Francesco Farfa – DJ chart marzo 1998

Francesco Farfa, DiscoiD marzo 1998



DJ: Francesco Farfa
Fonte: DiscoiD
Data: marzo 1998

1) Basic Implant – Reform EP Vol. 1
Prodotto dal tedesco Sven Dedek e pubblicato dall’allora debuttante Touch Tone Recordings, l’EP in questione raccoglie tre tracce di techno minimale, intagliata nei loop che grondano energia e sudore specialmente in riferimento a “Evoke”, tool agghindato da tutta una serie di micro percussioni e tom impazziti. Medesima metodologia di elaborazione per “Feinrasur”, intricato groviglio di loopismi millsiani. Più rilassata invece risulta essere “Meek Deep”, dove la circolarità e la ripetizione ossessiva viene sostituita da immersioni dub e deep per l’appunto, seppur resti intatto l’ipnotico minimalismo, indiscusso fil rouge del disco a cui, poco tempo dopo, segue il secondo volume.

2) Jammin’ Unit – Deaf Dub And Blind
Archiviate le prime fibrillanti scorribande acid sparse su Structure, DJ.Ungle Fever e Force Inc. Music Works, Cem Oral degli Air Liquide si rimette in discussione apportando significative variazioni alla sua tavolozza stilistica, emerse già nel primo album “Jammin’ Unit Discovers Chemical Dub” del 1995. “Deaf, Dub And Blind” rappresenta la prosecuzione di quel modo personale di intendere la techno che poi non è più solo techno, perché intersecata di volta in volta a riferimenti diversi. Sul doppio vinile c’è spazio per ben tredici tracce che diventano quattordici sul CD (con l’aggiunta di “The Remoteman” affogata nelle irregolarità ritmiche) in cui l’autore fa sfoggio del suo eclettismo: da partiture dub (“Dub Is In The Air”, “Thirst At Dawn”) a deviazioni filo reggae (“32° In The Shade”, “Over The Jordan”) passando per cyberbeat in slow motion (“Blind Television”), punteggiature minimali (“Handbagdub”) ed effervescenti scheletrismi ottenuti con una TR-808 (“Life On The Balkon”). Il doppio LP, pubblicato dalla britannica Blue Planet Recordings, è piuttosto raro e costoso per l’odierno mercato collezionistico.

3) Danny Tenaglia – Elements
Primo singolo estratto dall’album “Tourism”, “Elements” è uno dei pezzi con cui Tenaglia spopola nei club di tutto il mondo alla fine degli anni Novanta e che lo aiuta ad affrancarsi discograficamente dopo tanti lavori rimasti ad appannaggio dei soli DJ specializzati, da Deep State a The King Street Crew, da Soulboy ad Hambone passando per Code 718. Il doppio mix su Twisted America, commercializzato a fine ’97, conta due versioni, The DTour e The Chant (con un frammento vocale preso da “Hills Of Katmandu” di Tantra, arrangiato da Celso Valli), dalle quali emerge un suono intriso di tribalismi e sviluppi inattesi che mettono in crisi chi ai tempi pensa alla house music come genere esclusivamente antitetico alla techno. In aggiunta ci sono tre tool tra cui un’acappella usata a più riprese in svariati contesti. Tenaglia toccherà il cielo con un dito nel corso del ’98 grazie a un altro pezzo tratto da “Tourism”, “Music Is The Answer (Dancin’ And Prancin’)”, accompagnato dalla voce di Celeda.

4) Marco Dionigi – No Sense
“No Sense” è uno dei tre pezzi che il prolifico Dionigi inserisce in “Box Position”, EP edito da un’etichetta diretta in quel periodo da lui stesso, la Tube, caratterizzata da un logo e un nome che suonano come tributo alla copertina di “Tubular Bells” di Mike Oldfield. Ai tempi Dionigi inventa il proprio stile miscelando influenze più disparate e attualizzando quella che una volta veniva gergalmente chiamata “afro”, ma non curandosi però di ideare un nome che potesse, in qualche maniera, identificarlo. «La domanda peggiore che potessero farmi allora era quella di definire la mia musica, non sapevo mai cosa rispondere» racconta in questa intervista qualche anno fa. «Poteva essere una continuazione della cosiddetta afro anche se per stile, comprensibilmente, eravamo su un altro pianeta».

