Giovanni Natale di Expanded, con Sueño Latino entrammo nel club dei migliori

Giovanni Natale

Inizialmente Expanded Music pubblica dischi new wave, post punk ed industrial provenienti dall’estero e firmati da band come Tuxedomoon, Throbbing Gristle, Bauhaus, Clock DVA e Modern English. Nel corso degli anni però l’attrazione per la dance, sbocciata nel pieno dell’ondata italo disco, diventa sempre più forte ed infatti è tra le prime, in Italia, a scommettere sulla musica house, precisamente dal 1987 quando nasce la DFC, acronimo di Dance Floor Corporation, etichetta con una vocazione per il sound ballabile inscritta chiaramente nel DNA. Nel 1989 proprio su DFC arriva “Sueño Latino” del progetto omonimo, pietra angolare di quel fenomeno che cresce rigoglioso nei primi anni Novanta sotto forma di dream house, alternativa clubbistica alla piano house che sfocia con risultati strepitosi nel mainstream internazionale. In breve tempo la DFC si rivela un inesauribile serbatoio di hit: da Atahualpa a Ramirez, da Glam a Moratto passando per Paraje e tutta la parentesi italodance di Afrika Bambaataa. L’attività di Expanded Music è tentacolare e multiforme e si materializza attraverso svariate sottoetichette (Dance And Waves, B4, Plastika, Audiodrome, PRG, Steel Wheel, Mantra Vibes, giusto per citare le più note) da cui emerge una miriade di nomi che scandiscono con incisività la dance nostrana tra cui Einstein Doctor DJ, Mato Grosso, Ava & Stone, Steam System, Virtualmismo, V.F.R. e Mo-Do. In grande rilievo pure le licenze prese oltralpe, da KLF a Sunbeam, da Transformer 2 a Capricorn, da Technotronic a 2 Fabiola, da Junk Project a Trancesetters, da ASYS a Marco Bailey passando per produzioni più settoriali come Encephaloïd Disturbance, Idjut Boys & Laj, Aurora Borealis, Unit Moebius, Cortex Thrill, Yves Deruyter e vari episodi della saga Code. Tra tradizione e sfrontatezza, la casa discografica emiliana conquista dunque un numero sempre maggiore di consensi facendo registrare un balzo prestazionale non indifferente. Al comando c’è Giovanni Natale che in questa intervista ripercorre la propria carriera pluridecennale nel mondo della musica.

Ci fu qualcuno o qualcosa ad avvicinarti alla musica?
Potrebbe sembrare strano ma da ragazzo non nutrivo una passione particolare nei confronti della musica: non compravo dischi, non andavo ai concerti e non avevo nemmeno manifesti di rockstar appesi nella mia cameretta.

01 - furgoncino Harpo's Bazaar (fonte bibliotecasalaborsa.it
Il furgoncino con cui gli Harpo’s Bazaar girano il capoluogo emiliano durante i giorni del Convegno nazionale contro la repressione nel ’77 (fonte bibliotecasalaborsa.it)

