismo senza divulgazione e cultura musicale. Faccio fatica anche a distinguere un’emittente dall’altra, sono praticamente tutte uguali. Nel periodo in cui ho lavorato a Radio Azzurra, nel triennio 1989-1990-1991, ho cercato in tutti i modi di sfruttare il nome che a quel tempo aveva la radio bresciana per divulgare nuovi messaggi musicali ma non mi fu permesso. Non c’è stata la volontà e il coraggio di guardare avanti, la direzione era fermamente convinta che si potesse e dovesse proseguire col vecchio palinsesto. Se mi avessero assecondato, almeno in qualcosa, avrei costruito una sorta di radio del futuro, ma ai disc jockey afro ciò dava molto fastidio. Il loro più grande errore fu non comprendere l’entità della grande rivoluzione che stava incombendo nei primi anni Novanta e, con fare presuntuoso, rifiutarono la sfida.

Gli anni Novanta hanno conosciuto il proliferare di riviste e free magazine che, in qualche modo, alimentavano l’interesse nei confronti della musica. Quasi interamente estinto nella forma cartacea, il settore ha trovato nuovo terreno fertile in Rete dove però, a detta di molti, velocità e immediatezza fanno spesso il paio con approssimazione e inesperienza. Ci sono realtà che consiglieresti per accrescere il proprio sapere?
Non conosco siti particolarmente attendibili. Navigo poco, preferisco leggere ancora un buon libro (cartaceo) di musica. Non avendo filtri, il mondo del web è manipolabile e quindi difficilmente credibile. Visto che chiunque può accedere e scrivere ciò che vuole, è chiaro che la faccenda sia particolarmente complessa. Le mie fonti sicure, dalle quali attingo sia nella sfera musicale che in quella della metallurgia, sono ancora rappresentate dai vecchi e cari libri. Ormai internet è un mezzo usato più per apparire e tutto diventa potenzialmente fuorviante.

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Uno scatto risalente alla metà degli anni Novanta con JP Energy e Lello B nella discoteca torinese Le Palace

Viviamo in un’era impazzita per tutto ciò che è rétro e commemorativo. La musica elettronica, in particolare, trabocca di rifacimenti e riciclaggi ovvi e scontati, piuttosto diversi rispetto a quelli più fantasiosi generati dall’ondata sampledelica una trentina di anni fa. La nostalgia sta dunque bloccando la nostra capacità culturale di guardare avanti oppure siamo diventati incalliti nostalgici perché la cultura ha smesso di progredire?
Fare musica di un certo tipo comporta sacrificio, passione, dedizione, ingegno e volontà ma in pochi oggi riescono ad associare tutte queste qualità. È più facile lanciarsi a capofitto nel passato, così come fanno certe radio che propongono solo musica datata, e sperare di vivere una seconda giovinezza. Del resto gran parte della musica contemporanea è fatta da interpreti che nascondono le proprie incapacità dietro l’autotune e turnisti/strumentisti a buon mercato. La musica del passato, in un modo o nell’altro, ritorna, sta a noi che la selezioniamo capire quanto sia efficace.

Come ti poni rispetto all’industrializzazione del divertimento? Quella che sembrava una conquista sta forse rivelando un nefasto effetto boomerang?
La rovina della musica techno/elettronica, in Italia, è legata alla mitizzazione della figura del disc jockey, miseramente sfruttata per mere vanità personali. La musica, per me, è un affare serio e resta una delle ultime grandi forme di comunicazione. Dovremmo imparare a viverla e ascoltarla anche se, a volte, ci sembrerà un po’ strana.

Estrai dalla tua collezione una serie di dischi a cui sei particolarmente legato spiegandone le ragioni.

The Alan Parsons Project - I RobotThe Alan Parsons Project – I Robot
In questa traccia che apriva l’album omonimo del 1977 ho sempre sentito tutta la musica possibile e immaginabile. La trovo di una completezza impressionante seppur non ci sia un testo cantato ma soltanto meravigliosi cori. Del resto, come affermava il Maestro Ryuichi Sakamoto, non sempre il cantato è necessario, anzi.

Love And Rockets - Ball Of ConfusionLove And Rockets – Ball Of Confusion
Dalle ceneri dei Bauhaus nacquero i Love And Rockets che hanno inventato un rock n roll elettronico che lascia esterrefatti. Seppero trasformarsi lasciandosi alle spalle scheletri e stereotipi che non avrebbero portato più a nulla. Ai tempi dell’uscita, nel 1985, trovai questo brano superlativo, wave giocata in anticipo nell’intero contesto di popular music.

The KLF - What Time Is LoveThe KLF – What Time Is Love?
Un’arma letale che diede inizio alla rivoluzione, un disco semplicemente seminale. La genialità, in “What Time Is Love?”, risiede nei suoni che sono stati usati, dalla cassa al giro di basso “rubato” alla colonna sonora di “Jesus Christ Superstar” (nello specifico il brano “Heaven On Their Minds (Judas)”, nda) che si esalta all’infinito nella sua metamorfosi elettronica.