5) Lexicon – The Lessons
Quello dei Lexicon (Len Faki e Jon Silva) è un suono che nella seconda metà degli anni Novanta affonda le radici in territori meticci, con un approccio che cerca di andare oltre la convenzionalità. Questo si apprezza particolarmente in “The Lessons”, il primo dei due album che i tedeschi realizzano tra ’97 e ’98 per la Plastic City: “The Question” e “Kolt Silvers (Rolling Jeep Mix)” incrociano minimalismo techno a rotondità house, “Sexy Thang” tira fuori una chitarra in loop stile french touch su un frammento vocale balbettante, “Superstar” e “Phrunky” sparigliano le carte con innesti breaks e venature funkeggianti, “The Life Saver” è disco trafitta e velocizzata, “The Ryker” sposta il baricentro verso sponde electro cibernetiche con uncinate acide, “Summer Madness” centrifuga suoni acustici a digitali in una spirale sampledelica e psichedelica. Sul CD trovano spazio altre tre tracce (“Funk Corner”, “Placenta” e “Jazz Field”, oltre a una versione differente di “Sexy Thang”, più disco funk oriented) che sfondano ulteriormente le paratie tra i generi.

6) Joe Smooth – Disco Acid EP
Non è specificato ma è presumibile che Farfa facesse riferimento al primo volume della saga Disco Acid uscito a fine ’97 sulla londinese Nepenta. Quattro le tracce incluse al suo interno tra cui, è bene chiarirlo, non si scorge alcun riferimento acid al contrario di quelli disco, sfoggiati con disinvoltura in “Come On Everybody”, take di “Everybody Dance” dei Bumblebee Unlimited giocato coi filtri e spezzettato in tessere shakerate come fa un bartender con gli ingredienti di un cocktail. Ai due cuscini garage (“Oxygen” e “Change”), con melodie pianistiche in primo piano e tenere sofficità deep, si somma infine “Universal Nation”, tappeto ritmico venato di percussioni sul quale l’autore posa il celebre discorso di Martin Luther King. Passato alla storia per “Promised Land” del 1987, intorno alla metà degli anni Novanta Smooth registra comparsate su etichette italiane come UMM, V.O.T.U. e la Active Bass Music di Claudio Donato con cui stringe tra l’altro un rapporto di collaborazione. Nel contempo va avanti coi Disco Acid sino al 2004, quando affida il quinto e ultimo volume alla Trax Records di Chicago sulla quale torna dopo circa dieci anni di assenza.

7) Girl Eats Boy – Cool Disco (Remix)
Dietro Girl Eats Boy opera Lol Hammond, produttore che tra le altre cose vanta una collaborazione con Charlie Hall degli Spiral Tribe marchiata Drum Club e sviluppata attraverso tre album e parecchi singoli (su tutti “U Make Me Feel So Good” e “Sound System” remixata dal nostro Coccoluto). Come solista parte nel ’97 col supporto della Hydrogen Dukebox che manda in stampa prima “Thrilled By Velocity & Distortion” e poi “Comin’ In Loaded” da cui viene estratta “Cool Disco”, una specie di mix tra Propellerheads e Chemical Brothers. I tre remix solcati sul 12″ puntano più alla ballabilità, soprattutto quello dei System 7 dove un metti e togli strumentale fa quadrato intorno al breve messaggio vocale che ripete il titolo. Spassionato chemical beat nella reinterpretazione dei Chamber mentre gli A1 People ne ricavano qualcosa che suona come una sorta di house mutante con granulosità e rastremature electroidi.