Nel ’77 però, mentre frequenti il DAMS a Bologna, nasce la cooperativa culturale Harpo’s Bazaar di cui sei tra i fondatori e che opera anche in ambito musicale. Cosa ricordi di quel periodo?
Il progetto Harpo’s Bazaar in realtà inizia prima di diventare una cooperativa e, a tal proposito, credo sia necessario fare qualche puntualizzazione visto che in Rete circolano tante narrazioni non corrispondenti al vero, Wikipedia inclusa. Eravamo un gruppo di studenti/amici di Gianni Celati, docente d’inglese al DAMS negli ultimi anni Settanta. Con un furgone sgangherato, battezzato per l’appunto Harpo’s Bazaar, girammo per Bologna con una cinepresa super 8 durante i tre giorni del Convegno nazionale contro la repressione, a settembre del ’77. Realizzammo le riprese che trent’anni dopo sono diventate il video “Cineamatori Militanti” pubblicato qui. I componenti erano solo quelli riportati nei titoli di coda dello stesso video, Aldo Castelpietra, Gianni Celati, Leonardo Giuliano ed io. L’idea di trasformare l’esperienza “movimentista” in una cooperativa per avere un lavoro creativo fu di Leonardo Giuliano. Tra tutti noi era quello che volava più alto. Da sognatore ed imprenditore utopista, ci convinse a gettare il cuore oltre l’ostacolo ed iniziare. Fu sempre Leonardo, tra i fondatori della Fonoprint, a presentare al gruppo Harpo’s Bazaar Gianni Gitti e a seguire Cialdo Capelli, Antonella Leporati, Oderso Rubini ed Anna Persiani. A quel punto tutti insieme fondammo la cooperativa. In seguito entrarono a far parte anche Nino Iorfino e Jean-Luc Dorn. Col contributo attivo di tutte queste persone appena menzionate fu possibile realizzare l’evento Bologna Rock e dar vita all’Italian Records. Ps: Gianni Gitti è stata una persona speciale. È venuto a mancare da alcuni anni e meriterebbe davvero un racconto a parte. Fu il vero scopritore degli Skiantos, ne registrò il primo album intitolato “Inascoltable” e lo prestò ad Harpo’s Bazaar. La stessa cosa avvenne col primo album dei Confusional Quartet uscito nel 1980.

Proprio nel 1980 la Harpo’s Music, etichetta discografica di Harpo’s Bazaar, si trasforma in Italian Records così come spiegato in questa monografia, e quello stesso anno nasce Expanded Music: in che modo le due case discografiche erano collegate?
Nel 1980 Harpo’s Bazaar aveva già perso per strada alcuni dei soci iniziali e non aveva la forza economica per continuare. Avevamo bisogno di un socio finanziatore e, per questa operazione, la cooperativa non era lo strumento migliore. Harpo’s Bazaar quindi fu messa in liquidazione e fondammo l’Expanded Music Srl. Da quel momento l’Italian Records è diventata una delle etichette dell’Expanded Music. Ad entrare nelle vesti di socio finanziatore fu Federico Venturoli del Disco D’Oro di Bologna. Il nome Expanded Music nacque come omaggio al libro Expanded Cinema di Gene Youngblood, pubblicato nel 1970 e considerato la bibbia del cinema sperimentale. Al DAMS mi ero laureato proprio con una tesi sul cinema.

02 - le prime pubblicazioni Expanded
Le copertine di alcune fra le prime pubblicazioni dell’Expanded Music risalenti al 1981: Tuxedomoon, Throbbing Gristle, Bauhaus e Clock DVA

Le prime pubblicazioni dell’Expanded Music fugano ogni dubbio sul tipo di inclinazione stilistica a cui l’etichetta è legata: Tuxedomoon, Throbbing Gristle, Bauhaus, Modern English, Thomas Leer & Robert Rental, Lounge Lizards, Flesh Eaters giusto per citarne alcuni. Sul piano economico, quanto reggevano quelle scelte artistiche in un mercato discografico come quello italiano ai tempi dominato dal cantautorato?
Con le sole produzioni dell’Italian Records l’attività non era sostenibile, serviva allargare il catalogo. Non essendo direttamente coinvolto nella direzione artistica dell’Italian Records, campo esclusivo di Oderso Rubini, mi ritagliai un mio spazio. Conoscevo abbastanza bene l’inglese e dopo il DAMS mi iscrissi a giurisprudenza studiando diritto privato e diritto d’autore. Con questi strumenti mi avventurai in giro per il mondo ad acquisire licenze di dischi da pubblicare in Italia. Ai tempi prendere un disco in licenza costava molto meno che produrlo. Distribuendo quei prodotti riuscivamo a finanziare le produzioni dell’Italian Records.