Revelation - First Power (Domination Dub)Revelation – First Power (Domination Dub)
Tra il 1989 e il 1990 Tommy Musto e Frankie Bones hanno scritto e prodotto brani di notevole fattura ma questa traccia, uscita sulla Atmosphere Records e attribuibile a Mundo Muzique, è veramente magica. Per quelli come me, ai tempi, mettere pezzi come questo voleva dire fare rivoluzione. Il disco, memorabile, in sala suonava in modo etereo e avvolgente.

Zen Paradox - The Light At The End...Zen Paradox – The Light At The End… ?
Possiedo tre copie di questo mix pubblicato nel 1994 dalla prestigiosa etichetta belga Nova Zembla su licenza dell’australiana Psy-Harmonics e l’ho suonato allo sfinimento. Ho perso il conto delle volte che ho aperto i set con “The Light At The End… ?”. Un capolavoro assoluto, in stesura e ricerca dei suoni, una traccia di finezza esemplare, per me era davvero impossibile non proporla.

Der Zyklus - Der TonimpulstestDer Zyklus – Der Tonimpulstest
Der Zyklus è l’ennesimo degli pseudonimi di Gerald Donald (qui affiancato da Anthony “Shake” Shakir, nda). “Der Tonimpulstest” e “Die Dämmerung Von Nanotech”, pubblicate nel 1998 dalla International DeeJay Gigolo, sono il ricordo e parte di ciò che mi ha identificato al Cyber Garage. Erano i suoni che ho usato per cambiare quel locale, proposti come alternativa alle solite, grossolane e monotone, cassone di TR-909. I suoni sono freddi e spigolosi, privi di particolari allunghi in eco o riverberi, ma il risultato è notevole per ricerca ed efficacia. Un disco perfetto per rappresentare “la cultura dei robot”, slogan che rimandava ai romanzi di fantascienza di Isaac Asimov che coniai con l’intenzione di far capire al pubblico che anche i robot potevano avere una cultura e che i suoni “freddi” della musica elettronica, alla fine, non erano tali come si credeva anzi, potevano colpire il cuore in modo ancora più intenso rispetto a quelli generati dagli strumenti tradizionali.

Petar Dundov - Distant ShoresPetar Dundov – Distant Shores
Si dice che la musica venga portata avanti da coloro che, con genialità, inventano qualcosa di nuovo e che poi ispirerà altri a fare lo stesso. Ebbene Dundov, con questa traccia del 2010 sulla belga Music Man Records, ha scritto un capitolo importante della musica elettronica contemporanea. “Distant Shores” è rivoluzionaria nella rivoluzione, suonarla per me è stato sempre assai emozionante, lasciata scorrere sino alla fine degli oltre dodici minuti: per persuadere il pubblico bisogna avere il coraggio di non cambiarla prima.

Exillon - Mind Techno ControlExillon – Mind Techno Control
Una traccia lunga una vita, pure questa da suonare per intero dall’inizio alla fine dei quasi dieci minuti. La stesura, da brividi, la rende unica e personale, molto vicina allo stile di Detroit. Pubblicato dalla spagnola Frigio Records nel 2013, “Mind Techno Control” è un pezzo che bisogna saper proporre e gestire per colpire positivamente il proprio pubblico.

Agoria - Altre VociAgoria – Altre Voci
Con questo pezzo di Agoria, racchiuso nell’album “Go Fast” uscito nel 2008, torna il concetto “music for film” di cui parlavo prima. Qui l’artista francese esplora con indiscussa bravura il collegamento tra musica e oscuro. L’abilità del disc jockey che intende passare un pezzo come questo risiede nel saperlo collocare al momento giusto del proprio programma.

Keen K-P. Muench - The SpiralKeen K/P. Muench – The Spiral (Makina Girgir Twilight Remix)
Una delle più belle tracce che abbia mai sentito e suonato negli ultimi anni. Solcata su un vinile trasparente dalla Perfect Stranger Records nel 2009, “The Spiral”, remixata da Makina Girgir, possiede una magia unica derivata dall’intreccio tra i suoni e la parte cantata. Non mi stancherò mai di proporla e me la porterò pure nel viaggio con Xibalba.

ZK Bucket - Your Body (The Drifter Remix)ZK Bucket – Your Body (The Drifter Remix)
Estratta dall’EP intitolato “Excess Labour” e pubblicato dalla berlinese Zaun Records nel 2016, la versione di The Drifter di “Your Body” è una delle tracce uscite nel periodo pre pandemico che ho suonato all’esasperazione. A colpirmi di più è il sapore del suono intriso di passato ma riproposto in chiave odierna. Oggi è davvero difficile scovare musica di tale fattura.

(Giosuè Impellizzeri)

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