8) Beroshima – Deebeephunky
“Deebeephunky” è uno dei primi dischi che Frank Müller destina alla sua nuova etichetta, la Müller Records, fondata dopo la chiusura della Acid Orange. Mollati gli istinti animaleschi dell’acid più tagliente e sfibrante, il berlinese si lancia in una techno muscolare e ricca di passaggi armonici e variazioni ritmiche da cui si innalzano cortine fumogene proprio come in “Deebeephunky (Just Money Is Honey)”, con astrattismi sullo sfondo a iniettare ulteriori vampate di energia. Effetti zigzaganti in reverse guidano “The Prisoner” mentre una sega circolare arroventata taglia come burro la massicciata di beat di “Seduction”. Nel nuovo millennio Beroshima virerà verso un suono con porzioni maggiori di melodia e riferimenti EBM per poi tornare alla techno con movenze dubbeggianti in tandem con l’amico Ulrich Schnauss.

9) Mr. Message – Let Me Take “U” Up
Uscita allo scoperto nell’autunno del 1997, Audio Esperanto è la piccola etichetta nata dalla sinergia tra Francesco Farfa e la Media Records. «Bortolotti creò una squadra di DJ molto ampia, schierata come l’Invincibile Armata spagnola, e aveva tutte le potenzialità per realizzare un grande progetto alternativo aggiungendolo ai numerosi successi collezionati negli anni passati» racconta Farfa in questa intervista. «Sia a lui che al socio Mauro Picotto piacque l’idea di Audio Esperanto perché spiccatamente alternativa a tutto ciò che girava in Media Records in quel periodo, e così iniziai a collaborare con loro». “Let Me Take “U” Up” è il brano con cui il DJ toscano, trincerato dietro lo pseudonimo Mr. Message, dà quindi avvio al progetto mettendo subito nero su bianco le sue intenzioni. Tre le versioni: la Long Train Mix, sul lato a, brulica di suoni prog techno marciando sotto un cielo plumbeo e scenari distopici tratteggiati da un break sospeso in atmosfere bladerunneriane. Sull’altro lato la Catch On Mix, in battuta spezzata con un pizzico di sound à la Fluke e scratch nell’alveo ritmico, e la Smile Vibe Mix, che chiude con evoluzioni tipiche del cosiddetto “sound of Tirreno” di cui Farfa viene ricordato tra gli iniziatori insieme a Miki Il Delfino. Con la ripubblicazione in Germania, “Let Me Take “U” Up” viene ulteriormente riletta in un remix da Toni Rios e WJ Henze in cui vanno dispersi però i caratteri originali a favore di una formula più generalista.

10) Freak Alliance – Mono Culture
Freak Alliance è solo una delle ragioni sociali con cui Klaus Krumme e Frank Thelen firmano musica negli anni Novanta. La loro techno è rocciosa, granitica, ritmicamente monolitica e geometrica come rivela “Reliance”. “Mono Culture” è una corsa su un rettilineo col pedale dell’acceleratore pigiato a fondo, “Outland” gioca coi doppiaggi incrociati dei suoni su una base saltellante. Il tutto sulla Overdrive di Andy Dux che crede nei Freak Alliance al punto da pubblicare anche un album su CD, “Division 1”, in cui gli autori esplorano vie meno danzerecce ai confini con l’ambient.

(Giosuè Impellizzeri)

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Marco Trani – DJ chart marzo 1997