Dal 1983 in poi, analogamente a quanto avviene per Italian Records, anche l’Expanded Music si apre progressivamente a generi musicali ballabili, italo disco in primis. È vero che ai tempi la dance era vista di traverso nel nostro Paese, specialmente dalla stampa e dalle radio?
L’italo disco rappresenta uno dei periodi d’oro della produzione indipendente italiana. Parafrasando “Destra – Sinistra” di Giorgio Gaber, se fare il bagno nella vasca è di Destra e far la doccia invece è di Sinistra, per gran parte della stampa specializzata italiana l’italo disco era di Destra e non degna di attenzione come la new wave che invece era di Sinistra. Nel 1983 i Gaznevada pubblicarono “I.C. Love Affair” che, nella versione remixata da Claudio Ridolfi, faceva l’occhiolino all’italo disco. Per la prima volta un brano dell’Italian Records finiva in classifica e veniva pubblicato anche all’estero. Attenzione però: “I.C. Love Affair” era ben lontano dall’essere un successo internazionale dell’italo disco ma fece scorgere comunque all’Expanded Music una luce in fondo al tunnel. Ovviamente non tutti furono d’accordo con quella svolta dance e la complicità tra i soci iniziò a vacillare. Le produzioni che seguirono furono un tentativo interessante di coniugare la new wave con la dance ma, come ho imparato in seguito, la musica dance ha delle regole e se non le rispetti i dischi non possono funzionare. Così il successo di “I.C. Love Affair” non si ripeté e l’Expanded Music precipitò in una nuova crisi economica. Il feeling tra i soci si consumò ulteriormente fino alla definitiva separazione. Iniziò quindi una nuova storia per l’Expanded Music e se oggi il repertorio dell’Italian Records è ancora vivo (si vedano le recenti ristampe degli album dei Gaznevada e dei Confusional Quartet) è anche grazie a quella scelta.

03 - Natale e Gaznevada
Una recente foto che immortala Natale e due componenti dei Gaznevada, Marco Bongiovanni (a sinistra) e Ciro Pagano (a destra), scattata in occasione della ristampa dell’album “Sick Soundtrack” avvenuta nel 2020

A partire dal 1987 Expanded Music, attraverso la DFC (prima) e Dance And Waves (poi), inizia a sondare le potenzialità della house music come dettagliatamente illustrato in questo reportage. L’affermazione mondiale arriva due anni dopo con “Sueño Latino” del progetto omonimo, successivamente impreziosita dai remix di Derrick May e riconosciuta pietra miliare di un momento probabilmente irripetibile per creatività e dinamismo. Cosa voleva dire investire denaro nella house music in Italia in quel periodo?
Alla fine degli anni Ottanta l’italo disco era ormai in declino e, con la diffusione del campionatore, nasceva e proliferava la musica house. Nella filosofia della DFC c’era molto dell’esperienza maturata con le pubblicazioni internazionali dell’Expanded Music e della stessa Italian Records: non cercare il commerciale ad ogni costo ed avere una grafica riconoscibile. A tal proposito vorrei ricordare che Anna Persiani realizzò per l’Italian Records alcune delle più belle copertine pubblicate in Italia. In quella fase Ricky Persi fu il mio principale collaboratore. Oltre a conoscere bene la musica dance, aveva la capacità di scovare e far lavorare insieme persone con qualità complementari. La DFC aveva un obiettivo preciso, far ballare. Non importava se un disco fosse commerciale o meno, i DJ dovevano riconoscere dalla copertina che fosse un DFC e comprarlo a scatola chiusa con la certezza di usarlo in pista. Il successo arrivò nel 1989 con “Sueño Latino” per cui va riconosciuto il merito principale a Massimino Lippoli che ebbe l’idea ed ovviamente a Manuel Göttsching perché senza il sample tratto dal suo “E2-E4” non ci sarebbe mai stato “Sueño Latino”.