Marco Trani, DiscoiD marzo 1997
DJ: Marco Trani
Fonte: DiscoiD
Data: marzo 1997

1) Solar Band – Brazilian House
Quello della fittizia Solar Band è un brano mai dato alle stampe e non è neppure accertato che ai tempi fosse stato realmente inciso su acetato, come invece questa chart lascerebbe supporre. Si presume fosse un pezzo prodotto dallo stesso Trani, testato durante le sue serate. A fugare qualche dubbio a tal proposito è Pierangelo Scognamiglio alias Peter Kharma, da Bologna, che con Marco Trani condivide una collaborazione durata diversi anni: «Di Solar Band ho un ricordo molto vago. Faceva probabilmente parte di una serie di brani che realizzammo nel periodo in cui io, Marco e mio fratello Emiliano Ramirez mettemmo su una società discografica, la Sure Shot Division. Marco aveva tantissimo materiale a disposizione tra cui acappellas ufficiali o parti suonate che alcuni discografici gli affidarono dandogli carta bianca sulla realizzazione. Ai tempi Marco era il numero uno e chiunque avrebbe fatto carte false per poterlo avere nella propria scuderia. Conservo, su DAT, oltre una decina di brani prodotti allora, mai dati alle stampe. Sure Shot era un nome creato alcuni anni prima proprio da Marco ed adoperato per i remix di “Funky Guitar” dei TC 1992 (di cui abbiamo parlato nel dettaglio qui). Il progetto iniziale prevedeva la presenza dell’etichetta principale, Sure Shot Division per l’appunto, affiancata da due sublabel, la Warm Up Records e la Golden Globe ma quest’ultima, pensata per produzioni soul, purtroppo non fu mai realizzata. Conobbi Marco ad una serata in cui lui era special guest. Per me era già un mito e colsi l’occasione per avvicinarlo quando suonò un disco di mio fratello, pubblicato dalla MBG International Records di Giorgio Canepa. A serata conclusa mi chiese di vederci l’indomani nel mio X-File Studio che avevo allestito da poco. Tra noi scattò subito un grande feeling tanto da prendere la decisione di acquistare strumenti di livello più alto e diventare soci a tutti gli effetti, seppur non fu mai steso un atto notarile bensì una scrittura privata e soprattutto una bella stretta di mano. Da quel momento io e mio fratello diventammo la sua ombra, lo seguimmo in tutte le serate e ci inserì in diversi eventi come al Pascià di Riccione, dove quell’anno era resident. Il primo brano che incidemmo fu “Disco Connection” di Peter K, nel 1995. Gli feci sentire una mia bozza sviluppata usando un sample dei T-Connection (“Do What You Wanna Do” del 1977, nda) e lui si entusiasmò a tal punto da volerlo finalizzare ma tenendo il mio nome. Nonostante fosse un veterano pluriconosciuto ed io solo un ragazzino alle prime armi, non volle attribuirsi la paternità del disco perché l’idea era partita da me. Questo fu un gesto di grande correttezza oltre che di grande umiltà».

La collaborazione tra Marco Trani e i fratelli Scognamiglio prosegue con “Hypno Party” di Miguel Rayes sulla citata Warm Up Records e col remix di “Love Has Changed My Mind” di Vicki Shepard sulla Reform del gruppo Discomagic, entrambi del 1995. L’anno seguente invece Kharma e Trani producono “Set You Free” di Low Noise per la Dance Pollution del gruppo Arsenic Sound, ai confini con la dream trance/progressive, a testimoniare l’assenza di “paletti” che potessero delimitare l’operatività in stili musicali diversi. «Il sound delle nostre produzioni era orientato tendenzialmente alla house e alla cosiddetta “underground”» prosegue Scognamiglio. «Per una compilation del Disco Inn di Modena realizzammo il brano “Trani’s Santa Tribe”, nato da un giochino che Marco faceva spesso durante le serate. Tamburellava col dito il centrino del vinile imitando una percussione e il pubblico rispondeva battendo le mani, e così in un locale ci venne in mente di adoperare quel “botta e risposta” sincronizzandolo col groove di “Don’t Let Me Be Misunderstood” dei Santa Esmeralda. In quel periodo Marco notò la mia predisposizione verso trance e progressive, generi che si stavano imponendo anche a livello commerciale, e mi incitò a cimentarmi in ogni tipo di produzione che mi venisse in mente. Il suo mood era soul ma si emozionava tantissimo quando suonavo qualsiasi tipo di melodia. Essendo più giovane, credo che da quel punto di vista fossi io a dargli qualcosa. Con estrema umiltà mi ascoltava e cercava di capire meglio quel mondo per lui sconosciuto come la trance o addirittura la jungle, mettendoci del suo a seconda delle sensazioni percepite durante la realizzazione del brano. Nessuna casa discografica ha mai interferito nel nostro lavoro, ed è stato proprio questo il motivo per cui andavamo in studio sentendoci liberi di fare tutto quello che volevamo. Talvolta trascorrevamo lì dentro ore ed ore al punto da chiamare ironicamente quella stanza “la miniera”.

Marco inoltre era sempre attivo nel cercare nuove collaborazioni. Un giorno ci propose di realizzare una traccia per un noto brand di abbigliamento, El Charro. Realizzai una base lenta, in stile r&b, che lui portò in uno studio romano dove fu scritto il testo e dove venne cantato da Toma Man dei Papasun Style. Avute le voci, realizzammo altre tre versioni (house, dub e jungle) che formarono il CD singolo, dato in omaggio come gadget nei negozi che vendevano El Charro. Se la memoria non mi inganna, di quel CD ne vennero stampate circa 80.000 copie. Dopo quell’esperienza però ci dividemmo. Avevo intenzione di proseguire sulla linea trance/progressive e cominciai a produrre per l’Arsenic Sound di Paolino Nobile (intervistato qui, nda) rimanendo comunque in buoni rapporti con Marco, tanto che negli ultimi tempi ipotizzammo di ricominciare a fare qualcosa insieme.

Peter Kharma studio

Uno scorcio dello studio di Peter Kharma. Al muro è appesa una foto-poster in ricordo dell’amico

Lo ricordo come un fratello. Abbiamo vissuto alcuni anni totalmente in simbiosi e il rapporto andava oltre il lavoro. Mi ha insegnato tantissime cose, sia umanamente che professionalmente e per questo sto realizzando un singolo accompagnato da un videoclip dedicato proprio a lui. Di Marco rammento soprattutto l’incredibile carisma e quello che riusciva a trasmettere alle persone. Tecnicamente resta il più grande DJ che abbia mai sentito suonare, e il termine “suonare” è intenzionale perché il modo in cui selezionava i dischi e li mixava era unico. Cercava voci che si intonassero col basso del brano precedente e l’evoluzione che dava al suo set portava puntualmente la pista al delirio. Queste cose per me sono state fondamentali. Mi ha trasmesso la sensibilità di sentire il mood del pubblico che porta a capire come e quando mettere un determinato pezzo. Ecco perché lo considero, oltre che un grande professionista, un autentico artista della consolle. Non meno importante l’umiltà che riservava alle persone alle quali era affezionato. Quando parlava di affari invece, mi ripeteva: “fatte rispettà perché sennò te se magnano pure er core!”. Una volta presi i suoi flight case nel parcheggio di un locale e mi incamminai verso l’ingresso, ma mi bloccò e disse: “aó, ma che stai a fa’? Tu sei Peter Kharma e me porti e valiggette a me?” Durante un’altra serata invece ci trovavamo davanti ad una discoteca di Roma, la sua città. Un ragazzo gli si inchinò davanti dicendo: “massimo rispetto a te grande Marco, sei n’imperatore!”. Ecco, Marco Trani era davvero l’imperatore della consolle».