04 - Natale e Manuel Göttsching
Giovanni Natale e Manuel Göttsching, autore di “Ruhige Nervosität” (incluso nell’album “E2-E4” del 1984) da cui cinque anni dopo verrà tratto il sample utilizzato in “Sueño Latino” del progetto omonimo

Dal 1990 in poi la strada sembra in discesa per la musica da discoteca, sino a poco tempo prima genericamente detta “disco-dance” visto che ai tempi le numerosissime categorizzazioni a cui oggi siamo abituati non esistono ancora. Che ricordi conservi dei primi anni Novanta quando Expanded Music diventa una delle protagoniste di quella fase?
Proprio nel 1990 raggiungemmo il primo posto in classifica con “Ultimo Imperio” degli Atahualpa, nel 1991 arrivò “Just Get Up And Dance” di Afrika Bambaataa, il 1992 e il 1993 furono gli anni di Ramirez con pezzi come “Orgasmico”, “Terapia” ed “El Gallinero”, per il 1994 mi limito a citare “Eins, Zwei, Polizei” di Mo-Do (al numero uno delle classifiche europee) ma nello stesso anno dei cento singoli più venduti in Italia quattordici erano dell’Expanded Music. Successivamente abbiamo contato sulla fortunata serie di Floorfilla e “Camels” di Santos.

Parimenti ai grossi gruppi discografici attivi allora, anche Expanded Music conta su un ricco roster di etichette per declinare generi disparati. Dalle già citate DFC e Dance And Waves (dalla quale decollano i Mato Grosso partiti come Neverland come spiegato qui) alla B4, da Audiodrome a Plastika passando per PRG (inaugurata con “Mismoplastico” di Virtualmismo, di cui parliamo qui), Steel Wheel, Mantra Vibes ed altre ancora tra cui le poco prolifiche Creative Label e Full Motion Records. Utilizzare un numero così elevato di marchi poteva essere in qualche modo fuorviante?
Creare tante etichette fu un errore dovuto all’indecisione della strada da prendere. Ogni DJ/produttore pensava di potersi distinguere solo se avesse avuto un’etichetta sulla quale non pubblicassero altri ma, come imparammo presto, non è l’etichetta a fare il DJ. Al contrario invece, sono i buoni dischi a decretare il successo di una label e di un DJ.

Quali sono i cinque best seller di Expanded Music?
In ordine di uscita e non per valori effettivi delle vendite, “Sueño Latino” di Sueño Latino, “Just Get Up And Dance” di Afrika Bambaataa, “El Gallinero” di Ramirez, “Eins, Zwei, Polizei” di Mo-Do e “Camels” di Santos.

Cosa ti viene in mente ripensando ad ognuno di essi?
Prima hai già detto tu cosa rappresenta oggi “Sueño Latino”, la sua storia è tutta un aneddoto tanto che nel 2015 l’abbiamo pubblicata sul fronte della copertina della ristampa in occasione del venticinquesimo anniversario.
Per “Just Get Up And Dance”, la cosa più difficile fu convincere Bambaataa, leader della Zulu Nation, a cantare un testo non suo. Comunque avemmo ragione e il testo, scritto da David Sion, si dimostrò perfetto.
A proposito di “El Gallinero”, c’è un video su YouTube che conta oltre nove milioni di visualizzazioni ed intitolato “Gallinazo y la Bolsa de Coca” in cui i protagonisti sono Paco Stanley e Mario Bezares, ai tempi gli uomini di spettacolo più famosi in Messico, che per l’appunto ballano il pezzo di Ramirez. Stanley fu ucciso nel 1999 a colpi di mitra all’uscita di un ristorante, si dice per mano dei narcos, e proprio questo video apparso su YouTube molti anni dopo fece riaprire le indagini sull’omicidio. Mentre in televisione ballava “El Gallinero”, a Bezares cadde dalla tasca una bustina bianca, forse “la bolsa de coca”?
Su “Eins, Zwei, Polizei” ricordo che Fabio Frittelli alias Mo-Do, doveva registrare un’altra canzone e in studio, invece di dire al microfono il solito “uno, due, tre, prova” se ne uscì con “eins, zwei, polizei”. Gli chiesero cosa fosse e a quel punto lui recitò di getto la filastrocca che gli cantava la nonna quando era bambino.
Infine Santos con la sua “Camels”, inizialmente incisa sul retro di “The Riff”. Di quel disco ne vendemmo solo una decina di copie. Tempo dopo però, ad Ibiza, Judge Jules cominciò a suonare “Camels” e in poche settimane piovvero richieste da ogni parte del mondo. Dopo lunghe trattative (battemmo il record per l’anticipo più alto pagato per un singolo nel Regno Unito) ci incontrammo per stipulare il contratto a Bologna ma proprio all’ultimo momento Santos andò in paranoia e non voleva più firmare. Sembrava l’episodio “Il Matrimonio Temuto” di “Appartamento Al Plaza” con la sposa chiusa in bagno il giorno del matrimonio…