2) DJ Disciple – The Sidebar EP
David Banks alias DJ Disciple, inizialmente devoto al gospel e che nel 1994 fa ingresso nella classifica britannica dei singoli con “On The Dancefloor”, è tra i produttori house più attivi degli anni Novanta con pubblicazioni sparse su label di tutto rispetto tra cui la nostra D:Vision Records. Nel 1997, col supporto della Soundmen On Wax, fonda la sua etichetta, la Catch 22 Recordings, inaugurandola proprio con l’Extended Play in questione. Dentro ci sono quattro brani di cui tre da lui stesso prodotti: “Steal Away” di Dawn Tallman, “Burning Up” di Brown Girl e la sua “Tribal Confusion”, a cui si aggiunge “Down Packed Evolution” di One Cool Cuban, meglio noto come DJ Dove. Le matrici sono garage, venate di inserti jazzistici e potenti voci soul, così come tramanda la house della Grande Mela. Le prime white label promozionali distribuite agli addetti ai lavori annoverano un brano diverso rispetto al disco messo in commercio, “Funky Stuff” di Speedy, mai pubblicato ufficialmente e sostituito per ragioni ignote dal citato “Tribal Confusion”.

3) Kookie Scott – Believe In Me
“Believe In Me” di Kookie Scott esce sulla romana Active Bass Music, una delle tante etichette che gravitano intorno al gruppo Antibemusic. Si tratta di un brano house garage, creato sul modello newyorkese/londinese e prodotto da Joe Smooth che in quel periodo avvia una stretta collaborazione con la struttura capitolina guidata da Claudio Donato. La Club Mix sul lato a è quella di maggior impatto e forse pensata per le classifiche d’oltremanica, sul b altre due versioni, Atmosphere Mix ed Early Morning Service Mix, che spostano il baricentro verso soluzioni maggiormente le ritmiche. Inspiegabile la ragione per cui venga spacciato per un acetato visto che è in circolazione sin dal 1996.

4) Big Moses Feat. Kenny Bobien – Brighter Days (Remix)
Tre i remix pubblicati dalla King Street Sounds di quello che potrebbe essere considerato uno dei brani più noti di Big Moses. La calda voce di Kenny Bobien viene reimpiantata da Stephan Mandrax (affiancato dal tastierista Scott Wozniak) in due rivisitazioni, la fascinosa Liquid Club Mix e l’altrettanto intensa Liquid Dub, che non è proprio una riproposizione strumentale della stessa. L’edit di Matthias Heilbronn, tedesco trapiantato negli States, continua a muoversi nelle stesse latitudini stilistiche, tra deep house e soul garage di fattura spiccatamente newyorkese. A completare è l’Instrumental approntata dallo stesso Big Moses che in futuro vedrà ritoccare ancora il suo brano da artisti come Mousse T., Pound Boys, Groovylizer e, più recentemente, Crazibiza.

5) Karen Jones – Aquarius (Trani’s Hard Dub)
Karen Ann Jones, americana trasferitasi in Italia, è una delle vocalist che aiuta l’italo house a trovare una collocazione sul mercato internazionale, dopo maldestri tentativi di italo disco memoria che spinsero diversi produttori italiani ad avvalersi di acappellas anziché affidarsi a cantanti nostrane dall’imbarazzante pronuncia inglese. Da “To The Rock Groove” del 1989 a “Come Together” del 1990, passando dai featuring per i Bit Machine (uno dei progetti che Daniele Davoli, Mirko Limoni e Valerio Semplici varano in parallelo a Black Box), Daybreak e Paradise Orchestra (con Corrado Rizza, Dom Scuteri e Gino “Woody” Bianchi, artefici di Black Connection di cui abbiamo parlato qui), la Jones si afferma con merito nel circuito house. “Aquarius”, edito dalla Deep del gruppo Dance Pool, è la cover dell’omonimo dei The Fifth Dimension e mette in risalto le qualità vocali della cantante su tessiture downbeat. Svariate le versioni approntate tra cui le due di Trani, la Love Message e la Hard Dub: dalla prima emerge la solarità del funk e del soul, dalla seconda una più marcata enfasi del beat in cui le voci vengono scomposte in moduli ed adoperate a mo’ di elementi di raccordo ritmico. Degne di menzione anche la Industry Mix di Intrallazzi e Fratty e la Drum N Bass Version, ulteriori sviluppi creativi di un brano passato piuttosto inosservato.