05 - Collage Expanded Music
Un collage di copertine di fortunate produzioni marchiate Expanded Music uscite tra 1989 e 1994

Quali invece i brani in cui vedesti del potenziale ma che, per qualche motivo, non riuscirono a sortire i risultati sperati?
“Bye Baby”, “All Aboard” e “Yeh Yoh” di Ava & Stone, tutti prodotti da Graziano ‘Tano’ Pegoraro, un amico scomparso prematuramente che mi manca ancora tantissimo (per approfondire si rimanda a questo articolo, nda). Andarono tutti in classifica in Italia però mi aspettavo di più dall’estero.

Negli anni Novanta gli esiti di tanti artisti dance erano direttamente proporzionali al supporto offerto dai network radiofonici e, in parte, dalle tv in occasione di programmi come Festivalbar, Un Disco Per L’Estate o Mio Capitano. Come si muoveva Expanded Music in tal senso? Quanto “pesava” sul rendimento di una produzione il passaggio nell’FM o sul piccolo schermo?
In verità ho sempre creduto più alla pista che alla radio o televisione. Non che i media non fossero importanti, sia chiaro, ma servivano quando il disco era già un successo. La musica dance è così, la definisco “democratica” perché se un pezzo non funziona in discoteca non c’è promozione che tenga e non potrà mai avere successo. Al contrario, se è valido in pista, anche senza il supporto della radio potrà essere scovato dalle migliaia di DJ sempre a caccia di novità. Se è veramente forte emergerà da solo, seppur firmato dall’artista più sconosciuto al mondo e di esempi se ne potrebbero fare tanti, da “Children” di Robert Miles (di cui parliamo qui, nda) a “Satisfaction” di Benny Benassi al già citato “Camels” di Santos.

06 - Albertino e DFC
Albertino a Radio DeeJay in uno scatto risalente ai primi mesi del 1995. Sul giradischi c’è lo slipmat della DFC

«Se Albertino non lo passa, anche un gruppo che ha venduto cinque milioni di copie in sei mesi come i Rednex rischia di passare inosservato in Italia. Motivo? Altri dischi devono avere un posto assicurato nella DeeJay Parade» scriveva il compianto Salvatore Cusato sulla rivista Disk Jockey New Trend a giugno 1995. Polemiche a parte su ipotetici favoritismi, ritieni che il mercato dance domestico nostrano sia stato eccessivamente influenzato, suo malgrado, dal noto speaker di Radio DeeJay?
Senza togliere nulla ad Albertino, ci sono tanti dischi che non ha trasmesso ma che sono diventati ugualmente delle hit. L’influenza di Radio DeeJay finiva in Italia, da Lugano in poi i dischi vendevano solo se piacevano e non perché in Italia erano suonati da una radio in particolare. Nei primi anni Novanta Albertino ha sicuramente avuto un effetto positivo sulle produzioni italiane, selezionava pezzi interessanti ed era uno stimolo per chi lavorava in studio. Io non ho mai fatto parte della corte dei questuanti, le mie visite a Radio DeeJay si contano sulle dita di una mano, eppure non era raro per l’Expanded Music avere più titoli contemporaneamente nella famosa Pagellina. Dalla seconda metà degli anni Novanta in poi il “tocco vincente” della dance italiana andò perdendosi e, se le scelte di Albertino non sono più state le migliori, era dovuto anche al fatto che la qualità media delle produzioni nostrane diminuì, ad iniziare da quelle della stessa Expanded Music.

Gli anni Ottanta e i Novanta furono economicamente redditizi per la discografia dance ma oggi ad essere rimpianta è anche una ricchezza di tipo creativo, quella di cui si lamenta spesso la cronica assenza. C’era qualcuno, tra i competitor italiani, che a tuo avviso lanciò modelli ispirativi?
In tutta franchezza non ho mai cercato ispirazione nelle produzioni dei miei colleghi, gli stimoli venivano piuttosto da chi collaborava con noi come il DFC Team ad esempio, che operava tra Udine e Trieste, una posizione piuttosto defilata rispetto a Milano, l’Emilia e Roma. La creatività si nutriva delle diverse professionalità ma principalmente del divertimento che si provava nel fare insieme le cose. Oltre al già menzionato Ricky Persi, è impossibile pensare alla DFC senza ricordare Andrea Gemolotto (intervistato qui, nda), la tecnica straordinaria di Davide Rizzatti, le capacità musicali di Elvio Moratto (intervistato qui e qui, nda) e Claudio Collino e il fiuto di Ricci DJ. Non posso dimenticare neanche Claudio Zennaro alias Einstein Doctor DJ (intervistato qui, nda) che mi ha dato, tra i vari successi, anche “Eins, Zwei, Polizei” di Mo-Do, ed altrettanto importanti sono stati Sergio Portaluri, Fulvio Zafret e David Sion del team De Point (di cui parliamo qui, nda) con “Just Get Up And Dance” e tutti i pezzi di Afrika Bambaataa di quegli anni. Infine, come non citare l’intelligenza di Cerla alias Floorfilla o la “follia” di Santos? Per mestiere non ho fatto altro che tirare fuori il meglio da ognuno di loro e credo sia proprio questo il lavoro di un discografico e non suggerire di copiare i competitor.

07 - Natale, Frittelli, Zennaro, consegna disco d'oro in Germania
Giovanni Natale, Claudio Zennaro e il compianto Fabio Frittelli ricevono il disco d’oro in Germania per le vendite di “Eins, Zwei, Polizei” di Mo-Do (1994)

In barba alle aspettative, il nuovo millennio fa segnare un cambio di marcia negativo per il comparto dance tricolore. «La scarsa cultura imprenditoriale e la fuga centrifuga di molti produttori che pensavano di poter raggiungere gli stessi risultati avviando label autonome hanno impedito il consolidamento del settore» dichiarasti nell’intervista finita in Decadance Extra qualche anno fa, aggiungendo che «mentre i produttori di tutto il mondo si ispiravano ed imparavano dalle produzioni italiane, i nostri artisti implodevano creativamente e sembravano vergognarsi dei propri successi inseguendo sperimentalismi spesso fini a se stessi ed alimentando un mercato che non ha lasciato quasi nessun segno». A conti fatti, la chiusura di quel ciclo oggi ricordato con infinita malinconia e rimpianti dai protagonisti fu innescato dagli stessi italiani, incapaci di misurarsi con un mercato globalizzato?
Confermo in toto quanto mi hai ricordato in queste righe ed aggiungerei che a penalizzarci sia stato anche il ritardo strutturale dell’Italia per quanto riguarda sia la cultura imprenditoriale che le infrastrutture digitali. Questo spiega il fatto che, nonostante le etichette italiane siano state tra le migliori al mondo per creatività, professionalità e capacità economiche, nessuna abbia saputo cavalcare il mercato digitale come hanno fatto, ad esempio, Ultra, Spinnin’ o Kontor.