6) Moodlife Feat. Sonya Rogers – Movin’ On
“Movin On'” è il brano con cui Sandro Russo ed Andrea Arcangeli duplicano la vena creativa creando Moodlife, progetto parallelo al più noto M.A.S. Collective. Pubblicato dalla Suntune diretta da Angelo Tardio nel post UMM vissuto tra le mura della bresciana Time Records, il pezzo è coscienziosamente allineato allo stile garage house statunitense a cui i due DJ nostrani accedono lasciandosi affiancare da alcuni musicisti (il tastierista Maurizio Somma, il trombettista Stefano Serafini, il bassista Cico Cicognani) e vari vocalist tra cui Ce Ce Rogers, Sonya Rogers e il rapper Master Freez. I due remix (Club Mix, Dub Mix) sono di Tommy Musto, stella del clubbing newyorkese, a cui pochi mesi più tardi si aggiungono quelli di Stephan Mandrax e Fathers Of Sound.

7) Nuyorican Soul Featuring India – Runaway
Nuyorican Soul è il prestigioso side project che Little Louie Vega e Kenny Dope Gonzalez affiancano dal 1993 al più noto Masters At Work. La prima apparizione avviene sulla Nervous Records col “The Nervous Track” ristampato nel 2014, poi le collaborazioni strette con George Benson e Jocelyn Brown (rispettivamente per “You Can Do It (Baby)” e “I Am The Black Gold Of The Sun”) forniscono quel quid che fa di Nuyorican Soul un eccelso punto di unione e scambio tra musica latina, soul, funk, r&b, jazz ed house. Nel ’96 incidono il primo (ed unico) album per la blasonata Talkin’ Loud in cui figurano nuove sinergie con eminenti musicisti e cantanti (il percussionista Vincent Montana Jr., la vocalist Lisa Fischer, i pianisti Terry Burrus ed Eddie Palmieri, il vibrafonista Roy Ayers) e dal quale vengono estratti vari singoli tra cui “It’s Alright, I Feel It!” e “Runaway”, quest’ultimo cover della quasi omonima “Run Away” della Salsoul Orchestra del 1977. La voce di Loleatta Holloway viene sostituita da quella di India, unita in nozze col citato Vega per alcuni anni. Il doppio mix che Marco Trani inserisce nella chart annovera, oltre all’Original Flava 12″, autentico tributo al philly soul, tre remix: il Jazz Funk Experience e il Soul Dub di Mousse T. sono trainati da un impianto ritmico molto simile a quello che il DJ turco/tedesco adopera per affermarsi in modo definitivo nel grande pubblico sin dall’anno seguente (“Horny ’98”, i fortunati remix per “Sex Bomb” di Tom Jones e “Saturday” di Cunnie Williams Feat. Monie Love), mentre il Mongoloids In Space di Armand Van Helden riformula tutto sullo schema dell’epocale versione di “Professional Widow” di Tori Amos, riducendo al minimo le parti vocali sovrastate da tessere funky sequencerate in un velenoso groove speed garage. Spazio anche alla Ronnie’s Guitar Instrumental, versione strumentale su cui troneggia la chitarra di Ronnie James della Salsoul Orchestra, il tool Philly Beats e l’India’s Ambient Dream, celestiale chiusura di quello che probabilmente può essere ricordato come il disco più rappresentativo della breve parentesi che Vega e Gonzalez siglano come Nuyorican Soul. A pubblicarlo in Italia è la Zac Records, che mette le mani pure sul seguente “It’s Alright, I Feel It!” remixato, tra gli altri, dai Mood II Swing e Roni Size.