In un editoriale apparso sulla rivista Jocks Mag a marzo 2002 puntasti il dito contro la SIAE, non ricorrendo a giri di parole per dichiarare quanto gli editori italiani, te compreso, ci abbiano rimesso in proporzione ai propri successi. «Il totale riportato semestralmente è solo il 50% di quanto la SIAE ha effettivamente incassato dal nostro repertorio. A differenza di ogni altro genere musicale, la SIAE non ci paga tutto quello che ha incassato per l’utilizzo delle nostre musiche nei locali da ballo, ma solo la metà! Il restante 50% viene distribuito ad altre classi di opere che nulla, o quasi, hanno a che vedere con queste esecuzioni. Non correte nei loro uffici a chiedere di più, non vi daranno retta, e non sperate neanche in una trattativa privata. Si parla di decine di miliardi di lire che per tanti anni hanno rimpinguato le tasche di altre persone che ovviamente ora non hanno alcun interesse a rinunciarci». A distanza di quasi un ventennio, è cambiato qualcosa?
Confermo che questo fosse quanto accadeva, con un’aggravante che mi coinvolge direttamente. Nel 2002 mi lamentavo del comportamento e delle regole della SIAE, ma tra il 2003 e il 2010 sono stato un membro del CdA della stessa SIAE e, in tanti anni, non sono stato capace di contribuire a migliorare la situazione. È stata un’esperienza iniziata con molto orgoglio ed ottimismo ma conclusasi con una grande delusione. Sicuramente la responsabilità è da cercarsi nei limiti della mia azione ma non ha aiutato l’atteggiamento di alcuni colleghi che, più pragmaticamente, hanno scelto di adeguarsi alle interferenze politiche. Alla fine ho preferito dimettermi da ogni incarico e dalle associazioni di categoria. Ognuno vive la coerenza come vuole e non è detto che il mio sia il modo più giusto. La situazione oggi è peggiorata e non mi riferisco solo alla SIAE. Con la smaterializzazione del mercato musicale, i diritti si sono vaporizzati e per calcolarli e gestirli occorre la matematica infinitesimale. I vecchi modelli di business sono implosi, ormai i nuovi padroni del mercato sono Google, Amazon e Spotify che hanno deciso come distribuire la musica, come e quanto retribuirla. C’è una distorsione del mercato nota come “value gap”, inaccettabile. Puoi rifiutarti di lavorare con queste piattaforme ma in quel caso smetti di esistere. Che ruolo quindi devono avere oggi le vecchie società d’autore come la SIAE? Come recuperare la differenza tra il valore economico dell’utilizzo online di un brano musicale e l’incasso riconosciuto ad editori e produttori? Non sono problemi solo italiani ma, come dicevo, ormai sono fuori dalla vita associativa di categoria, non ho proposte e sono prossimo alla pensione. Sicuramente c’è chi ne sa più di me.

In questa intervista a cura di Andrea De Sotgiu pubblicata il 31 gennaio 2019, sostieni che uno dei maggiori problemi con cui ti sei ritrovato a fronteggiare sia il campionamento illegale. «È una battaglia continua trovare questi brani su piattaforme come iTunes o Spotify e toglierli dal mercato. Se la tecnologia ci consentirà di essere remunerati correttamente, cosa che oggi non avviene, per il reale valore che i nostri repertori hanno apportato al mercato digitale, allora la rivoluzione tecnologica premierà tutti». Credi che il campionamento selvaggio sia un fenomeno in qualche modo arginabile? Si pensi pure alle migliaia di brani riversati in Rete da quelle etichette dedite al re-edit che forse fanno anche peggio visto che utilizzano, senza alcuna autorizzazione, brani altrui opportunamente re intitolati, rendendo ancora più difficile l’identificazione.
Il problema non è solo scovarli ma difendersi dal danno che arrecano al repertorio. Faccio due esempi: di recente ho concluso un accordo con l’etichetta Anjunabeats per l’uso di un sample tratto da “Hazme Soñar” di Morenas in “Moment In Time”, una nuova produzione di Icarus e Jamie N Commons, una trattativa soddisfacente che valorizza il pezzo originale e il nostro catalogo. Al contrario due anni fa negoziavo con una multinazionale francese che avrebbe voluto usare una parte di “Funky Heroes” di Afrika Bambaataa in un nuovo ed importante progetto discografico. Avevamo stabilito ottime condizioni ma quando hanno visto quante volte lo stesso sample fosse presente illegalmente online hanno rinunciato. L’abuso dei campionamenti impoverisce il valore dei repertori. Si può continuare ad inseguire i file pirata ma non basta eliminarli. Amazon, Spotify ed altre piattaforme dovrebbero essere responsabili per i danni che subiscono musicisti e case discografiche. Sembra una battaglia persa ma non lo è, su questo fronte sono molto attivo.