8) The Sun Project – Wear Yourself Out (Remix)
Nato nel 1995 da un’idea di Pagany e Fabio Slaider (oggi Slider), The Sun Project parte con una house ravvivata da ispirazioni 70s (tra i sample presenti in “The Sound”, su Molotov Records, c’è quello di “Bim Sala Bim” degli Hudson County edito nel 1975 dalla RCA) per poi svilupparsi su territori garage attraverso “Wear Yourself Out” interpretata vocalmente da Yvonne Shelton. Marco Trani sceglie il 12″ coi remix realizzati dai M.A.S. Collective (ancora affiancati dai musicisti Maurizio Somma e Gabriele ‘Cico’ Cicognani, si veda posizione 6), Franz e Deep Bros. Russo ed Arcangeli, nella loro Philly Club, saldano due mondi ai tempi particolarmente comunicanti, quello del soul e quello della house. La Kolo Mix di Franz distilla elementi deep e funk e in scia si inseriscono le due versioni dei Deep Bros, No Doubt e Fusion Mix, spiccatamente garage la prima, più sensuale ed avvolgente la seconda. Figura infine la Simply Sound Dub, in cui prende il sopravvento la carica ritmica. The Sun Project riappare qualche anno più tardi ma la produzione passa nelle mani di Simone Farina (figlio di Mauro Farina, boss della Saifam) che si lascia affiancare da Gianni Bova in “Brazilian’s Affairs” del 2001 e da Nicola Fasoli in “My Fire” del 2004.

9) Various – It’s A DJ Thing 4
“It’s A DJ Thing” è la raccolta ideata nel 1996 dalla britannica Defender Music, andata avanti per ben tredici volumi, tutti in formato doppio, sino al 2002. Il quarto, preso in esame per l’occasione, ingloba “Make Me Feel” dei 95 North e “Doo Wop” dei Room Zero, stampati come singoli solamente l’anno dopo. Poi ci si imbatte in “Hit The Conga” dei nipponici Paradise Yamamoto & Tokyo Latin Mood Deluxe, remixata da Eric Kupper e François Kevorkian, e due esclusive, “Dee’s Groove” di TC Project alias Felix Hopkins, e “Future” di Javen Souls, prodotto a quattro mani da Jan Cooley e Maurice Fulton. L’occasione è giusta per inserire pure una gemma del passato, “Hiroshi’s Dub” dei giapponesi Tiny Panx Organization, meglio noti con l’acronimo TPO, risalente al 1989 e riproposta nel ’98 dalla Nite Grooves. La versione scelta è la Savanna Mix realizzata da un giovane con gli occhi a mandorla destinato a lasciare il segno, Satoshi Tomiie.

10) Bruce Wayne Vs. H.A.N.Z.- In The Dog House
Il brano in questione occupa il lato b di un 12″ edito dalla tedesca Plastic City, etichetta che allora flirta sia con la house (Terry Lee Brown Jr., The Timewriter) che con la techno (Tesox, , AWeX, di cui abbiamo parlato qui, Kriss Dior). “In The Dog House” gira su uno schema più meccanico rispetto a quello delle produzioni house statunitensi o britanniche, con una parte vocale incastrata geometricamente nella gabbia ritmica montata a sua volta su una serie di suoni tenuti in vita dal loop. A firmare il tutto sono il prolificissimo Jürgen Driessen, per l’occasione nascosto dietro il nomignolo Bruce Wayne ispirato dall’omonimo personaggio dei fumetti della DC Comics, Batman, e Hans Centen che in quel periodo mette su il progetto Decadance con René Runge alias Jaspa Jones del noto duo Blank & Jones. Il 12″ esce anche negli States attraverso la Twisted America Records. In Italia invece la licenza è messa a segno dall’iperattiva Zac Records nata da una joint venture tra Emilio Lanotte e il gruppo Sugar presieduto da Filippo Sugar, figlio di Caterina Caselli.

(Giosuè Impellizzeri)

(si ringrazia per il prezioso supporto Corrado Rizza, autore di vari libri tra cui “Anni Vinilici. Io e Marco Trani 2 DJ” e del docufilm “STrani Ritmi – La Storia Del DJ Marco Trani” di cui si consiglia lettura e visione)

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