Cosa vuol dire occuparsi di discografia nel 2021? Ci sono ancora i margini di crescita in un settore ormai irriconoscibile se paragonato a quello di qualche decennio fa? Servono ancora intuito, vocazione imprenditoriale e background musicale?
Intuito, vocazione imprenditoriale e background occorrono ancora e più di prima. Lo dimostrano i traguardi raggiunti dalle etichette dance straniere che ho menzionato sopra. Credo pure che ci siano grandi margini di crescita ma è un mondo completamente diverso rispetto a quello degli anni Ottanta e Novanta. Al di là delle critiche, è pur vero che i giganti del web hanno apportato una rivoluzione che apre ampi spazi al consumo della musica ma è necessario riequilibrare il potere tra i vari operatori.

08 - Uffici-studi dell'Expanded Music
Uno scorcio degli attuali uffici e studi dell’Expanded Music

Expanded Music esiste da più di quarant’anni: qual è stato il momento più emozionante e gratificante che hai vissuto?
Quando “Eins, Zwei, Polizei” di Mo-Do raggiunse il primo posto della classifica in Germania ricevetti un fax (che conservo ancora!) da Bernhard Mikulski, fondatore della ZYX, che recitava più o meno così: «dopo tanti anni e successi della ZYX, questa è la prima volta che conquistiamo il vertice, è qualcosa che abbiamo fatto insieme».

Quale invece quello più difficile?
La separazione dai miei soci iniziali: ero senza soldi e solo con debiti, un futuro incerto da affrontare e tutto sotto la mia responsabilità. Ma alla fine è andata bene.

Ad oggi quante pubblicazioni conta l’intero catalogo Expanded Music?
Non so quantificare in titoli ma in numero di master sono circa quattromila.

C’è un pezzo che ti sarebbe piaciuto annoverare nel repertorio della Expanded Music?
“Satisfaction” di Benny Benassi. Un pezzo che è pura creatività senza nessuna concessione al commerciale ma che è riuscito ugualmente a convincere tutti i DJ del mondo.

Qual è invece il brano che ha sancito lo stato di grazia della tua etichetta?
“Sueño Latino”. Non è stato il successo commerciale più grosso ma il primo disco che ci ha dato credibilità internazionale e fatto entrare nel club dei migliori.

Se avessi la possibilità di cavalcare il tempo a ritroso, quali errori non commetteresti più?
Di errori ce ne sono stati ma ormai è inutile rivangarli.

Hai mai sbagliato la valutazione di un pezzo giunto sulla tua scrivania?
Direi di no, non ho mai avuto la sfortuna di rifiutare un brano che poi è diventato un successo, a parte “Vamos A La Playa” dei Righeira. Quando ascoltai il provino di Johnson (Stefano Righi, nda) lo chiamai subito per dirgli che era una bomba ma qualcun’altro decise che fosse troppo commerciale per l’Italian Records. Comunque non saremmo stati capaci di realizzare l’impeccabile produzione dei fratelli La Bionda e per Johnson, quindi, è stato meglio così.

Per concludere, quali sono le tre parole che sintetizzano al meglio la tua avventura pluridecennale nella musica?
Incoscienza, fortuna e professionalità. “Incoscienza” perché senza quella avrei cercato un lavoro da dipendente, “fortuna” perché serve sempre, “professionalità” perché un colpo fortunato capita a tutti ma quando arriva devi avere gli strumenti per coglierlo.

(Giosuè Impellizzeri)

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